2 Corriere di San Floro e della Calabria
Transcript
2 Corriere di San Floro e della Calabria
Corriere di San Floro lla e d Calabria e Periodico trimestrale in distribuzione gratuita - Direttore responsabile DOMENICO PARAVATI - Registrato presso il Tribunale di Tivoli al n. 13 del 2007 Editore-Proprietà-Dir.ne-Red.ne: Domenico Paravati - V.le Trieste 19 - 00068 Rignano Flaminio (RM) Tel./Fax 0761.597431- e-mail: [email protected] - Stampato da Tipografia Vallelunga - Via Monte Razzano 11 - Campagnano di Roma - Tel. 06/9043081 La collaborazione è sempre gratuita. I testi, pubblicati o no, non si restituiscono - Responsabile dati personali: Domenico Paravati Attività editoriale senza fini di lucro (art.4 D.P.R. 26.10.1972 n.633 e successive modifiche) - Per controversie legali foro competente è quello di Tivoli Per consegna a domicilio (Abbon. annuale per posta): euro 20; sostenitore euro 50; benemerito euro 100. C/C postale n. 54078100 intestato Domenico Paravati – Per bonifico (anche dall’estero) : IT66D0760103200000054078100 In caso di sospensione della pubblicazione l’abbonamento non viene rimborsato LETTERE Un giornale che non deve morire SCRITTORI NOSTRI Come era concepito l’“onore familiare” nella Calabria del tempo che fu. “A me era stata negata la gioia di conoscere i nonni perché ero una bastarda, il frutto di un errore” - “Se non sono ancora morta un motivo deve esserci: sono nata per vivere, per raccontare la mia Al Direttore del “CORRIERE vita infelice”- Mariana ha in preparazione un terzo libro sulla sua antica tragedia DI SAN FLORO e della CALABRIA” di bambina rifiutata dai genitori naturali (di Tiriolo e Gimigliano) e affidata Dottor Domenico PARAVATI ad una famiglia di San Floro negli Anni Quaranta Vorrei scrivere la vera storia dall’inizio della mia nascita, del cognome paterno che non ho potuto avere, perché mio padre era spo- La madre dei cretini é sempre incinta Che miracolo! È riuscito a tirare in stampa più di 230 pagine scrivendo solo e sempre di una strada, la “Statale 18” (tra virgolette: è proprio il titolo del volumetto cm. 14x21 di Mauro Francesco Minervino). Quella strada costruita dal fascismo negli Anni Trenta per affiancare, dal mare, la vecchia arteria borbonica che si inseriva invece nel centro della Calabria, è in questo libro vivisezionata, odiata, elogiata, ma forse proprio per questo un tantino amata da questo maturo personaggio che di mestiere fa il professore all’Università di Catanzaro con le insegne di antropologo. E allora si tratta forse di un trattato di antropologia? Forse (o soprattutto) anche di questo, magari senza che l’autore lo volesse; se non fosse che qua e là salta fuori quasi la poesia, o l’odio-amore verso qualcosa che fa parte, volente o nolente, della tua vita, perché quella statale il Minervino la percorre quasi tutti Che significa buttare nel cestino con stizza il nostro giornale senza nemmeno averlo aperto per leggerne il contenuto e magari poi legittimamente criticarlo? La risposta è semplice semplice: si tratta solo e semplicemente di invidia. Invidia per quello che di alto, anche e soprattutto sul piano culturale e pur con le nostre modeste forze, viene pubblicato su questo “piccolo” trimestrale. Invidia da parte di chi non sa essere altrettanto “alto”. Conclusione: la madre degli imbecilli è sempre gravida. Dunque, niente di nuovo sotto il sole (questa volta di Squillace, che pure è la patria dei Cassiodoro, dei Pepe, degli Assanti, eccetera). Aristarco Scannabue sato. Aveva già due figlie femmine più grandi di me che mi hanno vista appena sono nata perché eravamo vicine di casa, ma io non le Anno IV - N° 4 Ottobre-Novembre-Dicembre 2010 BORGIA Giovanni Pugliese miglior dipendente Agenzia Entrate di tutt’Italia MARIANA ROCCA a S.Floro l’8 agosto 2010 alla presentazione dei suoi libri SCRITTORI NOSTRI In un libro l’ “anima” della Statale Diciotto Autore Mauro Minervino, antropologo e professore all’Università di Catanzaro - Odio e amore verso una strada che percorre tutti i giorni i giorni da Paola a Catanzaro; un’ossessione, degna dell’attenzione di uno psicanalista, tanto che quella maledetta-benedetta strada compare -lo dice l’Autoresotto forma di incubo la notte. Tanto da fargli odiare tutto e tutti: turisti “stranieri”, vacanzieri “locali” di un mese o giù di lì, e ovviamente la ‘ndrangheta o comunque quel comportamento simil-mafioso che ha portato alla cementificazione selvaggia del litorale. Ma per fortuna rimangono ancora angoli decenti lungo il tragitto- fa capire il Nostroe quando il cielo è sereno e comunque l’atmosfera è giusta, Mauro Francesco Minervino si può consolare con la vista, (su quel mare sempre fascinoso e attraversato – sostiene lui - da Ulisse) del triangolo del vulcano delle Eolie, lo Stromboli. Qualcuno, alla libreria Feltrinelli Domenico Paravati (segue a pag. 2) Se lo vedete con scarpe da ginnastica e con la tuta non lo disturbate perché Giovanni, prima di iniziare la giornata lavorativa, è solito ricaricarsi con una salutare corsa. Ma se lo vedete per le strade del paese potete benissimo conversare con lui, anche di tasse, se volete. Sappiate, infatti, che Giovanni Pugliese è stato premiato come il miglior dipendente dell’Agenzia delle Entrate. Del fisco per intenderci. Ma non un premio locale o regionale, bensì nazionale. E sì, perché Giovanni è stato proclamato il miglior esperto in ambito nazionale. Ha sbaragliato i suoi colleghi del più proficuo nord d’Italia, a dimostrazione che le eccellenze calabresi sono veramente tante. Un riconoscimento, quello dato a Pugliese, che premia la professionalità e la serietà di un uomo impegnato quotidianamente a svolgere il proprio lavoro con competenza. Giovanni è così. Ne avevamo parlato nelle edizioni precedenti del Corriere. Abbiamo intuito il suo merito umano e professionale. Per qualche giorno tutti i giornali nazionali hanno scritto di lui, hanno lodato le capacità e celebrato i suoi successi professionali. Nonostante i fari della celebrità siano rimasti accesi per giorni su di lui, Giovanni continua nella sua quotidianità di pubblico funzionario, di preparatore atletico dell’USD Borgia 2007 e di amico. A Borgia rimane l’orgoglio. Domenico Procopio Gravi problemi sulla S. Floro-Corace l’Amministrazione provinciale che quella comunale ma, sembra, con esito fino al momento in cui scriviamo non soddisfacente. La provinciale Roccelletta-San FloroCorace è stata più e più volte compromessa, addirittura ostruita dalle frane e quindi riparata nel corso degli anni con gabbioni e strutture Gaetano Passafaro Docente borgese fortemente legato alla sua terra, insegnò anche agli adulti nella lotta all’analfabetismo che negli Anni Cinquanta era ancora ben radicato in Calabria- Più volte consigliere comunale e anche Sindaco f.f. ho mai conosciute. Non so se sono ancora in vita; ma, se possibile, adesso che ormai siamo tutte nella terza età, le vorrei incontrare e vedere il posto dove sono nata, andare al cimitero per salutare il padre che non ho potuto avere e sua sorella, l’unica zia che una volta sono riuscita a vedere per caso Mariana Rocca (segue a pag. 2) ALL’INTERNO - PAG. 2 Jennaru ‘e Perciò A San Floro, un’abitazione sotto la provinciale Roccelletta di BorgiaCorace è rimasta senza strada di accesso carrabile per una frana. Secondo i proprietari la causa è la non perfetta sistemazione, a suo SAN FLORO - La frana alla tempo,dell’arteria che causava un “Tozzina” sotto la strada pro- deflusso sbagliato dell’ acqua. Sono già state interessate al problema sia vinciale Publilio Siro, I° sec. a.C. “Sententiae” PERSONAGGI Mariana Rocca: Ecco la mia storia Ho versato la quota annuale per un abbonamento sostenitore al “Corriere di San Floro e della Calabria,”da Lei fondato e diretto, per contribuire, con una piccola somma, alla vita del Giornale che, a mio modesto giudizio, è da inserire tra i migliori periodici del panorama editoriale calabrese. Non solo e non tanto perchè mette in risalto, con un taglio di alto profilo, la vita di un piccolo comune della nostra Regione, simile a tanti piccoli e grandi comuni calabresi, ma soprattutto perchè lo fa con spiccata professionalità. Fa emergere, nel pieno rispetto dello spirito del popolo calabrese, i sentimenti e i valori che stanno alla base della nostra civiltà e della nostra cultura, tanto apprezzata nel mondo. Fa cronaca, informa e fa riflettere, perchè spesso non disdegna di occuparsi, con grande rigore scientifico, anche di rilevanti fatti culturali e di problemi attuali e scottanti senza faziosità e con la giusta umiltà professionale. Tanti auguri, a Lei e al suo staff, per il Suo Giornale e anche per le prossime festività natalizie. Audentes fortuna iuvat. Sic vos non vobis.. Con stima Prof .Rosario Tavano Fortuna vitrea est. Tum cum splendit, frangitur in cemento. Ma, come si è visto, il problema si è ripresentato in altri tratti a causa delle continue piogge. E’ dunque urgente un ulteriore intervento definitivo di chi di competenza, in primo luogo l’Amministrazione Provinciale che, oltretutto, ora dispone di un nuovo finanziamento per la stessa strada. Gaetano Passafaro (Borgia 1920- Genova 2010) Un uomo apprezzato per i suoi modi di fare e per la sua costante operosità nel mondo della scuola e in altri settori della vita sociale. Gioviale e comunicativo, sapeva mantenere buoni rapporti sociali con le persone. Durante i dialoghi con gli amici, se ne usciva a volte con qualche sua simpatica barzelletta. Da ragazzo, volendo acquisire conoscenze sull’arte drammatica, per giunta a quelle scolastiche che la scuola gli dava, si mise frequentare, per alcuni anni, la casa del drammaturgo borgese Giovanni Sinatora, amico dell’attore e commediografo romano Ettore Petrolini, con cui lo stesso Sinatora, per motivi artistici comuni, si teneva in corrispon- A Catanzaro Sala, suo luogo di nascita, Nuccia Tolomeo viene ricordata spesso. Questa donna è morta il 24 gennaio 1997, all’età di 60 anni. Oggi, alcuni del rione Sala la ricordano per la sua Antonio Zaccone (segue a pag. 4) Antonio Zaccone (segue a pag. 2) PERSONAGGI Nuccia Tolomeo COSE NOSTRE Cari lettori, regolatevi Cari Lettori, repetita iuvant ed inoltre ci piace l’estrema chiarezza. Questo giornale campa alla giornata. Ed anche questo numero nasce dopo molti dubbi. Gli ostacoli non sono superati, ma è possibile che riusciremo a coprire i costi di stampa di questo numero con l’arrivo di tutti gli abbonamenti scaduti. E di qualche nuovo acquisto. A proposito: vogliamo ripetere - come già scritto in altre parti del giornale - che la parola abbonamento per noi non significa impegno assoluto a far uscire il giornale per il prossimo o i prossimi numeri, ma è riferita solo ad un contributo a fondo perduto da parte vostra. Quindi nessuno vi assicura che, pur versando una qualsiasi somma, voi riceverete il prossimo numero del”Corriere”. Dovrete, per forza, anche voi campare di speranza: la speranza che il giornale possa continuare ad uscire con l’impegno concreto di tutti (e quello nostro è piuttosto rilevante, del tutto gratuito e con rischio di pesanti perdite in moneta per il semplice amore del loco natìo). Per cui, regolatevi. Dateci speranza di vita finchè potete. Quando vi sarete stancati, molleremo anche noi. La Direzione OCEDDHUZZU… Oceddhuzzu chi bbìani de la Francia, dimmi: l’amùra cùamu si cumìncia? “Si cumìncia cu ssùani e ccu canti, si hinìscia cu ppìani e turmìanti” Corriere di San Floro e della Calabria Direttore responsabile: Domenico Paravati Vice Direttori (ad honorem): Feliciano Paravati (per i servizi fotografici) Antonio Zaccone (per Borgia e Catanzaro) Angiolino Guzzo (per i servizi tecnologici) 2 Corriere di San Floro e della Calabria PERSONAGGI DI SAN FLORO DALLA PRIMA PAGINA Gennaro Perciò, “una scarpa sì e una no” “Ma nell’altro mondo le scarpe non servono più a nessuno, nè ai ricchi nè ai poveri” . Questa favola (vera) è dedicata a tutte le persone che per varie vicissitudini vivono lontano dalla famiglia e a quelle che, da sole sempre, preferiscono trascorrere la loro esistenza libere, ma ai margini della società, alla maniera dei mendìci. Come Gennaro Perciò, “una scarpa sì e una no”. C’era una volta una bellissima bambina di nome Mariana. Era nata nel 1944, senza un vero papà a causa della guerra. La sua mamma aveva già tre bambini, due maschietti e una femmina, lei era la quarta. Con la miseria che c’era, una donna da sola, anche se avesse lavorato come una schiava, non sarebbe riuscita ad andare avanti; e così, quando la bambina ebbe tre anni, la madre dovette scegliere tra l’opportunità di metterla in un istituto fino al compimento dei 18 anni e quella di darla in adozione ad una coppia di anziani senza figli. Fu così che ella, pensando di fare la cosa giusta per Mariana, affidò la piccola a due signori, marito e moglie. Quanto soffrì quella bambina strappata dall’amore materno non si potrà mai capire. Ma il tempo aiuta a guarire le ferite e, con il passare degli anni, ella imparò a chiamare mamma e papà quei signori che l’avevano adottata. I primi tre anni passarono velocemente. Forse Mariana era troppo piccola per capire tutto quello che la circondava. E, iniziata la scuola elementare, ella cominciò a subire le discriminazioni che si portano dietro tutti i bambini che sono costretti a crescere senza i veri genitori, poiché anche dai propri compagni sono considerati come figli di nessuno. A parte i momenti peggiori di rabbia ed umiliazione, a parte le tante lacrime versate per le botte frequenti che essa riceveva dai nuovi genitori, anche per le più piccole cose, Mariana aveva un carattere allegro e gioioso e, possedendo una bellissima voce, cantava sempre, anche dovendo lavorare come una cenerentola sia in casa che in campagna. Qui la piccola doveva badare a tutti gli animali: alle capre che davano dell’ottimo latte per la ricotta e il formaggio, ai conigli, alle galline, al cane e ai maiali, che servivano per essere venduti ma anche per ottenere la provvista di salame per tutto l’anno. Nonostante la grande fatica che faceva, la bambina era felice di parlare con tutti gli animali, soprattutto con l’asina che cavalcava a galoppo senza basto; Mariana era sempre contenta, anche se la gente del paese la chiamava maschiaccio perché non aveva paura di nessuno. Ogni giorno, dopo la scuola, doveva andare in campagna a raggiungere ed aiutare nei lavori i genitori, percorrendo da sola, d’estate e d’inverno, dieci chilometri a piedi tra discese, salite e boschi di brughiere in pianura. Di tanto in tanto aveva paura e allora si metteva a cantare a squarciagola, correndo velocissima giù per i campi. Quando arrivava vicino alla fiumara, c’era il pantano tutto buio anche d’estate; tante volte trovava le figlie del guardiano: esse andavano dove l’acqua era più alta e facevano il bagno quasi nude. Il padre adottivo era una persona rude ma molto intelligente e, prima che la piccola imparasse a leggere da sola, la sera, vicino al focolare, le raccontava delle fiabe bellissime. Man mano che Mariana cresceva, egli le insegnò come difendersi dagli uomini e dagli animali, anche dai serpenti velenosi, mostrandole come ucciderli in caso di bisogno; ma la cosa migliore egli diceva- era quella di rispettare la loro natura. Il suo motto era “Vivi e lascia vivere ogni creatura sulla terra fino a che non sei costretta a difendere la tua vita”. Glielo ripeteva sempre, come le ripeteva anche: “Se non fai del male a nessuno, non devi avere paura”. Essa capì la lezione, ed essendo già per natura molto altruista, dava il meglio di sé a tutti (persone o animali) ricevendo in cambio affetto e amore dalle brave persone, ma anche tanto male dalla gente cattiva (così è la vita!). La mamma adottiva, a modo suo, forse le voleva un po’ di bene; ma inconsapevolmente scaricava sulle spalle della bambina la disperazione e la rabbia contro Dio, che le aveva fatto morire in modo atroce il suo unico bambino di sei anni. Non potendo più avere figli suoi, per non impazzire del tutto aveva dato retta al consiglio di qualcuno, che le aveva suggerito di prendersi una bambina forestiera. E così fece. Adottò quella stupenda bambina bionda, piena di riccioli d’oro, sana e robusta che, crescendo, diventava sempre più bella, ma che doveva scontare per sempre la penitenza di essere viva e piena di vita, mentre il suo bambino era morto. .Tuttavia, nei momenti migliori, la donna insegnò alla piccola tante cose, poiché sapeva anche essere generosa. Le diceva: “Devi dare quello che hai se vuoi avere le cose che non hai”. Così Mariana dava tutto, con tutto il cuore, a tutti i parenti o agli amici, anche quello che non aveva di suo, pur di farli felici, pagandone Anno IV - N° 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2010 poi le conseguenze sulla propria pelle. .. Già allora, come adesso, c’erano persone sole che vivevano della carità altrui. E in quel paese, dove viveva la piccola, c’erano delle buone abitudini, che ai giorni nostri, per fortuna, si stanno riscoprendo. In occasione del Santo Natale o della Santa Pasqua, ma anche delle altre feste importanti, quando nel paese arrivava la banda musicale, tante famiglie ospitavano con gioia, nella propria casa, offrendo vitto e alloggio gratis, uno o più componenti della banda. Anche in casa di Mariana era un onore tutti gli anni ospitare due musicanti. Lei in quei giorni era felicissima poiché diventava la mascotte di tutto il gruppo bandistico. Ma Mariana aveva tutte le domeniche dell’anno un ospite fisso davanti alla sua porta. Essa abitava in una vetusta casa, al primo piano. La mamma prima di mettersi a tavola le riempiva un piatto di pasta al sugo di carne. La bimba scendeva quella scala vecchia e traballante con la paura di cadere e portava al suo ospite, che aspettava fuori in piedi, vicino alla porta di casa, il primo piatto caldo. Egli lo accettava con le lacrime agli occhi, mangiando con gioia. Poi Mariana ritornava su e riscendeva recando con sé un bicchiere di vino, una fetta di pane fatto in casa con la farina di grano duro e la frutta. Alla fine risaliva e si metteva a tavola, incominciando a mangiare con parenti e ospiti. Eppure, l’unica volta che Mariana ricordava di aver avuto una grandissima paura durante la sua infanzia, fu proprio il suo ospite a procurargliela, anche senza volerlo. Ma lei era troppo piccola per capire il linguaggio di un vecchio sordomuto come Gennaro, così si chiamava. Erano i giorni prima del Santo Natale e, in quel paese della Calabria dove Mariana era cresciuta, preparavano, allora come adesso, i dolci fritti in occasione delle feste. Anche la mamma di Mariana aveva preparato due grosse ceste di “zìppoli”, di due qualità diverse, per mandarli in dono agli amici o parenti o semplici conoscenti che, per motivi di bisogno o perché avevano avuto un lutto in famiglia, non potevano prepararli. La bambina andava a giocare, ma prima di uscire prendeva cinque o sei “zìppoli” per le amichette e correva giù di corsa. Un giorno, quando era già a cento metri da casa, incrociò Gennaro che, non sapendo parlare bene, cominciò a gesticolare, avvicinandosi sempre più alla piccola. Mariana lo vide animarsi sempre più. Non capiva e così si mise ad urlare dalla paura: tornò indietro di corsa e piangendo si infilò sotto il letto grande. La mamma non capiva cosa era successo perché la bambina non riusciva a spiegare e allora si affacciò dalla scala e trovò il vecchio Gennaro che stava salendo con fatica gli scalini. Allora essa riuscì a capire cosa Gennaro volesse e gli riempì un sacchetto di carta pieno di “zìppoli” ed egli andò via tutto contento. Solo dopo che la madre la ebbe rassicurata dell’assenza di Gennaro, Mariana uscì da sotto il letto ancora piangendo. Se prima non aveva mai fatto caso al suo aspetto, da quel giorno, quando lo incontrava, si rendeva conto che quello che la gente diceva era vero. Gennaro doveva avere più di ottanta anni: era grosso e senza denti, solo due grandi canini marci. Aveva la barba ed i capelli sporchi e unti come il cappellaccio pieno di buchi che metteva in testa, il pastrano ed i pantaloni a brandelli sudici poiché non aveva nessuno che avrebbe potuto accudirlo e al paese a volte non c’era neanche l’acqua. A volte aveva una scarpa sola, tutta rotta e, all’altro piede portava una calza bucata che faceva vedere tutta la sporcizia che aveva addosso. Eppure la bambina, nella sua innocente bontà d’animo non si era mai accorta di tutta quella miseria che egli si portava addosso. Le dispiaceva quando gli altri bambini lo prendevano in giro quando passava in mezzo alla strada e lui faceva finta di alzare il bastone. “Gennaro Perciò , una scarpa sì e una no!” gli gridavano , per poi scappare. Ma non sapevano che quello era proprio il suo nome e cognome. Mariana ricorda ancora il giorno in cui sentì suonare le campane a lutto e quando capì che Gennaro era morto davanti alla porta della sua casa, mezzo corpo dentro e mezzo fuori, proprio come tutta la sua vita. Ella andò al suo funerale: gli avevano fatto una bara con quattro tavole inchiodate e ad accompagnarlo non c’era quasi nessuno. Mariana pianse e ancora oggi, ogni volta che per la strada incontra qualche barbone, il suo pensiero torna indietro di mezzo secolo a Gennaro Perciò e a quelle scarpe che nell’altro mondo non servono più a nessuno, né ai ricchi né ai poveri. Mariana Rocca (Da “Una donna così-Note di viaggio”-Introduzione di Giovanni Iaquinta-Pubblisfera edizioni 2010-San Giovanni in Fiore –Tel. 0984 993932) M.Rocca: Ecco la mia storia mentre ero con mia madre sul Corso di Catanzaro. Io avevo quindici anni, ero all’ultimo mese della prima gravidanza, ma la mamma mi aveva già parlato di questa zia che era rimasta in buoni rapporti con lei. Mi diceva che io ero l’unica bionda in mezzo a tante bambine more perché assomigliavo all’unica zia bionda della famiglia di mio padre. Così quell’incontro casuale mi ha dato la prova della somiglianza fisica tra me e quella zia paterna, che non ho rivisto mai più. Lei aveva cercato di parlarmi di mio padre che si era rotto una gamba. Io - che avevo tanto risentimento ancora verso di lui perché mi avevano data via ed egli non era venuto mai più a trovarmi - le ho risposto che non una gamba, ma tutt’e due avrebbe dovuto rompersi; così almeno avrebbe avuto una buona scusa per non venire a trovarmi al paese dove sapeva a chi mi aveva lasciata, perché io ricordavo che era venuto due volte con mia madre, poi si è volatilizzato. Il perché mia madre non ha potuto chiamarmi Mariana come suo padre? Solo perché ero figlia del peccato e della vergogna - perché ero nata fuori dal matrimonio - e per questo motivo non ero degna di portare il nome onorato di mio nonno. Io non credo che mi abbiano mai vista ed io non ho mai conosciuto né i nonni materni né, tanto meno, quelli paterni. Ame è stata negata la gioia di conoscere i nonni perché ero una bastarda, un errore dei miei genitori; e non avrei dovuto neanche nascere, così avrei evitato tanta vergogna a tutti, solo per il peccato di essere nata nella famiglia sbagliata. Ma se non sono ancora morta, un motivo deve es- Nuccia Tolomeo fede religiosa e la ritengono una santa. Nella loro memoria sono rimasti impressi il suo modo di vivere, le sue sofferenze,la sua incrollabile fede, il suo grande amore per il prossimo. Nuccia Tolomeo ha sofferto molto. Ha trascorso la vita quasi in completa immobilità. La paralisi le aveva impedito di muovere gli arti inferiori. Viveva su una carrozzella. Comunque, la sofferenza fisica non turbava il suo animo disposto angelicamente alla preghiera. Accoglieva in casa le amiche col sorriso e con il suo messaggio di fede in Dio. In casa, “incollata” alla carrozzella, ricamava a mano la biancheria. Lavoro e preghiera, preghiera e lavoro. Per le sue esigenze non le mancavano le attenzioni dei genitori, dei parenti e di alcune amiche. Era desiderosa di assistere alle funzioni religiose. Una sua In un libro (“Statale 18” di M.F. Minervino) l’ “anima” di una strada “difficile” Sogno l’Apocalisse che si porti via tutto, tutto il brutto della SS 18, lavato via da una gioiosa marea”. Desiderio forse non del tutto campato in aria, visto che la Calabria è ritenuta terra ballerina e i precedenti sono abbastanza noti, come il terremoto, ripetutosi per alcuni mesi, nell’inverno del 1783, che distrusse letteralmente un centinaio di paesi, come Cirella, Soverato, Borgia, San Floro (solo qui 104 vittime), eccetera eccetera, cioè mezza regio- amica l’aiutava spesso a raggiungere la chiesetta del Rosario di Sala, poco distante dalla propria abitazione. In alcuni suoi scritti è espresso l’amore per il Signore, per il prossimo e per tutti i sofferenti nel mondo. Ha voluto creare la sua quotidiana preghiera : “Signore, Ti cerco dove c’è dolore. Signore, Ti cerco dove non c’è luce. Signore, Ti cerco dove c’è disperazione e pianto. Signore, ti cerco dove non c’è amore. E lì Ti trovo, perchè Tu lenisci il dolore, Tu ridoni la luce, Tu porti speranza, Tu asciughi il pianto, Tu porti l’amore. Non lasciarci soli, Signore. Rimani sempre con noi”. Si dice che Nuccia è “donna di fede eroica e di virtù sublimi e che il suo messaggio di gioia e di speranza è sempre di grande attualità”. Antonio Zaccone Fermate i motori DALLA PRIMA PAGINA di Roma, dove è stato presentato il volume, contesta la sua voglia distruttiva anche verso la semplice idea del turismo, verso tutto ciò che ha ormai annullato quella che una volta era visione eccezionale della natura (mare-cielo- colline) intorno alla statale. E il Minervino arriva a scrivere (pag.88, ma lo ripete anche a voce): “Ci sono soluzioni possibili? (…) Io certe volte faccio sogni agitati. Sogno una catastrofe, un terremoto selettivo, uno tsunami gentile. serci: io sono nata per vivere, per raccontare la mia vita infelice, che poteva essere diversa se, quando sono nata, i parenti di mia madre, per orgoglio ferito e per ottusa ignoranza, non le avessero girato le spalle anche se aveva sbagliato. Non hanno voluto darmi il nome del nonno Mariano, ma dandomi il cognome della mamma; di conseguenza portavo il suo cognome: Maria Rocca invece di Mariana Rocca. Arrivata alla terza età sono riuscita a pubblicare la mia autobiografia e mi sono ripreso il mio cognome e quel nome, Mariana, come nome d’arte che a mia madre era stato negato per ignoranza. Lei ne ha sempre sofferto; ed io, anche se è morta da dieci anni, ho voluto darle la soddisfazione di portare quel nome che a lei è stato proibito. Adesso voglio conoscere il paese di mia madre – Tiriolo – dove è nata e cresciuta con la sua grande famiglia; ma anche quello di mio padre dove sono nata io –Gimigliano – dove voglio tornare a cercare i miei antenati al cimitero per costruirmi il mio albero genealogico e conoscere le mie vere radici, almeno tramite le fotografie e i documenti dell’Ufficio Anagrafe dei Comuni di Gimigliano e Tiriolo. Quanto prima spero di riuscirci, se il Buon Dio - che non mi ha mai abbandonata - mi darà ancora la forza e la gioia per poterlo fare. Sia sempre fatta la Sua volontà sia in cielo che sulla terra; dove tutti, prima o poi, dobbiamo rendere conto a Lui delle nostre azioni buone e cattive. Mariana Rocca Lavagna, settembre 2010 ne. E non solo quello del 1783. Alla predica scritta e orale di Minervino ha fatto purtroppo riscontro, solo pochi giorni dopo la presentazione a Roma del suo libro, una cronaca estremamente drammatica con la morte il 5 dicembre, di un folto gruppo di ciclisti proprio sulla SS 18 nei pressi di Gizzeria ad opera di un marocchino ventunenne . Una conferma che sulla statale 18 - “trattata” dal Minervino fino alla sua estrema propaggine di Reggio Calabria, attraverso i territori di Pizzo, Nicotera, Mileto, Gioia Tauro, Palmi, Bagnara, ecc. - può proprio accadere di tutto. Certo, ora sarebbe opportuno che il nostro antropologo o comunque saggista o narratore, puntasse lo sguardo (e se non lo fa lui, potrebbe farlo qualcun altro) sulle identiche condizioni della statale 19, cioè quella che costeggia il mare opposto, lo Jonio. Ma qui un alibi per evitare la scrittura di un identico libro forse c’è: la statale 19 sta per essere riammodernata, con passaggi anche molto interni. Purtroppo, però, il cemento comincerà a spuntare (e già ci sono i primi segni) anche su questo nuovo tracciato. A dimostrazione che certi mali, soprattutto al sud, sono ineliminabili (e scusate il pessimismo). Domenico Paravati Mauro Francesco MinervinoStatale 18 – Fandango Libri s.r.l.- Viale Gorizia 19-00198 Roma-euro 15 Fermate i motori Distogliete gli sguardi dal video. Spegnete il canglore assordante dei vostri congegni. Silenzio. La voce di un passero chiama. Svolazza sui fiori variopinta farfalla. Ronza l’ape operosa. E una serpe scivola nera, lucente, tra il verde del prato Luigi Rocca (Da “L’urlo dello Jonio”poesie- 1981) Anno IV - N° 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2010 Corriere di San Floro e della Calabria Drei e Guerrieri, due pittori “geometrici” ESTATE 1961 I primi resti “profondi” di Scolacium (e, probabilmente, della greca Skylletion) Passeggiando su Internet, sono andato a sbattere sulla famosa e variamente criticata mostra – dal 18 giugno al 9 ottobre 2005 – delle sculture di Cragg, Fabre e Paladino al Parco Archeologico di Scolacium (presso la Roccelletta di Borgia). In un testo molto lungo ma interessante, purtroppo senza firma, c’è un capitolo intitolato “L’acquedotto”. Ed ecco dunque la prova che era corrispondente alla realtà quanto avevo scritto nel lontano 27 luglio 1961 (il giorno dopo averne inviato per raccomandata il testo alla Soprintendenza di Reggio Calabria) in un articolo pubblicato dal Mattino di Napoli con il titolo a cinque colonne“Una necropoli di giganti, una città greca ed i Castra Hannibalis nei pressi di San Floro”. Devo dire che è la prima volta che mi capita di leggere un riferimento all’escavatrice della Cassa per il Mezzogiorno nella piana del Corace in quel mese di luglio 1961, marchingegno all’opera per far passare i tubi di un acquedotto, nel cui tracciato il sottoscritto ha avuto la straordinaria occasione di vedere con i propri occhi e con quelli di Livio Sabatino che mi accompagnava, quante rovine fossero (e sono tuttora) nascoste tra la sponda destra del Corace (già dove c’è il ponte ferroviario) e l’uliveto della Roccelletta, dove ci sono gli attuali scavi . Questo il testo ricavato da Internet: , È il 2 agosto 1961 e, in una lettera alla Soprintendenza, Emilia Zinzi, ispettore onorario storico d’arte, risponde ad una richiesta di informazioni sul nominativo dell’impresa che eseguiva a Roccelletta lavori per conto della Cassa per il Mezzogiorno, Ente particolarmente attivo in quegli anni. Nella risposta Emilia Zinzi accenna al precedente sopralluogo di un funzionario della Soprintendenza, sopralluogo effettuato in data 21 luglio, per verificare l’opportunità di un vincolo richiesto dalla Zinzi stessa. E la Zinzi prosegue affermando che “l’impresa sta devastando a più non posso e gli operai imperversano sui resti alla ricerca di un favoloso tesoro”. È questo il primo sommario accenno allo scempio di questa trincea nell’area del Foro di Scolacium; ad esso si sarebbe aggiunta la relazione dell’assistente della Soprintendenza Ignazio Pontoriero. I lavori avevano interessato un tratto di m 1.500 parallelo alla S.S. 106 ed erano eseguiti con una escavatrice meccanica a pale rotanti fino alla profondità di m 1,50 per una larghezza di cm 60. Nel terreno di risulta, a lato, Pontoriero aveva osservato grande quantità di materiali archeologici, prevalentemente di epoca romana (frammenti di grossi mattoni, anfore romane, pavimenti di cocciopesto, di tegoloni, pietre di tutte le dimensioni e frantumi di blocchi) e nelle pareti dello scavo “si notano decine e decine di muri romani di vario spessore tagliati che vanno dal piano di campagna alla profondità di mt. 1.50, resti di pavimento tra m. 0.80 e m. 1.20, resti di tombe a cappuccina e a cassa, resti di acquedotti d’epoca romana e di blocchi di epoca preromana. Alla profondità di m. 1.50 resti di basamenti formati da blocchi squadrati su cui poggiano i muri di epoca romana. Il punto più denso di ritrovamenti è la zona intorno alla villa del ba- 3 rone Mazza…L’escavatrice, pur essendo un ordigno infernale, ha messo in luce i resti di una seconda Pompei… All’occhio di chiunque si rechi sul posto si presenta una visione apocalittica, sembra che una forza soprannaturale abbia lì distrutto e sepolto una grande città”. La relazione si chiude concordando con le notizie circa il possesso da parte del barone Mazza di antichità raccolte dai contadini nella zona. E poco dopo ancora Emilia Zinzi, con il resoconto dei lavori di scavo, comunicava che il lavoro era alla fine. Sarebbe stata così inferta una ferita non rimarginabile alla piazza del Foro e nessuno avrebbe pagato per lo scempio. Ma era quello il tempo in cui non era pensabile che la cultura interferisse sulla costruzione di un’opera pubblica come un acquedotto. Riprendo questo testo, ripeto, ad ulteriore prova che quanto veniva stampato sul Mattino, a mia firma, il 27 luglio 1961 (dopo che avevo inviato una raccomandata a.r. alla Soprintendenza di Reggio C.) era ben azzeccato, anche se fino ad allora si ipotizzava che nell’area della Roccelletta ci fossero i resti dei Castra Hannibalis e non della Skylletion greca e della Scolacium romana, di cui, fino a quel momento, era ritenuta epigone l’attuale Squillace. Per documentazione (e per legittimo orgoglio) riporto quanto il Soprintendente De Franciscis mi rispondeva con lettera del 31 luglio 1961, prot. N. 1516: “Ricevo la Sua del 26 corrente prima di partire per la licenza, ma non ho letto ancora il Suo articolo apparso su “Il Mattino”. Al mio ritorno sarà mia cura leggerlo e darLe così il parere sulle scoperte da Lei accennate”. Curioso, molto curioso che un alto funzionario dello Stato riceva una lettera con l’annuncio di una “scoperta” archeologica e, prima di leggerla, risponda all’interessato. Dubbio che mi viene leggendo quanto riportato nel testo qui sopra: il 2 agosto 1961 (cioè appena sette giorni dopo il ricevimento della mia lettera a Reggio), la dottoressa Zinzi “risponde ad una richiesta di informazioni sul nominativo dell’impresa che eseguiva a Roccelletta lavori per conto della Cassa per il Mezzogiorno…”. Avevo appena 21 anni e capisco che il Soprintendente De Franciscis, prima di dedicarmi la Sua attenzione, abbia voluto avere conferma della veridicità di quanto raccontato dall’esperta di settore. Sospetti che però svaniscono (o dovrebbero svanire) quando più sotto leggo che “…Nella risposta Emilia Zinzi accenna al precedente sopralluogo di un funzionario della Soprintendenza, sopralluogo effettuato in data 21 luglio, per verificare l’opportunità di un vincolo richiesto dalla Zinzi stessa.”. Insomma tutto sarebbe avvenuto proprio nel giro di pochi giorni all’interno dei quali alla Soprintendenza era giunta la mia lettera-denuncia. La cosa mi diventa nuovamente sospetta quando, ormai sotto le armi come allievo ufficiale di complemento, mando una nuova lettera alla Soprintendenza di Reggio (al cui vertice intanto era arrivato Giuseppe Foti), chiedendo perchè non avessi ancora ricevuto riscontro alle mie segnalazioni. Ed ecco l’incredibile. Il nuovo Soprintendente, Giuseppe Foti, in data 5 febbraio 1962, prot. N. 241, così risponde: “:Ricevo la Sua lettera del 14 gennaio u.s. da Cesano. Poiché è soltanto dal 1° dicembre u.s. che ho assunto la Direzione di questa Soprintendenza alle Antichità della Calabria non sono ancora a conoscenza dei rinvenimenti archeologici avvenuti nelle località da Lei accennate. Se lei pertanto volesse avere la cortesia di inviare a me personalmente una copia de “Il Mattino” contenente il Suo articolo gliene sarei grato”. Capite? Il 5 febbraio 1962, nonostante la nota della Zinzi in agosto e il mio articolo sul Mattino del 27 luglio, regolarmente protocollato con il n. 1516 del 31 luglio 1961, Foti non era “ancora a conoscenza dei rinvenimenti archeologici….” . Due sono le cose: o Foti non diceva la verità o quanto era stato segnalato da me sulle scoperte nell’area della Roccelletta, del Corace (loc.Abbàte, Aceto e dintorni, dove emergono tanti cocci greci ) e nelle campagne di San Floro (con la tuttora misteriosa necropoli pregreca della Tòzzina e di Santa Caterina) era esclusivamente nelle mani di funzionari di secondo grado che, gelosi, non avevano informato il loro capo. Ma quest’ultima ipotesi mi sembra parecchio assurda. Gli scavi alla Roccelletta sono iniziati e ben condotti da un grande esperto, Ermanno Arslan, pochi anni dopo grazie anche alle insistenze di un altro “dilettante” (come me), Giovanni Gatti, proprietario del cosiddetto Motel Copanello. Il quale, da confinato politico nel periodo fascista, aveva avuto la fortuna di sposare una baronessa Marincola, possidente di vasti terreni sul mare, e aveva lanciato una campagna per assecondare l’ipotesi classica secondo cui Ulisse era naufragato nel golfo di Squillace; ma soprattutto per far partire regolari scavi alla Roccelletta. Quest’ultima notizia la sentii una bella sera al telegiornale mentre me ne stavo a Roma ed avevo da poco iniziato la mia attività professionale al Messaggero. La gioia fu grande. Ora spero tanto che alla Soprintendenza si rendano conto che quanto vado scrivendo da tempo sul tumulo sulla riva destra del Corace, in una vasta pianura in loc. Varrèa (la tradizione popolare lo indica, con una bellissima leggenda, come ‘U Timpunìaddhu de i Spartacumpari) potrebbe avere qualche importante fondamento. Una tomba? E di chi? Di Re Italo? Dio mi scansi da simile gloria… Domenico Paravati Com’era bello il borgo Com’era bello il borgo. Quanti uomini seduti sotto le acacie, quanti bambini garrivano alle stelle. Le acacie son sole, le panchine vuote. Un vecchio stanco trascina il piede nella via deserta dove il vento gioca indifferente con un foglio ingiallito. Luigi Rocca (Da “L’urlo dello Jonio”poesie-1981) Nelle sue sale espositive VALMORE STUDIO D’ARTE a Vicenza dal 10 dicembre 2010 e fino al 26 febbraio 2011 presenta la mostra Sperimentale p., Lia Drei e Francesco Guerrieri, opere anni ’60 - ’70. Il gruppo Sperimentale p. nasce ufficialmente nel settembre 1963 in seguito alla scissione del Gruppo 63 (Di Luciano, L. Drei, Guerrieri, Pizzo) con una dichiarazione di poetica al XII Convegno Internazionale di Artisti, Critici e Studiosi d’Arte, Verucchio (Rimini). Il Gruppo 63, ideato da Francesco Guerrieri, era nato sul finire del 1962 dall’esigenza di andare oltre l’ In formale che aveva ormai esaurito la propria creatività fondata essenzialmente sulla gestualità irrazionale e condannata ad una ripetitività accademica, comunque distante dalle nuove istanze costruttive della società di quegli anni. Come dice lo stesso Guerrieri nell’intervista di Teodolinda Coltellaro in catalogo: “Era il momento dell’Utopia. Tutti noi pensavamo di poter contribuire alla costruzione di un Mondo nuovo più bello e più giusto. In vista di questo fine e per l’esigenza di collaborare e approfondire la ricerca nacque spontanea la volontà di riunirsi in gruppo”. L’intento dichiarato dello Sperimentale p. (p. = puro) era di costituire un linguaggio veramente intersoggettivo per superare l’alienazione e l’incomunicabilità dominante. A tale scopo la sperimentazione doveva essere pura, cioè non condizionata da qualsiasi schematicità teorica o operativa o parascientifica, per realizzare e comunicare pura creatività. Coerentemente a questo assunto Lia Drei e Francesco Guerrie- ri hanno operato sempre nel linguaggio proprio della Pittura, con i suoi mezzi tradizionali (colori, pennelli etc.), senza ausili meccanici o tecnologici. Altra peculiarità dello Sperimentale p. fu che nel corso degli anni, pur operando all’unisono in mostre, dibattiti, convegni, scritti, Lia Drei e Francesco Guerrieri hanno sempre conservato e sviluppato la propria identità artistica, per cui oggi possiamo considerarli obiettivamente due personalità inconfondibili. Scriveva Filiberto Menna: “All’interno della poetica comune è comunque sempre possibile individuare la diversità delle due declinazioni, più mentale e riflessiva quella di Guerrieri, più emo- zionale e felice quella di Drei”. Il Catalogo Sperimentale P., Lia Drei e Francesco Guerrieri, in due volumi, contiene testi critici di Teodolinda Coltellaro, Cinzia Folcarelli, Luciano Marziano, Antologia Critica con testi di Giulio Carlo Argan, Rosario Assunto, Sandro Barbagallo, Chiara Ceccucci, Germano Celant, Giorgio Di Genova, Luigi Paolo Finizio, Emilio Garroni, Filiberto Menna, Guido Montana, Sandra Orienti, Nello Ponente, Gabriele Simongini, oltre ad un’accurata cronologia e bibliografia di Chiara Ceccucci, Cinzia Folcarelli e Francesco Guerrieri. www.liadrei.it www.francescoguerrieripittore.it [email protected] LIA DREI, Struttura A10, 1968, acrilico su tela, cm 100x100 Alla Biblioteca Comunale “F. De Nobili” e al Centro per l’Arte Contemporanea Open Space di Catanzaro, un particolare evento: “Artist’s Box: Il Luogo dell’anima”. Espongono 56 artisti, tra cui il borgese Francesco Guerrieri. La mostra resterà aperta fino a domenica 20 febbraio (h. 1720) o per appuntamento (tel. 0961/61839) I “frattali”, geometria dell’universo Il cavolfiore e i… frattali Passeggio tra i banchi del mercato e qualcosa, all’improvviso, colpisce la mia curiosità.”Che strano cavolfiore!” mi ritrovo ad esclamare. “Non è un cavolfiore” mi corregge l’ortolano. “È un broccolo romanesco.” Lo compro, lo porto a casa e poi mi rendo conto che non so come cucinarlo. Digito su un motore di ricerca le parole “broccolo che quello che mi sembrava un banalissimo ortaggio è invece la chiave di lettura di una complessa e rivoluzionaria teoria matematica: quella dei frattali. Il termine frattale viene coniato nel 1975 da Benoit Mandelbrot, purtroppo recentemente scomparso, per descrivere alcuni comportamenti matematici definiti caotici. Deriva dal latino fractus (rotto, spezzato) e indica un oggetto geometrico che si stesso riuscì a dimostrare che la geometria frattale ci circonda più di quanto si possa immaginare. Dai cristalli dei fiocchi di neve alla struttura dei nostri polmoni, da un rametto di felce a certi indici economici i frattali descrivono con eleganza e semplicità il moto incessante della vita, l’improbabile caos che ci permette di andare avanti. E così, d’ora in poi, quando cucinerò un piatto di pasta e broccoli non romanesco”, convinta di trovare qualche gustosa ricetta. Vengo invece catapultata in un mondo diverso fatto di matematica, strane figure geometriche e formule. Scopro così ripete nella sua struttura allo stesso modo su scale diverse. Questo vuol dire che se guardiamo il nostro broccolo con una lente di ingrandimento non cambia aspetto. Mandelbrot lo farò solo per mettere qualcosa di appetitoso nel mio piatto, ma sarà un modo per celebrare la mente di un grande matematico. Irene Prunai Lettere al Direttore Roma, 1 novembre 2010 Sig. Paravati, (…) Conservo, con la cura affettuosa che ho verso la mia terra, tutti i numeri del Corriere da Lei con ammirevole dedizione diretto. Cordialissimi saluti, Francesco Guerrieri Roma, 2 novembre 2010 Sig. Domenico Paravati, sono un lettore ed ammiratore del suo giornale. Vivo come lei lontano dalla Calabria. Da ormai 23 anni mi trovo a Roma, sono di Borgia, ex alunno del Maestro Antonio Zaccone. Rinnovata la mia stima nei suoi confronti, vorrei inviarle una mia ricerca sui territori dove abbiamo lasciato parte del nostro cuore e della nostra anima. Luigi Aloi *** Nel numero scorso abbiamo pubblicato la famosa poesia in dialetto vibonese di Vincenzo Ammirà dedicata alla sua pipa. Abbiamo inviato la traduzione di alcuni pezzi salienti al nostro amico e collega Giuseppe Prunai, che è toscano e da sempre fumatore di pipa. Ecco cosa ci ha risposto: E’ una bellissima lirica che meriterebbe di essere tradotta in versi e diffusa. Ho aspettato per leggerla di avere fumato la prima pipata della sera, con tabacco forte: mi ha ispirato. Fra poco ne accenderò un’altra che fumerò sorseggiando un cicchetto, non ho ancora deciso se di grappa di genziana o un calvados, che è un distillato di sidro di mele, molto aromatico e molto secco. Il calvados era il liquore preferito del commissario Maigret, anche lui accanito fumatore di pipa. Beppe 4 Corriere di San Floro e della Calabria QUASI UNA SANTA DALLA PRIMA PAGINA Edmonda Pugliese, da Borgia al Cielo A trent’anni dal passaggio in cielo, suor Edmonda Pugliese continua a parlare all’uomo di oggi con quel sorriso che era solito donare a chiunque si soffermava a parlare con lei. Le sue dolci parole continuano a riecheggiare nel cuore di chi l’ha amata e conosciuta. Nata a Borgia il 20 giugno 1915, riceve il battesimo lo stesso giorno. A 18 anni fa ingresso nell’Istituto delle Figlie di Maria Immacolata di Roma, in viale Mazzini. La sua speciale missione era stata profeticamente annunciata dalla fondatrice Brigida Postorino: “sarai grande e la Madonna farà di te una stella della sua corona”. Nel 1934 fa la vestizione religiosa a Velletri. A Reggio Calabria, nel 1941, emette i voti perpetui e per tutti sarà suor Edmonda. La bontà e la carità costituiscono il punto cardine della sua missione. Fonda l’orfanotrofio di San Giorgio Ionico, in provincia di Taranto. Gli anni della vita religiosa sono intessuti di sofferenze fisiche, a completamento della sua missione a vantaggio delle anime. La sofferenza è vissuta da suor Edmonda con quell’amore cristiano che rende sublime ogni minima afflizione. Nel 1961 fonda e dirige a Salerno una scuola materna, dedicandosi ai bambini con l’amore sincero di una mamma affettuosa. Ben 33 interventi chirurgici hanno martoriato il corpo della religiosa ma non l’anima della stessa che non ha mai mostrato segni di scoraggiamento o di ribellione. Suor Edmonda ben sapeva che ogni minima sofferenza terrena avrebbe aiutato Dio nell’opera della salvezza ed avrebbe costituito un merito eterno. La sua esistenza terrena finisce il 5 febbraio 1981. Un cuore buono e un’anima speciale. “Tutta la mia vita per me è stata una missione e in Gesù e per Gesù mi sono donata a tutti senza misura.”. Domenico Procopio BORGIA La geometria dell’ingegnere-scrittore L’esperienza letteraria di Pietro Danieli - ingegnere all’ufficio tecnico di Borgia -comincia con un successo: L’Imperfetta Geometria, edito da Rubbettino Industrie Grafiche ed Editoriali per conto di Calabria Letteraria Editrice. E’ un libro che si legge tutto d’un colpo, con una trama interessante e intelligente, capace di catturare il lettore con uno stile semplice, efficace e moderno. Gli argomenti intorno al quale ruotano le vicende dei protagonisti sono rappresentati dal disagio vissuto nel quotidiano divenire, dall’insoddisfazione per la condizione precaria e dall’alienazione, riflesso assoluto di una società del consumo immediato, capace cioè di dare tutto e subito senza alcun criterio e prospettiva, dimenticando l’essenziale. E’ evidente che viene fuori un senso di non appagamento per la vita e di smarrimento dei valori essenziali e vitali. Dall’altro, argomento cardine è la malattia, nello specifico il cancro, il terribile male che rie- sce a sconvolgere la vita delle persone privandole finanche della dignità. Il protagonista si muove tra le varie tematiche, permeate da ricordi, immagini e riflessioni della propria vicenda umana. Un libro per tutti, adatto a chiunque: ai giovani, in quanto racconta i disagi tipici della giovinezza; agli ammalati, in quanto riesce a cogliere il lato umano della infermità, ai meno giovani perché, in maniera intelligente, racconta le minacce e le insidie della società moderna e del modernismo eletto a punto di arrivo. Il lettore potrà riconoscere in qualche frase, in qualche vicenda un proprio frangente di vita quotidiana. La storia raccontata è quella di tutti i giorni, è la storia dell’adolescente, dello studente, del professionista, dell’anziano, dell’uomo in quanto tale, che volge lo sguardo indietro, cercando di scrutare e ripercorrere a grandi linee la storia della propria vita. Come si intuisce, non si tratta di un comune libro sull’alienante disagio tipico dei nostri anni oppure sulla cronaca di una malattia. Esso rappresenta una pensante fusione delle tematiche mediante una articolazione che fa scorrere il racconto da un argomento altro, un susseguirsi di capitoli senza soluzione di continuità ma nell’intento di fotografare la realtà contingente. Il protagonista del romanzo è un ideale cantastorie che, dietro alle proprie vicende, racconta e svela la vita e le vicende di molti, dei più, le vicende di un’intera generazione. L’Imperfetta Geometria è un romanzo d’amore, un amore viscerale verso la vita che, per quanto inappagante, sfuggente o dolorosa essa sia, vale comunque la pena di vivere in tutte le sue calde tonalità. Un lavoro eccellente, a dimostrazione delle notevoli capacità di Pietro Danieli, al quale auguriamo un grande successo. Domenico Procopio SCHEGGE DI ARCHEOLOGIA Krotalla e il tumulo, una fissazione “Crotalla fu città antichissima, presso alle rive del Crotalo, dal quale trasse il suo nome; e quivi intorno si sono trovate molte rovine della città distrutta, avanzi di fabbriche laterizie e di acquedotti, rottami di colonne marmoree scanalate, e statue e vasi di terra cotta, ed altre anticaglie”.. “.. Il Crotalo è il Corace di oggi, il quale sbocca un miglio lontano dalle rovine della città antica. Plinio poneva il Crotalo tra i fiumi navigabili del seno scilacense, ma era tale forse presso alla foce, dopo ricevuti il fiumicello di Borgia e il Limbi” (Da “L’Italia meridionale – L’Antico Reame delle Due Sicilie- Descrizione Geografica, Storica, Amministrativa- per Giuseppe De Luca- Napoli, 1860- Pagina 117). ti chiamate i Limbii (con due “i”). Credo siano quelle che danno origine al fiumicello Vrisa (dal greco appunto “sorgente”), che va a congiungersi, nella valle all’altezza dell’abitato di San Floro, con il Sadderàbile; il quale poi diventa a pieno titolo la Fiumarella di Borgia; che a sua volta va a versarsi nel Corace. Secondo la descrizione del De Luca ( “…il Corace….il quale sbocca un miglio lontano dalle rovine della città antica…”), l’antica Crotalla dovrebbe essere quella che poi è stato praticamente accertato essere la greca Skylletion e la romana Scolacium. Ma io direi di andarci piano sulla localizzazione di Crotalla. Infatti, sulla collinetta dell”Abbate, in comune di San Floro, circa cinquecento metri prima della confluenza tra il Solerìa (Usito) e il Corace, nel 1961 ho avuto modo di raccogliere dei reperti certaNelle campagne sanfloresi esi- mente greci e nelle stesse vicinanstono effettivamente delle sorgen- ze (come nelle campagne di Ace- to) periodicamente emergono altri segni antichi. Come del resto è avvenuto di recente intorno alla costruzione dell’edificio della Regione Calabria, nei pressi. È fin troppo noto che molto spesso i coloni greci conquistavano territori che erano occupati da popolazioni preesistenti. Niente di strano quindi se quella che gli scrittori greci chiamavano Crotalla (o Krotalla, da cui il nome del fiume Krotalos e poi Crotalus, il Corace) sorgesse su un’aggregazione urbana preesistente, magari di origine sicula o comunque pre-ellenica. E insisto ancora sulla presenza in zona, in loc. Varrèa, di una collinetta che sorge improvvisa da un vasto pianoro accanto alla sponda destra del Corace e che potrebbe ben essere un antico “tumulo”; il cui interno potrebbe rivelare qualcosa di molto importante (la tomba di Re Italo o di un altro personaggio pre-greco?). (D.Par.) SCHEGGE DI ARCHEOLOGIA Il “tesoretto” di Soverato In occasione del 150° anniversario dalla nascita dell’archeologo Paolo Orsi, primo Soprintendente in Calabria e a 95 anni dalla scoperta del tesoretto di Soverato, entrambi i lotti delle monete, disgiunti dal 1915, sono esposti per la prima volta nel Museo Archeologico Anno IV - N° 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2010 Scolacium a Roccelletta di Borgia fino al 18 gennaio. Di questo e altro dobbiamo ringraziare la Soprintendenza Archeologica, nella persona della dott.ssa M.T.Iannelli e il privato proprietario della quota parte spettante allo scopritore quale pre- mio di rinvenimento e da questi successivamente acquisita. Un’occasione da non perdere non solo per i cittadini di Soverato, anche per visitare lo stesso museo ricco di testimonianze storiche della città romana alla quale certamente era legato il territorio soveratese. Gaetano Passafaro denza. Studente dotato di spiccate capacità di apprendimento, conseguì l’Abilitazione Magistrale con il massimo dei voti. Voleva entrare subito nella scuola come docente, ma il suo fondato desiderio si realizzò alcuni anni dopo. Dopo essersi diplomato, fu chiamato alle armi .Vi rimase per ben quattro anni, dal 1939 al 1942. Il suo servizio militare avvenne nell’arco di tempo in cui l’Italia era impegnata nell’occupazione dell’Albania e successivamente nella seconda guerra mondiale. Il Passafaro fu due volte ferito. Per questo motivo ricevette due Croci di Guerra e lo si fece tornare alle vita civile. Nel 1943 si unì in matrimonio con Angela Fiorentina Peta, donna gentile ed affettuosa, originaria di Caraffa, la quale gli diede tre figli: Domenico, Mariangela e Anna. Nello stesso anno fece il suo ingresso nella scuola primaria di Stato. Fu l’inizio di un lungo e proficuo lavoro durato 42 anni, dei quali venti a Borgia c.c. (dal 1945 al 1965); gli altri anni di servizio svolse in altre sedi (il primo a Roma, il secondo a Caraffa di Catanzaro, e dal 1966 a Genova dove concluse la sua brillante carriera di docente). Nei due decenni di attività, portati a termine nel suo paese natìo, Gaetano Passafaro mise al servizio della scuola anche le sue conoscenze di arte drammatica, avvicinando così gli alunni ai valori del teatro. L’attività di drammatizzazione si rivelò arte, studio e gioco, e si pose nel contesto delle discipline di studio come momento necessario per una più completa formazione basilare della personalità del discente. Per le sue importanti iniziative di natura didattica meritò il riconoscimento da parte delle autorità scolastiche locali e provinciali. A Borgia, come “fiduciario”, ebbe l’incarico di vigilare al buon andamento dei corsi speciali “per adulti”, istituiti nel paese, nei primi Anni Cinquanta, per interessamento dell’ispettore scolastico provinciale G. Battista Provenzano, al fine di debellare l’analfabetismo ivi esistente (i corsi, della durata di alcuni anni, funzionavano qua e là, presso famiglie accoglienti, nelle cui abitazioni si radunava un limitato gruppo di “alunni”, ai quali gli insegnanti addetti impartivano i primi elementi del sapere: leggere, scrivere, far di conto. Nel 1954 scrisse i testi necessari alla Rai-Radiotelevisione Italiana per effettuare da Borgia una trasmissione sperimentale. Nel 1957, il Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, su proposta del Ministro della Pubblica Istruzione, on. Aldo Moro, gli conferì il diploma di Medaglia di bronzo ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte. Gaetano Passafaro, oltre al suo amore per la scuola e per l’arte, si interessò di politica. A Borgia fu più volte eletto consigliere comunale e ricoprì, per un anno, la carica di Sindaco f.f. In Liguria si fece apprezzare per la sua profonda cultura e per la partecipazione alla vita sociale. Da pensionato raggiunse più volte , per brevi periodi, il suo paese natale per incontrarsi con gli amici e per essere presente alle festività religiose. Trascorse la sua lunga esistenza contraccambiando il costante affetto della sua gentile moglie e dei suoi cari figli. Negli ultimi anni di vita riprese la lettura delle opere del filosofo che privilegiava: Emanuele Kant. Le sue spoglie mortali riposano nel cimitero di Borgia. Antonio Zaccone BORGIA Ricordo di Don Rocco Cassadonte Quando si è in riflessione affiorano ricordi che nel nostro animo sono sempre vivi. In uno di questi momenti ho rivisto Don Rocco Cassadonte alle prese con la comunicazione attraverso la sua attrezzatura. Passava dei momenti di solitudine parlando con il mondo. Egli contribuì alla crescita della comunità borgese, tenendo unito un popolo, sia sotto l’aspetto teologico che civile. Oggi mi pregio di ricordare quest’Uomo che, in modo determinante, ha contribuito al progresso della comunità. Tanti sono i motivi che mi spingono ad imprimere su carta il passaggio terreno di questo Arciprete; il quale, con la sua umile autorevolezza, ha fatto sì che tutti i borgesi del mondo si ritrovassero nel punto di riferimento, la terra natìa, che , per svariati motivi, avevano dovuto lasciare. Una terra ingrata, lasciata non certo per disaffezione ma per necessità. Rocco Cassadonte, Presidente dell’Ordine degli Avvocati Ecclesia- stici di Catanzaro, era stimato non tanto per la figura giuridica che rappresentava, ma particolarmente per quella umana. Don Rocco Cassadonte tra i ragazzi di Borgia Narrando parte della storia di questo personaggio, voglio che tutti sappiano di un primato, che solo una mente fine come quella di Don Rocco poteva escogitare e, mettere in pratica. Parlando in termini giuridici, l’Istituzione cattolica disciplina la vita degli adepti, nonché le varie gerarchie, sia i prelati e sia le cose che fanno parte di esse. Noi sappiamo che il tempio dove si svolgono le funzioni ecclesiastiche ha diverse denominazion. Una di que- I salesiani a Borgia agli inizi del Novecento Dal “Bollettino Salesiano –Anno XXXV-n. 7-Torino-Luglio 1911” (ripreso da Luigi Aloi nel suo “VIAGGIO FANTASTICO NEI LUOGHI DI BORGIA”) *** “…Anche la festa celebratasi nell’Istituto Salesiano di Borgia, in Calabria, è stata un’affermazione solenne della divozione alla Vergine Ausiliatrice dei giovani di quel fiorente Oratorio e del popolo di Borgia, San Floro e paesi circonvicini. Tutto il giorno fu un accorrere di grande moltitudine per cantare le lodi ai piedi della bellissima statua di Maria; e continua fu l’affluenza nel mattino ai SS. Sa- cramenti.Alla Messa solenne si eseguì egregiamente dai giovani cantori la Messa “Benedicamus Domino” del Perosi, con accompagnamento di piccola orchestra. “Ma l’aspettativa generale e il concorso veramente straordinario furono la sera. L’edifizio dell’Istituto, il cortile, il palco della musica e parte della strada apparvero artisticamente ornati con bandiere e splendidamente illuminati dai palloncini alla veneziana” ste è “Duomo”. Il Duomo è proprio delle sedi Vescovili, in questo caso Catanzaro e Squillace. Ma, guarda caso, a Borgia c’è il terzo, voluto da questo singolare prete, il quale si è pregiato, durante l’inaugurazione, di ringraziare tutta la comunità borgese nel mondo per il contributo nella realizzazione del restauro della Chiesa Matrice, oggi, appunto,. “DUOMO”. Era doverosa, da parte mia, l’esaltazione di Don Rocco, proprio per il suo essere geniale, nonché per l’attenzione e l’affetto che Lui poneva nei miei confronti. Lo scrivente, da solo o unitamente all’amico Franco Paccone, lo andava a trovare in sacrestia, per passare dei momenti diversi; e Lui ci allietava con liquori e pasticcini. Corre lesta la memoria a quel 1983, che lo ha visto ancora protagonista nella condizione d’ammalato, ricoverato presso il nosocomio civile di Catanzaro. Aveva espresso, prima di morire, il desiderio di vedere il Papa. Proprio quell’anno ci fu la visita del Pontefice Giovanni Paolo II° in Calabria. Il desiderio di don Cassadonte si manifestò e fu accolto . E quindi con quell’atto don Cassadonte finì il suo passaggio nella vita terrena. L’aneddoto è molto significativo perchè evidenzia la potenza dell’Eterno nell’esaudire i desideri umili degl’uomini. Con questo scritto, Pietro vuole ringraziare quest’uomo per tutto il bene profuso per l’ unità dei borgesi. Perchè se l’unità vince la divisione perde. Grazie,don Cassadonte! Pietro Rijillo Questo giornale è su Internet nel sito www.webtvborgia.it Anno IV - N° 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2010 Corriere di San Floro e della Calabria RICORDI DI GUERRA MILANO Quei fortini nelle nostre campagne e l’Italia tagliata in due: Nord e Sud Le nostre strade – per esempio quella che dalla Roccelletta porta a Borgia e a San Floro, nelle due diramazioni; ma anche le nostre campagne, come la “Conéddha” - sono tuttora costellate di fortini in cemento armato costruiti nell’ultima Guerra Mondiale (e con l’occasione diciamo che il fortino alla “Coneddha” è sul filo di una frana, e quindi sta per scomparire). Queste postazioni fisse dovevano servire a frenare l’avanzata degli Alleati. Ce ne sono veramente tanti e un giorno bisogna pure che qualcuno si interessi per registrarli ed evitare che vengano distrutti -cosa però tecnicamente non facile- perché ricordano un pezzo della nostra storia, quella finita, grazie al cielo, con la sconfitta del fascismo e l’avvento della repubblica democratica. A proposito pubblichiamo qui di seguito un articolo di Giuseppe Prunai, giornalista ex Rai (originario di Siena, ma il suo papà ha ricostituito l’archivio storico di Catanzaro) che ricorda appunto – con un occhio particolare alla propria famiglia - una pagina di storia legata alla tragedia dell’ultima guerra. Lo aveva scritto in occasione della ricorrenza del 25 Aprile, festa della Liberazione. *** Scorre il corteo del 25 aprile, un serpentone per le vie del centro di Milano, una marea di bandiere, tante quelle rosse. E il pensiero ritorna a 65 anni fa. Ero un ragazzino di 9 anni e gli avvenimenti del tempo di guerra mi si sono stampati nella mente a caratteri indelebili. Ancora cinque anni addietro e rivedo come in sogno la mia famiglia riunita nel salotto buono della nostra casa di Siena attorno alla radio, il 10 giugno del ’40, per ascoltare Mussolini che annunciava la dichiarazione di guerra. Ricordo l’entusiasmo dei più giovani, mio padre e mio zio (in quattro mesi arriveremo fino a Londra, dicevano), e mio nonno che bestemmiava perché –protestava – anche nel ’15 dicevano la stessa cosa, invece la guerra durò quattro anni. Poi l’immagine svanisce e vedo mio padre, in divisa di ufficiale di marina, che parte per la base di Tolone, nella Francia meridionale occupata. Ma dove si trovasse, lo sapevamo solo in via confidenziale, perché la corrispondenza portava un misterioso indirizzo: “Posta Militare 999”. E poi gli allarmi aerei (da allora, tutte le volte che sento una sirena ho un brivido) e le corse verso il ricovero antiaereo. Ma qualche volta, con mia madre, non l’abbiamo raggiunto in tempo, siamo rimasti all’aperto. E allora ho sentito il rombo assordante delle formazioni di fortezze volanti, il rumore sguaiato dei caccia in picchiata, lo sgranare delle mitragliatrici, gli spezzoni, le bombe. Le ho viste staccarsi dalla pancia degli apparecchi e scendere a terra (la loro forma mi ricordava quella delle melanzane: forse è per questo che non ne mangio quasi mai), ed ho ancora nelle orecchie il fischio roco che producevano fendendo l’aria e poi il boato, la polvere sollevata, il rumore dei palazzi che crollavano. Poi l’entusiasmo del 25 luglio 1943 ( il ricordo è associato a quello della rottura del mio pallone, finito sulle lance dell’unico cancello sopravvissuto all’ammasso dei metalli) e l’8 settembre. Tutti credevano che la guerra fosse finita. Invece…. Invece vedemmo arrivare colonne e colonne di tedeschi e di 5 repubblichini. Cominciarono i rastrellamenti dei partigiani, le fucilazioni sul piazzale della caserma Lamarmora. Poi la ritirata dei tedeschi e delle bande disperate di fascisti che andavano al Nord saccheggiando le città e facendo saltare tutti i centri di comunicazione: telefoni, ponti, strade e, ovviamente, centrali elettriche. Infine, la liberazione, il 3 luglio 1944 e la sorpresa, abituati come eravamo a squilli di tromba ed inni marziali, nel veder gli alleati sfilare al canto di “Rosamunda”! In testa al corteo c’erano i ragazzi di “Giustizia e libertà” e della “Garibaldi”. Però l’Italia fu tagliata in due e noi, per diversi mesi, fino alla capitolazione della Germania, non sapemmo più niente di mio padre. Era stato catturato dai tedeschi l’8 settembre e deportato in Germania, lager di Wietzendorf, dove furono rinchiusi gli italiani che non aderirono alla repubblica di Mussolini, declassati da prigionieri di guerra a IMI: “Italienische Militär Internierten”, internati militari italiani. Il Führer non riconobbe il Regno d’Italia, ignominiosamente trasferito a Brindisi, e i militari rimasti fedeli all’unica Italia vera e legittima, furono considerati ribelli alla Repubblica Sociale Italiana. Che mio padre fosse prigioniero dei tedeschi lo apprendemmo da Radio Monte Ceneri che ogni sera, alle 21, trasmetteva, per conto della Croce rossa internazionale, lunghi elenchi di prigionieri di guerra. La sigla della trasmissione era l’intermezzo della Cavalleria Rusticana di Mascagni ed oggi, a 65 anni di distanza, se sento quel brano mi commuovo. Dopo diverse sere di ascolto, fu letto il nome di mio padre. Tornò a casa nel settembre del 1945 dopo due anni di LE POLEMICHE SU “ANNO ZERO” Sante Casella: “No al disprezzo della religione cattolica” Da Sante Casella, giornalista pubblicista di Rende (Cs) , riceviamo e pubblichiamo questa nota -lasciando liberi i nostri lettori di esprimere a loro volta un giudizio- in merito ad una polemica sostenuta da un sacerdote suo amico in riferimento alla trasmissione di Rai 2 “Anno Zero”, in particolare a certe vignette di Vauro. Caro don Enzo, condivido e sottoscrivo il fondo del n. 3 di “Parola di Vita” dal titolo “Satira volgare e senza stile”, come pure l’altro editoriale di spalla “Sono un prete stufo di fango”. Aggiungo che trasmissioni volgari, blasfeme, faziose condotte da pasdaran della cultura comunistoide (come Santoro, Vauro e Travaglio) servono solo a gettare fango sugli avversarinemici (cultura del marxismo-leninismo) ed obiettivamente aizzano all’odio di classe ed anche al disprezzo della religione cattolica e dei suoi rappresentanti. Ad iniziare dal Sommo Pontefice. Della cui presenza in Italia dovremmo andare fieri ed orgogliosi tutti (credenti e non credenti); ma che non apprezzeranno mai (che Iddio li perdoni) gli invasati della filosofia della “religione oppio dei popoli”. Settori intellettuali blasfemi ed atei, che strumentalmente, spesso, chiedono spazi e comprensione per altre religioni come l’Islam. Ma al solo scopo strumentale e perfido di isolare e/ o indebolire simboli e rappresentanti della religione cattolica. Attacchi ed insidie alla nostra religione che, non a caso, provengono da settori politici ed intellettuali radicali facenti capo (e trovando proseliti) nella sinistra estremistica o moderata, debole e succube degli estremisti legati alla violenza ed alla religione della dea ragione o della superiorità dell’uomo ridotto a materia e senza qualità spirituali. Sinistri radicali e postcomunisti in Europa hanno ostacolato, anzi impedito che nella Costituzione Europea si desse atto delle radici cristiane del vecchio continente. Spiace che anche don Sciortino di Famiglia Cristiana , preso da pregiudiziale antipatia verso il governo Berlusconi, si unisca spesso alle critiche, tutte sinistre, portando acqua al mulino dei laicisti ad oltranza. Dimenticando che la stragrande maggioranza degli elettori del centrodestra (sia pure con i loro peccati. Ma chi non ha peccati e può scagliare la prima pietra?) è legata ai valori ed alle direttive della Chiesa Cattolica. Preciso che non appartengo ad alcun partito politico. Ma credo nella libertà e non vorrei che i posteri dovessero avere a che fare con gli eredi del comunismo: Ideologia criminale che ha prodotto nel mondo 100 milioni di morti. L’altro flagello del ‘900, il nazifascismo, ha prodotto 25 milioni di morti. Cordiali Saluti. Sante Casella giornalista cattolico stenti: il giorno della liberazione pesava soltanto 30 chili. Ma torniamo a quel 25 aprile di 65 anni fa. A tarda ora udimmo il suono del Campanone della Torre del Mangia: è un evento eccezionale a Siena che può annunciare gran festa, come il Palio, o gravi occasioni. Accendemmo la radio, sintonizzammo Radio Milano Liberata che trasmetteva in continuazione il proclama insurrezionale di Sandro Pertini. Nei giorni successivi, sempre dalla radio, apprendemmo della liberazione dell’Italia del Nord, del meschino tentativo di fuga di Mussolini e dei gerarchi, della loro fucilazione. I conti erano saldati, si disse allora. Mancava solo il ritorno dei prigionieri di guerra, sparsi un po’ in tutto il mondo, e degli IMI: il governo italiano se ne disinteressò bellamente e così gli IMI di Wietzendorf tornarono a casa con mezzi di fortuna, su camion militari, su automezzi rubati, qualcuno in bicicletta, sui rari treni che ancora viaggiavano. Puntarono su Friburgo con l’intenzione di passare per la Svizzera. Ma la Confederazione, che l’anno prima aveva concesso il transito alle truppe naziste in armi, lo negò agli IMI. Non rimase loro che attraversare la Foresta Nera, tagliare per il Tirolo e raggiungere il Brennero. Giuseppe Prunai La nuova sede del Circolo della Stampa Il Circolo della Stampa di Milano ha ripreso la sua attività nella nuova sede di Palazzo Bocconi, in corso Venezia 48. L’utilizzo di parte del prestigioso immobile è stato possibile grazie a un accordo con la società Munich Re, gestore di Palazzo Bocconi. Munich Re, società tedesca di assicurazione di assoluto valore mondiale, ha la sua sede italiana nella parte est di Palazzo Bocconi che ha provveduto a ristrutturare accostando alla solidità della tradizione concetti assoluti di modernità. L’intervento di sistemazione delle facciate, esteso all’intero immobile, in coordinamento con la Soprintendenza ai monumenti architettonici di Milano, ha restituito l’originaria immagine di magnificenza civile di Palazzo Bocconi. Alla sistemazione della facciata, si è aggiunto il recupero delle aree adiacenti, in particolare del cortile tra i due corpi di fabbrica interni, con il ripristino del disegno originale della pavimentazione. Il Circolo della Stampa occupa la parte ovest del palazzo e si sviluppa su tre livelli per oltre 1400 metri quadrati. L’immobile conserva intatti gli ambienti gentilizi creati dall’architetto Antonio Citterio chiamato nel 1908 dalla famiglia Bocconi a realizzare l’opera. Entrando, a sinistra, una imponente scalinata, con corrimano impreziosito da statue bronzee, porta al piano nobile dove si estende un luminosissimo salone che guarda il giardino interno ristrutturato nel suo stile originario. Ai lati ampie sale, caratterizzate da stucchi, specchi e soffitti affrescati, si affacciano sui giardini di Porta Venezia progettati e realizzati tra il 1782 e il 1789 dall’architetto Giuseppe Piermarini. Ferdinando Bocconi (1836-1908) dopo aver svolto l’attività di commercio ambulante, nel 1865 con il fratello Luigi (1839-1900) apre una bottega di sartoria in via Redegonda. Nel 1889 viene inaugurata la nuova sede in Piazza Duomo che assume il nome di La Rinascente. Dal matrimonio con Claudina Griffini, Ferdinando Bocconi avrà tre figli: Luigi (1869-1896), Ettore (1871-1932) e Ferdinando (18731913). Per ricordare il figlio Luigi deceduto nel 1896, Ferdinando fonda, nel 1902, l’omonima Università commerciale. La moglie di Ettore Bocconi, Genoveffa Javotte Manca di Villahermosa, senza eredi, il 2 maggio 1957 dona tutti i beni della famiglia all’Associazione Amici della Bocconi, con il desiderio che “l’immobile di corso Venezia 48 sia adibito a sede permanente dell’associazione donataria”. I Palazzi Bocconi ai civici 46 e 48 saranno successivamente sede dell’Associazione Amici della Bocconi e dell’Associazione Laureati della Bocconi. In questa sede di altissimo prestigio trova continuità l’attività culturale che da sempre contraddistingue il Circolo della Stampa, fondato dall’Associazione Lombarda dei giornalisti nel 1949. Giovanni Negri NON TIRATE MOCCOLI “Dio sia benedetto”, uno studio di N. Sinopoli L’autore, ex alto dirigente Rai, è originario di San Vito sullo Jonio Tirare un moccolo può capitare a tutti nella vita, prima o poi. Ma c’è chi esagera o non si rende conto che può offendere chi gli sta vicino. Purtroppo a me capita spesso, è un vizio che non riesco a levare di mezzo. E quindi ho strabuzzato gli occhi quando Nicola Sinopoli, ex altissimo dirigente Rai ed originario di San Vito sullo Jonio, mi ha fatto pervenire l’ultima sua creatura di studioso del passato. Il libricino, in pochi esemplari per amici, sembra fatto apposta per tirare una salutare frecciata a me. Si intitola, manco a dirlo, “Dio sia benedetto- Bestemmia e turpiloquio dal XVIII secolo ai nostri giorni- Storia del Movimento Antiblasfemo”. Mi sono messo a sfogliare le pagine; e gli occhi mi sono finiti dove c’è scritto che “molti di coloro”che bestemmiano” Dio, lo “offendono con la bocca” ma “non cessano di invocarlo con il cuore”.È la pura verità. Di più: quando mi scappa il moccolo non ce l’ho con il Padreterno ma con altri di questa Terra. Certo, lo smoccolare è da cafoni, almeno per chi assiste alla scena, perché il protagonista non se ne rende mai conto. Ma andate a dirlo a certi miei amici toscani, che vanno avanti a base di pane e moccoli; per esempio al solitamente tranquillo collega Beppe P., che però quando si infuria non può fare a meno di ricordarsi della Madonna, appiccicandole, per sovrappiù, un sostantivo che trae radice e desinenza dai maiali. Il libricino di Nicola Sinopoli è veramente interessante. Per esempio ho scoperto che a lanciare la prima campagna antiblasfema fu “uno sconosciuto sacerdote: Padre Luigi Felici, gesuita, nato a Fabrica di Roma (Viterbo) nel 1736 e deceduto a Roma nel 1818. Fu lui che, per combattere la bestemmia, compose sul finire del secolo XVIII, una lauda intitolata Dio sia benedetto, usata come preghiera conclusiva delle sacre funzioni, e cioè al termine della Santa Messa e in chiusura della vespertina Benedizione. Pochissime strofe, semplici e commoventi, al punto di richiamare l’attenzione di papa Pio VII che la arricchì di benefiche indulgenze”. E qui, io che mi sento colpevole, nel tentativo di mettermi l’animo in pace perché si avvicina l’ora del redde rationem, sento la necessità di presentarvi queste strofe (che già da bambino ascoltavo compunto nella chiesa del mio paese, San Floro).Eccole: Dio sia benedetto Benedetto il suo santo nome Benedetto Gesù Cristo vero Dio e vero uomo Benedetto il nome di Gesù Benedetto il suo sacratissimo Cuore Benedetto il suo preziosissimo Sangue Benedetto Gesù nel Santissimo Sacramento dell’altare Benedetto lo Spirito Santo Paraclito Benedetta la gran Madre di Dio Maria Santissima Benedetta la sua santa e immacolata Concezione Benedetta la sua gloriosa Assunzione Benedetto il nome di Maria Vergine e Madre Benedetto San Giuseppe suo castissimo sposo Benedetto Dio nei suoi angeli e nei suoi Santi Nel volumetto è raccontato anche un curioso episodio accaduto a Civita Castellana il 1° marzo 1931, all’arrivo del nuovo Vescovo, Mons. Santino Margaria, tanto atteso dopo una lunga amministrazione del Vescovo di Nepi. Durante la funzione nella cattedrale dei Cosmati, don Famiano Clementi, della Collegiata di Fabrica, concelebrante, si era messo misteriosamente a piangere. Interrogato più tardi dal Presule, ebbe a dire che lo avevano commosso le strofe del Dio sia benedetto, di cui era stato autore proprio un compaesano, appunto il gesuita Luigi Felici. Qualche tempo dopo - l’11 giugno 1932 - don Clementi mandò in stampa delle ricerche storiche “intorno a chi compose la bella e tenera lode del Dio sia benedetto”. E dunque, fatta questa non richiesta recensione, spero anche che, sia il Padreterno sia chi talvolta mi ha sentito smoccolare, mi perdoni i coloriti sfoghi, ai quali prometto solennemente di rinunciare. E così prendo due piccioni con una fava: non sentirò più brontolare mia moglie e mi sarò assicurato un posto in Paradiso, magari con un trattamento particolare. Così come si conviene ai pentiti. Domenico Paravati 6 Corriere di San Floro e della Calabria Anno IV - N° 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2010 SAN FLORO ANNI CINQUANTA - Le processioni dell’Immacolata e del Patrono al “Pizzo Anno IV - N° 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2010 Corriere di San Floro e della Calabria SAN FLORO Tommaso Scarcella, il poeta nostrano Agendina 7 a cura di Feliciano Paravati La Befana con i doni DEFUNTI (1)-In francese Quai d’Orsay. Ri- Il 30 ottobre u.s. ha cessato di caviamo da Internet: “È la sponvivere il popolarissimo Peppino da sinistra della Senna a Parigi, Paparo, per la innata simpatia nel VII Arrondissement. Designa amato e stimato da tutto il paese. per metonimia il ministero degli Con i suoi 90 anni era tra i più esteri francese che dal 1853 ha la anziani residenti in San Floro. sua sede al n. 37”. Forse al n. 41Vivissime condoglianze ai parencitato da Scarcella - c’era invece ti tutti e soprattutto alla figlia Ida un ospedale per prigionieri invache proprio alcuni mesi fa era lidi della prima guerra mondiale. stata colpita da un altro grave Charles Boucher, signore d’Orsay, lutto con la morte del marito Pino era consigliere al Parlamento di Nobile. Parigi e sindaco della città dal 1700 al 1708. - Il 31 ottobre u.s. è deceduta a (2) Ponte Alessandro III è”il più San Floro Paola Iania vedova bello della capitale francese, con Iuliano, di anni 84. Condogliansplendide decorazioni in stile ze ai familiari. nouveau, con lampioni, putti,ninfe PEPPINO PAPARO e cavalli alati. Fu costruito tra il 1869 e il 1900 per l’Esposizione Universale. Si tratta di una grande opera di ingegneria per il singolo arco che si trova a sei metri di altezza sulla Senna”.Il ponte è dedicato al Papa Alessandro III TOMMASO SCARCELLA che ebbe vita difficile, appoggiò i e senza nessuno conforto, Poesia de i sposi mutilato di guerra in Francia, a Comuni lombardi nella lotta all’imperatore tedesco Federico Reims il 17 luglio 1918)). Cari sposi su bbenùtu Barbarossa Hoenstaufen; e per un e cu gioia vi salutu. Passai tante amarezze e sacrifigi periodo, dal 1162 al 1165, visse in L’angeli càntanu a coru Un anno e due mesi all’Ospedale Francia sotto la protezione di Luie pe’ mio ricordu gi VIII 41 Chi e dorsè (1),nel centro vi mandu San Floru. di Parigi. (3) Hotel des Invalides è “un grande complesso parigino del classiFinalmente su’ venùtu cismo barocco francese, costruito E quello che vi dicu ca da voi m’hannu mandato. nel XVII allo scopo di ospitare SOPRA: Epifania 2011 - La processione con Gesù Bambino. SOTTO: Capodanno 1992 e 2006 forsi tu non lo cridi. Ogni grazia chi cercati soldati invalidi. Oggi ospita la - La benedizione 2010 Il centro di Parigi era voi da me sempre l’avrete. tomba di Napoleone”. Ponte Alessandro (2) (4) In effetti gli sposi ebbero poi e Piazza Sin Balìdi (3) Tramonta il sole esce la luna: due bambini, un maschio e una che Dio vi doni ‘na bbona fortuna! femmina, come auspicato da Su ‘nu picculu scolàru Tommaso. e sugnu analfabeta. Auguru a bbui cosi belli: Per fare la poesia dopo ‘n annu due gemelli. non sugnu ‘nu poeta. E poi per loro la festa si fàcia. I figli pe voi sarannu la pàcia La pàcia sia con voi “Vicini agliAuschisi di cui s’è parAllegri i vostri cuori. A chi vo godere la vita bella lato, sono i Nasamoni, popolo pro‘nu maschiettu e ‘na femminella (4) Si ho fatto qualche sbaglio lifico, i quali d’estate lasciano le correggetemi, o signori! Com’è legànta la ragazzina… greggi sulla riva del mare e risalgosora la casa de nonna Bettina. no all’interno fino alla località Sposati vi ne andàti Augila, per raccogliere i datteri, Siamo lontani, non siamo vicini. E lu maschiettu gran gioia sarà. poiché ivi crescono frequenti e riViva li sposi Curcio Giuseppe E Curcio Antonio si chiamerà. gogliose le palme e tutte portano Insieme a la culla faranno li sonni, e Nobili Catarini frutti. i due gemelli sui cori de i nonni. Vanno a caccia di cavallette e quanNelle feste natalizie purtroppo I fiori su’ d’aprila, do le prendono le fanno seccare al non è stata rispettata a San Floro Risplende la luna assieme a li stelli li rosi sono a maggiu sole, le riducono in polvere e poi le una delle tradizioni più sentite : la La poesia è d’ ‘o cugino Tommaso Da me saluti e auguri, trangugiano, mescolandole con il processione dell’antico (settecente‘na bona fortuna Scarcelli. latte. sco) Bambinello in tutt’e tre gli “ape ‘nu bonu viaggiu. Essendo loro costume di aver puntamenti”: Natale,Capodanno, Tommaso Scarcelli (Che vive solo, senza famiglia molte mogli ciascuno, a esse si uni- Epifania. Delle tre festività, solo alscono in comune, allo stesso modo, l’Epifania la popolazione ha potu- menti era ed è ritenuto importante che costituisce un’autentica ferita al press’a poco, dei Massageti: pian- to vedere lungo la principale strada soprattutto da chi lavora nelle cam- cuore di chi ama la propria storia. tano davanti al luogo, dove si troVITA E MORTE NEGLI più stretto e, dopo morta, viene vano, un bastone e si congiungono del paese il “piccolo” Gesù, in brac- pagne per le benedizioni verso il Qui sopra varie foto della procio al parroco, sotto l’antico “om- futuro raccolto. Non comprendia- cessione del Bambinello scattate USI DEI TRAUSI seppellita insieme con il marito. alla donna. brello”. Il rispetto dei tre appunta- mo il perché di questa omissione, in epoche diverse. I Trausi (…), quando uno di loro Le altre, che non sono state scelQuando uno dei Nasamoni prennasce o uno viene a morire, fan- te, si ritengono colpite da una de moglie per la prima volta, è tradino così: intorno al bambino che è grande disgrazia, poiché è que- zione che, la prima notte, la sposa Questo numero del giornale è uscito grazie all’abbonamento-libero contributo di (segue dal n. di giugno nato siedono i parenti e piangono sta la massima vergogna che pos- passi da uno all’altro fra tutti i u.s.; a settembre l’elenco non è uscito per mancanza di spazio): per i mali che, dal momento che è sa loro toccare. convitati, unendosi ad essi; e ciascu- Iencarelli Florina (rinn.SOST.)- Soveria Mannelli, DefilippoAntonio (rinn.)-Lainate, Carrabetta venuto al mondo, deve soffrire, (Erodoto-Le storie-Libro V- 5) no di quelli con cui si è unita le dà in Francesca (rinn.)- Fiumicello, Paravati Floro (SOST.-rinn.)- Frascati, Paravati Elisabetta (rinn.)enumerando tutte le sofferenze dono ciò che ha con sé e che ha por- Buttrio, Rauti Antonio (rinn.)- Lainate, Maiuolo Francesco (rinn.)-Castiglione Olona, Russo che toccano agli uomini! Il mor…E QUELLI DEGLI Maria Maresca Luigi (rinn.)- Guidonia, Maiuolo Francesco (rinn.)-Torino, Sabatino Livio (rinn.)tato da casa sua…” to, invece, lo depongono in terra ALTRI TRACI “Confinanti con i Nasamoni erano Genova, PuglieseAntonio (SOST.)-Ventimiglia,VirgilloTeresa (rinn.)-San Floro, Gullì Giovanni tra manifestazioni di tripudio e di Gli altri Traci hanno questo co- gli Psilli. Questi sono scomparsi dal (rinn.)-Lanzo Torinese, Desinopoli Luciano (rinn.)-Catanzaro Lido, Greco Antonio (rinn.)gioia, adducendo la ragione che, stume: vendono i loro figli per- mondo nel modo seguente: il vento liberato ormai da tanti mali, si tro- ché siano condotti in altri paesi. del Sud, soffiando contro di loro, Codogno, Bressi Floro (rinn.)-S. Floro, Bagnato Flora Maria (rinn.)-S.Marinella,AmorosoBaldi va pienamente felice. Non sorvegliano le loro fanciul- aveva inaridito le cisterne di acqua, Fabiola (rinn.)- Roma, Graziano Vincenzo (rinn.)-S. Floro, Viscido Lorenzo (rinn.)-New York, (Erodoto-Le storie-Libro V-4) le e permettono che si uniscano e tutto il paese, che si trova all’inter- Paravati Stirparo Concetta (rinn. SOST.)-Soverato, Iencarelli Caterina (rinn.)- Alba,Barbuto agli uomini che vogliono, men- no della Sirte, era riarso dalla siccità. Maria (SOST. 2010)-Lavagna, Guerrieri Francesco (SOST.)-Roma, Comità Florina (rinn.)GLI USI DEI CRESTONEI tre custodiscono severamente le Essi allora, dopo aver ben delibera- Genova, De Nardo Paola (rinn.)-Merano, Sergi Giuseppe (rinn.)-Roma, Tavano Rosario (SOST.)Quelli che abitano a nord dei donne maritate; e acquistano le to in comune, mossero in guerra con- Borgia,CasadonteFloro(rinn.)-CatanzaroLido,SansoBereniceLamanna(rinn.)-Alba,Ferragina Crestonei hanno questa abitudi- donne che sposano dai loro ge- tro il vento del Sud (io dico, natural- Lucia (rinn.)-Crotone, Barbuto Maria (rinn.-SOST.2011)-Lavagna, Nobile Luigi (rinn.)- Merano, ne: ognuno ha parecchie mogli e nitori a prezzo di grandi ricchez- mente, quello che raccontano i Libi- Graziano Roberto (rinn.)-Roma, Graziano Italo (rinn.)-Roma, OlivieriAngelo (rinn.)-San Floro, quando uno di essi viene a mori- ze. ci), e quando furono nella regione Guarnieri Nicola (rinn.)-Torino, Chiaravalloti Elio (rinn-)-Torino re, sorge fra le mogli una grande Portare sulla pelle dei tatuaggi delle sabbie il vento del Sud, che contesa, a cui gli amici prendo- è considerato segno di nobiltà, aveva ripreso a soffiare, li seppellì Chi non gradisce la pubblicazione in questo elenco, scriva nello spazio “causale” del bollettino: no molto interessamento, per sta- non averne è prova di tutti. “NOMINATIVO DA NON PUBBLICARE” . bilire quale di esse era la più ignobiltà…La migliore delle Da quando essi scomparvero dal amata dal marito morto. Quella condizioni è quella di chi non si mondo, occupano il loro paese i L’abbonamento-contributo volontariosi effettua versando almeno euro 20 con il conto corrente postale che viene scelta e riconosciuta cura dei campi, la più spregevo- Nasamoni” n. 54078100 intestato Domenico Paravati- Rignano Flaminio- La vita di questo giornale dipende degna d’onore, dopo aver rice- le è quella di lavorare la terra: Erodoto esclusivamente dagli abbonati. –L’EVENTUALE INTERRUZIONE DELLA PUBBLICAvuto gli elogi da parte di uomini assolutamente splendido è viveLe Storie-Libro IV- 172-173 ZIONE NON DÀ DIRITTO AL RIMBORSO DI QUANTO VERSATO - Dato l’alto costo delle e donne, viene sgozzata sulla re di guerra e di rapina. (Traduz. di Luigi Annibaletto spese postali e di stampa l’invio viene sospeso se non coperto. tomba per mano del suo parente (Erodoto-Le storie-Libro V- 6) Oscar Mondadori – apr. 1982) In occasione del matrimonio, nel 1968, di Giuseppe Curcio e Caterina Nobile, l’allora notissimo personaggio di San Floro, Tommaso Scarcella (ma egli si firma Scarcelli), grande invalido della guerra 1915-18 ,compose questa semplice “poesia”, come egli la definisce, sottolineando però, esagerando, che egli era “analfabeta” e nemmeno “poeta”(invece lo era) , invitando , se del caso, a correggerlo (quasi la stessa famosa frase, che molti anni dopo, avrebbe pronunciato Papa Giovanni XXIII rivolgendosi alla folla in piazza San Pietro). La pubblichiamo proprio per la genuinità del testo (con qualche piccolissima, insignificante modifica) e come documento degli omaggi in versi che, come in altre parti d’Italia (soprattutto in Sardegna con i “muttettus”), si usava recitare davanti agli sposi ed alla tavola imbandita. A Tommaso Scarcella (ma nel testo originale lui si firma Scarcelli, forse per una questione di rima) è dedicata da anni la Pro Loco di San Floro. Il falò di Natale Gli usi dei Nasamoni Il destino degli Psilli Il Bambinello in processione solo all’Epifania Spicchi di storia antica 8 Corriere di San Floro e della Calabria BORGIA BORGIA Era lì che andavamo a lavare i nostri panni La “Brisella” era monumentale, con sei canali - Ora l’abbandono Quando le nostre mamme a sera ci dicevano “Ragazzi, andate subito a letto perché domani di buon mattino andiamo alla Brisella per fare il bucato” una grande gioia riempiva il nostro cuore. Era, la Brisella, una fontana monumentale con sei cannelle di acqua fresca e abbondante, con quattro vasche abbastanza capienti, ove le donne facevano il bucato. All’indomani, di buon mattino, eravamo tutti in piedi, un po’ addormentati per la verità, ma tanto felici, tutti intenti ad aiutare i genitori a preparare quanto occorreva per la bisogna: sacchi e cesti pieni di panni da lavare, un po’ di legna, la caldaia per bollire l’acqua e la cenere, indispensabile perché, una volta lavati, i panni venivano messi in una cesta (la sporta) per essere innaffiati con la lissìa. Era, la lissìa, acqua calda con cenere che aveva il potere non solo di sbiancare ma anche, soprattutto, di pulire la biancheria a cui dava un particolare odore di bucato, ormai patrimonio della memoria, sempre più, di poche persone. Quando tutto era pronto, finalmente, si partiva. Le mamme portavano in testa i sacchi e le ceste più pesanti, mentre noi ragazzi facevamo del nostro meglio per renderci utili. Giunti al Brutto incominciavamo a saltare ed a rincorrerci facendo disperare le mamme che ci volevano accanto a loro. Al ponte del Palombaro prendevamo la strada più larga e più piana; e, fatti un centinaio di metri, le mamme ci invitavano a fermarci sul ciglio della strada da dove si poteva vedere “ ‘a coneddha d’ ‘a Madonna d’ ‘o Rifriscu”. Recitavamo l’Ave Maria e poi di corsa, perché la fontana era ormai vicina. Alla Brisella le mamme cominciavano a lavare la biancheria nella vasca che la sera precedente si erano premurate di preparare, svuotandola e pulendola; ed anche per questo al mattino bisognava essere sul posto di buonora, diversamente si correva il rischio di perdere il turno. Mentre esse sciabordavano nelle limpide acque noi, in un luogo un po’distante, ma sempre bene in vista, alimentavamo il fuoco per preparare la lissìa. Quando era in ebollizione e la mamma aveva messo la biancheria nella sporta, l’acqua calda veniva versata accuratamente e lentamente. Fatto ciò, ci sedevamo a mangiare. Mangiavamo con tanto gusto e appetito quanto ci avevano amorosamente preparato. Intanto la lissìa aveva fatto il suo effetto e la biancheria veniva tolta e lavata per l’ultima volta. Noi avevamo già scelto e difeso il prato e la siepe dove venivano stesi i panni ad asciugare. Il colpo d’occhio era meraviglioso: biancheria variopinta rendeva incantevoli i cespugli e i prati. Si vedevano lenzuoli, tovaglie, sciarpe colorate, pantaloni, camicie, fazzoletti come piccoli fiocchi bianchi sui cespugli. Il sole luminosissimo riscaldava la terra e asciugava la biancheria. Verso sera si ritornava a casa gioiosi e contenti per aver trascorso una giornata a contatto con la natura. Don Antonio Severini (*)- “La Brisella”, di Don AntonioSeverini; “Per la Vrusedda”, dell’ins. Roma Gullì; “ ‘A funtana da Vrusedda”, del prof. Rosario Tavano sono “pezzi” apparsi nel mese di agosto 1997 sul numero di “Civiltà Mediterranea”, pubblicazione fuori commercio dell’omonima associazione borgese. L’importante fonte dista poco da Borgia centro. Un tempo funzionavano tutt’e sei i getti d’acqua incanalata ed essa aveva una straordinaria importanza per la popolazione di Borgia. Oggi, come dice il prof. Tavano nella poesia, “li canali sugnu…muti”; ed è nel più completo abbandono. È più o meno la stessa cosa per la sorgente de ‘U Schiùappu (a San Floro),quel punto di incontro di mamme e bambini che periodicamente si recavano nella Valle per pulire i panni sporchi di casa. Quanto del resto facevano, nella parte opposta del paese,tante altre donne sanfloresi recandosi alle vasche de ‘U Ceramidìu.. IL “CORRIERE” E I GIOVANI SCRITTORI Vecchio al sole Racconto di Umberto Soldatelli Tutte le coltivazioni erano state cancellate; i pali d’abete delle vecchie recinzioni e gli alberi sradicati dall’enorme massa d’acqua - I muri erano macchiati dall’antiparassitario delle viti - Non avevo mai mangiato del rame, ma sapevo che quello doveva essere il suo sapore Il vento cessò quando Piero oltrepassò l’ultimo dei due grossi prefabbricati. La valle scendeva bruscamente, oltre gli argini del fiume, poi risaliva ripida fino ai margini del bosco. Non aveva seguito nessuna strada. La strada era stata cancellata dall’acqua che aveva ripulito ogni cosa. La terra trascinata a valle dall’inondazione formava una spessa diga ai bordi della conca. Piero risalì il terrapieno dove piccoli arbusti ricrescevano nel fango morbido fino allo scasso prodotto dalle ruspe. Non c’era più niente. L’acqua aveva levigato perfino la corteccia degli alberi. Tutte le coltivazioni erano state cancellate; i pali d’abete delle vecchie recinzioni e gli alberi sradicati dall’enorme massa d’acqua e i casali abbandonati. L’erba non era ricresciuta. C’era solo la crosta dura del limo che ricopriva l’enorme distesa di detriti. Oltre l’ampia distesa fangosa c’erano i pochi casolari che l’acqua non aveva totalmente cancellato, i grossi granai con ancora gli attrezzi da lavoro e mucchi di fieno lasciato a seccare. I muri erano macchiati dall’antiparassitario delle viti. Piero proseguì sul terreno rialzato ai bordi della conca. Il bosco c’era. Era un mantello verdescuro in fondo alla vallata. Camminando si deterse il sudore dalla fronte. Non aveva incontrato nessuno venendo giù dal campo; solo fango dappertutto. Adesso era a pochi metri dai granai. Raggiunse la radura d’erba ricresciuta e scavalcò il filo spinato. Il terreno, con ciottoli e alberi da frutta scendeva dolcemente. Tra i rami degli alberi scorse la chioma massiccia di un casale. Seduto al sole contro il muro del casale c’era un vecchio. Andò da lui. Il vecchio sedeva immobile con gli occhi chiusi. Vicino a lui c’era un fuoco acceso. Quando Piero Anno IV - N° 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2010 sbucò dagli alberi il vecchio non si mosse. “Salve” disse Piero. Il vecchio aprì gli occhi. “Cosa hai fatto ai tuoi vestiti?” “Sono caduto” disse Piero “Ce n’è ancora molto, vero?” Piero annuì. “Rimarrà così per un bel pezzo” disse il vecchio. “Togliti la camicia e appendila vicino al fuoco.” Piero si tolse la camicia bagnata di fango e la appese al ramo vicino di un albero. Sulla brace c’era una specie di griglia con due salsicce che cuocevano. “Bevi un po’ di vino”disse il vecchio. “Offre la casa”. Tirò fuori da una vecchia bisaccia di cuoio appesa a un chiodo una bottiglia di vino rosso e con i denti tolse il tappo che la chiudeva. Passò la bottiglia a Piero e sorrise. Da vicino, Piero notò che il suo viso aveva qualcosa di strano. Sulla fronte del vecchio, dove la pelle era bruciata e poi scottata di nuovo sopra l’abbronzatura, c’erano alcuni lembi di pelle secca che pendevano sopra le folte sopracciglia nere. Il viso, scarno, era bruciato anch’esso, e due occhi piccini e curiosi guardavano da sotto le arcate prominenti. Il naso, violaceo e dalla grossa punta, era piatto e bruciato. “Dove te ne stavi andando?” gli chiese il vecchio. “A pescare” rispose Piero. “Cristo santo! Devi essere un tipo coraggioso tu. E di’ un po’: hai fame?” . “Eccome!” “Che ne diresti di tagliare il pane?” Il vecchio tirò fuori dalla solita bisaccia un grosso pezzo di pane abbrustolito, e da un taschino laterale estrasse un coltellino. “Fai quattro fette” disse. Piero tagliò con estrema precisione le fette di pane e quando ebbe terminato le diede al vec- chio. “Passami il coltello” disse il vecchio. Tenendo le fette appoggiate sulle sue ginocchia il vecchio si sporse sul fuoco, infilzò una salsiccia con la punta del coltellino, la adagiò al centro della fetta di pane la spaccò nel mezzo e vi mise un’altra fetta di pane sopra: “Les jeux sont fait!” Eseguì la stessa procedura per il secondo panino. Ne diede uno a Piero. “Da dove hai detto che vieni, ragazzo?” “Dal paese” disse Piero. Il sapore della salsiccia era meraviglioso. “Un bel po’ di strada.” “Già.” “Qui non è rimasto granchè” disse sconsolato il vecchio. “Sembrava la fine del mondo”. Diede un enorme morso al suo panino e masticò rumorosamente. Gli esili ramoscelli scoppiettavano fluorescenti nella luce azzurrognola dell’alba. “Perché non è andato con gli altri?” gli chiese Piero. “Io devo badare alle bestie” rispose il vecchio. “Dove sono le sue bestie?” “Proprio lì”. Il vecchio indicò i ruderi di un granaio: “Le vedi?”. Piero non vedeva un bel niente. “Lì! Proprio lì!” continuò il vecchio. “Per loro è stato terribile. Sarebbe una vera crudeltà abbandonarle, non trovi?” Il vecchio prese la bottiglia di vino e bevve. La sua faccia scottata e scarna riluceva alla luce del fuoco. “Li hanno caricati su un camion” continuò. “Prima, quando c’era la strada. Pecore, cavalli…Le galline le hanno lasciate. La gente non sa che farsene delle galline perché sono animali stupidi. Non credo che siano stupide come dicono. Non più dei maiali. I maiali non sono affatto stupidi. A te piacciono i ma- iali?” “Puzzano” disse Piero. “E le salsicce?” “Moltissimo.” “Con le galline non potrebbero mai farle” sorrise il vecchio. “No di certo.” “A te piacciono le uova?” “Molto.” “Le mie galline fanno delle uova enormi” disse orgogliosamente il vecchio, che con l’ultimo morso aveva terminato il suo panino. “A te come piacciono le uova?” “Fritte” disse Piero. “Col burro?” “Sì.” “Bene” disse il vecchio. “Le uova non le abbiamo. Ma c’è un buonissimo olio d’oliva. Cosa ne dici di un po’ di pane e olio?” Il vecchio prese il coltellino e tagliò altre due fette di pane; poi prese un barattolino da terra, svitò il tappo e versò un filo d’olio d’oliva sulle due fette. L’olio colò sui pantaloni del vecchio. “Prima finisci quello, però. Hai finito? Bene.” Il vecchio diede una delle due fette a Piero. “Potrebbero mangiare i lombrichi” continuò il vecchio masticando rumorosamente la sua fetta di pane. “Le galline adorano i lombrichi. Il fiume porta sempre molti lombrichi. Vorresti dell’altro vino?” “Sono pieno” disse Piero. “Un altro goccio.” “Va bene” disse Piero. Aveva terminato la sua fette di pane con l’olio e adesso si sentiva veramente bene. .Il vecchio gli passò la bottiglia di vino e Piero bevve un lungo sorso e allungò le gambe vicino al fuoco. Le scarpe erano ancora umide. Le guardò. La suola era scollata. Per fortuna aveva mangiato. Si alzò e prese la camicia appesa ai rami vicino al fuoco. Era asciutta e un po’ affumicata. Piero indossò la camicia che odora- Nostalgia di una fonte La “Brisella” ispirò molti poeti Ogni luogo, ogni paese, anche il più piccolo, ha qualcosa, tra l’altro, che lo caratterizza: un albero, una via, un monumento, una fontana. Noi borgesi “avevamo” la Brisella, che è rimasta intatta nella memoria dei nostalgici, ispiratrice di molti poeti. Quei canali che scorrevano ininterrottamente, quel vocìo gaio di ragazze che aspettavano il proprio turno con in mano la “vozza” o la “giarrotta”, quegli sguardi proibiti sfidavano la realtà del tempo.. La Brisella rappresentava l’occasione, il punto di incontro di ragazzi che, come in chiesa, andavano a vedere la propria “bella”. E la fretta della serva che non voleva perdere tempo per paura dei “padroni”. E l’acqua scorreva, sempre uguale, sotto lo sguardo vigile della Madonnina “scarpeddàta ‘ncima a ‘stu monumentu madornàla”…”…a ‘ccu ca si fermava davi ‘mbìtu: s’on vua mu vivi, làvati li mani” (cfr. F. Citraro). Non vogliamo essere polemici, non sappiamo né ci interessa sapere chi ha la responsabilità di aver rovinato “quel posto”, di aver asciugato quella linfa. Vorremmo soltanto che quei sei canali riprendessero a scorrere e che la vita stessa del nostro paese potesse scorrere limpida, fresca, genuina come l’acqua della “Vrusedda”. Roma Gullì “Laudato si’, mi’ Signore, per sor Acqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta” (S. Francesco) ‘A funtana d’ a Vruseddha Era ‘a funtàna ‘e Borgia a sia cannàli chi de tutte era certu la cchiù beddha; quando vivìvi scumparìanu i mali. Com’era frisca l’acqua d’ ‘a Vruseddha! Nc’era ‘na vasca sempa chjna ‘e rani chi cantavanu allìagri a tutti l’uri, de’ lavandàri si sentìanu i mani e lavandu guardavano l’amuri. Cotràri, vìacchi, pìcciuli e guagliùni facìanu festa ‘ntùarnu a li cannàli; si lavavanu i vìasti e li saccùni, si vagnavanu i cazi e li vancàli. Li mìagghiu jùarni de l’innamuràti si passavanu proprio a Vrusèddha, puru li guagliunìaddhi non sbarbati jìanu trovandu ‘ncùna zziticèddha. Mo li cannàli sugnu tutti muti, ruppìru i pìatri ruspi e scavatùri. Si guardi i vaschi si vìdanu i cuti e grida ugnùnu ‘e rabbia e de dolùri. Pòvara funtaneddha d’ ‘a Vruseddha cu l’acqua frisca e bbona a tutti l’usi, si’ cara sempa, ma non si’ cchiu beddha pecchì li tua canàli sugnu chiusi. Rosario Tavano va di resina di pino e la abbottonò, infilandosela nei pantaloni. Il vecchio, seduto davanti a lui, lo fissava in modo strano. Prese lo zaino che aveva lasciato ai piedi dell’albero quando era arrivato e assicurò bene le due cinghie; poi si alzò in piedi e con un colpo di reni infilò entrambe le braccia negli spallacci. Seduto in silenzio davanti a lui, il vecchio continuava a fissarlo. La sua faccia scarna e spellata cominciava ad innervosire Piero. Improvvisamente il vecchio si alzò in piedi. “Dì un po’, ti credi furbo, non è così?” Piero si voltò. “Tu credi che io sia uno scemo, non è vero?” “Non capisco” disse Piero. “Sai che fine fanno i ladri come te, ragazzo? Finiscono con le ossa rotte. Non vorrai per caso finire con le ossa rotte, figliolo?” “No, signore.” “Bene, perché è proprio quello che sta per accaderti” “Io non vi ho rubato nulla.” “Tu credi che sia tutto suonato, eh?” “No, signore.” “Voi ragazzi pensate che noialtri siamo tutti degli stupidi, non è cosi?” “Lei si sta sbagliando, signore.” “Potrei suonartele con una sola mano, lo sai questo?” Il vecchio avanzava zoppicando vistosamente con entrambi i pugni chiusi. Piero vedeva i suoi occhi piccoli e neri che lo guardavano con odio. Indietreggiò di qualche passo. Mentre il vecchio si avvicinava, Piero sentì il suono di una sveglia. Il vecchio si bloccò improvvisamente e tirò fuori un vecchio orologio da taschino dalla sua camicia; poi guardò l’ora e, senza badare a Piero, corse nel fienile. Mentre il vecchio era nel fienile Piero scese per la scarpata fino al sentiero scavato nel tufo, e corse fino a una piccola radura dove c’erano betulle e funghi ai piedi di grosse querce dalla chioma rigogliosa. Si guardò indietro. Lì era al sicuro. Aveva uno strano sapore in bocca. Non l’aveva mai provato. Sembrava rame. Non aveva mai mangiato del rame ma sapeva che quello doveva essere il suo sapore. Si calò lo zaino dalle spalle e sedette all’ombra di una grossa quercia. Dietro le spalle il sudore formava una macchia scura sulla camicia. Piero appoggiò le spalle contro la corteccia ruvida dell’albero e respirò l’aria umida di rugiada della mattina. La prossima volta sarà meglio mettersi a dieta, pensò. Umberto Soldatelli