2 Corriere di San Floro e della Calabria

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2 Corriere di San Floro e della Calabria
Corriere di San Floro
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e
d
Calabria
e
Periodico trimestrale in distribuzione gratuita - Direttore responsabile DOMENICO PARAVATI - Registrato presso il Tribunale di Tivoli al n. 13 del 2007
Editore-Proprietà-Dir.ne-Red.ne: Domenico Paravati - V.le Trieste 19 - 00068 Rignano Flaminio (RM)
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LETTERE
Un giornale
che non
deve morire
SCRITTORI NOSTRI
Come era concepito l’“onore familiare” nella Calabria del tempo che fu. “A me era
stata negata la gioia di conoscere i nonni perché ero una bastarda, il frutto di un errore” - “Se
non sono ancora morta un motivo deve esserci: sono nata per vivere, per raccontare la mia
Al Direttore del “CORRIERE
vita infelice”- Mariana ha in preparazione un terzo libro sulla sua antica tragedia
DI SAN FLORO e della
CALABRIA”
di bambina rifiutata dai genitori naturali (di Tiriolo e Gimigliano) e affidata
Dottor Domenico PARAVATI
ad una famiglia di San Floro negli Anni Quaranta
Vorrei scrivere la vera storia dall’inizio della mia nascita, del cognome paterno che non ho potuto
avere, perché mio padre era spo-
La madre dei cretini
é sempre incinta
Che miracolo! È riuscito a tirare
in stampa più di 230 pagine scrivendo solo e sempre di una strada,
la “Statale 18” (tra virgolette: è
proprio il titolo del volumetto cm.
14x21 di Mauro Francesco
Minervino). Quella strada costruita dal fascismo negli Anni Trenta
per affiancare, dal mare, la vecchia
arteria borbonica che si inseriva
invece nel centro della Calabria, è
in questo libro vivisezionata, odiata, elogiata, ma forse proprio per
questo un tantino amata da questo
maturo personaggio che di mestiere fa il professore all’Università di
Catanzaro con le insegne di
antropologo. E allora si tratta forse di un trattato di antropologia?
Forse (o soprattutto) anche di
questo, magari senza che l’autore
lo volesse; se non fosse che qua e
là salta fuori quasi la poesia, o
l’odio-amore verso qualcosa che
fa parte, volente o nolente, della
tua vita, perché quella statale il
Minervino la percorre quasi tutti
Che significa buttare nel cestino
con stizza il nostro giornale senza
nemmeno averlo aperto per leggerne il contenuto e magari poi legittimamente criticarlo? La risposta è
semplice semplice: si tratta solo e
semplicemente di invidia. Invidia
per quello che di alto, anche e soprattutto sul piano culturale e pur
con le nostre modeste forze, viene
pubblicato su questo “piccolo”
trimestrale. Invidia da parte di chi
non sa essere altrettanto “alto”.
Conclusione: la madre degli imbecilli è sempre gravida. Dunque,
niente di nuovo sotto il sole (questa volta di Squillace, che pure è la
patria dei Cassiodoro, dei Pepe,
degli Assanti, eccetera).
Aristarco Scannabue
sato. Aveva già due figlie femmine più grandi di me che mi hanno
vista appena sono nata perché eravamo vicine di casa, ma io non le
Anno IV - N° 4
Ottobre-Novembre-Dicembre 2010
BORGIA
Giovanni Pugliese
miglior dipendente
Agenzia Entrate
di tutt’Italia
MARIANA ROCCA a S.Floro l’8 agosto 2010 alla presentazione dei suoi libri
SCRITTORI NOSTRI
In un libro l’ “anima”
della Statale Diciotto
Autore Mauro Minervino, antropologo e professore
all’Università di Catanzaro - Odio e amore verso
una strada che percorre tutti i giorni
i giorni da Paola a Catanzaro;
un’ossessione, degna dell’attenzione di uno psicanalista, tanto
che quella maledetta-benedetta
strada compare -lo dice l’Autoresotto forma di incubo la notte.
Tanto da fargli odiare tutto e tutti:
turisti “stranieri”, vacanzieri “locali” di un mese o giù di lì, e ovviamente la ‘ndrangheta o comunque quel comportamento
simil-mafioso che ha portato alla
cementificazione selvaggia del
litorale. Ma per fortuna rimangono ancora angoli decenti lungo il tragitto- fa capire il Nostroe quando il cielo è sereno e comunque l’atmosfera è giusta,
Mauro Francesco Minervino si
può consolare con la vista, (su
quel mare sempre fascinoso e
attraversato – sostiene lui - da
Ulisse) del triangolo del vulcano delle Eolie, lo Stromboli.
Qualcuno, alla libreria Feltrinelli
Domenico Paravati
(segue a pag. 2)
Se lo vedete con scarpe da ginnastica e con la tuta non lo disturbate
perché Giovanni, prima di iniziare
la giornata lavorativa, è solito
ricaricarsi con una salutare corsa. Ma
se lo vedete per le strade del paese
potete benissimo conversare con lui,
anche di tasse, se volete. Sappiate,
infatti, che Giovanni Pugliese è stato premiato come il miglior dipendente dell’Agenzia delle Entrate. Del
fisco per intenderci. Ma non un premio locale o regionale, bensì nazionale. E sì, perché Giovanni è stato
proclamato il miglior esperto in ambito nazionale. Ha sbaragliato i suoi
colleghi del più proficuo nord d’Italia, a dimostrazione che le eccellenze calabresi sono veramente tante.
Un riconoscimento, quello dato a
Pugliese, che premia la professionalità e la serietà di un uomo impegnato quotidianamente a svolgere il proprio lavoro con competenza. Giovanni è così. Ne avevamo parlato
nelle edizioni precedenti del Corriere. Abbiamo intuito il suo merito
umano e professionale.
Per qualche giorno tutti i giornali
nazionali hanno scritto di lui, hanno
lodato le capacità e celebrato i suoi
successi professionali. Nonostante i
fari della celebrità siano rimasti accesi per giorni su di lui, Giovanni
continua nella sua quotidianità di
pubblico funzionario, di preparatore
atletico dell’USD Borgia 2007 e di
amico.
A Borgia rimane l’orgoglio.
Domenico Procopio
Gravi problemi sulla S. Floro-Corace
l’Amministrazione provinciale che
quella comunale ma, sembra, con
esito fino al momento in cui scriviamo non soddisfacente. La provinciale Roccelletta-San FloroCorace è stata più e più volte compromessa, addirittura ostruita dalle
frane e quindi riparata nel corso
degli anni con gabbioni e strutture
Gaetano Passafaro
Docente borgese fortemente legato alla sua terra,
insegnò anche agli adulti nella lotta all’analfabetismo che negli Anni Cinquanta era ancora ben
radicato in Calabria- Più volte consigliere
comunale e anche Sindaco f.f.
ho mai conosciute. Non so se sono
ancora in vita; ma, se possibile,
adesso che ormai siamo tutte nella
terza età, le vorrei incontrare e vedere il posto dove sono nata, andare al cimitero per salutare il padre che non ho potuto avere e sua
sorella, l’unica zia che una volta
sono riuscita a vedere per caso
Mariana Rocca
(segue a pag. 2)
ALL’INTERNO - PAG. 2
Jennaru ‘e Perciò
A San Floro, un’abitazione sotto
la provinciale Roccelletta di BorgiaCorace è rimasta senza strada di
accesso carrabile per una frana. Secondo i proprietari la causa è la non
perfetta sistemazione, a suo
SAN FLORO - La frana alla tempo,dell’arteria che causava un
“Tozzina” sotto la strada pro- deflusso sbagliato dell’ acqua. Sono
già state interessate al problema sia
vinciale
Publilio Siro,
I° sec. a.C.
“Sententiae”
PERSONAGGI
Mariana Rocca: Ecco la mia storia
Ho versato la quota annuale per
un abbonamento sostenitore al
“Corriere di San Floro e della
Calabria,”da Lei fondato e diretto, per contribuire, con una piccola somma, alla vita del Giornale che, a mio modesto giudizio, è da inserire tra i migliori
periodici del panorama editoriale calabrese. Non solo e non tanto perchè mette in risalto, con un
taglio di alto profilo, la vita di
un piccolo comune della nostra
Regione, simile a tanti piccoli e
grandi comuni calabresi, ma soprattutto perchè lo fa con spiccata professionalità. Fa emergere, nel pieno rispetto dello spirito del popolo calabrese, i sentimenti e i valori che stanno alla
base della nostra civiltà e della
nostra cultura, tanto apprezzata
nel mondo. Fa cronaca, informa
e fa riflettere, perchè spesso non
disdegna di occuparsi, con grande rigore scientifico, anche di rilevanti fatti culturali e di problemi attuali e scottanti senza faziosità e con la giusta umiltà professionale. Tanti auguri, a Lei e
al suo staff, per il Suo Giornale e
anche per le prossime festività
natalizie. Audentes fortuna iuvat.
Sic vos non vobis..
Con stima
Prof .Rosario Tavano
Fortuna vitrea est.
Tum cum splendit,
frangitur
in cemento. Ma, come si è visto, il
problema si è ripresentato in altri
tratti a causa delle continue piogge.
E’ dunque urgente un ulteriore intervento definitivo di chi di competenza, in primo luogo l’Amministrazione Provinciale che, oltretutto, ora
dispone di un nuovo finanziamento per la stessa strada.
Gaetano Passafaro (Borgia
1920- Genova 2010)
Un uomo apprezzato per i suoi
modi di fare e per la sua costante
operosità nel mondo della scuola e in altri settori della vita sociale. Gioviale e comunicativo,
sapeva mantenere buoni rapporti sociali con le persone. Durante i dialoghi con gli amici, se ne
usciva a volte con qualche sua
simpatica barzelletta.
Da ragazzo, volendo acquisire
conoscenze sull’arte drammatica, per giunta a quelle scolastiche che la scuola gli dava, si mise
frequentare, per alcuni anni, la
casa del drammaturgo borgese
Giovanni Sinatora, amico dell’attore e commediografo romano
Ettore Petrolini, con cui lo stesso Sinatora, per motivi artistici
comuni, si teneva in corrispon-
A Catanzaro Sala, suo luogo di
nascita, Nuccia Tolomeo viene
ricordata spesso. Questa donna
è morta il 24 gennaio 1997, all’età di 60 anni. Oggi, alcuni del
rione Sala la ricordano per la sua
Antonio Zaccone
(segue a pag. 4)
Antonio Zaccone
(segue a pag. 2)
PERSONAGGI
Nuccia Tolomeo
COSE NOSTRE
Cari lettori, regolatevi
Cari Lettori,
repetita iuvant ed inoltre ci piace l’estrema chiarezza. Questo
giornale campa alla giornata. Ed
anche questo numero nasce dopo
molti dubbi. Gli ostacoli non
sono superati, ma è possibile che
riusciremo a coprire i costi di
stampa di questo numero con
l’arrivo di tutti gli abbonamenti
scaduti. E di qualche nuovo acquisto.
A proposito: vogliamo ripetere - come già scritto in altre parti del giornale - che la parola abbonamento per noi non significa impegno assoluto a far uscire il giornale per il prossimo o i
prossimi numeri, ma è riferita
solo ad un contributo a fondo
perduto da parte vostra. Quindi
nessuno vi assicura che, pur versando una qualsiasi somma, voi
riceverete il prossimo numero
del”Corriere”. Dovrete, per forza, anche voi campare di speranza: la speranza che il giornale possa continuare ad uscire
con l’impegno concreto di tutti
(e quello nostro è piuttosto rilevante, del tutto gratuito e con rischio di pesanti perdite in moneta per il semplice amore del
loco natìo). Per cui, regolatevi.
Dateci speranza di vita finchè
potete. Quando vi sarete stancati, molleremo anche noi.
La Direzione
OCEDDHUZZU…
Oceddhuzzu chi bbìani de la Francia,
dimmi: l’amùra cùamu si cumìncia?
“Si cumìncia cu ssùani e ccu canti,
si hinìscia cu ppìani e turmìanti”
Corriere di San Floro e della Calabria
Direttore responsabile: Domenico Paravati
Vice Direttori (ad honorem):
Feliciano Paravati (per i servizi fotografici)
Antonio Zaccone (per Borgia e Catanzaro)
Angiolino Guzzo (per i servizi tecnologici)
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Corriere di San Floro e della Calabria
PERSONAGGI DI SAN FLORO
DALLA PRIMA PAGINA
Gennaro Perciò, “una scarpa sì e una no”
“Ma nell’altro mondo le scarpe non servono più a nessuno, nè ai ricchi nè ai poveri”
. Questa favola (vera) è dedicata
a tutte le persone che per varie
vicissitudini vivono lontano dalla famiglia e a quelle che, da sole
sempre, preferiscono trascorrere
la loro esistenza libere, ma ai
margini della società, alla maniera dei mendìci.
Come Gennaro Perciò, “una
scarpa sì e una no”.
C’era una volta una bellissima
bambina di nome Mariana. Era
nata nel 1944, senza un vero papà
a causa della guerra.
La sua mamma aveva già tre
bambini, due maschietti e una
femmina, lei era la quarta.
Con la miseria che c’era, una
donna da sola, anche se avesse
lavorato come una schiava, non
sarebbe riuscita ad andare avanti;
e così, quando la bambina ebbe
tre anni, la madre dovette scegliere tra l’opportunità di metterla in
un istituto fino al compimento dei
18 anni e quella di darla in adozione ad una coppia di anziani
senza figli. Fu così che ella, pensando di fare la cosa giusta per
Mariana, affidò la piccola a due
signori, marito e moglie. Quanto
soffrì quella bambina strappata
dall’amore materno non si potrà
mai capire. Ma il tempo aiuta a
guarire le ferite e, con il passare
degli anni, ella imparò a chiamare mamma e papà quei signori che
l’avevano adottata.
I primi tre anni passarono velocemente. Forse Mariana era troppo piccola per capire tutto quello
che la circondava. E, iniziata la
scuola elementare, ella cominciò
a subire le discriminazioni che si
portano dietro tutti i bambini che
sono costretti a crescere senza i
veri genitori, poiché anche dai
propri compagni sono considerati come figli di nessuno. A parte i
momenti peggiori di rabbia ed
umiliazione, a parte le tante lacrime versate per le botte frequenti
che essa riceveva dai nuovi genitori, anche per le più piccole cose,
Mariana aveva un carattere allegro e gioioso e, possedendo una
bellissima voce, cantava sempre,
anche dovendo lavorare come una
cenerentola sia in casa che in campagna. Qui la piccola doveva badare a tutti gli animali: alle capre
che davano dell’ottimo latte per la
ricotta e il formaggio, ai conigli,
alle galline, al cane e ai maiali, che
servivano per essere venduti ma
anche per ottenere la provvista di
salame per tutto l’anno.
Nonostante la grande fatica che
faceva, la bambina era felice di
parlare con tutti gli animali, soprattutto con l’asina che cavalcava a galoppo senza basto;
Mariana era sempre contenta, anche se la gente del paese la chiamava maschiaccio perché non
aveva paura di nessuno. Ogni
giorno, dopo la scuola, doveva
andare in campagna a raggiungere ed aiutare nei lavori i genitori,
percorrendo da sola, d’estate e
d’inverno, dieci chilometri a piedi tra discese, salite e boschi di
brughiere in pianura. Di tanto in
tanto aveva paura e allora si metteva a cantare a squarciagola, correndo velocissima giù per i campi.
Quando arrivava vicino alla
fiumara, c’era il pantano tutto buio
anche d’estate; tante volte trovava le figlie del guardiano: esse
andavano dove l’acqua era più
alta e facevano il bagno quasi
nude.
Il padre adottivo era una persona rude ma molto intelligente e,
prima che la piccola imparasse a
leggere da sola, la sera, vicino al
focolare, le raccontava delle fiabe bellissime.
Man mano che Mariana cresceva, egli le insegnò come difendersi
dagli uomini e dagli animali, anche dai serpenti velenosi, mostrandole come ucciderli in caso
di bisogno; ma la cosa migliore egli diceva- era quella di rispettare la loro natura. Il suo motto era
“Vivi e lascia vivere ogni creatura sulla terra fino a che non sei
costretta a difendere la tua vita”.
Glielo ripeteva sempre, come le
ripeteva anche: “Se non fai del
male a nessuno, non devi avere
paura”. Essa capì la lezione, ed
essendo già per natura molto altruista, dava il meglio di sé a tutti
(persone o animali) ricevendo in
cambio affetto e amore dalle brave persone, ma anche tanto male
dalla gente cattiva (così è la vita!).
La mamma adottiva, a modo
suo, forse le voleva un po’ di bene;
ma inconsapevolmente scaricava
sulle spalle della bambina la disperazione e la rabbia contro Dio,
che le aveva fatto morire in modo
atroce il suo unico bambino di sei
anni.
Non potendo più avere figli
suoi, per non impazzire del tutto
aveva dato retta al consiglio di
qualcuno, che le aveva suggerito
di prendersi una bambina forestiera. E così fece. Adottò quella stupenda bambina bionda, piena di
riccioli d’oro, sana e robusta che,
crescendo, diventava sempre più
bella, ma che doveva scontare per
sempre la penitenza di essere viva
e piena di vita, mentre il suo bambino era morto.
.Tuttavia, nei momenti migliori,
la donna insegnò alla piccola tante cose, poiché sapeva anche essere generosa. Le diceva: “Devi
dare quello che hai se vuoi avere
le cose che non hai”. Così
Mariana dava tutto, con tutto il
cuore, a tutti i parenti o agli amici, anche quello che non aveva di
suo, pur di farli felici, pagandone
Anno IV - N° 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2010
poi le conseguenze sulla propria
pelle.
.. Già allora, come adesso, c’erano persone sole che vivevano della carità altrui. E in quel paese,
dove viveva la piccola, c’erano
delle buone abitudini, che ai giorni
nostri, per fortuna, si stanno
riscoprendo.
In occasione del Santo Natale o
della Santa Pasqua, ma anche delle altre feste importanti, quando
nel paese arrivava la banda musicale, tante famiglie ospitavano
con gioia, nella propria casa, offrendo vitto e alloggio gratis, uno
o più componenti della banda.
Anche in casa di Mariana era un
onore tutti gli anni ospitare due
musicanti. Lei in quei giorni era
felicissima poiché diventava la
mascotte di tutto il gruppo
bandistico.
Ma Mariana aveva tutte le domeniche dell’anno un ospite fisso davanti alla sua porta.
Essa abitava in una vetusta casa,
al primo piano. La mamma prima di mettersi a tavola le riempiva un piatto di pasta al sugo di
carne. La bimba scendeva quella
scala vecchia e traballante con la
paura di cadere e portava al suo
ospite, che aspettava fuori in piedi, vicino alla porta di casa, il primo piatto caldo. Egli lo accettava
con le lacrime agli occhi, mangiando con gioia. Poi Mariana ritornava su e riscendeva recando
con sé un bicchiere di vino, una
fetta di pane fatto in casa con la
farina di grano duro e la frutta.
Alla fine risaliva e si metteva a
tavola, incominciando a mangiare con parenti e ospiti.
Eppure, l’unica volta che
Mariana ricordava di aver avuto
una grandissima paura durante la
sua infanzia, fu proprio il suo ospite
a procurargliela, anche senza volerlo. Ma lei era troppo piccola per
capire il linguaggio di un vecchio
sordomuto come Gennaro, così si
chiamava.
Erano i giorni prima del Santo
Natale e, in quel paese della
Calabria dove Mariana era cresciuta, preparavano, allora come
adesso, i dolci fritti in occasione
delle feste. Anche la mamma di
Mariana aveva preparato due
grosse ceste di “zìppoli”, di due
qualità diverse, per mandarli in
dono agli amici o parenti o semplici conoscenti che, per motivi
di bisogno o perché avevano avuto un lutto in famiglia, non potevano prepararli.
La bambina andava a giocare,
ma prima di uscire prendeva cinque o sei “zìppoli” per le amichette e correva giù di corsa. Un giorno, quando era già a cento metri
da casa, incrociò Gennaro che,
non sapendo parlare bene, cominciò a gesticolare, avvicinandosi
sempre più alla piccola. Mariana
lo vide animarsi sempre più. Non
capiva e così si mise ad urlare
dalla paura: tornò indietro di corsa e piangendo si infilò sotto il
letto grande.
La mamma non capiva cosa era
successo perché la bambina non
riusciva a spiegare e allora si affacciò dalla scala e trovò il vecchio Gennaro che stava salendo
con fatica gli scalini. Allora essa
riuscì a capire cosa Gennaro volesse e gli riempì un sacchetto di
carta pieno di “zìppoli” ed egli
andò via tutto contento.
Solo dopo che la madre la ebbe
rassicurata dell’assenza di
Gennaro, Mariana uscì da sotto il
letto ancora piangendo. Se prima
non aveva mai fatto caso al suo
aspetto, da quel giorno, quando
lo incontrava, si rendeva conto
che quello che la gente diceva era
vero. Gennaro doveva avere più
di ottanta anni: era grosso e senza
denti, solo due grandi canini marci. Aveva la barba ed i capelli sporchi e unti come il cappellaccio
pieno di buchi che metteva in testa, il pastrano ed i pantaloni a
brandelli sudici poiché non aveva nessuno che avrebbe potuto
accudirlo e al paese a volte non
c’era neanche l’acqua. A volte
aveva una scarpa sola, tutta rotta
e, all’altro piede portava una calza bucata che faceva vedere tutta
la sporcizia che aveva addosso.
Eppure la bambina, nella sua innocente bontà d’animo non si era
mai accorta di tutta quella miseria che egli si portava addosso. Le
dispiaceva quando gli altri bambini lo prendevano in giro quando passava in mezzo alla strada e
lui faceva finta di alzare il bastone. “Gennaro Perciò , una scarpa
sì e una no!” gli gridavano , per
poi scappare. Ma non sapevano
che quello era proprio il suo nome
e cognome.
Mariana ricorda ancora il giorno in cui sentì suonare le campane a lutto e quando capì che
Gennaro era morto davanti alla
porta della sua casa, mezzo corpo dentro e mezzo fuori, proprio
come tutta la sua vita. Ella andò
al suo funerale: gli avevano fatto
una bara con quattro tavole inchiodate e ad accompagnarlo non
c’era quasi nessuno. Mariana
pianse e ancora oggi, ogni volta
che per la strada incontra qualche
barbone, il suo pensiero torna indietro di mezzo secolo a Gennaro
Perciò e a quelle scarpe che nell’altro mondo non servono più a
nessuno, né ai ricchi né ai poveri.
Mariana Rocca
(Da “Una donna così-Note di
viaggio”-Introduzione di Giovanni Iaquinta-Pubblisfera edizioni
2010-San Giovanni in Fiore –Tel.
0984 993932)
M.Rocca: Ecco la mia storia
mentre ero con mia madre sul Corso di Catanzaro. Io avevo quindici
anni, ero all’ultimo mese della prima gravidanza, ma la mamma mi
aveva già parlato di questa zia che
era rimasta in buoni rapporti con
lei. Mi diceva che io ero l’unica
bionda in mezzo a tante bambine
more perché assomigliavo all’unica zia bionda della famiglia di mio
padre. Così quell’incontro casuale mi ha dato la prova della somiglianza fisica tra me e quella zia
paterna, che non ho rivisto mai più.
Lei aveva cercato di parlarmi di
mio padre che si era rotto una gamba. Io - che avevo tanto risentimento ancora verso di lui perché mi
avevano data via ed egli non era
venuto mai più a trovarmi - le ho
risposto che non una gamba, ma
tutt’e due avrebbe dovuto rompersi; così almeno avrebbe avuto una
buona scusa per non venire a trovarmi al paese dove sapeva a chi
mi aveva lasciata, perché io ricordavo che era venuto due volte con
mia madre, poi si è volatilizzato.
Il perché mia madre non ha potuto chiamarmi Mariana come suo
padre? Solo perché ero figlia del
peccato e della vergogna - perché
ero nata fuori dal matrimonio - e
per questo motivo non ero degna
di portare il nome onorato di mio
nonno. Io non credo che mi abbiano mai vista ed io non ho mai conosciuto né i nonni materni né, tanto meno, quelli paterni. Ame è stata
negata la gioia di conoscere i nonni perché ero una bastarda, un errore dei miei genitori; e non avrei
dovuto neanche nascere, così avrei
evitato tanta vergogna a tutti, solo
per il peccato di essere nata nella
famiglia sbagliata. Ma se non sono
ancora morta, un motivo deve es-
Nuccia Tolomeo
fede religiosa e la ritengono una
santa. Nella loro memoria sono
rimasti impressi il suo modo di
vivere, le sue sofferenze,la sua
incrollabile fede, il suo grande
amore per il prossimo.
Nuccia Tolomeo ha sofferto
molto. Ha trascorso la vita quasi
in completa immobilità. La paralisi le aveva impedito di muovere
gli arti inferiori. Viveva su una
carrozzella. Comunque, la sofferenza fisica non turbava il suo
animo disposto angelicamente
alla preghiera.
Accoglieva in casa le amiche
col sorriso e con il suo messaggio di fede in Dio. In casa, “incollata” alla carrozzella, ricamava a mano la biancheria. Lavoro
e preghiera, preghiera e lavoro.
Per le sue esigenze non le mancavano le attenzioni dei genitori, dei parenti e di alcune amiche. Era desiderosa di assistere
alle funzioni religiose. Una sua
In un libro (“Statale 18” di M.F. Minervino) l’ “anima” di una strada “difficile”
Sogno l’Apocalisse che si porti
via tutto, tutto il brutto della SS
18, lavato via da una gioiosa marea”. Desiderio forse non del tutto campato in aria, visto che la
Calabria è ritenuta terra ballerina
e i precedenti sono abbastanza
noti, come il terremoto, ripetutosi per alcuni mesi, nell’inverno del
1783, che distrusse letteralmente
un centinaio di paesi, come
Cirella, Soverato, Borgia, San
Floro (solo qui 104 vittime), eccetera eccetera, cioè mezza regio-
amica l’aiutava spesso a raggiungere la chiesetta del Rosario di
Sala, poco distante dalla propria
abitazione.
In alcuni suoi scritti è espresso
l’amore per il Signore, per il
prossimo e per tutti i sofferenti
nel mondo.
Ha voluto creare la sua quotidiana preghiera : “Signore, Ti cerco dove c’è dolore. Signore, Ti
cerco dove non c’è luce. Signore,
Ti cerco dove c’è disperazione e
pianto. Signore, ti cerco dove non
c’è amore. E lì Ti trovo, perchè
Tu lenisci il dolore, Tu ridoni la
luce, Tu porti speranza, Tu asciughi il pianto, Tu porti l’amore.
Non lasciarci soli, Signore. Rimani sempre con noi”.
Si dice che Nuccia è “donna di
fede eroica e di virtù sublimi e
che il suo messaggio di gioia e
di speranza è sempre di grande
attualità”.
Antonio Zaccone
Fermate i motori
DALLA PRIMA PAGINA
di Roma, dove è stato presentato
il volume, contesta la sua voglia
distruttiva anche verso la semplice idea del turismo, verso tutto ciò
che ha ormai annullato quella che
una volta era visione eccezionale
della natura (mare-cielo- colline)
intorno alla statale. E il Minervino
arriva a scrivere (pag.88, ma lo
ripete anche a voce): “Ci sono soluzioni possibili? (…) Io certe
volte faccio sogni agitati. Sogno
una catastrofe, un terremoto
selettivo, uno tsunami gentile.
serci: io sono nata per vivere, per
raccontare la mia vita infelice, che
poteva essere diversa se, quando
sono nata, i parenti di mia madre,
per orgoglio ferito e per ottusa
ignoranza, non le avessero girato
le spalle anche se aveva sbagliato.
Non hanno voluto darmi il nome
del nonno Mariano, ma dandomi
il cognome della mamma; di conseguenza portavo il suo cognome:
Maria Rocca invece di Mariana
Rocca.
Arrivata alla terza età sono riuscita a pubblicare la mia autobiografia e mi sono ripreso il mio cognome e quel nome, Mariana,
come nome d’arte che a mia madre era stato negato per ignoranza.
Lei ne ha sempre sofferto; ed io,
anche se è morta da dieci anni, ho
voluto darle la soddisfazione di
portare quel nome che a lei è stato
proibito.
Adesso voglio conoscere il paese
di mia madre – Tiriolo – dove è nata
e cresciuta con la sua grande famiglia; ma anche quello di mio padre
dove sono nata io –Gimigliano –
dove voglio tornare a cercare i miei
antenati al cimitero per costruirmi
il mio albero genealogico e conoscere le mie vere radici, almeno tramite le fotografie e i documenti dell’Ufficio Anagrafe dei Comuni di
Gimigliano e Tiriolo.
Quanto prima spero di riuscirci,
se il Buon Dio - che non mi ha mai
abbandonata - mi darà ancora la
forza e la gioia per poterlo fare.
Sia sempre fatta la Sua volontà sia
in cielo che sulla terra; dove tutti,
prima o poi, dobbiamo rendere
conto a Lui delle nostre azioni buone e cattive.
Mariana Rocca
Lavagna, settembre 2010
ne. E non solo quello del 1783.
Alla predica scritta e orale di
Minervino ha fatto purtroppo riscontro, solo pochi giorni dopo la
presentazione a Roma del suo libro, una cronaca estremamente
drammatica con la morte il 5 dicembre, di un folto gruppo di ciclisti proprio sulla SS 18 nei pressi di Gizzeria ad opera di un
marocchino ventunenne . Una conferma che sulla statale 18 - “trattata” dal Minervino fino alla sua
estrema propaggine di Reggio
Calabria, attraverso i territori di
Pizzo, Nicotera, Mileto, Gioia
Tauro, Palmi, Bagnara, ecc. - può
proprio accadere di tutto.
Certo, ora sarebbe opportuno che
il nostro antropologo o comunque
saggista o narratore, puntasse lo
sguardo (e se non lo fa lui, potrebbe farlo qualcun altro) sulle identiche condizioni della statale 19,
cioè quella che costeggia il mare
opposto, lo Jonio. Ma qui un alibi
per evitare la scrittura di un identico libro forse c’è: la statale 19 sta
per essere riammodernata, con passaggi anche molto interni. Purtroppo, però, il cemento comincerà a
spuntare (e già ci sono i primi segni) anche su questo nuovo tracciato. A dimostrazione che certi
mali, soprattutto al sud, sono
ineliminabili (e scusate il pessimismo).
Domenico Paravati
Mauro Francesco MinervinoStatale 18 – Fandango Libri
s.r.l.- Viale Gorizia 19-00198
Roma-euro 15
Fermate i motori
Distogliete gli sguardi
dal video.
Spegnete il canglore assordante
dei vostri congegni.
Silenzio.
La voce di un passero chiama.
Svolazza sui fiori
variopinta farfalla.
Ronza l’ape operosa.
E una serpe
scivola nera,
lucente,
tra il verde del prato
Luigi Rocca
(Da “L’urlo dello Jonio”poesie- 1981)
Anno IV - N° 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2010
Corriere di San Floro e della Calabria
Drei e Guerrieri, due pittori “geometrici”
ESTATE 1961
I primi resti “profondi” di Scolacium
(e, probabilmente, della greca Skylletion)
Passeggiando su Internet, sono
andato a sbattere sulla famosa e
variamente criticata mostra – dal
18 giugno al 9 ottobre 2005 – delle sculture di Cragg, Fabre e Paladino al Parco Archeologico di
Scolacium (presso la Roccelletta
di Borgia). In un testo molto lungo ma interessante, purtroppo senza firma, c’è un capitolo intitolato
“L’acquedotto”. Ed ecco dunque
la prova che era corrispondente
alla realtà quanto avevo scritto nel
lontano 27 luglio 1961 (il giorno
dopo averne inviato per raccomandata il testo alla Soprintendenza di
Reggio Calabria) in un articolo
pubblicato dal Mattino di Napoli
con il titolo a cinque colonne“Una
necropoli di giganti, una città greca ed i Castra Hannibalis nei pressi di San Floro”. Devo dire che è
la prima volta che mi capita di leggere un riferimento all’escavatrice
della Cassa per il Mezzogiorno
nella piana del Corace in quel mese
di luglio 1961, marchingegno all’opera per far passare i tubi di un
acquedotto, nel cui tracciato il sottoscritto ha avuto la straordinaria
occasione di vedere con i propri
occhi e con quelli di Livio Sabatino
che mi accompagnava, quante rovine fossero (e sono tuttora) nascoste tra la sponda destra del Corace
(già dove c’è il ponte ferroviario)
e l’uliveto della Roccelletta, dove
ci sono gli attuali scavi . Questo il
testo ricavato da Internet:
,
È il 2 agosto 1961 e, in una lettera alla Soprintendenza, Emilia
Zinzi, ispettore onorario storico
d’arte, risponde ad una richiesta
di informazioni sul nominativo dell’impresa che eseguiva a
Roccelletta lavori per conto della
Cassa per il Mezzogiorno, Ente
particolarmente attivo in quegli
anni. Nella risposta Emilia Zinzi
accenna al precedente sopralluogo
di un funzionario della Soprintendenza, sopralluogo effettuato in
data 21 luglio, per verificare l’opportunità di un vincolo richiesto
dalla Zinzi stessa. E la Zinzi prosegue affermando che “l’impresa sta
devastando a più non posso e gli
operai imperversano sui resti alla
ricerca di un favoloso tesoro”. È
questo il primo sommario accenno allo scempio di questa trincea
nell’area del Foro di Scolacium;
ad esso si sarebbe aggiunta la relazione dell’assistente della Soprintendenza Ignazio Pontoriero. I lavori avevano interessato un tratto
di m 1.500 parallelo alla S.S. 106
ed erano eseguiti con una
escavatrice meccanica a pale rotanti fino alla profondità di m 1,50
per una larghezza di cm 60. Nel
terreno di risulta, a lato, Pontoriero
aveva osservato grande quantità di
materiali archeologici, prevalentemente di epoca romana (frammenti
di grossi mattoni, anfore romane,
pavimenti di cocciopesto, di
tegoloni, pietre di tutte le dimensioni e frantumi di blocchi) e nelle
pareti dello scavo “si notano decine e decine di muri romani di vario
spessore tagliati che vanno dal piano di campagna alla profondità di
mt. 1.50, resti di pavimento tra m.
0.80 e m. 1.20, resti di tombe a
cappuccina e a cassa, resti di acquedotti d’epoca romana e di blocchi di epoca preromana. Alla profondità di m. 1.50 resti di basamenti
formati da blocchi squadrati su cui
poggiano i muri di epoca romana.
Il punto più denso di ritrovamenti
è la zona intorno alla villa del ba-
3
rone Mazza…L’escavatrice, pur essendo un ordigno infernale, ha messo in luce i resti di una seconda
Pompei… All’occhio di chiunque
si rechi sul posto si presenta una
visione apocalittica, sembra che
una forza soprannaturale abbia lì
distrutto e sepolto una grande città”. La relazione si chiude concordando con le notizie circa il possesso da parte del barone Mazza
di antichità raccolte dai contadini
nella zona. E poco dopo ancora
Emilia Zinzi, con il resoconto dei
lavori di scavo, comunicava che il
lavoro era alla fine. Sarebbe stata
così inferta una ferita non
rimarginabile alla piazza del Foro
e nessuno avrebbe pagato per lo
scempio. Ma era quello il tempo in
cui non era pensabile che la cultura interferisse sulla costruzione di
un’opera pubblica come un acquedotto.
Riprendo questo testo, ripeto, ad
ulteriore prova che quanto veniva
stampato sul Mattino, a mia firma,
il 27 luglio 1961 (dopo che avevo
inviato una raccomandata a.r. alla
Soprintendenza di Reggio C.) era
ben azzeccato, anche se fino ad allora si ipotizzava che nell’area della Roccelletta ci fossero i resti dei
Castra Hannibalis e non della
Skylletion greca e della Scolacium
romana, di cui, fino a quel momento, era ritenuta epigone l’attuale
Squillace.
Per documentazione (e per legittimo orgoglio) riporto quanto il
Soprintendente De Franciscis mi
rispondeva con lettera del 31 luglio 1961, prot. N. 1516: “Ricevo
la Sua del 26 corrente prima di
partire per la licenza, ma non ho
letto ancora il Suo articolo apparso su “Il Mattino”. Al mio ritorno
sarà mia cura leggerlo e darLe così
il parere sulle scoperte da Lei accennate”. Curioso, molto curioso
che un alto funzionario dello Stato
riceva una lettera con l’annuncio
di una “scoperta” archeologica e,
prima di leggerla, risponda all’interessato. Dubbio che mi viene leggendo quanto riportato nel testo qui
sopra: il 2 agosto 1961 (cioè appena sette giorni dopo il ricevimento della mia lettera a Reggio), la
dottoressa Zinzi “risponde ad una
richiesta di informazioni sul nominativo dell’impresa che eseguiva
a Roccelletta lavori per conto della Cassa per il Mezzogiorno…”.
Avevo appena 21 anni e capisco
che il Soprintendente De
Franciscis, prima di dedicarmi la
Sua attenzione, abbia voluto avere conferma della veridicità di
quanto raccontato dall’esperta di
settore. Sospetti che però svaniscono (o dovrebbero svanire)
quando più sotto leggo che
“…Nella risposta Emilia Zinzi accenna al precedente sopralluogo di
un funzionario della Soprintendenza, sopralluogo effettuato in data
21 luglio, per verificare l’opportunità di un vincolo richiesto dalla
Zinzi stessa.”. Insomma tutto sarebbe avvenuto proprio nel giro di
pochi giorni all’interno dei quali
alla Soprintendenza era giunta la
mia lettera-denuncia. La cosa mi
diventa nuovamente sospetta
quando, ormai sotto le armi come
allievo ufficiale di complemento,
mando una nuova lettera alla Soprintendenza di Reggio (al cui vertice intanto era arrivato Giuseppe
Foti), chiedendo perchè non avessi ancora ricevuto riscontro alle
mie segnalazioni. Ed ecco l’incredibile. Il nuovo Soprintendente,
Giuseppe Foti, in data 5 febbraio
1962, prot. N. 241, così risponde:
“:Ricevo la Sua lettera del 14 gennaio u.s. da Cesano. Poiché è soltanto dal 1° dicembre u.s. che ho
assunto la Direzione di questa Soprintendenza alle Antichità della
Calabria non sono ancora a conoscenza dei rinvenimenti
archeologici avvenuti nelle località da Lei accennate. Se lei pertanto volesse avere la cortesia di
inviare a me personalmente una
copia de “Il Mattino” contenente
il Suo articolo gliene sarei grato”.
Capite? Il 5 febbraio 1962, nonostante la nota della Zinzi in agosto e il mio articolo sul Mattino del
27 luglio, regolarmente protocollato con il n. 1516 del 31 luglio
1961, Foti non era “ancora a conoscenza dei rinvenimenti
archeologici….” . Due sono le
cose: o Foti non diceva la verità o
quanto era stato segnalato da me
sulle scoperte nell’area della
Roccelletta, del Corace
(loc.Abbàte, Aceto e dintorni, dove
emergono tanti cocci greci ) e nelle campagne di San Floro (con la
tuttora misteriosa necropoli
pregreca della Tòzzina e di Santa
Caterina) era esclusivamente nelle mani di funzionari di secondo
grado che, gelosi, non avevano informato il loro capo. Ma quest’ultima ipotesi mi sembra parecchio
assurda.
Gli scavi alla Roccelletta sono
iniziati e ben condotti da un grande esperto, Ermanno Arslan, pochi anni dopo grazie anche alle
insistenze di un altro “dilettante”
(come me), Giovanni Gatti, proprietario del cosiddetto Motel
Copanello. Il quale, da confinato
politico nel periodo fascista, aveva avuto la fortuna di sposare una
baronessa Marincola, possidente
di vasti terreni sul mare, e aveva
lanciato una campagna per assecondare l’ipotesi classica secondo
cui Ulisse era naufragato nel golfo di Squillace; ma soprattutto per
far partire regolari scavi alla
Roccelletta. Quest’ultima notizia
la sentii una bella sera al telegiornale mentre me ne stavo a Roma
ed avevo da poco iniziato la mia
attività professionale al Messaggero. La gioia fu grande.
Ora spero tanto che alla Soprintendenza si rendano conto che
quanto vado scrivendo da tempo
sul tumulo sulla riva destra del
Corace, in una vasta pianura in loc.
Varrèa (la tradizione popolare lo
indica, con una bellissima leggenda, come ‘U Timpunìaddhu de i
Spartacumpari) potrebbe avere
qualche importante fondamento.
Una tomba? E di chi? Di Re Italo?
Dio mi scansi da simile gloria…
Domenico Paravati
Com’era bello il borgo
Com’era bello il borgo.
Quanti uomini seduti
sotto le acacie,
quanti bambini
garrivano alle stelle.
Le acacie son sole,
le panchine vuote.
Un vecchio stanco
trascina il piede
nella via deserta
dove il vento
gioca indifferente
con un foglio ingiallito.
Luigi Rocca
(Da “L’urlo dello Jonio”poesie-1981)
Nelle sue sale espositive
VALMORE STUDIO D’ARTE
a Vicenza dal 10 dicembre 2010
e fino al 26 febbraio 2011 presenta la mostra Sperimentale p.,
Lia Drei e Francesco Guerrieri,
opere anni ’60 - ’70.
Il gruppo Sperimentale p. nasce
ufficialmente nel settembre 1963
in seguito alla scissione del Gruppo 63 (Di Luciano, L. Drei, Guerrieri, Pizzo) con una dichiarazione di poetica al XII Convegno Internazionale di Artisti, Critici e Studiosi d’Arte, Verucchio (Rimini).
Il Gruppo 63, ideato da Francesco Guerrieri, era nato sul finire del 1962 dall’esigenza di
andare oltre l’ In formale che
aveva ormai esaurito la propria
creatività fondata essenzialmente sulla gestualità irrazionale e
condannata ad una ripetitività accademica, comunque distante
dalle nuove istanze costruttive
della società di quegli anni.
Come dice lo stesso Guerrieri
nell’intervista di Teodolinda
Coltellaro in catalogo: “Era il
momento dell’Utopia. Tutti noi
pensavamo di poter contribuire
alla costruzione di un Mondo
nuovo più bello e più giusto. In
vista di questo fine e per l’esigenza di collaborare e approfondire la ricerca nacque spontanea
la volontà di riunirsi in gruppo”.
L’intento dichiarato dello Sperimentale p. (p. = puro) era di costituire un linguaggio veramente
intersoggettivo per superare l’alienazione e l’incomunicabilità dominante. A tale scopo la sperimentazione
doveva essere pura, cioè non condizionata da qualsiasi schematicità teorica o operativa o parascientifica,
per realizzare e comunicare pura creatività.
Coerentemente a questo assunto Lia Drei e Francesco Guerrie-
ri hanno operato sempre nel linguaggio proprio della Pittura,
con i suoi mezzi tradizionali (colori, pennelli etc.), senza ausili
meccanici o tecnologici.
Altra peculiarità dello Sperimentale p. fu che nel corso degli
anni, pur operando all’unisono in
mostre, dibattiti, convegni, scritti, Lia Drei e Francesco Guerrieri hanno sempre conservato e
sviluppato la propria identità artistica, per cui oggi possiamo
considerarli obiettivamente due
personalità inconfondibili. Scriveva Filiberto Menna: “All’interno della poetica comune è comunque sempre possibile individuare la diversità delle due declinazioni, più mentale e riflessiva quella di Guerrieri, più emo-
zionale e felice quella di Drei”.
Il Catalogo Sperimentale P., Lia
Drei e Francesco Guerrieri, in
due volumi, contiene testi critici di
Teodolinda Coltellaro, Cinzia
Folcarelli, Luciano Marziano, Antologia Critica con testi di Giulio
Carlo Argan, Rosario Assunto,
Sandro Barbagallo, Chiara
Ceccucci, Germano Celant, Giorgio Di Genova, Luigi Paolo
Finizio, Emilio Garroni, Filiberto
Menna, Guido Montana, Sandra
Orienti, Nello Ponente, Gabriele
Simongini, oltre ad un’accurata
cronologia e bibliografia di Chiara Ceccucci, Cinzia Folcarelli e
Francesco Guerrieri.
www.liadrei.it
www.francescoguerrieripittore.it
[email protected]
LIA DREI, Struttura A10, 1968, acrilico su tela, cm 100x100
Alla Biblioteca Comunale “F. De Nobili” e al Centro per
l’Arte Contemporanea Open Space di Catanzaro, un particolare evento: “Artist’s Box: Il Luogo dell’anima”. Espongono 56 artisti, tra cui il borgese Francesco Guerrieri. La
mostra resterà aperta fino a domenica 20 febbraio (h. 1720) o per appuntamento (tel. 0961/61839)
I “frattali”, geometria dell’universo
Il cavolfiore e i… frattali
Passeggio tra i banchi del mercato
e qualcosa, all’improvviso, colpisce
la mia curiosità.”Che strano cavolfiore!” mi ritrovo ad esclamare.
“Non è un cavolfiore” mi corregge l’ortolano. “È un broccolo
romanesco.”
Lo compro, lo porto a casa e poi
mi rendo conto che non so come
cucinarlo. Digito su un motore di ricerca le parole “broccolo
che quello che mi sembrava un
banalissimo ortaggio è invece la chiave di lettura di una complessa e rivoluzionaria teoria matematica: quella
dei frattali.
Il termine frattale viene coniato nel
1975 da Benoit Mandelbrot, purtroppo recentemente scomparso, per
descrivere alcuni comportamenti
matematici definiti caotici. Deriva
dal latino fractus (rotto, spezzato) e
indica un oggetto geometrico che si
stesso riuscì a dimostrare che la geometria frattale ci circonda più di
quanto si possa immaginare. Dai cristalli dei fiocchi di neve alla struttura
dei nostri polmoni, da un rametto di
felce a certi indici economici i frattali
descrivono con eleganza e semplicità il moto incessante della vita, l’improbabile caos che ci permette di andare avanti.
E così, d’ora in poi, quando cucinerò un piatto di pasta e broccoli non
romanesco”, convinta di trovare
qualche gustosa ricetta. Vengo invece catapultata in un mondo diverso
fatto di matematica, strane figure
geometriche e formule. Scopro così
ripete nella sua struttura allo stesso
modo su scale diverse. Questo vuol
dire che se guardiamo il nostro broccolo con una lente di ingrandimento
non cambia aspetto. Mandelbrot
lo farò solo per mettere qualcosa di
appetitoso nel mio piatto, ma sarà
un modo per celebrare la mente di
un grande matematico.
Irene Prunai
Lettere al Direttore
Roma, 1 novembre 2010
Sig. Paravati,
(…) Conservo, con la cura affettuosa che ho verso la mia terra, tutti i numeri del Corriere
da Lei con ammirevole dedizione diretto.
Cordialissimi saluti,
Francesco Guerrieri
Roma, 2 novembre 2010
Sig. Domenico Paravati,
sono un lettore ed ammiratore del suo giornale. Vivo come
lei lontano dalla Calabria. Da ormai 23 anni mi trovo a Roma,
sono di Borgia, ex alunno del
Maestro Antonio Zaccone.
Rinnovata la mia stima nei suoi
confronti, vorrei inviarle una
mia ricerca sui territori dove
abbiamo lasciato parte del
nostro cuore e della nostra anima.
Luigi Aloi
***
Nel numero scorso abbiamo
pubblicato la famosa poesia in
dialetto vibonese di Vincenzo
Ammirà dedicata alla sua pipa.
Abbiamo inviato la traduzione di
alcuni pezzi salienti al nostro
amico e collega Giuseppe
Prunai, che è toscano e da sempre fumatore di pipa. Ecco cosa
ci ha risposto:
E’ una bellissima lirica che meriterebbe di essere tradotta in
versi e diffusa. Ho aspettato per
leggerla di avere fumato la prima pipata della sera, con tabacco forte: mi ha ispirato. Fra poco
ne accenderò un’altra che fumerò sorseggiando un cicchetto,
non ho ancora deciso se di grappa di genziana o un calvados,
che è un distillato di sidro di
mele, molto aromatico e molto
secco. Il calvados era il liquore
preferito del commissario
Maigret, anche lui accanito fumatore di pipa.
Beppe
4
Corriere di San Floro e della Calabria
QUASI UNA SANTA
DALLA PRIMA PAGINA
Edmonda Pugliese, da Borgia al Cielo
A trent’anni dal passaggio in cielo, suor Edmonda Pugliese continua a parlare all’uomo di oggi con
quel sorriso che era solito donare
a chiunque si soffermava a parlare
con lei. Le sue dolci parole continuano a riecheggiare nel cuore di
chi l’ha amata e conosciuta.
Nata a Borgia il 20 giugno 1915,
riceve il battesimo lo stesso giorno. A 18 anni fa ingresso nell’Istituto delle Figlie di Maria Immacolata di Roma, in viale Mazzini.
La sua speciale missione era stata
profeticamente annunciata dalla
fondatrice Brigida Postorino: “sarai grande e la Madonna farà di te
una stella della sua corona”.
Nel 1934 fa la vestizione religiosa a Velletri. A Reggio Calabria,
nel 1941, emette i voti perpetui e
per tutti sarà suor Edmonda.
La bontà e la carità costituiscono
il punto cardine della sua missione.
Fonda l’orfanotrofio di San Giorgio Ionico, in provincia di Taranto.
Gli anni della vita religiosa sono
intessuti di sofferenze fisiche, a
completamento della sua missione
a vantaggio delle anime. La sofferenza è vissuta da suor Edmonda
con quell’amore cristiano che rende sublime ogni minima afflizione.
Nel 1961 fonda e dirige a Salerno
una scuola materna, dedicandosi ai
bambini con l’amore sincero di una
mamma affettuosa. Ben 33 interventi chirurgici hanno martoriato il
corpo della religiosa ma non l’anima della stessa che non ha mai mostrato segni di scoraggiamento o di
ribellione. Suor Edmonda ben sapeva che ogni minima sofferenza
terrena avrebbe aiutato Dio nell’opera della salvezza ed avrebbe
costituito un merito eterno. La sua
esistenza terrena finisce il 5 febbraio
1981. Un cuore buono e un’anima
speciale.
“Tutta la mia vita per me è stata
una missione e in Gesù e per Gesù
mi sono donata a tutti senza misura.”.
Domenico Procopio
BORGIA
La geometria dell’ingegnere-scrittore
L’esperienza letteraria di Pietro
Danieli - ingegnere all’ufficio tecnico di Borgia -comincia con un
successo: L’Imperfetta Geometria, edito da Rubbettino Industrie
Grafiche ed Editoriali per conto
di Calabria Letteraria Editrice.
E’ un libro che si legge tutto d’un
colpo, con una trama interessante
e intelligente, capace di catturare
il lettore con uno stile semplice,
efficace e moderno.
Gli argomenti intorno al quale
ruotano le vicende dei protagonisti sono rappresentati dal disagio
vissuto nel quotidiano divenire,
dall’insoddisfazione per la condizione precaria e dall’alienazione,
riflesso assoluto di una società del
consumo immediato, capace cioè
di dare tutto e subito senza alcun
criterio e prospettiva, dimenticando l’essenziale. E’ evidente che
viene fuori un senso di non appagamento per la vita e di smarrimento dei valori essenziali e vitali. Dall’altro, argomento cardine
è la malattia, nello specifico il
cancro, il terribile male che rie-
sce a sconvolgere la vita delle
persone privandole finanche della dignità.
Il protagonista si muove tra le
varie tematiche, permeate da ricordi, immagini e riflessioni della propria vicenda umana. Un libro per tutti, adatto a chiunque: ai
giovani, in quanto racconta i disagi tipici della giovinezza; agli
ammalati, in quanto riesce a cogliere il lato umano della infermità, ai meno giovani perché, in
maniera intelligente, racconta le
minacce e le insidie della società
moderna e del modernismo eletto a punto di arrivo.
Il lettore potrà riconoscere in
qualche frase, in qualche vicenda
un proprio frangente di vita quotidiana.
La storia raccontata è quella di
tutti i giorni, è la storia dell’adolescente, dello studente, del professionista, dell’anziano, dell’uomo in quanto tale, che volge lo
sguardo indietro, cercando di
scrutare e ripercorrere a grandi linee la storia della propria vita.
Come si intuisce, non si tratta
di un comune libro sull’alienante
disagio tipico dei nostri anni oppure sulla cronaca di una malattia. Esso rappresenta una pensante fusione delle tematiche mediante una articolazione che fa scorrere il racconto da un argomento
altro, un susseguirsi di capitoli
senza soluzione di continuità ma
nell’intento di fotografare la realtà contingente.
Il protagonista del romanzo è un
ideale cantastorie che, dietro alle
proprie vicende, racconta e svela
la vita e le vicende di molti, dei
più, le vicende di un’intera generazione. L’Imperfetta Geometria
è un romanzo d’amore, un amore
viscerale verso la vita che, per
quanto inappagante, sfuggente o
dolorosa essa sia, vale comunque
la pena di vivere in tutte le sue
calde tonalità.
Un lavoro eccellente, a dimostrazione delle notevoli capacità
di Pietro Danieli, al quale auguriamo un grande successo.
Domenico Procopio
SCHEGGE DI ARCHEOLOGIA
Krotalla e il tumulo, una fissazione
“Crotalla fu città antichissima,
presso alle rive del Crotalo, dal
quale trasse il suo nome; e quivi
intorno si sono trovate molte rovine della città distrutta, avanzi
di fabbriche laterizie e di acquedotti, rottami di colonne
marmoree scanalate, e statue e
vasi di terra cotta, ed altre
anticaglie”..
“.. Il Crotalo è il Corace di
oggi, il quale sbocca un miglio
lontano dalle rovine della città
antica. Plinio poneva il Crotalo
tra i fiumi navigabili del seno
scilacense, ma era tale forse
presso alla foce, dopo ricevuti
il fiumicello di Borgia e il Limbi”
(Da “L’Italia meridionale –
L’Antico Reame delle Due
Sicilie- Descrizione Geografica,
Storica, Amministrativa- per
Giuseppe De Luca- Napoli,
1860- Pagina 117).
ti chiamate i Limbii (con due “i”).
Credo siano quelle che danno origine al fiumicello Vrisa (dal greco appunto “sorgente”), che va a
congiungersi, nella valle all’altezza dell’abitato di San Floro, con
il Sadderàbile; il quale poi diventa
a pieno titolo la Fiumarella di
Borgia; che a sua volta va a versarsi nel Corace.
Secondo la descrizione del De
Luca ( “…il Corace….il quale
sbocca un miglio lontano dalle
rovine della città antica…”), l’antica Crotalla dovrebbe essere
quella che poi è stato praticamente accertato essere la greca
Skylletion e la romana Scolacium.
Ma io direi di andarci piano sulla
localizzazione di Crotalla. Infatti, sulla collinetta dell”Abbate, in
comune di San Floro, circa cinquecento metri prima della confluenza tra il Solerìa (Usito) e il
Corace, nel 1961 ho avuto modo
di raccogliere dei reperti certaNelle campagne sanfloresi esi- mente greci e nelle stesse vicinanstono effettivamente delle sorgen- ze (come nelle campagne di Ace-
to) periodicamente emergono altri segni antichi. Come del resto è
avvenuto di recente intorno alla
costruzione dell’edificio della Regione Calabria, nei pressi. È fin
troppo noto che molto spesso i
coloni greci conquistavano territori che erano occupati da popolazioni preesistenti. Niente di strano quindi se quella che gli scrittori greci chiamavano Crotalla (o
Krotalla, da cui il nome del fiume Krotalos e poi Crotalus, il
Corace) sorgesse su un’aggregazione urbana preesistente, magari di origine sicula o comunque
pre-ellenica.
E insisto ancora sulla presenza
in zona, in loc. Varrèa, di una
collinetta che sorge improvvisa da
un vasto pianoro accanto alla
sponda destra del Corace e che
potrebbe ben essere un antico “tumulo”; il cui interno potrebbe rivelare qualcosa di molto importante (la tomba di Re Italo o di un
altro personaggio pre-greco?).
(D.Par.)
SCHEGGE DI ARCHEOLOGIA
Il “tesoretto” di Soverato
In occasione del 150° anniversario dalla nascita dell’archeologo
Paolo Orsi, primo Soprintendente
in Calabria e a 95 anni dalla scoperta del tesoretto di Soverato, entrambi i lotti delle monete, disgiunti
dal 1915, sono esposti per la prima
volta nel Museo Archeologico
Anno IV - N° 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2010
Scolacium a Roccelletta di Borgia
fino al 18 gennaio.
Di questo e altro dobbiamo ringraziare la Soprintendenza
Archeologica, nella persona della dott.ssa M.T.Iannelli e il privato proprietario della quota parte
spettante allo scopritore quale pre-
mio di rinvenimento e da questi
successivamente acquisita.
Un’occasione da non perdere non
solo per i cittadini di Soverato, anche per visitare lo stesso museo ricco di testimonianze storiche della
città romana alla quale certamente
era legato il territorio soveratese.
Gaetano Passafaro
denza.
Studente dotato di spiccate capacità di apprendimento, conseguì l’Abilitazione Magistrale con
il massimo dei voti.
Voleva entrare subito nella
scuola come docente, ma il suo
fondato desiderio si realizzò alcuni anni dopo.
Dopo essersi diplomato, fu
chiamato alle armi .Vi rimase per
ben quattro anni, dal 1939 al
1942. Il suo servizio militare avvenne nell’arco di tempo in cui
l’Italia era impegnata nell’occupazione dell’Albania e successivamente nella seconda guerra
mondiale. Il Passafaro fu due
volte ferito. Per questo motivo
ricevette due Croci di Guerra e
lo si fece tornare alle vita civile.
Nel 1943 si unì in matrimonio
con Angela Fiorentina Peta, donna gentile ed affettuosa, originaria di Caraffa, la quale gli diede
tre figli: Domenico, Mariangela
e Anna.
Nello stesso anno fece il suo
ingresso nella scuola primaria di
Stato. Fu l’inizio di un lungo e
proficuo lavoro durato 42 anni,
dei quali venti a Borgia c.c. (dal
1945 al 1965); gli altri anni di
servizio svolse in altre sedi (il
primo a Roma, il secondo a Caraffa di Catanzaro, e dal 1966 a
Genova dove concluse la sua
brillante carriera di docente).
Nei due decenni di attività,
portati a termine nel suo paese
natìo, Gaetano Passafaro mise al
servizio della scuola anche le sue
conoscenze di arte drammatica,
avvicinando così gli alunni ai
valori del teatro. L’attività di
drammatizzazione si rivelò arte,
studio e gioco, e si pose nel contesto delle discipline di studio
come momento necessario per
una più completa formazione
basilare della personalità del
discente.
Per le sue importanti iniziative
di natura didattica meritò il riconoscimento da parte delle autorità scolastiche locali e provinciali.
A Borgia, come “fiduciario”,
ebbe l’incarico di vigilare al
buon andamento dei corsi speciali “per adulti”, istituiti nel paese, nei primi Anni Cinquanta,
per interessamento dell’ispettore scolastico provinciale G. Battista Provenzano, al fine di debellare l’analfabetismo ivi esistente (i corsi, della durata di alcuni anni, funzionavano qua e là,
presso famiglie accoglienti, nelle
cui abitazioni si radunava un limitato gruppo di “alunni”, ai quali
gli insegnanti addetti impartivano i primi elementi del sapere: leggere, scrivere, far di conto.
Nel 1954 scrisse i testi necessari alla Rai-Radiotelevisione
Italiana per effettuare da Borgia
una trasmissione sperimentale.
Nel 1957, il Presidente della
Repubblica, Giovanni Gronchi,
su proposta del Ministro della
Pubblica Istruzione, on. Aldo
Moro, gli conferì il diploma di
Medaglia di bronzo ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e
dell’Arte.
Gaetano Passafaro, oltre al suo
amore per la scuola e per l’arte,
si interessò di politica. A Borgia
fu più volte eletto consigliere
comunale e ricoprì, per un anno,
la carica di Sindaco f.f.
In Liguria si fece apprezzare
per la sua profonda cultura e per
la partecipazione alla vita sociale.
Da pensionato raggiunse più
volte , per brevi periodi, il suo
paese natale per incontrarsi con
gli amici e per essere presente
alle festività religiose.
Trascorse la sua lunga esistenza contraccambiando il costante
affetto della sua gentile moglie e
dei suoi cari figli.
Negli ultimi anni di vita riprese
la lettura delle opere del filosofo
che privilegiava: Emanuele Kant.
Le sue spoglie mortali riposano nel cimitero di Borgia.
Antonio Zaccone
BORGIA
Ricordo di Don Rocco Cassadonte
Quando si è in riflessione affiorano ricordi che nel nostro animo
sono sempre vivi. In uno di questi
momenti ho rivisto Don Rocco
Cassadonte alle prese
con la comunicazione
attraverso la sua attrezzatura. Passava dei
momenti di solitudine
parlando con il mondo. Egli contribuì alla
crescita della comunità borgese, tenendo
unito un popolo, sia
sotto l’aspetto teologico che civile. Oggi mi
pregio di ricordare
quest’Uomo che, in
modo determinante, ha contribuito
al progresso della comunità.
Tanti sono i motivi che mi spingono ad imprimere su carta il passaggio terreno di questo Arciprete;
il quale, con la sua umile autorevolezza, ha fatto sì che tutti i
borgesi del mondo si ritrovassero
nel punto di riferimento, la terra
natìa, che , per svariati motivi, avevano dovuto lasciare. Una terra
ingrata, lasciata non certo per
disaffezione ma per necessità.
Rocco Cassadonte, Presidente dell’Ordine degli Avvocati Ecclesia-
stici di Catanzaro, era stimato non
tanto per la figura giuridica che
rappresentava, ma particolarmente per quella umana.
Don Rocco Cassadonte tra
i ragazzi di Borgia
Narrando parte della storia di questo personaggio, voglio che tutti
sappiano di un primato, che solo una
mente fine come quella di Don
Rocco poteva escogitare e, mettere
in pratica. Parlando in termini giuridici, l’Istituzione cattolica disciplina la vita degli adepti, nonché le varie gerarchie, sia i prelati e sia le
cose che fanno parte di esse. Noi
sappiamo che il tempio dove si svolgono le funzioni ecclesiastiche ha
diverse denominazion. Una di que-
I salesiani a Borgia
agli inizi del Novecento
Dal “Bollettino Salesiano –Anno
XXXV-n. 7-Torino-Luglio 1911”
(ripreso da Luigi Aloi nel suo
“VIAGGIO FANTASTICO
NEI LUOGHI DI BORGIA”)
***
“…Anche la festa celebratasi nell’Istituto Salesiano di Borgia, in
Calabria, è stata un’affermazione
solenne della divozione alla Vergine Ausiliatrice dei giovani di quel
fiorente Oratorio e del popolo di
Borgia, San Floro e paesi
circonvicini. Tutto il giorno fu un
accorrere di grande moltitudine per
cantare le lodi ai piedi della bellissima statua di Maria; e continua fu
l’affluenza nel mattino ai SS. Sa-
cramenti.Alla Messa solenne si eseguì egregiamente dai giovani
cantori la Messa “Benedicamus
Domino” del Perosi, con accompagnamento di piccola orchestra.
“Ma l’aspettativa generale e il
concorso veramente straordinario
furono la sera. L’edifizio dell’Istituto, il cortile, il palco della musica
e parte della strada apparvero artisticamente ornati con bandiere e
splendidamente illuminati dai palloncini alla veneziana”
ste è “Duomo”. Il Duomo è proprio delle sedi Vescovili, in questo
caso Catanzaro e Squillace. Ma,
guarda caso, a Borgia c’è il terzo,
voluto da questo singolare prete, il quale si è
pregiato, durante
l’inaugurazione, di ringraziare tutta la comunità borgese nel mondo per il contributo nella realizzazione del restauro della Chiesa
Matrice, oggi, appunto,. “DUOMO”.
Era doverosa, da parte mia, l’esaltazione di
Don Rocco, proprio
per il suo essere geniale, nonché per
l’attenzione e l’affetto che Lui poneva nei miei confronti. Lo scrivente, da solo o unitamente all’amico
Franco Paccone, lo andava a trovare in sacrestia, per passare dei momenti diversi; e Lui ci allietava con
liquori e pasticcini. Corre lesta la
memoria a quel 1983, che lo ha visto ancora protagonista nella condizione d’ammalato, ricoverato
presso il nosocomio civile di
Catanzaro. Aveva espresso, prima
di morire, il desiderio di vedere il
Papa. Proprio quell’anno ci fu la
visita del Pontefice Giovanni Paolo II° in Calabria. Il desiderio di don
Cassadonte si manifestò e fu accolto . E quindi con quell’atto don
Cassadonte finì il suo passaggio
nella vita terrena.
L’aneddoto è molto significativo
perchè evidenzia la potenza dell’Eterno nell’esaudire i desideri
umili degl’uomini.
Con questo scritto, Pietro vuole
ringraziare quest’uomo per tutto il
bene profuso per l’ unità dei
borgesi. Perchè se l’unità vince la
divisione perde. Grazie,don
Cassadonte!
Pietro Rijillo
Questo giornale è su Internet nel sito
www.webtvborgia.it
Anno IV - N° 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2010
Corriere di San Floro e della Calabria
RICORDI DI GUERRA
MILANO
Quei fortini nelle nostre campagne
e l’Italia tagliata in due: Nord e Sud
Le nostre strade – per esempio quella che dalla Roccelletta
porta a Borgia e a San Floro,
nelle due diramazioni; ma anche le nostre campagne, come
la “Conéddha” - sono tuttora
costellate di fortini in cemento
armato costruiti nell’ultima
Guerra Mondiale (e con l’occasione diciamo che il fortino
alla “Coneddha” è sul filo di
una frana, e quindi sta per
scomparire). Queste postazioni
fisse dovevano servire a frenare l’avanzata degli Alleati. Ce
ne sono veramente tanti e un
giorno bisogna pure che qualcuno si interessi per registrarli
ed evitare che vengano distrutti -cosa però tecnicamente non
facile- perché ricordano un pezzo della nostra storia, quella finita, grazie al cielo, con la sconfitta del fascismo e l’avvento
della repubblica democratica. A
proposito pubblichiamo qui di
seguito un articolo di Giuseppe Prunai, giornalista ex Rai
(originario di Siena, ma il suo
papà ha ricostituito l’archivio
storico di Catanzaro) che ricorda appunto – con un occhio
particolare alla propria famiglia - una pagina di storia legata alla tragedia dell’ultima
guerra. Lo aveva scritto in occasione della ricorrenza del 25
Aprile, festa della Liberazione.
***
Scorre il corteo del 25 aprile,
un serpentone per le vie del centro di Milano, una marea di bandiere, tante quelle rosse. E il pensiero ritorna a 65 anni fa. Ero un
ragazzino di 9 anni e gli avvenimenti del tempo di guerra mi si
sono stampati nella mente a caratteri indelebili. Ancora cinque
anni addietro e rivedo come in
sogno la mia famiglia riunita nel
salotto buono della nostra casa
di Siena attorno alla radio, il 10
giugno del ’40, per ascoltare
Mussolini che annunciava la dichiarazione di guerra. Ricordo
l’entusiasmo dei più giovani, mio
padre e mio zio (in quattro mesi
arriveremo fino a Londra, dicevano), e mio nonno che bestemmiava perché –protestava – anche nel ’15 dicevano la stessa
cosa, invece la guerra durò quattro anni. Poi l’immagine svanisce e vedo mio padre, in divisa
di ufficiale di marina, che parte
per la base di Tolone, nella Francia meridionale occupata. Ma
dove si trovasse, lo sapevamo
solo in via confidenziale, perché
la corrispondenza portava un misterioso indirizzo: “Posta Militare 999”. E poi gli allarmi aerei
(da allora, tutte le volte che sento una sirena ho un brivido) e le
corse verso il ricovero antiaereo.
Ma qualche volta, con mia madre, non l’abbiamo raggiunto in
tempo, siamo rimasti all’aperto.
E allora ho sentito il rombo assordante delle formazioni di fortezze volanti, il rumore sguaiato
dei caccia in picchiata, lo sgranare delle mitragliatrici, gli
spezzoni, le bombe. Le ho viste
staccarsi dalla pancia degli apparecchi e scendere a terra (la
loro forma mi ricordava quella
delle melanzane: forse è per questo che non ne mangio quasi
mai), ed ho ancora nelle orecchie
il fischio roco che producevano
fendendo l’aria e poi il boato, la
polvere sollevata, il rumore dei
palazzi che crollavano. Poi l’entusiasmo del 25 luglio 1943 ( il
ricordo è associato a quello della rottura del mio pallone, finito
sulle lance dell’unico cancello
sopravvissuto all’ammasso dei
metalli) e l’8 settembre. Tutti credevano che la guerra fosse finita. Invece….
Invece vedemmo arrivare colonne e colonne di tedeschi e di
5
repubblichini. Cominciarono i
rastrellamenti dei partigiani, le
fucilazioni sul piazzale della caserma Lamarmora. Poi la ritirata
dei tedeschi e delle bande disperate di fascisti che andavano al
Nord saccheggiando le città e facendo saltare tutti i centri di comunicazione: telefoni, ponti,
strade e, ovviamente, centrali
elettriche. Infine, la liberazione,
il 3 luglio 1944 e la sorpresa,
abituati come eravamo a squilli
di tromba ed inni marziali, nel
veder gli alleati sfilare al canto
di “Rosamunda”! In testa al corteo c’erano i ragazzi di “Giustizia e libertà” e della “Garibaldi”.
Però l’Italia fu tagliata in due e
noi, per diversi mesi, fino alla capitolazione della Germania, non
sapemmo più niente di mio padre. Era stato catturato dai tedeschi l’8 settembre e deportato in
Germania, lager di Wietzendorf,
dove furono rinchiusi gli italiani
che non aderirono alla repubblica di Mussolini, declassati da prigionieri di guerra a IMI:
“Italienische Militär Internierten”,
internati militari italiani. Il Führer
non riconobbe il Regno d’Italia,
ignominiosamente trasferito a
Brindisi, e i militari rimasti fedeli
all’unica Italia vera e legittima,
furono considerati ribelli alla Repubblica Sociale Italiana.
Che mio padre fosse prigioniero dei tedeschi lo apprendemmo
da Radio Monte Ceneri che ogni
sera, alle 21, trasmetteva, per
conto della Croce rossa internazionale, lunghi elenchi di prigionieri di guerra. La sigla della trasmissione era l’intermezzo della
Cavalleria Rusticana di
Mascagni ed oggi, a 65 anni di
distanza, se sento quel brano mi
commuovo. Dopo diverse sere di
ascolto, fu letto il nome di mio
padre. Tornò a casa nel settembre del 1945 dopo due anni di
LE POLEMICHE SU “ANNO ZERO”
Sante Casella: “No al disprezzo della religione cattolica”
Da Sante Casella, giornalista pubblicista di Rende (Cs) , riceviamo e pubblichiamo questa nota
-lasciando liberi i nostri lettori di esprimere a loro volta un giudizio- in merito ad una polemica
sostenuta da un sacerdote suo amico in riferimento alla trasmissione di Rai 2 “Anno Zero”, in
particolare a certe vignette di Vauro.
Caro don Enzo,
condivido e sottoscrivo il fondo del n. 3 di “Parola di Vita” dal titolo “Satira volgare e senza stile”,
come pure l’altro editoriale di spalla “Sono un prete stufo di fango”.
Aggiungo che trasmissioni volgari, blasfeme, faziose condotte da pasdaran della cultura
comunistoide (come Santoro, Vauro e Travaglio) servono solo a gettare fango sugli avversarinemici (cultura del marxismo-leninismo) ed obiettivamente aizzano all’odio di classe ed anche al
disprezzo della religione cattolica e dei suoi rappresentanti. Ad iniziare dal Sommo Pontefice.
Della cui presenza in Italia dovremmo andare fieri ed orgogliosi tutti (credenti e non credenti); ma
che non apprezzeranno mai (che Iddio li perdoni) gli invasati della filosofia della “religione oppio
dei popoli”. Settori intellettuali blasfemi ed atei, che strumentalmente, spesso, chiedono spazi e
comprensione per altre religioni come l’Islam. Ma al solo scopo strumentale e perfido di isolare e/
o indebolire simboli e rappresentanti della religione cattolica. Attacchi ed insidie alla nostra religione che, non a caso, provengono da settori politici ed intellettuali radicali facenti capo (e trovando proseliti) nella sinistra estremistica o moderata, debole e succube degli estremisti legati
alla violenza ed alla religione della dea ragione o della superiorità dell’uomo ridotto a materia e
senza qualità spirituali. Sinistri radicali e postcomunisti in Europa hanno ostacolato, anzi impedito che nella Costituzione Europea si desse atto delle radici cristiane del vecchio continente.
Spiace che anche don Sciortino di Famiglia Cristiana , preso da pregiudiziale antipatia verso il
governo Berlusconi, si unisca spesso alle critiche, tutte sinistre, portando acqua al mulino dei
laicisti ad oltranza. Dimenticando che la stragrande maggioranza degli elettori del centrodestra
(sia pure con i loro peccati. Ma chi non ha peccati e può scagliare la prima pietra?) è legata ai
valori ed alle direttive della Chiesa Cattolica.
Preciso che non appartengo ad alcun partito politico. Ma credo nella libertà e non vorrei che i
posteri dovessero avere a che fare con gli eredi del comunismo: Ideologia criminale che ha
prodotto nel mondo 100 milioni di morti. L’altro flagello del ‘900, il nazifascismo, ha prodotto 25
milioni di morti.
Cordiali Saluti.
Sante Casella
giornalista cattolico
stenti: il giorno della liberazione
pesava soltanto 30 chili.
Ma torniamo a quel 25 aprile
di 65 anni fa. A tarda ora udimmo il suono del Campanone della Torre del Mangia: è un evento
eccezionale a Siena che può annunciare gran festa, come il Palio, o gravi occasioni. Accendemmo la radio, sintonizzammo Radio Milano Liberata che trasmetteva in continuazione il proclama insurrezionale di Sandro
Pertini.
Nei giorni successivi, sempre
dalla radio, apprendemmo della
liberazione dell’Italia del Nord,
del meschino tentativo di fuga di
Mussolini e dei gerarchi, della
loro fucilazione.
I conti erano saldati, si disse
allora. Mancava solo il ritorno
dei prigionieri di guerra, sparsi
un po’ in tutto il mondo, e degli
IMI: il governo italiano se ne disinteressò bellamente e così gli
IMI di Wietzendorf tornarono a
casa con mezzi di fortuna, su camion militari, su automezzi rubati, qualcuno in bicicletta, sui
rari treni che ancora viaggiavano. Puntarono su Friburgo con
l’intenzione di passare per la
Svizzera. Ma la Confederazione, che l’anno prima aveva concesso il transito alle truppe
naziste in armi, lo negò agli IMI.
Non rimase loro che attraversare la Foresta Nera, tagliare per
il Tirolo e raggiungere il
Brennero.
Giuseppe Prunai
La nuova sede
del Circolo della Stampa
Il Circolo della Stampa di Milano
ha ripreso la sua attività nella nuova
sede di Palazzo Bocconi, in corso Venezia 48. L’utilizzo di parte del
prestigioso immobile è stato possibile grazie a un accordo con la società
Munich Re, gestore di Palazzo Bocconi.
Munich Re, società tedesca di assicurazione di assoluto valore
mondiale, ha la sua sede italiana
nella parte est di Palazzo Bocconi
che ha provveduto a ristrutturare
accostando alla solidità della tradizione concetti assoluti di
modernità. L’intervento di sistemazione delle facciate, esteso all’intero immobile, in coordinamento
con la Soprintendenza ai monumenti architettonici di Milano, ha restituito l’originaria immagine di magnificenza civile di Palazzo Bocconi. Alla sistemazione della facciata, si è aggiunto il recupero delle
aree adiacenti, in particolare del cortile tra i due corpi di fabbrica interni, con il ripristino del disegno originale della pavimentazione.
Il Circolo della Stampa occupa la
parte ovest del palazzo e si sviluppa
su tre livelli per oltre 1400 metri quadrati. L’immobile conserva intatti gli
ambienti gentilizi creati dall’architetto Antonio Citterio chiamato nel
1908 dalla famiglia Bocconi a realizzare l’opera. Entrando, a sinistra,
una imponente scalinata, con
corrimano impreziosito da statue
bronzee, porta al piano nobile dove
si estende un luminosissimo salone
che guarda il giardino interno ristrutturato nel suo stile originario. Ai lati
ampie sale, caratterizzate da stucchi,
specchi e soffitti affrescati, si affacciano sui giardini di Porta Venezia
progettati e realizzati tra il 1782 e il
1789 dall’architetto Giuseppe
Piermarini.
Ferdinando Bocconi (1836-1908)
dopo aver svolto l’attività di commercio ambulante, nel 1865 con il
fratello Luigi (1839-1900) apre una
bottega di sartoria in via Redegonda.
Nel 1889 viene inaugurata la nuova
sede in Piazza Duomo che assume
il nome di La Rinascente.
Dal matrimonio con Claudina
Griffini, Ferdinando Bocconi avrà tre
figli: Luigi (1869-1896), Ettore
(1871-1932) e Ferdinando (18731913). Per ricordare il figlio Luigi
deceduto nel 1896, Ferdinando fonda, nel 1902, l’omonima Università
commerciale.
La moglie di Ettore Bocconi,
Genoveffa Javotte Manca di
Villahermosa, senza eredi, il 2 maggio 1957 dona tutti i beni della famiglia all’Associazione Amici della
Bocconi, con il desiderio che “l’immobile di corso Venezia 48 sia adibito a sede permanente dell’associazione donataria”. I Palazzi Bocconi ai
civici 46 e 48 saranno successivamente sede dell’Associazione Amici della Bocconi e dell’Associazione Laureati della Bocconi.
In questa sede di altissimo prestigio
trova continuità l’attività culturale che
da sempre contraddistingue il Circolo della Stampa, fondato dall’Associazione Lombarda dei giornalisti nel
1949.
Giovanni Negri
NON TIRATE MOCCOLI
“Dio sia benedetto”, uno studio di N. Sinopoli
L’autore, ex alto dirigente Rai, è originario di San Vito sullo Jonio
Tirare un moccolo può capitare a tutti nella vita, prima o poi.
Ma c’è chi esagera o non si rende conto che può offendere chi
gli sta vicino. Purtroppo a me
capita spesso, è un vizio che non
riesco a levare di mezzo. E quindi ho strabuzzato gli occhi quando Nicola Sinopoli, ex altissimo
dirigente Rai ed originario di San
Vito sullo Jonio, mi ha fatto pervenire l’ultima sua creatura di
studioso del passato. Il libricino,
in pochi esemplari per amici,
sembra fatto apposta per tirare
una salutare frecciata a me. Si
intitola, manco a dirlo, “Dio sia
benedetto- Bestemmia e turpiloquio dal XVIII secolo ai nostri
giorni- Storia del Movimento
Antiblasfemo”.
Mi sono messo a sfogliare le
pagine; e gli occhi mi sono finiti
dove c’è scritto che “molti di
coloro”che bestemmiano” Dio,
lo “offendono con la bocca” ma
“non cessano di invocarlo con il
cuore”.È la pura verità. Di più:
quando mi scappa il moccolo
non ce l’ho con il Padreterno ma
con altri di questa Terra.
Certo, lo smoccolare è da
cafoni, almeno per chi assiste alla
scena, perché il protagonista non
se ne rende mai conto. Ma andate a dirlo a certi miei amici toscani, che vanno avanti a base di
pane e moccoli; per esempio al
solitamente tranquillo collega
Beppe P., che però quando si infuria non può fare a meno di ricordarsi della Madonna, appiccicandole, per sovrappiù, un sostantivo che trae radice e desinenza dai maiali.
Il libricino di Nicola Sinopoli
è veramente interessante. Per
esempio ho scoperto che a lanciare la prima campagna
antiblasfema fu “uno sconosciuto sacerdote: Padre Luigi Felici, gesuita, nato a Fabrica di
Roma (Viterbo) nel 1736 e deceduto a Roma nel 1818. Fu lui
che, per combattere la bestemmia, compose sul finire del secolo XVIII, una lauda intitolata
Dio sia benedetto, usata come
preghiera conclusiva delle sacre
funzioni, e cioè al termine della
Santa Messa e in chiusura della
vespertina Benedizione. Pochissime strofe, semplici e commoventi, al punto di richiamare l’attenzione di papa Pio VII che la
arricchì di benefiche indulgenze”.
E qui, io che mi sento colpevole, nel tentativo di mettermi
l’animo in pace perché si avvicina l’ora del redde rationem,
sento la necessità di presentarvi
queste strofe (che già da bambino ascoltavo compunto nella
chiesa del mio paese, San
Floro).Eccole:
Dio sia benedetto
Benedetto il suo santo nome
Benedetto Gesù Cristo vero Dio
e vero uomo
Benedetto il nome di Gesù
Benedetto il suo sacratissimo
Cuore
Benedetto il suo preziosissimo
Sangue
Benedetto Gesù nel Santissimo
Sacramento dell’altare
Benedetto lo Spirito Santo
Paraclito
Benedetta la gran Madre di Dio
Maria Santissima
Benedetta la sua santa e immacolata Concezione
Benedetta la sua gloriosa Assunzione
Benedetto il nome di Maria Vergine e Madre
Benedetto San Giuseppe suo
castissimo sposo
Benedetto Dio nei suoi angeli e
nei suoi Santi
Nel volumetto è raccontato
anche un curioso episodio accaduto a Civita Castellana il 1°
marzo 1931, all’arrivo del nuovo Vescovo, Mons. Santino
Margaria, tanto atteso dopo una
lunga amministrazione del Vescovo di Nepi. Durante la funzione nella cattedrale dei
Cosmati, don Famiano Clementi, della Collegiata di Fabrica,
concelebrante, si era messo misteriosamente a piangere. Interrogato più tardi dal Presule, ebbe
a dire che lo avevano commosso
le strofe del Dio sia benedetto,
di cui era stato autore proprio un
compaesano, appunto il gesuita
Luigi Felici. Qualche tempo
dopo - l’11 giugno 1932 - don
Clementi mandò in stampa delle
ricerche storiche “intorno a chi
compose la bella e tenera lode
del Dio sia benedetto”.
E dunque, fatta questa non richiesta recensione, spero anche
che, sia il Padreterno sia chi talvolta mi ha sentito smoccolare,
mi perdoni i coloriti sfoghi, ai
quali prometto solennemente di
rinunciare. E così prendo due
piccioni con una fava: non sentirò più brontolare mia moglie e
mi sarò assicurato un posto in
Paradiso, magari con un trattamento particolare. Così come si
conviene ai pentiti.
Domenico Paravati
6
Corriere di San Floro e della Calabria
Anno IV - N° 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2010
SAN FLORO ANNI CINQUANTA - Le processioni dell’Immacolata e del Patrono al “Pizzo
Anno IV - N° 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2010
Corriere di San Floro e della Calabria
SAN FLORO
Tommaso Scarcella, il poeta nostrano
Agendina
7
a cura di Feliciano Paravati
La Befana
con i doni
DEFUNTI
(1)-In francese Quai d’Orsay. Ri- Il 30 ottobre u.s. ha cessato di
caviamo da Internet: “È la sponvivere il popolarissimo Peppino
da sinistra della Senna a Parigi,
Paparo, per la innata simpatia
nel VII Arrondissement. Designa
amato e stimato da tutto il paese.
per metonimia il ministero degli
Con i suoi 90 anni era tra i più
esteri francese che dal 1853 ha la
anziani residenti in San Floro.
sua sede al n. 37”. Forse al n. 41Vivissime condoglianze ai parencitato da Scarcella - c’era invece
ti tutti e soprattutto alla figlia Ida
un ospedale per prigionieri invache proprio alcuni mesi fa era
lidi della prima guerra mondiale.
stata colpita da un altro grave
Charles Boucher, signore d’Orsay,
lutto con la morte del marito Pino
era consigliere al Parlamento di
Nobile.
Parigi e sindaco della città dal
1700 al 1708.
- Il 31 ottobre u.s. è deceduta a
(2) Ponte Alessandro III è”il più
San Floro Paola Iania vedova
bello della capitale francese, con
Iuliano, di anni 84. Condogliansplendide decorazioni in stile
ze ai familiari.
nouveau, con lampioni, putti,ninfe PEPPINO PAPARO
e cavalli alati. Fu costruito tra il
1869 e il 1900 per l’Esposizione
Universale. Si tratta di una grande opera di ingegneria per il singolo arco che si trova a sei metri
di altezza sulla Senna”.Il ponte è
dedicato al Papa Alessandro III
TOMMASO SCARCELLA
che ebbe vita difficile, appoggiò i
e senza nessuno conforto,
Poesia de i sposi
mutilato di guerra in Francia, a Comuni lombardi nella lotta all’imperatore tedesco Federico
Reims il 17 luglio 1918)).
Cari sposi su bbenùtu
Barbarossa Hoenstaufen; e per un
e cu gioia vi salutu.
Passai tante amarezze e sacrifigi periodo, dal 1162 al 1165, visse in
L’angeli càntanu a coru
Un anno e due mesi all’Ospedale Francia sotto la protezione di Luie pe’ mio ricordu
gi VIII
41 Chi e dorsè (1),nel centro
vi mandu San Floru.
di Parigi. (3) Hotel des Invalides è “un grande complesso parigino del classiFinalmente su’ venùtu
cismo barocco francese, costruito
E quello che vi dicu
ca da voi m’hannu mandato.
nel XVII allo scopo di ospitare SOPRA: Epifania 2011 - La processione con Gesù Bambino. SOTTO: Capodanno 1992 e 2006
forsi tu non lo cridi.
Ogni grazia chi cercati
soldati invalidi. Oggi ospita la - La benedizione 2010
Il centro di Parigi era
voi da me sempre l’avrete.
tomba di Napoleone”.
Ponte Alessandro (2)
(4) In effetti gli sposi ebbero poi
e Piazza Sin Balìdi (3)
Tramonta il sole esce la luna:
due bambini, un maschio e una
che Dio vi doni ‘na bbona fortuna!
femmina, come auspicato da
Su ‘nu picculu scolàru
Tommaso.
e sugnu analfabeta.
Auguru a bbui cosi belli:
Per fare la poesia
dopo ‘n annu due gemelli.
non sugnu ‘nu poeta.
E poi per loro la festa si fàcia.
I figli pe voi sarannu la pàcia
La pàcia sia con voi
“Vicini agliAuschisi di cui s’è parAllegri i vostri cuori.
A chi vo godere la vita bella
lato, sono i Nasamoni, popolo pro‘nu maschiettu e ‘na femminella (4) Si ho fatto qualche sbaglio
lifico, i quali d’estate lasciano le
correggetemi, o signori!
Com’è legànta la ragazzina…
greggi sulla riva del mare e risalgosora la casa de nonna Bettina.
no all’interno fino alla località
Sposati vi ne andàti
Augila, per raccogliere i datteri,
Siamo lontani, non siamo vicini.
E lu maschiettu gran gioia sarà.
poiché ivi crescono frequenti e riViva li sposi Curcio Giuseppe
E Curcio Antonio si chiamerà.
gogliose le palme e tutte portano
Insieme a la culla faranno li sonni, e Nobili Catarini
frutti.
i due gemelli sui cori de i nonni.
Vanno a caccia di cavallette e quanNelle feste natalizie purtroppo
I fiori su’ d’aprila,
do le prendono le fanno seccare al non è stata rispettata a San Floro
Risplende la luna assieme a li stelli li rosi sono a maggiu
sole, le riducono in polvere e poi le una delle tradizioni più sentite : la
La poesia è d’ ‘o cugino Tommaso Da me saluti e auguri,
trangugiano, mescolandole con il processione dell’antico (settecente‘na bona fortuna
Scarcelli.
latte.
sco) Bambinello in tutt’e tre gli “ape ‘nu bonu viaggiu.
Essendo loro costume di aver puntamenti”: Natale,Capodanno,
Tommaso Scarcelli
(Che vive solo, senza famiglia
molte mogli ciascuno, a esse si uni- Epifania. Delle tre festività, solo alscono in comune, allo stesso modo, l’Epifania la popolazione ha potu- menti era ed è ritenuto importante che costituisce un’autentica ferita al
press’a poco, dei Massageti: pian- to vedere lungo la principale strada soprattutto da chi lavora nelle cam- cuore di chi ama la propria storia.
tano davanti al luogo, dove si troVITA E MORTE NEGLI
più stretto e, dopo morta, viene vano, un bastone e si congiungono del paese il “piccolo” Gesù, in brac- pagne per le benedizioni verso il Qui sopra varie foto della procio al parroco, sotto l’antico “om- futuro raccolto. Non comprendia- cessione del Bambinello scattate
USI DEI TRAUSI
seppellita insieme con il marito. alla donna.
brello”. Il rispetto dei tre appunta- mo il perché di questa omissione, in epoche diverse.
I Trausi (…), quando uno di loro Le altre, che non sono state scelQuando uno dei Nasamoni prennasce o uno viene a morire, fan- te, si ritengono colpite da una de moglie per la prima volta, è tradino così: intorno al bambino che è grande disgrazia, poiché è que- zione che, la prima notte, la sposa Questo numero del giornale è uscito grazie all’abbonamento-libero contributo di (segue dal n. di giugno
nato siedono i parenti e piangono sta la massima vergogna che pos- passi da uno all’altro fra tutti i u.s.; a settembre l’elenco non è uscito per mancanza di spazio):
per i mali che, dal momento che è sa loro toccare.
convitati, unendosi ad essi; e ciascu- Iencarelli Florina (rinn.SOST.)- Soveria Mannelli, DefilippoAntonio (rinn.)-Lainate, Carrabetta
venuto al mondo, deve soffrire, (Erodoto-Le storie-Libro V- 5) no di quelli con cui si è unita le dà in Francesca (rinn.)- Fiumicello, Paravati Floro (SOST.-rinn.)- Frascati, Paravati Elisabetta (rinn.)enumerando tutte le sofferenze
dono ciò che ha con sé e che ha por- Buttrio, Rauti Antonio (rinn.)- Lainate, Maiuolo Francesco (rinn.)-Castiglione Olona, Russo
che toccano agli uomini! Il mor…E QUELLI DEGLI
Maria Maresca Luigi (rinn.)- Guidonia, Maiuolo Francesco (rinn.)-Torino, Sabatino Livio (rinn.)tato da casa sua…”
to, invece, lo depongono in terra
ALTRI TRACI
“Confinanti con i Nasamoni erano Genova, PuglieseAntonio (SOST.)-Ventimiglia,VirgilloTeresa (rinn.)-San Floro, Gullì Giovanni
tra manifestazioni di tripudio e di Gli altri Traci hanno questo co- gli Psilli. Questi sono scomparsi dal
(rinn.)-Lanzo Torinese, Desinopoli Luciano (rinn.)-Catanzaro Lido, Greco Antonio (rinn.)gioia, adducendo la ragione che, stume: vendono i loro figli per- mondo nel modo seguente: il vento
liberato ormai da tanti mali, si tro- ché siano condotti in altri paesi. del Sud, soffiando contro di loro, Codogno, Bressi Floro (rinn.)-S. Floro, Bagnato Flora Maria (rinn.)-S.Marinella,AmorosoBaldi
va pienamente felice.
Non sorvegliano le loro fanciul- aveva inaridito le cisterne di acqua, Fabiola (rinn.)- Roma, Graziano Vincenzo (rinn.)-S. Floro, Viscido Lorenzo (rinn.)-New York,
(Erodoto-Le storie-Libro V-4) le e permettono che si uniscano e tutto il paese, che si trova all’inter- Paravati Stirparo Concetta (rinn. SOST.)-Soverato, Iencarelli Caterina (rinn.)- Alba,Barbuto
agli uomini che vogliono, men- no della Sirte, era riarso dalla siccità. Maria (SOST. 2010)-Lavagna, Guerrieri Francesco (SOST.)-Roma, Comità Florina (rinn.)GLI USI DEI CRESTONEI tre custodiscono severamente le Essi allora, dopo aver ben delibera- Genova, De Nardo Paola (rinn.)-Merano, Sergi Giuseppe (rinn.)-Roma, Tavano Rosario (SOST.)Quelli che abitano a nord dei donne maritate; e acquistano le to in comune, mossero in guerra con- Borgia,CasadonteFloro(rinn.)-CatanzaroLido,SansoBereniceLamanna(rinn.)-Alba,Ferragina
Crestonei hanno questa abitudi- donne che sposano dai loro ge- tro il vento del Sud (io dico, natural- Lucia (rinn.)-Crotone, Barbuto Maria (rinn.-SOST.2011)-Lavagna, Nobile Luigi (rinn.)- Merano,
ne: ognuno ha parecchie mogli e nitori a prezzo di grandi ricchez- mente, quello che raccontano i Libi- Graziano Roberto (rinn.)-Roma, Graziano Italo (rinn.)-Roma, OlivieriAngelo (rinn.)-San Floro,
quando uno di essi viene a mori- ze.
ci), e quando furono nella regione Guarnieri Nicola (rinn.)-Torino, Chiaravalloti Elio (rinn-)-Torino
re, sorge fra le mogli una grande Portare sulla pelle dei tatuaggi delle sabbie il vento del Sud, che
contesa, a cui gli amici prendo- è considerato segno di nobiltà, aveva ripreso a soffiare, li seppellì
Chi non gradisce la pubblicazione in questo elenco, scriva nello spazio “causale” del bollettino:
no molto interessamento, per sta- non averne è prova di tutti.
“NOMINATIVO DA NON PUBBLICARE” .
bilire quale di esse era la più ignobiltà…La migliore delle
Da quando essi scomparvero dal
amata dal marito morto. Quella condizioni è quella di chi non si mondo, occupano il loro paese i L’abbonamento-contributo volontariosi effettua versando almeno euro 20 con il conto corrente postale
che viene scelta e riconosciuta cura dei campi, la più spregevo- Nasamoni”
n. 54078100 intestato Domenico Paravati- Rignano Flaminio- La vita di questo giornale dipende
degna d’onore, dopo aver rice- le è quella di lavorare la terra:
Erodoto esclusivamente dagli abbonati. –L’EVENTUALE INTERRUZIONE DELLA PUBBLICAvuto gli elogi da parte di uomini assolutamente splendido è viveLe Storie-Libro IV- 172-173 ZIONE NON DÀ DIRITTO AL RIMBORSO DI QUANTO VERSATO - Dato l’alto costo delle
e donne, viene sgozzata sulla re di guerra e di rapina.
(Traduz. di Luigi Annibaletto spese postali e di stampa l’invio viene sospeso se non coperto.
tomba per mano del suo parente (Erodoto-Le storie-Libro V- 6) Oscar Mondadori – apr. 1982)
In occasione del matrimonio, nel
1968, di Giuseppe Curcio e
Caterina Nobile, l’allora notissimo personaggio di San Floro,
Tommaso Scarcella (ma egli si
firma Scarcelli), grande invalido
della guerra 1915-18 ,compose
questa semplice “poesia”, come
egli la definisce, sottolineando
però, esagerando, che egli era
“analfabeta” e nemmeno
“poeta”(invece lo era) , invitando
, se del caso, a correggerlo (quasi
la stessa famosa frase, che molti
anni dopo, avrebbe pronunciato
Papa Giovanni XXIII rivolgendosi alla folla in piazza San Pietro).
La pubblichiamo proprio per la
genuinità del testo (con qualche
piccolissima, insignificante modifica) e come documento degli
omaggi in versi che, come in altre parti d’Italia (soprattutto in
Sardegna con i “muttettus”), si
usava recitare davanti agli sposi
ed alla tavola imbandita.
A Tommaso Scarcella (ma nel
testo originale lui si firma
Scarcelli, forse per una questione
di rima) è dedicata da anni la Pro
Loco di San Floro.
Il falò di Natale
Gli usi dei Nasamoni
Il destino degli Psilli
Il Bambinello
in processione
solo all’Epifania
Spicchi di storia antica
8
Corriere di San Floro e della Calabria
BORGIA
BORGIA
Era lì che andavamo a lavare i nostri panni
La “Brisella” era monumentale, con sei canali - Ora l’abbandono
Quando le nostre mamme a
sera ci dicevano “Ragazzi, andate subito a letto perché domani
di buon mattino andiamo alla
Brisella per fare il bucato” una
grande gioia riempiva il nostro
cuore. Era, la Brisella, una fontana monumentale con sei cannelle di acqua fresca e abbondante, con quattro vasche abbastanza capienti, ove le donne facevano il bucato. All’indomani, di
buon mattino, eravamo tutti in
piedi, un po’ addormentati per la
verità, ma tanto felici, tutti intenti
ad aiutare i genitori a preparare
quanto occorreva per la bisogna:
sacchi e cesti pieni di panni da
lavare, un po’ di legna, la caldaia per bollire l’acqua e la cenere,
indispensabile perché, una volta
lavati, i panni venivano messi in
una cesta (la sporta) per essere
innaffiati con la lissìa. Era, la
lissìa, acqua calda con cenere che
aveva il potere non solo di sbiancare ma anche, soprattutto, di
pulire la biancheria a cui dava un
particolare odore di bucato, ormai patrimonio della memoria,
sempre più, di poche persone.
Quando tutto era pronto, finalmente, si partiva. Le mamme portavano in testa i sacchi e le ceste
più pesanti, mentre noi ragazzi
facevamo del nostro meglio per
renderci utili. Giunti al Brutto incominciavamo a saltare ed a rincorrerci facendo disperare le
mamme che ci volevano accanto
a loro. Al ponte del Palombaro
prendevamo la strada più larga e
più piana; e, fatti un centinaio di
metri, le mamme ci invitavano a
fermarci sul ciglio della strada da
dove si poteva vedere “ ‘a
coneddha d’ ‘a Madonna d’ ‘o
Rifriscu”. Recitavamo l’Ave Maria e poi di corsa, perché la fontana era ormai vicina.
Alla Brisella le mamme cominciavano a lavare la biancheria
nella vasca che la sera precedente si erano premurate di preparare, svuotandola e pulendola; ed
anche per questo al mattino bisognava essere sul posto di
buonora, diversamente si correva il rischio di perdere il turno.
Mentre esse sciabordavano nelle limpide acque noi, in un luogo un po’distante, ma sempre
bene in vista, alimentavamo il
fuoco per preparare la lissìa.
Quando era in ebollizione e la
mamma aveva messo la biancheria nella sporta, l’acqua calda
veniva versata accuratamente e
lentamente. Fatto ciò, ci sedevamo a mangiare. Mangiavamo
con tanto gusto e appetito quanto ci avevano amorosamente preparato. Intanto la lissìa aveva fatto il suo effetto e la biancheria
veniva tolta e lavata per l’ultima
volta. Noi avevamo già scelto e
difeso il prato e la siepe dove
venivano stesi i panni ad asciugare. Il colpo d’occhio era meraviglioso: biancheria variopinta rendeva incantevoli i cespugli
e i prati. Si vedevano lenzuoli,
tovaglie, sciarpe colorate, pantaloni, camicie, fazzoletti come
piccoli fiocchi bianchi sui cespugli. Il sole luminosissimo riscaldava la terra e asciugava la biancheria. Verso sera si ritornava a
casa gioiosi e contenti per aver
trascorso una giornata a contatto con la natura.
Don Antonio Severini
(*)- “La Brisella”, di Don
AntonioSeverini; “Per la
Vrusedda”, dell’ins. Roma
Gullì; “ ‘A funtana da
Vrusedda”, del prof. Rosario
Tavano sono “pezzi” apparsi
nel mese di agosto 1997 sul
numero di “Civiltà Mediterranea”, pubblicazione fuori commercio dell’omonima associazione borgese.
L’importante fonte dista
poco da Borgia centro. Un tempo funzionavano tutt’e sei i
getti d’acqua incanalata ed
essa aveva una straordinaria
importanza per la popolazione di Borgia. Oggi, come dice
il prof. Tavano nella poesia, “li
canali sugnu…muti”; ed è nel
più completo abbandono.
È più o meno la stessa cosa per
la sorgente de ‘U Schiùappu (a
San Floro),quel punto di incontro di mamme e bambini che
periodicamente si recavano nella Valle per pulire i panni sporchi di casa. Quanto del resto facevano, nella parte opposta del
paese,tante altre donne
sanfloresi recandosi alle vasche
de ‘U Ceramidìu..
IL “CORRIERE” E I GIOVANI SCRITTORI
Vecchio al sole
Racconto di Umberto Soldatelli
Tutte le coltivazioni erano state cancellate; i pali d’abete delle vecchie recinzioni e gli alberi sradicati
dall’enorme massa d’acqua - I muri erano macchiati dall’antiparassitario delle viti - Non avevo mai
mangiato del rame, ma sapevo che quello doveva essere il suo sapore
Il vento cessò quando Piero oltrepassò l’ultimo dei due grossi
prefabbricati. La valle scendeva
bruscamente, oltre gli argini del
fiume, poi risaliva ripida fino ai
margini del bosco. Non aveva seguito nessuna strada. La strada era
stata cancellata dall’acqua che
aveva ripulito ogni cosa.
La terra trascinata a valle dall’inondazione formava una spessa diga ai bordi della conca. Piero risalì il terrapieno dove piccoli
arbusti ricrescevano nel fango
morbido fino allo scasso prodotto dalle ruspe. Non c’era più niente. L’acqua aveva levigato perfino la corteccia degli alberi.
Tutte le coltivazioni erano state
cancellate; i pali d’abete delle vecchie recinzioni e gli alberi sradicati dall’enorme massa d’acqua e
i casali abbandonati. L’erba non
era ricresciuta. C’era solo la crosta dura del limo che ricopriva
l’enorme distesa di detriti.
Oltre l’ampia distesa fangosa
c’erano i pochi casolari che l’acqua non aveva totalmente cancellato, i grossi granai con ancora gli
attrezzi da lavoro e mucchi di fieno lasciato a seccare. I muri erano macchiati dall’antiparassitario
delle viti. Piero proseguì sul terreno rialzato ai bordi della conca.
Il bosco c’era. Era un mantello
verdescuro in fondo alla vallata.
Camminando si deterse il sudore
dalla fronte. Non aveva incontrato nessuno venendo giù dal campo; solo fango dappertutto. Adesso era a pochi metri dai granai.
Raggiunse la radura d’erba
ricresciuta e scavalcò il filo spinato.
Il terreno, con ciottoli e alberi da
frutta scendeva dolcemente.
Tra i rami degli alberi scorse la
chioma massiccia di un casale.
Seduto al sole contro il muro del
casale c’era un vecchio. Andò da
lui.
Il vecchio sedeva immobile con
gli occhi chiusi. Vicino a lui c’era
un fuoco acceso. Quando Piero
Anno IV - N° 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2010
sbucò dagli alberi il vecchio non
si mosse.
“Salve” disse Piero.
Il vecchio aprì gli occhi.
“Cosa hai fatto ai tuoi vestiti?”
“Sono caduto” disse Piero
“Ce n’è ancora molto, vero?”
Piero annuì.
“Rimarrà così per un bel pezzo” disse il vecchio. “Togliti la camicia e appendila vicino al fuoco.”
Piero si tolse la camicia bagnata di fango e la appese al ramo
vicino di un albero. Sulla brace
c’era una specie di griglia con due
salsicce che cuocevano.
“Bevi un po’ di vino”disse il
vecchio. “Offre la casa”. Tirò fuori da una vecchia bisaccia di cuoio appesa a un chiodo una bottiglia di vino rosso e con i denti tolse il tappo che la chiudeva. Passò
la bottiglia a Piero e sorrise. Da
vicino, Piero notò che il suo viso
aveva qualcosa di strano.
Sulla fronte del vecchio, dove
la pelle era bruciata e poi scottata
di nuovo sopra l’abbronzatura,
c’erano alcuni lembi di pelle secca che pendevano sopra le folte
sopracciglia nere. Il viso, scarno,
era bruciato anch’esso, e due occhi piccini e curiosi guardavano
da sotto le arcate prominenti. Il
naso, violaceo e dalla grossa punta, era piatto e bruciato.
“Dove te ne stavi andando?” gli
chiese il vecchio.
“A pescare” rispose Piero.
“Cristo santo! Devi essere un
tipo coraggioso tu. E di’ un po’:
hai fame?”
. “Eccome!”
“Che ne diresti di tagliare il
pane?”
Il vecchio tirò fuori dalla solita
bisaccia un grosso pezzo di pane
abbrustolito, e da un taschino laterale estrasse un coltellino.
“Fai quattro fette” disse.
Piero tagliò con estrema precisione le fette di pane e quando
ebbe terminato le diede al vec-
chio.
“Passami il coltello” disse il
vecchio.
Tenendo le fette appoggiate sulle sue ginocchia il vecchio si sporse sul fuoco, infilzò una salsiccia
con la punta del coltellino, la adagiò al centro della fetta di pane la
spaccò nel mezzo e vi mise un’altra fetta di pane sopra: “Les jeux
sont fait!” Eseguì la stessa procedura per il secondo panino. Ne
diede uno a Piero.
“Da dove hai detto che vieni, ragazzo?”
“Dal paese” disse Piero. Il sapore della salsiccia era meraviglioso.
“Un bel po’ di strada.”
“Già.”
“Qui non è rimasto granchè”
disse sconsolato il vecchio. “Sembrava la fine del mondo”. Diede
un enorme morso al suo panino e
masticò rumorosamente. Gli esili
ramoscelli scoppiettavano fluorescenti nella luce azzurrognola
dell’alba.
“Perché non è andato con gli altri?” gli chiese Piero.
“Io devo badare alle bestie” rispose il vecchio.
“Dove sono le sue bestie?”
“Proprio lì”. Il vecchio indicò i
ruderi di un granaio: “Le vedi?”.
Piero non vedeva un bel niente.
“Lì! Proprio lì!” continuò il vecchio. “Per loro è stato terribile.
Sarebbe una vera crudeltà abbandonarle, non trovi?”
Il vecchio prese la bottiglia di
vino e bevve. La sua faccia scottata e scarna riluceva alla luce del
fuoco.
“Li hanno caricati su un camion” continuò. “Prima, quando
c’era la strada. Pecore,
cavalli…Le galline le hanno lasciate. La gente non sa che farsene delle galline perché sono animali stupidi. Non credo che siano stupide come dicono. Non più
dei maiali. I maiali non sono affatto stupidi. A te piacciono i ma-
iali?”
“Puzzano” disse Piero.
“E le salsicce?”
“Moltissimo.”
“Con le galline non potrebbero
mai farle” sorrise il vecchio.
“No di certo.”
“A te piacciono le uova?”
“Molto.”
“Le mie galline fanno delle uova
enormi” disse orgogliosamente il
vecchio, che con l’ultimo morso
aveva terminato il suo panino.
“A te come piacciono le uova?”
“Fritte” disse Piero.
“Col burro?”
“Sì.”
“Bene” disse il vecchio. “Le
uova non le abbiamo. Ma c’è un
buonissimo olio d’oliva. Cosa ne
dici di un po’ di pane e olio?”
Il vecchio prese il coltellino e
tagliò altre due fette di pane; poi
prese un barattolino da terra, svitò il tappo e versò un filo d’olio
d’oliva sulle due fette. L’olio colò
sui pantaloni del vecchio.
“Prima finisci quello, però. Hai
finito? Bene.”
Il vecchio diede una delle due
fette a Piero.
“Potrebbero mangiare i lombrichi” continuò il vecchio masticando rumorosamente la sua fetta di
pane. “Le galline adorano i lombrichi. Il fiume porta sempre molti
lombrichi. Vorresti dell’altro
vino?”
“Sono pieno” disse Piero.
“Un altro goccio.”
“Va bene” disse Piero. Aveva
terminato la sua fette di pane con
l’olio e adesso si sentiva veramente bene.
.Il vecchio gli passò la bottiglia
di vino e Piero bevve un lungo
sorso e allungò le gambe vicino
al fuoco. Le scarpe erano ancora
umide. Le guardò. La suola era
scollata. Per fortuna aveva mangiato. Si alzò e prese la camicia
appesa ai rami vicino al fuoco. Era
asciutta e un po’ affumicata. Piero indossò la camicia che odora-
Nostalgia di una fonte
La “Brisella” ispirò molti poeti
Ogni luogo, ogni paese, anche
il più piccolo, ha qualcosa, tra
l’altro, che lo caratterizza: un albero, una via, un monumento,
una fontana. Noi borgesi “avevamo” la Brisella, che è rimasta
intatta nella memoria dei nostalgici, ispiratrice di molti poeti.
Quei canali che scorrevano
ininterrottamente, quel vocìo
gaio di ragazze che aspettavano
il proprio turno con in mano la
“vozza” o la “giarrotta”, quegli
sguardi proibiti sfidavano la realtà del tempo..
La Brisella rappresentava l’occasione, il punto di incontro di ragazzi che, come in chiesa, andavano a vedere la propria “bella”.
E la fretta della serva che non
voleva perdere tempo per paura
dei “padroni”.
E l’acqua scorreva, sempre
uguale, sotto lo sguardo vigile
della Madonnina “scarpeddàta
‘ncima a ‘stu monumentu
madornàla”…”…a ‘ccu ca si fermava davi ‘mbìtu: s’on vua mu
vivi, làvati li mani” (cfr. F.
Citraro).
Non vogliamo essere polemici, non sappiamo né ci interessa
sapere chi ha la responsabilità di
aver rovinato “quel posto”, di
aver asciugato quella linfa. Vorremmo soltanto che quei sei canali riprendessero a scorrere e
che la vita stessa del nostro paese potesse scorrere limpida, fresca, genuina come l’acqua della
“Vrusedda”.
Roma Gullì
“Laudato si’, mi’ Signore, per
sor Acqua, la quale è multo utile
et humile et pretiosa et casta” (S.
Francesco)
‘A funtana d’ a Vruseddha
Era ‘a funtàna ‘e Borgia a sia cannàli
chi de tutte era certu la cchiù beddha;
quando vivìvi scumparìanu i mali.
Com’era frisca l’acqua d’ ‘a Vruseddha!
Nc’era ‘na vasca sempa chjna ‘e rani
chi cantavanu allìagri a tutti l’uri,
de’ lavandàri si sentìanu i mani
e lavandu guardavano l’amuri.
Cotràri, vìacchi, pìcciuli e guagliùni
facìanu festa ‘ntùarnu a li cannàli;
si lavavanu i vìasti e li saccùni,
si vagnavanu i cazi e li vancàli.
Li mìagghiu jùarni de l’innamuràti
si passavanu proprio a Vrusèddha,
puru li guagliunìaddhi non sbarbati
jìanu trovandu ‘ncùna zziticèddha.
Mo li cannàli sugnu tutti muti,
ruppìru i pìatri ruspi e scavatùri.
Si guardi i vaschi si vìdanu i cuti
e grida ugnùnu ‘e rabbia e de dolùri.
Pòvara funtaneddha d’ ‘a Vruseddha
cu l’acqua frisca e bbona a tutti l’usi,
si’ cara sempa, ma non si’ cchiu beddha
pecchì li tua canàli sugnu chiusi.
Rosario Tavano
va di resina di pino e la abbottonò, infilandosela nei pantaloni. Il
vecchio, seduto davanti a lui, lo
fissava in modo strano.
Prese lo zaino che aveva lasciato ai piedi dell’albero quando era
arrivato e assicurò bene le due cinghie; poi si alzò in piedi e con un
colpo di reni infilò entrambe le
braccia negli spallacci. Seduto in
silenzio davanti a lui, il vecchio
continuava a fissarlo. La sua faccia scarna e spellata cominciava
ad innervosire Piero. Improvvisamente il vecchio si alzò in piedi.
“Dì un po’, ti credi furbo, non è
così?”
Piero si voltò.
“Tu credi che io sia uno scemo,
non è vero?”
“Non capisco” disse Piero.
“Sai che fine fanno i ladri come
te, ragazzo? Finiscono con le ossa
rotte. Non vorrai per caso finire
con le ossa rotte, figliolo?”
“No, signore.”
“Bene, perché è proprio quello
che sta per accaderti”
“Io non vi ho rubato nulla.”
“Tu credi che sia tutto suonato,
eh?”
“No, signore.”
“Voi ragazzi pensate che noialtri siamo tutti degli stupidi, non è
cosi?”
“Lei si sta sbagliando, signore.”
“Potrei suonartele con una sola
mano, lo sai questo?”
Il vecchio avanzava zoppicando vistosamente con entrambi i
pugni chiusi. Piero vedeva i suoi
occhi piccoli e neri che lo guardavano con odio. Indietreggiò di
qualche passo. Mentre il vecchio
si avvicinava, Piero sentì il suono
di una sveglia.
Il vecchio si bloccò improvvisamente e tirò fuori un vecchio
orologio da taschino dalla sua camicia; poi guardò l’ora e, senza
badare a Piero, corse nel fienile.
Mentre il vecchio era nel fienile Piero scese per la scarpata fino
al sentiero scavato nel tufo, e corse fino a una piccola radura dove
c’erano betulle e funghi ai piedi
di grosse querce dalla chioma rigogliosa. Si guardò indietro. Lì
era al sicuro. Aveva uno strano
sapore in bocca. Non l’aveva mai
provato. Sembrava rame. Non
aveva mai mangiato del rame ma
sapeva che quello doveva essere
il suo sapore.
Si calò lo zaino dalle spalle e sedette all’ombra di una grossa quercia. Dietro le spalle il sudore formava una macchia scura sulla camicia. Piero appoggiò le spalle contro la corteccia ruvida dell’albero e
respirò l’aria umida di rugiada della mattina. La prossima volta sarà
meglio mettersi a dieta, pensò.
Umberto Soldatelli