Contributi della scienza, dell`arte e della filosofia ad un
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Contributi della scienza, dell`arte e della filosofia ad un
ACP – Rivista di Studi Rogersiani Contributi della scienza, dell'arte e della filosofia ad un approccio centrato sulle persone Vincenzo Graziani In nessun altro periodo della conoscenza umana l'uomo è diventato così incomprensibile a se stesso come ai nostri giorni. Abbiamo un'antropologia scientifica, una filosofica e una teologica che non sanno nulla /'una dell'altra. Perciò non possediamo più nessuna idea chiara e coerente sull'uomo. Il sempre crescente moltiplicarsi delle scienze specializzate, impegnate nello studio degli uomini, ha confuso e annebbiato, più che chiarito, il nostro concetto di uomo. (Scheler, 1927) Torniamo alle persone No; sentiamo che, anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto una risposta, i nostri problemi vitali non sono neppure ancora toccati. (Wittgenstein, Tractatus 6.52) II cammino della scienza sembrava dovesse essere immaginato come una linea progressiva infinita - "le magnifiche sorti e progressive", come diceva Leopardi - e sta sempre più configurandosi come un percorso circolare in cui gli estremi finiscono per incontrarsi. Così, ad esempio, la ricerca di obiettività ha finito per portare i fisici alla scoperta della centralità del soggetto-mente-osservatore e alla constatazione che anche la scienza più oggettiva deve fare i conti con il suo autore e ideatore: la mente umana. Uno dei grandi incontri mancati da molti scienziati è l'incontro con se stessi, con la propria soggettività, con la propria "humanitas". "Sembra incredibile che un'autentica scienza delle persone non sia quasi ancora riuscita a nascere a causa della inveterata tendenza a spersonalizzare o reificare le persone" osserva Laing (Laing, 1960). Se per essere "oggettivi" nello studio dell'uomo si finisce per spersonalizzarlo, qualunque teoria sull'uomo risulterà falsa. Nonostante le buone intenzioni di "scientificità", una simile reificazione dell'uomo può produrre solo false conoscenze dell'uomo. L'oggettivazione dell'uomo "è una fallacia, altrettanto patetica quanto la personalizzazione degli oggetti inanimati". (Laing, 1960, p. 29). Per sfuggire a questa alienazione reificante l'uomo incontra se stesso nell'intimità dell'autocoscienza e nell'apertura al confronto, al dialogo, al convivio, al simposio, alla collaborazione e alla comunione. ACP – Rivista di Studi Rogersiani La consapevolezza apportata dalla riflessione personale e dal dialogo interpersonale fa emergere almeno tre livelli di crescente complessità: quella relativa alla conoscenza dell'oggetto (oggettività), quella relativa alla consapevolezza del soggetto (intra-soggettività), quella relativa all'incontro e al confronto con l'altro (inter-soggettività). Senza la civiltà e l'humanitas "la nostra intersoggettività, le nostre speranze, le nostre paure, promesse, giuramenti, intenzioni, tradimenti, fedi, credenze, odio e amore, il nostro senso del giusto e dello sbagliato, tutti i nostri valori soggettivi, restano oggettivamente senza valore" (Laing, 1960). La consapevolezza di questo rischio è sempre più viva nell'uomo contemporaneo e ne abbiamo un riscontro nei più recenti sviluppi culturali. Importanti contributi alla comprensione dell'uomo come persona sono venuti dalle "scienze della natura", ancor prima che dalle "scienze dello spirito". Sappiamo oggi con certezza che tutti i processi mentali dell'uomo si svolgono all'interno di un organismo complesso inserito in un ambiente fisico e sociale complesso. L'ambiente si connota come umano in ragione di interazioni tra l'uomo e l'ambiente che hanno prodotto e producono cultura. Non solo a livello esistenziale ma anche sul piano della ricerca scientifica l'organismo, l'ambiente e la cultura non sono operativamente separabili (Del Miglio 1989). Possiamo cominciare col chiederci quale metodologia è la più appropriata per comprendere l'uomo, visto che nessuna è perfetta. L'umanesimo ha sempre lottato contro la tendenza all'alienazione della dimensione personale dell'esperienza umana rimettendo in evidenza la persona come centro di processi intenzionali, caratterizzati da libertà, responsabilità e creatività e quindi non oggettivabili e non conoscibili con il metodo galileiano del le "scienze positive". Sappiamo oggi che il metodo fenomenologico - e in particolare il modo di essere empatico - ci avvicinano molto di più alla possibilità di cogliere la persona come sostanza unitaria e individualmente vissuta di tutti i processi che in essa, da essa e per essa si compiono. In quanto "persona", l'uomo si sottrae al puro e semplice sapere, non è in alcun modo "oggetto" di conoscenza e tanto meno una "cosa" da analizzare, studiare e interpretare. Nella nostra cultura sta gradualmente crescendo una rivolta: le persone rifiutano il fatto di vedersi trattate come semplici prodotti, o di forze psicologiche fortemente determinate, o di forze economiche, o di forze culturali, o di altro. Carl Rogers dialogando con lo scienziato M. Polanyi sostiene che in vari modi l'uomo si stia ribellando a questo e venga dicendo: "lo esisto, io esisto come persona; io faccio decisamente la differenza". Lo stesso Polanyi, confrontandosi con Rogers, sostiene che gli scienziati debbono arrivare con chiarezza e coerenza ad un modo di vedere che non riduca l'uomo ad un aggregato di atomi, né ad un meccanismo, ma dia un diretto accesso a lui come persona. Egli ritiene che certe forme di scienza, come la psicologia behavioristica e la sociologia siano in realtà pesantemente condizionate da questa dipendenza da metodi addotti e/o supposti come scientifici. (Dialogo con M. Polanyi, presso archivio IACP, Roma). La conoscenza dell'uomo, osserva C. Marcel, non è solo problema ma è anche mistero. Il mistero dell'uomo è un problema che non può essere solo oggettivato, è qualcosa in cui il soggetto che conosce è coinvolto direttamente. L'uomo può 2 ACP – Rivista di Studi Rogersiani cogliere la sua essenza solo nella sua esperienza personale immediata, all'interno cioè della sua soggettività. E' la sua intenzionalità a fare da ponte tra l'esperienza immediata e soggettiva e la riflessione che cerca di oggettivare tale esperienza, darle significato e collegarla al mondo delle cose. Le scienze umane imitano maldestramente le scienze naturali quando si limitano a trattare le persone nello allo stesso modo di "cose meccaniche" solo perché "oggetto" di studio. Occorre una scienza delle persone che analizzi la persona come tale e cioè come persona che ha rapporti con altre persone. Parafrasando il motto di E. Husserl: "Torniamo alle cose stesse", il nostro sarà: "Torniamo alle persone". Occorre riapprendere a centrarci sulle nostre personali esperienze, emozioni e convinzioni per agire e parlare come persone; abbiamo bisogno di reimparare ad accettare gli altri come persone, a rispettare e comprendere il loro mondo personale dal loro personale punto di vista. Ci possiamo ridare finalmente la possibilità di vivere in modo autentico la complessità e ricchezza della nostra realtà personale e interpersonale, liberandoci da opinioni preconcette e da ogni tendenza a costruzioni aprioristiche, per conseguire una più stretta aderenza al mondo dei nostri e altrui vissuti. L'impegno è a restare centrati sui "fenomeni" della persona nel senso etimologico dell'espressione: le manifestazioni della realtà personale. Nella fenomenologia II termine "persona" sta ad indicare il centro concreto di ogni possibile atto intenzionale (teoretico, affettivo, volitivo); il centro unitario e concreto di tutti i vissuti individuali e intersoggettivi. Vale la pena inoltre chiarire che se da un lato la persona si caratterizza per la sua irriducibile individualità, dall'altro le appartengono in modo essenziale tutti quegli atti "socializzanti" (come l'empatia, l'altruismo, la simpatia, la fedeltà, l'educazione, l'amicizia, il diritto, l'odio, la sottomissione) che la caratterizzano come "animale sociale" con una lunga e complessa tradizione storico-culturale. Possiamo allora capire perché la persona comprende l'individuo ma non è riducibile ad esso. Le immagini veicolate dai mass-media, purtroppo, testimoniano le tragiche conseguenze dell'alienazione e reificazione della persona, ancora dominanti nella cultura e nella prassi economica, politica e sociale dell'uomo. La forte risonanza emotiva delle impressionanti manifestazioni dell'alienazione politico-militare spesso finisce per sfocare e anestetizzare la nostra sensibilità nei confronti di forme più sottili e meno conclamate di alienazione della persona: l'intellettualismo erudito, il paternalismo interessato, la manipolazione e la suggestione psicologica. Carl Rogers ci ricorda che possiamo entrare in contatto con la realtà personale dell'altro solo quando "viviamo con lui": un 'cum-vivere' disciplinato da un profondo atteggiamento di rispetto empatico, intenzionato a cogliere il "processo vitale" dell'altro in modo fedele al suo interno paradigma emotivo, cognitivo e volitivo. L'erudizione intellettuale e le abilità psico-tecniche non basteranno mai. Questo perché ogni volta che cercheremo di "oggettivare" ciò che per sua essenza è "soggettuale", la personalità dell'altro ci sguscerà via e di lui 3 ACP – Rivista di Studi Rogersiani non ci resterà che un semplice involucro. L'Approccio Centrato sulla Persona, come tutti gli approcci umanistici, cerca di salvaguardare l'uomo nella sua unità psicosomatica: quell'unità cioè in cui i fenomeni psichici si caratterizzano e distinguono pur rimanendo integrati con quelli fisici e biologici; la persona è tale in quanto da tensione interna (In-tentió) ai processi bio-psicosociali, riempie di significato il semplice accadere fisicochimico-biologico-psichico-sociale, e trasforma in "vissuto" soggettuale (intenzionale e progettuale) ciò che altrimenti rischia di ridursi ad un semplice "dato" oggettuale. Ogni senso dell'essere è costituito immediatamente nella e dalla persona: e se appartiene all'essenza della persona creare significati e valori, questi ultimi non potranno darsi al di là dell'orizzonte della persona: per questo ogni possibile comprensione dell'uomo non può partire che dal totale rispetto della fenomenologia dei processi personali e interpersonali. La fenomenologia ci ricorda che le stesse scienze "obiettive", in quanto comunque costruiscono significati, si radicano di fatto nell'immediatezza della vita personale, cioè in quel mondo di evidenze originarie, presenti in chi studia e ricerca, prima di ogni analisi scientifica e da questa sempre presupposte. La fenomenologia ci aiuta a rintracciare il percorso che porta alla persona e ci delinea il training necessario per riuscire a seguire con paziente, affettuosa attenzione l'emergere della coscienza personale, il suo autopresentarsi nell'esperienza del sé, nel sentimento della personale soggettività, nel complesso processo di autoriflessione attraverso il quale lentamente si costituisce l'autoconsapevolezza, l'autoregolazione e l'autorivelazione, fino alla definizione di un'identità personale unitaria, costante nel tempo e autonoma rispetto al mutare degli oggetti interiori ed esteriori. La riflessione epistemologica ha preceduto quella fenomenologica nel la moderna esplorazione dei meandri della coscienza e nel lo sforzo immane di separare le acque della soggettività da quelle dell'oggettività; nell'impegno a discernere il flusso immediato e soggettivo dell'esperienza dalle riflessioni analitiche mirate alla ricerca di oggettività. Epistemologia e fenomenologia costituiscono una guida preziosa nella sofisticata odissea intorno al grande fascinoso enigma del modo umano di essere, di comprendere e di comunicare. Esse ci aiutano a declinare i casi della vita e a coniugare i modi e i tempi dell'esistenza. Ci accompagnano e ci illuminano la pergamena su cui stiliamo i simboli costitutivi della nostra biografia personale, dai primi chiarori aurorali della coscienza fino alle sue più solari manifestazioni meridiane; dalle prime ombre al calar della sera fino alla profonde oscurità della notte. La scienza in cerca di autore Superati i riduzionismi di marca innatista o empirista, gli studiosi condividono oggi la tesi che alla nascita l'organismo umano contiene sia programmi e informazioni ereditate da una lunga storia naturale e culturale, sia potenzialità di ulteriore 4 ACP – Rivista di Studi Rogersiani sviluppo creativo. La struttura bio-psico-sociale dell'uomo lascia ampio spazio per l'apprendimento e l'autoderminazione, per la libertà e la responsabilità dell'uomo, situandolo a un livello di consapevolezza autocostruita che coincide con la consapevolezza del Sé. Questa consapevolezza è mediata dall'introspezione. Senza l'introspezione, unico metodo che rende accessibile il lato soggettivo del fatto psichico, la scienza perde il suo naturale oggetto di studio: la mente intesa come somma delle esperienze accumulate nel corso della vita. La mente umana, e non il comportamento osservabile del behaviorismo, costituisce il nodo problematico del sapere scientifico (Morowitz, 1980). "Cogitare necesse est": proprio con la 'cogitatio', di cartesiana memoria, è iniziato il moderno percorso introspettivo che ci ha portato fino alla fenomenologia trascendentale di Husserl e alla riscoperta attuale della mente. E' con lo sviluppo della meccanica quantistica che il ruolo del soggetto-menteosservatore diviene una componente fondamentale della teoria fisica, una componente essenziale per definire un evento. La mente dell'osservatore si rivela un elemento necessario della struttura della teoria. I fisici quantistici cominciano a studiare l'epistemologia e la filosofia della scienza; tutti i ricercatori più eminenti scrivono libri e articoli per esporre il significato filosofico e "umanistico" dei risultati delle loro ricerche (Hofstadter et.al., 1985). La maggior parte dei fisici del novecento è tornata a riconoscere il primato della mente. Lo studio scientifico del mondo li aveva portati ad incontrarsi con il contenuto della coscienza come realtà ultima. Oggi essi sono arrivati ad attribuire alla mente una funzione essenziale di osservatore attivo in tutti gli eventi fisici. Se, come fa Hofstadter, anche noi ci chiediamo: Quale di queste due frasi ci sembra più vicina alla verità: "lo ho un cervello", oppure: "lo sono un cervello"?, entriamo immediatamente nel vivo di un fondamentale problema. Se dico ad una persona: "Tu hai un buon cervello" chi o che cos'è questo "tu" che ha il cervello? E ancora, supponiamo di essere d'accordo sul fatto che tu hai un cervello. Ti è mai venuto in mente di chiederti: come sai di avere un cervello? (Hofstadter et al.,1985). Sono domande prodotte dai cambiamenti avvenuti in questo secolo nell'ambito della fisica, della biologia e della psicologia. Esse hanno aperto un vivace dibattito epistemologico. Morowitz usa l'espressione "circolo epistemologico della mente" (Morowitz, 1980) per integrare fra loro le prospettive di tre vasti campi di indagine: la biologia, la psicologia e la fisica. Il percorso del circolo epistemologico che partendo dalla mente torna alla mente può essere così descritto: in primo luogo la mente umana può essere spiegata mediante le attività del sistema nervoso centrale, attività che a loro volta possono essere ridotte alla struttura biologica. In secondo luogo, i fenomeni biologici a tutti i livelli possono essere totalmente compresi in termini di fìsica atomica, cioè mediante l'azione e l'interazione degli atomi di carbonio, azoto, ossigeno e così via che li compongono. In terzo e ultimo luogo, la fisica atomica, che ora viene compresa nel modo più completo grazie alla meccanica quantistica, 5 ACP – Rivista di Studi Rogersiani deve essere formulata considerando la mente come una delle componenti primarie del sistema (Hofstadter et al.,1985). L'importanza del circolo risiede nel fatto che il nodo problematico della scienza e di tutto il sapere è e resta la mente. L'uomo, in un certo senso, è la sconcertante sintesi vivente di un problema che non sappiamo come risolvere perché dentro di noi c'è sia il problema che la possibilità di soluzione (Laing, 1960, p.373). Alcuni possono anche pensare che sia puro senso comune (o sano pensiero scientifico) credere che tu non sei altro che un organismo fisico vivente particolare, una massa mobile di atomi; ma in realtà questa idea palesa più una mancanza di immaginazione scientifica che un raffinato buon senso. Non è necessario credere ai fantasmi per credere a dei sé dotati di un'identità che trascende qualsiasi corpo vivente particolare (Hofstadter et al.,1985). Anche le cosiddette discipline trasversali (cibernetica, teoria dei sistemi e teoria dell'informazione) mostrano che le categorie della scienza dipendono dalla "mente-osservatore": "Ogni descrizione implica colui che descrive, ogni descrizione è un'interpretazione" (Telfner, 1981 ). L'osservatore non solo deve rendere conto di se stesso nelle descrizioni che attua, ma deve anche rendere conto del fatto di formulare una sua teoria. Il nuovo rapporto tra osservatore e fenomeno osservato, da accesso ad una realtà incerta e multiforme, complessa e composita: una realtà sempre meno "data", esterna ed estranea, e sempre più da costruire e da inventare. L'espungere da ogni discorso scientifico questo riferimento al soggetto-mente che riflette su se stesso e rende conto di se stesso, ha creato problemi conoscitivi ed etici e in particolare ha ostacolato lo studio della vita, studio che può essere fatto solo "in vivo" e non "in vitro" (Foester, 1981). Da bambini ci è stato insegnato a definire una cosa mediante ciò che, si suppone, essa è in sé, e non mediante le sue relazioni con le altre cose (Bateson, 1979). Oggi siamo sollecitati a spostare il 'focus' dai contenuti alle strutture, dalle cose ai processi e a renderci conto che la possibilità di organizzare i dati in un modo o nell'altro crea realtà differenti (Watzlawick, 1976). Rilevanza particolare per la psicologia umanistica ha la recente acquisizione della fisica e della biologia che gli esseri viventi si caratterizzano perché si producono continuamente da soli (organizzazione autopoieutica) (Maturana et al., 1980). Gli esseri viventi sono unità autonome che si autoriproducono, si automantengono, si autocostruiscono mediante la loro dinamica interna (Morin, 1980). Nell'unità autopoieutica il fare produce l'essere e ciò costituisce la sua peculiare modalità organizzativa. La fisica e la biologia stanno aprendo nuovi orizzonti alla tendenza attualizzante organismica ipotizzata dalla psicologia umanistica. Un altro interessante contributo nello studio del sistema vivente è dato dalla fisica, chimica e biologia con la distinzione di due possibili livelli di approccio: quello interno e quello esterno al sistema studiato. 6 ACP – Rivista di Studi Rogersiani Il punto di vista interno al sistema (immanente) permette di osservare il funzionamento dei componenti il sistema o i subsistemi, degli stati interni ad essi relativi e dei loro cambiamenti. In questo caso parlare dell'ambiente non ha rilevanza. Il punto di vista esterno (trascendente) di un eventuale osservatore, domina invece la relazione tra sistema e ambiente, mentre diventa irrilevante, perché non percepibile, la dinamica interna del sistema. Anche il nostro comune concetto di coscienza sembra derivare da due distinti insiemi di considerazioni: considerazioni dall'interno e considerazioni dall'esterno. Dall'interno la nostra coscienza sembra evidente e diffusa: sappiamo che intorno a noi e perfino nel nostro corpo accadono molte cose di cui siamo del tutto inconsapevoli o non coscienti, ma nulla potrebbe esserci più intimamente noto di quelle cose di cui siamo, individualmente, coscienti. Le cose di cui sono cosciente e i modi in cui ne sono cosciente determinano ciò che si prova ad essere me. lo so come nessun altro potrebbe sapere ciò che si prova ad essere me. Quando siamo coscienti il nostro essere coscienti è un fatto che non ammette gradazioni. La coscienza sembra essere un connotato che scinde l'universo in due generi di cose estremamente diverse: quelle che hanno la coscienza e quelle che non l'hanno. Gli esseri coscienti sono soggetti, esseri per i quali le cose possono essere in questo o in quel modo, soggetti che nell'essere coscienti provano qualcosa. Gli esseri senza coscienza non hanno un interno, non hanno una vita interiore, un punto di vista, un "internai frame of reference": non provano alcunché ad essere quello che sono, non si prova nulla ad essere un mattone (Hofstadter et al., 1985). Molti fraintendimenti sono nati e nascono continuamente dal fraintendimento dei due livelli (interno ed esterno), spesso si trasferiscono indebitamente conclusioni di eventi osservati da un punto di vista interno all'esterno e viceversa. Un altro pericolo è quello di assolutizzare uno dei punti di vista estremizzando le posizioni, e rendendole inconciliabili. I due punti di vista sono compresenti nel modello epistemologico circolare, autonomo e autopoieutico. In esso l'ambiente è visto come una sorgente di perturbazioni indipendente dalla definizione dell'organizzazione del sistema e quindi intrinsecamente non istruttiva; essa può innescare ma non determinare il corso della trasformazione e del cambiamento. Questa riscoperta del punto di vista interno al sistema ci fa sperare che i tempi siano maturi per interrogarci circa la nozione e la realtà del soggetto e dare una risposta al socratico "conosci te stesso". Per uscire dal costrutto mentale: "la conoscenza rappresenta una realtà assoluta indipendente dal soggetto", la domanda cruciale che si pone oggi la riflessione epistemologica è: "Si può accettare che la conoscenza si fondi sull'esclusione del soggetto pensante, e che il soggetto sia escluso dalla costruzione dell'oggetto? E che la scienza sia completamente incosciente del suo inserimento e della sua determinazione sociale?" (Morin, 1977). 7 ACP – Rivista di Studi Rogersiani La riflessione scientifica post-moderna sta lavorando per uno slittamento dalla epistemologia della rappresentazione all'epistemologia della costruzione: un nuovo modo "più costruttivo" di intendere la relazione tra conoscenza e realtà. Si tratta di un ritorno al soggetto conoscente. Un importante contributo ci viene dall'immunologia: troviamo qui una nozione molto nota alla psicologia umanistica: la nozione del sé. Nell'immunologia tale nozione del sé deriva dall'opposizione immunologica al non-sé, opposizione che rivela come nell'organismo e attraverso l'organismo si operi al livello molecolare una distinzione "sé"-"non sé" di natura cognitiva. Nella cellula il linfocita, grazie alla rilevazione molecolare, conosce l'intrusione di un "non-sé" e può scatenare una risposta. Dal momento che una conoscenza locale di sé presuppone una conoscenza in qualche modo globale di sé, possiamo dedurre che la conoscenza e l'affermazione di sé non sono riservate alle sole funzioni neurocerebrali, ma concernono l'intera densità dell'essere vivente (Morin, 1980). In questo senso la biologia aiuta la psicologia e le scienze sociali al recupero della nozione di soggetto non più intesa nel senso degradato di contingenza, umore, stato d'animo, errore, ma come ego-auto-centrismo e egoautoriferimento. Ogni essere vivente, dal batterio all'homo sapiens, prende se stesso come centro di riferimento e preferenza; si dispone nel più naturale dei modi al centro del suo universo e in esso si autotrascende, cioè si innalza al di sopra del livello di tutti gli altri esseri. Egli si afferma così in un sito privilegiato ed unico, in cui diviene centro del suo universo e da cui esclude ogni altro congenere, compreso il gemello omozigote. E' l'occupazione esclusiva di questo sito ego-centrico che fonda e definisce il termine di soggetto (Morin, 1980). La referenza a sé significa che l'individuo si riferisce, in ciascuna delle computazioni e decisioni, non soltanto ai dati "obiettivi", interni ed esterni alla sua macchina organizzazionale, ma a se stesso precisamente come centro di riferimento. Precisamente la computazione ego-auto-centrica stabilisce incessantemente la discriminazione sé/non-sé e tratta il sé e il non-sé in funzione di sé, dei suoi bisogni, dei suoi interessi, delle sue finalità (Morin, 1980). La crisi del modello lineare, oggettivo e meccanico di scienza, lo studioso oggi si trova di fronte alla "sfida ambivalente della complessità", la quale gli impone un ripensamento sulle domande, sui concetti, sugli oggetti, sulle dimensioni della scienza e della conoscenza (Bocchi et. al., 1985). Si tratta di una sfida ambivalente perché accettarla significa da un lato accettare l'irruzione dell'incertezza irriducibile nelle nostre conoscenze, e dall'altro l'esigenza di un dialogo tra le nostre menti e ciò che esse hanno prodotto sotto forme di idee e sistemi di idee (Bocchi et. al., 1985). L'impegno della ricerca è dunque un cammino difficile, che si delinea mentre lo si percorre. E' comunque l'unico cammino etico perché "l'unica conoscenza che valga è quella che si alimenta di incertezza e il solo pensiero che vive è quello che si mantiene alla temperatura della propria distruzione" (Morin, 1977). E' merito della psicologia gestaltica aver riscoperto il Sé come unità funzionale, averlo tolto dal ruolo di recettore passivo e averne fatto una realtà 8 ACP – Rivista di Studi Rogersiani sempre più attiva fino a far dipendere da lui tutta l'organizzazione percettiva dei dati sensoriali. Numerosi biologi e psicologi contemporanei sono andati ben più lontano quando hanno cercato di studiare il pensiero riflessivo (l'immagine introspettiva di sé, del biologo evoluzionista Lawrence Slobodkin). Secondo questi ricercatori ('"immagine introspettiva di sé" modifica le regole del gioco evolutivo e rappresenta una vera e propria discontinuità nell'evoluzione. Questa auto-consapevolezza rende l'uomo profondamente diverso dagli altri primati; occorre approfondire il senso di questa discontinuità e chiarirne i corollari. Non sembra oggi giustificato sostare al riparo di una qualche forma di riduzionismo acritico. Non possiamo continuare a considerare l'uomo come un animale o una macchina, perché, così facendo, svuotiamo le nostre azioni e interazioni di "ciò che da sapore alla vita e profumo alla speranza". Se studiarne il comportamento degli animali non con la serenità distaccata dell'etologo, ma per apprendere dalle società animali le nostre norme di vita, allora rischiarne di dimenticare quelle caratteristiche uniche dell'uomo che danno tanto fascinoso interesse e tormentosa bellezza alla nostra vita. Il riduzionismo radicale del fisicalismo o del comportamentismo offre assai poco nella sfera dei sentimenti estetici, degli imperativi morali, delle norme giuridiche e dei valori transpersonali. E' indubbio il merito accumulato dalla comunità scientifica con i notevoli progressi compiuti nella comprensione del cervello, tuttavia l'entusiasmo per il successo della neurobiologia non giustifica enunciati che vanno oltre la scienza e impoveriscono la nostra umanità (Hofstadter et al., 1985). Può essere utile a questo punto tentare di trarre alcuni punti fermi da questa breve e non-esaustiva analisi dei più recenti contributi della scienza impegnata a riflettere su se stessa e a 'cercarsi un autore': - occorre trovare un accordo con questa neonata "scienza senza certezza" per tentare di approfondire la nostra comprensione dell'esistenza umana; - la vecchia visione newtoniana, meccanicista, fisicalista e comportamentista della scienza non è gettata via ma è vista semplicemente come un aspetto della scienza, una maniera buona per investigare determinate questioni, ma decisamente inappropriata per altre; - il paradigma scientifico tradizionale non regna più sovrano; non vi è più l'illusione che col metodo scientifico si possa raggiungere una conoscenza certa e definitiva; - abbiamo bisogno di usare il nostro giudizio per discriminare tra quelle scoperte e conclusioni che hanno un alto grado di validità e quelle che ne hanno uno minore; - non c'è alcun metodo che sia il migliore, né alcun disegno o modello di ricerca che abbia tutti i vantaggi e nessuno svantaggio. La scelta metodologica deve essere 9 ACP – Rivista di Studi Rogersiani appropriata alla domanda posta. Il metodo fenomenologico, ad esempio, è un metodo appropriato per determinate questioni e situazioni, neppure esso è sempre il migliore. Il mondo dei valori, il mondo delle persone Ogni uomo ha la possibilità di sviluppare progressivamente la propria consapevolezza e con essa illuminare la strada che è stata preparata per lui. E' una possibilità entusiasmante ma... è anche l'unica plausibile. ( Menghi ?., Il filo del Sé) Sia il valore che la persona sono delle trascendenze rispetto al mondo del riduzionismo fisicalista. Né l'uno né l'altra hanno massa, composizione chimica, estensione, velocità o altre qualificazioni spazio-temporali. L'uno e l'altra sono due patenti smentite della visione scientista tecnologica o almeno ne costituiscono le prede più appetibili perché finora non catturate. Con altra immagine: svettano ancora molto alto sopra il riducibile, dando a chi le realizza due distinte vertigini: una più platonica, una più ebraica-cristiana-islamica. Valore e persona sono due dure sfide anche per i riduzionismi psicologici, sociologici, comunque moderati o mitigati. Valore e persona sono correlati, rivolti l'uno verso l'altro. Il valore è valore per una persona, la persona è capacità di percezione/giudizio di valore e di creazione di valore" (Lombardi Vallauri, 1990). Kierkegaard ci ricorda che la vita dell'uomo è precaria, finita, mai sicura, proiettata sempre verso un avvenire rischioso e verso la sicurezza della morte! L'accettazione coraggiosa delle concrete e limitate condizioni dell'esistenza umana è alla base di ogni processo di autorealizzazione. Di fronte alla vanità di tutto ciò che non ha un valore decisivo per la sua vita, l'uomo è invitato da Heidegger a crearsi la sua vita dal nulla, a scegliere il proprio destino nella volontà di realizzare se stesso. Per l'esistenzialismo l'uomo si salva quando si decide a riconoscere la propria finitezza e a scegliersi un compito determinato. Egli ha bisogno di decidersi e fare della sua vita, con tutti i suoi limiti, la sua passione, E' questa la più alta possibilità concessa all'uomo: scegliere di vivere autenticamente e di essere autenticamente se stesso. Già Fiatone nella Repubblica rivendicava questo diritto con il motto: "fare ciascuno il suo". Perfino nel medioevo la Scolastica rivendicava il valore eterno della personalità individuale; ma è nel pensiero moderno e contemporaneo che si delinea sempre più chiara la parabola ideale della persona. Nella riflessione di questo nostro secolo la comprensione della persona si correla in modo essenziale con la comprensione del tempo. 10 ACP – Rivista di Studi Rogersiani Per Heidegger il tempo è la cifra della personalità, la forma costitutiva dell'essere e della persona. Il mistero del tempo è il mistero della persona: la persona è il movimento spirituale e interiore del tempo, il futuro che diventa passato, la libertà di fondare la propria esistenza, la libertà di costituirsi nel fondamento di sé (Paci, 1967).. La moderna scienza deterministica tendeva a leggere il tempo come un movimento che andava dal passato verso il futuro, in modo tale che gli eventi futuri fossero indissolubilmente legati a quelli passati da una rigida catena di cause ed effetti. L'avvenire veniva ridotto ad una serie di fatti che l'uomo poteva solo illudersi di dominare, ma che in realtà lo dominavano. La riflessione contemporanea ha rovesciato la tradizionale concezione del tempo vedendolo come un movimento che va dall'avvenire verso il passato. La persona è l'uomo che si nega come immediatezza, come dato, come fatto, come determinato dal passato e, trascendendosi, fonda se stesso e si apre creativamente all'essere e all'avvenire. Questa capacità di negare il dato, di andare al di là di se stesso, di ritrovarsi trascendendosi è costitutiva dell'esistenza umana. Certamente io sono anche il mio passato e il mio presente, quello che sono stato e quello che sono, un essere finito e determinato. Ma ciò che sono come passato non dipende da me (struttura genetica, biologica, psichica, sociale, ecc.), il passato è ciò che non posso mutare, ciò che è già delineato e compiuto. Se io vivo nel passato e nel prefissato vivo senza trascendermi. Per esistere debbo trascendermi, andare al di là di me e del mio passato. Nel momento preciso in cui raggiungo la calma e la forza interiore necessarie per incontrare l'angoscia - la coscienza del senso profondo e originario del mio essere - in quel preciso momento tutte le possibilità mi sono aperte, in quel momento preciso io sono nel futuro. Il futuro allora mi appare come l'orizzonte aperto che apre tutti gli orizzonti. Il futuro mi permette di scegliere i I mio io. In questa scelta si determina il movimento di ritorno: ciò che sono o che sono stato e ciò che voglio essere. I limiti posti dal passato e dalla mia finitezza si riscattano, si caricano di significato, acquistano un valore. L'esistenza redime se stessa, si realizza, diventa valore sostanziale della mia persona. Fiatone ancora ci aiuta quando dice che la giustizia si realizza nello Stato quando ogni cittadino attua nella propria "opera" la propria "virtù". Per fare questo è necessario che ogni cittadino scopra il significato della propria persona ed il senso del proprio destino, scopra quindi il valore della propria anima. Anche per noi, come per le anime del mito di Er, si tratta di scegliere di essere noi stessi. La persona inizia il suo viaggio verso l'autoconsapevolezza e l'autostima quando si accorge che nulla intorno a lei ha un significato e un valore decisivo ed assoluto. Per entrare nel mondo dei valori occorre uscire dalle illusione del regno di Saturno, perdere l'innocenza dell'eden, lasciare le uroboriche sicurezze della "Grande Madre", dubitare cartesianamente di tutto, creare il vuoto e reggere la prova del deserto, del silenzio e della solitudine. 11 ACP – Rivista di Studi Rogersiani La persona nasce da questa domanda: Chi sono io di fronte alla cose e al mondo che scopro privi di valore? E' angoscioso rendersi conto di non potersi più appoggiare su nessuna certezza esterna, ma proprio quando nulla di esterno regge, siamo come costretti a scoprire veramente noi stessi e a renderci conto di esistere. E' proprio l'angoscia derivata da questo impatto con la fragilità individuale e l'inaffidabilità del mondo che conferisce ad ogni nostro atto futuro un'importanza decisiva in quanto in esso ci diamo finalmente la possibilità di realizzare la nostra esistenza nella sua finitezza e nei suoi limiti. L'angoscia esistenziale è proprio questa calma consapevolezza di sé; è l'aver chiarito a se stessi, senza più inganni, che nessuna evasione è possibile; è sapere definitivamente che tutto dipende da me, poiché di fronte a me c'è il nulla. La lava del Vesuvio ha tolto ogni illusione di vita alla leopardiana ginestra che ora inizia il suo coraggioso processo di radicamento e di ricostruzione della vita. Come ben sottolinea Nicola Abbagnano, il nulla della situazione iniziale è anche la possibilità aperta alla creatività personale. La situazione finale poi è quella che attua questa possibilità. E la situazione finale diventa essa stessa possibilità o l'inizio di un nuovo circolo. lo penso, agisco, dubito, temo, soffro e gioisco in mille modi; ma esisto veramente solo se tutta la somma delle indeterminazioni esistenziali si convoglia per me nell'unità di un compito o di una passione fondamentale nella quale è posta la realizzazione di me stesso. In questa limitazione io mi ritrovo e ritrovo ciò che veramente sono. Quanto più è esclusiva e appassionata tanto più la limitazione mi arricchisce, mi arricchisce nel senso della profondità interiore nella quale io ritrovo la mia sostanza di uomo, cioè la mia individualità nella risonanza del suo significato universale (Abbagnano, 1942 ). Così se per un verso l'esistenza umana è problematicità e rischio per altro verso mostra anche il suo volto positivo e costruttivo. Infatti la persona entra in gioco proprio quando l'uomo si accorge che la vita è priva di un significato assoluto e definitivo. In questa ricerca di significati e valori l'uomo crea le forme fondamentali dello spirito - arte, religione e filosofia - con le quali costruisce la civiltà. Tale costruzione, secondo Hegel e i suoi seguaci, orienta l'uomo a vivere secondo valori storici: a creare fatti che abbiano rilievo storico, a vivere per la storia e per fare storia, ad appellarsi al crociano tribunale della storia per giustificarsi. A questa visione storicistica si è venuta contrapponendo quella visione che noi amiamo chiamare approccio umanistico. Per Rogers, Maslow, May e altri rappresentanti di questo approccio non è più l'uomo in funzione della storia, ma la storia in funzione dell'uomo. L'uomo non ha più il compito di fare la storia ma quello di costruire la sua humanitas, la sua vita di persona in una società di persone. Alla retorica dello storicismo dialettico, l'umanesimo contrappone l'umiltà della vita quotidiana, di quella vita degli umili, che sanno trovare un senso anche nella apparente banalità della vita quotidiana, che sanno sentirsi significativi anche senza la fama e il successo tributati ai salvatori della Patria o ai costruttori della storia. L'esistenza impegna la persona in un umile e tenace lavoro di riconquista e 12 ACP – Rivista di Studi Rogersiani dissodamento del proprio territorio per sottrarlo al dominio della "ingens silva" dei sensi e delle passioni (C. B. Vico). L'odissea esteriore dell'Ulisse contemporaneo si riduce al percorso che lo porta da casa in ufficio, mentre quella interiore è molto più complessa e carica di significato e valore. Ogni eroe del mito ripercorre questo cammino dell'uomo dalla barbarie alla civiltà, il passaggio dal sentimento al pensiero, dal senso all'intelletto. All'inizio l'uomo non sa nulla di sé, né sa esprimere i suoi sentimenti, ne sa rappresentarsi l'universo. Egli deve risalire dal nonessere all'essere, deve muoversi dall'oscurità verso la luce, dalla morte verso la vita. Man mano che l'uomo sviluppa la sua tendenza attualizzante simbolica si libera dai condizionamenti bio-psico-sociali e attraverso la mediazione della fantasia, del mito e del linguaggio risale verso la luce della coscienza e della ragione (Cassirer, 1924). Diogene cerca l'uomo, lontano dal clamore di cui si circonda Alessandro Magno, e ritrova se stesso soltanto quando è in grado di riconoscere la sua 'imago'; lo stesso accade al mitico Narciso. L'uomo è l'essere che si perde per ritrovarsi, l'essere che per avere una realtà deve perdere la propria realtà. Oltre l'uomo non c'è alcun altro essere al mondo che si continui a cercare come Diogene per tutta la vita, nessuno che continui a chiedersi "chi sono?", "perché sono?". Ma è proprio alla possibilità di porsi questa domanda che l'uomo deve la sua umanità. In questa domanda, secondo Pascal, l'uomo esprime tutta la sua miseria e tutta la sua nobiltà. Questa domanda su se stesso permette all'uomo di trascendersi e da semplice individuo diventare persona. Leopardi invidiava la inconsapevole tranquillità delle cose e dei viventi, il loro essere in pace con se stessi, la loro incapacità di porre in dubbio le loro percezioni, il loro non porre o non porsi domande, il loro non aver bisogno di spiegazioni e giustificazioni. Lui invece vuoi capire e questo lo porta ad incontrarsi con il dubbio, l'angoscia, la solitudine e la consapevolezza di essere per la morte. Da questo viaggio di andata verso l'angoscia della consapevolezza l'uomo ritorna quando recupera la capacità di ascoltare di nuovo con empatia le voci della natura e le parole degli uomini, come fa ad esempio proprio Leopardi nell'Infinito e nella Ginestra. Qui l'individuo Leopardi, rinato a se stesso e divenuto persona, ha insieme l'angoscia e la consapevolezza della sua miseria e la fede nella potenza della sua riflessione, della sua ragione e della sua azione. Riconosciamo quando l'individuo diviene persona nello sguardo nobile e sereno di chi si è riconosciuto, accettato e amato semplicemente per quello che è e può essere. Non c'è serenità e forza d'animo più alta di quelle di chi ha scoperto il senso del proprio destino, di chi ha saputo assumersi la responsabilità di se stesso. La gioia, l'amore, il sorriso, il riconoscimento e l'empatia, nella loro genuina freschezza, non nascono che in coloro che hanno saputo accettare se stessi. Il valore finale della persona, come ci ha ben chiarito Kant, non è allora rinvenibile nel campo cognitivo, ma nel campo etico. Il compito dell'umanità non è 13 ACP – Rivista di Studi Rogersiani quello di conoscere l'essere perfetto e assoluto, ma quello di impegnarsi a vivere in modo da realizzare in sé un essere che sia il più possibile perfetto ed assoluto. Può darsi che noi non riusciremo nell'intento ma questo e non altro è il compito dell'umanità. La realtà non è per me conoscibile, perché essa non è dietro di me come un dato compiuto, ma è davanti a me come un compito creativo, lo so che posso crearla e che voglio crearla. Solo ciò che è stato esperito e compiuto può essere integrato sul piano cognitivo; io so che solo facendo posso sapere, so che solo vivendo posso sperare di avere le risposte alle domande che pone la vita. L'arte dell'empatia: la persona incontra la persona Noi lavoriamo con mani tremanti a costruirti, Dio, pietra su pietra. Ma chi potrà condurti a compimento O Cattedrale? (Rilke, Libro d'ore) La riflessione filosofica ci ha fatto vedere la persona come l'essere che continuamente si trascende, l'essere che non conosce il mondo ma che costruisce il mondo, l'essere che non conosce se stesso ma che si autorealizza ogni giorno per tutto il tempo che gli è dato di vivere. La persona è l'uomo che, come dice Kant, non conosce Dio ma lo rende vivo nella sua azione. La persona è come l'anima del Fedro di Fiatone che è immortale in quanto si muove sempre e tende infinitamente all'irraggiungibile idea; è l'anima la cui immortalità sta nel suo tendere, nella sua intenzionalità. II valore infatti non consiste nel successo finale - praticamente irraggiungibile - ma nel tendere verso l'autorealizzazione. Il viaggio, il cammino, il processo sono essi stessi la meta e il valore; il valore della vita è tutto nel viverla: "vivere vitam" è la classica espressione in cui l'oggetto è interno alla sua funzione verbale. Anche il valore è interno alla persona e non può essere cercato fuori: "noli foras ire, in interiore homine est veritas" (Agostino). Il valore è "personale" o meglio "transpersonale" in quanto ogni persona, scavando dentro di sé, secondo l'invito agostiniano, si libera della propria empirica individualità, per trascendersi e scoprire anche il proprio valore transpersonale. E' in questo intento di trascendersi e di comunicare che la persona scopre la sua capacità di entrare in empatia con altre persone. L'empatia si configura come un momento essenziale della riflessione del Novecento. Theodor Lipps fa dell'empatia il caposaldo della sua concezione estetica (Lipps,1903-1906). La teoria estetica di Lipps diede luogo assieme a quella di Volkelt (Volkelt, 1905-1914), Stern (Stern, 1898) e di altri alla cosiddetta "estetica dell'Einfuhlung" incorsa negli strali di Benedetto Croce. Edmund Husserl ha fatto dell'empatia uno dei temi peculiari della sua fenomenologia (Husserl, 1917). Nel 1917 Edith Stein, allieva e collaboratrice di Husserl, pubblica la sua tesi sull'empatia (Stein, 1917). 14 ACP – Rivista di Studi Rogersiani Con la fenomenologia si chiariscono i capisaldi costitutivi degli atti di empatia, che saranno riscoperti da Carl Rogers e dagli psicoterapeuti di scuola umanistica con un processo di induzione dall'esperienza clinica che confermerà pienamente le intuizioni e riflessioni dei fenomenologi. Ne diamo qui di seguito una sintesi. L'empatia è la capacità di istituire comunicazioni intersoggettive sino a mettersi nei panni dell'altro, anche con sconosciuti, anche con estranei. L'empatia è la condizione genetica di ogni comunicazione, quindi di ogni inizio di società (Edith Stein, 1992). Per la Stein l'empatia si colloca come il ponte tra le due rive del fiume della vita personale e collettiva. L'atto dell'esperire empatico delle esperienze vissute altrui è visto dalla Stein - come qualche anno più tardi da Carl Rogers - anche come via necessaria alla correzioni delle illusioni che possono prodursi all'interno degli atti di empatia per sola percezione interna. Il riconoscimento dell'altro ha una ricaduta relativizzante su di me, l'impegno empatico a comprendere l'altro è condizione essenziale per la consapevolezza di sé. Con l'empatia la persona si apre anche alla possibilità di riconoscere che un'altra persona mi giudichi in modo più giusto di quanto non giudichi me stesso e mi dia chiarezza su me stesso. E' il riconoscimento di quello che in seguito sarà chiamato feedback e circolarità della comunicazione. L'empatia diviene per la fenomenologia la strada attraverso cui sperimentiamo l'esistenza di soggetti diversi da noi, anch'essi al centro di un loro mondo; la piccola porta attraverso la quale possiamo prendere coscienza dell'alterità che vi è tra soggetti diversi ma al tempo stesso individuare le condizioni di possibilità di rapporto e di comunicazione. L'empatia ha per Husserl e per Stein un valore costitutivo dell'esistenza umana: il cogliere l'esperienza altrui non è un atto successivo al coglimento della mia vita interiore e della realtà esterna, ma è un atto costitutivo di ogni piena esperienza di sé e del mondo. Accanto a questo valore fondativo l'empatia possiede anche un costante valore correttivo: essa mi aiuta a verificare e correggere il modo stesso in cui io valuto il mio comportamento e gli altri possono cogliere cose di me stesso che io non colgo e aiutarmi così a modificare il mio giudizio. Attraverso gli atti di empatia ogni persona può riconoscere il proprio limite. Ma proprio questo riconoscimento del limite fonda e permette la comunicazione e la relazione empatica. Proprio perché ogni esistenza è consapevole del proprio limite, riconosce la libertà delle altre esistenze. Un altro importante contributo è dato dalla Stein quando fa notare che l'esperienza dell'empatia ha il carattere di un atto originario il cui contenuto non è originario. E spiega che ciò è dovuto al fatto che il contenuto è il vissuto di un altro soggetto, di un soggetto diverso da noi. Il vissuto altrui può essere oggetto della mia esperienza a patto che io riesca a rivolgermi ad esso dal punto di vista di chi lo vive, e riesca a mettermi presso di lui, al suo posto; d'altra parte ('"alterità" dei soggetti resta irriducibile e tale resta dunque anche l'originarietà 15 ACP – Rivista di Studi Rogersiani con cui l'altro vive il suo dolore o la sua gioia, che non può essere confusa con il mio dolore e la mia gioia. Ma è proprio questo permanere della diversità, nota la Stein, che consente l'empatia, in quanto esperienza vissuta da un io ben determinato: se l'io si annullasse o assorbisse l'altro in una specie di allagamento emozionale non si darebbe più l'esperienza di soggetti "altri" da noi. Solo dalle persone sorge la vera comunità sociale, perché ogni persona, scavando in se stessa, scopre il proprio valore sociale, liberandosi dalla propria empirica individualità. Per la Stein il mondo spirituale è il mondo in cui avviene la costituzione della persona, è il mondo dei valori, del cogliere i valori attraverso il sentire, il volere, il conoscere. La persona si presenta non più semplicemente come unità di corpo vivente e anima, ma come "unità di senso", come soggetto capace di cogliere e conferire "senso" al vissuto. Come è possibile l'empatia a questo livello personale, dove ogni persona è unica e irripetibile? L'empatia spirituale presuppone che noi stessi siamo capaci di sentire i valori e non semplicemente di fare delle scelte perché contagiati dagli altri. Chi vive solo "per contagio" non è una persona ma solo un fantasma di questa (Stein, 1992, p.195). La comunicazione tra persone si fonda sull'apertura strutturale di queste all'altro, ma al tempo stesso sul proprio essere autenticamente se stesse, irriducibili ad essere annullate o a "farsi" vivere dagli altri. L'empatia spirituale è motivo di arricchimento sia nel caso in cui vengano empatizzate persone affini, sia in quello in cui vengano empatizzate persone diverse: le persone simili a noi ci stimolano a sviluppare ciò che in noi si è assopito, le persone diverse ci fanno capire ciò che noi non siamo e ci consentono di scoprire valori per noi sconosciuti. E ogni avanzamento nel regno dei valori è allo stesso tempo una conquista nel regno della propria personalità (Stein, 1992, p.182) "Questo cammino verso un'intersoggettività fondata, che mantenga l'apertura costitutiva all'"altro" e l'insopprimibile libertà dell'"lo", è ancora in gran parte da percorrere. Eppure è su questa strada che occorre procedere se si vogliono realizzare le condizioni culturali e sociali in cui possa esprimersi l'originalità di ogni uomo e si possa convivere come soggetti capaci di cogliere e conferire senso alle cose e alla propria esistenza" (Michele Nicoletti, Introduzione a L'empatia di Edith Stein, 1992). 16 ACP – Rivista di Studi Rogersiani "SORTE" Chi sei tu uomo che scandagli gli abissi sfidi le altezze e spingi sempre più in là l'orizzonte? Perché scendi nelle profondità dell'angoscia e ti provi a risalire dal non essere all'essere, dalla vanità delle cose al valore dell'esistente, dal nulla che ti fa libero alla decisione che ti fa responsabile? Mi affascini quando ti vesti del puro splendore del I a ragione per celebrare le nozze della luce con le tenebre della carne con lo spirito dell'odio con l'amore della vita con la morte dell'incommensurabile con il limite del tempo con l'eterno. Mi incanti ancora di più quando con l'amore mi aiuti a dare sapore alla vita e profumo alla speranza. A te, solo a te, che di tutte le cose tu sei la misura: a te, solo a te, è data questa possibilità: trascendere l'orizzonte dell'Io per andare incontro all'Intero nelle estasi del tempo passato, presente e futuro. 17 ACP – Rivista di Studi Rogersiani Bibliografia Abbagnano, N., Introduzione all'esistenzialismo, 1942 Bateson G., Mindand Nature, Dutton New York 1979; Trad. it. Mente e natura, Adelphi, Milano 1984. Bertalanffy L. von, The Theory of Open Systems in Physics and Biology, Science, voi. 3, 9-23, 1950. Ceruti M., La hybris dell'onniscienza e la sfida della complessità, 1985. 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