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Emozione e illusione.
Il bello e l’ingannevole nella Raumästhetik
di Theodor Lipps
Matteo Accornero
Dal bello all’ingannevole
Che cosa intendiamo descrivere quando, ad esempio, diciamo «questa colonna
si erge»? È quanto si chiede Theodor Lipps al principio della propria Raumästhetik
und geometrisch-optische Täuschungen, preoccupandosi innanzitutto di eliminare
ogni fraintendimento metodologico e delimitare ontologicamente il campo d’azione della propria trattazione: quali che siano le condizioni di verità di un enunciato
come «la colonna si erge», queste non possono appartenere alla sfera dei portati
dell’osservazione scientifica della realtà1 . La colonna è un oggetto in quiete, che
non muta né la propria posizione né la propria estensione all’interno del sistema di
riferimento spaziale e temporale. Per questo l’attività ascritta alla colonna dal predicato ergersi deve necessariamente appartenere a una sfera di attributi diversa da
quella delle proprietà fisiche della colonna stessa: solo un’elaborazione successiva
del contenuto sensibile da parte della soggettività è in grado di aprire alla percezione l’area semantica a cui il predicato ergersi appartiene. La ragione è che a ergersi
è innanzitutto il soggetto stesso, nella misura in cui questa attività rientra tra le sue
facoltà. La colonna può una simile attività solo in senso traslato, per effetto di un
vero e proprio trasferimento di contenuti psichici dal soggetto in direzione del percepito nel suo statuto meramente sensibile, nella forma di una trasformazione di
questo in senso antropomorfico. Sono le emozioni proprie all’esistenza dell’uomo,
1 Cfr. Th. Lipps, Raumästhetik und geometrisch-optische Täuschungen (1897), E.J. Bonset,
Amsterdam 1966, p. 3.
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quindi, a conferire vita e familiarità a una vasta area della realtà esperita, e artefice
di questo processo è una facoltà che caratterizza e impronta radicalmente la psiche
umana: l’empatia.
Con l’introduzione del concetto di empatia [Einfühlung] si è calati al centro
delle diramazioni concettuali dell’estetica dello spazio lippsiana, così come nel
cuore di un problema dalla notevole risonanza storica. È, quello di empatia, infatti, un concetto che occupa una posizione rilevante fra i filosofemi che vantano
la definizione di “classici”. Introdotto nell’accezione corrente dalle indagini di
R. Vischer e Lipps, in ambito fenomenologico i processi empatici, nelle loro diverse forme, costituiscono la chiave concettuale che nella sfera morale giustifica
l’accesso alla dimensione intersoggettiva e ne carica i termini e i contenuti di una
coloritura emozionale e sentimentale: così in Max Scheler e in Edith Stein. La parentela stretta che la nozione di empatia, intesa in senso psicologico, stringe con
quella di simpatia, carica inoltre la prima di una fitta trama di corrispondenze con
l’eredità teorica della tradizione empiristica e soprattutto della valorizzazione, in
ambito empiristico, dell’aspetto emozionale e descrittivo, rispetto a quello intellettuale e normativo, nel campo della filosofa morale. Tra i più influenti, Hume, il
quale riconduce alla simpatia la mitigazione della lotta degli egoismi individuali
nell’esortazione interiore alle virtù naturali, ascrive ai processi di comprensione
empatica dell’altro il raro privilegio di rovesciare il corso piano della umana natura
e permettere a un’impressione di seguire un’idea2 .
Con Vischer prima, e Lipps poi, si sposta invece l’interesse sulla rilevanza
estetica delle emozioni e dei processi di empatizzazione. Al valore estetico viene
attribuita una connotazione strettamente contenutistica ed edonistica3 . La bellezza
è la capacità di un oggetto di suscitare una sensazione di piacere. Il piacere deriva poi da un’esperienza caratterizzata dalla consonanza fra contenuto esperito e
struttura della psiche. L’immagine che utilizza Lipps, a questo proposito, è quella
della corda di pianoforte4 : come questa, la psiche possiede la facoltà di risuonare,
sollecitata dalle vibrazioni che corrispondono alla propria natura e al proprio grado
di tensione; o, ancora, al pari di un complesso sistema di corde, questa si attiva
producendo piacere in risposta a quegli stimoli che corrispondono alle sue peculiarità strutturali. I requisiti che lo stimolo deve soddisfare, poi, sono strettamente
contenutistici. È qui, come altrove nell’opera di Lipps, affermato decisamente il
primato dell’emotivo sull’intellettuale: è estetico quel piacere che deriva esclusivamente da una consonanza emotiva tra soggetto percipiente e oggetto, nella misura
in cui questa consonanza è un frutto spontaneo della contemplazione e non ab2 Cfr. D. Hume, Trattato sulla natura umana, tr. it. di A. Carlini, a cura di E. Lecaldano, Laterza,
Roma-Bari 1998, p. 334. Il carattere eccezionale della precedenza di idee a impressioni nel caso
della simpatia è da mettere anche in relazione al programmatico antidogmatismo già manifestato da
Hume nel riconoscere, in apertura dell’opera, l’eccezione costituita dalla missing shade of blue.
3 Cfr. E.K. Mundt, “Three Aspects of German Aesthetic Theory”, The Journal of Aesthetics and
Art Criticism, vol. 17, n. 3, March 1959, pp. 287-310.
4 Cfr. Th. Lipps, Ästhetik. Psychologie des Schönen und der Kunst (1903-1906), Leopold Voss,
Leipzig und Hamburg 1914-19202 , vol. I, p. 33.
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bisogna di alcuna mediazione da parte dell’intelletto. Il perimetro dell’estetico è
tracciato esclusivamente dalla capacità dell’emozione di corrispondere, attivandole, alle principali e originarie forme dell’espressione naturale della vitalità e della autoaffermazione vitale. In un senso lontanamente aristotelico, genera piacere
quella forma che ravviva e riattiva le emozioni caratteristiche della compiuta e piena forma della vita umana stessa. La forma che genera piacere è la forma stessa
dell’umanità, l’immagine del suo stato più perfetto5 .
Sono forme capaci di suscitare emozioni estetiche quelle dei nostri simili, percepiti in carne e ossa o effigiati. Ma così pure le forme animali, nella misura in cui
i processi empatici ci restituiscono un volto umanizzato dell’universo delle emozioni e dei temperamenti ferini. Non sono escluse dalla sfera dell’estetico neppure
le raffigurazioni prive di rapporti di somiglianza apparente con il reale vivente. Per
generare piacere, nel caso di queste forme, non è necessario che esse ricordino all’anima il suo lato esteriore, il molteplice universo della manifestazione emotiva:
la storia che raccontano le forme di oggetti inanimati o astratte, il temperamento
che dimostrano, sono contenuti nella processualità stessa che ne determina l’appercezione. Il cogliere la forma si lega qui a una sorta di riviviscenza dell’emozione
che ha accompagnato altre precedenti occorrenze di un analogo coglimento, e alla
riproduzione, quindi, dell’emozione stessa. Lo spazio stesso in cui giacciono le
forme astratte o oggettuali risulta polarizzato dai riferimenti emozionali che lo attraversano nella realizzazione dell’esperienza soggettiva di questo: il sopra e il sotto vengono così attraversati dalla gravità, la direzione orizzontale dall’indifferenza
a questa forza.
Ma quali esigenze avanza il bello all’apparenza esteriore delle forme astratte?
Come per le altre forme, anche per queste vale il principio che è in grado di suscitare piacere estetico solo ciò che sia in grado di attivare con coerenza lo slancio vitale
che dà compimento all’anima. Ma, a differenza delle altre forme, queste subiscono
anche una coercizione, nel loro aspetto fenomenico, da parte dell’anima. Così la
colonna, o la statua, o la stessa riga verticale, si ergono, ma allo stesso tempo sono gravate dal compito di vincere la forza di gravità che ne minaccia la posizione.
È questa la fonte dell’estensione antropomorfica di predicati schiettamente umani
alla sfera degli oggetti inanimati e degli stessi segni grafici che tracciamo sui fogli.
Ma è questa pure la fonte di quelle deformazioni e di quelle disarmonie che Lipps
accomuna sotto la denominazione di illusioni ottico-geometriche, la natura delle
quali, nonostante la tradizionale denominazione, piuttosto che dall’ottica fisica, dipende invece dalla struttura del sistema percettivo e dall’organizzazione del campo
visuale. La deformazione è il destino di una forma priva di organicità, equilibrio e
5 Cfr. Aristoteles, Physica, II, 193a-194a: «In un altro modo, la natura è la forma e la specie
data secondo la definizione. [. . . ] Inoltre: la natura, intesa come processo generativo, è la via
verso la natura. [. . . ] E dunque che cosa sta nascendo? Non ciò da cui, ma ciò verso cui è il
processo. La forma è quindi natura. [. . . ] infatti non ogni stato finale pretende di essere un fine, ma
soltanto lo stato migliore.» (tr. it. e cura di F. Franco Repellini, Fisica Libri I e II, Bruno Mondadori,
Milano 1996, pp. 80-85).
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coerenza, è la risposta soggettiva alle proprietà antropomorfiche di questa forma6 .
È la ricerca del bello nelle sue forme storiche a ricordarcelo: non è forse questo
il movente di tanti espedienti dell’architettura della Grecia classica (tra i quali, la
rastremazione e l’entasis, per la colonna, l’inclinazione verso l’interno dei lati lunghi, per la pianta del tempio), la ricerca di una rispondenza armoniosa alle sorgenti
più originarie delle attività e forze vitali, che limiti l’operato della forza deformante
del disarmonico e del brutto?
Metafisica delle emozioni
Si è già accennato a un concetto fondamentale dell’estetica di Lipps: la preminenza della sfera emotiva su quella intellettuale e cognitiva. È questa una priorità
che riveste, per quest’ultimo, tanto un ruolo logico quanto un ruolo ontogenetico. Per quanto concerne il concetto, Lipps esprime la convinzione che gli aspetti
percettologicamente salienti, i segni caratteristici [Merkmale] alla base della competenza classificatoria, abbiano natura emozionale7 . Come potrei altrimenti riconoscere come tali, ad esempio, due spirali in disegno, che graficamente non possiedono nulla in comune (dimensioni, orientamento, rapporti proporzionali), se non
attraverso il comune carattere, la comune personalità che esse esprimono? Una
spirale si staglia per noi sullo sfondo del campo percettivo in virtù della crescente
attività e della declinante tensione che animano il dipanarsi della linea curva con la
quale essa è tracciata. Queste sono, in fondo, le premesse di un importante passo
teorico: l’intensione di un concetto viene fatta coincidere con un’emozione, con un
particolare temperamento emotivo.
Sono tuttavia le stesse radici più profonde dell’individuo e della sua vita cosciente ad affondare nel terreno delle risposte emotive elementari. Nell’identificare
la sorgente di queste risposte fondamentali, Lipps è convinto che si debba accantonare ogni associazionismo e ogni comportamentismo: esiste un terreno ultimo
del vivere emozionale, non ulteriormente riducibile, il quale può avere un unico
fondamento, e questo è l’istinto8 . L’indagine chiarificatoria delle sorgenti del bello
deve così risalire, nell’ottica di Lipps, fino ai bagliori antelucani dell’esperienza cosciente, fino ai primi balbettii della vita psichica, quando l’agire è cieco e l’attività
psichica istintuale. Lipps non dimostra alcuna titubanza nel chiarire il pieno diritto
all’utilizzo di un procedimento genetico in estetica: questa infatti non è che una
branca della psicologia, e della psicologia deve adottare i procedimenti, se aspira
al rango di disciplina scientifica epistemologicamente fondata9 .
Coerentemente con quanto detto, Lipps argomenta la natura innata di determinati movimenti del neonato che, sebbene nell’adulto abbiano natura volontaria,
nel neonato si realizzano spontaneamente. È così che nasce la volontarietà motoria: l’istinto cieco determina una sequenza di contenuti cinestetici e percettivi di
6
Cfr. Th. Lipps, Raumästhetik und geometrisch-optische Täuschungen, cit., p. 24.
Cfr. Id., Ästhetik. Psychologie des Schönen und der Kunst, cit., vol. I, p. 233.
8 Cfr. ibid., vol. I, p. 114.
9 Cfr. ibid., vol. I, p. 1.
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cui l’attività, lo sforzo psichico, successivamente, persegue una volontaria e libera
iterazione. Solo lo sforzo può ridurre progressivamente al dominio della volontà
e libertà individuali le molteplici forme della motilità. Ma con lo sforzo si produce anche l’asse edonico fondamentale della natura umana, che percorre le varietà
emotive comprese tra la realizzazione e la frustrazione della finalità dell’attivazione psichica. Solo questo legame interiore fra dominio del movimento e razionalizzazione dell’esperienza di piacere e insoddisfazione fornisce il termine medio
che permette l’interpretazione e la comprensione delle espressioni emotive proprie
della realtà esterna, e soprattutto degli altri esseri umani10 .
La comprensione a cui si fa riferimento è soltanto un aspetto ristretto del processo dell’empatia. Il rifiuto di Lipps di far derivare la partecipazione empatica da
principi analogici fra espressioni proprie e altrui, così come da processi inferenziali relativi ai vissuti individuali, a partire dall’osservazione del comportamento,
è motivato innanzitutto dalla registrazione descrittiva di un fatto fondamentale: un
vissuto di inferenza induttiva o di derivazione analogica non reca con sé emozioni,
come invece fa, costituzionalmente, il processo empatico. La soggettività altrui
è realmente percepita, anzi, vissuta, e non solo inferita. La psicologia di Lipps
va intesa in senso antiriduzionistico (o, quanto meno, in senso riduzionistico non
eliminazionistico)11 : spiegare psicologicamente la percezione e la partecipazione
psichica alla vita cosciente altrui non deve essere sinonimo di eliminazione dell’oggetto della spiegazione. Le evidenze descrittive sono qui incontrovertibili: le
passioni e le emozioni altrui ci sono immediatamente presenti nell’empatia12 .
La volontà di salvare le evidenze introspettive, coniugata al rigido piano gnoseologico empiristico della sua psicologia, mena tuttavia Lipps nelle peste di una
sorta di solipsismo emozionale. L’esempio dell’acrobata13 , condotto da Lipps a
illustrazione dell’empatia, ne è una chiara prova. Brevemente esposto, l’esperimento mentale di Lipps è il seguente: immaginiamo un acrobata compreso nella
realizzazione di una pericolosa acrobazia; che cosa fa sì che le sensazioni prodotte
dai nostri muscoli e dal nostro stato fisico giustifichino affermazioni del tipo «era
un’acrobazia mozzafiato, mi sembrava come di essere al suo posto in volo tra i
trapezi»? Soltanto l’istinto all’imitazione [Trieb der Nachahmung] può giustificare questa forma di partecipazione. Ma che cosa si imita? Certo non i movimenti
esteriori. A essere imitato è qualche cosa che non vedo, qualche cosa che però
sperimento originariamente nel dominio dei miei stessi movimenti: lo sforzo e la
tensione interna finalizzati alla realizzazione del movimento. Noi non ci muoviamo con l’acrobata, bensì ci sforziamo internamente come lui, nella realizzazione
del suo movimento, che d’altra parte è il solo aspetto a raggiungere la superficie
della visibilità.
10
Cfr. ibid., vol. I, p. 120.
Cfr. ibid., vol. I, pp. 98-99, così pure Th. Lipps, Psychologische Untersuchungen, I. Band,
Wilhelm Engelmann, Leipzig 1907, p. 712.
12 Cfr. Th. Lipps, “Das Selbstbewußtsein, Empfindung und Gefühl”, Grenzfragen des Nerven- und
Seelenlebens, n. 9, 1901, p. 41.
13 Cfr. Id., Ästhetik. Psychologie des Schönen und der Kunst, cit., vol. I, p. 122.
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Questa imitazione interna non rimane tuttavia confinata entro il cerchio magico
della vita di coscienza; l’empatia non è l’attivazione di uno schema motorio, come
quello che si attiva, ad esempio, nella presentificazione di un proposito. Un altro
istinto, questa volta all’esternazione, all’espressione [Trieb der Äußerung], determina una vera e propria esperienza dello sforzo e, conseguentemente, di una forma
attenuata delle sue manifestazioni motorie. Nel momento di massima intensità del
fenomeno empatico [vollkommene Einfühlung] le nostre emozioni sono tutt’uno
con quelle dell’acrobata, e i due soggetti sono, invero, uno soltanto nella condivisione della stessa esperienza di slancio, determinazione, paura, tensione, ecc.; solo
un vissuto riflessivo successivo ristabilisce l’alterità tra soggetto empatizzante e
soggetto empatizzato. Lipps puntualizza tuttavia come la definizione di imitazione
interna, per l’esperienza dell’empatia sia inesatta: nell’imitazione c’è un modello,
qui no. L’unica vera sorgente di emozioni è quella del soggetto empatizzante, queste emozioni hanno carattere originario, quelle empatizzate hanno carattere derivato, sono una sorta di travaso delle prime. Il termine che Lipps adopera per definire
la relazione fra soggetto empatizzante ed empatizzato è quello di raddoppiamento
[Verdoppelung]14 .
L’esempio dell’acrobata mette in luce la centrale importanza rivestita dalle manifestazioni emotive per la comprensione della certezza intuitiva nell’esistenza di
soggettività esterne. Costituisce inoltre una spiegazione dall’impostazione fortemente psicologica, preoccupata di non tralignare rispetto ai fondamenti della gnoseologia empiristica. Come si è già accennato in precedenza, tuttavia, l’empatia
costituisce per Lipps un fenomeno che si apre a raggiera e che, dalla posizione
centrale occupata dalla soggettività umana, si allarga, quasi in senso emanazionistico, verso animali, oggetti, forme astratte, ai quali comunica attività e vita,
umanizzandoli.
Se, nel caso degli animali, questo fenomeno è in larga parte analogico, e tanto più marcato quanto maggiore la somiglianza con il modello dell’espressione
umana, nel caso di oggetti e forme astratte questo processo conosce una modificazione sostanziale che dalla psicologia finisce per spostare l’accento sull’ontologia.
Nel caso della maggior parte degli oggetti, infatti, non ci troviamo in presenza d’alcun movimento in grado di suscitare la trasmissione emotiva descritta nell’esempio
dell’acrobata. Se l’oggetto è in quiete, tuttavia non è detto che in quiete sia anche il
soggetto che lo percepisce. È così introdotto un secondo tipo di movimento emotigeno, dopo quello concreto e fattuale: propriamente un movimento di pensiero, si
tratta della dinamica dell’appercezione [Auffassungstätigkeit], che a sua volta apre
alle emozioni di origine appercettiva15 .
Nello schema gnoseologico lippsiano il termine appercezione [Apperzeption]
si oppone a quello di percezione [Perzeption], parallelamente a come il termine
rappresentazione [Vorstellung] si oppone a quello di contenuto sensibile [Gesich14
15
Cfr. ibid., vol. I, p. 106.
Cfr. ibid., vol. I, p. 185.
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tsbild]16 . Con questa distinzione Lipps intende argomentare che, sebbene a rigore il contenuto del vissuto percettivo sia la manifestazione sensibile (intesa come
proiezione e continuazione psichica dell’azione fisica determinata dalle proprietà
della cosa esperita), la soggettività, nell’appropriarsi dell’oggetto, trasmette una
coloritura emotiva a questi contenuti, in relazione a esperienza, condizioni attentive, nonché alle proprietà emotive cui è connessa, in virtù del proprio agire e della
relativa empatizzazione, l’attività appercettiva stessa.
Arriviamo così ad afferrare parte del senso dell’interrogativo iniziale: «La colonna si erge» è un enunciato descrittivo di un aspetto fenomenico aggiuntivo rispetto al semplice contenuto sensibile della percezione. L’ergersi della colonna
corrisponde all’attività apprensiva graduale che, dipanandosi lungo la direzione
che parte dal basamento e sfocia nel capitello, si concretizza in un movimento di
pensiero dotato di un preciso orientamento direzionale. I fondamenti emozionali
dell’enunciato in questione, che l’appercezione conferisce al contenuto sensibile,
sono, come nel caso dell’acrobata, le emozioni caratteristiche della vita del soggetto. La dinamicità, e il temperamento caratteristico appercepiti nella colonna, non
sono che l’oggettivazione in una cosa esterna dei vissuti propri della vita cosciente.
Questo trasferimento emotivo avviene, tuttavia, non più per il tramite dell’apprensione del movimento altrui, bensì per mezzo del movimento di pensiero contenuto
nell’apprensione stessa.
Il quadro così descritto è evidentemente molto diverso da quello dell’empatia
umana. Un elemento comune, dal significato particolare, non è tuttavia lasciato
cadere: quello dell’istinto di espressione. Come si è visto, nel caso dell’acrobata questo istinto costringe lo spettatore a una rattenuta espressione gestuale degli
stessi vissuti che appercepisce alla base dei movimenti dell’atleta. Nel caso degli oggetti inanimati e delle forme astratte, Lipps rintraccia conseguenze ancor più
profonde del coartato influsso di questa attività istintuale: esprimersi, nel caso dell’appercezione, non significa produrre un gesto, significa invece, in questo caso,
produrre la rappresentazione di un oggetto. La valorizzazione empatica consapevole di un oggetto, appare, in quest’ottica, l’eco cosciente della inconsapevole trasmissione appercettiva di determinate qualità emotive al percepito. L’esternazione
e l’espressione, prima ancora del fondamento psicologico del rapporto interpersonale, costituiscono le fondamenta ontologiche della qualità morali della realtà:
prima di percepire il valore occorre che esso, nella realtà, venga appercettivamente
prodotto17 .
Sebbene Lipps adotti un prudente dualismo gnoseologico, separando il dominio della percezione da quello della rappresentazione, sotto molti aspetti la sua
filosofia appare venata da una forte impronta di romanticismo idealistico. Si è già
fatto cenno a come, nell’esempio dell’acrobata, Lipps argomentasse una fase di
perfetta unione tra soggetto e oggetto dell’empatia, tolta soltanto dal successivo
sopravvento della riflessione intellettuale. Nel trattare della valorizzazione emoti16
17
Cfr. ibid., vol. I, pp. 10, 184.
Cfr. ibid., vol. I, p. 236.
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va del regno dell’inanimato, Lipps argomenta, anche in questo caso, che il punto
di partenza è unico: i miei stessi sentimenti. In questo caso, tuttavia, alla base
dell’estraniamento del contenuto emotivo in un oggetto è posta la passività del decorso percettivo: il soggetto non è libero di condurre in una direzione o in un’altra
l’incedere appercettivo. Il fare della soggettività nell’appercezione è un fare cieco,
poiché è l’organizzazione dei contenuti sensibili a determinare, in parte, la direzione dell’organizzazione di questi in una rappresentazione coerente. Alla passività
dell’attività appercettiva segue la passività della connessa valorizzazione emotiva:
parallelamente a come ci si è già opposto un oggetto, ora ci si oppone anche un
valore. È in questo modo che il valore diventa oggettuale, e l’oggetto guadagna,
per sé, una coloritura emozionale18 .
Con l’esempio della colonna viene introdotto un secondo punto fondamentale:
gli orientamenti spaziali non sono intercambiabili e reciprocamente indifferenti.
La colonna non è appercepita casualmente come ergentesi. Non solo le proprietà
costitutive dei contenuti sensibili, ma anche la conformazione anatomica dell’uomo determina una valorizzazione emotiva dell’orientamento spaziale: la direzione
verticale infatti assume un eccezionale rilievo, concretando la fondamentale postura eretta, e rappresentando quindi la persistenza della postura stessa nel contrasto
con la forza di gravità o eventuali gravami supplementari. In questo senso Lipps
afferma che lo stesso semplice segmento verticale è già di per sé simbolo dello
slancio verso l’alto e della resistenza alla gravità19 .
L’importanza della tensione tra passività e attività è tale da riverberarsi in una
vera e propria ristrutturazione concettuale all’interno dell’estetica di Lipps. La forma, per Lipps, è tale solo per estrazione rispetto a uno sfondo20 . Nelle condizioni costitutive della forma è già contenuta una tensione fra esterno e interno, fra
proprio ed estraneo, che mette in moto la trasmissione di valore emotivo nella direzione della forma stessa. Ma Lipps, rescindendo un nodo metafisico di lontane
origini, si spinge ancora più in là, fissando l’equivalenza fra essere e azione. L’essere non costituisce che una concentrazione attentiva: qualche cosa, per essere,
deve accadere. Ma per accadere, a sua volta, non può limitarsi ad agire, deve allo
stesso tempo resistere a un’azione di verso opposto. L’accadere è un equilibrio,
una tensione fra azione e resistenza all’azione: senza tensione l’azione dilaga e si
dissolve nel nulla21 .
Il solipsismo gnoseologico a tratti adottato nel confrontarsi con i problemi dell’esperienza dell’intersoggettività, può condurci a sospettare che l’impianto metafisico della dottrina lippsiana sia più articolato e problematico di quanto Lipps
stesso non intenda lasciar trapelare. Tanto più che l’intera architettura della trattazione estetica allude a una sorta di continuazione estetica delle antitesi gnoseologiche. In sintonia con un idealismo trascendentale alla Schelling22 , Lipps sembra
18
Cfr. ibid.
Cfr. ibid., vol. I, p. 263.
20 Cfr. ibid., vol. I, p. 194.
21 Cfr. Th. Lipps, Raumästhetik und geometrisch-optische Täuschungen, cit., pp. 42, 54.
22 Cfr. F.W.J. Schelling, Sistema dell’idealismo trascendentale, tr. it. e cura di G. Boffi, Rusconi,
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ricondurre il piacere artistico a quello che è il ricongiungimento postumo della soggettività originariamente alienata a sé stessa nell’opposizione al mondo e alle cose
in esso contenute.
Emozione e illusione
Sulla scorta di quanto delineato, l’esempio iniziale della colonna acquista un’articolazione e una complessità maggiori. L’enunciato «la colonna si erge» registra
infatti soltanto uno dei lati della simbologia ancipite che lega le forme ai moti
dell’animo umano. La spinta verso l’alto della colonna non potrebbe esistere, infatti, senza subire l’azione di una forza di verso contrario, un’attività di resistenza
– senza quindi esercitare uno sforzo. Quello che fa, piuttosto, l’enunciato citato,
è descrivere quella che è l’attività principale o primaria che attraversa la forma
della colonna, trascurando quella che è invece un’attività secondaria, un’attività
dall’importanza subordinata23 .
L’asimmetria tra queste due attività getta il seme della possibilità di uno squilibrio, quindi di una valorizzazione estetica negativa e conseguentemente di un’illusione ottica: un oggetto, la cui sagoma presenta la preminenza della dimensione
verticale, come una colonna o un pilastro, tenderà infatti a essere sopravvalutato,
per altezza, rispetto a un oggetto ugualmente alto, ma dalla dimensione verticale in
posizione subordinata rispetto a quella orizzontale24 . Che cosa determina questo
effetto distorsivo? Si sono già spiegate le conseguenze dell’istinto di espressione
nell’empatia umana: il soggetto riproduce e dà corso, nella gestualità, al movente e
all’emozione appercepita nel soggetto empatizzato. Nel caso della colonna, invece,
l’istinto di espressione fa sì che la dinamica appercettiva dia seguito all’attività primaria, la quale appare prevalere nello sforzo e nella tensione dell’equilibrio, producendo l’accentuazione di quell’aspetto della forma (una dimensione, una direzione,
un tratto caratteristico) che è il portatore empatico della tendenza primaria stessa.
Ancora una volta ciò che nell’empatia umana trovava traduzione gestuale conosce
qui un riverbero fenomenale, nella forma di una deformazione oggettuale25 .
L’attività principale è dunque la sola capace di determinare modificazioni fenomeniche, nella modalità descritta? La risposta negativa a questo quesito costituisce
la nota distintiva più rilevante dello studio sulle illusioni ottiche condotto da Lipps.
Tanto più che, nel caso della colonna, che poi costituisce il punto di partenza di
questa trattazione, è proprio negli effetti delle illusioni secondarie che va ricercato
il fondamento degli accorgimenti correttivi che per questo elemento architettonico riserva l’ordine dorico. Nel caso di uno stretto pilastro (privo di rastremazione
e quanto più perfettamente parallelepipedo) Lipps osserva che la mancanza di un
segno evidente dello sforzo di autocontenimento, necessario a contrastare l’effetto
Milano 1997, pp. 181, 555.
23 Cfr. Th. Lipps, Raumästhetik und geometrisch-optische Täuschungen, cit., p. 58.
24 Cfr. ibid., p. 112. Sebbene solo debolmente, è quanto si verifica gradualmente in Figura 1
(p. 17).
25 Cfr. ibid., p. 61.
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della controtendenza costituita dalla forza di gravità, tende a produrre l’apparente
collasso della struttura sotto l’azione di questa seconda forza26 . Questa illusione
secondaria (secondaria rispetto alla primaria di elevazione) determina un’apparente
divergenza dei lati verticali (divergenza delle verticali27 ). È a questa tendenza che
risponde la tecnica dell’entasis, propria dell’ordine dorico. Oltre a essere rastremata, e quindi ad accentuare la relativa solidità del sostegno rispetto al suo carico, la
colonna dorica presenta un rigonfiamento del fusto teso a eliminare definitivamente
ogni deformazione, dando concreta raffigurazione allo sforzo e alla resistenza contro il peso e racchiudendo, nello stesso sistema di forze da cui dimostra di essere
sollecitato e sorretto, l’espressione organica e completa del conflitto soggiacente
alla propria statica mole28 .
Se quindi le condizioni di verità dell’enunciato iniziale risiedono nella meccanica estetica generata dall’attività appercettiva, le condizioni di una empatizzazione appercettiva positiva, e quindi di un godimento estetico della forma prodotta
dalla meccanica estetica stessa, risiedono invece nella realizzazione equilibrata e
coerente della meccanica stessa, in una sorta di solida unità nella molteplicità:
un principio fondamentale per ogni forma di bellezza e di valorizzazione estetica.
La colonna, per essere bella, non può limitarsi a ergersi, deve piuttosto fare ciò
coerentemente e persuasivamente, convogliando senza residui, nel proprio sforzo
di elevazione e autocontenimento, ogni altra forza e attività secondaria29 .
Secondo Lipps, la meccanica estetica e le tendenze illusorie sottostanti all’esempio della colonna sono estendibili all’intera sfera delle illusioni ottico-geometriche (la divergenza delle verticali nel pilastro non è funzione della materialità
del pilastro stesso, bensì esclusivamente della sua forma determinata). Giungiamo
così a uno snodo fondamentale della trattazione lippsiana delle illusioni otticogeometriche: a ogni fenomeno primario ne corrisponde uno secondario opposto,
derivante da una diversa accentuazione degli aspetti formali che rappresentano le
opposte tendenze alla base dei due fenomeni. Nell’introdurre il tema Lipps sceglie
un esempio che coinvolge una delle tre sfere fondamentali delle illusioni ottiche,
quella delle deformazioni della grandezza relativa (a cui si aggiungono le illusioni relative alla direzione e quindi alla forma)30 . L’esempio consiste in un ricordo
d’infanzia dal contesto rurale, precisamente di un’impressione abbastanza notevole, registrata quando ancora l’esperienza non riesce a mitigare gli effetti ottici nella
loro purezza: vista nella propria stalla, una vacca appare più grande di quando è
vista nel mezzo di un prato31 .
Si tratta di un effetto secondario. Se per la direzione verticale l’attività primaria
è quella dell’elevazione, nel caso dell’estensione spaziale l’attività principale è invece quella della delimitazione [Begrenzung]. L’attività di delimitazione conduce
26
Cfr. ibid., p. 58.
Cfr. F. Slavazzi, Il tempio greco, CUSL, Milano 1995, pp. 47-48.
28 Cfr. Th. Lipps, Raumästhetik und geometrisch-optische Täuschungen, cit., pp. 9-10.
29 Cfr. ibid., p. 70.
30 Cfr. ibid., p. 65.
31 Cfr. ibid.
27
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a una sottostima di una superficie chiusa rispetto a una aperta, oppure delimitata
in misura minore. Ma alla tendenza primaria si oppone una tendenza secondaria
di espansione. Le illusioni di cui parliamo esistono in virtù di uno sfasamento del
punto di applicazione delle due forze: la prima agisce sul margine della figura,
contraendone le dimensioni; la seconda agisce all’interno della figura, determinando un effetto di sovrastima delle dimensioni di quanto posizionato all’interno dello
spazio delimitato dal contorno, purché sufficientemente distaccato da questo, tanto
da non confondersi con esso32 .
Un altro esempio di tensione ed equilibrio fra attività contrastanti concerne le
illusioni derivanti dal mutamento apparente di direzione. Un cambiamento di direzione contiene tanto il principio per una sua sovrastima, quanto quello che ne determina una corrispondente sottostima, o comunque una limitazione della menzionata sovrastima. È quanto si evince dal confronto dei disegni contenuti in Figura 3
(p. 19). In questo caso, spiega Lipps, l’attività primaria è quella della deviazione, del deliberato mutamento di direzione da parte del segmento obliquo rispetto a
quello verticale. L’appercezione progressiva del movimento del doppio segmento
dà luogo a un’interpretazione dello sfasamento tra i due alla stregua di un prodotto
volontario del temperamento di un’unica linea, la quale prende partito, a un certo
punto, per un’improvvisa deviazione. L’empatizzazione delle forme astratte, tuttavia, consiste proprio nell’accentuazione e nel proseguimento dei principali movimenti appercettivi; da qui la sovrastima dell’angolo fra il segmento obliquo e la
continuazione di quello verticale nel disegno di sinistra, rispetto a quello omologo
nel disegno di destra. La controtendenza è, in questo caso, determinata dall’attività
secondaria di appercezione di una continuità di movimento. Accade così che, nel
disegno di destra, l’effetto illusorio sparisce quasi completamente33 .
Lipps è convinto che, in casi particolarmente semplici, il rapporto dinamico fra
tendenza e controtendenza, nella determinazione di un equilibrio o di uno squilibrio nell’appercezione figurale, possa essere rappresentato come una vera e propria
funzione tra le variabili maggiormente interessate dal fenomeno illusorio. È quanto può essere realizzato nel caso delle illusioni concernenti le dimensioni lineari.
In Figura 4 (p. 20) sono rappresentati in successione diversi e contrastanti fenomeni
di sovrastima e sottostima che hanno luogo prendendo in considerazione una parte
più piccola di un segmento maggiore, i cui estremi sono rappresentati progressivamente sempre più distanti dal centro del segmento maggiore stesso. Il primo effetto
è quello di una lieve sovrastima: il segmento più breve beneficia di un effetto di
sovrapposizione tra la propria attività espansiva e quella del segmento maggiore.
Aumentando la distanza degli estremi dal centro, si assiste a un rovesciamento della
direzione dell’attività illusoria: il segmento minore perde autonomia e perde così il
legame con l’attività espansiva del segmento maggiore. A questo punto il segmento
32
In Figura 2 (p. 18) si verifica in effetti un’accentuazione dell’altezza del quadrato privo di lato
inferiore rispetto all’altezza del quadrato il cui perimetro è completo, nonché una certa sovrastima
delle dimensioni del quadrato pieno che è contenuto nel perimetro di un secondo quadrato, rispetto
al quadrato pieno isolato.
33 Cfr. ibid., p. 274.
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minore è parte non-autonoma di un intero e risente degli effetti della concorrenza
con le altre parti costituenti l’intero. Il fenomeno descritto diventa evidente quando
è confrontato con quello opposto: con l’approssimarsi degli estremi del segmento
minore a quelli dell’intero, si verifica nuovamente, ma con maggiore forza, una fusione tra le attività espansive dei due segmenti in grado di determinare una decisa
sovrastima del segmento minore. Con fini meramente illustrativi e orientativi, si
può, a questo punto, riassumere la risultante delle variabili introdotte in un grafico (Figura 5, p. 21) dove la direzione e l’intensità della valutazione illusoria delle
dimensioni del segmento minore vengono espresse in funzione del progressivo allontanamento degli estremi del segmento minore dal punto centrale del segmento
maggiore34 .
Con la trattazione delle illusioni concernenti le dimensioni di segmenti giungiamo a una trattazione che non riveste un ruolo centrale nell’esposizione di Lipps,
ma che ha come oggetto un’illusione che vanta per contro una certa centralità
nella storia della psicologia. Giungiamo infatti alla illustrazione dell’illusione di
Müller-Lyer (Figura 6, p. 22). Questa illusione raccoglie, per Lipps, un’immeritata notorietà: questa non è, infatti, che il frutto della meccanica estetica che si
evince in forma più diretta e semplice dagli esempi già discussi, e inoltre non presenta particolarità o difficoltà di eccezionale rilevanza35 . Il fenomeno principale,
alla base dell’illusione di Müller-Lyer, è quello già descritto dell’alternativa accentuazione della tendenza primaria nelle forme organizzate lungo l’asse orizzontale,
l’attività di contenimento da parte degli estremi, o della tendenza secondaria, la
tendenza all’espansione che interessa l’interno dell’estensione. Nel caso dell’illusione di Müller-Lyer, i segmenti obliqui orientati verso l’esterno danno risalto
proprio alla tendenza secondaria, con una conseguente decisa sopravvalutazione
della lunghezza del segmento orizzontale. L’attività di delimitazione svolta dagli
estremi dei segmenti obliqui rivolti verso l’interno, invece, va a sommarsi a quella già presente negli estremi del segmento orizzontale, determinandone una forte
sottovalutazione36 .
L’illusione di Müller-Lyer deve inoltre la propria esistenza anche a un altro fattore, relativo alla forma delle superfici contenute fra linee oblique e quelle orizzontali: in questo caso, trapezi privi di una base. Viene toccato così l’ultimo degli ambiti delle illusioni geometriche, quello concernente le forme delle superfici. È proprio un principio fondamentale di questo ambito, infatti, ad accentuare l’illusione
in questione. La superficie delimitata da linee divergenti possiede tratti meccanicoestetici caratteristici: il progressivo allontanamento delle due linee divergenti viene
34
Cfr. ibid., p. 187. A differenza di quanto qui illustrato, l’esempio di Lipps è condotto con l’ausilio di superfici bidimensionali e interpretato attraverso l’introduzione di qualche nozione meccanicoestetica ulteriore. La traduzione in termini di segmenti lineari dell’esempio di Lipps, determinata
da esigenze di sinteticità, risponde al sistema concettuale originale per tutti gli aspetti essenziali. Sebbene nell’originale manchi una rappresentazione grafica della funzione fra distanza e forza
dell’illusione, questa funzione è ampiamente descritta a parole dallo stesso Lipps.
35 Cfr. ibid., p. 237.
36 Cfr. ibid., p. 239.
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interpretato appercettivamente come un allentamento progressivo dell’attività della tendenza espansiva propria dello spazio tra queste contenuto. Il risultato è una
sopravvalutazione della forza espansiva, e quindi della relativa dimensione, della
linea che congiunge le linee divergenti dove queste sono più ravvicinate, rispetto
alla linea che le congiunge dove queste sono maggiormente discoste. L’influenza
di questo principio sulla valutazione delle basi dei trapezi, nonché sulla percezione delle linee orizzontali nell’illusione Müller-Lyer, vanno nella direzione di una
accentuazione dell’effetto illusorio già determinato dai rapporti fra segmenti37 .
Si comprende ora per quale ragione l’illusione di Müller-Lyer non possieda per
Lipps un carattere di paradigmaticità: è piuttosto una fusione di effetti diversi, dove
la natura emozionale delle deformazioni della percezione delle forme astratte non
giunge a piena chiarezza e dove a questa è difficile dare il giusto risalto.
Conclusioni
La trattazione dell’illusione di Müller-Lyer da parte di Lipps ci offre un qualche
piano di comparazione per una valutazione degli esiti delle indagini di quest’ultimo. A differenza di quanto ritenuto da Lipps, l’importanza del fenomeno studiato
per la prima volta da Müller-Lyer, nel 1889, sopravanza di gran lunga quella di altre
illusioni più deboli che, al contrario, possiedono una posizione centrale nell’esposizione lippsiana. La tenace resistenza inoltre offerta dall’illusione in questione ai
tentativi di spiegazione di un intero secolo di ricerca psicologica38 produce un certo
stupore di fronte all’affermazione di Lipps circa la particolare facilità di risoluzione
del problema.
Nel 1889, Müller-Lyer avanza l’ipotesi che i fenomeni illusori da lui trattati,
tra cui quello più famoso e originale riportato in Figura 6 (p. 22), possano derivare dalla interazione di fenomeni più profondi congiunti. Tuttavia, Müller-Lyer si
sente autorizzato ad argomentare che, in analogia a quanto accade nel campo della
percezione dei colori e dei suoni, così anche nel campo delle figure geometriche
possano valere i principi generali di coinflusso [Konfluxion] e di contrasto [Kontrast]39 . Nel caso della celebre illusione si tratterebbe di un caso di coinflusso: la
superficie dell’angolo delimitato dai due segmenti obliqui viene in qualche modo
fusa (o confusa), nella percezione, alla dimensione effettiva del segmento orizzontale, determinandone una sopravvalutazione nel caso dei segmenti divergenti, una
sottovalutazione nel caso delle linee convergenti.
Come ribadito nel 1896 (in un articolo a difesa della propria spiegazione del
fenomeno dalle contrastanti opinioni di altri sei psicologi, tra cui Lipps stesso40 ),
37
Cfr. ibid., p. 350.
Cfr. R.H. Day e H. Kruth, “The Contributions of F.C. Müller-Lyer”, Perception, vol. 10, 1981,
pp. 126-146, qui p. 127.
39 Cfr. F.C. Müller-Lyer, “Optische Urteilstäuschungen” (1889), tr. ing. “Optical Illusions”,
Perception, vol. 10, 1981, pp. 131-136, qui p. 134.
40 Cfr. Id., “Zur Lehre von den optischen Täuschungen. Über Kontrast und Konfluxion” (1896),
tr. ing. “Optical Illusions”, Perception, vol. 10, 1981, pp. 137-146, qui p. 136.
38
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la teoria del coinflusso e del contrasto deve la propria tenuta argomentativa per la
relativa profondità che essa possiede al paragone con altre dottrine, come quella
di Lipps, che si basano su fondamenti di tipo psicologico: i principi in questione forniscono un’illustrazione delle strutture della percezione additando a proprio
fondamento la struttura psicofisica stessa del sistema percettivo, alludendo quindi
alla probabile natura retinica (perciò a livello di stimolo prossimale) del fenomeno illusorio. Con il sopravvenire di una spiegazione psicofisica ogni spiegazione
psicologica cessa di avere utilità, e viene pertanto sostituita in virtù del maggior
potere esplicativo della prima41 .
La replica di Lipps contenuta nella prefazione alla Raumästhetik42 mette in
discussione, con grande autorevolezza e ragione, la presunta maggior scientificità
delle sedicenti spiegazioni psicofisiche che, invece di basarsi su registrazioni empiriche e su serie formulazioni di leggi matematiche, si muovono nello spazio vago
e incerto delle ostinate metafore connaturate a un certo positivismo riduzionista.
La critica di Lipps è decisamente valida, eppure le frasi di Müller-Lyer conservano
un aspetto fortemente persuasivo, proprio perché portano allo scoperto un aspetto
di indecisione contenuto nella trattazione di Lipps, che deriva dalla polarizzazione
di questa tra innatismo ed empirismo: il ruolo dell’esperienza nella determinazione
del valore simbolico, e quindi meccanico-estetico, delle forme astratte.
La dimensione istintiva, nella trattazione lippsiana, contiene soltanto le strutture generali dei processi empatici di valorizzazione emotiva del mondo della percezione: sono istintivi gli impulsi di imitazione e di espressione, sia per ciò che
concerne l’empatia umana, sia per ciò che concerne l’empatia oggettuale; è istintiva la delineazione di un asse edonico attorno al quale si organizzano i diversi valori
in relazione alla loro maggiore o minore corrispondenza a quello che è il valore assoluto dell’esperienza emotiva, ossia il piacere soggettivo; ma il segno e l’intensità
della valorizzazione emotiva riguardante ogni particolare gesto, espressione, movimento e forma del mondo circostante costituiscono determinazioni contingenti,
dipendenti dalla storia e dall’educazione personali, dal contesto dell’apprensione
o, più in generale, da quanto è fissato associativamente dall’esperienza pregressa.
A questo punto le perplessità manifestate da Müller-Lyer diventano maggiormente perspicue: si può davvero far risalire le forme basilari della grammatica della
percezione a una funzione associativa fra valori emotivi e aspetti percettivi? Il giudizio di Lipps sarebbe lo stesso anche giudicando dei fenomeni di coinflusso fra
suoni e colori? Se non è facile convenire con Müller-Lyer sulla presunta superiorità
delle ragioni dello psicofisico su quelle dello psicologico, è tuttavia molto ragionevole concludere con lui che, dato il ruolo basilare dei fenomeni in questione43 ,
41
Cfr. ibid., p. 141.
Cfr. Th. Lipps, Raumästhetik und geometrisch-optische Täuschungen, cit., p. VII.
43 La misura della profondità del livello psicologico al quale vengono riconosciute appartenere le
illusioni ottico-geometriche è manifestata chiaramente dall’analogia con la quale, lo stesso Lipps, intende avvicinarle ai fenomeni di costanza percettiva (cfr. Th. Lipps, Raumästhetik und geometrischoptische Täuschungen, cit., p. 234). Vedi anche G.M. Redding e E.A. Hawley, “Length Illusion
in Fractional Müller-Lyer Stimuli: An Object-perception Approach”, Perception, vol. 22, 1993,
42
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pare poco plausibile l’intromissione dell’elemento mentale ed esperienziale nella
spiegazione di questi.
Le debolezze della trattazione lippsiana dell’origine emotiva delle illusioni
ottico-geometriche hanno caratteristiche analoghe a quelle dell’illustrazione, fornita da Lipps, delle sorgenti dell’esperienza intersoggettiva. Da E. Stein proviene
una critica diretta al metodo adottato da Lipps: affacciarsi al terreno della comprensione interpersonale con gli strumenti della psicologia non può che portare a
una forma di solipsismo emozionale, dove le uniche emozioni ascritte a una soggettività altra non sono che le diverse modificazioni delle proprie, nella forma dell’originarietà. A un punto di vista simile si oppongono le evidenze intuitive, che
invece confermano una natura non originaria della percezione dei vissuti altrui,
incompatibile quindi con l’unipatia (la completa unione emotiva) che è argomentata da Lipps nell’esempio dell’acrobata44 . Tra le critiche di Scheler a Lipps è poi
enfatizzato il carattere eccessivamente mediato che nella teoria di Lipps tende ad
assumere l’esperienza dell’altro45 . Per Husserl, infine, nel trattare dell’intersoggettività, e quindi del riconoscimento di Io estranei, occorre mettere a tema il valore
costitutivo delle stratificazioni della vita e della percezione sensibile che caratterizzano l’altro prima di introdurre nella dinamica del riconoscimento l’ascrizione di
una vita emotiva46 .
La riformulazione critica di Worringer mette inoltre in evidenza le debolezze
della teoria lippsiana da un punto di vista più esplicitamente estetico: l’edonismo
estetico di Lipps occulta infatti l’autentico valore estetico della forma geometrica,
la specifica funzione antropologica che questa occupa nello sviluppo dell’umanità e
del suo gusto artistico, accanto, e non solo prima del mimetismo del realismo artistico. Quella che Worringer ascrive alla teoria di Lipps è una mancanza di spessore
antropologico: la storia dell’arte, così come quella delle religioni, non conosce soltanto la modalità del gioioso rispecchiamento nella forma naturale propria dell’arte
greca classica ed ellenistica, oppure del rinascimento italiano. Accanto, e prima di
questa, si colloca il più primitivo atteggiamento artistico dell’umanità, che va in
tutt’altra direzione, quella della fuga dal naturale nel geometrico puro, nella forma
alienata da ogni riferimento al caos della realtà naturale, e che della empatizzazione del naturale costituisce una diretta antitesi: proprio ciò che nell’ottica di Lipps
precede l’arte collocandosi al contrario nella dimensione del non-artistico47 .
A dispetto di tutte le critiche alla teoria lippsiana menzionate, la nozione di
empatia, nonché la trattazione che di questa fornisce Lipps, agiscono anche nelle
dottrine di quanti si pongono da un punto di vista critico verso di esse. La revisione
pp. 819-828.
44 Cfr. E. Stein, L’empatia, tr. it. di M. Nicoletti, Franco Angeli, Milano 2002, pp. 64 sgg.
45 Cfr. M. Scheler, Nature et formes de la sympathie, tr. fr. di M. Lefebvre, Payot, Paris 1928,
pp. 75-76.
46 Cfr. E. Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität, Erster Teil: 1905-1920, HUA XIII,
a cura di I. Kern, M. Nijhoff, Den Haag 1973, pp. 38-41.
47 Cfr. W. Worringer, Astrazione e Empatia, tr. it. di E. De Angeli, Einaudi, Torino 1975. Vedi
anche V.M. Ames, “On Empathy”, The Philosophical Review, vol. 52, n. 5, September 1943, pp. 490494.
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critica della teoria di Lipps da parte di Worringer, più delle altre, mette in risalto
la grande ricchezza teorica contenuta nelle indagini lippsiane: andare oltre la superficie della forma per rilevare le tensioni emotive che ne guidano la costituzione
e il valore. Questo anche attraverso una vera e propria discesa fino alle radici del
rapporto visivo con il reale, e alle fonti dell’originaria deformazione che il reale
subisce, percettivamente, per effetto di quanto, nell’uomo, ricopre il fulcro dell’esperienza psicologica: l’opposizione fra le scaturigini oggettuali del piacere e la
disgregante deriva dello squilibrio e del dolore. Il richiamo lippsiano all’operare
quasi anamorfico dell’emotività umana, ai connessi mascheramenti e valorizzazioni estetiche, non è al servizio di una strategia di emarginazione dell’emotivo
nella sfera dell’irrazionale. Al contrario ne persegue la collocazione al vertice di
una struttura inferenzialmente integrata dotata di nessi motivazionali48 , da cui sono fatti derivare tanto i meccanismi che dominano il sistema percettivo, quanto il
ragionamento e la logica che lo sorregge.
48
Cfr. C. Calabi, “Che cosa hanno in comune l’amore, il disprezzo e l’assassinio premeditato?”,
in T. Magri (a cura di), Filosofia ed Emozioni, Feltrinelli, Milano 1999.
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Figura 1: Effetto di sopravvalutazione della dimensione verticale
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Figura 2: Effetti di sopravvalutazione e sottostima per inclusione – estensioni
bidimensionali
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Figura 3: Effetto di accentuazione delle discrepanze di direzione
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Figura 4: Effetti di sopravvalutazione e sottostima per inclusione – estensioni
lineari
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Figura 5: Grafico orientativo dei rapporti quantitativi tra le relazioni dimensionali
tra i segmenti e l’effetto illusorio
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Figura 6: Alcune esemplificazioni dell’effetto illusorio di Müller-Lyer
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