Trombofilie e gravidanza
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Trombofilie e gravidanza
2 Periodico di aggiornamento professionale per il Ginecologo Evidence-based-medicine Endocrinologia Menopausa Clinica quotidiana Trombofilie e gravidanza: quale approccio diagnostico e terapeutico? Amenorrea primaria nelle adolescenti Prevenzione e trattamento dell’osteoporosi Inquadramento diagnostico e terapeutico dell’insulino-resistenza in gravidanza TRANIZOLO ITRACONAZOLO nelle Candidosi vulvovaginali 8 capsule 100 mg Classe A Prezzo % 10,30 (secondo G.U. N° 245 del 20/10/2006) MEDICINALE SOGGETTO A PRESCRIZIONE MEDICA Posologia: per le candidosi vulvovaginali assumere 2 capsule (200 mg) al mattino e 2 capsule (200 mg) la sera per un giorno. Depositato presso AIFA in data 17-04-2009 Tranizolo non contiene né glutine né lattosio Un soffio d’aria fresca www.finderm.it N O G S ommario Periodico di aggiornamento professionale per il Ginecologo n. 2 Registrazione N. 125 del 28 febbraio 2007 presso il Tribunale di Milano Clinica Editore Scienza e società Hippocrates Edizioni Medico Scientifiche srl via Vittor Pisani 22 - 20124 Milano telefono 02.67100800 fax 02.6704311 e-mail: [email protected] di Luciano Sterpellone Direttore editoriale Manlio Neri Evidence-based-medicine Direttore responsabile Susan Redwood Redazione scientifica Lella Cusin, Simona Regondi, Andrea Ridolfi, Rossella Traldi Progettazione e impaginazione grafica Marzia Bevilacqua, Giovanni Carella, Daniela De Martin, Vittorio Resmi Segreteria di redazione Isabella Monza Trombofilie e gravidanza: quale approccio diagnostico e terapeutico? 4 6 di Lisa Albertini, Fabio Facchinetti, Valentina Vaccaro Endocrinologia Amenorrea primaria nelle adolescenti 12 di Gianni Russo, Matilde Ferrario Coordinamento scientifico Giovanni Scambia Hanno collaborato a questo numero Lisa Albertini, Alberto Bacchi Modena, Fabio Facchinetti, Matilde Ferrario, Giorgio Mello, Gianni Russo, Serena Ottanelli, Luciano Sterpellone, Valentina Vaccaro. Pubblicità e marketing Silvia Cavalca Stampa La Fenice Grafica soc. coop. a r.l. Borghetto Lodigiano - LO Chiuso in tipografia 27 aprile 2009 Referenze fotografiche in copertina, Fotolia.com - doctor © .shock #5141280 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale con qualsiasi mezzo, compresi i microfilm e le copie fotostatiche, sono riservati per tutti i Paesi. Manoscritti e foto non si restituiscono. Per le immagini di cui, nonostante le ricerche eseguite, non è stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’editore si dichiara pienamente disponibile ad assolvere i propri doveri. Informativa sulla legge 675/96 (tutela dei dati personali). Si informa che i dati personali che verranno forniti saranno oggetto di trattamento a mezzo di sistemi informatici. L’Editore garantisce la riservatezza dei dati forniti. Menopausa Prevenzione e trattamento dell’osteoporosi 22 di Alberto Bacchi Modena Clinica quotidiana Inquadramento diagnostico e terapeutico dell’insulino-resistenza in gravidanza 30 di Giorgio Mello, Serena Ottanelli 3 N O G S cienza e società di Luciano Sterpellone - Roma Buon vino dall’orto dei Semplici 4 Gli Orti Botanici che a partire dal Medioevo erano annessi ai monasteri per la coltivazione delle erbe officinali con le quali si preparavano i medicamenti, cominciarono nel tempo ad ospitare anche i vitigni. Ciò in quanto i ridenti vigneti italiani e dei Paesi limitrofi rischiavano di estinguersi sotto la pressione delle orde barbariche che - notoriamente - al vino preferivano la birra, cercando di imporla alle popolazioni soggiogate. Le autorità ecclesiastiche, per assicurarsi almeno il vino necessario alla celebrazione della Messa in tutte le chiese cristiane, imposero appunto ai religiosi di includere tra le coltivazioni degli orti anche quella della vite. I frati infirmari non si lasciarono tuttavia sfuggire l’occasione di utilizzare il vino anche come eccipiente dei medicamenti da loro stessi preparati, tant’è che per lungo tempo i “vini medicati” godranno ampio favore presso i medici. Di tali vini si trovano ancora abbondanti tracce nei ricettari ufficiali sin quasi alla prima metà del XX secolo. Ovviamente, non tutto il vino prodotto negli orti dei Semplici serviva a questi scopi: i religiosi cominciarono ad apprezzare anche il gusto del vino “grezzo”, cioè non contaminato, servendosene qualche bicchiere in più nelle tediose serate d’inverno, forse nell’intento di prendere alla lettera le parole di Gesù: “Io sono la vera vite, e il Padre mio è il vignaiolo”. Anatomia bisex Nella recente sessione (novembre 2008) del Women, Health and Gender Forum di Madrid, una relazione ha riguardato l’importante tema (malauguratamente trascurato per secoli!) della... “pari opportunità” tra i due sessi nei Trattati di Anatomia. Maria José Barral dell’Università di Saragoza, che si è occupata a fondo del vitale problema, ha documentato (con il supporto di molte delle 17.000 immagini esaminate e l’accurata disamina dei dodici Trattati impiegati nelle venti più autorevoli Università mondiali) che esiste una imperdonabile e netta discriminazione di ordine razziale e sessuale tra maschio e femmina. Prevalgono infatti i riferimenti al corpo maschile (di tipo caucasico), mentre quello femminile e di altre etnie resta tristemente in secondo piano, a meno che non si parli specificamente dell’apparato riproduttore. La Barral tiene a sottolineare che non si tratta semplicemente di superficialità da parte degli autori, ma di un evidente basso maschilismo: per esempio, quando si tratta di raffigurare il sistema nervoso si prende esclusivamente a modello il corpo maschile, quasi a dire che “le donne non hanno cervello”. Quante sono le ossa umane? Sembrerebbe un calcolo ozioso, perché basterebbe contarle. Eppure i nostri predecessori non sono mai riusciti a mettersi d’accordo. Gli antichi medici cinesi, per esempio, ne contavano 265, mentre Charaka - uno dei due più famosi medici indiani - parlava di 360 (compresi i denti e le unghie) e Susruta di sole 300. Secondo il Talmud, invece, lo scheletro umano contiene 252 ossa, mentre Galeno ne conta ancor meno (244), quattro in meno di quante ne conteranno medici di lingua araba come Albucasis e Avicenna. Ma non è finita. Nel 1300, Guy de Chauliac conta nello scheletro umano 245 ossa, qualcuna meno di quante ne conterà due secoli dopo Ambroise Paré. Andrea Vesalio, che dovrebbe essere al di sopra di ogni sospetto, enumera invece 307 ossa, mentre qualche anno prima Gabriele Falloppio parlava di 256, una cinquantina in meno dei moderni anatomisti. Tanta disparità di vedute si spiega in parte con i criteri seguiti per questo... inventario: per esempio, alcune ossa - primo tra le quali il sacro - potevano essere considerate come unità a sé stanti, oppure in base alle singole unità costituenti. Archeologi beffati In base ai ritrovamenti negli antichi siti precolombiani si sa oggi che il mais è originario del Sudamerica. Tale certezza fu però temporaneamente scossa verso la metà del 1800, quando alcuni archeologi reperirono in una tomba egizia alcuni grani di mais. La cosa suscitò enorme scalpore tra archeologi, paleontologi e storici di tutto il mondo, accendendo aspre e appassionate discussioni, talora sull’orlo del- Coloranti contro batteri Com’è noto, la scoperta dello storico “Salvarsan 606” - il primo chemioterapico efficace contro la sifilide fu messo a punto nel 1910 dal grande ricercatore tedesco Paul Ehrlich. Già quand’era studente egli aveva condotto esperimenti con sostanze coloranti i tessuti, un originale tipo di ricerca basato su di un presupposto quantomai logico: per colorare le fibre delle stoffe, i colori devono necessariamente penetrare e fissarsi stabilmente nelle loro fibre (costituite da cellule), secondo il noto detto latino Corpora non agunt nisi fixata. Restava quindi da accertare se essi non fossero anche in grado di fissare - quindi immobilizzare e uccidere - le cellule batteriche. In un primo tempo Ehrlich mise a punto un composto, il RossoTrypan, efficace nei topi contro il Tripanosoma equinum; poi nel 1910 realizzò (con il giapponese Sahachiro Hata) un composto arsenobenzolico - lo storico “Salvarsan 606” -, così chiamato in quanto il 606° composto “testato” nelle ricerche. la lite. Fu a questo punto che, spaventati per la brutta piega che la vicenda stava prendendo, alcuni scavatori si decisero a confessare che quei grani li avevano messi loro, così, tanto per tirare una burla agli archeologi e punire quella “scienza” che ostentavano ogni giorno con tanta superbia. 5 EVIDENCE-BASED-MEDICINE N O G T rombofilie e gravidanza: quale approccio diagnostico e terapeutico? Il management clinico della trombofilia in gravidanza presenta aspetti ancora incerti o controversi, soprattutto per quanto riguarda l’impatto dello stato protrombotico in termini di complicanze gravidiche, il ruolo dello screening e della tromboprofilassi. di Lisa Albertini, Fabio Facchinetti, Valentina Vaccaro Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero Universitaria - Modena L 6 a trombofilia è una condizione caratterizzata da un incremento della tendenza a sviluppare trombosi sia di tipo venoso che di tipo arterioso e quindi da un’aumentata probabilità di eventi trombotici come la trombosi venosa profonda (TVP) e l’embolia polmonare (EP): essa può essere causata da diversi gruppi di disturbi coagulativi e avere un’origine congenita, acquisita o mista. • Forme congenite: le più frequenti sono le mutazioni del fattore II (protrombina) e del fattore V (per esempio, la mutazione di Leiden che si traduce in una diminuita capacità di inattivare il fattore V attivato da parte del sistema della proteina C) e il deficit di anticoagulanti fisiologici come la proteina S, la proteina C e l’antitrombina III. La prevalenza combinata di questi difetti nella popolazione generale supera il 5%1. • Forme acquisite: la condizione più comune è la presenza di anticorpi antifosfolipidi (anti-LAC, anti-cardiolipina). • Forme miste: in questo contesto va ricordata, in particolare, l’iperomocisteinemia che può essere causata sia da fattori ambientali che genetici (per esempio, mutazioni del gene per la metilentetraidrofolato-reduttasi). Negli ultimi anni è stata suggerita l’esistenza di una stretta associazione tra trombofilia materna ed esito avverso della gravidanza: quest’ultima, infatti, comporta, di per sé, uno stato di ipercoagulabilità fisiologica che aiuta a mantenere la funzione placentare e contribuisce a ridurre l’emorragia al momento del parto2. Poiché a livello placentare si realizza un delicato equilibrio tra fattori procoagulanti e anticoagulanti, la placenta rappresenta un distretto vascolare particolarmente a rischio: nelle donne trombofiliche questa ipercoagulabilità fisiologica risulta accentuata e può predisporre alla trombosi e alle complicanze vascolari placentari. La conseguente riduzione anatomo-funzionale del letto coriale si traduce in un’insufficienza vascolare utero-placentare che può favorire l’insorgenza di gravi complicanze ostetriche. In particolare, le gestanti trombofiliche sembrerebbero esposte a un aumentato rischio di preeclampsia, insufficienza placentare cronica con restrizione di crescita fetale (FGR), insufficienza placentare acuta con morte endouterina fetale (MEF) e distacco intempestivo di placenta normalmente inserita (DIPNI). Questo gruppo di complicanze si presenta in più di una gravidanza su 6 e spesso produce conseguenze devastanti per la donna, la famiglia e la società3. EVIDENCE-BASED-MEDICINE le non solo allo stato di ipercoagulabilità, che può condurre a microtrombosi placentare, ma anche a un’alterazione dei meccanismi di differenziazione trofoblastica 6,7. Sta diventando infatti evidente un’importante azione reciproca tra attivazione della coagulazione/fibrinolisi e lo sviluppo placentare, particolarmente attraverso meccanismi infiammatori che potrebbero essere indipendenti dalla trombosi7,8. In effetti, studi condotti su modelli animali hanno dimostrato come il sistema emostatico giochi un importante ruolo nello sviluppo placentare e fetale8-10. La gravità delle manifestazioni cliniche, e la probabilità che esse si verifichino, dipendono da quanto precocemente s’instaurano le lesioni placentari, da quanto rapidamente si realizzano i fatti trombotici e dal grado di interessamento del letto placentare. Queste variabili, a loro volta, potrebbero essere influenzate dal tipo di trombofilia materna, dalla contemporanea presenza di fattori ambientali (per esempio, infezioni/infiammazioni degli annessi fetali) e, secondo ipotesi più recenti, dall’eventuale presenza di trombofilia anche nel feto. La gravidanza è associata a uno stato di ipercoagulabilità fisiologica Fisiopatologia dello stato coagulativo in gravidanza Durante la gravidanza viene modificato il delicato equilibrio tra fattori anticoagulanti e procoagulanti proprio dell’emostasi. In particolare, si osserva un marcato incremento dell’attività procoagulante in seguito all’aumento di quasi tutti i fattori della coagulazione, del fibrinogeno e del fattore di Von Willebrand. Per contro, il fisiologico sistema anticoagulante diventa meno efficiente in seguito a un’aumentata resistenza alla proteina C attivata nel II e III trimestre e a una riduzione dell’attivazione della proteina S2, inoltre l’attività fibrinolitica risulta compromessa. Al momento del parto si assiste a un’ulteriore accentuazione di questa ipercoagulabilità fisiologica, dovuta alla liberazione di sostanze tromboplastiniche. Segni di consumo piastrinico, diminuzione dell’antitrombina e aumento dei prodotti di degradazione del fibrinogeno sono pertanto comuni dopo il parto, soprattutto se espletato per via laparotomica, e possono persistere per alcune settimane. Il puerperio rappresenta quindi un fattore di rischio; non a caso, molti eventi trombotici si verificano in questo periodo più che in tutto il resto della gravidanza. Trombofilia e circolo placentare: quali correlazioni? La placenta, per le peculiari caratteristiche emodinamiche del circolo a livello degli spazi intervillosi, sembrerebbe giocare nelle gestanti trombofiliche un ruolo cruciale nell’eziopatogenesi degli eventi ostetrici avversi. In particolare, è stato ipotizzato che l’inadeguata invasione della circolazione materna da parte del trofoblasto e il danno alle arterie spirali possano determinare una riduzione del flusso e modificazioni protrombotiche a livello della parete dei vasi4 e che tutto ciò possa portare a eventi ostetrici avversi placenta-mediati. La bassa pressione del sistema utero-placentare può essere così suscettibile di complicazioni trombotiche in casi di ipercoagulabilità. In effetti, le placente di donne trombofiliche con complicazioni tardive della gravidanza presentano più frequentemente quadri istologici perlopiù riconducibili a un eccessivo deposito di fibrina e a trombosi dei vasi placentari5. Tuttavia, secondo una recente ipotesi, l’insufficienza placentare che spesso si riscontra nelle donne trombofiliche sarebbe riconducibi- N O G La placenta gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo di eventi ostetrici avversi 7 EVIDENCE-BASED-MEDICINE N O G Trombofilia ed eventi ostetrici avversi Sebbene numerosi studi abbiano esaminato l’associazione tra trombofilia congenita ed eventi ostetrici avversi, non sono state ancora delineate chiare conclusioni. Infatti, se alcuni di questi lavori mostrano l’esistenza di una relazione positiva tra eventi ostetrici avversi e trombofilia, altri non individuano alcuna correlazione. Alcuni dei più citati studi che hanno documentato l’esistenza di associazioni positive sono limitati da casistiche ridotte e da outcome compositi11,12; inoltre, i fattori confondenti sembrano essere numerosi13. Alcune metanalisi di studi caso-controllo1 suggeriscono un’aumentata prevalenza di trombofilia ereditaria in donne con preeclampsia, FGR, distacco intempestivo di placenta, aborti e morti fetali, rispetto a quanto osservabile in donne con gravidanze non complicate; tuttavia, alla luce delle considerazioni sopraesposte, l’interpretazione di questi risultati deve essere cauta (tabella 1). Qui di seguito verranno esaminate, nello specifico, le evidenze pubblicate in letteratura per ogni singola complicanza ostetrica. FGR La trombofilia si associa a quadri anatomopatologici caratterizzati da microtrombosi placentare, con conseguenze quali necrosi e infarti placentari; per questo motivo, una correlazione fisiopatologica tra trombofilia e FGR è teoricamente plausibile. Tuttavia, i pochi studi presenti in letteratura mostrano come tale associazione sia debole14 o addirittura inesistente15,16. Un’importante metanalisi pubblicata nel 200517 ha evidenziato un lieve incremento del rischio di sviluppare un FGR in donne con mutazione del fattore V Leiden (FVLeiden) in eterozigosi o del gene della protrombina 20210; gli stessi autori raccomandano però cautela nell’interpretazione dei risultati, visto il limitato numero di trial esaminati (dieci), la ridot- ta casistica e l’assenza di studi prospettici disponibili (tabella 1). Risultati contrastanti emergono invece da uno studio caso-controllo del 200215, confermato dagli stessi autori nel 200516, in cui si evidenzia la mancanza di associazione. Analogamente, l’unico studio di coorte sufficientemente ampio presente in letteratura18 ha correlato FGR e la mutazione FVLeiden con un RR pari a 0,9. Dalla revisione della letteratura non emerge quindi una chiara correlazione tra trombofilia materna e FGR. Preeclampsia Diversi studi hanno indagato la possibile associazione tra trombofilia materna e preeclampsia, ma anche in questo caso i risultati non sono sempre omogenei; inoltre, la maggior parte di essi trae conclusioni valide solamente per alcune forme di trombofilia congenita, in particolare per la mutazione del fattore V di Leiden in eterozigosi o della protrombina 20210. Una recente metanalisi19 ha pre- Tabella 1 Associazione tra trombofilia ereditaria ed eventi ostetrici avversi: metanalisi di studi osservazionali Fattore V Leiden Protrombina G20210A Deficit di proteina C Deficit di proteina S Deficit di antitrombina Morte fetale OR (IC 95%) Aborto ricorrente OR (IC 95%) Distacco placenta FGR OR (IC 95%) OR (IC 95%) Preeclampsia OR (IC 95%) 3,26 (1,82-5,83) 2,0 (1,5-2,7) 6,7 (2,0-21,6) 2,7 (1,3-5,5) 2,19 (1,46-3,27) 2,3 (1,09-4,87) 2,0 (1,0-4,0) 7,71 (3,01-19,76) 2,5 (1,3-5,0) 2,54 (1,52-4,23) 1,41 (0,96-2,07) 1,57 (0,23- 10,54) -- -- 21,5 (1,1-414,4) 7,39 (1,28-42,83) 14,72 (0,99-218,01) 0,3 (0-70,1) 10,2 (1,1-91) 12,7 (4,0-39,7) -- -- 4,1 (0,3-49,9) -- 7,1 (0,4-117,4) Rodger MA et al, Obstet Gynecol 2008 8 EVIDENCE-BASED-MEDICINE so-controllo condotto nel 2005 su una popolazione caucasica25, ha evidenziato una netta prevalenza di condizioni trombofiliche, sia congenite che acquisite, nelle pazienti con preeclampsia severa rispetto ai controlli (tabella 2). Il medesimo studio ha riscontrato anche una prevalenza significativamente più alta di complicazioni ostetriche (distacco intempestivo di placenta, insufficienza renale acuta, parto prematuro e morte perinatale) tra le preeclamptiche trombofiliche rispetto alle preeclamptiche non trombofiliche. Uno studio multicentrico di coorte di recente pubblicazione26 che ha arruolato 172 pazienti ha dimostrato un elevato rischio di ricorrenza della preeclampsia (OR=2,5 IC 95% 1,2-5,1) nelle pazienti con difetti trombofilici rispetto ai controlli. La trombofilia materna è associata a preeclampsia grave so in considerazione 47 studi caso-controllo, per un totale di 7.522 casi, dimostrando l’esistenza di una correlazione tra preeclampsia severa e l’eterozigosi sia dell’ FVLeiden che della protrombina 20210 (tabella 2). Questi dati sono in linea con altre revisioni e metanalisi14,20 riguardanti soprattutto la preeclampsia e la sindrome HELLP21,22; per alcune di queste, però, la correlazione è solo debolmente positiva23 (OR=1,6 IC 95% 1,2–2,1). Sono comunque da ricordare esperienze contrastanti24. Un ampio studio multicentrico ca- Tabella 2 Associazione tra trombofilia ereditaria e preeclampsia grave e moderata Fattore V Lin J et al* (PE grave) Mello G et al** (PE grave) Mello G et al** (PE moderata) Fattore II Lin j et al* (PE grave) Mello G et al** (PE grave) Mello G et al** (PE moderata) Casi/controlli OR 1.135/1.471 2,24 (1,28-3,94) 5,2 (2,9-9,8) 1,0 (0,42-2,32) 406/406 402/402 325/533 406/406 402/402 * Lin J et al, Obstet Gynecol 2005 1,98 (0,94-4,17) 6,0 (2,7-14,1) 3,3 (1,1-10,3) ** Mello G et al, Hypertension 2005 Tutti i dati della letteratura, aldilà delle disomogeneità cliniche, suggeriscono pertanto l’esistenza di una chiara associazione tra trombofilia materna e preeclampsia di tipo severo; l’associazione con le forme lievi-moderate (anche tardive) di preeclampsia appare, invece, molto dubbia. Un’ipotesi accreditata è che la trombofilia materna sia un fattore peggiorativo e non causale dello stato preeclamptico. N O G Aborto e morte fetale endouterina Prima di esaminare gli studi sulla correlazione tra trombofilia materna e morte fetale endouterina occorre premettere che un’importante limitazione alla base della loro interpretazione riguarda la definizione di aborto e morte fetale in relazione all’epoca gestazionale poiché essa differisce ampiamente a livello internazionale e questo condiziona sicuramente la possibilità di trarre conclusioni univoche. Dalla letteratura sembra emergere una netta differenza tra aborti precoci e perdite fetali tardive e ricorrenti. Infatti, prima delle 10 settimane di gestazione, non pare sussistere alcun tipo di associazione27, probabilmente a causa dello sviluppo embriogenetico del sistema vascolare28: prima delle 810 settimane esiste per l’embrione la vascolarizzazione del sacco vitellino e solo successivamente si sviluppa un contatto tra circolazione materna e fetale; appare perciò improbabile che la trombofilia materna possa danneggiare lo sviluppo embrionale in epoche gestazionali così precoci. Le evidenze sono invece consistenti per le perdite fetali dopo le 10 settimane di gestazione 29-32, 9 EVIDENCE-BASED-MEDICINE N O G sebbene esistano anche studi con risultati negativi33. In particolare, secondo un lavoro di Robertson e Wu32, l’aumentato rischio di perdite ricorrenti alla fine del primo trimestre sarebbe associato a donne con mutazioni FVLeiden (OR 1,91; IC 95% 1,01-3,61), varianti del gene della protrombina (OR 2,7; IC 95% 1,82-14,01) o elevati livelli di omocisteina (OR 4,21; IC 95% 1,28-13,87). La mutazione FVLeiden (OR 4,12; IC 95% 1,93-8,81) e la variante G202110A della protrombina (OR 8,60; IC 95% 2,18-33,95) sarebbero inoltre associate a perdite fetali non ricorrenti nel secondo trimestre; tali correlazioni sono state confermate anche da un altro studio34. Un’ampia metanalisi pubblicata nel 200334 ha evidenziato che la mutazione FVLeiden è associata a un aumentato rischio di morte fetale (OR 7,83; IC 95% 2,8321,67). Secondo lo stesso studio in queste morti endouterine si osserva frequentemente un deficit materno di proteina S (OR 7,39; IC 95% 1,28-42,63) mentre la resistenza alla proteina C attivata rappresenta una condizione di aumentato rischio per morti fetali precoci e/o ricorrenti. La correlazione tra trombofilia e perdite fetali sembra più evidente nei casi di perdite ricorrenti35,36, sia aborti che morti fetali 37. Distacco di placenta Diversi lavori di revisione sistematica pubblicati in letteratura evidenziano l’esistenza di un’associazione significativa tra distacco intempestivo di placenta normalmente inserita e mutazione in eterozigosi dell’FVLeiden e della protrombina14,23,32. Tuttavia, la reale correlazione tra questi elementi potrebbe essere influenzata dalla presenza di numerosi fattori confondenti, come, per esempio, l’ipertensione cronica38,39; inoltre spesso le casistiche non sono ampie23,32 e il distacco di placenta è osservato all’interno di quadri clinici tipici dei più comuni eventi ostetrici avversi, quali preeclampsia, FGR e perdita fetale. Esiste però anche un interessante lavoro che dimostra una prevalenza di trombofilia congenita aumentata anche in pazienti nelle quali il distacco di placenta non è associato a preeclampsia40. In definitiva, la letteratura sembra suggerire che le forme più comuni di trombofilia congenita, quali le mutazioni FVLeiden e della protrombina, risultano associate a un rischio aumentato di incidenti placentari acuti, tra cui il distacco intempestivo di placenta. Conclusioni I dati della letteratura di questi ultimi anni indicano in modo abbastanza chiaro che la trombofilia rappresenta un fattore di rischio per alcune complicazioni della gravidanza. Nello specifico, però, i risultati degli studi non sono univoci e in parecchi casi la numerosità dei campioni non è così convincente: l’unica forte evidenza è l’associazione tra trombofilia congenita materna e preeclampsia severa. Anche il distacco di placenta e la morte endouterina sembrano associati alla presenza di trombofilia materna, anche se con minor impatto. Le evidenze scientifiche circa la tromboprofilassi con eparine a basso peso molecolare non sono al momento sufficienti9, ma sono attualmente in corso alcuni studi clinici randomizzati a livello internazionale i cui risultati forniranno specifiche indicazioni in merito al trattamento clinico. Anche le raccomandazioni per lo screening non sono ancora supportate da livelli di evidenza significativi33; attualmente sono disponibili indicazioni più chiare per lo screening e la tromboprofilassi in caso di sindrome da anticorpi antifosfolipidi. Bibliografia 10 1. Rodger MA, Paidas M, McLintock C et al. Inherited thrombophilia and pregnancy complications revisited. Obstet Gynecol 2008; 112 (2 Pt 1): 320-4. Erratum in: Obstet Gynecol 2008; 112, 6: 1392. Claire, McLintock [corrected to McLintock, Claire]. 2. Montavon C, Hoesli I, Holzgreve W, Tsakiris DA. Thrombophilia and anticoagulation in pregnancy: indications, risks and mana- gement. J Matern Fetal Neonatal Med 2008; 21, 10: 685-96. 3. 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N O G 11 ENDOCRINOLOGIA N O G A menorrea primaria nelle adolescenti Un corretto inquadramento clinico deve sempre prevedere, oltre a un’accurata anamnesi, un minuzioso esame obiettivo e la valutazione del quadro ormonale anche al fine di escludere patologie rimaste misconosciute fino all’età peripuberale. di Gianni Russo, Matilde Ferrario Centro di Endocrinologia dell’infanzia e dell’adolescenza, Università Vita-Salute San Raffaele - Milano P 12 er amenorrea primaria si intende, come noto, l’assenza del menarca e dei caratteri sessuali secondari in età >13 anni oppure assenza del menarca in presenza dei caratteri sessuali secondari a 15 anni di età. L’American Academy of Pediatrics e l’American College of Obstetrician and Gynecologists hanno indicato come meritevoli di valutazione le seguenti condizioni che non rientrano strettamente nella definizione di amenorrea primaria: • assenza del menarca a >3 anni dalla comparsa di telarca; • assenza del menarca all’età di 14 anni in presenza di: ■ sospetto di disturbo dell’alimentazione o esercizio fisico intenso; ■ segni di irsutismo; ■ sospetto di ostruzione o malformazione a livello genitale. Un approccio clinico valido può essere quello di considerare l’ame- norrea come espressione di una patologia organica o funzionale a carico dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi: secondo questo criterio, a seconda del livello in cui si ha la patologia, si può distinguere tra ipogonadismo normogonadotropo/ipergonadotropo/ipogonadotropo e iperprolattinemie, tenendo presente che le cause di amenorrea primitiva e secondaria (assenza delle mestruazioni da più di 4-6 mesi) non hanno sempre una netta demarcazione. Ipogonadismo normogonadotropo Malformazioni utero-vaginali. Esse possono condizionare l’assenza della mestruazione per la mancanza di tessuto mucoso uterino o per l’impossibilità alla fuoriuscita del flusso mestruale; le pa- zienti hanno normale anatomia e funzionalità ovarica, normali livelli di gonadotropine ipofisarie e un adeguato sviluppo dei caratteri sessuali secondari. Le anomalie congenite possono interessare il tratto genitale inferiore (vagina, cervice uterina) e ostacolare la fuoriuscita di sangue; in tali situazioni vi è il rischio che il flusso mestruale si raccolga nella cavità uterina (ematocolpo): • imene imperforato; • setti vaginali trasversali; • aplasie vaginali parziali/totali; • aplasia cervicale. Le malformazioni a carico dell’utero sono responsabili di circa il 15% dei casi di amenorrea primaria: nella sindrome di Rokitansky (frequenza 1:4.500 bambine nate) è presente agenesia completa dell’utero e dei 2/3 superiori della vagina. Vi sono due forme, la tipo I (isolata) e la tipo II (associata a displasia renale e anomalie verte- ENDOCRINOLOGIA ti chimici o fisici, a cause infettive (malattia tubercolare, oggi rara). brali); la maggior parte dei casi è sporadica, ma sono stati descritti casi familiari per cui è stata ipotizzata una trasmissione autosomica dominante con penetranza incompleta ed espressività variabile. Le pazienti in assenza di adeguata correzione chirurgica possono presentare difficoltà o impossibilità ad avere rapporti sessuali e non sono fertili. L’assenza completa dell’utero associata ad amenorrea si riscontra anche nella sindrome da insensibilità completa agli androgeni (CAIS), la cui diagnosi non di rado viene posta in ragazze adolescenti che presentano amenorrea. Clinicamente in questi casi si osserva un fenotipo femminile con presenza di scarsa peluria pubica e ascellare e ghiandola mammaria normoestrogenizzata; è caratterizzata dall’assenza sia di utero che di ovaie e dalla presenza di gonadi maschili (testicoli) ritenute in addome o a livello inguinale; il cariotipo è maschile normale (46XY). La sindrome è dovuta a un’alterazione del gene del recettore per gli androgeni e le indagini di laboratorio mostrano elevati valori di testosterone per il sesso femminile a fronte dell’assenza di segni clinici di virilizzazione. Le malformazioni acquisite possono essere formazioni di sinechie uterine conseguenti a revisioni/interventi di chirurgia ginecologica (sindrome di Asherman), ad agen- L’anovulazione da iperandrogenismo può essere: • di origine ovarica (tumori androgeno-secernenti, sindrome dell’ovaio policistico); • di origine surrenalica (tumori surrenalici, sindrome di Cushing, forma non classica di iperplasia surrenalica congenita, CAH-NC); • da aumento della frazione libera di testosterone (patologie tiroidee). La sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) è un’endocrinopatia caratterizzata da oligoanovulazione e iperandrogenismo e, in molti casi, da alterato rapporto LH/FSH (con aumento di LH e rapporto >1,5). Clinicamente il disturbo dell’ovulazione si manifesta con oligomenorrea e, in una minor parte, amenorrea (24%); i segni di iperandrogenismo sono acne e irsutismo. Spesso si tratta di pazienti obese con insulino-resistenza e tendenza a sviluppare diabete mellito di tipo II. Attualmente, non vi è una completa univocità sulla diagnosi di PCOS nella donna adulta e nell’adolescente. Tuttavia, una recente consensus (Rotterdam, 2003) ha stabilito che la presenza di almeno 2 dei seguenti criteri permette di porre diagnosi di PCOS nelle pazienti adulte: 1) presenza di caratteristiche ecografiche di ovaio policistico; 2) oligoanovulazione; 3) iperandrogenismo clinico o biochimico. La forma non classica di iperplasia surrenalica congenita (CAH-NC) può presentarsi con caratteristiche cliniche sovrapponibili alla PCOS quali l’irsutismo, l’acne, l’amenorrea. Anche i valori ormonali di gonadotropine e androgeni possono essere sovrapponibili; la diagnosi definitiva si pone riscontrando valori patologici di 17OHP basali o dopo stimolo con ACTH; la ricerca di mutazioni del gene CYP21 può confermare la diagnosi. N O G Ipogonadismo ipergonadotropo: sindromi primitive ovariche Un deficit primario della funzione ovarica (in cui il patrimonio follicolare può essere conservato o meno) si associa a persistenti va- L’amenorrea primaria può essere considerata come il sintomo di una patologia organica o funzionale che interessa l’asse ipotalamo-ipofisigonadi lori elevati di gonadotropine. La disgenesia gonadica è una compromissione più o meno grave delle gonadi fetali, spesso associata ad alterazioni cromosomiche. La sindrome di Turner (il cariotipo 45X0 è il più frequente) è una forma di disgenesia gonadica caratterizzata dalla presenza di streak gonads, ovvero gonadi con aspetto a banderella o masserelle costi- 13 ENDOCRINOLOGIA N O G tuite da tessuto fibrotico, generalmente privo di ovociti, la cui deplezione inizia già dalla 18a settimana gestazionale in utero. La secrezione delle gonadotropine delle bambine affette dalla sindrome di Turner è parallela a quella delle bambine con gonadi normali, ma molto più amplificata per l’assenza del feedback negativo da parte degli estrogeni; nelle ragazze adolescenti si riscontrano pertanto valori elevati di LH e di FSH. rian Failure, POF) è una condizione caratterizzata da amenorrea primaria o secondaria, ipoestrogenismo e aumento delle gonadotropine prima dei 40 anni di età. La frequenza per le donne <20 anni è approssimativamente di 1:10.000 e, sebbene siano state ipotizzate diverse cause all’origine di tale patologia, le evidenze degli ultimi anni sono più a favore di un’eziologia multifattoriale, mentre cause quali il fumo e lo stress non sono mai state ben definite quali possibile origine di POF. L’elevata frequenza di casi familiari (3050%) suggerisce una forte componente genetica della patologia, ma nel 90% delle donne con POF non viene identificata l’origine. Tra le cause note di POF vi sono: Cause iatroge• ne: trattamenti radio-chemioterapici in giovani donne possono compromettere l’ovulazione causando inizialmente una fluttuazione della funzione ovarica fino alla totale deplezione degli ovociti. La fase di fluttuazione può corrispondere a un’oscillazione dei valori di FSH e il fallimento ovarico è confermato dalla presenza di valori di FSH costantemente elevati. • Autoimmunità: la presenza di anticorpi anti-ovaio isolata o in associazione ad altre patologie autoimmuni (per esempio, sindrome polighiandolare autoimmune, APECED) può spiegare fino al 40% dei casi di POF. • Diverse mutazioni geniche studiate sono state associate a POF L’impostazione di un corretto iter diagnostico non può prescindere da un’accurata anamnesi familiare e personale e dall’esame obiettivo 14 Clinicamente, oltre ai dismorfismi caratteristici della sindrome che possono essere presenti in modo variabile (pterigium colli, impianto basso dei capelli alla nuca, torace a scudo, teletelia, cubito valgo, brevità degli arti rispetto al tronco) e alla bassa statura, queste pazienti non hanno in genere uno sviluppo spontaneo della ghiandola mammaria per la carenza di estrogeni, mentre presentano una normale comparsa e progressione della peluria pubica e ascellare. Nel 95% delle pazienti viene riscontrata amenorrea primitiva, mentre solo in una minima percentuale è stata osservata la comparsa di un ciclo mestruale spontaneo. La menopausa precoce (Premature Ova- e ne spiegano complessivamente una piccola frazione di casi; tra queste vi sono i geni per il recettore di FSH e LH, il gene BMP15 espresso nelle cellule germinali che interviene nella follicologenesi, alcuni fattori trascrizionali che regolano l’espressione dei geni per la maturazione dell’ovocita (FOXL2, NOBOX). Altri geni sono stati studiati, ma la loro associazione con POF non è stata definitivamente dimostrata. La premutazione del gene FMR1 responsabile della sindrome dell’X Fragile (cioè espansioni della tripletta CGG tra 55 e 199, considerando la normalità <30 e la mutazione vera e propria che causa la sindrome >200) è riscontrata nel 5% dei casi di POF, mentre il 13-15% delle portatrici di premutazione sviluppa POF. • Riarrangiamenti cromosomici che coinvolgono il cromosoma X sono stati i più studiati in ragione anche dell’associazione di POF con la sindrome di Turner (in cui la deplezione ovocitaria inizia già in utero) e con la sindrome dell’X Fragile (dovuta a mutazione sul cromosoma X). Essi hanno evidenziato la presenza di una regione critica sul braccio lungo del cromosoma X, che è molto estesa; a tal ENDOCRINOLOGIA proposito è attualmente in corso la sperimentazione di nuove tecniche per l’identificazione dei geni del cromosoma X responsabili del fenotipo delle monosomie. Ipogonadismo ipo-normogonadotropo: sindromi centrali da cause ipotalamoipofisarie Patologie organiche o funzionali a carico del sistema nervoso centrale (SNC) possono essere causa di amenorrea e si associano a valori bassi o normali di gonadotropine. Le patologie organiche del SNC a carico dell’ipotalamo o dell’ipofisi possono essere deficit di sviluppo, lesioni di origine tumorale (per esempio, craniofaringioma), lesioni infettive o infiammatorie, malattie degenerative croniche. I disturbi funzionali del SNC si instaurano attraverso un meccanismo regolato dall’ipotalamo; tra le cause più frequenti si riconoscono lo stress psicogeno, l’anoressia, il calo ponderale, la pratica di sport a elevato livello di competizione; anche alcune malattie croniche non ben controllate possono causare amenorrea con un meccanismo centrale (epatopatie, insufficienza renale, diabete, malattia infiammatoria intestinale, celiachia, patologia tiroidea). Per quanto riguarda i disturbi alimentari è bene precisare che restrizioni nella dieta possono portare ad amenorrea di origine ipotalamica anche in presenza di un normale peso corporeo; inoltre, circa il 20% delle pazienti con anoressia nervosa sviluppa amenorrea prima di arrivare a un importante calo ponderale. Le pazienti con bulimia, invece, presentano più raramente irregolarità del ciclo mestruale. L’ipogonadismo ipogonadotropo congenito isolato (Isolated Hypogonadotropic Hypogonadism, IHH) è una condizione caratterizzata da assenza totale o parziale di secrezione di gonadotropine per difetto ipofisario o ipotalamico. Vi sono pertanto bassi valori di estradiolo circolante con normali o bassi livelli di LH e di FSH; non sono presenti alterazioni anatomiche ipotalamo-ipofisarie né difetti di funzione dei restanti assi. Alcune mutazioni geniche (a carico del recettore del GnRHGPR54- e del suo ligando) sono associate a questo difetto, ma si riscontrano solo in una ridotta percentuale di casi. L’associazione di ipogonadismo ipogonadotropo e anosmia è denominata sindrome di Kallman, in cui sono state riscontrate diverse alterazioni geniche: mutazioni a carico del gene KAL1 (situato su Xp22.3) a trasmissione X-linked; mutazioni e delezioni del gene FGFR1 a trasmissione autosomica dominante; mutazioni di PROKR2 o del suo ligando PROK2. La sindrome di Kallman è più frequente nei maschi rispetto alle femmine, nelle quali si riscontra in 1:50.000. Alla base della sindrome vi è un deficit di migrazione dei neuroni olfattori e GnRH. La diagnosi è definita con indagine genetica e riscontro neuroradiologico dell’assenza dei bulbi olfattori. N O G Iperprolattinemie L’iperprolattinemia (PRL) interferisce con la funzione mestruale in due modi: 1. con l’aumento del tono dopaminergico-oppiaceo, che determinerebbe una ridotta pulsatilità delle gonadotropine, soprattutto dell’LH; 2. con l’inibizione della steroidogenesi ovarica. L’approccio clinico è improntato a riconoscere possibili patologie rimaste misconosciute fino all’età peripuberale Nella maggior parte delle ragazze puberi l’iperprolattinemia si accompagna a quadri clinici sfumati e raramente si accompagna a galattorrea; spesso in queste adolescenti si ha un normale inizio e progressione dello sviluppo dei caratteri sessuali secondari; in alcuni casi, invece, si ha un ritardo dello sviluppo puberale. Nei soggetti con iper-PRL si riscon- 15 ENDOCRINOLOGIA N O G trano valori di LH, FSH ed estrogeni nei range di normalità, con riduzione dei picchi secretori di LH, poiché il feedback negativo dell’estradiolo sull’LH è conservato, mentre scompare il feedback positivo. Vi sono alcuni fattori o situazioni fisiologiche che possono causare ipersecrezione transitoria di PRL: stress, esercizio fisico, sonno, ipoglicemia, stimolazione del capezzolo, gravidanza, post-partum, periodo neonatale (2-3 mesi). Inoltre, le variazioni di pulsatilità circadiana della PRL sono molto ampie (fino al 100%); per tale motivo il dosaggio della PRL deve essere effettuato almeno su 3 prelievi venosi in tempi diversi. Il riscontro di livelli persistentemente elevati di PRL merita un approfondimento diagnostico. L’approccio clinico Anamnesi ed esame obiettivo L’anamnesi e l’esame clinico permettono un primo inquadramento della paziente, in particolare è opportuno indagare: • anamnesi familiare: difetti genetici, tempi dello sviluppo puberale (ritardo costituzionale di pubertà), caratteristiche dei cicli mestruali, familiarità per menopausa precoce, sterilità o patologie autoimmuni; • anamnesi personale: situazione di stress, esercizio fisico intenso (sport agonistici), importanti variazioni del peso corporeo o continue oscillazioni (sia perdita che aumento), abitudini alimentari patologiche (anoressia o bulimia nervosa), patologie croniche, uso di farmaci o droghe, chemio/radioterapia (possibile danno al SNC o alle gonadi), se presente tempo di inizio dello sviluppo puberale e sue caratteristiche, attività sessuale (possibile gravidanza); • esame obiettivo: peso, altezza, BMI, curva di crescita e stadio puberale per valutare se rallentamento della crescita, eccessiva magrezza o sovrappeso, presenza o meno di iniziali segni di sviluppo puberale e segni di estrogenizzazione (presenza di ghiandola mammaria); ricerca di eventuali dismorfismi (escludere sindrome di Turner), ricerca di eventuali segni di virilizzazione (ipertrofia clitoridea), segni di ipercorticismo, Impostare un adeguato follow-up clinico e terapeutico o evidenziare la presenza di malattie intercorrenti e rimuoverne se possibile le cause 16 Cause patologiche di iperprolattinemia sono tumori ipofisari (prolattinomi e pseudoprolattinomi), patologie ipotalamo-ipofisarie, endocrinopatie (ipotiroidismo primario, policistosi ovarica), lupus eritematoso sistemico, artrite reumatoide, insufficienza renale cronica. L’utilizzo di alcuni farmaci o sostanze comporta, per il loro meccanismo d’azione, un aumento dei livelli di prolattina (per esempio, antidopaminergici, antidepressivi serotoninergici, oppioidi). segni di ipo/ipertiroidismo, presenza di acne o irsutismo, caratteristiche dei genitali (per esempio, evidenza di sinechie), galattorrea, disturbi della vista, sintomi vasomotori (menopausa precoce), ipo-anosmia (sindrome di Kallman). Indagini di laboratorio esami strumentali Per poter porre una corretta diagnosi, dopo l’esame clinico è necessario sottoporre la paziente a valutazioni laboratoristiche e strumentali (tabella 1). In particolare, gli accertamenti necessari in prima battuta sono il dosaggio di gonadotropine, prolattina, TSH, che permettono di effettuare una prima importante distinzione nelle 4 categorie. Il dosaggio dell’estradiolo può essere utile, ma non dirimente nella maggior parte dei casi. L’ecografia pelvica permette di valutare la presenza di malformazioni dell’utero o del tratto genitale inferiore (sindrome di Rokitanski o agenesia parziale o totale dell’utero, setti vaginali), le caratteristiche delle gonadi (ovaie fibrotiche o streak gonads, tipiche della sindrome di Turner, ovaio policistico, presenza di masse tumorali, presenza di gonadi maschili in scavo pelvico, come nella sindrome da insensibilità agli androgeni). Il riscontro di elevati valori di LH e di FSH deve orientare verso un difetto ovarico; a questo punto è necessario eseguire un’analisi del cariotipo per escludere la sindrome di Turner. In presenza di normale cariotipo e normale anatomia degli organi genitali interni si deve approfondire lo studio indagando le possibili e finora note cause di ENDOCRINOLOGIA POF: studio dell’autoimmunità con ricerca degli anticorpi antiovaio; studio della funzionalità surrenalica per escludere un deficit di 17-alfa idrossilasi; ricerca di alterazioni genetiche; sindrome dell’X-fragile. Il riscontro di bassi valori di gonadotropine orienta verso una patologia del SNC a carico del tratto ipotalamo-ipofisario o verso forma di ipogonadismo transitorio secondario a patologie organiche (ce- liachia, malattie renali, ipotiroidismo, ipercorticismo, patologie cardiache ecc.). La RM dell’encefalo permette di escludere patologie organiche (tumori) o di evidenziare agenesia dei bulbi olfattivi (come nella sindrome di Kallman). Il test da stimolo con LHRH analogo preferibile al test con LHRH permette di valutare la risposta delle gonadotropine e di orientare la diagnosi verso un ipogonadismo ipo- gonadotropo o un ritardo costituzionale di pubertà. Il test con medrossiprogesterone acetato (MAP test) può essere utile e complementare nella diagnosi di amenorrea ipotalamica funzionale: la comparsa di sanguinamento simil-mestruale (test positivo) indica la produzione di estrogeni e, quindi, la presenza di una parziale funzionalità ovarica. Il riscontro di normali livelli di gonadotropine necessita dell’indagi- N O G Tabella 1 Approccio diagnostico alle amenorree Esami di primo livello Esami di secondo livello Esami di terzo livello LH, FSH, PRL, TSH, ecografia pelvica, test di gravidanza Cariotipo, RM encefalo, altri dosaggi ormonali/test da stimolo, autoimmunità Studi genetici FSH, LH bassi: patologia ipotalamo-ipofisaria ■ ■ ■ ■ Escludere s. Kallman: test per anosmia, RM encefalo Valutare anoressia-malnutrizione: indici nutrizionali, Ab antitransglutaminasi, funzionalità epatica e renale Escludere altre patologie infettivo-infiammatorie-tumorali ipotalamo-ipofisarie: RM encefalo Test con LHRH-analogo: diagnosi differenziale ipogonadismo ipogonadotropo/ RCCP FSH, LH elevati: insufficienza ovarica ■ ■ Escludere s. Turner: ecografia pelvica, cariotipo Valutare cause di POF: accurata anamnesi familiare; dosaggio Ab anti ovaio, Ab anti surrene, Ab anti TPO, indagare altre eventuali patologie autoimmuni; eventuale studio genetico (ricerca premutazione FMR1, BMP15 ecc.) FSH, LH normali ■ ■ ■ ■ ■ Ecografia pelvica è escludere malformazioni utero-vaginali, escludere CAIS Valutare iperandrogenismo: dosaggio 17-OHP, DHEAS, testosterone totale e libero, SHBG, Delta4-androstenedione, insulina, glicemia Escludere patologie tumorali ovariche o surrenaliche: ecografia/RM/TC addome Escludere iperplasia surrenalica congenita: ACTH test Escludere sindrome di Cushing: ritmo cortisolo-ACTH, cortisoluria, test di soppressione con desametasone Iperprolattinemia ■ ■ ■ Valori <40 ng/ml è escludere cause para-fisiologiche (stress ecc.) Valori 40-100 ng/ml è escludere ipotiroidismo (dosaggio TSH, FT4), cause farmacologiche (anamnesi) è se elevati valori persistenti o segni/sintomi associati (per esempio, disturbi della vista, cefalea ecc.): RM encefalo Valori >100 ng/ml (elevata probabilità di macroprolattinoma) è sempre RM encefalo subito 17 ENDOCRINOLOGIA N O G Conclusioni ne ecografica per escludere malformazioni dell’apparato genitale, presenza di tumori androgeno-secernenti ovarici o surrenalici, policistosi ovarica. Nel caso di normalità dell’ecografia è utile il dosaggio degli androgeni e l’eventuale esecuzione di test ormonali (quali l’ACTH test nel sospetto di forma non classica di CAH; il test di soppressio- ne con desametasone, nel sospetto di Cushing); qualora il quadro ecografico non fosse dirimente può essere necessaria la RM dell’addome. Il riscontro di persistenti valori elevati di PRL pone indicazione a effettuare RM dell’encefalo per escludere la presenza di prolattinomi o di tumori della regione ipotalamo-ipofisaria. L’amenorrea primaria può essere considerata come il sintomo di una patologia organica o funzionale che interessa l’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi. L’adolescente che giunge alla nostra attenzione per amenorrea primaria deve essere indagata innanzitutto per escludere patologie congenite, anomalie cromosomiche, sindromi genetiche, alterazioni ormonali, patologie croniche. L’impostazione di un corretto iter diagnostico, che non può prescindere da un’accurata anamnesi familiare e personale e dall’esame obiettivo, è pertanto molto importante per riconoscere possibili patologie rimaste misconosciute fino all’età peripuberale e impostare un adeguato follow-up clinico e terapeutico o per evidenziare la presenza di malattie intercorrenti e rimuoverne se possibile le cause. Bibliografia 18 1. 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INFORMAZIONI CLINICHE. 4.1 Indicazioni Terapeutiche. - Candidosi vulvovaginale. - Candidosi orale, dermatomicosi (es. tinea corporis, tinea cruris, tinea pedis, tinea manus) ed onicomicosi (causate da dermatofiti e lieviti), pityriasis versicolor. - Sporotricosi linfocutanee, paracoccidioidomicosi, bastomicosi (in pazienti immunocompromessi) ed istoplasmosi. - Itraconazolo può essere usato per trattare pazienti affetti da aspergillosi invasive risultate resistenti o intolleranti all’amfotericina B. Si deve prestare attenzione alle linee guida ufficiali riguardanti l’uso corretto degli agenti antimicotici. 4.2 Posologia, e modo di somministrazione. Le capsule di itraconazolo sono per uso orale. Le capsule devono essere assunte immediatamente dopo i pasti. Le capsule devono essere inghiottite intere. Raccomandazioni posologiche per adulti ed adolescenti: - Candidosi vulvovaginale: 200 mg al mattino e 200 mg alla sera per un giorno. - Candidosi orale: 100 mg una volta al giorno per 2 settimane. - Tinea corporis/cruris: 100 mg una volta al giorno per 2 settimane. - Tinea pedis/manus: 100 mg una volta al giorno per 4 settimane. - Pityriasis versicolor: 200 mg una volta al giorno per 1 settimana. - Onicomicosi: Terapia a cicli di trattamento. Un ciclo consiste di due capsule due volte al giorno per una settimana (400 mg/die), seguito da un periodo di tre settimane senza trattamento. Un totale di 3 cicli viene somministrato per l’onicomicosi delle unghie dei piedi, due cicli sono raccomandati per l’onicomicosi delle unghie delle mani. Trattamento continuo. Due capsule (200 mg/die) una volta al giorno per 3 mesi. Il risultato del trattamento è visibile solo dopo la fine della somministrazione quando le unghie ricrescono. - Sporotricosi linfocutanea*: 100 mg una volta al giorno per 3 mesi. - Paracoccidioidomicosi*: 100 mg una volta al giorno per 6 mesi. - Blastomicosi*: 100 mg una volta al giorno, possono essere aumentati a 200 mg due volte al giorno, per 6 mesi. - Istoplasmosi*: 200 mg una volta al giorno, possono essere aumentati a 200 mg due volte al giorno, per 8 mesi. - Aspergillosi invasiva: inizio con una dose di 200 mg tre volte al giorno per 4 giorni e poi continuazione con 200 mg due volte al giorno fino a che le colture sono negative o fino a che le lesioni sono scomparse (2-5 mesi di durata) o almeno fino a quando è cessata le neutropenia. *) I tempi di trattamento specificati sono medi e possono variare a seconda della gravità della malattia o della guarigione clinica e micologica. Per le infezioni cutanee l’effetto clinico ottimale viene raggiunto 1-4 settimane dopo la cessazione del trattamento e per le infezioni delle unghie dopo 6-9 mesi. Questo avviene perché l’eliminazione di itraconazolo dalla pelle e dalle unghie avviene più lentamente che dal plasma. Bambini (sotto i 12 anni): I dati sull’itraconazolo nei bambini sono inadeguati per raccomandarne l’uso, a meno che i potenziali benefici superino i rischi (vedere paragrafo 4.4). Anziani: I dati sull’itraconazolo negli anziani sono inadeguati per raccomandarne l’uso, a meno che i potenziali benefici superino i rischi (vedere paragrafo 4.4). Alterazioni delle funzioni epatiche: L’itraconazolo è principalmente metabolizzato nel fegato. Una lieve diminuzione della biodisponibilità orale è stata osservata in pazienti cirrotici, benché ciò non abbia significatività statistica. L’emivita terminale è risultata lievemente ma significativamente aumentata da un punto di vista statistico. Se necessario la dose deve essere aggiustata. Può essere necessario il monitoraggio dei livelli plasmatici (vedere paragrafo 4.4). Alterazioni delle funzioni renali: La biodisponibilità orale dell’itraconazolo può essere inferiore nei pazienti con insufficienza renale. Può essere preso in considerazione un adattamento della dose. Può essere necessario il monitoraggio dei livelli plasmatici. L’itraconazolo non può essere eliminato mediante dialisi (vedere paragrafo 4.4). Diminuita acidità gastrica: L’assorbimento dell’itraconazolo è alterato quando l’acidità gastrica è ridotta. Per informazioni sui pa- zienti con acloridria o in trattamento con inibitori della secrezione acida o che assumono medicinali ad azione antiacido, vedere paragrafo 4.4. L’alterato assorbimento in pazienti con AIDS e neutropenici, può portare a bassi livelli emetici di itraconazolo ed a mancanza di efficacia. In questi casi può essere indicato il monitoraggio dei livelli ematici e se necessario un aggiustamento della dose. 4.3 Controindicazioni. Itraconazolo è controindicato in: - ipersensibilità all’itraconazolo o ai derivati azolici correlati o ai suoi eccipienti. - Simultanea somministrazione di: terfenadina, astemizolo, cisapride, chinidina, pimozide, mizolastina, dofetilide, inibitori della HMG-CoA reduttasi metabolizzati dal CYP3A4 come la simvastatina, atorvastatina e lovastatina o triazolam e midazolam per via orale. 4.4 Avvertenze speciali e opportune precauzioni di impiego. Con itraconazolo esiste la possibilità di interazioni clinicamente rilevanti con altri farmaci (vedere paragrafo 4.5). - L’assorbimento di itraconazolo da Tranizolo 100 mg capsule è influenzato dalla diminuzione dell’acidità gastrica. Pazienti trattati anche con sostanze che neutralizzano gli acidi (ad es. idrossido di alluminio) devono prendere queste sostanze almeno 2 ore dopo la somministrazione di itraconazolo. A pazienti affetti da acloridria come alcuni pazienti con AIDS o a pazienti in trattamento con inibitori acidi (ad es. Antagonisti H2, inibitori della pompa protonica) si consiglia di assumere itraconazolo capsule 100 mg con bevande contenenti anidride carbonica che hanno un basso pH. - Nei pazienti sottoposti a trattamento continuo per più di un mese si consiglia un controllo della funzionalità epatica. Durante la somministrazione di itraconazolo in casi molto rari si è manifestata grave tossicità epatica, inclusi alcuni casi di insufficienza epatica acuta fatale. Nella maggior parte questi casi riguardano pazienti che hanno avuto disturbi epatici prima del trattamento, che erano trattati per indicazioni sistemiche, che hanno sofferto di altre gravi malattie e/o usavano altri agenti epatotossici. Alcuni di questi casi si manifestano già al primo mese di trattamento: pochi perfino nella prima settimana. Si devono monitorare frequentemente le funzioni epatiche dei pazienti che sono trattati con itraconazolo. Bisogna inoltre istruire i pazienti a riferire immediatamente al proprio medico i segni e i sintomi di epatite, come anoressia, nausea, vomito, stanchezza, dolore addominale o urina di colore scuro. In questi pazienti il trattamento deve essere interrotto immediatamente ed è necessario controllare le funzioni epatiche. - Itraconazolo non deve essere prescritto a pazienti con aumentati valori di enzimi epatici o con disturbi epatici pre-esistenti, o che hanno mostrato tossicità epatica come reazione ad altri farmaci. Se si prende la decisione di iniziare un trattamento a lungo termine è necessario controllare i valori degli enzimi epatici durante il trattamento. - L’uso a lungo termine (più lungo di 6 mesi o più lungo di 6 mesi cumulativi) non è raccomandato eccetto quando non vi siano alternative terapeutiche. - La biodisponibilità orale dell’itraconazolo risulta diminuita in alcuni pazienti con insufficienza renale. L’aggiustamento della dose può essere preso in considerazione. - Insufficienza epatica: itraconazolo viene prevalentemente metabolizzato nel fegato. L’emivita terminale dell’itraconazolo è piuttosto prolungata in pazienti che soffrono di cirrosi epatica. La biodisponibilità orale di itraconazolo è ridotta nei pazienti che soffrono di cirrosi epatica. Può essere necessario un aggiustamento della dose. - La biodisponibilità orale di itraconazolo può essere ridotta in alcuni pazienti immunocompromessi sottoposti a trattamento aggressivo con chemioterapici ed antibiotici. Per questi pazienti è pertanto raccomandato monitorare la concentrazione di itraconazolo nel plasma e se necessario aumentare la dose. - In uno studio con itraconazolo per via endovenosa in soggetti sani, si è osservata una temporanea sintomatica riduzione della frazione di eiezione del ventricolo sinistro che scompariva prima della successiva infusione. La rilevanza clinica di questa osservazione per le formulazioni orali non è nota. - Itraconazolo sembra avere un effetto inotropo negativo ed è stato messo in relazione a segnalazioni di scompenso cardiaco. Itraconazolo non deve essere usato in pazienti con scompenso cardiaco o con una storia di scompenso cardiaco a meno che i benefici siano chiaramente superiori ai rischi. Durante questa valutazione individuale dei benefici e dei rischi, bisogna prendere in considerazione fattori quali la gravità dell’indicazione, il dosaggio e i fattori di rischio individuali per lo scompenso cardiaco. Questi fattori includono malattie cardiache quali malattie ischemiche e valvolari, importanti malattie polmonari, quali la pneumopatia cronica ostruttiva, l’insufficienza renale ed altre malattie edemigene. Questi pazienti devono essere informati sui sintomi dello scompenso cardiaco congestizio, devono essere trattati con cautela e sottoposti a controlli sui sintomi di scompenso cardiaco durante il loro trattamento; in caso che si manifestino tali sintomi durante il trattamento, la somministrazione di itraconazolo deve essere interrotta. Bisogna avere cautela nel somministrare contemporaneamente itraconazolo e agenti calcio-antagonisti (vedere paragrafo 4.5). - Itraconazolo è un potente ini- bitore del CYP3A4. L’uso di itraconazolo in associazione a farmaci metabolizzati dal CYP3A4 può portare ad interazioni clinicamente rilevanti (vedere paragrafo 4.5). L’uso concomitante di itraconazolo con alcaloidi della segale cornuta come l’ergotamina può portare a più elevati livelli di questi alcaloidi a causa dell’inibizione del CYP3A4 da parte dell’itraconazolo. Questo può portare a sintomi di ergotismo. - Non vi sono informazioni relative all’ipersensibilità crociata tra itraconazolo ed altri agenti antifungini azolici. Pertanto si deve usare cautela nel prescrivere itraconazolo a pazienti con ipersensibilità ad altri derivati azolici. - L’esperienza clinica sull’uso di itraconazolo capsule nei bambini è modesta. Pertanto itraconazolo 100 mg capsule non deve essere somministrato nei bambini eccetto nei casi dove gli effetti positivi attesi superano i potenziali rischi. - A causa del rischio di danni al feto, le donne in età fertile e che usano itraconazolo devono prendere adeguate misure anticoncezionali fino al primo periodo mestruale successivo alla fine del trattamento. - Se compare neuropatia che può essere attribuita ad itraconazolo, il trattamento deve essere interrotto. - Itraconazolo non deve essere usato entro 2 settimane dall’interruzione del trattamento di agenti che inducono il CYP3A4 (rifampicina, rifabutina, fenobarbital, fenitoina, carbamazepina, Erba di S. Giovanni). L’uso di itraconazolo con questi farmaci può portare a livelli plasmatici sub-terapeutici di itraconazolo e pertanto ad inefficacia. - Ceppi della specie di Candida resistenti al fluconazolo non possono essere ritenuti sensibili all’itraconazolo. Test di sensibilità devono essere condotti prima dell’inizio della terapia con itraconazolo. Questo medicinale contiene saccarosio. I pazienti con rari problemi ereditari di intolleranza al fruttosio, malassorbimento di glucosio-galattosio o insufficienza della saccarasi-isomaltasi, non devono assumere questo medicinale. 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione. Effetti di altri prodotti medicinali sull’itraconazolo: Itraconazolo viene prevalentemente metabolizzato dal CYP3A4. Induttori del CYP3A4: Sono stati condotti studi di interazione con rifampicina, rifabutina e fenitoina che sono potenti induttori del CYP3A4. La biodisponibilità di itraconazolo e idrossi-itraconazolo è diminuita in misura tale che l’efficacia può essere considerata ridotta. Pertanto si raccomanda di non associare itraconazolo a questi potenti induttori enzimatici. Simili effetti devono essere previsti con altri induttori dell’enzima come carbamazepina, fenobarbital e isoniazide. Inoltre l’itraconazolo non deve essere somministrato entro 2 settimane dall’interruzione del trattamento con qualunque medicinale induttore del CYP3A4. Inibitori del CYP3A4: Dal momento che itraconazolo è principalmente metabolizzato dal CYP3A4, potenti inibitori di questo enzima possono aumentare la biodisponibilità di itraconazolo. Esempi sono ritonavir, indinavir, saquinavir, sildenafil, tadalafil, alcuni agenti antineoplastici, sirolimo, claritromicina ed eritromicina. Per l’uso concomitante con sildenafil si raccomanda una riduzione della dose a 25 mg. Omeprazolo: Quando itraconazolo viene somministrato con omeprazolo (inibitore della pompa protonica), l’esposizione dell’itraconazolo viene ridotta del 65%. L’interazione è probabilmente dovuta al ridotto assorbimento, che è pH-dipendente. Altri inibitori della pompa protonica devono comportarsi in modo simile (vedere paragrafo 4.2 e paragrafo 4.4). Effetti dell’itraconazolo sul metabolismo di altri medicinali: Itraconazolo è un potente inibitore del CYP3A4 ed inibisce il metabolismo di farmaci che sono substrati di questo enzima. Itraconazolo è anche un potente inibitore della P-glicoproteina. La somministrazione concomitante di farmaci che sono substrati del CYP3A4 e/o P-glicoproteina può portare ad aumento e/o prolungamento del loro effetto ed a un aumentato rischio di effetti collaterali. Associazioni controindicate sono: Terfenadina, astemizolo, pimozide, cisapride, triazolam, midazolam per via orale, dofetilide, mizolastina e chinidina poiché la co-somministrazione può risultare in un aumento dei livelli plasmatici di queste sostanze che può portare a prolungamento del QTC ed in rare occasioni a torsade de pointes, inibitori della HMG-CoA reduttasi metabolizzati dal CYP3A4 come simvastatina, atorvastatina e lovastatina (vedere paragrafo 4.3). Per l’interazione con gli alcaloidi della segale cornuta vedere paragrafo 4.4. L’uso concomitante dei seguenti farmaci può richiedere aggiustamento della dose: Si deve usare cautela quando si somministra itraconazolo con altri substrati del CYP3A4. Devono essere monitorati i livelli plasmatici, gli effetti o gli effetti collaterali dei farmaci co-somministrati e può essere necessario un aggiustamento della dose. Si noti che l’elenco seguente non è completo e l’itraconazolo può interagire con altri farmaci metabolizzati dal CYP3A4. Calcio antagonisti metabolizzati dal CYP3A4 (diidropiridine e verapamil). Anticoagulanti orali: Itraconazolo può potenziare l’effetto della warfarina. Si raccomanda di monitorare il tempo di protrombina se si usa questa associazione. Inibitori della HIV-proteasi come ritonavir, indinavir, saquinavir: Poiché gli inibitori della HIV-proteasi sono principalmente metabolizzati dal CYP3A4 ci si aspetta un aumento delle concentrazioni plasmatiche se usati in associazione. Agenti per il trattamento delle disfunzioni erettili come sildenafil, tadalafil: Itraconazolo può aumentare i livelli plasmatici di questi farmaci con la conseguenza di possibili effetti collaterali. Alcuni agenti antineoplastici come alcaloidi della vinca, busulfan, docetaxel e trimetressato: L’itraconazolo può inibire il metabolismo di questi farmaci. La clearance del busulfan è diminuita del 20% quando somministrato in associazione. Alcuni agenti immuno-soppressori: ciclosporina, tacrolimus, sirolimus: L’itraconazolo può aumentare i livelli plasmatici di questi farmaci con la conseguenza di possibili effetti collaterali. Le concentrazioni plasmatiche di ciclosporina, tacrolimus, sirolimus devono essere monitorate se usati assieme all’itraconazolo. Digossina: Itraconazolo è noto per inibire il P-gp. La concomitante somministrazione di digossina e itraconazolo ha portato ad aumentate concentrazioni plasmatiche di digossina con sintomi di tossicità alla digossina. Ciò suggerisce una diminuita clearance urinaria della digossina poiché l’itraconazolo può inibire l’azione della Pglicoproteina che trasporta la digossina dalle cellule del tubulo renale nelle urine. I livelli plasmatici della digossina devono essere attentamente monitorati durante la somministrazione concomitante con itraconazolo. Desametasone: l’itraconazolo riduce del 68% la clearance del desametasone somministrato endovena. Metilprednisone: l’itraconazolo inibisce il metabolismo del prednisone. È stato osservato un aumento di 4 volte dell’esposizione e di 2 volte dell’emivita. Vi è il rischio di effetti collaterali dello steroide, in particolare durante il trattamento a lungo termine, se la dose non è adeguata. Alprazolam: la somministrazione concomitante di itraconazolo ed alprazolam porta ad una riduzione del 60% della clearance dell’alprazolam. Le aumentate concentrazioni plasmatiche possono potenziare e prolungare gli effetti ipnotici e sedativi. Buspirone: la somministrazione concomitante di itraconazolo e buspirone (dose orale singola) ha dato luogo ad un significativo aumento (19 volte) della biodisponibilità. L’aggiustamento della dose è necessario quando itraconazolo e buspirone vengono somministrati in associazione. Altri: Alfentanile, brotizolam, carbamazepina, cilostazolo, disopiramide, ebastina, eletriptan, alofantrina, midazolam e.v., reboxetina, repaglinide, rifabutina: resta da stabilire l’importanza degli aumenti di concentrazione e la loro rilevanza clinica di questi cambiamenti durante la cosomministrazione con itraconazolo. 4.6 Gravidanza ed allattamento. Gravidanza. Dati limitati sull’uso a breve termine durante la gravidanza non hanno finora rivelato effetti pericolosi. Non vi sono dati documentati sull’uso a lungo termine in gravidanza. In studi sugli animali itraconazolo è risultato dannoso (vedere paragrafo 5.3). Itraconazolo non deve essere usato in gravidanza a meno che sia chiaramente necessario. Allattamento. Itraconazolo è escreto nel latte materno. L’allattamento al seno non è raccomandato durante il trattamento con itraconazolo. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. Non sono stati condotti studi sugli effetti di itraconazolo sulla capacità di guidare veicoli o di usare macchinari. Quando non si è alla guida di veicoli e si usano macchinari bisogna tener conto che in alcuni casi può manifestarsi la possibilità di vertigine. 4.8 Effetti indesiderati. In circa il 9% dei pazienti possono manifestarsi effetti indesiderati durante la somministrazione di itraconazolo. Nell’uso a lungo termine (circa 1 mese) l’incidenza degli effetti indesiderati è stata più alta (circa 15%). Gli effetti indesiderati maggiormente riportati sono stati di natura gastrointestinale, epatica e dermatologica. All’interno di ogni classe organica gli effetti indesiderati sono ordinati in base alla frequenza con cui si manifestano, rari (≤0,01%, <0,1%), molto rari (<0,001%) inclusi casi isolati. Sulla base dei dati dati post-marketing i seguenti effetti indesiderati sono stati riportati. Alterazione del sangue e del sistema linfatico. Molto raro: trombocitopenia; Alterazioni del sistema immunitario. Molto rare: reazioni anafilattiche anafilattoidi ed allergiche. Alterazioni del metabolismo e della nutrizione. Molto rare: ipokaliemia, ipertrigliceridemia. Alterazioni del sistema nervoso. Molto rare: neuropatia periferica, mal di testa e vertigine. Alterazioni cardiache. Molto raro: scompenso cardiaco congestizio. Alterazioni dell’apparato respiratorio, del torace e del metabolismo. Molto raro: edema polmonare. Alterazioni dell’apparato gastrointestinale. Molto rari: dolore addominale, vomito, dispepsia, nausea, diarrea e costipazione. Alterazioni del sistema epatobiliare. Molto rare: insufficienza epatica acuta fatale, grave epatotossicità, epatite, ittero colestatico e aumento reversibile degli enzimi epatici. Alterazioni della cute e del tessuto sottocutaneo. Molto rare: sindrome di Stevens-Johnson, angioedema, orticaria, alopecia, rash cutaneo e prurito. Disordini del sistema riproduttivo e della mammella. Molto rari: disturbi mestruali. Disordini generali e alterazioni del sito di somministrazione. Molto raro: edema. 4.9 Sovradosaggio. Non sono noti sintomi di sovradosaggio. In caso di sovradosaggio il paziente deve bere e si deve tentare di indurre vomito o deve essere eseguita una lavanda gastrica, dopo di che può essere somministrato carbone attivo ed un lassativo. Non è noto un antidoto specifico. Itraconazolo non è rimosso con l’emodialisi. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE. 5.1 Proprietà farmacodinamiche. Categoria farmacoterapeutica: antimicotici per uso sistemico, derivati triazolici. Codice ATC: J02AC02. Proprietà generali: Itraconazolo è un composto triazolico sintetico con azione antimicotica contro dermatofiti, lieviti, Aspergillus ed altri miceti patogeni. Meccanismo d’azione. Itraconazolo inibisce la biosintesi dell’ergosterolo, il più importante sterolo della membrana cellulare di lieviti e miceti, a concentrazioni di solito tra 0,025 e 0,8 µg/ml. Questo causa cambiamenti della permeabilità e dei componenti lipidici della membrana. Microbiologia. I seguenti organismi sono considerati sensibili all’itraconazolo: Dermatofiti (Trichophyton spp., Microsporum spp., Epidermophyton floccosum), Lieviti (C. albicans e altra Candida spp., Pityrosporum ovale, Cryptococcus neoformans, C. glabrata) Aspergillus fumigatus ed altri Aspergillus spp., Miceti dimorfi: Sporothrix schenckii, Histoplasma spp., Paracoccidioides brasiliensis, Fonsecacea spp., Cladosporium spp., Blastomyces dermatitidis. Candida glabrata e Candida tropicalis sono generalmente le meno sensibili tra le specie di Candida, con ceppi isolati che mostrano resistenza in vitro all’itraconazolo. Le specie più importanti non inibite dall’itraconazolo sono: Zygomycetes (ad es. Rhizopus spp., Rhizomucor spp., Mucor spp. e Absidia spp.), Fusarium spp., Scedosporium spp. e Scopulariopsis spp. La sensibilità in vitro è influenzata da: dimensione dell’inoculo, temperature di incubazione, fase di sviluppo del fungo ed in particolare dal terreno di cultura usato. Pertanto possono essere trovate considerevoli differenze nei valori di CMI. Altre informazioni. La resistenza agli azoli sembra svilupparsi lentamente e spesso è il risultato di numerose mutazioni genetiche. Sono stati riportati diversi meccanismi di resistenza. Un meccanismo riguarda una diminuita affinità della 14α-demetilasi per gli azoli. Questo può causare una sovraespressione o una mutazione puntiforme in ERG11, il gene che codifica la 14α-demetilasi. Più comunemente la resistenza agli azoli risulta da un’espressione micotica di un sistema di pompa ad efflusso. Non sembra che i miceti possano trasferire geni resistenti da un organismo ad un altro e spesso i casi isolati in clinica non sono correlati tra di loro. La resistenza micotica probabilmente non risulta da una riduzione su larga scala della sensibilità dei miceti come provato nel caso della resistenza batterica. Resistenza crociata tra antimicotici azolici è stata riportata in pazienti clinicamente resistenti al clotrimazolo. Finora aumenti molteplici della CMI dell’itraconazolo sono stati osservati solo in mutanti selezionati in laboratorio di Aspergillus fumigatus. 5.2 Proprietà farmacocinetiche. I livelli plasmatici variano fortemente tra individui, sia a dosi singole sia a dosi ripetute. Assorbimento. I livelli plasmatici massimi di sostanza attiva immodificata si raggiungono in 2-5 ore dopo l’assunzione. La biodisponibilità orale assoluta dell’itraconazolo è del 55%. La biodisponibilità massima dopo assunzione orale si ottiene se l’itraconazolo viene assunto direttamente dopo un pasto. Distribuzione. Il legame di itraconazolo con le proteine plasmatiche è del 99,8%. Nel sangue il 5% dell’itraconazolo è legato alle cellule ematiche, il 95% alle proteine plasmatiche e solo lo 0,2% è libero. La concentrazione di itraconazolo nel sangue intero è il 60% della concentrazione plasmatica. Non vi sono dati sul passaggio di itraconazolo nel latte umano. I livelli tissutali in tessuti contenenti cheratina, specialmente cute ed unghie, sono fino a 4 volte più elevati di quelli nel plasma. L’eliminazione dell’itraconazolo è in relazione alla rigenerazione dell’epidermide, per le unghie l’eliminazione è determinata dalla velocità di crescita. Pertanto livelli terapeutici continuano ad esistere nella cute per 2-4 settimane dopo un trattamento di poche settimane; per le unghie questo periodo è di 6-9 mesi. Itraconazolo viene escreto nella pelle attraverso le ghiandole sebacee ed in minor misura attraverso quelle sudoripare. Esso inoltre raggiunge la pelle attraverso i cheratinociti dello strato basale. Inoltre l’itraconazolo mostra buona penetrazione in altri tessuti che vengono attaccati da infezioni fungine. Concentrazioni di 2-3 volte quelle del plasma, sono state misurate in polmoni, reni, fegato, ossa, stomaco, milza e muscoli. Nel tessuto vaginale la concentrazione terapeutica permane per 2-3 giorni dopo 2 somministrazioni di 2 capsule in un giorno. Dopo un trattamento di 3 giorni con 2 capsule una volta al giorno, una concentrazione terapeutica continua ad essere presente nel tessuto vaginale per 2 giorni. Metabolismo. Itraconazolo è ampiamente metabolizzato nel fegato principalmente dall’isoenzima CYP3A4. Uno dei metaboliti è l’idrossi-itraconazolo che in vitro mostra un’azione antifungina paragonabile a quella di itraconazolo. I livelli determinati usando dosaggi biologici sono circa 3 volte più alti dei livelli di itraconazolo determinati con HPLC. Escrezione. L’emivita terminale dell’itraconazolo è di 17 ore dopo somministrazione singola ed aumenta a 34-42 ore dopo somministrazioni ripetute. La farmacocinetica dell’itraconazolo non è lineare, di conseguenza la sostanza attiva si accumula nel plasma dopo somministrazioni multiple. Le concentrazioni allo stato stazionario si raggiungono in 15 giorni con una Cmax che raggiunge 0,5 µg/ml dopo 100 mg di itraconazolo una volta al giorno, 1,1 µg/ml dopo 200 mg una volta al giorno e 2,0 µg/ml dopo 200 mg due volte al giorno. Alla sospensione del trattamento le concentrazioni plasmatiche dell’itraconazolo scendono quasi sotto il limite di determinazione entro 7 giorni. A causa del meccanismo di saturazione durante la metabolizzazione epatica, la clearance dell’itraconazolo decresce ai dosaggi più elevati. Il 3-18% della dose assunta viene escreta con le feci come itraconazolo immodificato. Il contenuto di itraconazolo immodificato nelle urine è minore dello 0,03%. Nel fegato l’itraconazolo viene metabolizzato in un ampio numero di metaboliti che sono escreti con le feci e le urine. Circa il 40% di questo è escreto con le urine. 5.3 Dati preclinici di sicurezza. Studi di tossicità subacuta e cronica hanno mostrato effetti indesiderati su adrenali, fegato e ovaie di ratti femmina. Il metabolismo dei grassi è risultato alterato nei ratti. Studi non clinici non hanno indicato una capacità di indurre mutazioni genetiche. Effetti tossici clinicamente rilevanti sono comparsi a livelli plasmatici. La rilevanza clinica degli effetti osservati negli animali non è nota. In studi preclinici in ratti maschi, vi è stata una più elevata incidenza di sarcoma dei tessuti molli dopo 2 anni di trattamento. Il rischio potenziale per l’uomo è sconosciuto. Non vi è evidenza di influenza primaria sulla fertilità durante il trattamento con itraconazolo. Itraconazolo è risultato causare un aumento dose-dipendente della tossicità materna, embriotossicità e teratogenicità in ratti e topi a dosi elevate. Nei ratti la teratogenicità consiste in difetti scheletrici maggiori e nel topo in encefalocele e macroglossia. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE. 6.1 Elenco degli eccipienti. Contenuto della capsula: Sfere di zucchero (saccarosio/amido di mais), ipromellosa (E464), sorbitano stearato (E491), silice colloidale idrata (E551). Capsula: cappuccio/corpo: gelatina. Agenti coloranti: titanio biossido (E171), ossido di ferro rosso (E172). 6.2 Incompatibilità. Non pertinente. 6.3 Periodo di validità. 3 anni. 6.4 Speciali precauzioni per la conservazione. Non conservare a temperatura superiore ai 30 °C. 6.5 Natura e contenuto del contenitore. Blister di PVC/PVDC/alluminio. Blister contenenti: 4, 6, 7, 8, 14, 15, 16, 18, 28, 30, 50, 60, 84, 100, 140, 150, 280, 300, 500 capsule in strip. Non tutte le confezioni saranno commercializzate. 6.6 Istruzioni per l’impiego e la manipolazione. Nessuna istruzione particolare. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. EG S.p.A. Via D. Scarlatti, 31 - 20124 Milano. 8. NUMERI DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 4 capsule AIC n. 037093.010/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 6 capsule AIC n. 037093.022/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 7 capsule AIC n. 037093.034/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 8 capsule AIC n. 037093.046/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 14 capsule AIC n. 037093.059/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 15 capsule AIC n. 037093.061/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 16 capsule AIC n. 037093.073/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 18 capsule AIC n. 037093.085/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 28 capsule AIC n. 037093.097/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 30 capsule AIC n. 037093.109/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 50 capsule AIC n. 037093.111/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 60 capsule AIC n. 037093.123/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 84 capsule AIC n. 037093.135/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 100 capsule AIC n. 037093.147/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 140 capsule AIC n. 037093.150/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 150 capsule AIC n. 037093.162/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 280 capsule AIC n. 037093.174/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 300 capsule AIC n. 037093.186/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 500 capsule AIC n. 037093.198/M 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVODELL’AUTORIZZAZIONE. 20 Ottobre 2006 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO. Ottobre 2006 MENOPAUSA N O G P revenzione e trattamento dell’osteoporosi Per gestire in modo ottimale l’osteoporosi e le complicanze ad essa correlate, è necessario adottare una strategia d’intervento globale imperniata su interventi non farmacologici consigliabili a tutte le donne e approcci farmacologici modulabili in base all’età e al livello di rischio della singola paziente. di Alberto Bacchi Modena Dipartimento di Scienze Ginecologiche Ostetriche e di Neonatologia, Azienda Ospedaliero Universitaria - Parma F 22 ino a quando non si verifica il primo evento fratturativo, l’osteoporosi è una patologia silente, ma, a partire da quel momento il rischio di successive fratture raddoppia a ogni nuovo evento comportando un notevole aumento della morbilità e della mortalità1. L’obiettivo più importante delle strategie di prevenzione dovrebbe pertanto essere finalizzato a scongiurare la prima e le successive fratture e non al trattamento o al miglioramento di ciascun singolo fattore di rischio come, per esempio, la densità minerale ossea (BMD). Poiché l’osteoporosi colpisce una notevole parte della popolazione femminile in postmenopausa dovrebbe essere preso in considerazione un approccio su larga scala, possibile solamente usando strategie non farmacologiche come, per esempio, i cambiamenti dello stile di vita. Per contro, le strategie farmacologiche vanno riservate alle pazienti ad elevato rischio di frattura. Cambiamenti dello stile di vita • Fumo di tabacco: uno studio recente ha confermato che le donne fumatrici (anche pregresse) in postmenopausa presentano un aumentato rischio di fratture dell’anca2. È stato inoltre dimostrato che il fumo provoca una riduzione del BMD e della corticale dell’osso anche nei giovani maschi3. • Bevande alcoliche: l’abuso è associato a un aumento significativo di tutte le fratture su base osteoporotica4. • Farmaci: la perdita di osso è uno dei più importanti effetti colla- terali dei glucocorticoidi, anche se utilizzati a basse dosi; essa si manifesta rapidamente, raggiunge il massimo dopo 6 mesi di trattamento e risulta più accentuata a livello delle ossa con elevata componente trabecolare come, per esempio, le vertebre. Gli interventi farmacologici atti a prevenirla dovranno prendere in considerazione il dosaggio dei glucocorticoidi, la durata prevista del trattamento, l’età, il sesso e il BMD al momento dell’inizio della terapia5. Altri farmaci che possono compromettere la salute dell’osso sono i tranquillanti che incrementano il rischio di caduta e gli antidepressivi. In particolare, secondo uno studio recente le pazienti in trattamento con inibitori del re-uptake della serotonina vanno incontro a un aumento della perdita di massa ossea a livello dell’anca e MENOPAUSA ca di frutta e vegetali e povera di grassi8. Si dovrebbe, inoltre, prendere in considerazione una supplementazione proteica, specie dopo una frattura: infatti, secondo uno studio recente condotto su donne anziane e magre affette da frattura dell’anca, essa è in grado di aumentare il BMD9. quindi del rischio di frattura6; questi effetti non sono presenti quando si utilizzano gli antidepressivi triciclici. • Sedentarietà: favorisce l’attività osteoclastica, mentre l’esercizio fisico stimola l’attività osteoblastica; di conseguenza, tutte le donne che entrano in menopausa dovrebbero essere stimolate a camminare tutti i giorni ed eventualmente praticare un’attività fisica regolare7. • Altri fattori di rischio: le pazienti in postmenopausa devono essere incoraggiate ad adottare tutte le strategie in grado di minimizzare il rischio di cadute (calzature adeguate, correzione di eventuali difetti del visus o di patologie dell’orecchio, eliminazione di eventuali barriere architettoniche e di pavimentazioni scivolose, buona illuminazione ambientale ecc.). Dieta e supplementazione I benefici effetti di una dieta ricca di potassio e bicarbonati sono noti da tempo: anche se non sono disponibili dati derivanti da trial randomizzati e controllati in grado di supportare queste raccomandazioni, le donne in postmenopausa dovrebbero essere stimolate a consumare una dieta ric- Ruolo della supplementazione di calcio… Le donne in postmenopausa dovrebbero assumere almeno 1.200 mg/die di calcio elementare10 attingendoli dalla miglior sorgente alimentare, ossia dai prodotti caseari. Una metanalisi condotta su 17 studi che avevano come endpoint il numero delle fratture, ha dimostrato che la supplementazione a base di calcio in una popolazione di età superiore ai 50 anni è in grado di ridurre del 12% il numero delle fratture; queste ultime sono diminuite addirittura del 24% nei soggetti che presentavano un’aderenza al trattamento dell’80%. Ciononostante, in accordo con quanto stabilito in una recente consensus europea11, la supplementazione routinaria di calcio nella popolazione generale non può essere giustificata come strategia globale in termini di efficacia e di economia sanitaria. Esiste tuttavia un razionale per una supplementazione riservata ai pazienti con aumentato rischio di osteoporosi e a quelli osteoporotici, anche se già in trattamento con altri farmaci per l’osteoporosi. La supplementazione (5001.000 mg di calcio elementare) dipende dalla quantità di calcio che ciascun individuo introduce giornalmente con la dieta. Anche se non sono disponibili test ematici in grado di valutare l’insufficienza calcica, bassi livelli di secrezione urinaria di calcio nelle 24 ore, potrebbero essere indicativi di un ridotto apporto di calcio con la dieta. L’apporto dietetico di una quota di calcio elementare inferiore a 1.500 mg al giorno non promuove la formazione di calcoli renali. N O G … e di vitamina D Il ruolo della vitamina D sull’omeostasi dell’osso è stato recentemente ridefinito12. È noto da tempo che essa è essenziale per l’assorbimento del calcio e la dose giornaliera raccomandata era stata stabilita in 400 UI. I suoi livelli sono valutabili direttamente misurando la concentrazione ematica di 25-idrossi-vitamina D e indirettamente valutando la correlazione inversa con i livelli di PTH. Basandosi sulle evidenze disponibili, gli esperti hanno stabilito che i livelli di 25-idrossi-vitamina D devono risultare intorno a 75 nmol/L (30 ng/mL) per far rientrare il paziente in un range a basso rischio di frattura. Per raggiungere questo obiettivo, la dose giornaliera di vitamina D3 per gli anziani è stata portata a 800-1.000 UI13. Se questo target non viene raggiunto circa il 60% degli anziani presenta livelli di vitamina D inadeguati e ciò sembra anche legato all’incapacità della cute e del rene di produrre la forma attiva della vitamina nei soggetti in questa fascia di età. La supplementazione è pertanto l’unica opzione possibile dato che sembra impossibile correggere il deficit con le normali misure alimentari. È stato inoltre dimostrato che la supplementazione con vitamina D è 23 MENOPAUSA N O G in grado di ridurre, come fattore indipendente, il rischio di caduta nei pazienti anziani14. Infine, l’impiego di questa vitamina è oggetto di un’attenta valutazione per altri possibili effetti benefici, come la riduzione della carcinogenesi e della mortalità totale15. Valutazione del rischio di frattura 24 • Età avanzata: il rischio di fratture osteoporotiche di qualsiasi tipo subisce un incremento con l’aumentare dell’età; per esempio, un T-score di -2,5 in una paziente di 75 anni implica un rischio di frattura notevolmente maggiore se paragonato allo stesso T-score a 50 anni. • Sesso: le donne presentano un rischio superiore a quello dei maschi. • Basso indice di massa corporea: un BMI inferiore a 21 kg/mq si associa a un basso BMD e a un aumentato rischio di frattura e può essere indicativo di carenze alimentari16. • Presenza di una frattura o anamnesi positiva per frattura dopo i 50 anni di età 17: ogni frattura vertebrale raddoppia il rischio di una successiva frattura. Quest’ultimo è pari al 20% nel primo anno successivo a una frattura vertebrale e aumenta in presenza di fratture multiple. Le fratture vertebrali possono essere asintomatiche ed evidenziabili solo attraverso una radiografia laterale della colonna vertebrale18. Per la valutazione dei corpi vertebrali può essere impiegato il metodo semiquantitativo di Ge- • • • • nant che richiede un abbassamento del 20% della loro altezza19. Anamnesi familiare di fratture dell’anca20: il rischio di frattura aumenta in presenza di un’anamnesi positiva per frattura dell’anca sia nella madre che nel padre. Uso di sostanze nocive per la salute dell’osso: come già accennato, il fumo21, il consumo elevato di alcolici4 e una terapia con glucocorticoidi della durata superiore a 3 mesi a una dose di prednisone di 5 mg/die o superiore22, aumentano il rischio di frattura. Presenza di condizioni patologiche associate all’osteoporosi: artrite reumatoide, iperparatiroidismo, deficit di vitamina D, diabete mellito di tipo 1, osteogenesi imperfetta negli adulti, ipertiroidismo non trattato per lungo tempo, ipogonadismo, menopausa prematura, malnutrizione cronica, sindromi da malassorbimento (soprattutto morbo celiaco), malattie epatiche croniche, malattia di Cushing. Densitometria ossea mediante DEXA: è una metodica non invasiva, ripetibile, affidabile e validata che fornisce un ottimo indice del rischio di frattura nella popolazione non trattata, senza fratture23. Esiste una forte correlazione continua tra il BMD e le fratture osteoporotiche, con un aumento del rischio che può variare da 1,5 a 2,6 volte per ogni riduzione della deviazione standard in funzione del sito in cui si effettua la misurazione e in cui si è verificata la frattura24. La diagnosi di osteoporosi, stabilita nel 1994 dalla WHO, richiede una BMD inferiore di 2,5 deviazioni standard rispetto al valore del picco di massa ossea in una popolazione di giovani donne caucasiche (T-score -2,5)25. Anche se questa definizione è utile dal punto di vista epidemiologico, non sembra altrettanto valida sotto il profilo della decisione clinica, in quanto basata su un singolo fattore di rischio. Si è infatti visto che nell’82% delle donne in postmenopausa con frattura il T-score è migliore di -2,526. La valutazione routinaria con la DEXA è consigliata a tutte le donne in post-menopausa considerate a rischio di frattura e a tutte le donne di età superiore a 65 anni. • Etnia: la popolazione di origine afro-caraibica ha, solitamente, una densità minerale ossea superiore a quella della popolazione caucasica. MENOPAUSA Soglia d’intervento farmacologico Le indicazioni assolute al trattamento sono le seguenti: • BMD a livello della colonna con T-score inferiore o uguale a -2,5 a L1-L4; • BMD a livello dell’anca con Tscore inferiore o uguale a -2,5 al collo del femore; • presenza di fratture da fragilità indipendentemente dal BMD. Il trattamento deve comunque essere deciso soprattutto su base clinica (tabella 1) e dovrebbe essere imperniato sulla valutazione del rischio di frattura a 10 anni. La National Osteoporosis Foundation raccomanda di sottoporre a trattamento tutte le donne osteopeniche in postmenopausa con un rischio di frattura dell’anca a 10 anni uguale o superiore al 3%. Tabella 2 Farmaci disponibili per la prevenzione delle fratture N O G Anti-riassorbimento (attività anti-osteoclastica) ■ Terapia estroprogestinica ■ SERM ■ Bisfosfonati Stimolanti la formazione di osso ■ Teriparatide (PTH 1-34) Ad attività mista ■ Ranelato di stronzio Terapia estroprogestinica sti, favorendone l’apoptosi; essi, inoltre, svolgono un effetto positivo sul bilancio del calcio. È ormai assodato da diversi anni L’accelerazione della perdita d’osche la terapia ormonale sostitutiso che si osserva all’inizio della va (TOS) è in grado di prevenire la menopausa è direttamente correperdita ossea associata alla melata alla caduta degli estrogeni che nopausa e di far aumentare il esplicano un’attività anti-riassorBMD nelle pazienti osteoporotibimento attraverso l’inibizione delche. Lo studio Women’s Health l’attività cellulare degli osteoclaIniziative (WHI) ha evidenziato che la TOS e la terapia con soli estrogeni riducono il Tabella 1 Farmaci disponibili per la prevenzione delle fratture rischio di fratture osteoporosi-correlate27,28. Il livello di rischio è molto ■ Elevati livelli serici di calcio potrebbero far sospettare un iperparatiroidismo. basso subito dopo la me■ Elevati livelli di PTH devono far sospettare la presenza di iperparatiroidismo. nopausa, mentre aumenta considerevolmen■ Bassi livelli di 25-idrossi-vitamina-D sono indicativi di un deficit di vitamina D. te in età avanzata. Pertanto, dato che il bene■ Bassi livelli di calcio nelle urine delle 24 ore possono essere indicativi ficio della TOS è presendi uno scarso apporto o di un cattivo assorbimento di calcio. te solo in corso di tratta■ I valori dell’emocromo possono essere indicativi dello stato nutrizionale. mento, sarebbe necessario proseguire la tera■ Elevati livelli di fosfatasi alcalina devono far sospettare un morbo di Paget. pia per un lungo periodo di tempo. Tuttavia, è ■ La funzione renale deve essere valutata prima di decidere un trattamento. anche necessario consi■ Semplici esami bioumorali possono rivelare la presenza di celiachia. derare che il rischio di tumore della mammella ■ I marker biochimici del rimodellamento osseo hanno un ruolo limitato s’incrementa con l’aunella routine clinica. mentare della durata del trattamento e che anche ■ Una radiografia latero-laterale delle vertebre toraciche e lombari è importante il rischio cardiovascolare per escludere fratture vertebrali secondarie a neoplasie. diventa apprezzabile nelle donne più avanti con 25 MENOPAUSA N O G 26 gli anni. Di conseguenza, le autorità sanitarie europee hanno deciso di sconsigliare la TOS come terapia di prima scelta per il trattamento dell’osteoporosi. Lo studio WHI, anche se in gran parte soggetto a critiche, spesso giuste, ha documentato i seguenti aspetti. • Aumento del rischio tromboembolico: 18 casi in più ogni 10.000 donne trattate per anno; il livello di rischio aumenta con l’aumentare dell’età ed è massimo nel primo anno di trattamento. I fattori di rischio comprendono un precedente episodio di trombosi venosa profonda (TVP) o una storia familiare positiva per TVP. Teoricamente, l’aumento del rischio di TVP potrebbe essere notevolmente ridotto utilizzando, per la TOS, le formulazioni per via trasdermica. • Aumento del rischio di ictus cerebrale: circa 8-12 eventi per 10.000 donne per anno; il rischio permane anche dopo il primo anno d’impiego della TOS. • Aumento del rischio di tumore della mammella: dopo 5 anni di assunzione della TOS; que- sto effetto aumenta con la durata del trattamento e diminuisce rapidamente dopo la sospensione della terapia. Pertanto, il ricorso a questa strategia farmacologica nell’osteoporosi deve essere rivalutato alla luce delle nuove analisi di sottogruppi che indicano una finestra di opportunità per l’uso della TOS. In particolare, iniziare il trattamento prima dei 60 anni implica rischi molto bassi e può anche offrire una protezione cardiovascolare29. L’opinione di molti esperti, attualmente, suggerisce che la TOS ai più bassi dosaggi efficaci può essere impiegata nei soggetti più giovani a rischio di frattura30 che magari presentano anche disturbi vasomotori e che potrebbero sostituire la TOS con altri preparati dopo i 60 anni. SERMs (Selective Estrogens Receptors Modulators) L’unico SERM attualmente disponibile per la protezione nei confronti delle fratture è il raloxifene alla dose orale giornaliera di 60 mg, ma sono in avanzata fase di sviluppo altri principi attivi (lasofoxifene; bazedoxifene e arzoxifene). Questo gruppo complesso di molecole sintetiche mima gli effetti benefici degli estrogeni sull’osso e sull’assetto lipidico senza però stimolare i recettori estrogenici a livello della mammella e dell’endometrio. Un importante studio randomizzato31 e una recente metanalisi32 hanno dimostrato che il raloxifene è in grado di ridurre del 34-51% il rischio di fratture vertebrali nonostante un modesto aumento del BMD. Non è stato, purtroppo, evidenziato alcun effetto positivo sul numero di fratture non vertebrali (comprese quelle dell’anca). Il raloxifene, inoltre, riduce del 76% il rischio di cancro invasivo della mammella con recettori estrogenici positivi33. Un recente studio controllato e randomizzato ha evidenziato che il raloxifene ha la stessa efficacia del tamoxifene nella prevenzione del cancro della mammella nelle pazienti non osteoporotiche34. Contrariamente agli estrogeni, il raloxifene non è efficace sui sintomi vasomotori, anzi può favorirne la comparsa. Il RUTH trial ha dimostrato che il raloxifene non ha effetto protettivo nei confronti della patologia coronarica in pazienti ad alto rischio35. In questo studio le pazienti trattate con raloxifene avevano un maggior rischio di sviluppare eventi tromboembolici (HR 1,44) e di mortalità per ictus (HR 1,49). Bisfosfonati Sono un gruppo di molecole che mostrano una struttura bisfosfonata comune (P-C-P) con catene MENOPAUSA laterali diverse. La prerogativa di questi principi attivi è quella di inibire l’attività degli osteoclasti bloccando la via dell’acido mevalonico. Per la terapia dell’osteoporosi menopausale solitamente si usano le seguenti preparazioni: • etidronato, 400 mg/die per via orale seguito da calcio carbonato per 76 giorni (cicli di 90 giorni ripetuti); riduzione del rischio di fratture vertebrali del 41-47%36; • alendronato, 70 mg/settimanali o 10 mg/die per via orale riducono l’incidenza di fratture vertebrali, dell’anca e del polso di circa il 50%37; • risedronato, 35 mg/settimanali o 5 mg/die per via orale riducono l’incidenza di fratture vertebrali del 41-49% e di fratture non vertebrali del 36%38; • ibandronato, 2,5 mg/die o 150 mg una volta al mese per via orale oppure 3 mg ogni 3 mesi per via venosa riducono il rischio di fratture vertebrali di circa il 50%39; • zoledronato, 5 mg per via venosa una volta all’anno riducono il rischio di fratture vertebrali del 70%, delle fratture dell’anca del 41% e delle fratture periferiche del 25%40. I bisfosfonati assunti per via orale vengono assorbiti solo in piccola parte (meno del 1%) e dovrebbero essere assunti a digiuno con un bicchiere di acqua. Il paziente dovrebbe rimanere in piedi o seduto e a digiuno per 30 minuti dopo l’assunzione, al fine di evitare gli effetti collaterali o un ridotto assorbimento del farmaco. L’assunzione settimanale o mensile riduce la possibilità che si verifichino effetti collaterali a carico dell’apparato gastrointestina- le e può migliorare l’aderenza al trattamento. La somministrazione endovena elimina gli effetti collaterali gastrointestinali e aumenta l’aderenza al trattamento, ma può determinare la comparsa di una sindrome simil-influenzale, della durata di pochi giorni, subito dopo l’infusione. Il livello di soppressione del turnover osseo varia a seconda delle molecole impiegate, tuttavia tale effetto dura per diverso tempo anche dopo la sospensione della terapia. I bisfosfonati si legano saldamente alla idrossiapatite sulla superficie dell’osso e vengono qui trattenut per un periodo di tempo molto lungo. Per questo motivo, potrebbe verificarsi un’eccessiva soppressione del turnover osseo con un possibile aumento del rischio di frattura41,42. Recentemente si è parlato di un’osteonecrosi della mascella come di una possibile complicanza correlata all’eccessiva soppressione del turnover osseo da parte dei bisfosfonati43. Negli ultimi due anni sono stati riportati casi di gravi episodi di fibrillazione atriale in soggetti trattati con bisfosfonati44,45. Ma un’analisi della FDA su 19.687 soggetti in trattamento con questi farmaci e su 18.358 soggetti trattati con placebo non ha evi- denziato una chiara associazione tra l’uso di bisfosfonati e l’aritmia cardiaca. Un trial molto importante rivisto dall’FDA ha messo in evidenza un significativo incremento di fibrillazioni atriali gravi e l’impiego di zoledronato: tale correlazione viene evidenziata sulla scheda tecnica che accompagna il farmaco. Nonostante questi dati conflittuali, nel novembre 2008 la FDA ha stabilito che i medici non devono cambiare le loro abitudini sulla prescrizione dei bisfosfonati e che i pazienti non devono sospendere il trattamento. Questi farmaci non dovrebbero essere prescritti nei soggetti con esofago di Barrett per l’aumentato rischio di carcinoma esofageo. Data la notevole lunghezza dell’emivita, i bisfosfonati dovrebbero essere usati con estrema attenzione nelle pazienti con insufficienza ovarica prematura. N O G Teriparatide (PTH 1-34) Si tratta dell’ormone paratiroideo ricombinante, dotato di una potente attività anabolica sull’osso. Si somministra quotidianamente per via sottocutanea alla dose di 27 MENOPAUSA N O G 20 µg. Favorisce la formazione di nuovo osso sia a livello corticale che a livello trabecolare stimolando l’attività osteoblastica. È in grado di ridurre del 65% le fratture vertebrali e del 53% quelle non vertebrali46. Gli effetti collaterali sono generalmente di scarsa entità (ipercalcemia, iperuricemia, crampi, nausea, cefalea). Le preoccupazioni legate alla comparsa di osteosarcoma negli animali di laboratorio, non sono state confermate nell’uomo. Il suo impiego è comunque controindicato nella malattia di Paget, nei pazienti irradiati a livello scheletrico e in quelli con elevati livelli di fosfatasi alcalina non spiegati. L’effetto anabolico risulta essere ridotto nei pazienti precedentemente trattati con bisfosfonati. L’uso di questo farmaco è limitato dai costi estremamente elevati. Ranelato di stronzio Questo farmaco possiede una doppia azione che è una sua caratteristica peculiare. In base ai dati derivanti da studi sui marcatori dell’osso, lo stronzio ranelato sembra agire sia sull’inibizione dell’attività osteoclastica, sia favorendo l’attività osteoblastica. Questa attività viene mediata attraverso il sistema RANK e sui recettori del calcio47. Due importanti trial randomizzati e controllati (SOTI e TROPOS)48,49 hanno fornito risultati molto importanti. Il trattamento con ranelato di stronzio provoca un significativo aumento del BMD e una riduzione delle fratture vertebrali del 41%. Biopsie ossee dopo 5 anni di terapia hanno confermato gli effetti positivi del trattamento sulla microarchitettura tridimensionale dell’osso50. Monitoraggio della terapia Il monitoraggio della terapia mediante la valutazione seriata del BMD presenta diverse insidie come quelle legate alla precisione degli operatori e degli strumenti di misura. Per avere significato dovrebbero verificarsi cambiamenti di almeno il 3,8% a livello dell’anca e del 2,4% a livello della colonna vertebrale. Le misurazioni dovrebbero essere effettuate a distanza di almeno due anni. Il BMD, inoltre, non tiene conto dell’effetto della terapia sullo spessore della corticale, sulla porosità e sulla connettività trabecolare dell’osso. Attualmente, la valutazione delle fratture vertebrali mediante la DEXA rimane il miglior modo per monitorare gli effetti della terapia. Bibliografia 28 1. Lindsay R, Silverman SL, Cooper C et al. Risk of new vertebral fracture in the year following fracture. JAMA 2001; 285: 320-23. 2. Jenkins MR, Denison AV. Smoking status as a predictor of hip fracture risk in postmenopausal women of northwest Texas. Prev Chronic Dis 2008; 5,1: A09. 3. Lorentzon M, Mellstrom D, Haug E et al. Smoking is associated with lower bone mineral density and reduced cortical thickness in young men J Clin Endocr Metab 2007; 92: 497-503. 4. 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In presenza di insulino-resistenza occorre pertanto attivare un monitoraggio particolarmente attento, mentre sul fronte della terapia del DMG sembrano profilarsi buone prospettive per gli ipoglicemizzanti orali. di Giorgio Mello, Serena Ottanelli Dipartimento di Ginecologia, Perinatologia e Riproduzione Umana, Università di Firenze L’ 30 insulina svolge una funzione fondamentale nella fisiologia umana attraverso la regolazione del metabolismo dei carboidrati, dei lipidi e delle proteine a livello epatico, muscolare e del tessuto adiposo. Il suo ruolo non si limita alla stimolazione del trasporto del glucosio e all’inibizione della lipolisi poiché essa ha un’importante influenza sulla funzione endoteliale e sulla regolazione dell’espressione genica. L’insulino-resistenza (IR), definita come una ridotta risposta biologica all’insulina, in particolare a livello dell’omeostasi glicemica, rappresenta una caratteristica fondamentale della gravidanza: durante la gestazione si assiste, infatti, a un progressivo aumento della resistenza periferica all’azione dell’insulina che raggiunge il suo massimo nel terzo trimestre e scompare rapidamente dopo il parto; tutto questo è il risultato, soprattutto, dell’attività controinsulare di alcuni ormoni e citochine di origine placentare, ma anche dell’aumento del tessuto adiposo materno. Tale modificazione metabolica permette di ottimizzare il passaggio transplacentare dei nutrienti durante l’assunzione di cibo e, allo stesso tempo, accentua le capacità materne di utilizzare le proprie riserve di grassi come fonte di energia durante il digiuno1. Le alterazioni di questa fisiologica IR sono coinvolte in importanti complicanze ostetriche. È ormai ben chiaro come un’eccessiva IR, insieme a una risposta β-cellulare inadeguata, rappresentino il meccanismo fisiopatologico alla base dello sviluppo del diabete mellito gestazionale (DMG); negli ultimi anni, inoltre, l’iperinsulinemia materna è stata proposta come possibile fattore patogenetico nello sviluppo dell’ipertensione gestazionale e della preeclampsia. Valutazione della IR in gravidanza: quale metodica? La sensibilità insulinica (IS) rappresenta la capacità dell’ormone di ridurre i livelli di glucosio ematico, sia stimolandone la captazione da parte dei tessuti periferici, sia sopprimendone la produzione a livello epatico. La disponibilità di metodi sensibili e riproducibili per studiare le variazioni dell’IS è fondamentale per capire le modificazioni fisiologiche e patologiche che si verificano durante il corso della gravidanza. Il metodo considerato il gold standard per quantificare la IS in vivo è il clamp euglicemico iperinsulinemico. Il principio del test è quello di mantenere la glicemia costante infondendo glucosio a velocità controllata durante la contemporanea infusione di insulina CLINICA QUOTIDIANA a una dose fissa a livelli soprabasali2. Per la sua complessità di esecuzione e il suo alto costo, questa metodica non è facilmente applicabile per studi su larga scala. Sono stati così elaborati test surrogati che consentono di valutare in modo semplice la sensibilità e la secrezione insulinica in un largo numero di soggetti o in particolari condizioni quali la gravidanza. Un valido metodo alternativo è la tecnica del minimal model, che utilizza un modello matematico per analizzare i valori di glucosio e insulina ottenuti durante un IVGTT (Intravenous Glucose Tolerance Test)3. Anche se tecnicamente meno complesso del clamp, anche il minimal model non risulta ideale per studi su larga scala, in quanto comporta una lunga procedura e richiede prelievi ematici ravvicinati. Si è cercato quindi di sviluppare e validare metodi sempre più semplici e meno invasivi. Da questa necessità è nato, circa venti anni fa, l’Homeostasis Model Assessment, un modello matematico che rappresenta la relazione non lineare tra le concentrazioni di insulina e di glucosio a digiuno. L’equazione utilizzata da Matthews per stimare la resistenza insulinica è la seguente: ISHOMA = (FPI x FPG)/22,5 dove FPI e FPG rappresentano, rispettivamente, l’insulinemia e la glicemia a digiuno. Correlazioni significative tra ISHOMA e i risultati del clamp sono state ottenute sia in pazienti con diabete di tipo 2 che nell’intero range della sensibilità insulinica, suggerendo che l’IS HOMA rappresenta una valida alternativa a tecniche più sofisticate nella valutazione dell’IS in vivo4. Kats et al hanno introdotto più recentemente l’ISQUICKI (Quantitative Insulin-sensitivity ChecK Index), un altro indice di IS ottenuto dai livelli di glucosio e di insulina a digiuno, definito come: ISQUICKI=1/[log (I0) + log (G0)] dove I0 e G0 sono rispettivamente le concentrazioni di insulina e di glucosio a digiuno. Tali autori hanno dimostrato che l’ISQUICKI ha una significativa correlazione con i risultati ottenuti dal clamp euglicemico, anche in soggetti obesi e diabetici5. L’impiego di questi indici basati sulla glicemia e l’insulinemia a digiuno è stato accuratamente validato durante la gravidanza6. Anche se essi non hanno lo scopo di sostituire il clamp euglicemico nello scenario della ricerca, possono fornire ai clinici e agli epidemiologi un utile strumento per valutare tale parametro metabolico e le sue modificazioni durante la gravidanza in larghi campioni di studio. IR materna e DGM Il termine Diabete Mellito Gestazionale (DMG) definisce un’alterazione del metabolismo glucidico di entità variabile la cui insorgenza o il primo riconoscimento avviene durante la gravidanza. È il più comune disordine metabolico che complica la gravidanza (7%) e la sua diagnosi clinica è fondamentale per identificare gravidanze ad aumentato rischio di morbilità e mortalità perinatale e anche donne ad aumentato rischio di sviluppare un diabete mellito di tipo 2 negli anni successivi al parto. Nella gravidanza fisiologica, l’omeostasi glucidica è mantenuta, nonostante lo sviluppo di un certo grado di IR, attraverso un concomitante e compensatorio aumento della secrezione insulinica. Nella maggioranza dei casi di DMG non viene riscontrata alcuna alterazione cellulare identificabile e la maggior parte delle donne con DMG sembra avere una disfunzione delle β-cellule pancreatiche dovuta a IR cronica, similmente a quanto accade nel meccanismo patogenetico alla base del diabete di tipo 2. La diminuzione dell’IS che si verifica nella gravidanza fisiologica avviene nello stesso modo nelle gestanti sane e nelle donne che svilupperanno il DMG, ma in queste ultime si sviluppa su un fondo di IR cronica cosicché le gestanti diabetiche tendono ad avere un grado maggiore di IR rispetto alle gestanti sane7. Questo concetto è stato confermato da recenti studi che hanno dimostrato come alcuni indici di IR siano significativamente aumentati in epoca precoce di gestazione nelle donne che svilupperanno il DMG8,9. È stato per molto tempo ritenuto che il DMG si sviluppi in quelle donne che non sono in grado di incrementare la loro secrezione insulinica quando si trovano di fronte al fisiologico aumento del bisogno insulinico durante le fasi tardive della gravidanza. In realtà, il semplice smascheramento di un difetto β-cellulare da parte della fisiologica IR della gravidanza non può spiegare la presenza dell’IR cronica dimostrata N O G 31 CLINICA QUOTIDIANA N O G nelle donne che sviluppano il DMG, a meno che il difetto delle β-cellule e questa IR non siano in qualche modo legati. Questo suggerisce che il difetto β-cellulare sia il risultato di anni di esposizione a un’IR cronica e che il sommarsi della fisiologica IR nelle fasi tardive della gravidanza peggiora inevitabilmente la funzione delle β-cellule portando al manifestarsi del DMG. IR e preeclampsia 32 La preeclampsia fa parte di un ampio spettro di disordini ipertensivi che possono complicare la gravidanza con una frequenza variabile dal 6 all’8% e rimane ancora oggi una delle principali cause di morbilità e mortalità materna e neonatale nel mondo occidentale. La limitata comprensione dei meccanismi fisiopatologici che ne sono alla base costituisce il principale ostacolo allo sviluppo di metodi in grado di identificare le gestanti a rischio e prevenire l’insorgenza della complicanza. Anche se probabilmente le cause della preeclampsia sono multifattoriali, l’IR potrebbe svolgere un ruolo importante nella comparsa della sindrome clinica. Numerosi aspetti descritti nella fisiopatologia della preeclampsia sono comuni alle caratteristiche della sindrome metabolica: l’ipertensione, la dislipidemia, la generalizzata risposta infiammatoria e gli alti livelli circolanti di TNF e di PAI110. Diverse evidenze sperimentali derivanti da studi retrospettivi suggeriscono che la preeclampsia è associata a gradi maggiori di IR rispetto alla gravidanza fisiologica: numerosi studi svolti durante il terzo trimestre dimostrano che le donne che sviluppano ipertensione risultano iperinsulinemiche e affette da vari gradi di intolleranza glucidica11. Grazie a importanti studi prospettici, è stato oggi dimostrato che l’IR non solo è una caratteristica della preeclampsia, ma ne precede l’insorgenza, suggerendo un suo possibile ruolo patogenetico. Uno studio condotto da Sowers et al in donne afro-americane ha dimostrato che a 20 settimane di gestazione i livelli di insulinemia a digiuno erano aumentati in maniera significativa nelle pazienti che avrebbero sviluppato la preeclampsia12. In uno studio prospettico che ha arruolato oltre 3.600 gestanti, Parretti et al hanno documentato in un gruppo di 819 pazienti normotese e con normale tolleranza al glucosio l’esistenza di un’associazione significativa tra gli indici di IS a digiuno (ISHOMA >75° centile e ISQUICKI < 25° centile) sia in epoca precoce che tardiva e l’incidenza di preeclampsia. Tali indici sembrano in grado di predire con una buona sensibilità e specificità in entrambe le epoche di gravidanza il seguente sviluppo di preeclampsia13. Questa relazione temporale supporta quindi l’ipotesi che l’IR sia in qualche modo coinvolta nella sequenza di cause che portano alla preeclampsia. Probabilmente l’IR e la predisposizione alla sin- drome metabolica rientrano in quei fattori materni che interagiscono con l’ipoperfusione placentare e alimentano lo stress ossidativo e la disfunzione endoteliale portando così al manifestarsi della patologia. Nuove strategie terapeutiche nel DMG Il principale scopo del trattamento del DMG è quello di ridurre i livelli glicemici materni in modo da prevenire l’iperinsulinemia e l’eccessiva crescita fetale e migliorare la funzione endoteliale materna. Il principale approccio per il controllo glicemico in queste pazienti è il trattamento nutrizionale, con l’aggiunta di insulina quando il primo, da solo, non è sufficiente. La terapia insulinica è da sempre considerata il gold standard per la sua efficacia nel raggiungere uno stretto controllo metabolico e per il fatto che non oltrepassa la barriera placentare. Da quanto precedentemente esposto, essendo il DMG caratterizzato, come il diabete di tipo 2, da un’eccessiva IR materna associata a un deficit relativo di insulina, il trattamento con ipoglicemizzanti orali è da tempo stato ritenuto di potenziale interesse. Gli svantaggi della terapia insulinica includono la necessità di iniezioni sottocutanee multiple e quindi di fornire alla paziente un’edu- CLINICA QUOTIDIANA cazione corretta circa i modi e i tempi di somministrazione; quest’opzione comporta inoltre un rischio di ipoglicemia e un aumento dell’appetito, con conseguente incremento del peso materno. L’impiego degli ipoglicemizzanti orali potrebbe rappresentare una attraente alternativa alla terapia insulinica per la facilità di somministrazione e quindi per la soddisfazione della paziente, costituendo un approccio più “fisiologico” al trattamento del DMG rispetto all’insulina. La restrizione al loro uso in gravidanza sarebbe principalmente correlata al rischio malformativo e al danno fetale da ipoglicemia per stimolazione diretta del pancreas fetale. Prospettive trapeutiche con gliburide… I dati più importanti sugli antidiabetici orali riguardano la gliburide, principio attivo appartenente alla classe delle sulfaniluree. Questi farmaci agiscono sopprimendo la produzione epatica di glucosio e aumentando la secrezione insulinica dopo i pasti; è stato quindi ipotizzato che essi potrebbero stimolare la produzione d’insulina da parte del pancreas fetale e quindi peggiorare la fetopatia diabetica in caso di passaggio transplacentare. Studi in vitro su placente di madri sia diabetiche che non diabetiche hanno dimostrato che la gliburide non oltrepassa in quantità significative la barriera placentare14. In un importante studio randomizzato, Langer et al hanno confrontato l’impiego della gliburide e dell’insulina in circa 400 donne con DMG che non riuscivano a ottenere un adeguato controllo glicemico con la terapia nu- trizionale dimostrando che il grado di controllo glicemico era essenzialmente lo stesso con i due trattamenti e che solo il 4% del gruppo in terapia con gliburide aveva richiesto terapia insulinica. Inoltre, non erano evidenziabili differenze significative tra i due gruppi nell’incidenza di preeclampsia, macrosomia, ipoglicemia neonatale, anomalie congenite, mortalità perinatale, TC e nelle concentrazioni di insulina nel cordone ombelicale dei neonati. Gli autori concludono che la gliburide sembrerebbe rappresentare una sicura ed efficace alternativa alla terapia insulinica per il trattamento del diabete gestazionale15. La gliburide stimola la secrezione da parte delle β-cellule, ma non risolve o affronta il problema dell’IR sia periferica che epatica. … e con metformina La metformina, come sensibilizzante dell’azione insulinica, potrebbe sembrare un’opzione più logica per le donne con DMG; essa agisce infatti diminuendo l’output epatico di glucosio, aumentandone l’uptake e l’utilizzo periferico e riducendo i livelli di FFA (Free Fatty Acids). Inoltre, a differenza della gliburide, non stimola la secrezione insulinica provocando meno frequentemente ipoglicemia. La metformina attraversa la placenta raggiungendo nella circolazione fetale livelli di circa la metà rispetto a quelli materni; non stimolando la secrezione β-cellulare non dovrebbe essere in grado di agire sulla secrezione insulinica del pancreas fetale e causare danni fetali da ipoglicemia e iperinsulinemia. I primi dati sull’uso della met- formina in gravidanza risalgono a circa 20 anni or sono; è infatti riportato l’impiego del farmaco nelle donne con DMG e con DM di tipo 2 nelle popolazioni sudafricane; studi di coorte hanno dimostrato esiti perinatali simili nelle donne trattate con metformina rispetto a quelle in terapia insulinica16. Tale esperienza è stata poi confermata da lavori più recenti17; solo uno studio retrospettivo danese ha segnalato un maggior rischio di preeclampsia e di morte fetale in un gruppo di 50 donne con DMG o DM di tipo 2 trattate con metformina rispetto a 23 donne in terapia insulinica18. Tuttavia il trial era retrospettivo e poco controllato e probabilmente le morti fetali non erano correlate al trattamento. Ulteriori dati sull’uso della metformina in gravidanza provengono dal suo utilizzo nelle donne con sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), tipicamente caratterizzate da IR. Il trattamento con metformina in queste pazienti ha mostrato migliorare l’ovulazione e la fertilità e il suo proseguimento durante la gravidanza sembra ridurre il rischio di aborto spontaneo dal 73 al 10% e di insorgenza di DMG di circa 10 volte, senza aumentare la frequenza di preeclampsia o di morte perinatale19. N O G CLINICA QUOTIDIANA N O G Oggi, i risultati del MIG TRIAL, un recente studio randomizzato controllato che ha comparato la metformina con il trattamento insulinico in 751 pazienti con DMG, sembrano confermare l’efficacia e la sicurezza di questo antidiabetico orale nel trattamento del DMG. In questo studio non è stata riscontrata differenza negli outcome perinatali tra i due gruppi di gestanti; non c’erano inoltre differenze nelle misure antropometriche dei neonati e nei livelli di insulina nel sangue cordonale. Delle donne in terapia con metformina circa il 46% ha avuto bisogno di un supplemento con in- sulina per raggiungere il controllo glicemico; tali pazienti erano quelle con un maggiore BMI e con livelli di glicemia a digiuno più alti e hanno richiesto, comunque, minori quantità di insulina e hanno avuto un minore incremento di peso rispetto alle pazienti trattate con la sola terapia insulinica. Gli autori concludono, quindi, che la metformina, da sola o con un supplemento di insulina, rappresenta un trattamento efficace e sicuro per le pazienti con DMG che rientrano nei criteri per l’inizio della terapia insulinica20. Anche se dalla letteratura sembra che questi farmaci siano sicuri, è mandatorio considerare la possibilità di un’eventuale alterazione della fisiologia fetale, che non può essere esclusa fino a quando non saranno disponibili dati rassicuranti sull’outcome neonatale in termini di composizione corporea e IS a distanza di anni dalla nascita. Al momento, la commissione della quinta Workshop Conference internazionale sul DMG ha concluso che non esiste ancora evidenza per raccomandare il trattamento con metformina nel DMG, eccetto che in studi clinici, che dovranno considerare come importante endpoint il follow-up a lungo termine di questi neonati. Bibliografia 34 1. Catalano PM, Tyzbir ED, Roman MN. Longitudinal changes in insulin release and insulin resistance in non obese pregnant women. Am J Ob Gynecol 1991; 165: 1667-72. 2. De Fronzo RA, Tobin JD, Andres R. Glucose clamp tecnique: a method fo quantifying insulin secretion and resistance. Am J Phisiol 1979; 337: E214-E223. 3. 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GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite contiene 38 mg di lattosio monoidrato e 20 mg di saccarosio. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA. Compressa rivestita: compresse rivestite di zucchero, di colore bianco, arrotondate, biconvesse senza impressioni su entrambi i lati. 4. INFORMAZIONI CLINICHE. 4.1. Indicazioni terapeutiche. Contraccezione orale. 4.2. Posologia e modo di somministrazione. Come assumere GESTODIOL. Le compresse devono essere assunte nell’ordine indicato sulla confezione ogni giorno approssimativamente alla stessa ora. Una compressa al giorno per 21 giorni. Ogni confezione successiva deve essere iniziata dopo un intervallo di 7 giorni in cui non verrà assunta alcuna compressa: durante questo lasso di tempo si verificherà un’emorragia da sospensione. Quest’emorragia inizia solitamente il secondo o terzo giorno dopo aver assunto l’ultima compressa e potrebbe continuare anche dopo l’inizio della confezione successiva. Come cominciare ad assumere GESTODIOL. Nel caso in cui non ci sia stato alcun trattamento contraccettivo ormonale nel mese precedente. È necessario assumere la prima compressa il primo giorno del ciclo naturale della donna (vale a dire il primo giorno del suo ciclo mestruale). È possibile cominciare ad assumere le pillole dal secondo al quinto giorno ma in questi casi si raccomanda di usare anche un metodo contraccettivo di barriera per i primi sette giorni d’assunzione delle compresse durante il primo ciclo. In caso di passaggio da un’altra pillola contraccettiva orale di tipo combinato. La donna deve cominciare ad assumere GESTODIOL il giorno dopo l’ultima compressa attiva del suo precedente contraccettivo - ma non più tardi del giorno successivo al completamento dell’usuale periodo in cui non assume alcuna pillola oppure assume placebo come previsto dal farmaco contraccettivo precedente. Quando si passa da un contraccettivo solo progestinico (pillola solo al progesterone (mini-pillola, iniezione, impianto) oppure da un sistema intrauterino a rilascio di ormone progestinico (IUS). La donna può effettuare il passaggio dalla pillola solo al progesterone (POP) in qualsiasi momento del ciclo. La prima compressa deve essere assunta il giorno dopo aver assunto una qualsiasi delle compresse nella confezione di POP. Nel caso di un impianto o di una IUS l’assunzione di GESTODIOL deve cominciare lo stesso giorno nel quale l’impianto viene rimosso. Nel caso di un iniettabile, GESTODIOL deve essere iniziato nel giorno in cui dovrebbe essere praticata la successiva iniezione. In tutti questi casi si raccomanda alla donna di usare anche un metodo contraccettivo di barriera per i primi sette giorni di assunzione delle pillole. Dopo un aborto al primo trimestre. La donna può iniziare immediatamente a prendere le pillole. Se si attiene a queste istruzioni non sono necessarie ulteriori misure contraccettive. Dopo un parto o un aborto al secondo trimestre. Per l’uso in donne che allattano si veda il paragrafo 4.6. Si raccomanda alla donna di iniziare a prendere le compresse al 21°-28° giorno dopo il parto, se non allatta al seno, o dopo un aborto al secondo trimestre. Se inizia più tardi, la donna deve essere avvertita di usare anche un metodo contraccettivo di barriera per i primi sette giorni di assunzione delle pillole. Se nel frattempo si fossero avuti rapporti sessuali, prima di iniziare effettivamente l’assunzione delle pillole si deve escludere una gravidanza oppure la donna deve attendere la comparsa della sua prima mestruazione. Mancata assunzione di compresse. La mancata assunzione di una compressa entro 12 ore dall’ora consueta non pregiudica la protezione contraccettiva. La donna deve prendere la compressa appena se ne ricorda e continuare ad assumere il resto delle compresse come al solito. La man- cata assunzione di una compressa per più di 12 ore dall’ora consueta può diminuire la protezione contraccettiva. Le due regole seguenti possono essere utili nella gestione della mancata assunzione di compresse. 1. L’assunzione delle compresse non deve mai essere sospesa per periodi superiori ai 7 giorni. 2. Servono 7 giorni di ingestione ininterrotta di compresse per ottenere una sufficiente soppressione dell’asse ipotalamo-pituitario-gonadale. Pertanto il consiglio che segue può essere dato nella pratica giornaliera: Settimana 1. La donna deve prendere l’ultima compressa dimenticata non appena se ne ricorda, anche se questo significa che deve assumere 2 compresse contemporaneamente. Dopodiché deve continuare ad assumere le compresse alla solita ora. Contemporaneamente deve usare un metodo di barriera, ad es. un preservativo, per i successivi 7 giorni. Se nei 7 giorni precedenti si sono avuti rapporti sessuali la donna deve tenere in considerazione la possibilità di poter essere incinta. Tante più compresse sono state dimenticate e tanto più ciò è avvenuto in prossimità del periodo del mese in cui le compresse non vengono assunte, tanto maggiore è il rischio che si instauri una gravidanza. Settimana 2. La donna deve prendere l’ultima compressa dimenticata non appena se ne ricorda, anche se questo significa che deve assumere 2 compresse contemporaneamente. Dopodiché deve continuare ad assumere le compresse alla solita ora. Se le compresse sono state assunte correttamente per 7 giorni prima della dimenticanza non è necessario prendere ulteriori precauzioni contraccettive. In caso contrario o se sono state dimenticate più compresse la donna deve comunque usare un metodo di barriera, ad es. un preservativo, per i successivi 7 giorni. Settimana 3. Dato l’avvicinarsi del periodo di sospensione il rischio di una ridotta protezione anticoncezionale è maggiore. È comunque possibile prevenire la riduzione della protezione anticoncezionale regolando l’assunzione delle compresse. Attenendosi a una qualunque delle due opzioni seguenti non è pertanto necessario prendere alcuna precauzione contraccettiva supplementare, fatto salvo che le compresse siano state assunte correttamente per 7 giorni prima della dimenticanza. In caso contrario è opportuno consigliare alla donna di seguire la prima delle due opzioni e di usare allo stesso tempo un metodo di barriera, ad es. un preservativo, per i 7 giorni successivi. 1. La donna deve prendere l’ultima compressa dimenticata al più presto, anche se questo significa che deve assumere 2 compresse contemporaneamente. Dopodiché deve continuare ad assumere le compresse alla solita ora. Incomincerà la nuova confezione immediatamente dopo aver assunto l’ultima compressa della confezione in uso; in questo caso non vi sarà il periodo di sospensione tra le confezioni. È improbabile che si verifichino le mestruazioni fino al termine della seconda confezione di compresse, tuttavia si potrebbe notare emorragia intermestruale o metrorragia durante l’assunzione delle compresse. 2. È possibile che alla donna venga suggerito di sospendere l’assunzione delle compresse dalla confezione in uso. In qual caso si avrà un periodo di sospensione della durata massima di 7 giorni, inclusi i giorni in cui la compressa è stata dimenticata, dopodiché la donna inizierà una nuova confezione. Se, dopo che la donna ha dimenticato di assumere delle compresse, non si presentano le mestruazioni nel primo usuale intervallo libero da pillola, si deve considerare la possibilità che la donna sia incinta. Cosa fare in caso di vomito/diarrea. Se si manifesta vomito entro 3-4 ore dall’assunzione di una compressa, quest’ultima potrebbe non venire completamente assorbita. In questo caso ci si attenga alle istruzioni sopra indicate inerenti le compresse dimenticate. A meno che la diarrea non sia estremamente grave, essa non influisce sull’assorbimento dei contraccettivi orali combinati, per cui non è necessario ricorrere a metodi contraccettivi supplementari. Se la diarrea grave perdura per 2 o più giorni ci si attenga alle procedure previste per le pillole dimenticate. Se la donna non desidera variare la consueta assunzione di compresse, deve prendere una compressa (o compresse) extra da un’altra confezione. Come spostare o ritardare il mestruo. Per ritardare il mestruo, la donna dovrà continuare l’assunzione di GESTODIOL passando da una confezione blister ad un’altra, senza periodo di sospensione. Il mestruo può essere ritardato per quanto si desidera ma non oltre la fine della seconda confezione. Quando si ritarda il mestruo è possibile che si verifichino episodi di sanguinamento da sospensione o emorragia intermestruale. L’assunzione di GESTODIOL dovrà essere ripresa regolarmente al termine del consueto intervallo in cui non viene assunta alcuna compressa. Per spostare il mestruo ad un giorno nella settimana diverso rispetto a quello previsto con le attuali compresse, si può consigliare alla donna di abbreviare il successivo intervallo libero da pillola di quanti giorni lei desidera. Più breve è questo intervallo e maggiore sarà il rischio di non avere sanguinamento mestruale ma metrorragia e emorragia intermestruale durante l’assunzione delle compresse della confezione successiva (questo si verifica anche quando si ritarda il mestruo). 4.3. Controindicazioni. I contraccettivi orali combinati (COC) non devono essere usati se una delle condizioni sotto indicate è presente. Se una tale condizione si dovesse manifestare per la prima volta durante l’impiego dei COC il loro uso deve essere immediatamente sospeso. • Patologia tromboembolica venosa in fase attiva o in anamnesi (trombosi venosa profonda, embolia polmonare). • Tromboembolia arteriosa in fase attiva o in anamnesi (infarto del miocardio, patologie cerebrovascolari) oppure sintomi prodromici (angina pectoris e attacco ischemico transitorio) (vedi paragrafo 4.4). • Predisposizione ereditaria o acquisita alla trombosi venosa o arteriosa come carenza di antitrombina, carenza di proteina C, carenza di proteina S, resistenza alla proteina C attivata (APC), anticorpi antifosfolipidi (anticorpi anticardiolipina, lupus anticoagulante), iperomocisteinemia. • Fattori di rischio multipli o considerevoli per la trombosi arteriosa (vedi paragrafo 4.4). • Grave ipertensione. • Diabete complicato da micro- o macroangiopatia. • Grave dislipoproteinemia. • Noti o sospetti tumori maligni ormono-dipendenti (ad es. a carico degli organi genitali o della mammella). • Grave patologia epatica concomitante o in anamnesi fintanto che i valori di funzionalità epatica non sono rientrati nella normalità. • Tumori epatici benigni o maligni concomitanti o in anamnesi. • Sanguinamento vaginale di natura non accertata. • Emicrania con sintomatologia neurologica focale. • Ipersensibilità ai principi attivi o ad uno qualsiasi degli eccipienti. 4.4. Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego. Valutazione ed esame prima di iniziare l’assunzione dei contraccettivi orali combinati. Prima dell’inizio o della ripresa del trattamento con contraccettivi orali combinati è necessario che il medico analizzi l’anamnesi personale e familiare della paziente e che venga esclusa una gravidanza. Sulla base delle controindicazioni (vedi paragrafo 4.3) e delle avvertenze (vedi “Avvertenze” in questa sezione) è necessario misurare la pressione sanguigna e sottoporre la paziente ad un esame fisico, se clinicamente indicato. Alla donna viene richiesto di leggere attentamente il foglio illustrativo e di attenersi alle istruzioni fornite. La frequenza e la natura di ulteriori controlli periodici devono basarsi su linee guida di pratica stabilita ed essere adattate alla singola donna. Avvertenze. In generale. Informare le donne che i contraccettivi ormonali non proteggono dall’HIV (AIDS) o da altre infezioni sessualmente trasmissibili. Se uno qualunque dei fattori di rischio sotto menzionati è presente, valutare caso per caso i benefici connessi all’uso del COC con i possibili rischi per ogni singola donna e discuterne con la donna prima di cominciare l’assunzione del contraccettivo orale combinato. In caso di aggravamento, esacerbazione o insorgenza di una qualsiasi di queste condizioni o fattori di rischio è opportuno che la donna prenda contatto con il suo medico. Il medico deciderà se interrompere l’assunzione del COC. 1. Disturbi della circolazione. L’uso di qualsiasi COC aumenta il rischio di tromboembolia venosa (TEV) rispetto al non uso. L’eccesso di rischio di TEV è massimo durante il primo anno in cui una donna fa uso di un COC per la prima volta. L’aumento di rischio è inferiore rispetto al rischio di TEV associato alla gravidanza, che è stimato in 60 casi ogni 100.000 gravidanze. La TEV risulta fatale nell’1-2% dei casi. In diversi studi epidemiologici è stato riscontrato che nelle donne che usano contraccettivi orali combinati contenenti etinilestradiolo, per lo più alla dose di 30 µg, e un progestinico come gestodene il rischio di TEV è aumentato rispetto alle donne che usano contraccettivi orali combinati contenenti meno di 50 µg di etinilestradiolo ed il progestinico levonorgestrel. Relativamente ai contraccettivi orali combinati contenenti 30 µg di etinilestradiolo in combinazione con desogestrel o gestodene in confronto a quelli contenenti meno di 50 µg di etinilestradiolo e levonorgestrel, è stato stimato che il rischio relativo complessivo di TEV è compreso tra 1,5 e 2,0. Nel caso di contraccettivi orali combinati contenenti levonorgestrel con meno di 50 µg di etinilestradiolo l’incidenza di TEV è di circa 20 casi su ogni 100.000 anni-donna di utilizzo. Per quanto riguarda GESTODIOL l’incidenza varia da 30 a 40 casi per 100.000 anni-donna di utilizzo, vale a dire 1020 casi aggiuntivi ogni 100.000 anni-donna di utilizzo. L’impatto del rischio relativo sul numero di casi addizionali sarebbe massimo in donne durante il primo anno di utilizzo del contraccettivo orale combinato quando il rischio di TEV con tutti i contraccettivi orali combinati è massimo. Molto raramente è stata segnalata trombosi in altri vasi sanguigni, vale a dire di tipo epatico, mesenterico, renale oppure a carico delle vene e delle arterie della retina in utilizzatrici di contraccettivi orali. Non vi è consenso circa la possibilità che l’insorgenza di questi casi sia correlata all’uso di COC. Il rischio che si sviluppi tromboembolia venosa aumenta: • con l’avanzamento dell’età; • in caso di anamnesi familiare positiva (ad es. tromboembolia venosa che ha riguardato un parente o un consanguineo più soggetti di età relativamente giovane). In caso di sospetta predisposizione ereditaria, la donna deve essere indirizzata da uno specialista prima che le sia prescritto un contraccettivo orale; • in caso di obesità (indice di massa corporea superiore a 30 Kg/m2); • immobilizzazione prolungata, chirurgia maggiore, intervento chirurgico alle gambe o trauma maggiore. In questi casi è raccomandata la sospensione del trattamento con i contraccettivi orali (nel caso di un’operazione chirurgica programmata almeno 4 settimane prima) e non deve essere assunto fino a 2 settimane dopo la completa deambulazione; • non vi è consenso sul possibile ruolo di vene varicose e tromboflebiti superficiali nella tromboembolia venosa. In generale l’uso di COC è stato associato ad un aumento del rischio di infarto acuto del miocardio (AMI) o di ictus, rischio questo fortemente influenzato dalla presenza di altri fattori di rischio (ad es. fumo, pressione sanguigna alta ed età) (vedi anche sotto). Questi eventi si verificano raramente. Il rischio di eventi tromboembolici aumenta con: • l’avanzamento dell’età; • fumo (con forti fumatrici e con l’avanzare dell’età il rischio aumenta ulteriormente, soprattutto se si tratta di donne con più di 35 anni di età); • dislipoproteinemia; • obesità (indice di massa corporea superiore a 30 Kg/m2); • ipertensione; • valvulopatia cardiaca; • fibrillazione atriale; • anamnesi familiare positiva (ad es. trombosi arteriosa che ha riguardato un parente o un consanguineo di età relativamente giovane). Se si sospetta una predisposizione ereditaria la donna deve essere indirizzata da uno specialista prima che le sia prescritto un contraccettivo orale. Sintomi di trombosi venosa ed arteriosa possono includere: • dolore e/o gonfiore unilaterale ad una gamba; • improvviso grave dolore toracico, che può o meno estendersi al braccio sinistro; • fiato corto improvviso; • tosse improvvisa; • cefalea insolita, grave, prolungata; • improvvisa perdita parziale o completa della vista; • diplopia; • difficoltà nel parlare o afasia; • vertigini; • collasso accompagnato o meno da crisi epilettiche focali; • debolezza o improvviso intorpidimento molto marcato di un lato o una parte del corpo; • disturbi motori; • addome “acuto”. Si deve tenere in considerazione l’aumento del rischio di tromboembolia venosa durante il puerperio. Altre condizioni mediche correlate ai disturbi vascolari sono: diabete mellito, lupus eritematoso sistemico, sindrome emolitico-uremica, malattia infiammatoria cronica intestinale (morbo di Crohn oppure colite ulcerosa) e anemia a cellule falciformi. Un aumento della frequenza e della gravità dell’emicrania (che può essere prodromica in caso di malattia cerebrovascolare) durante l’impiego di contraccettivi orali deve far prendere in considerazione l’immediata sospensione dei contraccettivi orali. Fra i parametri biochimici indicativi della predisposizione ereditaria o acquisita alla trombosi venosa o arteriosa vi sono: resistenza alla proteina C attivata (APC), mutazione del fattore V di Leiden, iperomocisteinemia, carenza di antitrombina-III, carenza di proteina C, carenza di proteina S, anticorpi antifosfolipidi (anticorpi anticardiolipina, lupus anticoagulante). Mentre valuta il rapporto rischio/beneficio il medico deve tenere presente che il trattamento adeguato di una condizione può ridurre il rischio associato di trombosi e che il rischio associato alla gravidanza è maggiore rispetto a quello connesso all’uso di COC. 2. Tumori: Cancro della cervice. In alcuni studi epidemiologici si è riferito un rischio maggiore di cancro cervicale nelle utilizzatrici a lungo termine dei COC ma non è ancora chiaro fino a che punto questo rilievo possa essere influenzato dagli effetti aggravanti del comportamento sessuale e di altri fattori quali il papilloma virus umano (HPV). Carcinoma della mammella. Una meta-analisi di 54 studi epidemiologici ha riferito un rischio relativo leggermente superiore (RR=1,24) di diagnosi di cancro della mammella fra le donne che attualmente usano COC. L’eccedenza di rischio scompare gradualmente nel corso dei 10 anni seguenti all’interruzione dell’uso dei COC. Poiché il cancro della mammella è raro nelle donne di meno di 40 anni, il numero superiore di diagnosi di tumore alla mammella fra le utilizzatrici attuali e recenti di COC è limitato in rapporto al rischio globale di cancro della mammella. Questi studi non forniscono evidenza di causalità. L’andamento superiore del rischio osservato potrebbe essere dovuto ad una diagnosi precoce del cancro della mammella nelle utilizzatrici di COC, agli effetti biologici dei COC o a una combinazione di entrambi i fattori. Il cancro alla mammella diagnosticato nelle donne che hanno usato COC tende ad essere meno avanzato dal punto di vista clinico rispetto alle forme tumorali riscontrate fra le donne che non hanno mai assunto COC. Tumori epatici. Tra le utilizzatrici di COC si sono riferiti tumori epatici benigni e maligni. In casi isolati questi tumori hanno portato ad emorragie intra-addominali ad esito potenzialmente fatale. Pertanto, considerare la possibilità di tumore epatico nella diagnosi differenziale, quando un’utilizzatrice di COC presenti severo dolore all’addome superiore, ingrossamento del fegato (epatomegalia) oppure segni di emorragia intra-addominale. 3. Altre condizioni. Le donne affette da ipertrigliceridemia, o anamnesi familiare della stessa, possono essere a rischio maggiore di pancreatite mentre usano COC. In caso di disturbi acuti o cronici della funzionalità epatica potrà essere necessaria l’interruzione di GESTODIOL, fino al ripristino ai valori normali dei marker della funzionalità epatica. Gli ormoni steroidei potrebbero essere scarsamente metabolizzati in pazienti con funzionalità epatica compromessa. Malgrado si siano riferiti piccoli innalzamenti della pressione arteriosa in molte donne che assumono contraccettivi orali combinati, gli innalzamenti clinicamente significativi sono rari. Se, durante l’assunzione di un contraccettivo ormonale combinato si sviluppa un’ipertensione clinica persistente bisogna sospendere l’assunzione del contraccettivo ormonale combinato e trattare l’ipertensione. L’assunzione del contraccettivo orale combinato potrà riprendere se risulta possibile ottenere valori normotensivi mediante la terapia. Se il medico lo ritiene opportuno, l’uso della pillola può essere ripreso quando i valori della pressione rientreranno nella norma in seguito a terapia antiipertensiva. Sia con la gravidanza che con l’uso di COC possono comparire o peggiorare delle condizioni qui di seguito riportate. Tuttavia, le prove di un’associazione con l’uso dei COC non sono decisive: ittero e/o prurito associato a colestasi; sviluppo di calcoli biliari; porfiria; lupus eritematoso sistemico; sindrome emoliticouremica; corea di Sydenham; herpes gestationis; perdita di udito dovuta a otosclerosi. I contraccettivi orali combinati possono avere un effetto sulla resistenza periferica all’insulina e sulla tolleranza al glucosio. È pertanto necessario che le pazienti diabetiche vengano attentamente monitorate durante l’impiego dei COC. GESTODIOL contiene lattosio e saccarosio. Le pazienti con rari problemi ereditari di intolleranza al galattosio, deficit di Lapp-lattasi o malassorbimento di glucosio-galattosio oppure con rari problemi di intolleranza al fruttosio non devono assumere questo medicinale. Durante l’uso dei COC si è riferito l’aggravamento della depressione endogena, dell’epilessia (vedi paragrafo 4.5 Interazioni), del morbo di Crohn e della colite ulcerosa. È possibile che si manifesti cloasma, specialmente nelle utilizzatrici con anamnesi di cloasma gravidarum. Le donne con tendenza al cloasma devono evitare l’esposizione al sole o alla radiazione ultravioletta mentre assumono i COC. Le preparazioni erboristiche contenenti Iperico o erba di San Giovanni (Hypericum perforatum) non devono essere assunte contemporaneamente a GESTODIOL a causa del rischio di diminuzione delle concentrazioni plasmatiche e degli effetti clinici di GESTODIOL (vedi paragrafo 4.5). Efficacia ridotta. L’efficacia dei contraccettivi orali può essere ridotta nel caso in cui ci si dimentichi di assumere delle compresse, in presenza di diarrea grave o vomito (vedi paragrafo 4.2) oppure in caso di uso concomitante di altri medicinali (vedi paragrafo 4.5). Ciclo irregolare. Come con tutti i contraccettivi ormonali combinati, potrà verificarsi la perdita irregolare di sangue (emorragia intermestruale o metrorragia), particolarmente nei primi mesi di assunzione. Per questo motivo, un’opinione medica circa la perdita irregolare di sangue avrà utilità solo dopo un periodo di adattamento di tre cicli circa. Se la metrorragia persiste sarà necessario considerare la possibilità di usare COC con un contenuto ormonale più alto. Se la metrorragia si verifica dopo precedenti cicli regolari occorre considerare cause non di natura ormonale e prendere adeguate misure diagnostiche per escludere la presenza di una patologia maligna o di una gravidanza. Occasionalmente potrebbe non esservi alcuna emorragia da sospensione nell’intervallo in cui non vengono assunte le compresse. Se le compresse sono state assunte secondo le istruzioni di cui al paragrafo 4.2, è improbabile che la donna sia incinta. Tuttavia, se le compresse non sono state assunte in base a dette istruzioni precedentemente alla prima emorragia da sospensione saltata, oppure se la donna salta consecutivamente due emorragie da sospensione, è necessario escludere la gravidanza prima di proseguire l’assunzione del COC. 4.5. Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione. Le interazioni con medicinali in grado di portare ad una elevata clearance degli ormoni sessuali possono comportare metrorragia ed insuccesso della contraccezione orale. Questo effetto è stato stabilito nel caso di idantoine, barbiturici, primidone, carbamazepina e rifampicina, ed è risultato sospetto nel caso di oxcarbazepina, topiramato, griseofulvina, felbamato e ritonavir. Il meccanismo di queste interazioni sembra essere basato sulle proprietà di induzione degli enzimi epatici di questi medicinali. In generale la massima induzione enzimatica non si ha nelle prime 2-3 settimane dopo l’inizio del trattamento, ma l’effetto può essere sostenuto per almeno 4 settimane dopo l’interruzione della terapia. Si sono riferiti anche casi di insuccesso della contraccezione con antibiotici quali ampicillina e tetracicline. Il meccanismo di questo effetto non è stato chiarito. Le donne in trattamento a breClassificazione sistemica organica Comune (da=1/100 a <1/10) Patologie del sistema nervoso Cefalea Nervosismo Irritazione oculare quando si portano lenti a contatto Disturbi della vista Patologie dell’occhio Patologie dell’orecchio e del labirinto Patologie gastrointestinali Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo Disordini del metabolismo e della nutrizione Patologie vascolari Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione Disturbi del sistema immunitario Patologie dell’apparato riproduttivo e della mammella Disturbi psichiatrici Nausea Acne Emicrania ve termine con uno qualsiasi dei gruppi di farmaci sopra citati o con singoli medicinali, devono usare temporaneamente un metodo di barriera oltre alla pillola anticoncezionale, ciò deve avvenire per tutto il tempo in cui questo medicinale viene assunto contemporaneamente alla pillola come pure nei sette giorni successivi alla sua sospensione. Le donne in trattamento con rifampicina devono usare un metodo di barriera contemporaneamente al contraccettivo orale durante tutto il periodo in cui assumono la rifampicina come pure nei 28 giorni successivi alla sua sospensione. Se la somministrazione concomitante del medicinale continua oltre il numero di compresse anticoncezionali nella confezione, la donna deve iniziare la confezione successiva, senza osservare il consueto intervallo di sospensione. Per le donne in terapia a lungo termine con induttori degli enzimi epatici, è necessario considerare un altro metodo contraccettivo. Le pazienti che assumono GESTODIOL non devono usare contemporaneamente preparazioni/prodotti medicinali alternativi contenenti Hypericum perforatum (Iperico o erba di San Giovanni) poiché essi potrebbero causare una perdita dell’effetto contraccettivo. Si sono riferite metrorragia e gravidanze indesiderate. L’Hypericum perforatum (Iperico o erba di San Giovanni) aumenta, mediante induzione enzimatica, la quantità di enzimi che metabolizzano i prodotti medicinali. L’effetto di induzione enzimatica potrebbe persistere per almeno 1-2 settimane dalla cessazione del trattamento con Hypericum. Effetti dei contraccettivi orali combinati su altri farmaci: i contraccettivi orali possono interferire con il metabolismo di altri farmaci. Ne può conseguire un aumento (ad es. ciclosporina) o una diminuzione (lamotrigina) delle concentrazioni plasmatiche e tissutali. Test di laboratorio. L’impiego di steroidi contraccettivi può influenzare i risultati di alcuni esami di laboratorio tra cui i parametri biochimici della funzionalità epatica, tiroidea, corticosurrenalica e renale, i livelli plasmatici delle proteine (di trasporto), per esempio della globulina legante i corticosteroidi e delle frazioni lipido/lipoproteiche, i parametri del metabolismo dei carboidrati ed i parametri della coagulazione e della fibrinolisi. Le variazioni rientrano, in genere, nei limiti dei valori normali di laboratorio. 4.6. Gravidanza ed allattamento. GESTODIOL è controindicato durante la gravidanza. In caso di gravidanza durante l’assunzione di GESTODIOL sospendere immediatamente il trattamento. Estesi studi epidemiologici non hanno evidenziato né un aumento del rischio di difetti congeniti in bambini nati da donne che hanno assunto contraccettivi orali combinati prima della gravidanza, né effetti teratogeni a seguito di involontaria assunzione di contraccettivi orali combinati durante la gravidanza. L’allattamento può essere influenzato dagli steroidi contraccettivi in quanto essi possono ridurre il volume ed alterare la composizione del latte materno. Piccole quantità di steroidi contraccettivi e/o di loro metaboliti possono essere escreti nel latte materno. Pertanto, l’uso di steroidi contraccettivi non è in genere raccomandato in madri che allattano fino al termine del completo svezzamento. 4.7. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. GESTODIOL non ha effetti, se non minimi, sulla capacità di guidare veicoli e di usare macchinari. 4.8. Effetti indesiderati. Gli eventi avversi riferiti con maggior frequenza (>1/10) sono sanguinamento irregolare, nausea, aumento ponderale, tensione mammaria e cefalea. Essi si manifestano solitamente all’inizio della tera- Non comune (da=1/1000 a <1/100) Raro (da=1/10000 a <1000) Corea Vomito Iperlipidemia Ipertensione Otosclerosi Colelitiasi Cloasma Tromboembolia venosa Eventi tromboembolici arteriosi Aumento ponderale Ritenzione idrica Sanguinamento irregolare Amenorrea Ipomenorrea Tensione mammaria Alterazioni della libido Depressione Irritabilità Molto raro (<1/10000) Lupus eritematoso Alterata secrezione vaginale Pancreatite pia e sono transitori. I seguenti gravi effetti indesiderati sono stati riportati in donne che assumono COC, vedi paragrafi 4.3 e 4.4. • Tromboembolia venosa, vale a dire trombosi venosa profonda in una gamba o alle pelvi ed embolia polmonare. • Eventi tromboembolici arteriosi. • Tumori epatici. • Patologia della cute e del tessuto sottocutaneo: cloasma. La frequenza di diagnosi di cancro della mammella fra le donne che assumono COC è leggermente maggiore. Poiché il cancro della mammella è raro nelle donne con meno di 40 anni, il numero superiore è limitato in rapporto al rischio globale di cancro alla mammella. Non è noto il rapporto di causalità con i COC. Per ulteriori informazioni vedere i paragrafi 4.3 e 4.4. 4.9. Sovradosaggio. Non sono stati riferiti effetti indesiderati seri in seguito a sovradosaggio. I sintomi che possono manifestarsi in seguito ad un sovradosaggio sono: nausea, vomito e sanguinamento vaginale. Non c’è antidoto, e il trattamento deve essere sintomatico. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE. 5.1. Proprietà farmacodinamiche. Categoria farmacoterapeutica: Contraccettivi ormonali per uso sistemico. Codice ATC: G03AA10. L’effetto contraccettivo delle pillole anticoncezionali si basa sull’interazione di vari fattori, i più importanti dei quali sono l’inibizione dell’ovulazione e le modifiche dell’endometrio. Oltre a prevenire il concepimento i COC possiedono diverse caratteristiche positive che, accanto alle proprietà negative (illustrate al paragrafo 4.8 Avvertenze, Effetti indesiderati), possono aiutare nella scelta del metodo da adottare per il controllo delle nascite. Il ciclo mestruale è più regolare e le mestruazioni stesse sono spesso meno dolorose ed il sanguinamento più leggero. Quest’ultimo aspetto può determinare una diminuzione dei casi di carenza di ferro. 5.2. Proprietà farmacocinetiche. Gestodene. Assorbimento. Dopo somministrazione orale il gestodene viene rapidamente e completamente assorbito. Dopo somministrazione di una dose singola la massima concentrazione sierica di 4 ng/ml viene raggiunta dopo circa un’ora. La biodisponibilità è intorno al 99%. Distribuzione. Gestodene è legato all’albumina sierica ed alle globuline leganti gli ormoni sessuali (SHBG). Solo l’1-2% del gestodene totale in siero viene ritrovato come steroide libero, mentre il 5070% è specificamente legato alle SHBG. L’aumento delle SHBG indotto dall’etinilestradiolo influenza la distribuzione delle proteine sieriche con conseguente aumento della frazione legata alle SHBG e diminuzione della frazione legata all’albumina. Il volume di distribuzione apparente del gestodene è di 0,7 l/kg. Metabolismo. Il gestodene viene completamente metabolizzato tramite i noti canali del metabolismo degli steroidi. L’entità della clearance metabolica dal siero è pari a 0,8 ml/min/kg. Non si manifestano interazioni quando il gestodene viene assunto insieme all’etinilestradiolo. Eliminazione. I livelli sierici del gestodene diminuiscono in modo bifasico. La fase di eliminazione terminale è caratterizzata da un’emivita di 12-15 ore. Il gestodene non viene escreto immodificato. I suoi metaboliti vengono escreti nelle urine e nella bile in un rapporto di 6:4. L’emivita di escrezione dei metaboliti è pari a circa 1 giorno. Steadystate. La farmacocinetica del gestodene è influenzata dai livelli sierici di SHBG che aumentano di tre volte con l’etinilestradiolo. In seguito all’assunzione giornaliera i livelli sierici di gestodene aumentano di circa quattro volte il valore della dose singola e raggiungono lo steady-state entro la seconda metà del ciclo di trattamento. Etinilestradiolo. Assorbimento. Dopo somministrazione orale l’etinilestradiolo viene rapidamente e completamente assorbito. Il picco dei livelli plasmatici, pari a circa 80 pg/ml, viene raggiunto in 1-2 ore. La biodisponibilità assoluta, dopo coniugazione presistemica e metabolismo di primo passaggio, è all’incirca del 60%. Distribuzione. Durante l’allattamento lo 0,02% della dose giornaliera della madre passa nel latte. L’etinilestradiolo è largamen- te, ma non specificamente, legato all’albumina (approssimativamente per il 98,5%) e induce un aumento nelle concentrazioni sieriche dell’SHBG. È stato determinato un volume di distribuzione apparente di circa 5 l/kg. Metabolismo. L’etinilestradiolo è soggetto a coniugazione presistemica a livello sia della mucosa dell’intestino tenue sia del fegato. La principale via metabolica dell’etinilestradiolo è l’idrossilazione aromatica ma si forma anche una ampia varietà di metaboliti idrossilati e metilati, presenti come metaboliti liberi e coniugati con glucuronidi e solfati. L’entità della clearance metabolica è pari a circa 5 ml/min/kg. Eliminazione. I livelli sierici dell’etinilestradiolo diminuiscono in modo bifasico, con una fase di eliminazione terminale con un’emivita di circa 24 ore. L’etinilestradiolo immodificato non viene escreto, ma i suoi metaboliti sono escreti in un rapporto urina:bile pari a 4:6. L’emivita dell’escrezione dei metaboliti è di circa 1 giorno. Steady-state. Le concentrazioni allo steady-state vengono raggiunte dopo 3-4 giorni ed i livelli sierici dell’etinilestradiolo sono più elevati del 30-40% rispetto alla singola assunzione. 5.3. Dati preclinici di sicurezza. Etinilestradiolo e gestodene non sono genotossici. Gli studi di carcinogenicità con etinilestradiolo da solo o in associazione con vari progestinici non mostrano alcun pericolo carcinogenico in donne che usano il farmaco come contraccettivo come indicato. È tuttavia necessario tenere presente che gli ormoni sessuali possono promuovere la crescita di alcuni tessuti e tumori ormono-dipendenti. Studi di tossicità riproduttiva su fertilità, sviluppo fetale o performance riproduttiva condotti con etinilestradiolo da solo o in associazione con progestinici non hanno fornito indicazioni di un rischio di effetti avversi nell’uomo conseguenti all’impiego del preparato secondo quanto raccomandato. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE. 6.1. Elenco degli eccipienti. Nucleo della compressa: Magnesio stearato, Povidone K-25, Amido di mais, Lattosio monoidrato. Rivestimento della compressa: Povidone K-90, Macrogol 6000, Talco, Calcio carbonato, Saccarosio, Cera di lignite. 6.2. Incompatibilità. Non pertinente. 6.3. Periodo di validità. Tre anni. 6.4. Speciali precauzioni per la conservazione. Non conservare a temperatura superiore a 30 °C. 6.5. Natura e contenuto del contenitore. Blister: PVC/Alluminio. Confezioni: 1 X 21 compresse; 3 X 21 compresse; 6 X 21 compresse. È possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6. Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione. Nessuna istruzione particolare. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE PER L’IMMISSIONE IN COMMERCIO. EG SpA via D. Scarlatti, 31 - 20124 Milano. 8. NUMERI DELLE AUTORIZZAZIONI ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite, 1X21 cpr A.I.C. n. 037684014/M GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite, 3X21 cpr A.I.C. n. 037684026/M GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite, 6X21 cpr A.I.C. n. 037684038/M GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite, 1X21 cpr A.I.C. n. 037684040/M GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite, 3X21 cpr A.I.C. n. 037684053/M GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite, 6X21 cpr A.I.C. n. 037684065/M 9. DATA DI PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE. 2 ottobre 2007 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO. Settembre 2007 Alfa-REPAGIN crema 3 BUONE RAGIONI CREMA INTIMA Idratante Cicatrizzante Lenitiva Lubrificante Per attenuare la sintomatologia aspecifica o concomitante a patologie, a livello vulvare e vaginale