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Gli amici all'autore
Abbiamo pensato di raccogliere in volume questi tuoi racconti perché un giorno tu possa, risfogliando
questo tuo libro, ricordarti di noi che per tanti anni abbiamo lavorato con te e che aspettiamo il tuo ritorno
per continuare a lavorare al tuo fianco.
Dico noi e non intendo soltanto Sandro ed io che ti siamo sempre vicini, più che amici quasi persone della
tua famiglia, tanto che incontriamo spesso i nostri nomi nei tuoi racconti, ma anche tutti coloro che hanno
lavorato con te per comporre, stampare, pubblicare tutto quanto hai scritto per i tuoi lettori.
Questa piccola raccolta di racconti ci dà l'occasione di dirti tutto il nostro affetto e di lasciarti un ricordo
che ti accompagni sempre, un buon ricordo di noi.
io sono certo di interpretare non solo il pensiero dei tuoi collaboratori, ma anche quello dei tuoi lettori, di
tutti coloro che ti hanno seguito fin qui e che da te hanno imparato a conoscersi meglio, e nei tuoi racconti
hanno ritrovato se stessi, i loro caratteri, i loro stessi sentimenti.
Noi tutti te lo dedichiamo questo volume, noi amici, collaboratori, lettori.
Soprattutto i lettori perché ad essi hai dato tutto te stesso e per loro hai sacrificato lunghi mesi della tua
libertà.
Essi te ne sono grati e sono certo di avere tutto il loro consenso nel dirti queste poche parole che ho
raccolto dal cuore di tutti, e che per questa volta vogliono essere una dedica dei lettori all'autore.
CARLO MANZONi
Milano 1954
PREMESSA
Perché vi parlo sempre di me? Perché da anni ed anni io racconto, ogni settimana, le mie vicende
personali ai miei ventitré lettori?
Chi sono io?
Son forse un uomo tanto importante da eccitare la curiosità della gente e da renderla ansiosa di conoscere
anche le più minute vicende della mia vita familiare?
No davvero: sono un uomo comune e quindi mi pare, parlando di me e dei miei, di fare un po' la storia dei
milioni e milioni di uomini comuni che, con la loro assennata mediocrità, tengono in piedi la baracca di
questo mondo. Quella baracca che gli uomini « eccezionali », gli uomini « fuor dal comune » tentano di
scardinare con la loro genialità.
Perché vi parlo sempre di me, di Margherita, di Albertino e della Pasionaria?
Perché è giusto che io ne parli in quanto, mentre la storia e la cronaca si preoccupano di comunicare ai
contemporanei e di tramandare ai posteri le vicende degli « uomini eccezionali », nessuno si cura degli
uomini comuni.
Giovannino, Margherita, Albertino e la Pasionaria: chi son costoro se non i rappresentanti della famiglia «
comune »?
Cosa importa se Margherita ha il complesso del pomodoro, se Albertino si preoccupa di sapere il sesso
delle biciclette, se la Pasionaria preferisce una macchina per tappar le bottiglie alla bambola più bella?
Cosa importa se Giovannino ha il mestiere che ha e porta i baffi che porta?
Non c'è davvero niente di « eccezionale » in tutto questo, e non è, quella di Giovannino, una famiglia «
originale », e non è Margherita una donna « speciale ». Né Albertino e la Pasionaria sono bambini «
straordinari ».
Esistono cento qualità diverse di uva: c'è la bianca, la rossa, la nera, la dolce, l'aspra, l'uva moscata, la
malvasia, il lambrusco, la fortana, l'uvona, l'uvetta e via discorrendo.
Ma, pur se spremete cento grappoli d'uva di qualità diverse, il sugo è sempre quello: vino.
A spremer uva non caverete mai benzina, latte, oppure limonata.
È il succo, quello che conta, in ogni cosa.
E il succo della famigliola di Giovannino è quello stesso identico di milioni di famiglie « comuni » :
perché i problemi-base della famiglia di Giovannino son gli stessi di milioni di famiglie, perché questi
problemi-base scaturiscono da una situazione familiare originata dalla impossibilità di intaccare i principi
che costituiscono e debbono costituire le fondamenta di tutte le case « comuni ».
Di tutte le case oneste, insomma.
Perché io vi parlo sempre di me e della gente di casa mia? Per parlarvi di voi e della gente di casa vostra.
Per consolare me e voi della nostra vita banale di onesta gente comune. Per sorridere assieme dei nostri
piccoli guai quotidiani. Per cercar di togliere a questi piccoli guai (piccoli anche se sono grossi) quel cupo
color di tragedia che spesso essi assumono quando vengano tenuti celati nel chiuso del nostro animo.
Ecco: se io ho un cruccio, me ne libero confidandolo al Corrierino. E quelli, fra i lettori del Corrierino,
che hanno un cruccio del genere nascosto nel cuore, trovandolo raccontato per filo e per segno nelle
colonne del Corrierino, si sentono come liberati da quel cruccio.
infatti quel cruccio, da problema strettamente personale, diventa un problema di categoria.
E, allora, è tutta un'altra cosa.
L'AUTORE
GLI EREDI
Questo giochetto piace alle mammine e rallegra spesso le serate familiari.
il padre sta leggendo il suo giornale, i bambini giocano tranquilli seduti per terra. La signora ha gli occhi
che guardano lontano, oltre i muri della stanza e oltre la vita. Ad un tratto sospira.
—
Un giorno, — dice con voce sommessa, — voi non mi troverete più... i bambini alzano la testa
allarmati.
—
Un giorno, — continua la signora, e nelle sue parole è una sottile e pungente angoscia, — voi non
mi troverete più perché io sarò sepolta nella terra fredda.
i bambini cominciano a preoccuparsi.
—
Povera mamma, — geme la signora, — povera mamma, sola nel camposanto triste e silenzioso...
i bambini trattengono il fiato e hanno già gli occhi pieni di lacrime.
—
E d'inverno nevicherà, e la neve gelida coprirà la tomba della mamma, — sospira la signora.
il particolare della neve gelida fa piombare gli infelici bambini nella più cupa disperazione : e i bambini
scoppiano in singhiozzi e corrono ad abbracciare urlando la mammina che ormai è presa nel gioco tanto
da sentirsi già abbondantemente defunta.
—
Poveri orfanelli, chi vi rimboccherà le coperte, la sera? Vi ricorderete della vostra povera
mammina?
i bambini singhiozzano ancora più forte.
—
Verrete qualche volta a portare i fiorellini sulla sua tomba?
Gli orfanelli adesso ululano ma la signora non ha pietà di loro.
—
Quando morirò, questo orologino lo lascerò a te, e a te lascerò questa catenella d'oro...
Questo è un giochetto che piace alle donne. E Margherita, tra gli altri suoi gravi difetti, ha quello di essere
una donna.
io ricordo una sera d'aprile. Pioveva e Margherita stava concludendo il suo giochetto. La Pasionaria singhiozzava seduta sulle sue ginocchia e Albertino, lì presso, continuava a leggere singhiozzando
l'ultimo fascicolo delle Paperoavventure.
—
A te lascerò la mia bicicletta, — disse Margherita alla Pasionaria.
—
E io? — singhiozzò Albertino. — io niente bicicletta?
—
La bicicletta della mamma è da donna, singhiozzò la Pasionaria: — non si può andare in due
perché non c'è il tubo in mezzo. E poi tu hai quella del babbo, quando muore il babbo.
—
E se il babbo non muore? — singhiozzò Albertino continuando a leggere, con disperazione, il suo
giornalino.
Ero direttamente chiamato in causa, ma non mi scomposi e ci furono istanti di angosciosa attesa rotta dai
singhiozzi dei due orfanelli.
—
Giovannino, — disse con aria di dolce rimprovero Margherita. — Sii gentile, una volta tantoi Abbi
almeno riguardo di una povera morta. Non darmi pena nella tomba costringendomi a pensare che, a causa
di una miserabile bicicletta, i miei due orfanelli si trovano in disaccordoi
io ho sempre avuto il massimo rispetto per i cadaveri.
—
Va bene, — dissi ad Albertino. — Quando morirò ti lascerò la mia bicicletta.
—
Grazie, — singhiozzò Albertino senza levare la testa dal giornalino. — Anche la « Guzzi 65 »?
—
Certamente, — risposi. — Anche la « Guzzi 65».
Ma allora la Pasionaria fece udire la sua voce accorata.
—
Lui la moto e io nientei — singhiozzò. io che sono piccolina e ho cinque anni devo andare a piedi
e lui in macchinai
Margherita intervenne:
—
Perché sei così bugiarda? Non hai forse la mia bicicletta?
—
Anche con la bicicletta si va a piedi, — rispose lacrimando la Pasionaria. — io voglio la moto.
Ci fu una discussione piuttosto vibrata fra Margherita e la Pasionaria sulla convenienza o meno, per una
donna, di andare in motocicletta e la conclusione fu, secondo la Pasionaria, che se una donna può guidare
un'automobile che ha quattro ruote, può anche guidare una motocicletta che ne ha due.
Cercai una soluzione di compromesso:
—
La motocicletta la lascerò a tutt'e due: Albertino guiderà e tu starai seduta dietro. La Pasionaria
accettò la proposta.
—
Però gli occhialoni li voglio io, — singhiozzò. Qui intervenne Albertino il quale, essendo il
guidatore della moto, si sentiva in diritto di portare lui gli occhialoni. E non aveva neanche torto, ma la
Pasionaria era ben decisa a conservare integra la sua conquista.
—
Sta bene, — conclusi io. — Ne comprerò un altro paio.
Albertino, con molto garbo, mise sul tappeto la assegnazione della mia macchina fotografica : ma allora
Margherita insorse.
—
Bastai — esclamò. — Abbiate rispetto per il cadavere di vostro padrei Niente è più basso dello
speculare su un morto quando è ancora vivoi
Albertino e la Pasionaria vennero mandati a letto con malgarbo e, quando fummo soli, Margherita accese
una sigaretta e sospirò :
—
Strana faccenda, questa. Uno non si è ancora abituato a vivere che già deve abituarsi a morire. Noi
camminiamo su uno stretto sentiero tagliato nella roccia su uno strapiombo e siamo disperatamente
aggrappati alla terra, ma sentiamo il fascino dell'abisso, dell'eternità. E, ogni tanto, proviamo il bisogno di
affacciarci sull'abisso della eternità.
—
Sì, Margherita, — risposi. — E non ci curiamo del fatto che, sull'orlo dell'abisso, è piantato un
cartello con la scritta : « Pericoloso sporgersi ».
*
Accadde che, un giorno, la mia solita giacca lasciò intendere che anche le migliori giacche hanno il loro
tallone d'Achille nei gomiti e così tirai fuori dal guardaroba la giacca marrone di fustagno e mi accorsi
che, sotto il bavero, qualcuno aveva appiccicato un dischetto di carta verde.
La cosa non mi preoccupò eccessivamente e non mi allarmai neppure quando trovai un altro dischetto di
carta verde appiccicato dentro una scarpa. in seguito, quando trovai il solito dischetto di carta verde
appiccicato sul fianco della mia macchina da scrivere, la cosa mi incuriosì.
Trovai il dischetto di carta verde appiccicato sotto una delle sedie del mio studio : però, esaminandone
un'altra, trovai che questa aveva un dischetto di carta rossa.
Sfogliando il Nuovissimo Melzi trovai un dischetto di carta verde nel primo volume (parte linguistica) e
un dischetto di carta rossa incollato sulla copertina del secondo volume (parte scientifica): mentre
Margherita trovò appiccicati sotto il coperchio ribaltabile della cucina a gas due dischetti vicini : uno
rosso e uno verde.
Poi altri dischetti rossi Margherita trovò appiccicati alla fodera dei suoi vestiti, io ne trovai altri verdi un
po' dappertutto, sì che, ben presto, non ci fu in casa nostra oggetto che non fosse contrassegnato in rosso o
in verde o in rosso e verde contemporaneamente.
Fino a quando, aprendo il portafogli, io trovai un disco rosso sulla carta d'identità, uno verde sulla patente
e sul porto d'armi. Un dischetto rosso e uno verde erano appiccicati sull'unico biglietto da diecimila
esistente nel portafogli.
Anche il fazzoletto che tolsi di tasca per asciugarmi la fronte bagnata di sudore aveva un dischetto verde
incollato in un angolo.
Era qualcosa di misterioso.
— Pare di vivere in un romanzo giallo, — disse Margherita un giorno. Poi sbarrò gli occhi perché aveva
scoperto un dischetto rosso incollato sul macinino che aveva tra le mani.
Secondo Margherita si trattava di qualche criminosa società segreta a sfondo politico che ci perseguitava.
Un giorno avremmo scoperto il significato di quei minacciosi avvertimenti in rosso e in verde : e allora
sarebbe stato troppo tardi.
Ma io avevo una mia idea particolare e non mi impressionai. io, in queste cose misteriose ho una lunga
pratica perché sono l'autore di circa trenta radioprocessi, tutte vicende intricatissime, con problemi
psicologici e roba del genere. Quindi entrai sul sentiero di guerra e, una notte, mi alzai d'improvviso e,
camminando a passi felpati, arrivai come un fantasma nel mio studio. E, siccome la luce era accesa,
scopersi la società segreta all'opera. Non era al completo, poiché era presente soltanto la metà degli
effettivi : la quale metà degli effettivi stava appiccicando un dischetto rosso sul coperchio della scatola dei
miei compassi.
La Pasionaria non si spaventò: mi fece semplicemente cenno di star zitto.
— C'era su il bollo verde, — mi spiegò con grande circospezione. — Adesso io l'ho tirato via e ce ne ho
messo uno rosso; così il lapis con la gamba di spillo resta a me.
Per l'autore di trenta radioprocessi con giuria popolare e con « Resoldor-che-si-scioglie-deliziosamente-inbocca », ci voleva poco a mettere in chiaro la faccenda : avevano stabilito di dividere l'eredità. Albertino
appiccicava un disco verde sugli oggetti assegnati a lui, la Pasionaria un disco rosso su quelli assegnati a
lei. Adesso la Pasionaria lavorava per i fatti suoi personali e, con frode, si accaparrava il compasso che in
precedenza, di comune accordo, era stato assegnato ad Albertino,
io guardai molto severamente la Pasionaria e, dall'alto dei miei quarant'anni, i suoi cinque anni parevano
ancora più piccoli e più nefandi.
Le feci un lungo discorso accorato e la Pasionaria, alla fine, abbassò il capo confusa.
Poi, con estrema semplicità, si avvicinò al tavolo dove armeggiò un poco, quindi salì su una sedia e mi
appiccicò in mezzo alla fronte un dischetto rosso.
Roba sua.
E allora io non seppi più cosa dire e tornai a letto col bollo rosso fieramente appiccicato sulla fronte del
mio cadavere.
Margherita dormiva facendo sogni organizzati da Edgard Poe e, su un angolo del suo cuscino, c'era
appiccicato un bollo verde.
Pericoloso sporgersi, Margherita.
LA SCALA BREVETTATA
io sono nato prima dell'altra guerra, ai tempi del terremoto di Messina e, fino a pochi giorni fa, non
sapevo che una scala brevettata costasse ventiquattromilasettecentotrenta lire.
io, fino a pochi giorni fa, sapevo soltanto che, quando dovevo piantare un chiodo un po' alto nel muro o
volevo tirar giù dallo scaffale l'annata 1899 della Domenica del Corriere, ero costretto a costruire degli
stranissimi castelli di sedie o tavolini.
io, quando alcuni giorni fa, vidi una bella scala di legno a sei gradini, di quelle che si aprono e stanno in
piedi da sole, pensai semplicemente che sarebbe stata una buona cosa comprarla.
Fui incoraggiato dal fatto che era con me la Pasionaria e che la Pasionaria, dopo aver considerato con
molta attenzione la scala brevettata, ne fu pienamente soddisfatta.
— Va bene, — disse la Pasionaria. — Si può giocare a " buongiorno-signora-adesso-devo-andare-su-incasa-a-fare-la-minestra".
Davanti a una argomentazione così formidabile io pregai il padrone della bottega di mandarmi a casa la
scala e, quando la scala arrivò, costava lire ventiquattromilasettecentotrenta per via delle lire
settecentoventi dell'imposta Generale sull'Entrata e del Diritto Fisso di lire dieci, e questo perché anche le
scale brevettate debbono lavorare per il pareggio del bilancio statale.
Margherita era presente quando io pagai la fattura e rimase tranquillissima. Si limitò semplicemente a
informarsi se la scala funzionasse elettricamente o a gas. E quando io le spiegai che funzionava come tutte
le altre scale non brevettate e non possedeva nessun meccanismo che permettesse a una persona di salire o
di scendere automaticamente premendo un semplice bottone, un'ombra di tristezza passò davanti agli
occhi di Margherita.
—
Le guerre bisogna pagarle anche se si perdono, — dissi a Margherita. E Margherita scosse
mestamente il capo e si rallegrò soltanto quando le comunicai che era di faggio vaporato.
—
Una scala a vaporei — esclamò Margherita. — Dunque qualcosa di meccanico c'è.
Mettemmo la scala al centro della stanza più grande e io salii, — a lire 4121,66 alla volta, — i sei gradini.
Margherita, la Pasionaria e Albertino mi stavano rispettosamente a guardare.
—
Giovannino, — sospirò Margherita, — così, visto dal basso, mi sembri come proteso nel futuro.
Chi sa come ti sembro piccola e fragile, vista da lassùi
Alzando la mano toccai agevolmente il soffitto. Mi agitai, rimasi ritto su una gamba sola, feci oscillare la
scala brevettata : ma non si udì un cigolìo: la scala rimase tranquilla al suo posto come se avesse avuto i
piedi avvitati sul pavimento.
Provai una delle migliori soddisfazioni della mia vita.
—
Con un artigianato che lavora così, la ricostruzione è sicura? — esclamai orgogliosamente.
Ora bisogna considerare che anche le migliori scale brevettate hanno, salvo le scale doppie, una
particolarità : da una parte hanno i regolamentari scalini, dall'altra due semplici traverse legate tra loro,
alla base, da un'altra traversa e, in cima, assicurate alla scala a mezzo di due bulloni sì da poter fornire alla
scala stessa un sicuro piede.
L'errore che, — nei riguardi delle scale brevettate, — compiono di solito i temperamenti sentimentali, è
quello di salire per la parte fornita di scalini e di scendere poi dall'altra parte dimenticando le particolarità
costruttive appunto dell'altra parte stessa.
io sono un temperamento sentimentale e così, mentre per salire in vetta alla scala brevettata feci sei
scalini, per discendere ne feci uno solo, in definitiva, e così rovinai maestosamente per terra.
Albertino, che è un ragazzo pieno di prudenza e non vuole compromettersi, mi domandò se ero caduto.
Margherita mi guardò :
—
Ora ti sento più vicino a me, Giovannino... — disse con voce lontana.
Non c'era che dell'affetto nelle sue parole, ma io le risposi piuttosto seccato, e allora Margherita allargò le
braccia.
—
Non potevo pensare che ti fossi fatto male: non è una scala brevettata?
—
Sì, è brevettata : ma quando si cade da una scala i brevetti non valgono, vale soltanto la legge di
gravità.
Margherita scosse il capo :
— E allora perché gli uomini si agitano e lottano e si sbranano in questa affannosa ricerca di riforme, di
nuovo, di rivoluzionario se riconoscono poi che le uniche leggi valide,sono le leggi naturali? L'uomo di
mille anni or sono non cadeva forse dall'alto in basso come sei caduto tu oggi?
La Pasionaria aveva fino a quel momento mantenuto il più dignitoso riserbo : si piantò a gambette larghe
davanti a Margherita e le disse perentoriamente:
— Prova a cadere tu, se sei più bravai
ViAGGiO iN iTALiA
io conosco Margherita come le mie tasche, cosicché, arrivato davanti alla prima rampa della Futa, innestai
la terza e, prima ancora che Margherita potesse parlare, le diedi le spiegazioni del caso :
—
No, Margherita : il fatto che noi, pur essendo diretti a Napoli, adesso ci troviamo a dover salire
invece che discendere, non significa che io abbia sbagliato strada. Perché il Nord è sì in alto e il Sud in
basso, ma ciò non significa che andando verso il Sud non si trovino salite e andando verso il Nord non si
trovino discese.
incastrato nel sedile posteriore della macchinetta, Albertino, dimentico delle cose del mondo, stava
guardando con estrema attenzione i suoi giornaletti illustrati. Margherita volse un momento il capo e lo
guardò intenerita.
—
Che non lo sappia, — mi sussurrò all'orecchio. — t un ragazzo ipersensibile e ne proverebbe
un'amarissima delusione. Per lui il Sud è sempre in discesa. Egli crede ancora ciecamente nella geografia.
Rimase sovrappensiero per un po', poi sospirò:
—
Oggi non si può più prestar fede a niente, neppure ai punti cardinali. A Firenze io feci il pieno di
benzina e Albertino il pieno di giornaletti illustrati. Poi ci sedemmo a un tavolino di caffè.
—
Quello è il campanile di Giotto, — dissi ad Albertino. — Se lo vuoi guardare è là. Albertino stava
leggendo i suoi giornaletti:
—
C'è l'O? — si informò senza alzare la testa.
—
No: l'O di Giotto non c'entra col campanile di Giotto. Sono due cose distinte.
—
Allora, niente, — rispose tranquillo Albertino continuando a leggere.
Cambiammo tre caffè ma non trovammo nessun cameriere disposto a darci retta. C'era zeppo di stranieri
dappertutto e, soltanto al quarto caffè, un cameriere ci prese in considerazione e ci rivolse un breve
discorso in inglese.
—
Due Campari soda e un'aranciata, — dissi io. E allora il cameriere ci guardò male e se n'andò
seccatissimo, quasi offeso.
—
Sono scherzi stupidi, — osservò Margherita. — Potevi rispondergli anche tu in inglese.
E siccome protestai che io l'inglese non lo sapevo, Margherita affermò che lo studio delle lingue estere è
la base della vita.
È tutto quello che posso dire di Firenze.
A Roma ci arrivammo verso sera e fu una cosa improvvisa, perché Roma è una città che sorge
inaspettatamente. A una svolta ce la trovammo lì sotto, tutta intiera.
—
La città eternai — esclamai io bloccando la macchina. invitai Albertino a guardare Roma.
—
Si vede il Colosseo? — s'informò Albertino senza interrompere la lettura dei suoi giornaletti.
— Si intravvede appena laggiù in fondo, risposi.
—
Non fa niente, — mi rassicurò Albertino, — lo guardo dopo, quando è vicino. Allora mi rivolsi a
Margherita :
—
Ecco Romai — esclamai con voce vibrante. — Guardalai Margherita sospirò, dolorosamente :
—
Non hai nessuna delicatezza, Giovannino: come si fa a pretendere che una povera donna con le
ossa spezzate da dodici ore di macchina possa guardare una città così grande?
Mi inquietai seriamente.
—
Ma se quella è Roma io non posso mostrarti che Romai
—
E allora un uomo deve avere il buon gusto di sorvolare. Meglio mancar d'attenzione verso Roma
che verso la madre dei tuoi figli. Tu hai sposato me, non Roma.
Sorvolai e mi buttai a tutta birra verso la città.
La mattina seguente, fatto il pieno di benzina per la macchina e di giornaletti per Albertino, andammo a
visitare San Pietro.
Mettemmo giù la macchina poco prima della piazza col celeberrimo colonnato e ci incamminammo e
Albertino ci seguì leggendo attentamente le ultime Paperoavventure.
Gli feci presente che, se avesse alzata la testa, avrebbe visto la chiesa più celebre dell'universo.
—
Lo so, — mi rispose tranquillo. — C'è la fotografia sul libro di lettura.
Qui però avevo il colpo segreto di sicurissimo effetto.
—
Ma sul libro di lettura non c'è quel segno rotondo lì per terrai
Albertino alzò un occhio e, data un'occhiata al circoletto che gli mostravo sul selciato della piazza, vicino
all'obelisco, francamente riconobbe che, sul libro di lettura, quello non c'era.
—
A quel posto lì, nella fotografia del libro, c'è una carrozza.
Gli mostrai il colonnato di sinistra : gli feci notare i quattro ordini di colonne, poi lo trascinai fin sul
circoletto famoso.
—
Guarda un po' adesso? Quante file di colonne vedi?
Dovette riconoscere di vedere un'unica fila di colonne. Anche Margherita guardò ed esclamò che era un
fatto meraviglioso.
Albertino non si entusiasmò : partì di corsa e, arrivato al colonnato, contò le colonne e poi tornò.
—
Sono sempre quattro, — spiegò riprendendo a leggere Paperino. — Quell'affare rotondo lì è un
trucco. Per questo non lo hanno messo nella fotografia del libro di lettura.
—
Da quando c'è alla Pubblica istruzione il nuovo ministro, — osservò Margherita, — bisogna
riconoscere che i programmi d'insegnamento sono molto più seri.
Girammo fino a mezzogiorno e allora Margherita manifestò il desiderio di far colazione in una tipica
osteria romana. Ne passammo in rassegna una ventina e soltanto verso le due del pomeriggio potemmo
trovare quella che piaceva a Margherita.
Era, secondo Margherita, un capolavoro di color locale. Peccato che sulla targa ci fosse scritto « Trattoria
bolognese ».
il menù fu fissato, dopo lungo studio, da Margherita e così il trattore ci portò tre zuppe alla pavese, tre
cotolette alla milanese e un fiaschetto di Bardolino.
in compenso il trattore era toscano e il cameriere genovese.
—
Si potrebbe spedire qualche bella cartolina agli amici, — propose, arrivati al caffè, Margherita.
—
Certo, — dissi io. — Qualche bella veduta di Venezia con su scritto « Ricordo di Torino ».
Margherita non mi diede neppure retta : l'aria di Roma ormai l'aveva ammaliata. Sospirò e disse con voce
lontana :
—
Vorrei vedere Roma tutta ai miei piedi, placidamente sonnecchiante sotto il sole di primavera. È
lontano il Giardino di Boboli, Giovannino?
—
Bisognerebbe tornare fino a Firenze, — le spiegai con estrema dolcezza. Un'ombra di tristezza
passò sul suo viso.
—
Ci sarei andata tanto volentieri... Ma a Roma le distanze sono troppo grandi... Roma è immensa ed
eterna come l'Oceano al quale confluiscono tutti i fiumi... Mi piacerebbe camminare sull'acqua, sentire il
profumo degli abissi...
Poi, sempre con voce lontana, parlò di Anita Garibaldi, della Tosca e di Pio iX.
*
Albertino intanto continuava a leggere i suoi giornaletti illustrati. Li trascurò per qualche istante soltanto
quando arrivammo dentro il Colosseo.
—
Questo mi piace, — disse alla fine con molta serietà. E questo suo giudizio farà fremere di gioia le
ossa degli antichi romani.
A Napoli ci arrivammo la sera dopo e Albertino, deluso dal fatto che il Vesuvio già da quattro anni non
accenna neppur lontanamente a fumare, si disinteressò completamente della città e dei dintorni. E quando,
giunti a Pompei, io gli spiegai che Pompei è un'antichissima città sepolta dalla cenere eruttata dal
Vesuvio, Albertino continuò a leggere i suoi giornaletti : però ghignò. Aveva persa ogni stima nei vulcani.
Albertino, in complesso, era deluso e ritrovò un po' di fede nella vita soltanto al ritorno, quando si trovò
davanti al campanile di Pisa. in principio si vedeva che diffidava. Poi, compiuto un prudente giro attorno
alla marmorea torre, osservò soddisfatto:
—
Pende sul serio.
Credo che egli si sia fatta una eccellente impressione dei pisani : è positivo che egli salì sul campanile
assieme a noi e, giunto sulla cima, si interessò con palese simpatia del paesaggio.
Poi ci trovammo ad arrancare sulla meravigliosa strada della Cisa e ci fermammo a Berceto. Qui ci
accorgemmo che Albertino era sepolto fino al collo nei giornaletti illustrati comprati durante il viaggio.
Non potendo buttar via Albertino, buttammo via i giornali.
Rivedemmo Milano nel tardo pomeriggio e rivedemmo anche la Pasionaria.
—
È stata buonissima, — ci assicurò la signora che l'aveva ospitata. La Pasionaria ci guardò bieca.
—
Adesso però non sono più buona, — disse. — Sono stanca di essere buona : adesso mi voglio
riposare.
E così finì la gita di piacere.
i DUE DELLA ROTONDA
ieri sera, al Gran Ballo di Viareggio, ho rivisto, improvvisamente, i due della rotonda.
Non ricordo bene quando successe il fatto della rotonda, ma so che fu un fatto curioso.
*
Erano i primi tempi della guerra, e io, allora, giravo in bicicletta per rattristare con le mie cronache
stradali un certo quotidiano milanese, e stetti in giro un mese e più. Le strade erano deserte perché le
automobili le avevano tutte messe a dormire nei garages e s'incontrava, al massimo, qualche corriera che
navigava per vie secondarle e, più che altro, pareva un fantasma.
Un giorno d'agosto io capitai in un deserto alberghetto in riva al mare e gli unici clienti eravamo io e due
sposini giovani che stavano sempre vicini e tacevano con grande tenerezza.
L'albergo aveva una terrazza sul mare e la sera andavamo a prendere il fresco sulla terrazza, e i due
sposini tacevano per conto loro e io tacevo per conto mio.
Vicino all'alberghetto c'era una villa e, quando la luna si levava su dall'acqua, qualcuno dentro la villa
suonava al pianoforte arie di vecchie canzoni: e il pianoforte aveva una voce lontana, ovattata, come se
venisse da un altro mondo e da un altro secolo.
E i due sposini ballavano sulla terrazza deserta.
Ricordo che, una sera, il mare era fermo sotto la luna e io lo stavo a guardare dal mio angoletto solitario.
Si udì la musica del pianoforte e, dall'ombra della terrazza, uscirono i due giovani e cominciarono a
ballare, e continuarono a ballare, leggeri come se fossero fatti d'aria, silenziosi come se fossero fatti di
ricordi. A un bel momento io mi distrassi un po', o mi venne un po' di sonno, o un po' di malinconia, e
abbassai un istante solo il capo : e quando lo rialzai la musica ovattata del pianoforte continuava, ma il
terrazzo era deserto.
il mare era fermo sotto la luna, fermo come un cristallo, e i due giovani erano lì a dieci metri da me e
ballavano leggeri sull'acqua.
Continuò la musica e i due giovani continuarono a ballare e si allontanavano sempre di più verso il largo e
così lentamente scomparvero volteggiando. E si portarono via le ultime sommesse note del pianoforte.
io partii la mattina seguente e continuai il mio giro attraverso le strade malinconiche in cerca di fantasmi
da infilzare con lo spillo e da appiccicare sulla carta del giornale, poi mi accaddero le solite cose che
possono succedere agli uomini atti a fare la guerra e fu un grosso pasticcio, ma la storia dei due sposini
scomparsi danzando sull'acqua ferma e deserta non mi uscì dal cervello.
E camminando per le strade del dopoguerra incontrai gente e gente e la guardai in faccia per ritrovare le
sembianze dei due sposini della terrazza. E li ho rivisti ieri sera alla festa di Viareggio. Erano in mezzo
agli altri, e ballavano assieme agli altri.
Non ditemi che, la volta della terrazza, fu un sogno e che il cognac e la cravatta, cui non sono abituato, mi
hanno fatto vedere quello che ho visto al ballo di Viareggio : anche io sono stato giovane e ho portato
cravatte e ho bevuto cognac e so fin dove si può arrivare con una cravatta che stringe il collo e con del
cognac che picchia sulla testa : non si vedono cose di questo genere. Riempitemi di vecchio cognac fino
agli occhi, annodatemi attorno al collo cinque cravatte; riuscirete tutt'al più a farmi spezzare con la testa il
cristallo di una vetrina senza che neppure me ne venga una scalfittura, come facevo quando ero giovane e
magro e pensavo che, senza una certa ragazza di cui ora non ricordo neppure il nome, non avrei mai
potuto vivere.
io, ieri sera, al ballo di Viareggio, non ero ubriaco: io, i due sposini scomparsi dalla terrazza in riva al
mare assieme agli ultimi inutili rimpianti di una pace perduta, assieme alle ultime speranze in una guerra
che anch'essa sarebbe stata persa, io li ho rivisti davvero. E questo significa che il dopoguerra è finito.
*
io ho guardato con occhi nuovi il mondo, questa estate, e vi dico che erano gli occhi vecchi, quelli di
prima della guerra.
io ho girato per la città deserta dei giorni del ferragosto : e c'era nella città l'afa, il silenzio e la noia della
normalità.
« Tutti quelli che dovevano morire sono morti. Quelli che credevano una cosa, e quelli che credevano il
contrario.
« Anche quelli che non credevano niente e che si sono trovati coinvolti nella faccenda senza capire
niente.
« E quelli che ancora vivono incominceranno dolcemente a dimenticarli... ».
io ho letto da qualche parte queste parole e adesso mi risuonano all'orecchio, e se non le avesse
scritte un altro, le avrei scritte di sicuro io adesso. Quelle parole o press'a poco. È finito il dopoguerra, è
finita l'avventura e io risento il sapore della noia dolciastra della normalità.
La gente riprende a contare il suo danaro e ad esso si aggrappa, e la signora pensa che, se non fosse per la spesa, comprerebbe subito i pezzi che mancano per completare il servizio da caffè. La signora
ricomincia a vergognarsi di avere nel servizio da caffè tre tazze che non c'entrano né come forma né come
colore.
Tutto questo è molto bello ma è profondamente triste : e i morti sono sempre più lontani.
io ho la disgrazia di aver studiato la grammatica e la sintassi e le altre leggi restrittive dell'esprimersi
e, purtroppo, non sono riuscito a dimenticarle completamente e così non riesco a dire quello che sento perché il mio pensiero trova sì le parole giuste che
lo traducono in segni, ma le parole sbattono subito la testa in qualche regolamento e finisco impaniato in
un dannato pasticcio di parole che mi confondono le poche idee del mio repertorio cerebrale.
il fatto è che il dopoguerra è finito perché ho visto i due sposini che erano ritornati dal mare a ballare in
terra e tutto ciò è bello ma a me fa venire la malinconia.
Erano invecchiati e ingrassati e lui aveva i baffi come me e lei era uguale identica a Margherita.
Alla Margherita che vuole che io ripassi il conto del salumaio e mi scrive per domandarmi se ho comprato
il carbone per l'inverno.
Chi ci capisce in questo guazzabuglio?
È mai possibile che uno riesca a pensare con nostalgia alla malattia dalla quale è appena appena
scampato?
È mai possibile che io arrivi a pensare che. quando ero malato, speravo di guarire e adesso che sono
guarito posso tutt'al più temere di ammalarmi?
io non penso niente : io penso soltanto che qualcosa è finito e adesso bisogna cominciare un'altra cosa.
E non so quale.
UN OTTiMO AFFARE
Ci accorgemmo improvvisamente che le biciclette ci amareggiavano l'esistenza.
Perché le biciclette erano due e ce le trovavamo sempre tra i piedi e, a metterle in solaio o in cantina, non
avevamo il coraggio : si può essere ingrati ma anche nella ingratitudine c'è un limite.
inoltre le biciclette erano già prenotate da Albertino e dalla Pasionaria i quali meticolosamente provavano
ogni giorno a montare in sella per vedere se coi piedi arrivavano ai pedali.
Questo sembra un particolare di poco conto, invece ha la sua brava importanza in quanto, se non
arrivavano ai pedali, i due individui già nominati arrivavano benissimo a suonare il campanello e a
precipitare a valanga assieme alle biciclette.
Ora accadde che io e Margherita rimanemmo improvvisamente soli : Albertino e la Pasionaria si erano
dati alla mezza montagna e fu una cosa straordinaria perché la casa ci sembrò grande come una caserma.
Erano anni che non rimanevamo soli in casa, io e Margherita, e ci guardammo in faccia stupiti. — Siamo
liberii — esclamò Margherita.
Cominciammo a girare per la casa e aprimmo tutti i cassetti e tutti gli sportelli, e così, dopo aver cercato
in tutti i buchi, scoprimmo un vasetto pieno di ciliege sotto spirito.
Mangiammo tutte le ciliege e poi bevemmo anche lo spirito.
—
È straordinario, — esclamò Margherita. Sembra di mandar giù un fuoco dolce.
E, stringendolo fra i polpastrelli dell'indice e del pollice, fece schizzare un nocciolo contro il cristallo
della finestra.
Avevo un sacco di lavoro e la macchina da scrivere mi aspettava accigliata con tutto il suo alfabeto pronto
a partire in fila indiana per le strade della fantasia eccetera.
—
Al diavoloi — esclamai buttando la copertina di tela sulla macchina.
Uscimmo e andammo a bere roba spiritosa al bar.
io mangiai sette sacchettini di mandorle salate.
—
Giovannino, lo sai che poi ti fanno male, osservò preoccupata Margherita.
—
E cosa importa? Non ci sono mica i bambinii — le risposi.
*
Rincasammo alle due di notte in punta di piedi e passammo trepidanti davanti al baracchino a vetri della
portinaia.
—
Se la portinaia ci vede e poi, quando ritornano, fa la spia a quei due là, — sussurrò Margherita, —
siamo nei guai.
Riuscimmo ad entrare felicemente in casa.
—
Gliel'abbiamo fatta ai due montanari, — si rallegrò Margherita.
Ci sedemmo al tavolo di cucina a mangiare noccioline americane e semi salati di zucca.
Parlammo male di Albertino e della Pasionaria e, dico la verità, questo ci risollevò perché avevamo un
sacco di cose in magazzino contro quei due.
Faceva caldo e Margherita a un bel momento andò nella camera di Albertino e della Pasionaria per aprire
la finestra e fare un po' di corrente, ma la sentii lanciare un urlo e la vidi ricomparire terrorizzata.
—
C'è un uomo nel letto della bambinai
in verità non era un uomo ma una bicicletta da donna. La bicicletta da uomo era nel letto di Albertino.
Messe per benino, sotto le coperte, con la ruota sul cuscino.
in questo non c'era niente di soprannaturale perché molte volte mi era accaduto di trovare una bicicletta
dentro la vasca da bagno che si crogiolava beatamente nell'acqua tiepida mentre la Pasionaria le puliva i
denti della moltiplica appunto col mio dentifricio e il mio spazzolino da denti.
E poi c'era un messaggio di Albertino appuntato alla rimboccatura del lenzuolo : « Lasciarle riposare :
sono stanche di stare in piedi ».
Così ci accorgemmo, Margherita ed io, che le biciclette ci amareggiavano la vita e decidemmo di
disfarcene.
—
E la prenotazione dei bambini? — domandai io, in un secondo tempo.
—
Come abbiamo fatto noi per avere una bicicletta? — rispose Margherita. — Non ce la siamo forse
comprata col sudore della nostra fronte?
—
Col sudore della mia fronte, Margherita.
—
Mia o tua non ha importanza : siamo due fronti e un sudore solo.
Facemmo alzare da letto le biciclette e, il giorno dopo, un ometto venne a ritirarle e in cambio ci lasciò un
po' di danaro.
Non discutemmo : questa non era una questione commerciale, ma una questione di principio.
*
Passarono alcuni giorni e venne il sabato che era pieno di sole : allora andammo a curiosare in mezzo alle
affascinanti cianfrusaglie del gran mercato di porta Ticinese e girammo a lungo fra le bancarelle e le
distese di rottami.
E, a un tratto, ci apparvero, nitide e scintillanti sotto il sole, la mia bicicletta e quella di Margherita, al
posto d'onore, diritte sul loro bravo piedestallo come nella mostra di una vetrina.
Ci fermammo a guardare le due biciclette una a fianco dell'altra : e quando si avvicinò un uomo che andò
a guardarle da vicino, a me batteva il cuore e doveva battere il cuore anche a Margherita perché, allorché
l'uomo dopo un maturo esame si allontanò, Margherita si volse verso di me ed ebbe un lungo sospiro di
sollievo :
—
Meno malei
Arrivò poi una donna che gironzolò attorno alla ex-bicicletta di Margherita.
—
Antipaticai — mormorò Margherita. E ancora sospirò quando vide che la donna, domandato il
prezzo al venditore, scosse la testa e se ne andò.
—
Non capisce niente, — commentò Margherita. — Una bicicletta così non è uno dei soliti catenacci
da quattro soldi.
Rimanemmo lì un sacco di tempo: non proprio fermi lì davanti; gironzolavamo negli immediati dintorni,
poi quando vedevamo qualcuno interessarsi delle due biciclette, tornavamo ad avvicinarci.
E così passarono le ore e il sole cominciò a farsi rosso e noi stavamo ancora in agguato.
— Forse non viene più nessuno, — disse Margherita. Ma ecco che uno stramaledetto venne a galla e
cominciò a dar manate sul sellino della ex bicicletta di Margherita. Poi provò lo sterzo scuotendo il
manubrio. Provò i freni e, con una zampata sul pedale, provò la ruota libera.
Era un villanzone maledetto e Margherita lo stava a guardare quasi sgomenta e mi venne addosso una
voglia pazza di andargli a pestare la faccia.
il villanzone lasciò in pace la bicicletta di Margherita e cominciò a discutere col venditore. Pareva che non
si sarebbero mai messi d'accordo sul prezzo ma, alla fine, il villanzone cavò di saccoccia del danaro e lo
mise con malgarbo in mano al venditore, poi, agguantata la ex-bicicletta di Margherita, se ne andò.
Lo stemmo a guardare muti e sgomenti perché ci pareva un sopruso intollerabile : quando fu un po' fuori
dalla ressa, il villanzone montò sulla bicicletta e disparve pedalando come il più miserabile dei cafoni.
Margherita per un pezzo rimase a guardare verso la parte dove era sparito il villanzone, e si era aggrappata
al mio braccio come un naufrago al rottame.
Adesso la mia ex-bicicletta era rimasta sola in mezzo alla distesa di rottami e così sola faceva pena.
Margherita la fissò con malinconia.
—
Quando tu eri via e, di sera, mi veniva la disperazione, io andavo nel sottoscala dove avevo
nascosto la tua bicicletta e mi pareva impossibile che le cose non finissero come dovevano finire. « Ha
portato me su quella bicicletta », dicevo, « ha portato Albertino. Possibile che non possa portare anche la
bambina? ». E allora mi tiravo su.
io non risposi perché è meglio non dire niente quando le donne attaccano questo repertorio. E poi
un uomo si era avvicinato alla mia solitaria bicicletta e cominciava a toccarla. Doveva piacergli perché, dopo aver controllato tutti i particolari, si fece
indietro due passi per guardarsela meglio nell'insieme. E allora Margherita fece un balzo, agguantò per il
manubrio la bicicletta e se la portò davanti all'uomo del carretto.
La vidi cavare dalla borsetta del danaro e buttarlo in mano al venditore di ferri vecchi.
Dopo un minuto stava al mio fianco e, tra me e Margherita, era la mia bicicletta.
Camminammo così per un po' quindi io montai in sella, Margherita si sedette in canna e partimmo
a piena birra, alla faccia di tutti i vigili della terra e della « Topolino » che ci aspettava al posteggio. Per
fortuna nostra, in questo sudicio mondo ci sono delle cose che non si riescono a capire: per
ricomprare una bicicletta, Margherita, infatti, aveva pagato esattamente la somma che avevamo ricavato
vendendo due biciclette. Però sia io che Margherita ci trovammo perfettamente d'accordo su un punto :
—
È stato un ottimo affare.
Dico: c'è una qualsiasi logica in tutto questo?
Non c'è : ma cosa significa?
Andate al diavolo voi e la vostra logica : io pedalavo sulla mia bicicletta con Margherita in canna e si
trattava in definitiva di due squinternati e una bicicletta, ma pareva la marcia trionfale dell'Aida.
LA RiVOLUZiONE D'OTTOBRE
La Pasionaria era già pronta per uscire : si sedette con molta serietà sull'angolo del divano.
—
Me aspetto, — disse.
Mi alzai e, agguantata la giacchetta, me la infilai.
—
Sono pronto anche io, — risposi avviandomi verso la porta. Ma la Pasionaria non si alzò e, quando
fui sul pianerottolo e non la vidi arrivare, tornai sui miei passi e trovai la Pasionaria ancora seduta
dignitosamente sull'angolo del divano.
—
E allora? — domandai.
—
La barba, — rispose la Pasionaria senza scomporsi.
Ora bisogna considerare che io, nato nel cuore dell'Emilia, terra di grandi passioni, sono un impulsivo e
così, spesso, mi accorgo di aver detto cose che non ho avuto il tempo di pensare. Davanti a quella assurda
pretesa, mi ribellai con irruenza.
—
Tua madre mi ha conosciuto che avevo la barba lunga, mi ha sposato che avevo la barba lunga e
non si è mai sognata neppure che io, per uscire con lei, dovessi farmi la barba. Chi sei tu che avanzi simili
pretese?
—
io sono me, — rispose calma, quasi gelida, la Pasionaria. Andai a farmi la barba. Poi dovetti
cambiarmi anche la giacca e i calzoni e spolverarmi le scarpe : ma feci tutto ciò con tale aria di superiorità
e di disgusto che, se non ha la pelle di rinoceronte, la Pasionaria -deve averlo capito perfettamente.
Camminammo in silenzio per le strade del dolce autunno milanese, e ben presto arrivammo dove
dovevamo arrivare.
Nel piazzale davanti alla scuola c'era gente :
mamme, babbi, bambini, bambine e bidelli come nelle prime pagine di Cuore: e io ripensai all'altra
volta, quando avevo portato nello stesso piazzale Albertino e poi lo avevo abbandonato ed egli era
scomparso nella mandria, come un mattone nel muro.
io sentivo nella mia mano la piccola mano tiepida della Pasionaria e vedevo le mamme e i bimbi
e i babbi ma non respiravo l'aria di Cuore e non pensavo alle paroline zuccherate di Edmondo De Amicis.
Avevo la bocca piena di parole amare, e le masticavo a bocca chiusa e le mandavo giù, una per una, e
molte mi si fermavano in gola.
Ancora una volta dunque sta per avvenire il sopruso e io dovrò lasciare la tua mano, Pasionaria, e tu
andrai a incunearti nel buchino rimasto aperto nel muro.
Dunque addio anche a te, Pasionaria : tu esci dalla mia vita ed entri nella vita dello Stato.
Ti insegneranno l'ipocrisia statale e anche i tuoi pensieri non saranno più tuoi e vedrai le cose con gli
occhi del Ministero.
Adios, Pasionaria.
Anche questa volta, come per Albertino, io dovrò accettare il sopruso, dovrò aggiogare anche te, con le
mie mani, al barbaro, orrendo, smisurato carro dello Stato.
Adios, Pasionaria1
io, un tempo, quando sfogliavo le vecchissime Domeniche del Corriere leggevo sorridendo la spiegazione
de Le nostre pagine a colori e mi facevano pena le donnette dei lontani paesi del Mezzogiorno che si
mettevano in rivoluzione per impedire che vaccinassero i loro bambini. Ma allora non capivo un accidente
e pensavo alla greve ignoranza, e alle nebbie grasse della superstizione che inducevano le povere donnette
a reputare i medici governativi emissari di chi sa mai quale paurosa centrale di maleficio. E invece le
donnette agivano per istinto e credevano di difendere le loro creature dal maleficio, mentre le difendevano
dal sopruso dello Stato.
t un sopruso necessario ma la lancetta del medico che, per legge, inocula il benefico vaccino nel braccio di
vostro figlio, è una zanna del gran mostro, lo Stato, che uncina una nuova tenera vittima.
Adios, Pasionaria : io adesso abbandonerò la tua mano tiepida e ti sacrificherò al dio crudele creato dalla
gente che non crede in Dio perché, se vi credesse, potrebbe vivere felice all'ombra delle sue Eterne Leggi.
Adios, Pasionaria : lo Stato fa le strade e fa camminare le ferrovie e illumina le città, di notte, ma ci toglie
la libertà, e regola i nostri atti e anche i nostri pensieri, e sempre di più ci avvince nella matassa ormai
inestricabile delle sue leggi e dei suoi regolamenti, e sempre più ci trasforma in trascurabili ingranaggi di
una orrenda macchina che consuma sangue e serve solo a macinare aria.
E io che mi indigno se il treno ritarda di cinque minuti, il treno dello Stato, io ora sono pieno di amarezza
perché debbo permettere che lo Stato mi porti via la mia bambina per insegnarle l'abicì governativo.
Quale tempesta nel tenero cranio di un povero borghese che cerca di difendere la propria personalità e
quella dei suoi figlioli da quel mostro che egli stesso ha contribuito a creare e che egli stesso alimenta
togliendosi il pane di bocca.
Adios, Pasionaria.
*
Ormai le squadre si erano composte e le mamme e i padri si erano ritirati in mezzo al piazzale e i bambini
erano rimasti tutti soli, addossati al muro della scuola.
Mancava soltanto la Pasionaria e io allentai le dita.
in quel momento le porte si aprirono e i bambini cominciarono ad entrare.
Un tassì era fermo all'angolo: lo raggiunsi di corsa e, spalancato lo sportello, mi buttai dentro come un
sacco di patate.
La macchina partì di gran carriera e navigò per le strade di Milano e puntò verso la periferia.
E, quando fu davanti all'acqua azzurra dell'idroscalo, la macchina si fermò e noi scendemmo. Dico «
scendemmo » perché la Pasionaria era con me.
La Pasionaria era col ribelle.
i viali attorno al laghetto erano pieni di sole e deserti e ci divertimmo parecchio.
Ma io pensavo che a casa ci aspettava lo Stato: Margherita.
E questo mi amareggiò il divertimento. E quando a mezzogiorno tornammo, Margherita domandò alla
Pasionaria com'era andata e la Pasionaria rispose che era andato tutto bene, che la signora maestra era
buona, eccetera eccetera.
Poi mi guardò strizzandomi l'occhio perché si era stabilito che lei avrebbe dovuto dire questo e quest'altro,
e così, con una strizzatina d'occhio, finì la mia rivoluzione di ottobre.
iL CANCELLO
il primo grave problema che si presentò nella casa nuova fu quello del cancello.
L'aprire e il richiudere un piccolo cancello di ferro verniciato di grigio non sono, di per sé, operazioni
complicate : il fatto si complica quando di esso cancello esista una sola chiave. Allora chi non ha la
chiave deve suonare e farsi aprire da chi sta in casa.
E, anche se invece di una sola chiave ce ne fossero state due o tre, come si poteva affidarne una ai
bambini? Non si debbono mai affidare le chiavi di casa ai bambini. Poi, come avrebbero fatto gli altri?
il problema era grave perché alle ore otto della mattina Albertino e la Pasionaria dovevano andare a scuola
e, per andare a scuola, era necessario uscire dal cancello.
Non esistendo personale di servizio si rendeva così indispensabile che il padre o la madre dei due
fanciulletti si alzassero da letto alle otto per aprire il cancello. Ma quando si dia lo sciagurato caso che il
padre lavori di notte e vada a letto verso le cinque e che la madre possegga un fisico completamente
inadatto ad assumere la posizione verticale prima delle dieci del mattino, ecco un problema, di minima
importanza per il 98 per cento delle famiglie, diventare di portata eccezionale.
La prima mattina mi alzai io, la seconda mattina si alzò Margherita. La terza mattina non si alzò nessuno
dei due e Albertino e la Pasionaria vennero ricacciati con espressioni poco urbane nei loro alloggiamenti.
Però, la sera dello stesso giorno, io e Margherita impostammo seriamente il problema. Venne respinta
l'idea di costringere i due scolaretti a scavalcare ogni mattina il muro di cinta.
— Ciò gioverebbe molto alla loro prestanza fisica, — disse Margherita, — però li esporrebbe a gravi
pericoli.
Venne scartata pure l'ipotesi di praticare nel muro di cinta un piccolo buco sufficiente a lasciar passare i
due scolaretti. Tanto valeva lasciar aperto il cancello.
Scartata l'idea di far fare un'altra chiave e di affidarla ai due e ciò per ovvie ragioni di carattere morale e
amministrativo, si poteva, al massimo, pensare di fornire il cancelletto di una serratura elettrica a scatto,
comandata da un pulsante posto nell'anticamera : i due avrebbero fatto scattare il meccanismo, sarebbero
usciti e, riaccostando con energia il cancelletto, avrebbero ristabilita la chiusura.
Ma si trattava di una cosa piuttosto complicata che rendeva necessario l'intervento di un muratore, di un
elettricista, di un fabbro e di un non trascurabile anticipo sullo stipendio del capo famiglia. Qui, però,
arrivò improvvisamente l'idea brillante.
— Margherita, noi cerchiamo la verità troppo lontano e invece essa è quasi sempre vicinissima a noi, e
talvolta è addirittura in noi. La cosa è semplice : i bambini aprono il cancelletto : una volta usciti
richiudono dando le regolamentari due mandate, poi infilano la chiave nella cassetta delle lettere sistemata
nella parte interna del cancello.
Facemmo subito la prova generale. Albertino e la Pasionaria apersero il cancelletto, uscirono, richiusero a
due mandate, infilarono la chiave nella cassetta delle lettere. Allora io presi la chiavetta della cassetta
delle lettere, aprii lo sportellino, ricuperai la chiave del cancello e apersi il cancello.
Uscii, richiusi a due mandate e infilai la chiave nella cassettina.
—
Magnifico, — disse Margherita. — Adesso provo io.
Margherita ricuperò la chiave nella cassetta delle lettere, aperse il cancelletto, uscì, richiuse a due mandate
e infilò la chiave dentro la fessura della cassetta delle lettere.
Erano ormai le nove di sera e ci ritrovammo tutti e quattro nella strada : faceva un freddo cane : io ero in
vestaglia e ciabatte e Margherita in vestaglia e pantofole.
Margherita mi guardò perplessa.
—
Giovannino, — disse, — non so cosa sia di preciso, ma ho la sensazione che qualcosa non
funzioni.
—
Effettivamente, — risposi io, — se non riusciamo a convincere il gatto ad aprire la cassettina delle
lettere, a ricuperare la chiave del cancello e a farcela passare, credo che dovremo pernottare all'aperto.
inoltre anche domattina ci troveremo nella stessa identica situazione.
Quando si parla di cancello si pensa naturalmente a un normale traliccio di sbarre di ferro sistemate più o
meno artisticamente. Ed effettivamente il nostro cancelletto era in definitiva un normale traliccio di sbarre
di ferro : ma la prudenza del capo famiglia aveva complicato la faccenda con l'applicazione di una
robustissima e fitta rete metallica che impedisse ai malintenzionati di allungare un braccio fra le sbarre per
armeggiare attorno alla serratura o alla cassettina delle lettere.
inducemmo Albertino a scavalcare il muro di cinta e due maturi coniugi di passaggio osservarono ad alta
voce che soltanto i genitori del giorno d'oggi possono avere l'incoscienza di insegnare ai figli certe cose.
—
Ai miei tempi i padri davano scapaccioni ai figli che tentavano di scavalcare muraglie o cancelli,
— disse lui.
—
E le madri non andavano in giro di notte per le strade in vestaglia, — aggiunse lei.
Una volta che Albertino fu entrato la cosa si presentava nel modo più semplice possibile : bastava aprire
la cassettina delle lettere, ricuperare la chiave e aprire il cancello.
Ma, naturalmente, la cassettina delle lettere era chiusa : Margherita, ricuperata la chiave per uscire, aveva
richiuso lo sportellino e messa in tasca la chiavetta. Poco male, si trattava di passarla ad Albertino : ma
qui Margherita commise una imperdonabile leggerezza : la passò sì, ma infilandola dentro la fessura della
cassettina per la posta.
Scavalcai io il muro di cinta e quando, a prezzo di sacrifici non indifferenti, riuscii a passare, l'avventura
non era finita : infatti dopo di' me passò Margherita e fu un'impresa gloriosa anche se Margherita ebbe il
mio appoggio morale per la salita e il mio sostegno materiale per la discesa. Quando Margherita toccò la
terraferma si udì dalla strada la voce della Pasionaria :
—
E me chi mi fa passare?
Dovetti rifare il cammino percorso, scendere in strada, allungare, di sopra il muro di cinta, la Pasionaria a
Margherita, riarrampicarmi, ridiscendere. in complesso tre viaggi di andata e tre di ritorno.
in casa accendemmo un po' di fuoco e ci rimettemmo a posto. indi impostammo il problema del ricupero
delle due chiavi.
Con straordinaria leggerezza Margherita disse che, secondo lei, bastava cavare il cancello e capovolgerlo.
Trovai molto più semplice svitare la cassettina delle lettere e capovolgere la cassettina.
A mezzanotte l'ordine era completamente ristabilito e Margherita sospirava dolorosamente:
—
Cosicché io sono condannata a rimanere perennemente in casa, — disse. — Diventerò una sepolta
vivai
—
No, Margherita, questa esperienza ci è stata utile perché ha rivelato l'insidia nascosta nel sistema :
bisogna tener presente che l'ultimo ad uscire non deve infilare la chiave nella cassettina, ma tenerla in
tasca.
La mattina dopo ci fu la prima prova pratica : Albertino e la Pasionaria uscirono alle otto per andare a
scuola, richiusero e infilarono la chiave nella cassettina. Disgraziatamente Albertino si mise in tasca la
chiave della cassettina e alle dieci, quando volli uscire io, non potei ricuperare la chiave del cancello e
dovetti scavalcare.
La famiglia venne vettovagliata dai garzoni dei bottegai con lanci al di sopra del muro di cinta : rientrai
scavalcando le mura alle undici. A mezzogiorno ritornarono Albertino e la Pasionaria : e, ricuperata la
chiavetta della cassettina, potei riaprire il cancello.
Margherita si inquietò allora terribilmente coi ragazzi :
— Da oggi la chiave della cassettina la tengo ioi — disse con decisione. — Non devono più esser
possibili questi pasticcii
Alle 15 Margherita uscì coi ragazzi e, siccome io stavo lavorando nel mio studiolo in soffitta, chiuse il
cancello e buttò la chiave nella cassetta. Alle 16 mi telefonarono e dovetti correre in piazza del Duomo
per un affare importante. Ma la chiave della cassettina l'aveva Margherita e così scavalcai.
Alle 18 ritornò Margherita sola perché i bambini erano rimasti dalla signora Marcella al Sempione e si
trovò davanti al cancello chiuso con la chiave del cancello dentro la cassettina.
io rincasai tardi, verso le 20, e Margherita passeggiava in su e in giù davanti al cancello.
Francamente non me la sentivo di scavalcare ancora il muro di cinta : andammo a mangiare al ristorante e
dormimmo all'albergo.
il giorno dopo (era domenica) ricuperammo nel tardo pomeriggio Albertino e la Pasionaria. Allora feci
scavalcare il muro ad Albertino, poi gli passai la chiave della cassettina e così poté aprirci.
—
Questa è una casa di matti, — osservò con disgusto la Pasionaria. — Me sono stufa. Un bel giorno
mi piglio su e vado per conto mio.
—
E dove? — si informò ironica Margherita.
—
i miei affari sono miei, — rispose la Pasionaria.
Adesso Albertino e la Pasionaria escono la mattina dalla finestra del pianterreno. Ma è una cosa che deve
finire. O si trova un sistema o si tengono a casa da scuola. La cultura è una eccellente cosa, ma prima di
tutto importa la salute.
L'ESAME
io stavo leggendo seduto davanti alla finestra spalancata e Albertino si avvicinò e mi domandò:
—
Babbo, sei onesto?
Questa non è una domanda facile, anche ammesso che uno sia abituato a frequenti esami di coscienza, e
così rimasi imbarazzato.
—
Non capisco che cosa possa interessarti, borbottai.
—
Mi serve per il tema dove ci vuole la descrizione dei genitori: però non come ho fatto l'anno scorso
con le misure della larghezza, della lunghezza, del perimetro, eccetera. Qui ci vuole la onestà, la
laboriosità, l'attività, l'amor di patria e via discorrendo.
Margherita intervenne.
—
Si tratta di un ritratto morale dei genitori, — disse. — Noi crediamo di vivere incontrollati, tra le
mura della nostra casa, e invece i bambini ci guardano.
—
Anche le bambine, — affermò la Pasionaria con aria di sottilissimo sarcasmo.
—
Non sono cose per te, — ribatté seccamente Margherita. — Guarderai quando sarai in quarta come
tuo fratello.
La Pasionaria rispose che lei, invece, guardava fin che voleva anche se non era ancora in nessuna classe,
ma Margherita non raccolse la provocazione e la cosa finì lì.
—
Babbo, sei onesto? — domandò Albertino.
—
Son cose che non si chiedono neanche, esclamai. — Tu mi conosci, sai quello che faccio, come mi
comporto : lo devi giudicare da solo se sono onesto o no.
Albertino ritornò al suo tavolo.
—
io, quando sono a scuola, o tu sei via da casa, non lo so quello che fai, — obiettò preoccupato.
Era logico che mi risentissi e mi risentii.
—
Bella fiducia che dimostri nei riguardi di tuo padre. Come puoi pensare che io faccia il galantuomo
in casa e il farabutto fuori?
—
Questo non è un ragionamento che funziona, — saltò su Margherita. — C'è un sacco di gente che
ha una doppia vita e nessuno lo sa. il bambino non è in grado di compiere un'indagine di questa portata.
Giovannino, suvvia, diglielo o non potrà svolgere il tema.
Ebbi uno scatto d'impazienza :
—
Ma si capisce, perbaccoi
Albertino fece cenno di sì con la testa : poi, dopo aver masticato accuratamente il portapenne per qualche
minuto, andò a parlottare all'orecchio di Margherita.
—
Giovannino, — disse poco dopo Margherita. — Sii gentile e dagli una risposta precisa.
—
Sono un galantuomoi — esclamai. — E mi meraviglio che ci possano essere dei dubbi in
proposito.
Albertino fece ancora cenno di sì con la testa poi ritornò a parlottare all'orecchio di Margherita.
—
Sì, sì: galantuomo e onesto sono la stessa cosa, — lo rassicurò Margherita. E allora Albertino andò
a scrivere sul suo quaderno.
Passarono cinque minuti poi Albertino ritornò con molta cautela alla carica :
—
Sei anche laborioso, babbo?
—
Sì, Albertino, — risposi con dolcezza. Sono laborioso, amo il mio mestiere, sopporto dei sacrifici
per il bene della famiglia, della patria, della civiltà.
Albertino prese nota con cura di ogni cosa sul suo quaderno poi rialzò il capo :
—
E come padre, come sei? Qui mi rifiutai di rispondere:
—
Questo lo devi giudicare tu che sei mio figlio, — affermai.
—
Anche io sono tuo figlio, — esclamò la Pasionaria con impeto.
—
Certamente: e siete perciò voi, miei figli, che dovete giudicarmi come padre.
Albertino e la Pasionaria si ritirarono nella stanza vicina per prendere di comune accordo una decisione
circa le mie qualità di padre. E la discussione fu lunga e piena d'animazione. Alla fine i due rientrarono e
Albertino si andò a insediare al suo tavolo e prese a scrivere. io levai gli occhi ma il viso di Albertino era
impenetrabile.
incontrai lo sguardo della Pasionaria. E la Pasionaria strizzò l'occhio e mi fece un cenno come per
significare : « Non ti preoccupare, è andato tutto bene : ci ho pensato io a sistemare ogni cosa ».
La Pasionaria è ancora analfabeta ma sa ugualmente difendersi dalle insidie dell'alfabeto : quando
Albertino ebbe scritto, la Pasionaria prese il quaderno e lo portò a Margherita.
Parlottarono; poi Margherita, data una scorsa alla paginetta, rassicurò la Pasionaria : era scritto come
voleva lei.
Albertino asciugò con cura la paginetta e ripose il quaderno nella cartella, confortato dall'assistenza della
Pasionaria che si interessa sempre di queste interessanti operazioni : così i due si distrassero e Margherita
poté comunicarmi con un soffio di voce :
« Un po' burbero ma simpatico ».
Ebbi un sospiro di sollievo : anche stavolta mi era andata bene. L'esame di padre era stato felicemente
superato. Si capiva che la Pasionaria aveva spinto molto e gliene fui grato.
STORiA Di MiLLE LiRE
Andai in centro a fare delle compere e, alla fine, mi trovai con sole mille lire nel portafogli e senza
sigarette.
Allora entrai da un tabaccaio, chiesi un pacchetto di svizzere e misi sul banco il mio biglietto da mille.
—
Che roba è? — mi domandò il tabaccaio incuriosito indicandomi la banconota.
—
Un biglietto da mille, — risposi. il tabaccaio chiamò la moglie che stava leggendo il giornale
all'altra estremità del banco.
—
Maria, guarda qui.
La donna volse il capo e, di lontano, diede un'occhiata al biglietto da mille.
—
Ahi — disse, — è tornato in centro.
il tabaccaio si informò se abitavo a Porta Volta.
—
Abito dalle parti di Lambrate, — spiegai.
—
Si vede che ha cambiato ancora rione, osservò il tabaccaio. — Era già un mese che non capitava in
centro. Lo conosciamo tutti qui.
io guardai allora la banconota e mi mancò il respiro : era il biglietto da mille più falso dell'universo. Ma
così spudoratamente falso da ispirare il più vivo disgusto.
Perché, anche nel fabbricare un biglietto da mille falso, occorre un minimo di dignità, se non di coscienza
professionale : bisogna almeno rispettare il formato e, per quanto riguarda il disegno, è indispensabile, se
non proprio copiare diligentemente quello originale, almeno ispirarsi ad esso nelle linee generali. La
banconota che avevo davanti era semplicemente una interpretazione quanto mai arbitraria e gratuita del
biglietto da mille.
Un biglietto da mille di quel genere poteva aspirare soltanto a essere preso in considerazione come
biglietto da cinquanta lire.
Riconsegnai le sigarette e ripresi l'orrendo biglietto da mille.
—
È andata male, — sghignazzò il tabaccaio. — Nella vita bisogna saper incassare i colpi con
filosofia.
Mi avviai verso il posteggio, ma rinunciai immediatamente all'idea di ricuperare la mia macchina. Dovetti
poi rinunciare all'idea di prendere un tassì e a quella di salire su un tram.
Andai a casa a piedi e arrivai in condizioni di spirito non invidiabili.
—
È andato tutto bene? — mi domandò Margherita.
—
Tutto bene, — risposi, perché mi vergognavo di confessare d'aver incassato quel dannato biglietto
da mille.
—
Ottimamente, — esclamò Margherita. Allora probabilmente sei riuscito a spendere anche quel
maledetto biglietto da mille falso che ti avevo messo nel portafogli assieme agli altri.
io non parlo ai giovanotti, parlo agli uomini fatti, ai vecchi lupi di matrimonio. Essi mi comprendono :
essi sanno che le signore hanno spesso queste geniali trovate. il concetto del marito-cavia è molto diffuso
nelle famiglie borghesi. Non occorre quindi insistere.
io mantenni un contegno ammirevole, quella volta. Trassi di tasca il maledetto biglietto da mille e lo porsi
a Margherita.
—
Quando si ha l'ingenuità di accettare simili orrori, si deve avere l'onestà di accusare lealmente il
colpo. Si prende il biglietto da mille e lo si brucia. Oltre al resto è reato il mettere in circolazione biglietti
falsi. Leggi, c'è scritto anche qui, sul biglietto, in questi quadratini.
Nel quadratino di sinistra e anche in quello di destra Margherita non lesse niente perché c'erano
soltanto dei puntolini e dei trattini completamente indecifrabili né, d'altra parte, si potevano pretendere da
un biglietto falso delle affermazioni ispirate alla legalità. Ma, anche davanti alla evidenza di un biglietto
da mille autentico, Margherita mantenne il suo punto di vista.
—
Chi me lo ha dato se lo deve riprendere.
—
E chi te lo ha dato, Margherita?
—
Non lo so, ma siccome vado a far spesa da tutti, me lo possono aver dato tutti.
Scese e ritornò dopo sole due ore e, in verità, fece anche presto perché, per litigare con un panettiere, un
salumaio, una droghiera, una fruttivendola, un macellaio, una merciaia, un calzolaio, un tabaccaio e un
pasticcere ci vuole il suo tempo. Anche a litigare in fretta, come sanno fare le signore, due ore sono un
vero primato.
in compenso Margherita aveva ancora il suo biglietto da mille più falso che mai. in questi casi però la
portinaia salva tutto. Venne su la portinaia e Margherita impostò decisamente l'affare:
—
Se riesce a farlo andare si fa a mezzo.
Passarono due giorni cupi: finalmente riapparve la portinaia che porse a Margherita un ottimo biglietto da
cinquecento.
—
L'ho dovuto portare fuori zona, — spiegò. — Qui nel quartiere tutti lo conoscono nelle botteghe e
anche i garzoni lo sanno a memoria, quel maledetto biglietto. Adesso viaggi dove vuole.
io vi ho detto che quel biglietto da mille era il più spudoratamente falso dell'universo: una falsità
disgustosa, repellente. Ma, in realtà, era anche bieco e protervo, e fummo contenti di essercene liberati. E
parve che in tutto il quartiere si diffondesse un senso di ottimismo perché quel biglietto era l'incubo di
tutti i bottegai e di tutte le donne che andavano a fare le loro spese dai bottegai.
il fatto è che, un giorno, la portinaia venne su a dare l'allarme.
— È stato rivisto nel quartierei Una vecchia ha tentato di rifilarlo al salumaioi
Nei giorni seguenti il maledetto biglietto fu avvistato in drogheria, in macelleria, dal fruttivendolo e dalla
merciaia e il nervosismo aumentava. Poi non se ne parlò più e ciò accadde semplicemente perché
Margherita lo aveva dentro la sua borsetta.
Quando lo scoprimmo ci guardammo sgomenti. Ma io tagliai corto : presi con disgusto l'infame biglietto e
lo avvicinai alla fiammella del gas. Ma Margherita vigilava e lo catturò al volo.
—
È una questione di principio, — disse con voce dura. — Come l'ho ripreso, così dovrà andarsene.
Seguirono dei giorni molto pesanti per tutta la famiglia : Margherita si spinse anche nei quartieri lontani e
tornava la sera stanca morta. E, alla fine, dovette arrendersi. Chiamò la portinaia e le affidò ancora il
biglietto :
—
Se va, si fa metà per uno.
il quartiere ritornò in allarme perché la portinaia entrò in azione subito scatenando tutte le cameriere che
venivano a farle visita. Poi fu la quiete.
Riapparve dopo una settimana la portinaia e porse a Margherita un fiammante biglietto da cinquecento.
—
Sono riuscita, — spiegò. — Ma ho dovuto spingermi fino a Baggio. Adesso che viaggia in
periferia possiamo stare più tranquilli.
Margherita ha uno strano concetto dell'aritmetica e, quella sera, era particolarmente soddisfatta :
—
Giovannino, — disse, — adesso siamo pari. Cinquecento lire le ho prese la prima volta,
cinquecento la seconda. Mille partite e mille tornate.
io non sollevai obiezioni e andammo a letto contenti. Ma, all'una di notte, Margherita si risvegliò di
soprassalto.
—
Giovannino, — esclamò. — Allora, se io prendessi ancora il biglietto falso e facessi la stessa storia
con la portinaia, guadagnerei cinquecento lire. È possibile?
—
È meglio non pensarci, Margherita, — le risposi.
Margherita non ci pensò più e passarono quattro settimane. Poi accadde che, una sera, sentii un urlo di
orrore e corsi in cucina e Margherita stava guardando ad occhi sbarrati dentro un cassetto della credenza.
E, si capisce, dentro il cassetto c'era il maledetto biglietto da mille.
Questa volta io non esitai.
Agguantato il biglietto da mille con una pinzetta perché mi faceva ribrezzo, lo avvicinai alla fiammella
del gas. Margherita mi lasciò fare.
E quando il biglietto dannato fu sulla fiammella, il gas si spense.
Allora Margherita si lasciò sfuggire un gemito e si accasciò su una sedia.
Beninteso, è il caso, il puro caso che fa avvenire una interruzione del gas proprio nel momento in cui la
fiammella sta per lambire un maledetto biglietto da mille falso come Giuda. E, beninteso, un uomo che
ragiona, ci ride sopra e, acceso un fiammifero, dà fuoco al biglietto.
il fatto è che io non accesi il fiammifero e rimisi nel cassetto il biglietto da mille.
Voi fate benissimo a non credere a queste storie dove, in qualche modo, c'entra il soprannaturale o merce
del genere. Sono solenni stupidaggini e c'è da vergognarsi anche soltanto a parlarne. Voi fate benissimo :
però i fatti sono fatti, e questa faccenda arrivò ad ossessionarci e, ogni tanto, io e Margherita
socchiudevamo il cassetto e davamo un'occhiata al biglietto diabolico. Ed era sempre lì bieco, repellente e
tanto falso che lo si vedeva anche col cassetto chiuso.
Un giorno io raccontai questa storia a un mio amico cassiere di banca ed egli volle vedere il famoso
biglietto. Lo mettemmo in una busta e glielo portammo.
Margherita ebbe un fremito osservando la disinvoltura con la quale il cassiere maneggiava la banconota e
la palpava e la guardava controluce.
—
Difettoso nella stampa ma buono, — sentenziò alla fine. — Ce ne vorrebbero di biglietti come
questo.
Poi lo mise assieme agli altri e ci diede in cambio due biglietti da cinquecento.
Ritornammo a casa sbalorditi.
Lungo la strada Margherita si fermò :
—
Giovannino, — disse, — cinquecento le ho avute dalla portinaia la prima volta, cinquecento la
seconda, mille le abbiamo avute adesso e fa duemila : è possibile che abbiamo guadagnato mille lire
nette?
—
Tutto è possibile in questo strampalato mondo, — risposi.
LA DONNA E LA “E”
La Pasionaria sta lottando con la « e » e si tratta di una lotta titanica perché la carta del quaderno è una
porca cosa che si raggrinza subito come la faccia di una vecchia di cento anni quando ride; la penna ha
una punta maledetta e si pianta ogni momento nella carta. inoltre l'inchiostro è un mascalzone che, appena
vede un po' di bianco, vi si butta sopra a pesce.
E poi, a parte il fatto che la « e » è una vigliacca piena di capricci come una diva del cinema, occorre tener
presente che la Pasionaria ha cominciato la scuola priva di ogni ingombrante bagaglio culturale. Perché,
quando qualcuno, l'estate scorsa, le mise un lapis fra le dita, la insediò davanti a un quadernetto sulla
prima pagina del quale erano state segnate alcune aste e tentò di indurla a riempire la riga di asticciole
simili a quelle del modello, la Pasionaria non perdette la sua calma. Depose il lapis sul tavolo e chiuse il
quaderno.
— Me le aste le so già leggere, — spiegò. Poi quando vado a scuola imparo a scriverle.
E in tal modo, adesso sta lottando con la « e » ed è una lotta titanica.
*
Arrivata alla quinta « e » la Pasionaria si fermò per riprendere fiato. Margherita stava dormendo sdraiata
sul divano e la Pasionaria la guardò poi sospirò:
—
E intanto che me lavoro lei dorme.
—
Lei sa già fare la « e », — le spiegai.
—
Anche tu la sai fare, ma non dormi però, — ribatté la Pasionaria.
—
Questione di temperamento.
—
Tu almeno qualche volta mi aiuti, — continuò la Pasionaria, — mi accomodi i miei giocattoli
eccetera, ma lei cosa fa per me?
La Pasionaria discese dalla sedia e andò a guardar fuori dalla finestra. Dovette salire su uno sgabello
perché non ci arrivava.
—
Delle volte mi vien voglia di morire, sospirò. Mi preoccupai.
—
Molte volte?
La Pasionaria mi mostrò tre dita straordinariamente sporche d'inchiostro.
—
Accidenti, è tantoi — esclamai vivamente impressionato.
Provai ad allungarle un paio di caramelle e la Pasionaria cominciò a masticarle distrattamente.
—
Non c'è più passione a lavorare, — disse dopo un po'.
Evidentemente stava attraversando una crisi particolarmente dolorosa e, in questi casi, è prudente non
intervenire con le solite argomentazioni a sfondo ottimistico.
Continuò a guardare fuori dalla finestra e a un tratto si volse e osservò Margherita.
—
Quello che mi fa impazzire è che lei continua a dormire come se niente fossei — esclamò. —
Potrei anche star male da morire, ma lei dorme.
Andò a sedersi nervosamente sulla sua sedia davanti al tavolino, riprese la penna, la intinse, poi si curvò
sul suo quaderno e riprese la lotta titanica con la « e ».
Non continuò molto perché la penna le si piantò sul foglio e, passata la carta, andò a conficcarsi nel legno
del tavolino.
—
Resta lì te, la maestra e il direttorei esclamò lasciando la penna conficcata sul tavolino e
volgendosi verso di me.
Dissi che bisognava aver pazienza, non raccogliere le provocazioni. Lasciar correre.
—
Ma ci vuole proprio? — domandò con stizza.
—
Che cosa?
—
La «e »i
—
Ci vuole sì : senza la « e » non funziona più niente. Come fai, per esempio, a dire « pecorelle » se
non usi la « e »?
—
Dire la so. È scriverla che è difficile. Potevano almeno farla meno complicata. La « i » mi piacei
Le risposi che era necessario farsi forza e imparare anche la « e ». La « e » è la base di tutto.
La Pasionaria tornò ad aggrapparsi alla penna ma prima di ricominciare la sua lotta ebbe uno scatto di
ribellione.
—
E lei, intanto, continua a dormire i
Riconobbi che il contegno di Margherita era riprovevole, quasi provocatorio, e avanzai una proposta.
—
E se la cambiassimo e ne prendessimo un'altra magari più giovane e più simpatica? La Pasionaria
aveva ripreso il corpo a corpo con la stramaledetta « e ». Non abbandonò la sua impresa : si strinse nelle
spalle e, senza voltarsi, borbottò:
—
Ormai che c'è, teniamo quella lì. Ma, un giorno o l'altro, finisce che succede qualcosa di grosso.
Le domandai con bel garbo cosa intendesse fare.
—
Non si sa quel che posso fare me, quando mi viene il nervosoi — rispose.
L'ESTRANEO
Nelle famiglie, a un certo momento, il padre si accorge che c'è in casa un estraneo.
La madre è un'altra cosa : e poi io non sono mai stato madre e, in queste faccende, io mi baso
esclusivamente sulle mie esperienze personali.
io, dunque, a un bel momento, mi accorsi che in casa c'era un estraneo.
Ricordo che, quando accadde, stavamo a tavola e io passai attentamente in rassegna la famiglia e risultò
che eravamo sempre i soliti quattro: una Margherita, un Albertino, una Pasionaria e un Giovannino.
Eppure sentivo che l'estraneo c'era, e seduto proprio lì: e l'estraneo era difatti Albertino.
Albertino ha soltanto nove anni, ma possiede già una sua amministrazione personale, completamente a sé:
è pieno di dignità e assai riservato e, nei quotidiani rapporti con me, si limita a comunicarmi le cose
essenziali.
Nel corso di una settimana durante la quale lo trovai particolarmente loquace, ricordo che sentii tre volte
la sua voce. il lunedì mattina venne nel mio studio a dirmi: « il caffè bolle ».
il giovedì sera, dopo cena, in tinello, levò su la testa dal libro che stava leggendo e mi domandò: « Chi
sono gli antipodi? ».
il sabato partì con sua madre per la villeggiatura e, prima di uscire, mi disse : « Buon giorno ».
Egli ricorre a me soltanto in casi di estremo bisogno. Un giorno mi comunicò che il maestro voleva da lui
un metro quadrato di carta, diviso in decimetri quadrati; e uno dei decimetri quadrati doveva poi essere
suddiviso in centimetri quadrati.
Confesso che raramente io lavorai con tanta cura e tanto impegno: presi un gran foglio di carta, vi
disegnai sopra un quadrato avente un metro di lato, disegnai dentro il quadrato la rete dei decimetri e, nel
primo quadratino a destra in alto, tracciai il reticolo dei centimetri quadrati.
—
Va bene? — mi informai alla fine.
Albertino controllò con cura se effettivamente i lati del quadrato grande erano di un metro ciascuno, contò
uno per uno i quadretti dei decimetri poi i quadrettini dei centimetri.
—
Manca un centimetro quadrato, — disse quando ebbe terminato. — Sono novantanove. Risposi
che era impossibile :
—
Ogni lato del quadrato è diviso in dieci parti uguali e le righe che corrono parallele ai lati, dato che
dieci per dieci fa cento, vengono a formare appunto cento quadrettini uguali. Ad ogni modo ricontali e
vedrai che sono giusti.
—
Non occorre, — rispose Albertino. — Mi fido.
Questa sua affermazione mi fece molto piacere, ma adesso non bisogna uscire di carreggiata. Albertino,
insomma, è un tipo così e, una bella sera, mi accorsi che in casa mia c'era un estraneo ed era proprio
Albertino.
io non dissi niente a Margherita perché, se uno parlasse a Margherita di estranei in casa, succederebbe una
scena da romanzo giallo : andai a sdraiarmi sul divanetto del mio studio e attesi con una certa ansia.
Perché ero sicuro che qualcosa sarebbe successo.
Ed ecco che, poco dopo, entrò Albertino.
—
Un mio compagno di scuola mi ha detto che tu hai scritto dei libri, — mi comunicò Albertino.
Risposi che effettivamente avevo scritto qualche libro.
—
Vorrei leggerli, — disse Albertino.
Ecco : questa era una cosa che non mi aspettavo e mi colse di sorpresa. Quasi come se mi fossi trovato in
fallo.
—
Sono quelli là tutti in fila, nel secondo ripiano dello scaffale, — gli spiegai cercando di rimanere
calmo.
Albertino andò a guardare uno per uno i libri del secondo ripiano e, intanto, io facevo il mio esame di coscienza. No : potevo stare tranquillo, neanche nei primissimi libri c'erano cose che potessero in
qualche modo risultare poco adatte a un bambino di nove anni.
—
Posso prendere questo?
Era la mia ultima raccolta di racconti e risposi che lo prendesse pure.
Quando sul tardi passai davanti alla porta della sua stanzetta, la tendina di un cristallo era spostata e io
vidi che Albertino stava leggendo.
Quando fui solo con Margherita le confidai le mie preoccupazioni.
—
Mi ha chiesto da leggere uno dei miei libri, — dissi.
—
Qualcuno gli deve aver detto che tu scrivi, — rispose Margherita. — La scuola pubblica ha
questo difetto : i piccoli si trovano a contatto coi
più grandi e imparano quello che non dovrebbero. Margherita, quando parla così, non è che intenda fare
dell'umorismo. Essa è convinta che il mio, pure essendo in definitiva un mestiere onesto, non è molto
serio e, ogni tanto, tira fuori dal sacco l'antica, dannata faccenda della mia laurea :
« ...Giovannino, anche se tu avessi preso la laurea e ti fossi impiegato, avresti benissimo potuto scrivere
quello che volevi... ».
Margherita sospirò.
—
Non dovevi darglielo, il libro. È stata una imprudenza.
Mi arrabbiai e le dissi che, alla fine, nel libro non c'era nessuna porcheria.
—
Ma il libro lo hai scritto tu, Giovannino. i figli non dovrebbero mai leggere i libri che scrivono i
padri. Se fosse roba scientifica, chimica, fisica eccetera allora sì, ma roba letteraria no assolutamente.
Specialmente roba come la tua, dove non si capisce quando parli sul serio o quando scherzi, quando
racconti dei fatti veri o dei fatti inventati. Chi sa mai come li può interpretare.
—
Li interpreti come vuole i -- esclamai. Molta gente ha letto i miei libri e li ha trovati piacevoli.
Anche all'estero c'è stata gente che li ha trovati piacevoli. il giudizio di un marmocchio di nove anni non
può certamente preoccuparmi.
Spensi la luce ma il mio cervello continuò a funzionare. E ciò non fu una buona cosa.
Rividi Albertìno a tavola durante la colazione e mi diedi l'aria più disinvolta che io potessi: Albertino non
entrò in argomento. E così accadde la sera. Ma la sera seguente, mentre io stavo sonnecchiando sul mio
divanetto, arrivò Albertino.
Aveva il libro tra le mani: si avvicinò allo scaffale, infilò il volume tra quelli del secondo ripiano, poi si
avviò per uscire.
—
L'hai già letto? — dissi io.
—
Sì, — rispose lui. — È scritto grosso e si fa presto. E fu tutto quello che disse.
*
Nelle famiglie, improvvisamente, il padre s'accorge che c'è in casa un estraneo. La madre non se ne
accorge mai e per lei il figlio sarà sempre il suo bambino.
Ma il padre non si inganna : c'è uno scatto, a un certo momento, ed ecco che il bambino non è più quello
di prima.
Egli, il padre, si sente guardato con altri occhi: con gli occhi dell'estraneo ed avverte il gelo di quello
sguardo.
Si sente studiato, sa che ogni suo gesto verrà giudicato senza pietà. È un'indagine inconscia : il ragazzo
studia il padre per sapere se è più forte o più debole di lui. La parte fisica non lo preoccupa, avverte che
egli sta salendo mentre il padre sta discendendo : gli interessa l'altra forza, o l'altra debolezza.
La vita è una lotta crudele fra uomo e uomo e il primo avversario di un uomo è suo pkire. E,
inconsciamente, il ragazzo, a un bel momento, comincia a studiare il suo primo avversario naturale. E
siccome lo guida l'istinto, egli non sbaglia mai il suo giudizio : in seguito, il ragionamento o particolari
contingenze potranno modificare questo giudizio ma, alla resa dei conti, l'istinto tornerà sempre ad avere
la meglio.
A un certo momento il padre si accorge che c'è in casa un estraneo ed è il figlio che lo guarda con occhi
nuovi : il figlio che studia il suo avversario : ed è questo un momento molto importante perché alla fine il
ragazzo, pur senza saperlo, avrà formulata nei riguardi del padre la sua sentenza. E se lo giudicherà più
forte sarà suo alleato.
Queste sono cose che non sono allegre; però bisogna pur pensarle, non essere ipocriti anche con se stessi.
LA PRiGiONiERA DEL SOGNO
Arrivate a una certa età, le signore cominciano a fare delle importanti scoperte.
—
Giovannino, — mi domandò un giorno sospirando Margherita, — non ti sei mai accorto che io ho
dentro in me un mondo tutto mio?
—
No, Margherita, — risposi onestamente.
—
io ho dentro in me un mondo tutto mio, — spiegò Margherita. — Con gli atti, con le parole e coi
pensieri connessi a questi gesti e a queste parole, io vivo nel nostro mondo : ma vivo
contemporaneamente con altri pensieri in un mondo segreto, tutto mio. E mi aggiro sola, squallidamente,
disperatamente sola per le strade misteriose di questo mondo. E talvolta mi smarrisco e ho paura e urlo
angosciata ma nessuno sente la mia voce.
La cosa si presentava piuttosto preoccupante.
—
Se è un mondo tutto tuo, — obiettai, dovresti conoscerlo perfettamente.
—
È un mondo tutto mio nel senso che io sono tutta sua, sono prigioniera di questo mondo
misterioso, popolato di ombre, di desideri e di paure. Prigioniera e sconsolatamente sola. E trascino i miei
piedi doloranti per quelle strade che cominciano sempre e non finiscono mai.
—
Brutto affare, Margherita, — dissi. — Non avresti la possibilità di procurarti almeno una
bicicletta? Risparmieresti un sacco di fatica. Margherita mi guardò con palese disgusto. Ma io le parlai
con estrema dolcezza :
—
Non scherzo, Margherita. Cerco semplicemente di render più leggero questo tuo disperato
peregrinare. Siccome è un mondo creato dai tuoi pensieri e nel quale vivi col pensiero, è sufficiente che tu
pensi intensamente di viaggiare per le sue strade in bicicletta anziché a piedi e ti sentirai molto risollevata.
Ti avrei consigliato di pensare a una buona automobile, ma disgraziatamente non sai guidare.
Qualche giorno dopo ricominciò a parlare di quel mondo tutto suo e io mi informai con discrezione :
—
Margherita, hai provato a pensare a quello che ti avevo detto?
—
Sì.
—
Sei riuscita a procurarti la bicicletta?
—
Sono riuscita, — spiegò. — t stata una cosa penosa perché quello è un mondo fatto tutto di poesia,
ma alla fine la mia forza di volontà ha vinto.
—
Come ti trovi viaggiando in bicicletta?
—
Mi sento molto meno stanca e faccio assai più strada.
Per una settimana intera trovai Margherita in eccellente disposizione di spirito : evidentemente il non
dover viaggiare più a piedi nel suo mondo misterioso le aveva procurato un notevole giovamento. Ma un
giorno la trovai cupa.
—
Margherita, come vanno le cose del tuo mondo?
—
Male, — sospirò.
—
E la bicicletta?
—
Ho ripreso a vagare a piedi : mi si è bucata la gomma posteriore. Mi arrabbiai.
—
Margherita, — esclamai, — se sei riuscita a procurarti una bicicletta quale difficoltà puoi
incontrare pensando di trovare un pezzetto di gomma, un tubetto di mastice e una pompa?
—
Ho già tutto e ho provato : ma non riesco a togliere la copertura.
—
È una cosa semplicissima : sforzati un po' Margheritai Scosse malinconicamente il capo.
—
Datti da fare, gira, Margherita : è mai possibile che in questo tuo mondo non esista una bottega di
ciclista?
—
Nel mio mondo non esistono che ombre, desideri e paure. È questo il terribile, Giovannino. Sono
solai
Le agguantai una mano e la trascinai con me nel camerone che serve da garage e da officina. Tolsi giù
dall'uncino la mia bicicletta, le mostrai per due o tre volte come fosse facile cavare la copertura della ruota
posteriore, rappezzare il pneumatico e rimettere a posto tutto.
Le ordinai di provare.
Dopo molti sforzi riuscì a togliere la copertura e a rimetterla.
La abbandonai ai suoi pensieri, ma non ero preoccupato perché la vedevo pervasa di ottimismo.
Le lasciai tre giorni di tempo per riparare la gomma della bicicletta. Poi entrai direttamente in argomento:
—
E allora? Accomodata?
—
Non riesco, Giovannino, — rispose sconsolatamente. — Dev'essere un altro tipo di copertura.
Guarda, ho le mani tutte rovinate per gli sforzi che ho fatto.
Mi mostrò le mani che erano lisce e senza la minima sbucciatura ma io capii che Margherita mi mostrava
le mani dei suoi pensieri e allora le vidi parecchio malconce.
—
Non devi perderti di coraggio, Margherita : io sono qui per aiutarti, per sostenerti.
—
Ma là in quel mondo sconfinato e misterioso non ci sei. Là io sono sola con la mia bicicletta
inutilizzabile.
Ritornammo in garage e le feci cavare e rimettere per dieci volte le coperture della mia bicicletta: mi
ricordai dell'istruzione alla mitragliatrice Fiat 14 e le feci ripetere due volte l'operazione con gli occhi
bendati.
Per due giorni la vidi molto preoccupata : capivo che stava lottando con quel maledetto copertone. il terzo
giorno era trionfante.
—
Tutto a posto, — esclamò Margherita. La bicicletta è riparata e funziona perfettamente bene.
Margherita ha un mondo tutto suo: un mondo tutto suo nel senso che i pensieri segreti di Margherita sono
prigionieri di questo mondo popolato di ombre, di desideri e di paure. Margherita, insomma, vive
contemporaneamente in due mondi, e quando le cure del mondo nel quale vivo anch'io la lasciano libera,
si aggira in bicicletta o a piedi nel suo mondo clandestino, nel suo mondo interno.
Passarono delle settimane e dei mesi prima che Margherita mi riparlasse della sua vita segreta : una sera ci
trovammo soli in casa e, dopo un lungo silenzio, Margherita mi guardò con occhi pieni di disperazione.
Cos'è successo, Margherita? Si è bucata un'altra gomma?
—
Sono caduta, Giovannino. Viaggiavo per una stretta stradina di montagna e, a un bel momento, la
bicicletta mi è sfuggita di sotto. E io sono rotolata giù.
Si coperse il viso con le mani.
—
E adesso dove sei, Margherita?— le domandai pieno di angoscia.
—
Sono in fondo a un burrone, — rispose singhiozzando.
—
Ferita?
—
Ferita.
—
Molto?
—
Non deve essere una cosa grave. Mi posso
muovere. Soltanto qui sulla testa mi fa male.
—
Non hai provato a chiamare aiuto?
Era inutile chiamare aiuto in quel mondo popolato solo di ombre, di desideri e di paure. La consigliai di
non agitarsi, di rimettersi in forze prima di tentare di risalire.
Due giorni dopo Margherita mi comunicò che non sentiva più alcun dolore alla testa ma che il tentar di
uscire dal burrone era una impresa vana.
—
Se qualcuno non mi butta una corda, — disse singhiozzando, — la mia fine è segnata. La sete mi
divora.
Andai da Hoepli e comprai tutti i manuali di alpinismo che trovai. Studiammo, io e Margherita, le
illustrazioni : trovammo il tipo di roccia uguale a quella che imprigionava con le sue tipiche pareti
Margherita. Leggemmo i manuali e le feci imparare a memoria i passi che reputavo le potessero servire.
Per tre giorni Margherita tentò di arrampicarsi lungo la ripida parete : il quarto mi mostrò le sue mani:
erano bianche e intatte ma io le vidi graffiate e sanguinanti.
—
Non ce la faccio più, — disse Margherita. — Sento che la fine si avvicina. Presto non rimarrà in
fondo al burrone che un sacchetto d'ossa.
Maledissi la bicicletta e gridai che, in fondo, il responsabile di tutto ero io.
—
È il destino, — rispose Margherita. — Sarei caduta giù anche senza la bicicletta. Bisogna
rassegnarsi.
Ma io non volevo che si rassegnasse.
—
Urla, — dissi. — Urla con tutte le forze che ti rimangono. Urla continuamente.
—
È inutile, Giovannino : non c'è nessuno nel mio mondo segreto.
—
Urla continuamente, urla giorno e notte. Prova a chiamare me. Non smettere di chiamarmi. Chi sa
che io non sentai
Andai in garage a prendere a calci la bicicletta. Poi presi a calci anche la motocicletta e, siccome mi
rovinai un piede, passai una pessima giornata.
Sul tardi saltai sulla moto e andai a guardare l'acqua deserta dell'idroscalo e così mi colse la sera. Una
brutta sera, un brutto cielo pieno di nuvole cupe e di lontane minacce. Cominciò ben presto a piovere rna
io non mi mossi. Smise subito e, quando cessò di scrosciare la pioggia, tutto rimase immobile e silenzioso
nel buio.
E nel silenzio udii un lontano grido disperato : « Giovanninoi ».
Balzai sulla motocicletta e a tutto gas mi avviai verso la città: passai rombando per i lunghi viali deserti.
A casa trovai Margherita che canterellando stava preparando la tavola.
—
Hai chiamato? — domandai.
—
Sì, — spiegò Margherita. — Ho chiamato continuamente e tu, a un bel momento, hai sentito. Ti ho
visto che ti affacciavi sul burrone.
—
Avevo una corda almeno?
—
Sì, avevi una lunga corda.
—
Dio sia lodato.
—
Avevi una lunga corda e me l'hai lanciata. io me la son legata alla vita e tu mi hai tirato •su.
—
Vivai — urlai pieno di entusiasmo e ringraziai il buon Dio di aver creato i manuali Hoepli.
—
È stata una cosa magnifica, — sospirò Margherita. — Poi, appena io sono arrivata su, tu hai
buttato a calci la bicicletta nel burrone.
Mi sentii orgoglioso di quella prova di energia.
—
E dopo, cosa ho fatto? — domandai.
—
Dopo te ne sei andato.
—
Mi dispiace, — mi dolsi. — È stata una sciocchezza lasciarti sola in quel dannato mondo pieno di
pericoli. E senza la bicicletta, per giunta.
Margherita era serena.
—
Nel mio mondo nascosto non possono che vivere ombre, desideri e paure. E poi sono tranquilla
adesso perché so che, in caso di estremo pericolo, se io ti chiamo tu senti e mi vieni ad aiutare.
La consigliai di essere prudente.
Non mi rispose perché era assorta nei suoi pensieri e, probabilmente, stava tentando una nuova strada del
suo mondo segreto.
L'AUTiSTA
in questa porca casa... — incominciò la Pasionaria. Ma io l'interruppi:
—
Porca casa è una espressione volgare, inadatta a persona bene educata.
—
io non sono bene educata, — affermò la Pasionaria. — io ho dei genitori sempre con la barba
lunga, i pantaloni sporchi di vernice e di olio da macchina, che si alzano da letto alle undici mentre i figli
vanno a scuola alle otto e poi dicono che loro quando erano piccole come me sapevano già fare questo e
quest'altro.
Continuai senza turbarmi a spennellare di petrolio il motore della Topolino.
La Pasionaria sospirò.
—
in questa porca casa, — ricominciò, — tutti si sposano e me niente.
—
Tutti?
—
Tutti, — confermò la Pasionaria. — Te hai sposato tua moglie, tua moglie ha sposato suo marito,
mia nonna ha sposato tuo padre, mio nonno ha sposato tua madre : perfino la donna che viene a lavare la
biancheria ha sposato suo marito e anche i piccioni si sono sposati. E me nientei
Le feci osservare che anche suo fratello, pur avendo dieci anni, quasi quattro più di lei, era completamente
celibe e non se ne doleva : e la Pasionaria scosse le spalle :
—
Lui è celibe, ma quando è grande avrà un mestiere : me invece sono celibe ma quando sarò
grande non sarò capace di fare niente perché quando sono nata ero un chilo e mezzo soltanto e ho le ossa
piccole.
La Pasionaria si chinò e afferrò un pezzo di mattone del peso complessivo di non più di tre ettogrammi.
Tentò di sollevarlo da terra ma, anche aiutandosi con tutt'e due le mani, riuscì appena a smuoverlo. Dopo
inutili e ripetuti tentativi abbandonò la presa e si risollevò.
—
Vedi, — disse, — come sono debole. E adesso mi fa male la schiena e, appena faccio uno sforzo,
mi viene l'esaurimento nervoso: però io non sto a letto fino alle undici come quella là.
Effettivamente la Pasionaria, appena nata, totalizzava soltanto 1500 grammi e così, la sua, fu
una nascita quasi clandestina. Effettivamente la Pasionaria ha le ossa minute ed è una robetta piccola
piccola anche oggi; tuttavia la commedia della sua inferiorità nei riguardi del pezzo di mattone di tre etti
era disgustosa.
—
A sei anni e mezzo è prematuro preoccuparsi per il matrimonio, — osservai severamente. —
Quando sarà ora ti sposerai anche tu, se troverai un marito.
—
E se dopo non lo trovo? — obiettò la Pasionaria.
—
Un marito io si trova sempre, basta cercare.
—
Me non sono mica come certe signore : me non li cerco i mariti. Me non sono una che ha soltanto
un fazzoletto da naso e lo spazzolino dei denti.
L'allusione a Margherita era evidente perché, effettivamente, il mio non fu un matrimonio d'interesse in
quanto, pur trattandosi di un pregevole fazzoletto e di un eccellente spazzolino, la dote di Margherita era
costituita esclusivamente di un fazzoletto da naso e di uno spazzolino da denti: questo però non
giustificava per niente il tono sarcastico della Pasionaria.
—
La dote non conta un fico secco, — affermai energicamente. — Tanto è vero che tua madre ha
trovato marito anche possedendo soltanto un fazzoletto e uno spazzolino.
La Pasionaria sospirò :
—
Ma intanto, povera disgraziata, dice sempre che era meglio se non si sposava.
Guardai con aria aggressiva la Pasionaria ma quella non si scosse.
—
Me voglio un marito pulito, vestito bene, che non grida come un matto, che porta a casa i fiori e
dice : « Mia cara, ti prego », come il signor Luigi, ma però sua moglie aveva la dote e io lo so perché lo
dice sempre a tua moglie e poi le fa vedere tutta la biancheria, i vestiti, le posate d'argento e la scatola con
dentro la roba d'oro e via discorrendo.
La Pasionaria si sedette sul gradino.
—
Adesso avrei bisogno di un po' di mare, disse affranta. — Ma come si fa? Si deve sempre
dipendere. E allora pazienza. Poi il giorno che mi metterò a letto sul serio sarà un guaio.
interruppi il mio lavoro.
—
invece di ascoltare i discorsi di tua madre,
— le dissi duramente, — leggi i tuoi giornalini.
—
Non mi diverto più con niente, — sospirò la Pasionaria. — E poi anche per i giornalini, anche per
le caramelle, anche per quei cosi così belli che si soffia e loro si allungano, fischiano e poi tornano
indietro, si deve sempre dipendere da qualcuno.
Per troncare la disgustosa discussione tolsi di saccoccia tutta la cartaccia spicciola che trovai e la porsi
alla Pasionaria.
il danaro venne accettato a titolo acconto sulla dote. E la Pasionaria si rasserenò.
io continuai a lavorare tranquillo : poi sentii suonare al cancello e, poco dopo, apparve una ragazzina
bionda, vestita molto elegantemente, e la Pasionaria faceva gli onori di casa.
Giunta nei miei immediati paraggi la Pasionaria spiegò :
—
Questa è la nostra macchina : adesso è sporca, ma quando è pulita è bellissima.
—
E’ tuo padre quello lì? — si informò sottovoce la biondina.
—
No, mio babbo è fuori, — rispose la Pasionaria. — Quello lì è il nostro autista.
—
Anche noi abbiamo l'autista, — disse la biondina. — Però ha la divisa con tanti bottoni e il
berretto con la visiera lucida. È molto bravo.
—
il nostro è bravissimo, — replicò con estrema sicurezza la Pasionaria. — Ha preso la medaglia a
Parigi.
La cosa impressionò vivamente la biondina che mi guardò con grande rispetto.
—
Una medaglia d'oro grossa così, — aggiunse la Pasionaria e la biondina sgranò gli occhi. Come
padre mi sentii molto depresso, ma mi sentii tanto orgoglioso come autista che rinunciai a pensare le cose
che avrebbe pensato, in simile circostanza, un normale padre. E questo anche per il fatto che, come padre,
io sono piuttosto anormale.
Quando la cerimonia finì e la biondina fu in procinto d'andarsene, la Pasionaria tornò vicino a me.
—
Bisognerebbe accompagnare a casa la mia amica, — mi comunicò discretamente e io, con pari
discrezione, le risposi che non se lo sognasse neppure.
Poi la mia coscienza di autista ebbe il sopravvento. Mi lavai le mani, mi ripulii gli abiti, infilai la giacca e
portai la macchina davanti al cancello.
—
Vienmi a trovare se hai un po' di tempo, disse la Pasionaria quando la biondina si accinse a salire.
Salì e io richiusi la portiera.
—
Fammi figurar bene, — mi disse sottovoce la Pasionaria.
Durante il tragitto la biondina mi rivolse la parola.
—
È vero che tu hai preso la medaglia d'oro a Parigi?
—
Sì. Una grossa medaglia.
Mi domandò poi come era Parigi e altre cose e io risposi sempre esaurientemente con piena sua
soddisfazione.
Quando fummo arrivati, scesi e aprii la portiera.
—
Aspetta un momento, — disse la biondina scomparendo di corsa.
Ritornò di lì a poco con una fetta di torta e una grossa mela.
—
Mi pare che i tuoi padroni sono cattivi e ti dànno poco da mangiare, — disse la biondina.
Ringraziai e ripartii.
Poi a casa ci fu da litigare perché la Pasionaria pretese metà della fetta di torta.
— Se non ero me, lei non ti dava la mancia, — affermò.
Naturalmente la mia tesi non riguardava la divisione della torta ma il rispetto che i figli debbono ai
genitori e l'infamia di cui si macchia un figlio che rinnega il proprio padre. intervenne Margherita che si
schierò a mio favore contro la Pasionaria.
E allora la Pasionaria tolse di tasca la carta spicciola che le avevo data e la buttò in grembo a Margherita :
— Tienti la dote di tuo marito, — gridò. Me faccio anche senza.
Scomparve singhiozzando e io e Margherita ci dividemmo la fetta di torta.
SCRiTTE MURALi
Quando si fa un contratto è necessario essere spaventosamente pignoli, specificare ogni dettaglio
rifuggendo nel modo più assoluto dal generico, altrimenti, alla fine, si provano delle pessime sorprese.
La Pasionaria si impegnò, di fronte a me, a comportarsi in un determinato modo durante un determinato
periodo : io mi impegnai, di fronte a lei, a farle un quanto mai generico « bel regalo » da stabilirsi di
comune accordo.
La Pasionaria mantenne puntualmente la promessa e io mi dichiarai pronto a corrisponderle quanto le
dovevo. Le dissi perciò che mi esponesse i suoi desideri o, almeno, mi orientasse convenientemente e la
Pasionaria si spiegò con estrema chiarezza :
— Voglio scrivere sul muro col pennello bianco.
io, quando rincaso, la sera, non lascio i princìpi democratici fuori dalla porta come fanno tanti padri di
famiglia che, campioni del liberalismo nella vita pubblica, sono, in casa, dei feroci dittatori. in casa mia
comando io ma decidono gli altri perché io, anche in casa, conto per uno e gli altri tre sono in netta
maggioranza. Non dissi quindi « noi » : mi limitai a cercare una onorevole soluzione di compromesso : io
avrei fornito il pentolino con la biacca e il pennello e, oltre a questo, anche carta e cartoni sui quali
scrivere.
Scrivere sui muri è, oltre al resto, un sabotaggio della ricostruzione : si aggiunga che, se la Repubblica
tutela il paesaggio nazionale, il padre di famiglia ha il dovere di tutelare il paesaggio familiare.
—
Me voglio scrivere sul muro, — affermò la Pasionaria.
La Pasionaria, per quanto sia, agli effetti dello stato civile, una bambina di sei anni e mezzo, è a tutti gli
altri effetti un uomo nel senso vero e proprio della parola. Possiede quindi un carattere, una dignità e delle
idee piccole per ragioni di spazio, ma straordinariamente chiare.
Cercai ancora una soluzione di compromesso e offersi i muri della cantina.
—
Me voglio scrivere col pennello bianco sul muro fuori, non sul muro dentro, — rispose la
Pasionaria.
Pensai ai miracolosamente puliti muri esterni della nostra casipola e mi preoccupai: poi pensai che,
diluendo opportunamente la calce e lavando le scritte a colore ancora fresco, ogni cosa sarebbe ritornata
alla normalità e mi rasserenai.
Ripensai alle Veglie di Neri e alla spronata con relativo sfaglio e, pur essendo a piedi, quando ricordai alla
Pasionaria la difficoltà che io incontravo per guadagnare i soldi coi quali pagare i conti del muratore,
dell'imbianchino, eccetera, moralmente mi sentivo a cavallo.
—
Me voglio scrivere sul muro fuori, — disse.
— Sul muro fuori in strada. Qui non mi piace perché il muro è mio.
Giunto a questo punto un padre ha il dovere di ricordarsi della sua missione di educatore : spiegai quindi
che imbrattare i muri altrui è un duplice reato : contro la proprietà privata e contro il decoro pubblico o
nazionale. Mi rifiutai pertanto di assecondare quel proposito che non esitai a definire insano ed espressi la
mia meraviglia che una persona bene educata avesse simili inconfessabili desideri.
—
Me non sono una persona, — rispose la Pasionaria. — Me sono me. E poi non sono educata.
in definitiva, dopo la discussione animata che ne seguì, entrambe le affermazioni mi risultarono esatte.
inoltre la Pasionaria mi inchiodò :
—
Tutti i muri sono scritti grosso così: me chi sono?
Naturalmente, sia per il buon nome della famiglia alla quale appartengo, sia per la mia innata avversione
per tutto quanto può aver sapore di turpiloquio letterario a sfondo neo-realistico, evito di riferire, in queste
mie cronache familiari, i particolari: ad ogni modo è positivo che io, nel corso di tutta la discussione, mi
comportai in modo onorevole.
E se, alla fine, dovetti cedere, ciò è dovuto semplicemente al fatto che la Pasionaria è mia figlia.
Qui bisogna distinguere : se un uomo vede in casa d'un amico che il figlioletto dello stesso amico rimane
lì a rendere impacciati i discorsi fino alla mezzanotte, di solito pensa : « Se fosse mio figlio, alle otto di
sera sarebbe già a lettoi ». io invece distinguo : « Se fossi io suo padre, alle otto sarebbe già a letto, ma se
fosse lui mio figlio, probabilmente sarebbe ancora alzato alle due di notte ».
Educare i figli degli altri è facilissimo : difficilissimo è educare i propri figli. Ad ogni modo bisogna
distinguere fra educazione dal punto di vista della forma ed educazione dal punto di vista della sostanza :
maleducata nella forma, la Pasionaria è bene educata nella sostanza. E io sono un eccellente educatore
perché la base di una sana educazione non sta nel negare ai figli quello che chiedono, ma nel fare in modo
che ai figli non passi neppure per l'anticamera del cervello di chiedere cose stupide o disoneste. La
Pasionaria non mi chiede un micidiale gelato alla crema (cosa stupida) né una bambola da cinquemila lire
(cosa disonesta): mi chiede per esempio di lasciarla scrivere sul muro col pennello bianco.
*
Riempii un barattolo di biacca ben diluita, mi procurai un buon pennello e, saliti in macchina, partimmo.
— Quando vedo il muro che mi piace te lo dico, — mi avvertì la Pasionaria e incominciò subito a
guardarsi attorno.
Girammo parecchio prima di trovare un posto che desse alla Pasionaria le garanzie richieste. Fu alla
periferia che trovammo quello che ci parve l'ideale : il lungo muro di cinta d'una villetta isolata ed
evidentemente abbandonata, con finestre e porte sbarrate.
Scendemmo.
— Tu stai attento se viene della gente, — mi disse la Pasionaria. — Se viene qualcuno, fischia.
—
Devi scrivere molto?
—
Non lo so perché non le ho contate. — rispose sottovoce, con fare molto guardingo.
Vedi di sbrigarti perché, se ci pescano le guardie, andiamo in prigione tutti e due.
—
Anche te?
—
Si capisce : mica posso lasciarti andare in prigione da sola. E poi siamo insieme, lavoriamo in
società. E poi io sono tuo padre.
La Pasionaria guardò il pennello e il pentolino della biacca. Si vedeva che era preoccupata. Ma poi si
rianimò.
—
Te stai tranquillo : se mi prendono non dico che sei mio babbo.
—
Non significa niente, — obiettai. — Poi tu devi dire come ti chiami e allora vanno a casa nostra e
mi arrestano.
La Pasionaria mi guardò:
—
E tutti quelli che hanno scritto sui muri li hanno arrestati?
Dovetti rispondere che non mi risultava : ad ogni modo qui il caso si complicava perché se arrestano un
bambino se la prendono coi genitori.
—
Anche con quella là? — domandò infastidita la Pasionaria.
—
Si capisce : i genitori sono il padre e la madre.
—
Sempre quella là in mezzo ai miei affarii esclamò la Pasionaria. — Non posso fare niente che
subito salta fuori leii Adesso io non posso scrivere perché quella là ha paura fino delle mosche e se vede
le guardie in casa le vengono gli svenimenti.
La Pasionaria intinse il pennello dentro il pentolino e stette a guardare la biacca che sgocciolava.
Si vedeva che le piaceva in modo enorme.
—
Sempre per colpa delle mogli se non si può mai fare niente, — esclamò.
E io non dissi niente perché una cosa del genere dovevo averla detta io alcune migliaia di volte, in casa.
—
Allora niente, — sospirò la Pasionaria. Allora possiamo andare a casa.
Qui un educatore superficiale avrebbe tirato trionfalmente il sipario : ma io lavoro in profondità, io entro
nel vivo delle cose. io non potevo permettere una sconfitta della Pasionaria e in quel momento mi sentii
ribelle.
—
Allora scrivi tutto quello che vuoii — dissi con voce ferma.
La Pasionaria tentò di obiettare qualcosa ma io le tolsi ogni dubbio.
—
Ti ordino di scrivere tutto quello che vuoi: se viene la polizia la colpa è mia perché te l'ho ordinato
io : così ne rispondo soltanto io. io non ho paura delle guardie : io sono pratico di queste cose, sono stato
tanto tempo prigionieroi
il particolare era a conoscenza della Pasionaria che rimase visibilmente impressionata.
—
Allora non se la prendono con quella là?
—
E cosa c'entra lei? Sono io che te l'ho ordinato. Scrivi. La Pasionaria mi guardò.
—
Posso scrivere "Viva Coppi"?
in casa mia vige la più completa libertà di stampa : le risposi che scrivesse quello che voleva.
Adesso io vorrei essere uno di quegli autodidatti che non sono stati rovinati dalla grammatica e dalla
sintassi delle scuole e quindi scrivono che è una meraviglia : piuttosto che guastare il quadro rinuncio a
descrivere la Pasionaria che, col suo pennellone gocciolante biacca, lavorava sul muro della villetta
solitaria e abbandonata.
Era evidentemente molto preoccupata perché dimenticò un particolare di eccezionale importanza : cioè
che Coppi si scrive Coppi e non Copi.
Ma, per delicatezza, non le feci rilevare la omissione. Un ometto comparve lontanissimo in bicicletta e
allora io fischiai e, abbandonato il pentolino per terra, ci rifugiammo nella macchina. L'ometto svoltò
cento metri prima di noi e la Pasionaria poté perfezionare la sua scritta con un'importante sottolineatura.
—
Adesso se vuoi scrivere te ti faccio la guardia io, — disse la Pasionaria. — Però me non so
fischiare. Se vedo qualcuno faccio bau bau.
Ci accordammo in questi termini e, mentre la Pasionaria vigilava, io scrissi "Viva Girardengo".
Avrò bene il diritto anch'io di ricordare i miei campioni.
La Pasionaria abbaiò.
Buttai via il pentolino e ci rifugiammo in macchina. Un daziere stava arrivando in bicicletta e io ingranai
la marcia e partii alla Bordino.
—
Abbiamo appena fatto in tempo, — dissi quando fummo fuori tiro. — Se ci trovava sul fatto
eravamo fritti.
La Pasionaria scosse il capo.
—
Sempre la preoccupazione di quella là, sospirò. — Non si può fare niente che sempre c'è di mezzo
le mogli.
Sospirò di nuovo :
—
Bisognerà che ci dividiamo, — disse. — Lei sta con suo figlio e io e te andiamo per nostro conto.
Risposi che ci avrei pensato seriamente e conclusi:
—
Ma, dico io; che non si possa neanche scrivere sul muro viva Coppi o viva Girardengo per paura
che una moglie paurosa vedendo le guardie muoia di paurai Non ti pare?
Le pareva. Domandò notizie su Girardengo e io le dissi che era il padre di Coppi.
—
E il padre di Bartali chi è? — s'informò la Pasionaria.
—
Bartali? — m'indignai. — Non ne voglio sentir parlare.
Non me ne parlò più.
Su un muro di viale Romagna vedemmo scritto a caratteri alti un metro "Scelba boia".
—
Corre anche lui? — domandò la Pasionaria.
—
No, non corre. È uno che cerca di far correre gli altri.
Prima di svoltare l'angolo ci fermammo al caffè e chiesi due gelati.
—
Me no, — disse la Pasionaria. — Me non lo voglio. Me non mi piacciono quelle porcherie. Se
fossi tua moglie non te le lascerei mangiare.
Sospirò. Probabilmente sospirò sull'incoscienza delle mogli d'oggi.
COLLABORAZiONE
Ogni tanto il rubinetto si chiude. Sembra che la testa sia piena di vento. Si scrive una riga, poi si cava il
foglio dalla macchina e lo si butta via. Si mette un altro foglio, si accende un'altra sigaretta.
in quale sigaretta si troverà l'idea? Nella quindicesima, nella venticinquesima?
io da tre ore stavo cercando un rampino al quale appiccicare un po' di parole. E, ogni tanto, mi pareva di
averlo trovato e buttavo giù una riga; ma le parole rimanevano un po' sul foglio poi scivolavano giù.
Venne la Pasionaria con un altro caffè.
Anche dentro una tazza di caffè si può trovare un'idea : ma in quale tazza? Nella quarta? Nella settima?
La Pasionaria mi guardò.
—
Non riesco a combinare niente, — le spiegai.
—
Adesso bevi il caffè e dopo trovi, — disse gravemente la Pasionaria.
Si sedette dietro di me e stette a guardarmi in silenzio.
Bevvi il caffè, ma l'idea non era dentro neppure in quella tazza.
—
Non viene niente, — sospirai. La Pasionaria si alzò e si avvicinò:
—
Prova con questa, — disse porgendomi una caramella. — È di limone.
Masticai la caramella di limone, ma l'idea non era dentro neppure nella caramella.
La Pasionaria uscì e tornò poco dopo assieme a Margherita.
—
Non riesci? — mi domandò.
Scossi la testa sconsolato.
— Sei debole, ecco tutta la questione, — affermò Margherita. — Quando si è deboli non si riesce a
combinare niente. Se una macchina non ha benzina non può andare.
Scesero tutt'e due poi ritornarono su. C'era anche Albertino. Portavano della roba da mangiare e da bere, e
io mangiai e bevvi, ma l'idea non uscì.
Stettero a guardarmi in silenzio, poi Margherita disse :
—
Vediamo un po'. in certi casi basta suggerire anche una cosa qualsiasi. Da quella nasce io spunto.
Perché non provi a scrivere un'avventura?
Scrivere un'avventura era un'idea. Ma sarebbe risultato necessario trovare anche un'idea per l'avventura.
Margherita si rese conto della situazione e pensò intensamente.
—
Ecco, — disse alla fine. — io una volta ho letto una cosa molto carina...
—
Se l'hai letta significa che qualcuno l'aveva scritta, — l'interruppi. — Quindi significa che è inutile
che la torni a scrivere io.
Margherita scosse il capo.
—
Bisogna riconoscere che il tuo è un mestiere difficile, — sospirò. -- Comunque non è il caso di
scoraggiarsi. Tu pensa per conto tuo, intanto noi vediamo.
Si ritirarono tutt'e tre nell'altra stanza e discussero sottovoce a lungo.
—
Ecco, — disse Margherita ritornando con la squadra, — se tu scrivessi per esempio la storia di
due...
—
Tre, — rettificò la Pasionaria. — C'è anche quello con l'automobile.
—
Già, — riprese Margherita. — Mi pare che l'idea sia buona. Ci son tre che vanno a fare un
viaggio...
—
Due, — rettificò Albertino. — Uno resta a casa perché aspetta una telefonata.
—
Già1 — esclamò Margherita. — Allora è così: ci sono tre, ma vanno via in due perché uno resta a
casa : aspetta una telefonata.
Domandai chi fossero questi tre.
—
Tre amici, — spiegò Margherita. — Tre giovanotti. La Pasionaria scosse il capo.
—
No, prima erano tre giovanotti: dopo ci siamo messi d'accordo che erano due giovanotti e una
signorina.
Margherita rimase perplessa.
—
Due giovanotti e una signorina? E cosa ci sta a fare quella ragazza assieme ai due giovanotti?
—
A uno, — spiegò Albertino. — L'altro rimane a casa ad aspettare la telefonata.
L'idea non era brutta in verità: c'era una situazione. Ma era necessario approfondire. Chi era il giovanotto
che aspettava la telefonata, chi era lei, chi era l'altro?
Margherita discusse sottovoce con Albertino e la Pasionaria. Poi mi riferì in merito.
—
Lui, quello della telefonata, è uno che s'occupa di commercio, l'altro non si sa chi sia con
precisione. Per quanto riguarda la ragazza, pare che sia la figlia di uno che abita nello stesso palazzo...
Qui la storia è un po' complicata, — disse Margherita.
Albertino cercò di semplificare le faccende.
—
L'amico di quello che aspetta la telefonata esce e trova lei che sta scendendo e così si salutano e
vanno fuori insieme. E’ chiaro.
—
Sì, effettivamente è chiaro, — riconobbe Margherita. — L'azione si svolge senza inciampi. Però
non riesco a capire cosa stia a fare quell'altro in casa.
—
Aspetta la telefonata, — esclamò la Pasionaria.
—
Sì, ma da chi?
—
Quando gli telefonano si sente chi è, intanto lui aspetta, — spiegò la Pasionaria. Tacquero tutt'e tre
per un po'.
—
Ecco, — disse alla fine Margherita. — Questa sarebbe l'idea. Come punto di partenza può andare?
Le risposi che poteva andare.
Erano tutt'e tre molto mortificati.
La Pasionaria mi passò un'altra caramella, poi, mentre Margherita e Albertino discutevano sottovoce, mi
disse che, in realtà, le cose si erano svolte assai diversamente.
— Lui è uno, non due, e aspetta la telefonata di lei. L'altro non c'entra.
La cosa incominciava ad interessarmi.
—
Allora l'altro non escei — osservai.
—
Si capisce: se non c'entra come fa a uscire? È quella là che si è fissata che lui esce assieme a lei.
Lui niente. L'altro sì perché aspetta la telefonata di lei.
—
Lei chi sarebbe?
—
È sua moglie che è via di Milano. A Cuneo.
—
Cos'era andata a fare a Cuneo?
—
Non si sa, — rispose la Pasionaria. — Me non so neanche dov'è piantato Cuneo. Lui aspetta la
telefonata di sua moglie e allora c'è sua figlia che viene a casa da scuola.
La cosa cominciava a diventare sostanziosa.
—
Ha dunque una figlia quello del telefono?
—
Si capisce, ma ce l'ha anche sua moglie perché sono padre e madre della figlia. Allora la figlia
ritorna da scuola e suo babbo è sempre in casa che aspetta la telefonata e intanto parlano. La bambina è
molto triste e suo babbo gli dispiace.
—
Questo significa che è un brav'uomo, dissi.
—
Abbastanza, — rispose la Pasionaria. — Lui gli dispiace che sua figlia è triste e domanda cosa è
successo, ma la bambina si mette a piangere. E quindi le viene la febbre e bisogna metterla a letto e
chiamare il dottore.
Domandai se si trattava di una cosa grave.
—
Abbastanza, — spiegò la Pasionaria, — perché è una bambina molto delicata e la febbre è una
brutta malattia. Ma non le è venuta perché stava male, ma per il dispiacere.
La Pasionaria era commossa e aveva gli occhi pieni di lacrime:
—
E la febbre cresceva sempre e la bambina quasi stava per morire.
Perbacco, era una brutta faccenda, e presentava anche dei lati misteriosi. Non si riusciva, per esempio, a
capire come una bambina rischiasse di morire per un dispiacere.
—
Per forza, — spiegò la Pasionaria. — È una bambina piccola, e quando si è piccoli non si può
sopportare i dispiaceri. Le donne li sopportano perché sono grandi, ma quando si tratta di una bambina
debole si fa prestoi intanto la bambina continuava a piangere e suo babbo non capiva. Allora aperse la
borsa di scuola e dentro c'era la pagella con un cinque e due quattro.
A questo punto io dissi francamente il mio pensiero :
—
È bene che una bambina si addolori quando ha dei brutti voti sulla pagella. Però non è il caso di
ammalarsi per il dispiacere.
—
Lei era una bambina fatta così e, prima di guarire, ci ha messo dei mesi, — concluse sospirando.
— E la storia è finita.
Qui però la storia presentava una grave lacuna. E la telefonata della signora era arrivata? Era tornata da
Cuneo la signora?
—
Non era andata a Cuneo, — spiegò la Pasionaria. — Era a Monza a comprare una spugna per il
bagno.
Questo fatto mi seccò : perbacco, una signora che sta a Milano dove ci saranno duemila negozi che
vendono spugne, va a comprare una spugna a Monzai Con quale criterio?
La Pasionaria si strinse nelle spalle.
—
Dice che là costano meno perché c'è la fabbrica, — borbottò. — Fa sempre così, quella là. Ti
ricordi quando siamo andati a Roma e lei voleva passare da Torino per comprare il fazzoletto di seta da
mettersi in testa che a Torino costano meno che a Milano?
—
Già, — dissi.
Poi stetti un po' a guardare i tasti della macchina da scrivere e domandai sottovoce:
—
E la pagella?
La Pasionaria mi parlò all'orecchio:
—
Te l'ho messa dentro il cassetto della scrivania. Non farti accorgere da quella là. Poi ci metti la
firma e io domani la riprendo.
intanto quella là aveva concluso la discussione con Albertino e si avvicinò.
—
Lui, — spiegò Margherita, — non aspetta al telefono. Non è in casa : è in un caffè che sta
prendendo un cognac.
—
Fa malissimo a prendere il cognac, — replicai, — dopo succede come al solito che gli brucia lo
stomaco. E lei cosa fa?
—
Lei non è a Milano, — spiegò. — Si trova in Argentina.
—
Triste, — sospirai, — trovarsi lontani dalla patria, in terra straniera. Margherita allargò le braccia :
—
È il destino, — disse. E la sua voce era piena di angoscia.
iL DiPLOMA
DELLA SiGNORA MAESTRA
Oggi ho scritto questa lettera :
Signora maestra,
ho una grande notizia da darti: dieci minuti fa è arrivato quello che tu aspettavi. È arrivato il Diploma.
Come è bello, il Diploma. È stampato su un gran foglio di carta bianchissima, tutto scritto in corsivo e ci
sono tante maiuscole col ricciolino.
in alto c'è lo stemma della Repubblica italiana con la ruota dentata e la stella bianca, e le fronde d'alloro e
di quercia.
Dice che « il Presidente della Repubblica - Veduto il Regolamento Generale per la istruzione elementare,
approvato con R. Decreto 26 aprile 1928 n. 1297 - Sulla proposta del Ministro per la Pubblica istruzione
- Decreta » che ti « è conferito il Diploma di Benernerenza di prima classe, con facoltà di fregiarti della
Medaglia d'Oro - per aver compiuto quarant'anni di buon servizio nelle pubbliche scuole elementari ».
C'è scritto pure che « il Ministro predetto è incaricato dell'esecuzione del presente Decreto ».
in fondo a sinistra c'è un meraviglioso timbro a secco. Decisamente verso destra c'è scritto : « Firmato:
Luigi Einaudi - Controfirmato: Gonella ».
il « Firmato » e il « Controfirmato » sono a stampa. Le firme, naturalmente, sono manoscritte,
se no non sarebbero firme. E, a differenza del « Direttore Capo Divisione » che chiude la cerimonia con
una firma completamente illeggibile, le firme del Presidente Einaudi e del Ministro Gonella sono
chiarissime, vergate con la stessa identica calligrafia della data e degli altri ragguagli manoscritti contenuti
nel documento.
Ora non è che il Presidente della Repubblica e il Ministro per la Pubblica istruzione abbiano la stessa identica calligrafia e uno dei due abbia compilato
il Diploma : è lo scrivano addetto alla compilazione che ha vergato le due firme perché tu sai bene che
sono centinaia di migliaia le maestre collocate in pensione ogni anno e non è umanamente possibile
pretendere che un Presidente della Repubblica e un Ministro dedichino venti ore al giorno alla firma dei
Diplomi di benemerenza. E poi quello che conta è l'originale del decreto, non l'« estratto conforme
all'originale » che viene inviato agli insegnanti messi a riposo.
E il Decreto originale è firmato regolarmente perché, se ciò non fosse, tu non potresti fregiarti della
Medaglia d'Oro.
So cosa mi vuoi dire : i tuoi anni di servizio sono 49 non 40 come sta scritto ancora sul foglio : ma tu
capisci bene che un Ministro della Pubblica istruzione che ha tanto da fare per il suo Partito e un
Presidente della Repubblica che ha tante preoccupazioni per i suoi vigneti non possono star lì a
controllare se una vecchia maestra elementare ha il diritto di fregiarsi. della Medaglia d'Oro per aver
compiuto 49 o 5o anni di buon servizio, piuttosto che 4o.
E poi, cosa sono nove anni?
Ti delude un po' quel « buon servizio » così asciutto asciutto? Avresti preferito che ci fosse scritto «
lodevole servizio »?
Un Presidente di Repubblica e un Ministro non possono avventurarsi in affermazioni troppo impegnative:
d'altronde non possono star lì a controllare se il servizio di una maestra è risultato buono piuttosto che
lodevole o mediocre o eccellente.
Non perderti a cavillare sui particolari, signora maestra : tieni conto del significato generale della cosa : è
lo Stato che riconosce i meriti che ti sei guadagnata in 49 anni di duro lavoro e ti invia, completamente
gratis, un documento che, data la ricchezza della carta e l'eccellente qualità dell'inchiostro, verrà a costare
non meno di dodici lire.
Vedessi come è bello, il Diploma?
C'è scritto che è stato « dato a Roma addì 22 dicembre 1949 » ed è arrivato oggi i 7 ottobre 1950, a soli
dieci mesi di distanza.
Ma tu, signora maestra, sei morta.
il giorno 13 di luglio te ne sei andata e così non hai visto il Diploma. Cosa sono questse impazienze dei
vecchi maestri in pensione?
*
Peccato, però : se il Diploma fosse arrivato qualche mese prima, io ti avrei comprato una bella medaglia
d'oro, e te l'avrei appuntata sul petto e tu saresti partita per il gran viaggio con la tua medaglia. Ma come si
può fare una cosa simile se non c'è il Diploma? Se non c'è il documento?
Ma Roma è tanto lontana da Milano e un diploma per arrivare da Roma a Milano non può metterci meno
di dieci mesi. E poi hanno tanto da fare, laggiù al Ministero.
Però, adesso, cosa ne faccio di questo Diploma? Lo trattengo io?
Ma la legge mi permette, poi, di trattenere una cosa non mia?
Lo rimando al Ministro Gonella?
E cosa ne sa il Ministro Gonella dei vecchi maestri che non hanno la pazienza di aspettare dieci mesi?
Cos'è questa foja che hanno i vecchi maestri di morire appena inviati in pensione?
Cosa ne faccio del Diploma?
Lo rimando al Ministero della Pubblica istruzione?
E se si offendono? « Abbiamo lavorato tanto per compilare questo Diploma, abbiamo perfino fatto degli
straordinari e tu lo rifiuti? ». Se mi dicono così, cosa posso rispondere?
Portarlo sulla tua tomba il giorno dei Morti?
La stampa è buona e anche la carta è resistente: ma l'inchiostro usato per scrivere il tuo nome e le altre
cose è cattivo. Un po' di nebbia, un po' d'acqua e tutto scomparirebbe in pochi giorni. Anche la data del 22
dicembre 1949.
E io, invece, ho bisogno di vederla scritta, quella data.
Tu mi hai insegnato a vivere e a morire : ma io sono il tuo peggior scolaro.
io, adesso, sono il tuo Franti, quello che faceva piangere sua madre.
io ho bisogno di vedermi davanti agli occhi
Vi pagano poco? Anche mia madre era pagata poco e non si stancava mai di lavorare.
Stai tranquilla, signora maestra : non ti preoccupare per me: non mi pòssono-fare niente. il mio odio è più
forte di tutti i Ministeri messi assieme.
Piuttosto, se puoi, rispondimi, nel sogno.
Ma, per carità, non venire per spiegarmi che è indegno di un animo nobile quello che ho detto. il mio odio
non cerca forme di vendetta, ma è e sarà sempre soltanto un pensiero racchiuso nel mio cervello.
Non venirmi a insegnare che debbo amare il prossimo mio come me stesso : me l'hai già insegnato e lo so.
io amo me stesso soltanto quando so di aver fatto ciò che, alla luce dei tuoi insegnamenti e del tuo
esempio, ritengo sia il mio dovere. Quando so di non averlo fatto mi detesto.
Metterò il Diploma in cornice e lo appenderò al muro al quale è appoggiato il mio tavolo da lavoro. E
ogni tanto lo guarderò.
Fin che avrò negli occhi un po' di quella luce che tu m'hai dato, approfittando d'un giorno di vacanza.
Tuo figlio.
L'EDUCATORE ENERGiCO
Ho conosciuto un uomo brutale. Abitava in una casetta verso la periferia milanese, e si era fatto costruire
una specie di gran soffitta tutta per lui, e lì lavorava e, talvolta, anche dormiva, perché i bambini lo
infastidivano, la moglie lo infastidiva, il gatto lo infastidiva,
Tutto lo infastidiva, insomma : e poi non ammetteva che gli toccassero le sue cose, che gli spostassero un
foglio, una penna, un libro.
Come uno sparviero nel suo nido, di lassù il bruto incombeva come una perenne minaccia su tutta la casa:
aveva un telefono che comunicava con la cucina al pianterreno e, ogni tanto, afferrava il cornetto e urlava
che voleva un caffè.
Aveva due teneri figli: un bambino di dieci anni e una bambinella di poco meno di sette e quest'ultima era
soprattutto la sua vittima.
Una bambinella di neppur sette anni, piccola, gracile, quasi patita, che è costretta a fare quattro ripide
rampe di scale recando nella mano destra un pesante piattino con una tazza colma di caffè e, nella sinistra,
un grande albo di racconti illustrati, come può essere insolentita se il caffè, traboccando dal piatto nel
quale, per forza di cose, si è trasferito, gocciola un po' sui gradini?
Ma il bruto insolentiva la poverina.
Un giorno, scendendo dalle stanze di quell'uomo brutale, trovai, seduta su un gradino della terza rampa, la
bambinella : stava leggendo uno dei suoi innocenti giornaletti e la tazza col caffè era posata lì vicino. Si
sentì l'ululato del padre, ma la piccina non sollevò neppure il capo dal suo giornale. A tale punto di
abbrutimento era arrivata.
Ma le scenate più orrende si avevano quasi sempre a causa della colla.
L'uomo brutale era insofferente e impulsivo e, quando cercava il barattolo della colla e non lo trovava,
diventava come pazzo.
Egli non ammetteva che un bambino, vuoi per diletto, vuoi per aumentare le sue cognizioni, collezionasse
quelle simpatiche figurine a soggetto storico, geografico, filatelico eccetera che fanno oggi la gioia dei
bambini. Le figurine vanno incollate su appositi album e perciò la colla è necessaria : l'uomo brutale
disprezzava tutto questo : egli voleva semplicemente la sua colla. E la voleva subito, e ogni minuto di
attesa era un urlo.
Una volta si udì il lugubre grido : « La collai ». Poi, come una valanga, l'uomo brutale scese e invase la
cucina.
La bambina, seduta per terra, stava riordinando le sue collezioni di figurine : l'uomo si precipitò come una
belva sul barattolo della colla ma, avutolo tra le mani, un urlo inumano uscì dalle sue fauci:
— Vuotoi
La madre, che alzatasi all'alba aveva già accudito a tutte le pesanti faccende domestiche, e ora stava
concedendosi qualche istante di svago leggiucchiando un innocente libro di avventure poliziesche, levò il
capo.
—
Vuotoi — urlò l'uomo. — Vuoto il barattolo della colla, con duecento ritagli di giornale da
incollarei E oggi è domenicai Vuotoi
La madre tentò di calmare l'indemoniato con una parola di saggezza :
—
Sarebbe vuoto anche se oggi fosse lunedì, osservò.
—
Se fosse lunedì le botteghe di cartolaio sarebbero aperte e io potrei comprare un altro barattolo di
collai — schiamazzò l'uomo.
Poi disse, sempre con voce e tono da invasato, molte altre cose di carattere generico, infine, rivoltosi alla
bambina, urlò :
—
Questa volta avrai una lezione che ricorderai per tutta la vita.
E allora accadde una cosa orrenda.
L'uomo slacciò la pesante cinghia di cuoio dei pantaloni e la sfilò lentamente dalla cintura : lentamente
per prolungare il sadico piacere che gli dava l'azione infame che egli si apprestava a compiere.
Sfilata la cinghia, la doppiò per renderla più corta e pesante e la strinse in pugno.
—
No, — disse, — non cosìi La fibbia deve essere fuorii il cuoio accarezza, il metallo morde e lacera.
Fece volteggiare in aria la cinghia e menò il colpo con forza bestiale. La fibbia percosse duramente il
tavolo, spaccò un portacenere di porcellana e si piantò nel legno.
La furia bestiale dell'uomo non era diminuita, ma un barlume di ragionamento era rimasto a illuminare la
mente ottenebrata.
—
Vai a prendere l'alcool e le bendei — urlò alla madre. — Se la fibbia la ferisce non voglio che le
venga il tetano.
La bambina levò la testa.
—
Viene il tetano anche alle tavole? — domandò.
—
Verrà a te, — urlò, pazzo di furore, l'uomo. — Verrà a te quando io ti prenderò a cinghiatei
Quando ti prenderò a cinghiate così?
L'uomo menò un'altra cinghiata alla tavola spaccando semplicemente l'altro portacenere e un vaso.
in quel momento accadde l'irreparabile: l'uomo si era agitato parecchio e i calzoni gli calarono giù.
La madre levò gli occhi dal libro :
—
Bisognerà pensare a farti delle nuove mutande, — osservò. — Quelle lì sono molto consumate
sulle ginocchia.
—
L'alcool e le bendei — urlò l'uomo inferocito.
—
Non c'è alcool, — rispose la madre.
L'uomo si tirò su i calzoni e si rimise la cinghia a posto.
—
Finita la colla, finito l'alcooli E oggi è domenicai — disse a denti stretti. — Faremo a meno della
cinghiai
Si guardò attorno bieco : in un angolo era la scopa. L'agguantò con tutte e due le mani, spaccò il manico
con una ginocchiata.
Brandì minaccioso il bastone e si avvicinò lentamente alla bambina. Ma si arrestò di colpo e si rivolse alla
madre:
—
Guardalai — urlò. — Quell'infame ridei
—
Per forza, — rispose la madre. — Nel rimetterti a posto i calzoni hai lasciato fuori un pezzo di
camicia di dietro.
Allora l'uomo fu preso da una furia assassina : con un tremendo colpo di bastone spaccò il vaso che stava
sul camino, poi sfuggitogli il bastone di mano si avventò contro la cucina economica e la tempestò di
calci, poi agguantata una sedia la sfracellò pestandola sul pavimento.
—
E se non basta, ecco quii — urlò afferrando un'altra sedia e scaraventandola in giardino.
La bambina continuava, nel suo angolino, a occuparsi di figurine.
—
Ecco cosa ti faccio ioi — gridò l'uomo alla piccina. — Così impari a toccare la roba miai
Allora gli tornò in mente la colla e prese a pestare grandi pugni sulla tavola.
—
Vuota la scatola della collai Duecento ritagli di giornale da attaccarei i cartolai chiusi perché è
domenicai
La bambina trascurò per un momento le sue figurine e si volse:
—
intanto è sabatoi — disse, — e il cartolaio è aperto. La madre si alzò:
—
Hai commesso un'azione indegna, Giovanninoi — esclamò. — Hai accusato tua figlia di essere
domenicai
L'uomo rimase perplesso poi ebbe uno scatto:
—
Non importa, — gridò. — Così impara anche se è sabato.
—
Non si educano i figli brutalizzandolii disse con voce dura Margherita. L'uomo si avviò cupo verso
la scala.
—
Rimettiti dentro la camicia che hai lasciato fuori di dietroi — lo ammonì severa Margherita.
—
Voglio la mia collai — rispose l'uomo.
—
L'avrete, — replicò Margherita. — Andremo a comprarvela subito, così potrete appiccicare i vostri
stupidi ritagli di giornale.
Dopo venti minuti l'uomo telefonò dal suo covo e rispose la bambina.
—
La mia collai — gridò l'uomo. — È arrivata o no?
—
Sì, ma adesso l'adopro me per attaccare le figure, — rispose la Pasionaria riagganciando il
ricevitore.
iL FRiTTO PROiBiTO
io ero scassato come una vecchia Ford : carburazione difettosa, cilindro dello stomaco ovalizzato,
circolazione dell'olio irregolare, cuore che picchiava in testa, impianto elettrico che ogni tanto andava a
massa. Ora un piede, ora una mano, ora il cuscinetto di un gomito o d'un ginocchio, ora la fanaleria che
perdeva uno dei due occhi, ora la testa, ora il naso, ora i denti, ora il giunto cardanico della spina dorsale.
Niente andava bene.
Procedevo a bicarbonato, a pillole, a pomate, a gargarismi, a polverine, a DDT, ad alcool, a tintura di
jodio, a pasticche, a purganti, a rinfrescanti, a emollienti, a sulfamidici, a cerotti, a impacchi, a inalazioni,
a suffumigi, a olio, a nafta, a latte, ad acqua minerale, a sali di frutta, a infusi, a fosfati, a yogurt.
Parevo un relitto pescato in qualche campo Arar, a quei tempi. E il guaio è che quei tempi son quelli
d'oggi. Comunque, vale il passato remoto anche per non affliggere voi con lo spettacolo dei miei guai
presenti. E un giorno convocai tutta la famiglia e dissi :
— La situazione è grave, la macchina sta in piedi a forza di fil di ferro e di rappezzi, ma io non la posso
mandare in officina perché la macchina deve continuare il suo servizio. Pertanto qualcosa bisogna pur fare
per aiutare la baracca : allora da oggi la casa si impianta su questo principio-base : negli altri sei giorni
ognuno si regoli a seconda del suo buon senso e della sua discrezione, ma il lunedì il babbo deve poter
funzionare come un cronometro. il babbo perde nel lavoro la notte della domenica e la notte del lunedì:
siccome egli deve lavorare anche durante l'intera giornata del lunedì, niente deve ostacolare durante la
giornata del lunedì la sua marcia. Egli per funzionare come un cronometro ha bisogno di due cose :
tranquillità assoluta e vitto adeguato al suo stomaco. Negli altri sei giorni della settimana il babbo può
avere il mal di stomaco : il lunedì non lo può avere.
Albertino e la Pasionaria si resero perfettamente conto che non si trattava, da parte mia, di un tentativo
d'instaurare la dittatura e risposero che, per conto loro, si sarebbero comportati di conseguenza. La
Pasionaria pretese, per evitare ogni possibilità di equivoci, delle delucidazioni di dettaglio :
—
il lunedì, — disse, — puoi arrabbiarti perché non trovi la colla sulla tua scrivania o perché la carta
da disegno e l'inchiostro di Cina li ho adoperati me?
—
No, — risposi. — Posso arrabbiarmi soltanto per la colla di cui mi servo assai raramente. Ma,
dovendo io disegnare, il lunedì, il fatto di non avere a mia disposizione elementi essenziali quali la carta e
l'inchiostro, non può essere tollerato.
—
Va bene, — approvò la Pasionaria. — Vuol dire che cambierò il turno.
Albertino aveva una sola questione da sottoporre al mio esame :
—
il lunedì puoi arrabbiarti se non trovi più arance per farti una spremuta? — domandò.
—
No, — risposi. — La mancanza di spremute d'arancia potrebbe compromettere il funzionamento di
tutta la faccenda.
—
Va bene, — disse Albertino tranquillo. il lunedì mi arrangerò con mele, pere o altra frutta.
Margherita parve non avesse niente da obiettare : ma, quando io ritenevo oramai tutto sistemato, esclamò:
—
Dunque io sono una specie di Lucrezia Borgia che, per sette giorni la settimana, avvelena il marito
e alla quale si chiede, in via del tutto eccezionale, di non avvelenarlo il lunedì.
il senso delle mie parole non era questo e glielo spiegai chiaramente :
—
Si tratta semplicemente di evitare, nei pasti del lunedì, vivande confezionate in modo non
adeguato ai miei disturbi di stomaco. Per esempio, basterà che tu, il lunedì, eviti accuratamente ogni cosa
fritta.
Eravamo in cucina e, naturalmente, il mio inchiostro di Cina e i miei pennelli erano lì sulla tavola e la
Pasionaria li stava usando per certi suoi lavoretti.
—
Oggi non è lunedì, — mi spiegò la Pasionaria quando io le chiesi l'inchiostro e un pennellino.
—
Lo so, — risposi. — Voglio il mio inchiostro a solo titolo di prestito perché devo scrivere sul
muro, lì a fianco della cucina economica : « il lunedì in questa casa non si friggei ».
Effettivamente scrissi così sul muro e Margherita scosse il capo malinconicamente :
—
Ricominciamo con le famose scritte sui muri? — sospirò. — Perché non scrivi pure che il destino
dell'italia è sul mare e che indietro non si torna? Le rimproverai accoratamente questo suo inopportuno
sarcasmo :
— Difendendo il mio stomaco, il lunedì, io difendo il mio lavoro e quindi l'avvenire dei nostri figlii
*
E venne il primo lunedì dopo la riforma.
Avevo lavorato tutta la notte della domenica e, alzandomi dalla mia sedia, sentii il bisogno di una buona
spremuta d'arancia. Trovai le arance e ce n'era da dissetare un reggimento.
Risalii e mi misi al tavolo da disegno : vidi tutti i miei pennelli in bell'ordine infilati nel vasetto giallo,
vidi la boccetta dell'inchiostro di Cina.
Al posto del barattolo della colla trovai un bigliettino della Pasionaria : « La colla è sul mio schiritoio. È
meglio che non ti inquieti e che la vai a prendere ».
Non mi serviva e perciò né mi inquietai né andai a ricuperare la colla.
Tutto funzionava magnificamente e venne l'una. Suonò il campanello del telefonino interno e, staccato il
ricevitore, sentii la voce di Margherita avvertirmi che, se volevo scendere, il desinare era in tavola.
Ma prima di sentire la voce di Margherita sentii un abbominevole odore di fritto. Qualcuno cercherà di
spiegarmi che l'odor di fritto non entrò nel mio studio attraverso il filo del telefono e che, invece, entrò
dalle fessure della porta dopo aver invaso tutti i locali del pianterreno ed esser salito trionfalmente su per
la scala. Ma io sono sicuro che il puzzo di fritto lo sentii al telefono, tanto era potente.
Scesi e, tossendo per il gran fumo che trovai in cucina, mi sedetti davanti al mio piatto.
Non dissi niente, ma, di lì a poco, rincasò dalla scuola la Pasionaria che, buttata la borsa su una sedia,
borbottò :
—
Me ho incominciato a sentire la puzza quando ho fatto la voltata di viale Romagna. « il lunedì in
questa casa non si friggei ».
Margherita che stava ultimando di carbonizzare non so cosa dentro la padella si volse:
—
Lunedì? — esclamò angosciata. — Credevo che fosse sabatoi t straordinario come il sabato
somigli al lunedì, qui a Milanoi
Non volli calcare la mano.
—
i giorni passano così uguali l'uno all'altro che è facile perdere la nozione del tempo, — dissi. —
Comunque in avvenire la cosa non potrà più verificarsi perché io, ogni lunedì mattina, appenderò al muro
un cartello con l'avvertimento: «Attenzione: oggi è lunedìi ».
Mangiai il fritto, ebbi subito il mio mal di stomaco, ma non me ne dolsi troppo perché ero sicuro che
sarebbe stato l'ultimo mal di stomaco del lunedì.
Così venne il lunedì seguente : la mattina presto, scendendo in cucina per spremermi le solite arance,
appesi al portamestoli che sta sulla cucina a gas il cartello : « Attenzionei Oggi è lunedì ».
All'una scesi e trovai Margherita che stava friggendo.
Allora mi seccai :
-- Margherita, — domandai, — non hai trovato il cartello con scritto: « Attenzione, oggi è lunedì »?
—
Certo, — rispose calma. — È stato un pensiero gentile, il tuo. Già che c'eri potevi scrivere anche :
« Domani è martedì ». Non ho capito però perché tu ci tenessi a ricordarmi che oggi è lunedì.
—
« il lunedì in questa porca casa non si friggei », — esclamò in quell'istante la Pasionaria entrando
in cucina e buttando la borsa in un angolo.
Margherita allora si ricordò e fu tanta la sua costernazione che io non insistetti. Mangiai anche quella
volta il mio fritto ed ebbi il mio mal di stomaco che avvelenò tutto il lavoro del pomeriggio e della notte.
E venne il terzo lunedì post-riforma : sceso per desinare, trovai Margherita che non stava friggendo solo
perché aveva appena finito di friggere.
Non dissi niente e aspettai il ritorno della Pasionaria.
Poco dopo la Pasionaria entrò e buttò la borsa sopra il termosifone.
—
« il lunedì in questa casa non si friggei », — esclamò la Pasionaria con aria di disgusto. Si frigge
soltanto il giorno che viene dopo la domenica e prima del martedìi
Mi volsi a Margherita :
—
Non hai trovato il cartello con l'avvertenza del giorno? — domandai.
Margherita spalancò le braccia e levò gli occhi al soffitto:
—
Sì, — rispose. — Sì. Ho trovato il cartello del lunedì, ho letto sul muro che il lunedì non si frigge;
ma ho pensato che, una volta tanto, potevo permettermi di contravvenire a questo regolamento. Se in
questa casa non si può friggere, cosa può fare una povera donna a desinare e a cena? Non è forse umano
se una povera donna di casa, che non ha fatto corsi specializzati da cuoca, dopo essersi rotta la testa per
inventare pietanze non fritte, un bel giorno frigge un po' di cervella?
Era più che umano e io compresi che non potevo più costringere Margherita a sottostare a questo gioco.
Mi rivolsi alla Pasionaria
—
il vasetto della biacca che doveva essere sul mio tavolo da disegno? — le domandai.
—
La biacca non era nei patti, — rispose meravigliata la Pasionaria.
—
Lo so, — la rassicurai. — Voglio soltanto sapere dove si trova, adesso.
—
in fondo alla credenza, vicino al barattolo della salsa di pomodoro, — mi spiegò la Pasionaria.
Con la biacca e un pennelletto copersi la scritta « il lunedì in questa casa non si friggei ».
—
Potevi lasciarla, — commentò Margherita. — A me non dava proprio nessun fastidio. E poi fanno
tanta pena le vecchie scritte coperte che ritornano fuorii
*
Venne il quarto lunedì dopo la riforma e, all'una, mi sedetti a tavola di ottimo umore. Margherita aveva
cucinato una grossa padella di roba fritta e si sentiva odor di fritto almeno fino a San Babila, ma io ero di
ottimo umore.
E quando entrò la Pasionaria ed esclamò: « il lunedì in questa porca casa si frigge sempre », io, invece di
seccarmi, mi rallegrai ancora di più.
Margherita portò in tavola la solita bigoncia di minestra in brodo, quella che mi piace tanto ma che mi
gonfia lo stomaco come un pallone e perciò debbo accuratamente evitarla almeno quando sono in pieno
lavoro.
—
No, grazie, — dissi rifiutando la minestra.
—
Non mangi? — si informò Margherita. Stai poco bene?
—
No, mangio. Però aspetto.
Aspettai poco perché dopo cinque minuti suonarono alla porta e apparve un giovanotto in giacchetta
bianca e con un portavivande tra le mani.
il giovanotto tolse dal portavivande un piatto di pasta al forno, un piatto di carne in bianco, un piatto di
verdura e un piattino di frutta cotta e li dispose con garbo davanti a me. Poi se ne andò.
incominciai a mangiare tranquillamente fingendo di non accorgermi che Margherita stava guardandomi
con occhi speciali.
—
Questo è l'affronto più sanguinoso che un uomo può fare alla madre dei suoi figlii — mi comunicò
Margherita con voce piena di angosciosa indignazione. — Che un uomo vada a mangiare in trattoria
succede, ma che un uomo si faccia portare a casa il mangiare dalla trattoria, ciò credo non sia mai
successo.
La pasta al forno era come la volevo io : pochissima, asciuttissima e saporitissima. Finita la pasta attaccai
allegramente il resto non curandomi minimamente di Margherita.
E quando ebbi consumato il mio pasto dissi :
—
Margherita, il lunedì io debbo funzionare come un cronometro, non per me ma per l'avvenire dei
miei figli e quindi anche per il tuo. Se un destino feroce vuole che il lunedì ci sia sempre roba fritta, io
devo girare l'ostacolo ad ogni costo.
Margherita mi guardò cupa :
—
È inutile che tu tenti di mimetizzare la faccenda, — disse. — io prendo quello che hai fatto oggi
come l'offesa più turpe.
Quando me ne tornai su a lavorare ci lasciammo su questa base. Ed era una cosa spiacevole, ma il mio
stomaco funzionò in modo eccellente.
Venne il quinto lunedì e io scesi preparato al combattimento. Non sentii odor di fritto, entrando in cucina.
Non sentii odor di niente. Qualcuno aveva apparecchiato la tavola ma tutto dava l'idea che nessuno si
fosse presa la briga di far da mangiare.
Margherita stava ascoltando la radio. Albertino era fuori in giardino. Arrivò la Pasionaria e anche lei
rimase sbalordita :
—
Behi — esclamò di malumore, — adesso non si mangia neanche più in questa schifezza di casa?
Margherita non le diede retta. Evidentemente la burrasca sarebbe scoppiata fra pochi minuti, all'arrivo del
garzone della trattoria col mio desinare.
invece non scoppiò niente : giunse il giovanotto con una cesta, ne cavò quattro piatti di pasta al forno,
quattro piatti di carne in bianco, quattro piatti di verdura e quattro piatti di frutta cotta. Li mise a posto
sulla tavola e se ne andò. Ci sedemmo a mangiare in silenzio.
Alla frutta cotta Margherita spiegò la situazione:
—
È come una liberazione, una volta alla settimana, non aver da ciabattare attorno alle pentole e ai
fornelli. È una vacanza di cui sentivo il bisogno. E poi fa bene una volta alla settimana cambiar cucina.
Non si disse niente altro e passarono i giorni e arrivò il sesto lunedì dopo la riforma.
All'una scesi e mi misi ad aspettare seduto alla tavola apparecchiata. Arrivò regolarmente il giovanotto
della trattoria che dispose i piatti fumanti sulla tavola : pasta al forno, cervella fritta...
—
Come? Roba fritta? — domandai sbalordito al giovanotto.
—
Abbiamo fatto come ha ordinato per telefono la signora, — rispose il giovanotto.
Quando fummo di nuovo soli Margherita esclamò:
—
Sempre roba in bianco, sempre roba in biancoi Ci si stanca, a un bel momento. Bisogna pur
cambiare, qualche voltai
*
il settimo lunedì il ragazzo della trattoria non venne perché nessuno lo chiamò : io all'una scesi e trovai la
casa impregnata dal puzzo del fritto. Entrò poco dopo la Pasionaria che storse il naso ed esclamò :
—
Qui va a finire che, se non la piantate con questa storia del fritto, il lunedì me ne vado a mangiare
in trattoriai
Nel pomeriggio, fatto il pieno di bicarbonato, andai per incominciare a disegnare e non trovai né pennelli
né inchiostro di Cina né lapis. Al loro posto c'era un biglietto della Pasionaria :
« Se gli altri fanno quello che vogliono loro, ai patti non ci sto più neanche mei ».
Allora arrivai alla conclusione che, se le cose andavano così, forse era bene che andassero così e mi
consolai, misi i miei guai al passato remoto anche se oggi sono le tredici di lunedì e se folate di fumo nero
salgono su dalla cucina e mi portano il più potente odor di fritto che mai naso umano abbia fiutato.
E addirittura ringrazio Dio se, oggi, ai miei cento malanni devo aggiungere anche un raffreddore che mi fa
parere semplicemente odore quel puzzo infernale.
FA PiÙ «iO» DiRE «ME»
Arrivai davanti a casa mia che erano le due di notte e dovetti suonare il campanello almeno un quarto
d'ora.
Finalmente Margherita venne ad aprirmi.
—
Sei tornato? — domandò Margherita.
—
No, — risposi io a denti stretti.
—
Hai fatto bene, — approvò Margherita. È pericoloso viaggiare di notte.
La logica di Margherita è sempre interessante: in condizioni particolari diventa addirittura straordinaria e
allora l'unica cosa da farsi è di non insistere.
Margherita, richiusa la porta, riprese a dormire e dormendo salì le scale, entrò nella nostra stanza e s'infilò
nel letto.
Mi affacciai alla porta della nostra stanza e constatai che tutto funzionava regolarmente: assieme a
Margherita erano infatti sistemati nel letto Albertino, la Pasionaria e il gatto.
La Pasionaria aperse gli occhi e mi guardò male :
— Ah, è arrivato luii, — borbottò la Pasionaria.
Andai a coricarmi in un'altra stanza e già stavo per spegnere la luce quando il fantasma di Margherita
apparve sulla porta :
—
È arrivata posta per me? — domandò Margherita.
—
No, — spiegai con calma. — Chi è tornato a casa non sei tu, sono io. io, caso mai, dovrei
domandarti se è arrivata posta per me.
Margherita scosse il capo:
—
Niente posta, — rispose con voce lontana. — Ha telefonato l'altra notte uno da Roma.
—
Lo so; ero io, — dissi. — Ti ho telefonato per sapere se tutti stavate bene.
—
E cosa ti hanno risposto? — s'informò Margherita.
—
Che stavate tutti bene.
—
Meno male, — sospirò Margherita. Vado a letto più tranquilla. Tornò nel pollaio e fu il silenzio.
*
Mi risvegliò, la mattina, un urlo di Margherita. Poi subito dopo l'urlo vidi Margherita. Margherita stava
sventolando un quaderno.
—
Ha preso quattro nel compito di casa? gridò Margherita. — La maestra vuole la firma dei genitori
e lei me lo fa vedere adessoi Due minuti prima di andare a scuola?... Quattroi Guarda qui: ha scritto cuore
con la « q » i
La Pasionaria, ferma sulla porta, aspettava il suo quaderno.
—
Non ha voluto che l'aiutassi a fare il compito, — spiegò Margherita. — Non vuole più neanche che
le riguardi i compiti, capisci?
Capivo.
—
E così ha scritto cuore con la « q », e ha avuto quattroi — continuò Margherita. La Pasionaria non
perdette la calma.
—
Quando mi aiutava lei, — mi spiegò, prendevo cinque. Adesso ho preso quattro ma l'ho preso mei
—
Si dice « io », — la corressi.
—
É più « io » dire « me », — replicò categorica la Pasionaria. — « io » si scrive, « me » si dice.
insistei.
—
« Me » non si deve dire.
—
Potevi anche restare a Roma, — affermò la Pasionaria.
Margherita urlò che lei non avrebbe mai firmato il quaderno. Lo firmai io, ma prima di firmarlo, mi
informai:
—
Perché non vuoi che tua madre ti riguardi i compiti?
—
Ai miei affari ci penso me, — rispose la Pasionaria. — A scuola ci vado me, mica lei.
il principio, pure espresso in modo non del tutto accettabile, era abbastanza sano.
—
Comunque, se tua madre ti avesse riguardato il compito, tu non avresti scritto cuore con la « q »
perché lei te lo avrebbe corretto.
—
Già : e se prima non lo scrivevo, come faceva lei a correggermelo? — replicò la Pasionaria.
—
D'accordo, — insistetti. — Però se lei te lo avesse corretto, tu non avresti avuto quattro. Avresti
avuto almeno un sei.
La Pasionaria si strinse nelle spalle :
—
Meglio un quattro mio che un sei di un altro, — affermò. Firmai il quaderno.
L'ETTARO
Margherita, — dissi sedendomi a tavola. — Ti ricordi quel podere di cui ti ho parlato l'anno scorso?
— No, — rispose Margherita. — Perché?
—
Perché l'ho comperato.
Margherita mi guardò sbalordita poi spiegò ai bambini:
—
Non gli bastavano i guai che si procura come giornalista: adesso cerca di procurarsene degli altri
come agrarioi
Le dissi che non era il caso di esagerare:
—
È un podere di un ettaro, — precisai. Ma questo, invece di tranquillizzare Margherita, aumentò la
sua eccitazione.
—
Da sei o sette anni, su tutti i giornali non si fa che parlare di ettari, e lui va proprio a comprare un
ettaro di terra.
Questo è uno dei famosi ragionamenti di Margherita, e io ero abituato a tale tipo di logica : ma stavolta
non potei evitare di arrabbiarmi, e la invitai a non dire sciocchezze.
—
Sciocchezze? — replicò Margherita. — Occupazioni di terre, polemiche sul latifondo e sulle
riforme agrarie, alluvion: e via discorrendo : in tutti i pasticci politici riguardanti il campo agricolo ci sono
o non ci sono immischiati gli ettari? Rimanemmo fermi lì, quella sera. perché io mi ritirai dalla lotta. Però
il giorno dopo Margherita mi domandò:
—
E questo ettaro, dove sarebbe?
in seguito volle sapere se nel podere cresceva l'erba, e se c'era qualche pianta.
E così arrivò il giorno in cui sentii la Pasionatia che parlava al telefono con la sua amichetta e le spiegava
:
—
No, domani non posso. Domani andiamo a vedere l'ettaro del babbo...
*
Ci fermammo alla trattoria del paese e ci mettemmo a tavola per mangiare qualcosa. Nella stanza vicina
alla nostra c'era gente che beveva e chiacchierava. Entrò uno nuovo e disse:
—
Pare che sia arrivato quello che ha comprato il fondo piccolo al crocicchio.
—
Che faccia ha? — domandò uno.
—
Non l'ho visto. Ma, stando come stanno le cose, non può avere che una faccia da stupido.
—
Già, — aggiunse un terzo. — Se ha pagato quel fazzoletto di terra più del doppio di quello che
vale, deve essere stupido per forza.
intervenne un vecchio :
—
Ma no. Un povero disgraziato, se mai. Non se ne intende e l'hanno pescato.
—
Se uno non se ne intende, stia a casa sua e faccia il suo mestiere, — rispose quello di prima. — Per
me è uno stupido.
—
Si capisce, — saltò su qualcun altro. — uno di quei macachi di città che, appena fanno una gita in
campagna, si sentono la smania dell'aria pura e della vita semplice e altre stupidaggini. Allora comprano
un pezzo di terra, e dopo lo vendono a metà di quello che l'hanno pagato.
Sghignazzarono. Poi uno disse :
—
Bella mercanzia davvero. Magari in città per andare al cesso devono cambiar rione e quando
vengono in campagna cominciano subito a dire che senza termo, senza bagno con acqua calda e fredda
non possono vivere. in città fanno la vita più stupida e ritirata possibile e, quando sono qui, si danno arie
da gran signori, bevono il tè nel giardino e, se capitano all'osteria, fanno i democratici, pagano da bere e
giocano a bocce coi contadini. Mi taglio il collo se quelli che han preso la terra al crocicchio non si fanno
su la villa col bagno e il termosifone e il giardino con l'ombrellone per il tèi...
—
Sì, sì, hai ragione: vedrai che quelli si fanno la villai
—
Vedremo la signora girare con le braghe come se fosse alla spiaggial... Sghignazzarono. Poi uno
riattaccò:
—
Disgraziatii Sono i soliti cafoni di città che, appena hanno un orto, si sentono proprietari e portano
automobilate d'amici di città a vedere un prato di trifoglioi
—
Se si fa la casa rideremoi — esclamò un giovanotto. — Uno che ha pagato tutti quei soldi quel
pezzo di terra è il tipo che ti pianta qui, a quattro passi dal Po, un villino stile svizzeroi
—
Sì, sì : io li conosco quelli lì. Fanno far su la casa, poi, ogni tanto, piombano sui lavori: «Per
favore, capomastro, mi sposti quella porta... Quella finestra la chiuda e ne apra una dall'altra parte... Tiri
su questo muro e butti giù quello là... ». Gli piace, a quei tipi lì, sentirsi dire che sono originali, che sono
un po' mattii Poi se ne accorgono quando arriva il contoi
intervenne il vecchio :
—
Qui ha ragione lui: se li ha, i quattrini, li può spendere come gli pare...
—
Ma che cosa volete che abbia? Se fosse un signore mica verrebbe da queste parti a costruire. E non
avrebbe comprato un fondo di neanche un ettaro. Quello è una mezza cartuccia...
Margherita scosse il capo :
—
E adesso come farai? Rivenderai l'ettaro?
—
No, Margherita. Appena avrò i quattrini, mi farò su una casa col bagno, il termo e il giardinetto coi
fiori. E ogni tanto capiterò sui lavori e dirò: «Per favore, quella porta lì la sposti mezzo metro più a
destra... Quella finestra la chiuda e ne apra una dalla parte opposta... ». È il destino di noi mezze cartucce.
Margherita sospirò, poi disse che, tirate le somme, la faccenda non le dispiaceva.
—
in fondo è bello potersene stare lontani dalla città, in questa pace, in mezzo a questa gente
semplice e cordiale. Questa gente che ci sa tanto comprendere...
i FiGLi Ci GUARDANO
Stavo prendendo un po' di fresco alla finestra che dà sul giardinetto. Vidi comparire dietro le sbarre del
cancello il portalettere che infilò qualcosa nella cassetta per la posta e se ne andò.
Allora saltò fuori da qualche parte la Pasionaria che, canterellando, si avviò verso il cancello e, qui giunta,
aprì lo sportello della cassetta e cavò fuori cinque o sei lettere e un giornale.
Non si era accorta che io stavo lì a osservarla, quindi agì con assoluta naturalezza : infilò il giornale sotto
l'ascella, aprì tutte le lettere e le lesse rimettendo poi i foglietti nelle buste.
Si udì la voce di Albertino:
—
C'è qualcosa?
—
Niente, — rispose con aria di noia la Pasionaria. — Tutta roba di lui.
Entrò in casa a depositare lettere e giornale e tornò fuori riprendendo le sue faccende.
Poco dopo, a tavola, misi sul tappeto la importante questione.
—
Margherita, — domandai, — è arrivata la posta?
—
Non ho guardato nella casella, — rispose Margherita.
—
Ci ho guardato me, — comunicò la Pasionaria andando a prendere lettere e giornale. C'era soltanto
questa roba qui.
Guardai con ostentata meraviglia le buste lacerate.
—
Straordinarioi — esclamai. — Adesso la posta arriva in tale stato? Domani scrivo una protesta alla
direzione delle poste e faccio licenziare il postino. Così imparerà ad aprire le lettere.
La Pasionaria scosse il capo:
—
Non le ha mica aperte lui, — spiegò con naturalezza. — Sono stata me.
Controllai, una per una, le buste e le mostrai alla Pasionaria.
—
Qui si vedeva chiaramente che le lettere erano indirizzate a me. Perché le hai aperte tu?
Senza il minimo turbamento la Pasionaria rispose :
—
Per forza : quando sono arrivate, lei non c'era, e allora le ho aperte me.
—
È una cosa inconcepibilei — urlai. Vorresti forse insinuare che tua madre apre le lettere
indirizzate a me?
—
Si capisce, — replicò calma la Pasionaria.
—
Non si capisce un accidentei — affermai categorico. — Questa è una novità, per me.
La Pasionaria fece un sorrisetto di compatimento :
—
Novità, figuriamocii Ma se tutti i giorni gridi sempre con lei perché lei apre le tue letterei
Avevo condotto la sciagurata proprio là dove m'ero prefisso.
—
Benissimoi — gridai. — E se tutti i giorni io grido sempre con tua madre perché non voglio che lei
apra le mie lettere, perché le apri tu?
—
Gridi tutti i giorni per un sacco di cose, tui — replicò stringendosi nelle spalle. — Non fai altro
che gridare.
La faccenda era troppo grossa e io mi ribellai:
—
Osi, dunque, criticare tuo padre?
—
Me non critico, — ribatté la Pasionaria. — Me ascolto.
A questo punto intervenne Margherita : — i figli ci guardano, — affermò con amaro sarcasmo. —
Bisogna che te ne renda conto, Giovannino.
—
Certamente, Margherita : bisogna rendersi conto che i figli ci guardano e, quando vedono che la
madre, imperterrita, continua ad aprire la posta indirizzata al marito, trovano naturale aprire le lettere
indirizzate al padre e alla madre.
La Pasionaria precisò:
—
No, le lettere indirizzate alla madre non le apriamo mai.
—
E perché? — m'informai.
—
Neanche tu le apri le lettere indirizzate alla mamma. Se non le apri tu che sei suo marito, perché le
dobbiamo aprire noi che siamo suoi figli?
Era una logica infernale e ne sentii tutta l'orrenda illogicità.
—
Benissimoi — esclamai. — E perché aprite le mie lettere? Se siete figli di vostra madre, non siete
forse anche figli di vostro padre?
Albertino rimase assai colpito da questo mio limpido e sereno argomettare e fece cenno che mi approvava
incondizionatamente. Ma la Pasionaria precisò :
—
Me non apro mica le lettere del padre, ma le lettere del marito. il padre è uguale alla madre e tutt'e
due formano i genitori. il marito invece è una cosa che non riguarda i figli ma la moglie. Mi ribellai a quel
sacrilego tentativo di complicare, sconvolgendoli e falsandoli, i rapporti familiari:
—
Per i figli, i genitori sono esclusivamente il padre e la madre. E i figli devono considerare i genitori
esclusivamente sotto la specie del padre e della madrei
La Pasionaria non disarmò.
—
Mia mamma è sempre mia mamma anche se è tua moglie. Mio babbo, invece, quando per esempio
fa inquietare mia mamma, non è più mio babbo ma il marito di mia mamma.
—
E quando tua madre fa inquietare me? urlai indignato. — Chi fa inquietare : suo marito o tuo
padre?
—
Fa inquietare suo marito, — rispose cinicamente la Pasionaria. — Affari suoi di lei: me non
c'entro.
La conclusione era tremenda e io lo feci notare :
—
Allora tutto questo significa che, mentre, per te, tua madre è sempre tua madre, io, alle
volte sono tuo padre, alle volte sono semplicemente un uomo che non ha rapporti diretti con te, ma con
tua madre. insomma tu, talvolta, vedi in me l'estraneoi
La Pasionaria evidentemente trovò il ragionamento difficile perché rimase a pensarci su. Poi stabilì :
—
Quando me sono nata, tu non c'eri : sei tornato tanto tempo dopo. La mamma invece c'era.
intervenne Albertino :
—
Bella forzai — esclamò. — in guerra ci vanno gli uomini, mica le donnei
La Pasionaria scrollò le spalle : — Cosa c'entra? — replicò. — Anche se in guerra ci andrebbero invece le
donne, se mio babbo era a casa e mia mamma era in guerra, me non nascevo.
La Pasionaria se ne andò assieme a suo fratello e, quando mi disse « ciao », non so se salutasse suo padre
o il marito di sua madre.
*
Rincasando a mezzodì del giorno seguente, trovai vicino al mio piatto sette lettere e tutte regolarmente
chiuse. Ciò procurò immenso piacere a me e visibile stupore alla Pasionaria. E me ne accorsi dal modo
col quale essa mi guardava mentre col coltello aprivo le buste.
Era un buon risultato. Ma, il giorno dopo, disgraziatamente, rincasai parecchio prima del mezzogiorno e,
attraverso la porta del corridoio, vidi Margherita che, ritta davanti alla cucina a gas, stava facendo fare la
cura del vapore alla busta che teneva sospesa sopra una gran pentola piena d'acqua bollente.
E la Pasionaria era lì che la guardava.
Tornai indietro e rimasi fuori una buona mezz'ora.
Sedendomi a tavola, trovai tre lettere vicino al mio piatto e le buste erano chiuse regolarmente.
Finito il desinare ci appartammo e io dissi a Margherita :
— T'ho visto mentre stavi aprendo le mie lettere col sistema delle portinaie, inumidendole sul vapore. E la
bambina era lìi Belle cose insegni a tua figliai
Margherita si guardò attorno.
—
Non gliel'ho insegnato io, — rispose. — Me l'ha insegnato lei ad aprire le buste così.
—
Margherita, tutto ciò è pessimoi
—
È stata lei, — spiegò sottovoce Margherita. — Mi ha montato la testa per tutta la mattina. Diceva
che io mi lascio mettere i piedi addosso da mio marito, che sono una donna debolei
—
Margherita, tu cammini su una brutta stradai Non devi dar retta a tua figliai
—
Non so come fare: sono tra l'incudine e il martello, — sussurrò Margherita. — Cerca di
comprendermi, Giovanninoi
Cercai di comprenderla.
LA DiViSA GRiGiOVERDE
Entrai improvvisamente in cucina e trovai Margherita nell'atto di incominciare lo scempio e feci appena in
tempo ad afferrarle la mano e a disarmarla.
—
Perché, Margherita? — domandai.
—
Albertino è nudo, — spiegò gravemente Margherita.
L'espressione « Albertino è nudo » non deve preoccupare eccessivamente : ognuno ha in casa una madre o
una moglie e sa bene che quando una signora comunica solennemente : « io sono nuda », ciò significa in
realtà che essa ha soltanto l'intenzione di far rimodernare un soprabito o di comperare una nuova borsetta.
Margherita dunque mi spiegò che Albertino era nudo e io le risposi che questo fatto non l'autorizzava a
distruggere la mia divisa.
—
io sto ai regolamenti, — ribatté Margherita. — il grigioverde è abolito nell'esercito. Non può
servirti più. E poi è meglio liberarsene perché se durante una perquisizione ti trovano nascosta in casa una
divisa di questo genere, sono guai. Giovannino, ti sei anche troppo compromesso. Ricordati che hai due
figli.
Allora io le parlai con dolcezza.
— Margherita, dal giorno in cui ci tuffammo a capofitto nella nebbia grigia di Milano sono passati tanti
anni, e tanta nebbia è passata e si è appiccicata sui nostri capelli. Ma tu devi ricordarti di quei giorni:
allora non mi dicevi, come hai imparato a dire adesso : « Sono nuda », ma eri ben poco vestita in verità e
faceva freddo e io ti regalai il mio mantello di panno azzurro da ufficiale di artiglieria e diventò il tuo
paletò nero. Ma la divisa di diagonale grigioverde non te la dò e non la dò a nessuno. Perché, anche se il
grigioverde è abolito nell'esercito di adesso, anche se il colonnello che mi comandava allora adesso è
generale e porta la divisa kaki, nel mio esercito è in uso ancora e soltanto il grigioverde e sarà sempre in
uso.
Margherita ripiegò per bene la divisa e andò a riporla nell'ultimo piano del guardaroba, lassù dove,
durante i mesi dell'estate, emigra la roba di lana.
— L'esercito della naftalina, — disse Margherita.
*
io adesso vorrei rivolgermi al Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, e vorrei dirgli: Eccellenza, lei mi deve
dar retta anche se non uso la via gerarchica, perché io sono uno dei più validi potenzia-tori dell'artiglieria
italiana.
Signor Generale : quando io arrivai tanti anni fa a Modena, al sesto Artiglieria di Corpo d'Armata, trovai
nei magazzini i soliti 105-28, i soliti 149-13 ed erano ben pochi : ma dopo qualche mese, la caserma
rigurgitava di bocche da fuoco.
Signor Generale : il colonnello comandante era uno in gamba, uno di quelli che capiscono gli uomini e,
appena mi ebbe squadrato, mi portò in una gran baracca squallida e mi disse :
—
Questo è lo spaccio.
—
Signorsì, — risposi.
—
Signornò l — ribatté deciso il colonnello.
—
Questa è una ignobile baracca dove i soldati
entrano con raccapriccio. E lei è il tipo capace di trasformare questa ignobile baracca in un elegante luogo
di ritrovo.
in verità, l'unica cosa che io mi sentivo di fare di quella squallida baracca, era di trasformarla in un locale
di punizione per quadrupedi indisciplinati. Avrei anche potuto incendiarla, sempre ammesso che il legno
del poco mobilio e del soffitto, coperto com'era di grosse croste di colore, avesse accettato di prendere
fuoco. Ad ogni modo risposi :
—
Signorsì.
—
Per la batteria non si preoccupi, — credo mi rassicurasse il colonnello. — La batteria cui lei è
aggregato ha tutto da guadagnare dalla sua assenza.
Credo davvero che dicesse così : se non lo disse fece male perché io ero il più scassato aspirante espresso
dalle scuole addette alla istruzione degli
ufficiali di complemento. E ciò in quanto io, pure avendo frequentato il liceo classico e possedendo nel
campo delle matematiche le sole nozioni indispensabili per saper distinguere una moltiplicazione da un
parallelepipedo, ero stato collocato in
artiglieria dove, per sparare in un punto situato ad ovest, bisogna — per esempio — mirare alla punta di
un campanile situato a nord e calcolare un sacco di porcherie contraddistinte da lettere greche. Senza
contare la faccenda del parallelismo della convergenza con annesse diavolerie di treppiedi con
cannocchiale, stecche di legno a fette bianche e rosse e via discorrendo. Roba da ingegneri, insomma.
Ad ogni modo io andai a racimolare un gruppetto di soldati e, a forza di stucco, di finto legno,
di finto marmo, di litigi col Minuto Mantenimento e di permessi speciali ai miei collaboratori, riuscii a
rendere presentabile e frequentabile lo spaccio. E il guaio fu che io, per completare l'opera, agguantai i
pennelli e pitturai sui muri quattro grandi pannelli.
Questo risultò di una importanza eccezionale, agli effetti del potenziamento dell'artiglieria: infatti il
colonnello, visti i pannelli, mi portò in giro per la caserma e mi indicò le parti più squallidamente
imbiancate a calce dei muri e così io cominciai a pitturare cannoni e obici con contorno di bandiere, di
motti, di nastri, di cartigli, di alloro, di quercia e di nuvole. E continuai fino al finto affresco allegorico
finale : terminato il quale partii per il campo e per le esercitazioni di tiro.
insomma, io vorrei dire al generale capo di Stato Maggiore dell'Esercito che se io gli parlo bisogna che mi
ascolti perché sono uno dei potenziatori dell'artiglieria italiana. E il generale lo deve ricordare per la
semplice ragione che il colonnello d'allora è il generale di oggi.
Quello che voglio dire è, senza dubbio, una sciocchezza che farà ridere un sacco di gente, ma lo dico
ugualmente.
Perché l'esercito non ritorna al grigioverde?
Abbiamo visto in grigioverde i nostri padri, signor generale. E i nostri figli ci hanno visto in grigioverde.
Perché dovremo vedere in kaki i nostri figli?
Ragioni tecniche?
Servono per la guerra, le ragioni tecniche. E poi no, signor generale: non si parla più di guerra, ma di
Difesa e, se dovremo difendere le nostre terre, il grigioverde va benissimo perché la nostra terra è coperta
di verde.
Abbiamo raccattato le brache e i giubbetti usati che gli altri hanno gettato alla nostra miseria sbrindellata;
abbiamo visto ufficiali rifornire il loro magro guardaroba alla fiera di Senigallia; ma adesso tutto è
cambiato, è passato un sacco di tempo e sarebbe simpatico ritornare al grigioverde.
Noi della riserva, noi dell'esercito della naftalina (come dice la signora Margherita) ci sentiremmo più
vicini a voi dell'esercito in kaki. E contiamo poco, ma siamo tanti, noi dell'esercito della naftalina.
Abbiamo visto tanti prigionieri ritornare vestiti in kaki, che il kaki è diventato per molti il color prigionia.
È sempre meglio il color Vittorio Veneto, anche se adesso è passato di moda.
Troppa retorica è stata fatta sul grigioverde e su Vittorio Veneto : siamo d'accordo. Ma la retorica
dell'antiretorica è un male di ugual forza. inoltre, per naturale reazione, rivalorizza la retorica.
Ad ogni modo Albertino è nudo, secondo la madre, ma la mia divisa grigioverde rimane intatta nella
naftalina. E non sogna guerre, si può star sicuri. Non ne ha mai sognato, nonostante il suo aspetto
marziale.
Ma può darsi, signor Generale, che io abbia parlato di grigioverde e di kaki per dire tutt'altra cosa. Può
darsi benissimo. D'altra parte non ne ho colpa io. È in artiglieria che mi hanno insegnato a mirare a ovest,
mettiamo, per sparare a nord.
Margherita, quando io parlo, mi guarda sempre diffidente, prima di rispondermi.
—
Cosa intenderesti dire? — mi domanda poi con cautela.
Un giorno io, in cima a una scala non brevettata, stavo tentando di rabberciare una tapparella del balcone
e la scala mi sfuggì via di sotto, e io rimasi aggrappato al cassone della tapparella.
—
Margherita, rimettimi la scala sotto i piedii
—
urlai.
—
Cosa intenderesti dire? — si informò con diffidenza Margherita.
io sono, in definitiva, un sacco di patate coi baffi e posso rimanere appeso al cassone di una tapparella un
tempo limitatissimo data la natura scarsamente sportiva delle patate: infatti poco dopo mi andavo a
sfasciare sul pavimento.
—
intendevo dire che se non mi rimettevi sotto la scala sarei piombato giù, — dissi a Margherita.
—
Ed ecco che infatti sono venuto giù. Margherita scosse il capo :
—
Non mi fido : sei troppo allusivo, Giovannino.
Più per terra di così mi sarei trovato al piano di sotto. Quindi feci capire che ero urtato dalla sua
diffidenza.
—
Ti conosco, Giovannino, — osservò calma Margherita. — Ti ricordi quando ci siamo sposati?
Mi ricordavo.
—
Ebbene: io, allora, dal modo col quale tu hai risposto « sì », ho capito subito che tu volevi dire
tutt'altra cosa.
Osservai che erano trascorsi tanti anni da quel « sì » e, ormai, la diffidenza doveva esserle passata.
—
Non è ancora finita la storia, — rispose Margherita. — Vedremo.
Se il Cielo mi darà la gioia di partire per primo (quando beninteso sarà tempo e arcitempo) da questo
malinconico mondo e dirò: « Margherita, me ne vado dall'altra parte », sono certo che Margherita mi
domanderà: « Cosa intenderesti dire? ». Poi guarderà i miei baffi immobili ormai per sempre e scuoterà il
capo e sospirerà: « t mai possibile che, fino all'ultimo, egli insista nel dire una cosa per dirne invece
un'altra? ».
E nessuno riuscirà a convincerla che io sia definitivamente defunto e, anche quando mi avrà sistemato
sotto tre metri di terra, tornerà a casa scuotendo incredula il capo. E aspetterà ch'io torni.
E passeranno i giorni.
AMMiNiSTRAZiONE
Finita la cena, la Pasionaria spense la radio e io le dissi di riaccenderla perché trasmettevano roba che
m'interessava.
—
Dopo, — rispose la Pasionaria. — Prima bisogna fare la seduta.
—
La seduta? Che novità è questa? — mi stupii.
—
Non è una novità, — spiegò Margherita sopraggiungendo con due registri e l'occorrente per
scrivere. — Adesso, tutte le sere, finita la cena, facciamo la seduta. Abbiamo incominciato subito dopo
che tu sei partito.
Margherita si sedette e aprì un registro.
—
La seduta serale si divide in due parti: chiusura del bilancio delle ventiquattro ore passate e
impostazione del bilancio delle ventiquattro ore future.
Le confessai che, pure essendo tutto chiarissimo, io non capivo niente.
Margherita, allora, con molta serenità mi fornì i ragguagli del caso.
— Noi, fino a ieri, abbiamo vissuto come può vivere una famiglia di cavalli che pascola in un prato e
mangia quello che trova senza preoccuparsi del domani. Non abbiamo mai avuto una amministrazione.
Una casa senza amministrazione è un edificio senza fondamenta : sta su fin che sta su, ma nessuno
garantisce la sua stabilità. Adesso la casa ha una amministrazione. E questo è straordinariamente
importante, soprattutto perché, partecipando alla discussione serale, i bambini si fanno un'idea precisa di
quel che costi la gestione d'una famiglia e imparano a distinguere fra quel ch'è necessario e quel ch'è
superfluo. Non crescono nella bambagia, ma si rendono conto delle difficoltà che occorre superare per
vivere.
Mi sentii pieno d'ammirazione per Margherita.
—
E i ragazzi hanno già perfettamente capito il concetto-base : tu, spiega al babbo cos'è la casa,
amministrativamente parlando.
La Pasionaria recitò tutto d'un fiato:
—
La casa, amministrativamente parlando, è una barca il cui equipaggio è composto dal padre che
rema, dalla madre che regge il timone e dai figli che non se ne stanno sdraiati a dormire, ma aiutano il
padre e la madre e così imparano a remare e a pilotare. Amen.
—
Non è il momento di fare dello spiritoi la rimproverò Margherita. — Vediamo di incominciare. Ci
sono osservazioni o suggerimenti sulla gestione passata? il danaro speso è stato tutto speso bene?
La Pasionaria e Albertino si guardarono.
—
Per me, sì, — rispose Albertino.
—
Per me è stato speso male il danaro della minestra in brodo. Me preferivo la pastasciutta.
Margherita scosse il capo :
—
Quando si fa il pollo lessato, si deve sfruttare ii brodo per la minestrai Avanti: ci sono altre
osservazioni? Cos'è che si poteva risparmiare?
—
il sale che tu hai messo nel brodo dopo che ce l'aveva già messo la Giacometta, — borbottò la
Pasionaria. — La minestra era salata che faceva schifo.
Margherita non raccolse la provocazione.
—
Passiamo ad impiantare il bilancio preventivo di domani. Tenete presente che c'è, in più, vostro
padre. Tu, scrivii
La Pasionaria, digrignando i denti, intinse la penna e scrisse in testa alla nuova pagina : « Giovedì 5 marzo
- Forza effettiva 5 - Forza presente 5 ». Rilesse ad alta voce.
—
Bene, — approvò Margherita asciutta, quasi militaresca. — Albertino, detta le presenze dei vari
generi.
Albertino dettò:
—
Cinque presenze di pane a colazione, cinque per il desinare, due per la merenda e cinque per la
cena, totale diciassette presenze.
—
Sedici, — rettificò la Pasionaria, — io a cena voglio una presenza di polenta.
—
Non è possibile perché anti-economico, affermò Margherita. — O tutto pane o tutta polenta.
Vennero approvate per la sera cinque presenze di polenta.
—
Ogni presenza, — mi spiegò Margherita, — sia per il pane che per il resto, è espressa con un peso
e un costo. Abbiamo fatto un prontuario completo.
Concordato il tipo di minestra e di companafico, il consiglio di amministrazione fissò le presenze relative.
—
Ci vorrebbe anche una presenza di polmone per il gatto, — osservò la Pasionaria.
—
il gatto non figura in forza, — affermò Margherita. — il gatto si deve arrangiare con gli avanzi.
Vediamo di tirare le somme. Quanto veniamo a spendere per il vitto di domani?
Albertino e la Pasionaria lavorarono a lungo sulla somma e, alla fine, trovarono un risultato che non
piacque a Margherita.
Rifecero la somma e ne trovarono un secondo notevolmente diverso dal primo, ma neanche questo risultò
simpatico a Margherita.
Allora intervenne la Giacometta e l'addizione funzionò secondo le regole tradizionali.
Margherita scosse il capo:
—
Ci sono duecento lire in più di oggi : questo non può andare. Domani bisognerà fare la scelta con
maggior cura. intanto, siccome dobbiamo sanare lo sbilancio, togliamo le duecento lire dalla quota fissa
preventivata per il Gruppo B.
Margherita ritenne opportuno informarmi sul Gruppo B:
—
Abbiamo stabilito quanto dobbiamo spendere annualmente in vestiti, biancheria, calzature,
lavatura, stiratura, risuolatura, riparazioni varie, luce, riscaldamento, liquigas, personale di servizio,
divertimenti, viaggi, studio, sigarette, incremento cultura, imposte, tasse, villeggiatura, ammortamento del
capitale, mance, posta, medicine, revisione impianti, eccetera eccetera : poi abbiamo fatto la somma e
l'abbiamo divisa per 365 stabilendo quanto dobbiamo spendere giornalmente. Questo è il Gruppo B. Per il
Gruppo B c'è un altro registro, diviso per voci.
Sfogliai il registro del Gruppo B e rimasi sbalordito.
—
Margherita, tu hai impiantato questa amministrazione?
— No: l'ha impiantata la signora Marcella sulla base di quella della sua famiglia che è simile alla nostra.
Naturalmente è stata adeguata al nostro particolare tenore di vita. È un capolavoro d'esattezza. Tu puoi
star sicuro che, in condizioni di quasi normalità come oggi, la casa e la famiglia costano quotidianamente
questa cifra.
Guardai la cifra ed era qualcosa di pazzesco, di colossale.
—
Margherita? — balbettai. — È impossibile che io possa spendere ogni giorno una somma così.
Margherita sorrise:
—
Capisco, Giovannino. Tu fai il ragionamento di chi ha un'automobile e dice: « La mia macchina fa
i o chilometri con un litro di benzina. Quindi, siccome la benzina costa 13o lire al litro, io spendo 13 lire
al chilometro ». E l'olio? E le gomme? E le riparazioni? E le tasse? E l'assicurazione? E l'ammortamento
del capitale? Prova a pensarci, Giovannino.
Ci pensai: Margherita aveva ragione.
Mi sentii pieno di sgomento.
—
Margherita, — ansimai. — È spaventosoi La Pasionaria intervenne:
—
Giacomettai Una presenza di cognac per il signorei
La Giacometta portò il cognac e io ne buttai giù un bicchierino.
— Puoi prenderne anche un altro, Giovanni-no, — mi rassicurò Margherita. — È in bilancio nella somma
stanziata per le sopravvenienze passive.
il cognac mi rinfrancò e io, con più calma, mi studiai il registro del Gruppo B. Ogni cosa risultava
terribilmente esatta.
Tirate le somme io mi rendevo conto che ogni giorno di vita mi veniva a costare una quantità
inimmaginabile di quattrini.
io non avevo mai pensato a una faccenda di questo genere e, adesso, sentivo sulle spalle un peso
tremendo.
— Margherita, — dissi allora. — Amministrativamente parlando, la famiglia è una barca nella quale il
padre rema, la madre regge la barra del timone e i figli non stanno a dormire ma aiutano il padre e la
madre e così imparano a remare e a pilotare. Questo è giustissimo. Ma se il povero rematore oltre a
remare deve, ogni volta che dà un colpo di remo, tener presente tutto il putiferio che succede nella massa
liquida dell'oceano per il turbamento che lo stesso colpo di remo porta nella massa liquida, se deve tenersi
continuamente al corrente delle calorie che consuma il suo sforzo e poi fare il rapporto fra il numero di
calorie consumate, il volume dell'ossigeno inspirato, la quantità di globuli rossi, le variazioni di tensione
nervosa, le vitamine, le proteine, le tossine, la decalcificazione delle tibie, la tensione del nervo sciatico,
la pressione del sangue, l'assorbimento di raggi ultravioletti, le reazioni piloriche, eccetera eccetera,
Margherita, sai cosa dovrà fare, a un bel momento, questo infelice rematore?
—
Buttarsi in acqua, — affermò la Pasionaria che aveva capito il concetto.
—
Sì, buttarsi in acqua e morire affogato non senza aver prima accuratamente calcolato il volume del
liquido spostato.
Margherita allargò le braccia.
—
Giovannino, non bisogna fare come lo struzzo che, per non vedere le cose spiacevoli, nasconde la
testa nella sabbia. Bisogna vivere coscientemente. E, per vivere coscientemente, niente di meglio di
un'amministrazione familiare perfetta, inesorabile.
Non ero d'accordo.
—
Margherita, esiste una sola amministrazione familiare che io posso tollerare. Ed è basata su questo
principio : il padre rema lietamente, serenamente, pago della gioia che gli dà il navigare nel vasto mare, e
i figli non dormono ma stanno a guardare il padre che rema e così imparano dall'esempio paterno che, per
navigare, bisogna remare senza sosta.
—
E la madre? — domandò Albertino. — Cosa fa?
—
La madre cerca di non rompere le scatole né al marito né ai figli, — rispose la Pasionaria.
Margherita la incenerì con uno sguardo.
Poi si versò una presenza di cognac e, raccolti il registro del Gruppo A e quello del Gruppo B, li buttò nel
fuoco.
Quindi si alzò e disse :
—
La madre toglie l'incomodo. Abbandona la barra del timone e se ne va i
—
Forza effettiva : 5 - Forza presente : 4 Forza a letto fino alle undici di domani: t, — borbottò la Pasionaria.
Margherita disparve e, rimasta senza nocchiero, la navicella naufragò assieme a tutta la ciurma nella
enorme torta di frutta che la Giacometta aveva portato in tavola sotto il titolo di sopravvenienza attiva.
LA CiCCiOLATA
Una sera mi venne in mente la cicciolata.
— Ecco, — dissi: — ho una voglia matta di mangiare cicciolata con polenta.
— Domani avrai la cicciolata e la polenta, rispose Margherita.
L'indomani io non ebbi né cicciolata né polenta, e pregai Margherita di ricordarsi che desideravo mangiare
cicciolata con polenta.
il giorno seguente, durante il desinare e la cena, si parlò ancora di cicciolata e di polenta e questo accadde
perché né a desinare né a cena io ebbi la cicciolata e la polenta.
il giorno dopo, la storia si ripeté e allora Margherita perdette la pazienza :
— Cicciolata con polenta, polenta con cicciolatai Sempre cicciolata e polenta. Sempre polenta e
cicciolatai — gridò esasperata. — Non si può continuare tutta la vita a mangiare cicciolata e polenta,
bisogna pur cambiarei
Come al solito, il vantaggio dell'iniziativa era passato a Margherita. E Margherita si presentava
all'opinione pubblica come la vittima della cicciolata e della polenta.
impiantare una discussione con un avversario così subdolo non potevo e decisi di passare all'azione.
il giorno dopo andai dal mio amico Giovanni :
—
Vorrei far macellare un maiale, — gli dissi.
—
Ci penso io, — rispose. — Ho il maiale che fa per te e l'uomo adatto a lavorartelo. Cosa ti
interessa?
Gli dissi che facesse insaccare la carne come meglio credeva :
—
L'unica cosa che mi interessa in modo particolare è la cicciolata perché si tratta di una questione di
principio. È un mese che in casa chiedo cento grammi di cicciolata e non riesco ad averla. La imporrò a
chilii Sacrifica tutto quel che si può sacrificare a favore della cicciolata : è una cicciolata che non ha un
semplice significato gastronomico ma che ha anzitutto un significato moralei
Rimanemmo d'accordo su queste basi : Giovanni mi avrebbe fatto macellare e lavorare il maiale
trattenendo tutto a casa sua per la stagionatura e limitandosi a mandarmi, appena pronto, il blocco della
cicciolata.
Tornai a casa giustamente soddisfatto e non parlai più di cicciolata. Aspettai con serena calma e quando,
trascorsi cinque o sei giorni, Giovanni mi telefonò che « aveva trovato quel libro che mi interessava », io
corsi a casa sua in macchina.
Giovanni mi mostrò, appesa al soffitto' della cucina, la roba già insaccata e voleva spiegarmi per filo e per
segno il concetto che egli aveva seguito per la scelta dei tipi d'insaccato adeguati al mio temperamento e
alle caratteristiche quantitative e qualitative del mio nucleo familiare. Voleva anche ragguagliarmi sulla
roba rimasta sotto sale in attesa di lavorazione, ma io lo interruppi :
—
La cicciolatai
Allora mi portò in cantina e mi presentò la cicciolata.
Voi non avete certamente un'idea della esatta consistenza del blocco di cicciolata che si può cavar fuori
(puntando tutto il puntabile sulla cicciolata) da un maiale di circa tre quintali.
in verità, prima di vedere quel blocco di cicciolata, non l'avevo neppure io un'idea precisa e v'assicuro che rimasi piacevolmente sorpreso. Le descrizioni non mi seducono : tanto per avere un'idea della
faccenda basta pensare a un blocco di granito di centimetri 15 X 5o X 4o.
Naturalmente, ai fini di una esatta valutazione, bisognerà tener presente che il blocco di granito è di semplice granito, mentre il blocco di cicciolata è di cicciolata. La quale cicciolata è infinitamente
più sostanziosa del granito e, quindi, notevolmente più difficile da digerire.
Agguantai il blocco, lo ficcai nel baule della macchina, e ripartii.
Arrivato a casa, lasciai la macchina sotto il portico, davanti alla porta di cucina, e attesi con apparente
indifferenza l'ora di cena.
il destino mi favorì : quella sera, invece della solita minestra, apparve in tavola una fumantè polenta,
gialla, tonda e grande come la luna d'agosto.
La guardai, ed esclamai allegramente:
— Finalmentei Stasera si mangia polenta con cicciolata frescai
Margherita mi lanciò uno sguardo quasi bieco :
—
Ricominciamo? — disse. — Se volevi la cicciolata dovevi avvertire a tempoi
—
Stasera cicciolata con polentai — esclamai ancora.
Naturalmente io avevo combinato le cose con esattezza cronometrica e, appena pronunciata la parola «
polenta », la porta di cucina si spalancò ed entrarono Albertino e la Pasionaria reggendo su un grande
tagliere il blocco granitico della cicciolata.
Misi il blocco nel bel centro della tavola : era qualcosa di maestoso, di monumentale e Margherita guardò
il blocco con occhi pieni di rispettoso stupore. Quasi di timore.
Mangiammo tutti cicciolata e polenta a crepa-pancia : Margherita non fece commenti. L'avevo
schiacciata.
A desinare del giorno seguente, mangiammo naturalmente cicciolata con polenta. E, a cena, polenta con
cicciolata.
Non fiatai : e non dissi niente neanche il giorno che seguì il seguente quando, a desinare e a cena, trovai
che il menù era composto esclusivamente da cicciolata con polenta.
Resistetti validamente per altri quattro giorni. Poi, vedendo ricomparire sulla tavola il blocco della
cicciolata, mi scappò detto:
— Però...
Margherita mi fulminò con uno sguardo atomico :
— Eccoloi — gridò. — Quando non c'è la cicciolata, fa la tragedia perché non c'è la cicciolata. Quando
c'è la cicciolata fa la tragedia perché c'è la cicciolata. Vuoi spiegarmi cosa pretendi da noi? Le risposi che
non avevo fatto nessuna tragedia né avevo intenzione di farne. il « però » da me pronunciato era, nelle mie
intenzioni, l'inizio di
una proposizione che non aveva niente a che vedere con la cicciolata.
—
Si può dire « però » davanti alle cascate del Niagara o davanti a una aurora boreale, — conclusi. —
Ma davanti alla cicciolata non si può eccepire niente.
Margherita si rasserenò e mangiai la cicciolata.
E il giorno dopo, quand'ebbe visto che a desinare e a cena avevo mangiato senza dir parola cicciolata e
polenta, si rallegrò:
—
Giovannino, tu non puoi immaginare la soddisfazione che io provo vedendo che, finalmente, ho
trovato qualcosa che ti piace?
Durante la notte ragionai a lungo fra me e me. Ripensai a quello che era rimasto del blocco granitico della
cicciolata, ne valutai la consistenza materiale, valutai le possibilità di assorbimento di Margherita, di
Albertino, della Pasionaria, della Giacometta e del gatto e arrivai a questa conclusione:
« Se io domattina parto per Milano e poi rimango a Milano quindici giorni consecutivi, quando torno qui
il blocco della cicciolata è finito? ».
Difatti partii, mi gingillai a Milano per quindici giorni e poi tornai sicuro di me e pieno di speranza
nell'avvenire.
Bighellonai per la casa, controllai il funzionamento dei rubinetti e delle serrature e così, a un bel
momento, entrai in dispensa per dare un'occhiata alla situazione delle scorte alimentari.
il blocco di cicciolata era lì, tale e quale l'avevo lasciato quindici giorni prima.
Rabbrividii per l'orrore.
La Pasionaria entrò in dispensa per tagliarsi un
una proposizione che non aveva niente a che vedere con la cicciolata.
—
Si può dire « però » davanti alle cascate del Niagara o davanti a una aurora boreale, — conclusi. —
Ma davanti alla cicciolata non si può eccepire niente.
Margherita si rasserenò e mangiai la cicciolata.
E il giorno dopo, quand'ebbe visto che a desinare e a cena avevo mangiato senza dir parola cicciolata e
polenta, si rallegrò:
—
Giovannino, tu non puoi immaginare la soddisfazione che io provo vedendo che, finalmente, ho
trovato qualcosa che ti piace?
Durante la notte ragionai a lungo fra me e me. Ripensai a quello che era rimasto del blocco granitico della
cicciolata, ne valutai la consistenza materiale, valutai le possibilità di assorbimento di Margherita, di
Albertino, della Pasionaria, della Giacometta e del gatto e arrivai a questa conclusione:
« Se io domattina parto per Milano e poi rimango a Milano quindici giorni consecutivi, quando torno qui
il blocco della cicciolata è finito? ».
Difatti partii, mi gingillai a Milano per quindici giorni e poi tornai sicuro di me e pieno di speranza
nell'avvenire.
Bighellonai per la casa, controllai il funzionamento dei rubinetti e delle serrature e così, a un bel
momento, entrai in dispensa per dare un'occhiata alla situazione delle scorte alimentari.
il blocco di cicciolata era lì, tale e quale l'avevo lasciato quindici giorni prima.
Rabbrividii per l'orrore.
La Pasionaria entrò in dispensa per tagliarsi un pezzo di formaggio da mangiare a merenda e io, con
studiata indifferenza, le domandai :
—
Non avete mangiato cicciolata durante la mia assenza?
— No, — rispose la Pasionaria. — Noi ne volevamo mangiare, ma la mamma ha detto che ti piace
tanto e bisognava lasciarla per te. Allora non l'abbiamo più toccata. Se a un padre gli piace una cosa, i
figli devono sacrificarsi mangiandone un'altra. Dovetti lodarla per il suo spirito di sacrificio.
—
Comunque, — aggiunsi, — era bene che voi ne mangiaste, È roba che non dura molto. Adesso,
purtroppo, sarà guasta.
—
No, — spiegò la Pasionaria. — La mamma ha telefonato al signor Giovanni e lui le ha risposto
che, siccome fa molto freddo, la cicciolata dura anche più di un mese.
—
Bene, — mi rallegrai col cuore pieno di tristezza. — Però adesso, invece di mangiare formaggio a
merenda, puoi tagliarti un buon pezzo di cicciolata.
La Pasionaria scosse il capo.
—
No, no, — disse. — Quella è roba tua. Magari stasera a cena ne mangeremo una fettina.
A cena io avrei mangiato cicciolata e polentai
Non era possibile : Dio non l'avrebbe permesso.
Mi rimisi a bighellonare per la casa poi, al momento opportuno, agguantai a volo il gatto e lo buttai dentro
lo stanzino della dispensa chiudendo a chiave l'uscio e mettendomi la chiave in tasca. Tornai per
controllare, dopo un'ora, come stessero le cose.
il gatto non aveva neppur toccato la cicciolata. Lo afferrai per la collottola e lo misi vicino al blocco di
cicciolata, ma il disgraziato incominciò a gemere : aveva paura della cicciolata.
Decisi di provocare l'intervento di gatti meno stupidi: aprii il finestrino della stanzetta e posi sul davanzale
qualche pezzetto di carne.
Tornai a richiudere la porta e attesi pieno di speranza : la mia casa è considerata dall'opinione pubblica (e
giustamente), il punto di ritrovo di tutti i gatti della zona. Gatti arditi e famelici di tale intraprendenza da
non indietreggiare davanti a nessun ostacolo : tanto è vero che, una volta, essendo rimasto aperto il
finestrino della dispensa, un gatto aveva tentato di aprire con gli unghioli una scatoletta di latte
condensato e quasi era riuscito a bucarne il coperchio.
Diedi un'occhiata in cortile e vidi che i gatti stavano arrivando come se avessero ricevuto — via radio —
l'ordine di mobilitazione.
Salii al primo piano, ma poco dopo un putiferio spaventoso mi richiamò al pianterreno dove trovai
Margherita che cercava disperatamente la chiave della dispensa.
— L'ho messa io in tasca senza volere, — le dissi consegnandole la chiave.
Disparve e, di lì a poco, mi chiamò. La raggiunsi in dispensa.
— Guardai — mi disse indicandomi qualcosa sul pavimento.
Non avevo mai visto un gatto così mal ridotto e stentai a riconoscere in quel fremente fagotto di stracci
che stava sul pavimento il nostro gatto.
— Guarda, Giovannino i — esclamò Margherita. — Guarda e stupisci? Qualche disgraziato poco fa è
entrato in dispensa e, aperto il finestrino, non l'ha richiuso. Una torma di gatti assetati di rapina è
piombata in dispensa, ma il Giangi era già qui perché aveva capito il pericolo. Era qui ad aspettare la
torma dei banditi. Erano dieci contro uno, ma chi può far paura ad un gatto che possiede il preciso senso
del dovere? Ha lottato come un leone non indietreggiando di un millimetro : le unghie degli assalitori
straziavano le sue carni ma il Giangi non ha mollato. Ed ora eccolo lì, lacero, sanguinante, sfinito ma
vittoriosoi La cicciolata che piace tanto al suo padrone è salvai Salva e intattai Salva e incontaminata
perché quei briganti non sono riusciti neppure a sfiorarla con un'unghiai Guardalo, Giovannino, l'eroe che
ha rischiato serenamente la vita per difendere la cicciolata del suo padronei
Mi chinai per accarezzare la testolina arruffata del gatto eroico e con voce sommessa gli dissi:
— Mascalzonei
Non ho paura a scrivere questo : vengano pure a protestare i rappresentanti della Società Protettrice degli
Animali: io ripeterò quel che ho detto allora : « Quel gatto non è un eroe: è un mascalzone ».
La Società Protettrice degli Animali, se avesse un minimo di coscienza, proteggerebbe non il gatto ma
mei Perché il gatto, quella sera, non mangiò polenta e cicciolata.
Quella sera, la cicciolata con polenta la mangiai io. io solo, perché gli altri si rifiutarono di mangiare
quella cicciolata che sapevano mi piaceva tanto. Si sacrificarono per mei
E io mangiai cicciolata quella sera, e anche l'indomani e il posdomani. io ripresi a mangiare cicciolata e la
sto mangiando ancora e debbo tacere per non permettere a Margherita d'accusarmi di calpestare con piede
ingrato il sacrificio di una moglie, di due figli e di un gatto.
L'eroe sono ioi
Eroe mille volte più del gatto. Eroe mille volte più vittorioso del gatto perché il blocco della cicciolata è
stato smantellato, frantumato, e stasera, a cena, lo distruggerò completamente.
Ne sono sicuro : ho gettato l'anima oltre l'osta-. colo e solo Dio potrà fermarmi: gli uomini e le cose maii
ADDiO, SACRE MEMORiEi
'Margherita non scese per la cena : la rividi quando la ragazza portò il caffè.
Margherita era visibilmente eccitata e aveva tra le mani un grosso quaderno.
—
La centrale di spionaggio ti avrà certamente messo al corrente degli avvenimenti dall'a alla zetai —
esclamò con sarcasmo.
—
Mi è stato semplicemente detto che non dovevi essere disturbata perché stavi scrivendo, risposi. —
Questo non mi pare spionaggio.
—
Ti è stato anche detto che io scrivevo le mie memoriei — incalzò Margherita.
—
No.
—
Allora te lo dico ioi
Mi limitai a stringermi nelle spalle.
—
Sii sinceroi — esclamò Margherita. — Ti dispiacei
—
No, — affermai sinceramente.
—
Sì, invece, — replicò aggressiva Margherita. — Ti dispiace che io abbia una vita. Tu solo hai una
vita, quii io sono semplicemente una cosa gettata dal destino sulla tua strada.
Margherita sospirò, poi voltasi verso Albertino ordinò:
—
Un sassoi
Albertino schizzò fuori dalla porta e tornò con un grosso sasso che consegnò a Margherita. Margherita
depose il sasso sulla tavola.
—
Un sassoi — esclamò Margherita. — Cos'è un sasso? Qualcosa che ha un peso, un volume, una
superficie, ma che non significa nulla perché non ha mai posseduto una giovinezza, perché non ha una
maturità, perché non avrà una vecchiaia. Qualcosa senza passato, senza presente e senza avvenire.
Qualcosa che non è niente. Mettetelo su una bilancia : segnerà un peso, invece non ha nessun peso perché
è inerte e diecimila anni di vita si possono svolgere attorno ad esso senza che esso interferisca per il peso
di un milionesimo di milligrammo sulle vicende di questi diecimila anni. Ebbene, bambini, ecco cosa
sono io per vostro padrei Una briciola di nientei
La Pasionaria commentò :
—
intanto però se a un uomo gli casca in testa quella briciola di niente, se ne accorge quando poi è
diventata sua mogliei
Dopo aver fulminato con uno sguardo la Pasionaria, Margherita riprese :
—
Ebbene, Giovannino, ecco : a un tratto si scopre che quel sasso non è una cosa, ma è un essere
umano. Lo si scopre perché questo sasso si mette al tavolino e scrive la propria storia. Che, oltre al resto, è
una storia molto interessantei Non è forse uno spiacevole contrattempo per te, Giovannino?
—
No, Margherita: perché io non ho mai pensato che tu fossi un sasso. E ti assicuro che leggerò con
estremo interesse le tue memorie. La tua storia, a un bel momento, diventerà per forza la mia storia. Dal
momento cioè in cui la mia storia e la tua storia sono diventate la nostra storia. Margherita scosse il capo :
—
Questo periodo non mi può interessare appunto perché non appartiene completamente a me. Lo
trascuro nel racconto. E poi, soprattutto, io seguo le vicende della mia vita interiore, analizzo la mia
evoluzione psicologica e i fatti esterni sono ricordati soltanto come causa di questa mia evoluzione.
—
il tuo lavoro si presenta allora ancor più affascinante, Margherita, e ti assicuro che vorrei leggerlo
subito.
Margherita si strinse nelle spalle.
—
Se è così, non ho nessuna difficoltà a leggerti qualche capitolo, — disse.
Aprì il quaderno, gettò nel fuoco il mozzicone della sigaretta e incominciò a leggere a voce alta :
—
« M'hanno detto che io sono nata in una giornata d'agosto ma nessuno ha mai saputo spiegarmi di
che colore fosse il cielo o se, quel giorno, il cielo avesse o non avesse un colore. E questo mi dispiace
molto perché vorrei poter incominciare queste mie memorie spiegando che, quando io nacqui, il cielo
aveva un colore diverso dal solito... ».
Margherita si interruppe.
—
Capisci il concetto, Giovannino?
—
Capisco, — risposi. — P un po' il pensiero segreto e terrificante che tutti noi abbiamo nel cuore : «
Un giorno qualsiasi sono nato e un giorno qualsiasi morirò ». Ci offende sanguinosamente la indifferenza
dell'universo nei riguardi dei nostri più importanti fatti personali.
— Esatto, — approvò soddisfatta Margherita e subito saltò su la Pasionaria :
—
Se non ti hanno detto il colore del cielo, potevano almeno dirti l'anno in cui sei nata.
—
Cosa c'entra l'annoi — replicò seccata Margherita. — io voglio scrivere la storia della mia vita,
non una relazione per l'anagrafei
—
Per scrivere la storia della vita si deve incominciare col dire che uno è nato il giorno tale del mese
tale dell'anno talei — affermò la Pasionaria. Tutte le persone storiche hanno l'anno di nascita.
Margherita si innervosì ancora di più :
—
Le date non contano niente, contano i fatti, contano le ideei
Ma la Pasionaria era più che mai convinta di aver ragione :
—
Le date contano : se uno non conosce quando è nato, come fa a sapere se è giovane o vecchio?
intervenne Albertino :
—
La mamma lo sa benissimo quando è natai
—
E allora perché non lo scrive? — domandò la Pasionaria. — Così, almeno, quelli che leggono il
libro possono sapere se chi lo ha scritto è una signorina, una signora o una vecchia e sanno come regolarsi
per capire bene il significato.
Margherita tentennò il capo :
—
Questo è giusto, — affermò. — Bisogna modificare. Ricominciò a leggere ad alta voce :
« M'hanno detto che io sono nata in una
giornata d'agosto di tanti, tanti anni fa e questo mi dispiace... ».
Chiuse il quaderno e lo buttò tra le fiamme.
—
il libro è molto bello ma ha un finale troppo triste, — osservai io.
La Pasionaria si appressò al camino e, agguantate le molle, cercò di cavare il quaderno dalle fiamme che
stavano incenerendolo. Ma la mano di Margherita trasse indietro la Pasionaria :
—
Rispetta almen le ceneri? — disse Margherita con voce grave e solenne. Là, nel paese del
melodramma.
L'ANTENATO
Ritornai alla mia casetta di campagna dopo dieci giorni filati di assenza per lavoro : erano le tre del
pomeriggio e trovai tutta la banda a tavola. — Stiamo cenando, — mi spiegò Margherita. —
Approfittando della tua assenza abbiamo fatto qualche variazione nell'orario dei pasti.
Non dissi niente, perché il mio pensiero era tutto preso dall'affascinante interrogativo: « Se cenano
alle tre del pomeriggio a che ora desineranno e a che ora faranno la prima colazione? e la merenda delle
cinque? ».
Salii al primo piano nel mio studiolo per mettere a posto la borsa di scartafacci che m'ero portato da
Milano. Dovevo anche fare dei conti, controllare delle fatture, firmare qualche carta bollata : cose tutte
che mi hanno sempre dato un notevole senso di disgusto.
Fra le carte trovai sparsi i quattrini del mio stipendio. Presi a separarli distendendo i biglietti di banca che
s'erano spiegazzati e disponendoli uno sull'altro. Ad un tratto mi volsi perché sentivo due occhi puntati
sopra di me.
Margherita, ferma sulla porta, mi stava guardando in modo strano.
— Giovanninoi — esclamò Margherita con una sottile venatura di angoscia nella voce, — cosa sono quei
quattrini?
Rimasi sbalordito : Margherita, da quando la avevo conosciuta, non si era mai interessata di quattrini. il
danaro le dava soprattutto un senso di disagio e maneggiava i pacchetti di banconote con lo stesso
preoccupato fastidio col quale, allorché la trovava in qualche cassetto, mi porgeva la pistola tenendola con
due dita e dicendomi:
— Giovannino, metti via questa porcheriai
Rimasi sbalordito ancor di più perché Margherita mi si appressò e, preso quel danaro, lo contò. Poi frugò
tra gli scartafacci che ancora stavano nella mia borsa e, trovate altre banconote spiegazzate, mi domandò
ancora cosa fossero quei quattrini.
—
Lo stipendio, — risposi.
—
E perché ti nascondi per contarli?
Le risposi che non era mai stato mio costume mettermi a contare i miei quattrini stando seduto sul
marciapiede o su un paracarro.
—
Com'è che questo danaro è qui tutto spiegazzato, in mezzo alle altre carte, come se tu avessi
dovuto buttarlo in fretta e furia nella borsa? Non mi risulta che, nelle aziende, paghino gli stipendi
consegnando manciate di banconote spiegazzatei
Le risposi che, effettivamente, me lo avevano consegnato bene ordinato dentro una busta. Ma poi, avendo
avuto bisogno di un po' di danaro, avevo tolto le banconote dalla busta e le avevo messe nella borsa senza
curarmi di riporle prima nella busta.
—
E la busta, dov'è?
Cercai di ricordarmi che fine avesse fatto quella dannata busta : poi, finalmente, mi ricordai:
—
Ah, sì. L'ho adoperata per mettere l'acqua sulla stufetta elettrica del mio studio a Milano.
—
Le stufe elettriche adesso funzionano ad acqua? — s'informò Margherita.
—
No : ma io sulla stufetta tengo un tegamino pieno d'acqua per ammorbidire un po' l'aria. L'acqua
era evaporata quasi tutta : allora, non sapendo come riempire il tegamino, ho usato la busta come
bicchiere. Mi ricordo bene perché, al terzo viaggio, la busta si è scollata e l'acqua è finita sul pavimento.
Margherita approvò tentennando il capo.
—
Già. Ma perché hai fatto saldare il tegamino alla stufa?
—
Non è saldato. È semplicemente posato sopra la stufa.
—
E allora, invece di riempire il tegamino andando a prendere nel bagno l'acqua con la busta, perché
non hai riempito direttamente il tegamino togliendolo dalla stufa e mettendolo sotto il rubinetto?
Guardai stupito Margherita :
—
Hai ragione, Margherita : perché non ho fatto così? Tanto più che il tegamino ha il manico. Al
massimo, se il manico scottava, potevo adoperare la busta per avvolgere il manico.
Margherita ebbe uno scatto :
—
insomma, tu vuoi liberarti ad ogni costo di quella bustai
Margherita mise un foglio di carta sul pacchetto di banconote.
—
Giovannino, quanto hai avuto di stipendio?
—
Non mi ricordo : ci sono le tasse, le trattenute varie, gli anticipi. Comunque il danaro che ho
ricevuto è tutto lì. Puoi contarlo.
Margherita mi guardò.
—
Tutto?
—
Certo.
—
Poco fa mi hai detto che hai tolto il danaro dalla busta perché ti occorrevano dei quattrini.
Mi impaperai e, dopo aver cercato il bandolo di una matassa troppo intricata per la mia modesta
competenza amministrativa, tagliai corto :
—
Margherita, se t'interessa controllare, non hai che da informarti presso l'amministrazionei
Comunque mi piacerebbe sapere come mai, improvvisamente, t'è venuta questa smania.
Margherita scosse il capo :
—
Non mi è venuta nessuna smania, Giovannino : io ti voglio semplicemente ricordare che noi un
tempo vivevamo benissimo con la decima parte del danaro che guadagni oggi e non mi importerebbe
niente tornare a vivere in tre stanzette rinunciando alla macchina e a tutte le altre quisquilie. L'importante
è che tu non commetta sciocchezzei
in quel momento entrò ansimando Albertino che parlò concitato all'orecchio di Margherita.
Margherita mi guardò con occhi sbarrati poi scomparve assieme ad Albertino. Ritornarono di lì a poco.
—
Giovanninoi — gridò Margherita, — cos'è quella roba che sta davanti alla casa?
—
Quella roba rossa con quattro ruote?
—
Sì.
—
Nell'intenzione dei costruttori dovrebbe essere un'automobile.
—
Di chi è?
—
in un certo senso adesso è mia anche se non l'ho pagata un centesimo.
Margherita era agitatissima.
—
Me l'hanno regalata, — la rassicurai. — Me l'ha regalata Andrea. Margherita rise nervosamente.
—
Andrea gli ha regalato una macchina di quel generei — si mise a urlare. — Andrea, capite? L'ha
incontrato e gli ha detto : « Signor Giovannino, siccome sono diventato improvvisamente pazzo, prima di
andare al manicomio sa cosa faccio? Le regalo questa macchinai ».
Le dissi di non perdere la calma : la realtà ha le sue piccole favole vere. io avevo scritto per lui il dialogo
d'una certa sceneggiatura e Andrea mi aveva regalato la macchina.
Margherita mi si appressò:
—
Giovannino, — disse con voce implorante. — Non mi importa niente di niente. Dimmi che sei
diventato pazzo tu e che la macchina l'hai comprata.
—
Margherita, — le risposi, — non siamo pazzi né io né Andrea : la macchina mi è stata regalata.
—
Giovannino, io impazziscoi — gemette Margherita.
—
Margherita, se proprio credi necessario che in questa faccenda ci sia un pazzo, fai pure.
Continuai il mio lavoro tranquillamente: la cosa non era preoccupante: evidentemente Margherita aveva
ripreso a leggere i suol dannati romanzi gialli. Sapevo tutto, ormai: la notte si sarebbe svegliata e avrebbe
urlato : « Noi Noi Non chiamate Scotland Yardi Lo smeraldo è nella cassaforte di Smutsi È stato lui a
uccidere Jack Forton detto "lo sdentato" i ».
Lavorai sereno e, all'ora di cena, scesi fischiettando.
Margherita e la banda erano a tavola e aspettavano. Margherita pareva di ghiaccio. La cosa mi lasciò
tranquillo : evidentemente questo suo contegno era dovuto alle esigenze tecniche del capitolo seguente.
incominciai a mangiare ma, ad un tratto, la voce di Margherita mi riscosse.
—
Ho telefonato alla Banca di Andrea : Andrea è in inghilterra da due mesi. Come ha fatto a regalarti
quella macchina?
Mi misi a ridere. Non era l'Andrea della Banca.
—
Hai sbagliato Andrea, Margherita, — le dissi spiegandole di quale Andrea si trattasse.
—
Giovannino, è inutile che tu tenti di imbrogliare le cose immischiando in questa vicenda un nuovo
Andrea ogni dieci minuti. Se la macchina non l'hai comprata, dove l'hai presa?
Perbacco, questa volta perdetti la calma e pestai un pugno sulla tavola.
—
Margheritai — gridai. — Spero che non penserai che io l'abbia rubatai Margherita non batté ciglio.
—
So tutto, — rispose con voce metallica.
Difficilmente Margherita parla con voce metallica. Parla con voce metallica solo in casi eccezionalmente
gravi. E la cosa mi preoccupò seriamente.
—
Margherita, se sai tutto, voglio saperlo anch'ioi — dissi in tono perentorio.
Allora Margherita si volse verso Albertino e lo guardò.
Albertino fece cenno di sì.
Margherita si alzò, andò a frugare in un cassetto, poi ritornò a sedersi e mi porse una busta.
Nella busta c'era una carta ingiallita dal tempo : tre nitide paginette di stampa uscite dalla "Stamperia
imperiale" di Parma il 3 aprile 1805, con l'intestazione :
« Notificazione
il Supremo Consiglio - di Giustizia Criminale - degli Stati di Parma, Piacenza, Guastalla ec. ec. residente
in Parma ».
—
Ebbene? — domandai a Margherita.
—
Leggi, — rispose Margherita.
Lessi :
« Nella Causa di Rapina colle aggravanti qualità di unione e concorso d'uomini armati, insalizione, ed
atti violenti, commessa la sera del giorno 26 Novembre dello scorso anno 1800 nella Casa Parrocchiale
di Vicomero a danno di quel Rettore Don Angelo Pattini derubato di notabili quantità di danari argenti,
ed altre robe, oltrepassanti la somma di lire otto mila moneta di Parma ne' modi, e come dagli Atti ec., lo
stesso Supremo Consiglio Criminale dietro la compilazione dell'opportuno Processo costrutto nella
massima parte dal già Auditore Criminale di Parma Alessandro Baistrocchi, ora Consigliere
Governatore di Guastalla, e poscia proseguito ed ultimato dal Consigliere Antonio de Lama attuale
individuo del predetto Tribunale, a quest'effetto specialmente delegato, ed in seguito di sua Relazione e
Voto ha pronunziato nel giorno 8 Germinale Anno Xiii dell'Era Francese (29 Marzo 1805) la definitiva
sua Sentenza, colla quale ha condannati
Francesco Pizzi, detto Micone,
di Stagno
dell'età di anni 28, Reo confesso
Giuseppe Assali; detto Medina,
di Stagno
dell'età di anni 39
e Pietro Zaccardi, detto Grisanti,
di Viarolo
dell'età d'anni 34
Rei convinti
della suddetta Rapina come sopra commessa, alla pena dell'ultimo Supplizio sulle Forche.
« Ha parimenti condannati
Giovanni Guareschi della Fossa.
e Giulio Zani di Enzola
Rei costituiti di complicità
nella suddetta Rapina, alla pena del forzoso travaglio alla Ruota di Salso, rispetto al Guareschi in
perpetuo, e in rapporto al Zoni per anni dieci, e successivo perpetuo Esilio dagli Stati, non che a
rimanere essi Guareschi e Zoni avvinti sotto la Forca durante l'esecuzione della Sentenza contro li
Correi come sopra condannati all'ultimo Supplizio, colla comminatoria rapporto al Guareschi della
morte sulle Forche, e rapporto al Zoni della Ruota di Salso in perpetuo, in evento di tentata fuga, o
rispettiva contravvenzione dell'esilio suddetto...
La suddetta Sentenza di morte verrà eseguita in Parma nel luogo solito il giorno 13 Germinale Anno Xiii
dell'Era Francese (3 aprile 1805).
Dionigi Crescini Presidente
e Supremo Consiglio di Giustizia Criminale
degli Stati di Parma, Piacenza, Guastalla, ec.
A. Aurier Segretario ».
Lessi il vecchio documento, poi guardai Margherita.
—
Ebbene? — domandai.
—
Guareschi Giovanni della Fossa, — rispose Margherita. — La Fossa è proprio al centro della plaga
che ha dato origine ai tuoi. Questo Giovanni è evidentissimamente un tuo antenato.
—
Può darsi, Margherita. E mi dispiace che abbia concluso la sua carriera macinando sale a
Salsomaggiore.
—
Me spero che sia scappato, — affermò la Pasionaria. Margherita la fulminò con uno sguardo :
—
Zitta tui Anche se si tratta di tuo padre la giustizia deve fare il suo corsoi intervenni:
—
Margherita, cerchiamo di essere precisi. Non si tratta di mei Si tratta di un mio omonimo vissuto
più di un secolo e mezzo fa.
—
Si tratta di un tuo antenato, Giovannino. il frutto dell'albero dipende dalla qualità della pianta e
dalla natura del nutrimento che succhiano le sue radici. Una delle tue radici, Giovannino, è alimentata dal
sangue attossicato di un feroce rapinatorei
—
intanto bisogna vedere se lui aveva colpai — affermò la Pasionaria. — Secondo me l'hanno
condannato per sbaglio.
Margherita la guardò con disprezzo :
—
Quello che tu stai facendo, — disse, — si chiama omertài
Cercai di ricapitolare la vicenda. Margherita fu irremovibile :
—
Giovannino, non mi sarei mai aspettato un orrore di questo genere da te. Adesso mi spiego tante
cose : i tuoi scatti improvvisi e violenti, quei bagliori di fredda ferocia che animano ogni tanto il tuo
sguardo... Forse la passione che voi della vostra famiglia avete tutti per le macchine l'avete presa da quel
Giovanni che, per tanti anni, lavorò alla macchina per macinare il sale... Sì, anche il gusto per i cibi
salati... Tutto è sempre insipido per tei Per forza : là a Salsomaggiore ce n'era del salei E questa tua
smania di conquista, questa tua fredda decisione nel perseguire i tuoi piani. Giovannino, non voglio
sapere di dove viene quella macchina che hai fuori : non voglio sapere se l'hai comprata, se te l'han
regalata, se l'hai rubata, se l'hai rapinatai Non voglio sapere la provenienza del danaro che stavi poco fa
contando di nascosto : non m'interessa più niente. Fra me e te c'è l'ombra del Giovanni che puntò il suo
pugnale sul petto del parroco di Vicomero i
La Pasionaria intervenne :
—
il pugnale non c'è scritto nel foglioi
—
Moralmente c'è, — affermò Margherita.
Cercai di accomodare la faccenda : Margherita non mollò. Non mi concedette neppure di ricorrere in
Appello.
Albertino si mostrò favorevole a una revisione totale del processo per appurare la verità.
La Pasionaria non entrò neanche in discussione e si limitò a concludere : — A me non mi importa niente
dei processi. Me mi piace la gente decisa. E poi allora c'era il medioevo e i signori trattavano male i
poveretti.
Margherita la guardò con un sorriso carico di sarcasmo.
—
Le figlie padreggiano... E hanno la furberia del padre : quando non sanno più cosa rispondere
tirano fuori la giustizia sociale e buttano tutto in politica i Buon sangue non mentei
Ci ritrovammo a tavola a mezzogiorno del dì seguente.
io ci avevo ripensato su, durante la notte, e adesso avevo un pochino il "complesso del malfattore".
Tacemmo fino al secondo piatto. Poi Margherita mi guardò:
—
Coraggioi — esclamò con voce calda e vibrante. — Coraggio, Giovanninoi Ti aiuteremo a
camminare sulla radiosa via della redenzionei il sole sorge ancorai
Pioveva, ma io sentii il calore di quel sole sfolgorante scaldarmi il sangue nelle vene.
La minestra era completamente senza sale, ma io ebbi la forza di definirla "un po' troppo salata".
—
Vedi? — esclamò Margherita lietamente. Ormai il tuo sangue si è purificato dal tossico atavico.
*
Non riparlammo mai più della storia, ma, ogni tanto, Margherita trova modo di ammonirmi di non
dimenticare che lei aveva saputo non tener conto delle ombre del mio passato perché aveva fede nel mio
luminoso avvenire.
Ne tenni conto e ne tengo conto ancora.
Non sono un ingrato.
iL DONO MiGLiORE
Ogni tanto suonavano al cancello. ed era sempre qualche fattorino con un telegramma, un mazzo di fiori o
un pacchetto.
E, ogni volta, la Pasionaria, non potendo per ovvie ragioni di dignità precipitarsi fuori ad aprire, si
limitava ad aspettare che Albertino tornasse con le novità.
La Pasionaria possiede una personalità ben definita e sa perfettamente dominare i suoi otto anni. È minuta
d'ossa e, guardandola, ci si rende conto perfettamente come, aprendo gli occhietti alla luce della vita, non
arrivasse a superare il peso di chilogrammi uno e grammi cinquecento. il gigantesco prete che, in un
giorno del novembre 1943, battezzò la Pasionaria, vedendosi davanti quell'arnesino così minuscolo, si
volse a guardare Margherita e borbottò severamente : « Non si è disturbata molto, signorai ».
È minuta d'ossa e di breve statura, ma possiede un carattere di cui dà prova in ogni normale occasione. "È
una che tiene su le carte", come si suoi dire al mio paese per definire una donna che sa sempre
controllarsi: figuriamoci quanto dovesse risultare rigido questo autocontrollo in un'occasione eccezionale
come quella della prima Comunione.
Quando io me la vidi comparire improvvisamente davanti tutta addobbata di bianchi veli da capo a piedi,
rimasi in soggezione. Non esiste forse uomo più sbracalato di me. La sbracalatura non è un mio
atteggiamento, è parte integrante di me stesso perché io (e l'ho controllato durante la vita militare) riesco a
essere sbracalato anche quando sono completamente nudo : epperciò io ammiro particolarmente chiunque
vesta con proprietà. Chiunque sappia cioè portare un bell'abito senza risultare dominato da esso e senza
opprimerlo con la propria personalità, ma concedendo all'abito quel tanto che è necessario per evitare che
l'abito si trasformi come avviene nel caso mio — in una corteccia.
La Pasionaria portava il suo bell'abito bianco con straordinaria dignità, e ogni suo gesto era giustamente
commisurato all'austerità dell'addobbo. E così, tutte le volte che suonavano al cancello, la Pasionaria si
limitava ad aspettare il ritorno di Albertino.
Telegrammi, fiori e pacchetti : e in ogni pacchetto un regalo. Erano tutte cose belle e gentili. Alcune
addirittura preziose, alcune entusiasmanti, come una certa grande bambola di panno che riuscì a far
perdere la calma perfino a Margherita. Tuttavia, pur essendo presumibile che ogni dono riempisse il suo
cuore di gioia, mai la Pasionaria lo dimostrò.
La Pasionaria è una donna che, quando si troverà davanti all'altare e il prete le domanderà se sia contenta
di prendere come marito il lì presente giovanotto, risponderà con aria di benevola indifferenza : «Ma
sì...».
La Pasionaria non si smosse : ogni volta che giunse un nuovo regalo prese atto della cosa, con austero
compiacimento, limitando i suoi commenti allo strettissimamente necessario : « Carino. Bellino ».
Margherita era indignata del contegno della Pasionaria :
—
Tutta questa gente, — esclamò ad un tratto, — ti ha mandato delle magnifiche cose per farti
piacere e tu non ti disturbi neanche a sorriderei
La Pasionaria non si scompose:
—
Quando uno compra un regalo, compra il regalo che gli piace a lui, — rispose. — Che rida lui.
in fondo la Pasionaria ha sempre ragione, specialmente poi se ha torto : quando uno compra un oggetto da
regalare, compra l'oggetto che più gli piace e così va a finire che il regalo vero io fa a se stesso perché la'
cosa che più fa piacere, nella vita, non è il possedere e l'usare un oggetto che piace, ma il fatto in sé di
poter comprare l'oggetto che piace. È la conquista, insomma, che importa. E il regalare quello che si è
acquistato è un altro grande piacere. Assai migliore del ricevere un dono ; perché subire, anche se si tratta
di cosa piacevole, è sempre umiliante. E non sempre, nel caso di regali, si subiscono cose piacevoli.
La Pasionaria subì tutti i regali : li subì maestosamente, senza mai smuoversi di un millimetro; e parve
che tutto sarebbe finito così, ma, quando oramai sembrava esaurita la serie degli arrivi, giunse un pacco
enorme. O meglio, una faccenda imballata in una solida gabbia di legno : e per togliere l'involucro ci
vollero tenaglie e martello.
Sbocciò d'improvviso dalla carta e dai trucioli una scintillante bicicletta azzurra.
Ci voltammo tutti istintivamente a guardare la Pasionaria.
La donna aveva gli occhi fissi su quello splendore di cromature e di vernici e, per un istante, rimanemmo
tutti col cuore sospeso perché sentivamo che la regina stava per scendere dal piedestallo e ridiventare una
creatura umana come tutte le altre.
il viso della Pasionaria, impallidito per il colpo inatteso, incominciò a colorirsi. Gli occhi scintillarono. Le
labbra fremettero.
« Adesso finalmente grida e si mette a saltarei », pensammo tutti.
Ma il viso ritornò del colore normale, gli occhi spensero i barbagli.
—
Una Legnano, — osservò con aria distante la Pasionaria rimettendosi a sedere. — C'è il
campanello?
Albertino fece trillare il campanello.
—
Va bene, — concluse la Pasionaria.
Era già qualcosa : ma non era nemmeno l'ombra di quello che tutti noi ci aspettavamo.
Margherita era furibonda :
—
Se fosse mia figliai — mi disse concitatamente a voce bassa, — so io quello che le fareii
—
È tua figlia, Margherita, — le risposi.
—
Oggi non è nostra figlia, — replicò Margherita. — Oggi appartiene a un altro mondo.
Oramai la serie dei regali era da considerarsi finita. La Pasionaria, seduta in un'ampia poltrona di pelle,
continuava a concedere qualche parola alla gente che le stava attorno : ed erano parole corte che pareva
venissero giù dal diciottesimo piano. Parole abbandonate lassù, nello spazio, e che scendevano
dondolando lievemente, a foglia morta.
Ciò aumentava sempre di più il risentimento di Margherita.
—
Fra poco per avere udienza bisognerà far domanda in carta bollatai — mi disse all'orecchio
Margherita. — Vuoi vedere che io le tiro su lo strascico e le pitturo quattro sculacciate?
—
Ma sì, — risposi io interessato.
Non vidi niente, però. Margherita si appressò sì alla Pasionaria e le toccò con dita leggere la lunga veste :
ma soltanto per eliminare una piega che non funzionava.
La Pasionaria la ringraziò con un lievissimo muover del capo e Margherita arrossì di piacere. Come se il
Re l'avesse fatta cavaliere.
Le cose stavano a questo punto quando suonarono ancora al cancello e Albertino corse ad aprire. Ritornò
poco dopo, agitatissimo, trascinandosi dietro un altro arnese imballato delle dimensioni di quello della
bicicletta.
La Pasionaria si degnò di volgere il capo. Si capiva che, ormai, questa storia dei regali l'annoiava.
Comunque si rendeva conto di non potersene disinteressare del tutto.
Albertino aveva l'entusiasmo e l'energia di un reparto di guastatori d'assalto : l'imballaggio di legno venne
fulmineamente frantumato, l'involucro di carta sbudellato.
Ed ecco apparire una stranissima faccenda verde con filettature gialle.
Non si riusciva a identificare l'arnese: allora intervenni io che, cavata la singolare macchina dai trucioli, la
misi in bella luce.
—
Che accidente è? — domandò Margherita.
—
Una macchina per tappare le bottiglie, — le spiegai io. — Non capisco però chi possa aver
mandato in regalo alla bambina una macchina per tappare le bottiglie.
—
Fra i tuoi amici anche troppi ne hai di disgraziati che vogliono sempre fare gli spiritosi, esclamò
disgustata Margherita. — Dev'essere stato Brogetto o quello sciagurato di Gigi.
—
Magari anche il signor Carletto, — aggiunse Albertino. Margherita era indignata.
—
Va bene fare dello spirito fra adulti, — esclamò. — Ma scherzare con una bambina nel giorno
della sua prima Comunione è da imbecilli screanzati. Le colpe dei padri non devono ricadere sulle figlie
innocenti.
Margherita trovò un sacco di consensi fra i presenti e così corse subito a telefonare. Tornò eccitatissima :
—
Gigi e Brogetto giurano che non sono stati loro, — spiegò. — Dev'essere stato Carletto. Non è in
casa però.
—
io sono qui, — disse Carletto, — ma le giuro che non sono stato io. io ho regalato alla bambina il
cestino con tutta la robina per cucire.
—
Qualcuno dev'essere statoi — replicò Margherita. Poi ci trasse tutti in un angolo e con voce
concitata continuò :
—
Per l'amor di Dio, muovetevi, fate tutti qualcosa. Cercate di distrarla, spiegate che è uno sbaglioi È
una bambina sensibilissima. Questa mascalzonata, dovuta di sicuro a qualcuno che ce l'ha con suo padre
per via della politica, può scavare un solco sanguinoso nell'anima della bambinai
Quella è una offesa che può avvelenarle il sanguei Presto, diamoci da farei
Ci volgemmo per darci da fare ma ormai era troppo tardi.
La Pasionaria era lì, davanti alla maledetta macchina dell'oltraggio, e stava considerandola gravemente.
Mi avvicinai e la bambina levò gli occhi e mi fissò negli occhi.
Mi parve che una mano crudele stringesse il mio cuore. Tutti tacevano angosciati perché leggevano nello
sguardo della bambina qualcosa di angoscioso.
—
Perché? — domandò la Pasionaria con voce sommessa e piena di pianto. Non sapevo cosa
rispondere.
—
Perché che cosa? — balbettai.
—
Perché c'è questo fil di ferro col piombino stampato? — disse la Pasionaria.
—
È il sigillo di garanzia, — spiegai. — Sta a significare che, dopo il collaudo, nessuno ha più
spostato la leva.
La Pasionaria continuò a osservare la macchina.
—
Come funziona? — domandò. Tolsi il fil di ferro col piombino.
—
Si alza questa leva, si mette il turacciolo dentro questo buco, poi si spinge giù e il turacciolo entra
nella bottiglia.
—
il turacciolo così grosso entra nel buco della bottiglia così stretto? — si stupì la Pasionaria. Mi
piacerebbe vedere.
Andai a frugare nel cassetto del tavolo di cucina. Trovai alcuni turaccioli nuovi : li umettai d'olio di oliva
e, tirate su tre bottiglie vuote, ritornai in sala.
Misi la bottiglia al posto giusto, la regolai spingendole sotto il cuneo di legno, introdussi il turacciolo
nell'apposito alloggiamento e lo premetti giù, facendo forza sulla leva.
Fino a quel momento la Pasionaria aveva mantenuto il solito contegno di donna distaccata da questo
mondo. Quando però ebbe visto il turacciolo infilato nel collo della bottiglia, parve profondamente
turbata.
Volle che ripetessi l'operazione con un'altra bottiglia.
—
È difficile? — domandò molto agitata.
—
Facilissimo, — le risposi spiegandole il funzionamento pratico dell'arnese. il terzo tappo lo mise la
Pasionaria.
—
Ancorai — gridò come presa da una febbre d'entusiasmo.
Mandai a comprare cinquecento tappi dal droghiere e feci portar su dalla cantina le duecento bottiglie
vuote che avevo preparato per restituirle al vinaio.
—
Lascia almeno che ti tolga la vestei — disse Margherita avvicinandosi alla Pasionaria.
—
No, no, per favorei Devo lavorarei — rispose la Pasionaria incominciando a tappare bottiglie.
Con l'andar dei tappi aumentava il suo entusiasmo. Al ventesimo tappo rideva e gridava. Albertino e
l'altra ragazzaglia costituirono immediatamente la ghenga dei tappi e organizzarono il lavoro che però
rimase sempre affidato alla direzione della Pasionaria.
Allora tutto l'insieme diventò disgustante e noi adulti ci allontanammo.
Mentre la ghenga dei tappi riempiva la casa di urla selvagge, suonò il telefono.
—
È il corriere che ha portato poco fa la macchina, — spiegò Margherita. — Dice che ha sbagliato e
che deve venire a riprenderla. Porterà un altro pacco contenente, crede, un triciclo o roba del genere.
Afferrai il cornetto :
—
No, — risposi, — sta bene così. Se quello che doveva avere la macchina per mettere i tappi non
vuole il triciclo, gli dica che io gli manderò un'altra macchina uguale domani o dopo.
Telefonò, passata mezz'ora, un tipo molto nervoso :
—
La macchina per tappare è mia, l'ho ordinata io e la voglio ioi — urlò il tipo.
—
Ne avrà una identica. O se preferisce gliela pago subito anche più di quanto le costi. Questa serve
alla mia bambina che ha fatto la prima Comunione.
L'uomo si mise a schiamazzare:
—
Cosa c'entra la prima Comunione con la macchina per tappare? io la denuncio per appropriazione
indebitai
Margherita mi strappò di mano il cornetto :
—
Si vergognii — disse con voce vibrante. — Cercare di turbare una festa mistica come questai Se
lei è un ateo, un anarchico, un mangiapreti, non scelga la nostra casa per fare delle manifestazioni di
anticlericalismoi
Margherita stette ad ascoltare qualche istante poi riattaccò.
—
Cosa ha risposto? — domandai.
—
Ha detto che lui è il parroco del quartiere qui vicino, — spiegò con bella semplicità. — Comunque
si è calmato. Ha capito che la sua posizione era insostenibile.
L'operazione di tappatura delle bottiglie continuò fino a tarda sera. Trovammo tappate tutte le bottiglie
esistenti in casa. Anche la mia boccetta d'inchiostro di Cina. Non so come abbiano fatto, ma riuscirono a
tappare pure le canne della mia doppietta.
La sera, prima di andare a riposare, diedi un'occhiata all'accampamento della Pasionaria : la Pasionana
dormiva profondamente e, ai piedi del letto, stava la macchina per tappare e, sulla macchina per tappare,
era abbandonata la veste di velo bianco.
Tutto questo faceva molto surrealista.
Comunque il miglior regalo era quello lì, la macchina per tappare le bottiglie, e tutti gli altri regali
giacevano malinconicamente accatastati sul tavolino.
« Quando ti sposerai ti regalerò un tornio o una betoniera per impastare il cemento », sussurrai all'orecchio
della Pasionaria addormentata.
Parve che avesse capito perché, nel sonno, lievissimamente sorrise.
ORGANiZZAZiONE «M»
Caddi dalla motocicletta e fu un guaio. Ma il guaio più grosso fu che danneggiai irrimediabilmente la mia
giacca di fustagno marrone.
—
Non mi rimane che farmene una nuova, — conclusi. — Domani, appena arrivato a Milano, mi
procurerò la stoffa e telefonerò al sarto.
Margherita intervenne con tutta la sua autorità.
—
Lascia fare a mei — disse. — Telefono subito io, così, quando arrivi a Milano, trovi già tutto
pronto ed eviti di farti, come al solito, imbrogliare. Tu non pensare a niente : limitati ad aspettare che il
sarto venga a prenderti le misure. Anche il sarto sarà avvertito da noi.
Margherita disse « da noi » e questo significava che entrava in funzione la perfetta e celebrata «
organizzazione Margherita ».
Non pensai più a niente e, la mattina dopo, partii tranquillamente per Milano.
*
Alle dieci e mezzo telefonò la signora Maria. Era molto preoccupata :
—
È successo un pasticcio grosso, — spiegò la signora Maria. — La Marcellina ha rotto
definitivamente.
ignoravo chi fosse la Marcellina e non potevo immaginare cosa avesse rotto, ma la signora Maria mi
illuminò subito.
—
La colpa non è della Marcella : è tutta di Luigi che si è comportato da vero mascalzone arrivando a
dar ragione alla Ernesta.
—
Non capisco, — balbettai.
—
Lei riferisca a sua moglie e sua moglie capirà perfettamente. E le dica che, per il momento,
bisogna aspettare e trovare una strada nuova. D'altra parte non è che lei abbia bisogno subito della giacca
di fustagnoi
Ecco finalmente qualcosa che riuscivo a capire : la giacca di fustagno.
—
Naturalmente, — risposi, — la giacca di fustagno non è urgentissima. Però cosa c'entrano la
Marcella, l'Ernesta e Luigi?
La signora Maria rise.
—
Semplicei È Luigi che vende il fustagno e se noi non possiamo più servirci della Marcellina per
averlo con lo sconto speciale, dato che la Marcellina ha rotto ogni rapporto con Luigi, è logico che
bisogna trovare un'altra stradai Comunque dica a sua moglie che io sono al lavoro.
Ritornai alle mie faccende e dopo mezz'ora suonarono alla porta.
Scesi ad aprire e mi trovai davanti una ragazza completamente sconosciuta.
—
Sono l'amica della Cesarina, — mi spiegò. — La Cesarina mi ha detto di venire qui per farle
vedere se la qualità va bene.
Allargai le braccia e la ragazza si rese conto del mio smarrimento.
—
La giacca è della Cesarina, ma l'ha prestata a me e così sono venuta io. Guardi pure.
La ragazza indossava una giacca di panno verde e io, pure apprezzando la morbidezza della stoffa, dissi
che la mia intenzione era quella di farmi una giacca di fustagno marrone.
La ragazza rimase soprappensiero. Poi disse che la cosa era stranissima.
— Si vede che la Giulietta non si è spiegata bene telefonando alla Cesarina. Anzi, dev'essere stata
l'Antonia che ha informato male la Giulietta perché le assicuro che la Cesarina non ha mai avuto giacche
di fustagno marrone.
Ringraziai la ragazza scusandomi per l'involontario disturbo.
Tornai alle mie faccende, ma subito arrivò il sarto.
Mi prese le misure e poi mi domandò la stoffa:
—
La signora Maria ha detto che la stoffa l'avrebbe mandata qui da lei.
—
Bisogna aspettare perché la Marcella ha rotto con Luigi, — gli spiegai. — Luigi si è comportato
malissimo con la Marcella.
—
Luigi quello che vende la stoffa? — si informò il sarto.
—
Lui. Pensi che è arrivato a dar ragione all'Ernestai
—
È una cosa vergognosai — si indignò il sarto. — So ben io che tipo sia l'Ernestai
il sarto se ne andò e, dieci minuti dopo, arrivò un giovanotto.
—
Sono il falegname, — spiegò. — Mi ha mandato la signora Ferretti. Gli risposi che doveva esserci
un equivoco e il giovanotto si allontanò brontolando, ma io mi accorsi che aveva una giacca di fustagno
marrone e lo fermai.
—
Scusi, — gli domandai, — dove ha comprato quella stoffa?
—
Non so, la roba per i vestiti la compra mia sorella.
Appena scomparso il falegname telefonò la signora Maria :
—
Fra poco verrà da lei un falegname : lei gli dia qualche lavoretto da fare e intanto guardi bene
la sua giacca e poi mi telefoni se la stoffa va bene.
—
Va bene, — risposi, — è venuto due minuti fa.
—
Allora siamo a posto, — si rallegrò la signora Maria. — Trovata l'altra stradai Stasera lei avrà
tutto.
Non volli sapere altro e ringraziai semplicemente il buon Dio che la faccenda fosse finalmente risolta.
Ma, dieci minuti dopo, telefonò un uomo. Era molto seccato :
—
io non ho il piacere di conoscerla personalmente, — disse, — comunque io la seguo e la stimo.
E mi dispiace moltissimo che lei si sia espresso in modo così poco simpatico nei miei riguardi... Mi
lasci parlare : so perfettamente che qualcuno le ha riportato delle stupide chiacchiere; comunque sappia
che io con la Marcella mi sono sempre comportato da gentiluomo e che la storia dell'Ernesta è tutta una
invenzione. Le pare che io possa comportarmi così con una donna come l'Ernesta?
—
Lo escludo, — esclamai. — So che tipo è questa Ernesta. Comunque...
—
Comunque tutto è bene quello che finisce benei — mi interruppe Luigi. Perché era proprio Luigi,
quello della stoffa.
Ci salutammo cordialmente. io deposi il cornetto e andai ad aprire perché suonavano alla porta. Entrò il
sarto con un pacco.
Era una pezza di popelin per camicie e me la mostrò molto stupito.
—
io non posso farle una giacca di fustagno marrone con del popelin azzurro.
Non potei che dargli ragione e assicurargli che non capivo come mai egli avesse tirato in ballo quel
popelin.
—
Me l'ha mandato la signora Maria dicendo che è per la giacca di fustagnoi — rispose.
il caso benigno volle che in quell'istante la signora Maria in persona mi telefonasse :
—
Siamo a postoi — mi annunciò. — La Marcella ha fatto pace con Luigi. Quindi tutto ritorna
regolare. Stasera il sarto riceverà la stoffa.
—
Benissimo, — esclamai. — Però c'è qui il sarto con un taglio di popelin...
—
Non c'entra, — spiegò la signora Maria. Quando ho saputo della riconciliazione avevo già ordinato
il taglio di fustagno dall'altra parte. Così per non far fare una figuraccia alla signora Lucia, ho cambiato
l'ordinazione. Sua moglie mi ha detto che lei ha anche bisogno di camiciei
Ritirai il popelin e pregai il sarto di attendere tranquillo, e a casa sua, l'arrivo del fustagno.
Ma non potei risalire perché telefonò una signorina :
—
io non so come lei si permetta di parlar male di mei — gridò con voce concitata.
Risposi che doveva esserci un equivoco. Non sapevo di che cosa si trattasse.
—
Lei lo sa benissimoi io sono l'Ernesta e lei ha parlato male di me con Luigii Me lo ha detto la sua
amica Francesca che l'ha saputo da quella disgraziata della Marcellai
La pregai di calmarsi.
— Le assicuro che è tutto un equivoco. io non conosco nessuno. io non ho parlato male di nessuno.
Si placò e io credetti che tutto fosse finalmente finito. Ma, mentre stavo facendo colazione, telefonò la
signora Maria :
—
Tutto è andato a montei — mi annunciò. La Marcella ha litigato ancora con Luigii Bisogna tornare
alla seconda strada.
Poi telefonò seccatissimo Luigi :
—
Vuol ripetere per favore a me, quello che lei ha detto a quella pazza dell'Ernesta?
—
Ho detto semplicemente che non conosco nessuno e che non ho mai detto niente per nessunoi
—
Non vorrà forse negare d'avermi detto che l'Ernesta lei la conosce bene e sa che tipo siai
—
io non ho fatto che riferire stupidamente il parere di Nicola il mio sarto.
Tutto tornò alla normalità e rimase normale fino alle sette di sera. Alle sette arrivò il sarto :
—
Lei mi mette nei guai, — disse molto tristemente. — io le ho parlato dell'Ernesta così,
confidenzialmente. Lei non doveva andare a riportare in giro quel che le ho detto.
Cercai di consolare il povero sarto infelice e giurai che non avrei mai più risposto al telefono.
E il telefono suonò almeno sei volte prima della mezzanotte.
Poi suonò venti volte il giorno seguente.
Così non ebbi più notizie della dannata giacca di fustagno. Ma, la mattina del giorno seguente al giorno
seguente, arrivò la signora Maria in persona.
— il suo telefono dev'essere guasto, — mi disse. — Comunque le cose stanno così...
—
Non lo voglio sapere, — gridai, — lo dirà a mia moglie.
—
Sta bene, glielo scriverò. intanto eccole la stoffa per la sua giacca. — Mi porse un involto e io,
tolta la carta, vidi che conteneva un taglio di stoffa blu a riga bianca.
—
Va benissimoi — dissi. — Proprio quello che volevo io. E tanti auguri a Luigi e alla Marcella. La
signora Maria scosse il capo :
—
Cose grosse, cose grosse. Lo ricorda quel falegname che è venuto qui da lei mandato dalla signora
Ferretti?
—
Sì.
—
Ebbene : la Marcella ha piantato Luigi. e si è fidanzata con lui. Comunque quando lei ha bisogno
di stoffa mi telefoni perché ho fatto amicizia con la sorella del falegname e abbiamo sempre aperta la
seconda strada.
Tornato alla mia casa di campagna, Margherita mi domandò se tutto aveva funzionato bene.
—
Perfettamente, — risposi. — Tutto liscio come un olio.
—
Bisogna lasciar fare a noi donne in queste faccendei — esclamò Margherita. — Voi uomini
complicate maledettamente anche le cose più semplici.
UN MESTiERE ANCHE PER ME
Quella sera, finita la cena, intimai alla Pasionaria :
—
La borsai
La Pasionaria mi guardò, poi si volse verso Margherita :
—
il babbo vuole la borsa dell'acqua calda. Dov'è? intervenni con energia :
—
Non ho chiesto la borsa dell'acqua caldai Voglio la tua borsa di scuola. La Pasionaria parve molto
stupita.
—
La mia borsa? — borbottò. — E cosa ti serve?
—
Voglio vedere quello che fai a scuola. La Pasionaria si avviò lentamente verso l'angolo dei
giornaletti borbottando :
—
Però, se ognuno si occuperebbe degli affari suoi, sarebbe meglioi...
Ebbi la borsa e incominciai a sfogliare i quaderni. Mi interessai particolarmente di quello del comporre e,
proprio in questo, trovai qualcosa che mi preoccupò vivamente :
TEMA: « Parla dei tuoi genitori. Descrivi la loro vita, il loro carattere, il loro lavoro ».
SVOLGiMENTO : « i miei genitori sono brava gente. Mia mamma è l'angelo del focolare e cucina sul
Liquigas le vivande saporite che rallegrano il nostro desco, ma io preferisco il salame, il culatello e le
patate lesse. Mia mamma si preoccupa sempre che noi siamo in ordine perché se no la gente dice che
sembriamo degli zingari. Allora chiama tutti i giorni una signora che rammenda, cuce e stira molto bene,
la quale rimette a posto i nostri abiti e quelli di mio babbo.
«
Mio babbo è il sostegno della famiglia ed è molto laborioso perché è sempre in giro per la casa
a piantare i chiodi per i quadri, stringere la vite del rubinetto dell'acqua, regolare il bruciatore della
nafta per i termosifoni, oppure sorvegliare i muratori o il falegname.
«
Mio babbo ogni tanto lava l'automobile e poi l'asciuga con lo strofinaccio di pelle. Mette anche
l'acqua dentro il buco del radiatore e guarda il livello dell'olio nel motore.
«
Mio babbo è anche capace di scrivere a macchina, in nero oppure in rosso. Gli piace la lettura e
legge molti giornali.
«
Tutte le settimane va in automobile a Milano e poi torna e mia mamma è contenta perché o c'è da
accomodare la luce elettrica, o c'è da fare il rifornimento della nafta, o c'è l'orologio grosso da
ricaricare eccetera.
«
Come carattere i miei genitori sono nervosi ma buoni e abbastanza simpatici e, anche se delle
volte mi fanno inquietare, io li perdono sempre ».
*
Lessi il componimento, poi mi rivolsi alla Pasionaria :
— Dunque tutto il lavoro di tuo padre consiste nell'appendere quadri, nel ricaricare l'orologio e nell'andare
in automobile a Milano. E i quattrini che servono a me e a voi per vivere, dove li prendo? La Pasionaria si
strinse nelle spalle:
—
Me non mi occupo degli affari degli altri.
—
Saggio principioi — esclamai. — Però una figlia avrebbe come minimo l'obbligo di conoscere il
mestiere di suo padre. Non sai che io, oltre a riparare il rubinetto del lavandino e l'interruttore della luce,
scrivo per i giornali e faccio dei libri?
—
Si capisce che lo so, — rispose la Pasionaria. — Ma quello lì non è un mestiere come il
falegname, il medico, il meccanico o l'avvocato.
—
E cos'è, allora? — gridai.
—
È una cosa così. Tutti sono capaci di scrivere delle cose. invece se uno non è dottore non è capace
di tagliare una gamba.
Mi indignai:
—
Dunque tuo padre è semplicemente un disgraziato senza mestierei La Pasionaria non si
impressionò :
—
Si dice mestiere quando uno fa qualcosa di cui c'è bisogno. Quando uno ha bisogno di un vestito
chiama il sarto, quando uno ha bisogno di una medicina chiama il dottore, quando uno ha bisogno di fare
una tavola chiama il falegname. Quelli sono mestieri. Nessuno chiama mai lo scrittore perché ha bisogno
di una storia da piangere o da ridere.
—
Tu, però, le leggi le storie dei tuoi libri e dei tuoi giornalii — urlai.
—
Non c'entra, — replicò la Pasionaria. — Ci sono dei bambini che non le leggono e non succede
niente. Però, se un bambino ha le scarpe rotte e non c'è il calzolaio che gliele accomoda, deve camminare
a piedi nudi, oppure se un uomo deve andare in tribunale e non c'è l'avvocato, finisce in prigione.
Non potevo impiantare con la Pasionaria la discussione massiccia che il caso richiedeva.
Del resto intervenne, a impedirmelo, Margherita :
—
Ecco, — sospirò Margherita. — i fatti mi danno ragione un'altra volta ancora. Quante volte ti ho
detto : « Finisci gli esami, Giovannino; prenditi la tua laurea. Procurati un mestiere: nessuno ti impedirà
poi di continuare a scrivere, ma sarai un uomo a posto, non un disgraziato senza arte né parte ». Non ti
lagnare se oggi i tuoi figli ti dicono che non hai un mestiere.
Albertino intervenne :
—
Se il babbo volesse, — disse a Margherita, — potrebbe dare gli esami e prenderla adesso la laureai
—
Troppo tardii — rispose Margherita. Dovrebbe ricominciare tutto da capo : non si ricorda più di
niente. Non vedi che non si raccapezza neanche quando tu gli domandi qualche spiegazione di latino o di
matematica?
—
Non importa, — protestò Albertino. — Se si applicasse riuscirebbe. È intelligente.
—
L'intelligenza non serve a niente quando manca completamente la memoria. Ormai quello che è
fatto è fatto. Non ci son più speranze.
La Pasionaria fece udire la sua voce :
—
Se non può prendere il diploma, potrebbe sempre fare un altro mestiere. Per esemplo, aprire una
bottega. Per fare il bottegaio non ci vuole il diploma.
Margherita rise:
—
Darsi al commercio lui, un uomo che ha passato la sua vita sbagliando tutti i suoi affari, firmando i
contratti più disgraziati, guadagnando dieci dove chiunque, al posto suo, avrebbe guadagnato centoi Non
ci pensare neppure: se aprisse un negozio fallirebbe in quindici giorni.
—
Potrebbe fare il rappresentante, — propose Albertino.
—
È un sentimentale : nessuna forma di commercio è fatta per lui, — affermò Margherita.
—
Potrebbe fare il camionistai — esclamò la Pasionaria. — Ha la patente e sa guidare. Margherita
scosse il capo.:
—
Mestiere duroi Oramai è vecchio, ha i nervi logori, l'occhio stanco.
La Pasionaria mi guardò sinceramente dispiaciuta.
—
E allora, — si rammaricò, — non può fare proprio più niente, poveretto? Margherita scosse il capo
:
—
Niente di niente. Può soltanto continuare a tirare avanti alla giornata come ha fatto fino ad oggi.
Continuare a vivere come un uccello su un ramo. Squinternato e incosciente come il primo giorno che l'ho
conosciuto.
La Pasionaria si ribellò :
— È inutile che adesso fai tante storiei — disse a Margherita. — Se era squinternato e incosciente perché
l'hai sposato?
Margherita allargò le braccia :
—
Forse perché io ero più incosciente di lui.
La Pasionaria rimase molto colpita dalla rivelazione materna. Troncò il discorso e si appartò per rimettere
in ordine la sua borsa.
Vidi che, prima di riporre il quaderno del Comporre, vi scrisse qualcosa, e quando tutti se ne furono
andati a letto e io rimasi solo, cavai fuori il quaderno e trovai che lo svolgimento del tema sui genitori era
stato aggiornato :
« Mio babbo scrive per i giornali, ma il suo mestiere è il camionista. Anche mia mamma è capace di
guidare il camion e, quando mio babbo deve fare i viaggi lunghi, mia mamma guida lei mentre suo
marito si riposa nella cuccetta della cabina. il nostro camion è un Fiat a nafta, ultimo modello. È molto
bello e sul frontespizio della cabina c'è scritto in grande: "Dio ci salvi" ».
La Pasionaria aveva spazzato via tutti gli impedimenti e mi aveva promosso d'autorità camionista. E,
avuto riguardo dei miei acciacchi e per rendermi meno gravoso il lavoro, m'aveva messo al fianco, come
secondo autista, Margherita.
Avevo un mestiere anch'io.
Spensi la luce e raggiunsi il secondo autista che dormiva nella cuccetta della cabina del nostro camion.
Poco dopo marciavo a tutta birra lungo le deserte strade del sogno.
LA FACCIA Di MILANO
E’ venuto stamattina un contadino in motocicletta. Dice che ti vuol fare il busto, — mi informò
Margherita.
Che un contadino usasse la motocicletta, niente di strano. Strano che, dopo essere arrivato in motocicletta,
il contadino mi volesse fare il busto.
—
Ti ha detto come si chiama?
—
No : è smontato dalla motocicletta, è entrato, ha domandato: « C'è quello dei baffi? ». io gli ho
risposto : « No ». Allora lui ha detto: « Gli dica che lo aspetto. Devo fargli il busto ». Fine. 2 risalito in
moto e buona notte.
—
Niente altro?
—
Niente.
—
Com'era vestito?
—
Scafandro di pelle, guantoni di pelle, casco di pelle e occhialoni. La cosa era sempre meno chiara :
—
Margherita, portava addosso delle vanghe, delle zappe, degli erpici, degli aratri, delle macchine
agricole?
—
No : aveva soltanto una macchina fotografica a tracolla. Perdetti la pazienza e mi misi a gridare:
—
Arriva in moto uno vestito da aviatore, con una macchina fotografica a tracolla. Chi è? Un
contadino i Margherita, si può sapere da che cosa hai capito che è un contadino? Margherita non si
scalmanò :
—
Dalla faccia, — rispose con naturalezza. Aveva la faccia scoperta e allora io ho riconosciuto quel
contadino che, cinque o sei anni fa, è venuto una volta a trovarti a Milano e avete continuato fino a sera a
parlare di concimi, di poderi, di vitelli, di stalle razionali eccetera. Hai capito chi è?
—
No.
—
Ebbene, è quel contadino che è venuto oggi a dirti che ti aspetta perché deve farti il busto. Un
lampo mi illuminò :
—
Ho capito chi è. Anche se viaggia in moto vestito da aviatore, non è un contadino. È uno scultore :
tanto è vero che vuol farmi il busto.
—
È un contadino? — affermò Margherita. Ricordo che, una volta, ti ha scritto e sulla busta c'era
l'intestazione col mestiere scritto grosso così.
in fondo Margherita non aveva torto : quello era il periodo in cui lo scultore Froni aveva la carta intestata :
Froni - Contadino - Fidenza, e parlava esclusivamente di cose attinenti all'agricoltura.
—
Si vede che ha cambiato ancora mestiere e adesso si è rimesso a fare il suo, — conclusi.
Poi, siccome oltre ad essere un mio vecchio amico, Froni era, com'è tuttora, uno dei pochissimi scultori
veramente scultori che esistono al mondo, la mattina dopo andai a trovarlo a casa.
*
Era nel suo studio : stava modellando una testa, quando entrai, e rispose al mio saluto senza voltarsi.
—
Giovannino, non muoverti di lì? — esclamò agitatissimo. — Lascia che prepari la creta. Non
voglio diluire la prima impressione : appena la terra è pronta tu vieni a sederti su questo sgabello e guardi
la spagnoletta della finestra. Quando sei a posto, io mi volto, ti guardo e incomincio subito a lavorarti con
la creta. In cinque minuti ti tiro fuori. Poi, in un palo di mesi, metterò a posto tutta la faccenda. Ma la
prima sensazione la devo subito fermare in tutta la sua intensità.
Mi uniformai alle direttive.
—
Giovannino, — esclamò lo scultore mentre lavorava a mettere un blocco di terra su un trespolo. —
È un anno che penso al tuo ritratto. Sono sicuro che salta fuori qualcosa di eccezionale. È la faccia che mi
ci vuole in questo momento. Siediti sullo sgabello e guarda la spagnoletta.
Andai a sedermi sullo sgabello e guardai la spagnoletta.
Lo scultore si volse e mi piantò gli occhi addosso.
Trattenni il respiro per non diluire l'intensità della prima sensazione, ma subito udii la voce di Froni. Ed
era una voce completamente diversa da quella di poco prima.
—
Niente da fare. Non sei tu.
Mi addolorò la delusione che sentivo in quella voce.
—
Mi dispiace, — balbettai. — Forse è la luce... Scosse il capo :
—
No. È tutta un'altra cosa. Cinque anni fa, quando t'ho visto a Milano, non eri così. Avevi una faccia
che diceva qualcosa : i capelli aggrovigliati sulla fronte, le borse sotto gli occhi, la piega dura della
bocca... Adesso è tutto cambiato. Una faccia da uomo riposato, da uomo che sta bene, che mangia e beve
tranquillo senza pensare a niente... una faccia...
—
Una faccia da cretino, insomma, — dissi io.
—
No : semplicemente una faccia non interessante. Mi sentii quasi colpevole :
—
Ho dormito molto, stanotte, — spiegai. E poi, stamattina, prima di venire qui, sono andato dal
barbiere a farmi accomodare i capelli... L'ultima volta che mi hai visto ero stanco morto, perché non
dormivo da due notti, avevo la testa in disordine, mi faceva male lo stomaco...
Giovannino, non dovevi venire, stamattina!
—
Sono venuto perché non sapevo che faccia volevi.
—
Voglio quella dell'altra volta! Quella mi interessa. Vieni qui quando sei stanco, quando ti fa male
lo stomaco, quando hai i capelli in disordine, quando hai le borse sotto gli occhi, la barba lunga, la gola
bruciata dal fumo. Quando hai una faccia presentabile, insomma! Devo farti il ritratto e ho bisogno di
ritrovare quella faccia.
Mi parlò a lungo di come aveva intenzione di impostare la faccenda del ritratto e via via si entusiasmava.
Quando me ne andai, avevo la convinzione precisa che, se non avessi ritrovato la faccia di Milano, mi
sarei reso colpevole della mascalzonata più abbietta.
Ritornai da lui dopo un mese.
—
Giovannino, fai schifo, — mi aveva detto quella mattina Margherita guardando con disgusto il
disordine della mia faccia e degli immediati paraggi.
Allora, invece di andare dal barbiere, andai da Froni.
Appena mi vide fece un balzo.
— Sta lì, sta lì! Non ti muovere, Giovannino! — si mise a urlare mentre buttava febbrilmente manciate di
creta su un trespolo. — Non ti muovere perché ci siamo!
Bloccai il motore e stetti lì ad aspettare, seduto sullo sgabello, guardando la spagnoletta.
Lavorò un quarto d'ora attorno al blocco di creta e, ogni tanto, ansimava :
—
Non ti muovere! Non ti muovere che ci siamo! Poi, ad un tratto, ruggì e disse a denti stretti:
—
Non ci siamo! C'è qualcosa che non va! Parevi tu, pareva la faccia di Milano. Non sei tu e non è
quella faccia.
Cercai di dimostrargli che sbagliava e che tutto era come a Milano. Ero stanco morto perché non dormivo
da due notti, gli occhi erano stanchi, la barba lunga, i capelli incolti e spettinati.
—
È tutto come allora, — conclusi. — Eccettuati i cinque anni di più che ho sul groppone, ed
eccettuato il mal di stomaco che oggi non ho. Ma può aver poca importanza.
Mi interruppe con un grido :
—
Il mal di stomaco non ha importanza? Tu non sai dunque cosa significhi il mal di stomaco?
Lo sapevo perfettamente, purtroppo, perché il mal di stomaco m'avvelena la vita da almeno quindici anni.
Chinai il capo:
—
Capisco : però non vorrai pretendere che io mi faccia venire il mal di stomaco!
—
Non pretendo niente: dico semplicemente che tu devi venire qui quando hai il mal di stomaco. Ho
bisogno della tua vera faccia!
Non era più una questione di amicizia : qui si trattava di un caso di coscienza. Egli era sicuro di cavare un
capolavoro dal mio ritratto e io dovevo sacrificarmi per amore dell'artista e dell'arte in sé.
Mi sacrificai e incominciai a mangiare salame, culatello, roba fritta, peperoni, alici piccanti: insomma
tutte le cose che mi piacciono di più e che mi fanno soffrire.
Continuai un mese con questo ritmo infernale ma, evidentemente, tutto era contro di me e, quindi, contro
l'arte : non mi venne nemmeno un brucior di stomaco.
Finalmente, una mattina, mi alzai con lo stomaco pieno di fuoco. Non mi lavai neppure: mi vestii alla
meglio, saltai sulla macchina e partii verso Fidenza. Continuavo a pensare intensamente al mio mal di
stomaco e lo si sa, non c'è niente di peggio, quando si ha il mal di stomaco, che pensare al mal di stomaco.
Guidavo nervosamente e così, a un bel momento, mi trovai nei guai e, per evitare d'essere sfracellato da
un autotreno, dovetti fare delle manovre che mai credevo di saper fare.
Me la cavai senza neppure un graffio sul parafango : intanto, però, il mal di stomaco, lasciato senza
controllo, se n'era andato.
Ritornai a casa sconfortato.
E così passarono i giorni e le settimane e una sera mi comparve davanti Froni.
—
E allora?
Allargai le braccia.
—
Se non avevi piacere che io ti facessi il ritratto potevi dirmelo! — esclamò con amarezza. D'altra
parte ricordati che questo è il primo favore che io ti ho chiesto...
Protestai con tutte le mie forze: gli spiegai quel che facevo per procurarmi il mal di stomaco. Chiamai
Margherita in mio aiuto:
—
Diglielo tu le porcherie che mangio!
Margherita guardò con odio lo scultore:
—
Era meglio se lei continuava a fare il contadino! — esclamò con voce dura. — Per colpa della sua
scultura, se mio marito va avanti così ancora per un mese, lei dovrà fargli il busto per il monumento
funerario! Ma lo guardi! Vede a cosa l'ha ridotto? Non va più dal barbiere, dorme vestito, si lava una volta
ogni tanto : è diventato la vergogna della casa! Ma proprio a lui lei deve fare il ritratto?
Lo scultore allargò le braccia :
—
Lo devo fare a lui! Era una meraviglia come l'ho visto quella volta a Milano!
Margherita non insistette: aveva capito che egli voleva farmi il ritratto non per cattiveria, ma perché glielo
imponeva la sua anima d'artista.
—
Sarà come Dio vorrà, — concluse sospirando Margherita. — Gli uomini passano ma l'arte resta.
Speriamo che lei arrivi in tempo.
*
Continuai a lavorare per il trionfo dell'arte e mangiai e bevvi cose che avrebbero fatto venire il mal di
stomaco a due struzzi.
A me non venne niente. E, ormai, avevo perso ogni speranza, quando una notte verso le due mi svegliai
con un brucior di stomaco spaventoso.
—
Margherita! — urlai. — Ci siamo!
—
Sia- ringraziato il buon Dio! — si rallegrò Margherita.
Non mi vestii neppure : mi infilai nel paletò e, cavata fuori dal garage la macchina, mi immersi nella notte
buia.
Volai e il mal di stomaco, invece di andar via, aumentava : era stupendo!
Arrivai alla casa di Froni, in mezzo ai campi.
Tirai delle sassate contro le ante delle finestre e finalmente riuscii a svegliarlo. Mi venne ad aprire e io
corsi subito nello studio e mi sedetti sulla panca guardando la spagnoletta.
—
Presto! — gridai eccitato. — Ci siamo! Se non ritrovi la faccia di Milano adesso non la ritrovi più!
Ho un mal di stomaco che mi fa morire!
Anch'io, — mi rispose Froni con voce cupa.
— Se non trovo del bicarbonato non riesco a muovere un dito.
Gemette, spezzato in due dallo spasimo.
Difficile trovare del bicarbonato alle tre di notte : andammo a cercarlo in macchina e lo trovammo, verso
le sei, a Parma.
Quando, dopo un'ora, io lo scaricai davanti a casa sua, Froni mi guardò e scosse il capo:
—
Avevi una faccia magnifica, stanotte. La vera faccia di Milano... E adesso... Sospirò:
—
Giovannino : un vero amico non l'avrebbe preso il bicarbonato. Tu potevi evitare di prenderlo...
Serviva solo a me!
Ripresi la via del ritorno molto umiliato e, quando Margherita mi vide apparire, capì subito.
—
È andata male anche stavolta?
—
Male.
—
Bisogna aver fede, Giovannino. La via déll'arte è dura. Non ti scoraggiare: ritroverai la faccia di
Milano. Devi ritrovarla perché ha ragione lui: quella è la tua vera faccia. Una faccia interessante. Così,
quando stai bene, hai una faccia... Non saprei come dire...
—
Da cretino! — dissi io che sapevo come dire.
IN COMMISSIONE
Apparvero Albertino e la Pasionaria. Entrarono in cucina a plotoni affiancati e si capiva subito che si
trattava di un'azione di massa.
Arrivata a distanza precauzionale, la banda si fermò. Dopo un leggero titubare, dallo schieramento si
staccò la Pasionaria che marciò decisa sull'obbiettivo.
—
Cosa vuoi? — domandai fingendo di non essermi accorto della manovra.
—
Me? Niente: vengo in commissione.
—
In commissione? Cosa significa?
—
Significa che vengo a parlare a nome di tutti gli altri.
—
E chi sarebbero gli altri?
Mi indicò Albertino fermo sul piede d'attesa
—
Lui e me quando ero insieme a lui. Mi misi a ridere divertito :
—
E adesso che tu non stai assieme a lui chi sei? Che differenza ci può essere quando ti trovi con tuo
fratello e quando invece, come adesso, ti trovi a tre metri di distanza da tuo fratello?
—
C'è la differenza che adesso me sono in commissione e allora non vengo a dire quello che voglio
me, ma quello che mi hanno ordinato di dirti tutti gli altri.
La Pasionaria ha nove anni, la mente fresca e non è tipo da dare i numeri del lotto. La Pasionaria non parla
mai a vanvera, e quando le sentite dire qualcosa di strano è proprio il momento di prendere in maggior
considerazione le sue parole.
E, a ripensarci sopra, il concetto della Pasionaria era sottile ma preciso: il fatto che lei si trovasse davanti
a me, e non più a fianco di suo fratello, non cambiava per niente la sostanza delle cose. La potenza d'urto
dello schieramento rimasto in attesa era sostanzialmente invariata perché al fianco di Albertino rimaneva
la Pasionaria che aveva deciso, assieme ad Albertino, di inviare in commissione la Pasionaria stessa. La
quale Pasionaria veniva in commissione per parlare non a nome suo e di suo fratello, ma a nome della
comunità composta dalla Pasionaria e da suo fratello.
Venivamo quindi ad avere un Albertino e due Pasionarie : la Pasionaria che costituiva il 5o per cento
della massa composta da lei e da Albertino, e la Pasionaria inviata come singolo individuo a parlamentare
con l'avversario « a nome di tutti gli altri ».
In verità i ragazzi d'oggi posseggono una quadratura mentale ben diversa da quella dei ragazzi d'un tempo.
In analoga situazione, una bambina avrebbe detto : « Vengo a parlarti a nome mio e di mio fratello ».
La Pasionaria invece dice : « Vengo in commissione a parlarti a nome della categoria ».
—
Sta bene, — risposi alla commissione, cosa vogliono da me « quelli là » ?
—
Quelli là dicono se sarebbe possibile avere un anticipo.
Margherita era entrata in quel momento e partecipò attivamente al mio stupore.
—
Un anticipo? — esclamò. — Siete forse diventati impiegati statali?
La Pasionaria non rispose : fece dietro front e andò a confabulare con la massa.
—
Devo parlare con lui, mica con te, — spiegò a Margherita la Pasionaria al suo ritorno. — Te non
c'entri per via dell'anticipo.
Pregai Margherita di non turbare con le sue intemperanze le trattative in corso fra datore di lavoro e
prestatori d'opera. Poi mi rivolsi alla commissione:
—
Volete un anticipo? Se ne può parlare. Ma di che anticipo si tratterebbe?
—
Si tratterebbe dell'anticipo sull'eredità. Margherita fece un balzo :
—
Sciagurati senza cuore! — urlò. — Voi dunque volete far morire vostro padre? Vergognatevi.
—
Noi non vogliamo far morire nessuno, replicò la Pasionaria con fermezza. — Noi domandiamo se
si potrebbe avere un anticipo sull'eredità. L'eredità esiste anche se uno vive mille anni.
Mi accorsi che la Pasionaria non aveva le idee chiare in fatto di eredità.
—
No, — dissi, — l'eredità non esiste mai fino a quando non intervenga il decesso della persona che
lasci i suoi beni agli eredi. Erede è colui che riceve, per legge o per donazione, i beni di un defunto.
La Pasionaria mi guardò molto perplessa. Io cercai di spiegarle con più chiarezza il concetto :
—
Dire che l'eredità esiste anche se uno campa mille anni, sarebbe come se si dicesse che la
vedovanza esiste anche se il marito e la moglie campano mille anni. Insomma, fino a che io sono vivo, tua
madre può dire di essere vedova?
La Pasionaria guardò interrogativamente Margherita e Margherita le fece un cenno di diniego.
—
No, — rispose allora la Pasionaria.
—
E fin che io sono vivo, voi due potete dire di essere i miei orfani? — insistetti.
—
Per conto mio no, — rispose la Pasionaria. — Gli altri non so.
Guardò Albertino che anche lui fece un cenno di diniego.
—
Anche gli altri dicono di no. Ormai mi sentivo a cavallo :
—
E allora, se fino a quando io sono vivo vostra madre non può dire di essere la mia vedova e voi
non potete dire di essere i miei orfani, è mai possibile che voi possiate dire di essere i miei eredi?
La Pasionaria non se la sentì di assumersi la responsabilità di una risposta così impegnativa. Andò a
parlottare con Albertino :
—
Dicono di sì, — affermò ritornando. Anche se uno è vivo e campa mille anni l'eredità c'è sempre.
Margherita intervenne :
—
I bambini hanno ragione. L'eredità non è un fatto contingente, è un fatto assoluto. La vedovanza è
un'altra cosa. La vedovanza si verifica quando il marito muore. La vedovanza è un fatto contingente come
la calvizie. Se una donna perde il marito diventa vedova. Se una donna perde i capelli diventa calva.
L'eredità, invece, è un fatto che non dipende da altri fatti. Giovannino, se tu in questo momento - Dio ce
ne guardi - morissi, i tuoi figli avrebbero o no un'eredità?
—
Certo.
—
Benissimo : in questo momento tu non muori e i tuoi figli non ereditano niente. Ma l'eredità esiste.
Tanto è vero che se, invece, in questo momento muori, essi - come tu hai ammesso - erediterebbero.
—
Giusto, — disse la Pasionaria.
—
La mamma ha ragione, — aggiunse Albertino che, nel frattempo, era stato inviato anche lui in
commissione.
—
Tua madre ha torto! — replicai. — Eredità significa quei beni che un uomo lascia morendo ai figli
o ai parenti. Ma fino a quando un uomo è vivo non si può assolutamente parlare di eredità. Perché oggi
quell'uomo può avere magari dieci milioni, e, quando poi muore, può non aver più neanche un centesimo.
Quanta gente, ricca fino a ottant'anni, a ottantatré è morta senza un centesimo? E allora come potete
parlare di « anticipi sull'eredità » quando nessuno al mondo può dire se io, il giorno in cui andrò all'altro
mondo, vi lascerò qualcosa oppure niente?
La Pasionaria non era convinta :
—
Però tu hai detto che se tu morissi adesso ci lasceresti tutta la roba che hai. Allora l'eredità esiste.
—
Esiste, se io morissi subito. Ma io non ho nessuna intenzione di morire in questo momento per
farvi piacere! Morirò quando Dio lo vorrà. E fin che io sono vivo l'eredità non esiste. Esiste soltanto il
mio patrimonio. Cioè quello che posseggo oggi e che domani potrei non possedere più.
La squadra se ne andò e, di lì a poco, la commissione riapparve :
—
Dicono se si potrebbe avere un anticipo sul patrimonio, — spiegò la Pasionaria. Margherita la
guardò compiaciuta :
—
Vedi, Giovannino, come sono carini? Hanno capito subito il' concetto.
—
Non hanno capito niente! — gridai facendo comparire anche la seconda commissione. — Un
anticipo è danaro che si concede oggi su un compenso che si dovrebbe dare domani. Se qualcuno deve
compiere o sta compiendo un lavoro a mio vantaggio può chiedermi il pagamento anticipato di questa sua
prestazione. Ma un tizio non può chiedere anticipi su un pagamento che io non gli debbo. Il patrimonio è
mio!
—
Sì, ma non Io devi forse lasciare ai tuoi figli? Non è anche questo un pagamento che tu devi fare?
E se è così, perché non possono chiederti un anticipo?
Mi misi ad urlare :
—
Ci risiamo! Eccoci di nuovo alla porcheria dell'eredità!
—
L'eredità non c'entra, — protestò la Pasionaria. — Abbiamo capito tutti : l'eredità oggi non esiste
perché l'eredità esiste soltanto quando uno muore e allora si vede se gli è rimasto qualcosa oppure no. Ma
il patrimonio esiste oggi. Quindi se il patrimonio esiste si può chiedere un anticipo.
Pestai un pugno sul tavolo :
—
No e poi no! — urlai. — Se io vi concedo un anticipo sul mio patrimonio attuale, io riconosco
implicitamente che questo patrimonio è vostro e perciò mi vengo a impegnare moralmente a
conservarvelo intatto fino alla fine dei miei giorni. Io invece non vi debbo niente e il mio patrimonio lo
amministro come pare e piace a me. Io non ho nessun obbligo di lasciarvi dei beni in eredità. Anzi io avrei
l'obbligo di non lasciarvi niente perché le cose di cui sono maggiormente grato a mia madre e a mio
padre sono due : di avermi messo al mondo e di avermi lasciata la consolazione di guadagnarmi la vita sin
da quando ero giovinetto. Scrivetele sul muro della vostra stanza, su tutti i vostri libri, stampatevele nel
cervello queste cinque paroline che rappresentano la norma di vita degli uomini degni di tal nome : « Chi
non lavora non mangia ».
La Pasionaria guardò Albertino, poi guardò me e disse :
—
Va bene; domani andiamo a fare il garzone da muratore.
Con certa gente è inutile insistere. Meglio lasciar perdere.
—
Bravi, — ridacchiai. — Stando così le cose, non vi resta che andare a chiedere un anticipo al
vostro capomastro. Io anticipi non ne dò a coloro ai quali non debbo niente di niente. Il mio danaro, quello
che guadagno io, lo dò a chi lavora per me e a chi è percosso dalla disgrazia o non trova lavoro. Se ne
andarono senza avere il coraggio di guardarmi.
—
Sono bambini sensibili, — disse Margherita. — Sei stato troppo dràstico. Rimirai sbalordito
Margherita :
—
Margherita, ieri ti ho sentito dire « illazione », adesso hai detto « dràstico ». Non ti bastano più le
normali parole per esprimere i tuoi pensieri?
Stai incamminandoti anche tu nell'ambiguo sentiero dell'intellettualismo?
—
No, — rispose tranquilla, — mi piace, talvolta, sostare un istante per cogliere qualche esotico fiore
nell'aiuola del vocabolario per adornare con un fiore nuovo un vecchio pensiero.
—
Va bene, Margherita. Comunque, sappi che è necessario essere energici, duri coi figli, qualche
volta. Bisogna richiamarli alla gelida realtà della vita.
—
Li hai umiliati. Ciò non è bene. Apparve la Pasionaria :
—
Siamo due manovali muratori disoccupati, — mi disse. — Se lei potrebbe aiutarci...
Non potevo dir di no; li aiutai e la faccenda mi costò parecchio perché avevano bisogno d'una quantità
enorme di cose.
Però il principio era salvo.
AL PAESE DI DON CAMILLO
Navigammo a lungo per stradette secondarie piene di buche e di sassi : arrivammo finalmente a un paese e
ci fermammo nella piazzetta.
L'amico Giovanni che stava con noi scese dalla macchina assieme ad Albertino e andò dove doveva
andare:
—
Aspettatemi qui, — disse. — Se il tipo è in casa, spero di potermela sbrigare in una ventina di
minuti. Intanto voi potete divertirvi a guardare il paesaggio.
C'era poco da guardare : eravamo in uno dei soliti borghi sperduti nella piana, lungo il grande fiume. Case
basse rosse, gialle e blu, strade anguste e storte, le solite quattro bottegucce sotto i portici della piazza. La
solita noia, il solito sole.
—
Potremmo andare a bere una birra, — proposi.
—
Per me va bene, — approvò la PAsionaria.
—
Per me no, — affermò Margherita. — Preferisco rimanere in macchina. Non mi fido. Mi misi a
ridere :
—
Margherita, siamo in un paese civile, non siamo tra i briganti.
—
Non è questione di civiltà e di briganti : è questione di politica. Questo è il paese più rosso della
Bassa. Nelle ultime elezioni, meno il prete, qui tutti hanno votato per i comunisti. L'ho letto sul giornale.
— E cosa significa? Non si va a tenere comizi anticomunisti, si va a bere una birra.
—
Me non ho paura dei comunisti, — esclamò la Pasionaria.
—
Neanche io! — affermò Margherita. — I comunisti, a non provocarli, si comportano come tutta
l'altra gente.
—
E chi ha intenzione di andarli a provocare? — dissi seccato.
—
Non ha importanza l'intenzione : è la faccia quella che importa. La tua faccia è una provocazione
vivente. È una faccia nota e inconfondibile. Anche se non ti hanno mai visto di persona, ti conoscono e
sanno benissimo cosa sei.
—
E cosa sarei, secondo te?
—
Secondo me tu sei la disgrazia della famiglia. Secondo loro sei il tipo che, da, anni e anni, ogni
settimana li riempi di insolenze e li sbeffeggi disegnandoli con tre buchi nel naso.
—
E cosa c'entra? Io adesso non vado a fare della polemica giornalistica ma a bere una birra.
—
Il passato non si distrugge con una birra! Chi fa le offese le scrive sulla sabbia, chi le riceve le
incide sul bronzo.
La discussione incominciava ad annoiarmi.
—
Fai come credi : io e la bambina andiamo a bere qualcosa.
—
Io non voglio rimanere sola! — esclamò Margherita.
—
Sta bene : vado solo e vi porto la birra. La bambina rimane a farti compagnia.
—
E avresti il coraggio di lasciar qui due povere donne sole e indifese? Giovannino, sei un
incosciente.
—
Ho capito, — borbottò di malumore la Pasionaria, — vado me così resta soltanto una donna sola,
difesa da due baffi.
Margherita ebbe un gemito di orrore:
Giovannino, e tu la lasci andare?
—
No, Margherita, — risposi, — io non la lascio andare. Il guaio è che lei è già andata.
La Pasionaria infatti stava già trotterellando verso il portico che ben presto raggiunse e sotto il quale
disparve dopo essersi voltata e avermi mostrato la lingua.
—
Le colpe dei padri ricadono sui figli innocenti! — esclamò Margherita. — Giovannino, ricordati
che se a quella poverina succede qualcosa, io non so cosa farò!
—
Neanche io lo so, — replicai tranquillo. E, cavato dalla borsa della portiera un giornale, mi isolai
dal mondo circostante immergendomi nella lettura.
Rimasi isolato ben poco.
—
Giovannino! — esclamò impressionatissima Margherita, — guarda!
Guardai e vidi cinque o sei persone raggruppate sotto un arco del portico. Tutti sbirciavano verso la nostra
parte e parlottavano fra loro.
—
Giovannino, ti hanno riconosciuto! — gemette Margherita.
—
Non è la prima volta che, quando vado in qualche posto, la gente mi riconosce, — le dissi con
calma.
—
Ma questa potrebbe essere l'ultima! Giovannino, non vedi che facce hanno?
In verità i cinque o sei individui non avevano delle facce molto cordiali. Erano piuttosto cupi, a voler
essere precisi. Ma ognuno ha la faccia che meglio crede:
—
Margherita, c'è libertà di pensiero, c'è libertà di parola e c'è anche libertà d'espressione. Ognuno è
libero non soltanto di pensare e di dire quel che vuole, ma è libero anche di dare al suo viso l'espressione
che vuole.
—
Mio Dio, la bambina! — ansimò Margherita.
La Pasionaria era uscita dal portico con un enorme gelato in mano : mentre passava davanti al gruppetto,
uno la chiamò e, indicandoci, le domandò qualche cosa.
La Pasionaria fece segno di sì con la testa.
—
Ecco! — esclamò Margherita. — Le hanno domandato se tu sei tu e lei ha detto di sì.
—
E cosa poteva rispondere? Che io non sono io ma uno che mi somiglia?
—
Giovannino, trattengono la bambina come ostaggio!
Il tipo che aveva chiesto se io ero io stava ancora parlando con la Pasionaria. La Pasionaria gli rispose
stringendosi nelle spalle. Poi, continuando a leccare lo smisurato gelato, si allontanò e disparve sotto il
portico.
—
È furba, — esclamò Margherita, — è riuscita a svignarsela. Speriamo che sia tanto intelligente da
andare a chiamare i Carabinieri... Guarda!
Altri individui dalle facce scure s'erano aggiunti ai primi: e tutti continuavano a guardare dalla nostra
parte e a discutere facendo dei cenni che avevano tutta l'idea d'essere piuttosto minacciosi.
Uno d'essi, ad un tratto, saltò sulla bicicletta e schizzò via.
—
Giovannino, sono sicura! — esclamò Margherita, — quello va a chiamare la banda.
—
Non dire sciocchezze, Margherita. Sono in quindici e, se avessero l'intenzione di aggredirmi, lo
potrebbero fare senza bisogno d'aiuti.
—
Giovannino, non capisci nienteI t una tattica diabolica. Se quindici persone saltano addosso a
qualcuno, questa è un'aggressione. Se sono invece duecento persone la cosa può venir presentata come «
spiegabile reazione della folla indignata ». La legge non può punire la folla. La folla sfugge ad ogni
sanzione. Ecco! Laggiù!
Da una strada in fondo alla piazza era sbucato un gruppo di ciclisti e, in testa, pedalava un pezzaccio
d'uomo grande e grosso dalla faccia torva. E, a fianco dell'omaccio, pedalava il giovinastro che poco
prima era schizzato via dal gruppo.
—
Te l'avevo detto, Giovannino? Ecco la folla!
—
Ma che folla. Sono cinque persone in tutto, che aggiunte alle altre quindici fanno venti. Venti
persone non possono mai essere presentate come folla.
L'omaccio e soci, arrivati ai portici, appoggiarono alle colonne le biciclette e si intrupparono nel gruppo.
—
Quello grosso è il capobanda! — disse Margherita.
Evidentemente stavolta aveva ragione : infatti tutti stavano raccontando qualcosa all'omaccio che
ascoltava tutti e, dando ogni tanto un'occhiata verso di noi, faceva segno di sì scuotendo il testone. —
Giovannino, guarda che braccia, guarda che manacce. Con un pugno ci stritola... Giovannino, sei armato?
—
No.
—
Dio sia lodato? — esclamò Margherita con un sospiro di sollievo. Ma subito rientrò in agitazione e
mi strinse il braccio.
Uno della banda indicava all'ornacelo qualcosa alla sua sinistra e si trattava della Pasionaria
che, smantellato il grosso gelato, era riapparsa e camminava tranquillamente diretta proprio verso il
gruppo.
Quando la Pasionaria gli passò davanti, l'omaccio la bloccò mettendole una delle manacce sulla spalla.
Poi si chinò e le disse qualcosa.
La Pasionaria guardò in su e fece segno di sì con la testa.
L'omaccio tolse la manaccia dalla esile spalla della Pasionaria e, rizzatosi, parlottò col giovinastro magro
che l'era andato a chiamare.
Poi l'omaccio si chinò a parlare ancora con la Pasionaria.
Intanto il giovinastro, ricuperata la bicicletta, si era avvicinato e aspettava. L'omaccio, agguantata la Pasionaria alla vita, la tirò su da terra e la mise a sedere in canna alla bicicletta del giovinastro. Fu
una cosa fulminea : quando me ne resi conto era già troppo tardi : il giovinastro era saltato sulla bicicletta
e già pedalava verso l'ignoto con la sua preda.
Margherita mi si aggrappò:
—
Non ti muovere, Giovannino! Non le faranno niente, lo sento. Vogliono semplicemente eliminare
un testimone pericoloso : l'occhio della innocenza.
L'omaccio parlottò ancora con quelli della banda poi si rimboccò lentamente le maniche della camicia, si
abbassò la tesa del cappello sulla fronte e lentamente iniziò la marcia verso di noi.
—
Giovannino! — singhiozzò Margherita, presto, metti in moto. Bisogna scappare! Non ti puoi
difendere!
L'omaccione era già arrivato a pochi centimetri dalla macchina. Si fermò, mi guardò torvo e, buttatosi
indietro il cappello, si chinò. Il cristallo era abbassato e il viso dell'omaccione stava ora a un palmo dal
mio.
L'omaccione esitò qualche istante poi con voce cupa disse :
—
Diesel?
—
Sì, Diesel, — risposi.
—
Precamera?
—
Sì, precamera. Sistema Mercedes-Benz, — risposi.
L'omaccio si rizzò, guardò la macchina. Poi si chinò ancora :
—
Posso tirar su il cofano? — domandò.
—
Certamente, — risposi.
L'omaccione andò a tirar su il cofano e allora tutta la banda si mosse compatta. Adesso erano tutti lì
attorno al cofano aperto e discutevano animatamente sulle particolarità del motore.
La cosa li interessò per un bel po' di tempo. Poi si spostarono tutti a fianco, addensandosi davanti alla
portiera della mia parte. L'omaccio prese ancora l'iniziativa.
—
Consumo?
—
Sedici chilometri un litro di nafta, — spiegai.
—
Cilindrata?
Millenove.
— Ripresa?
—
Buona.
—
Terza?
—
Lenta.
—
Velocità?
Centodieci.
—
Iniettori?
—
Perfetti.
L'omaccio si volse verso la banda e parlottò. Poi si volse ancora :
—
Baccano?
—
Soltanto al minimo, — risposi.
Poi, assicuratomi che il cambio fosse in folle, misi in moto il motore.
La banda ritornò attorno al cofano e lì rimase in contemplazione.
Poi il capo passò dietro la macchina e mise la manaccia davanti al buco dello scappamento per sentire se
il motore avesse qualche soffio al cuore.
Ritornò assieme alla banda a studiare il motore. Poi abbassò il cofano.
Spensi il motore.
L'omaccio si avvicinò al mio finestrino. Si chinò e il suo viso era più torvo che mai.
—
Va bene, signor Guareschi, — borbottò toccandosi con un dito il cappello.
Si allontanò assieme al suo stato maggiore e alla banda.
Tirarono su le biciclette e si allontanarono. La piazza ritornò deserta e silenziosa.
Margherita respirava a fatica :
—
La bambina... — sussurrò.
Arrivò in quel momento : era seduta tranquillamente in canna alla bicicletta del giovinastro e stava
smantellando un gelato ancora più grosso del primo.
Arrivato a pochi metri da noi, il giovinastro frenò, rimise per terra la Pasionaria e ripartì. Volse però
subito la testa e la Pasionaria gli mostrò la lingua.
Tutto regolare.
—
Me volevo un gelato di limone e qui non c'è gelato di limone, — spiegò tranquillamente la
Pasionaria rientrando alla base. — Allora quel macaco là mi ha portata a comprarlo in quel paese laggiù
in fondo.
—
Potevi ringraziarlo, — disse con voce lontana Margherita.
— E perché? — replicò la Pasionaria. — Me gli ho pagato il servizio. Un gelato da cinquanta.
Margherita, sempre con voce lontana, mi chiese una sigaretta. Gliela diedi e gliel'accesi.
Tirò qualche grossa boccata di fumo ma subito si strinse a me come presa da grande paura.
Guardai a destra, e davanti al finestrino stava un prete nero, enorme, dalla faccia torva.
Il prete si chinò.
—
Le signore serie non si fanno vedere a fumare, — disse con voce grave e minacciosa.
—
Quella lì non è mica una signora seria, — replicò tranquilla la voce della Pasionaria. Il pretone,
identificata l'origine della voce, fece una smorfia di disgusto poi si tirò su e, voltateci le enormi spalle, si
allontanò scuotendo il capo.
Dopo pochi passi si volse e ritornò indietro. Fece un giro attorno alla macchina e, arrivato davanti al mio
sportello, si fermò.
—
Diesel? — domandò bruscamente.
—
Diesel.
—
Precamera?
—
Precamera. Sistema Mercedes-Benz.
Si appressò al cofano e lo sollevò. Studiò attentamente il motore da tutt'e due le parti poi mi guardò e
ruotò l'indice della mano destra.
Capii cosa voleva e misi subito in moto.
Studiò per un bel po' il motore, passò dietro la macchina a sentire il fiato dello scappamento.
Ritornò al motore e mi mostrò la palma di una delle manacce larghe come badili.
Fermai il motore.
Riabbassò il cofano.
Premette su un parafango per rendersi conto del molleggio. Diede una zampata a una gomma.
Si toccò con un dito il cappello, mi volse le spalle e si avviò.
Ma, dopo due passi, si fermò e si volse ancora.
—
Il Re! Cosa c'entrava il Re? — gridò con una grinta tremenda. — L'unico Re che conta è quello là.
Tese il braccio indicando la porta della chiesa.
La porta era spalancata e palpitavano, nel buio della chiesa, le fiammelle delle candele che ardevano
davanti al Cristo dell'altar maggiore.
Il pretone marciò deciso verso la porta della canonica. Qui giunto si volse ancora e allora la Pasionaria,
cacciata fuori la testa dal finestrino, gli mostrò mezzo metro di lingua.
Il pretone disparve agitando le mani levate sopra la testa.
La piazzetta tornò muta e deserta.
Di lì a poco l'amico Giovanni e Albertino riapparvero.
—
Vi siete annoiati? — domandò l'amico Giovanni risalendo in macchina.
—
Me no, — rispose la Pasionaria.
—
Tu taci I — le disse con voce dura Margherita. — Tu faresti bene a non parlare mai.
—
Fammi il piacere! — ridacchiò la Pasionaria, — se non c'ero me a salvarti, il prete ti dava la multa
per la sigaretta!
La macchina rombando riprese la strada e ben presto navigammo nella strada bianca che correva sopra il
grande argine. Là in fondo erano i pioppi e il grande fiume e. nel cielo immenso, c'erano tutte le mie
favole.
—
Diesel? — sussurrò ad un tratto Margherita.
—
Diesel.
—
Posso sollevare il cofano?
—
Certamente...
Tutti possono sollevare il cofano del mio Diesel e studiare il vecchio cuore di un figlio della Bassa.
LA GIUSTIFICAZIONE
Ritornammo tardi dalla città e, appena entrata in cucina, la Pasionaria si informò :
—
A che ora si pranza?
—
In campagna non si pranza, si cena? — rispose Margherita che stava schiacciando delle patate
lesse.
—
Pranzo o cena, l'importante è che si mangi presto, perché me devo fare il compito, — borbottò la
Pasionaria.
Margherita non le diede retta e continuò a schiacciare le patate.
La Pasionaria ispezionò le pentole sulla cucina economica, poi esclamò :
—
Pasta asciutta col ragù e cotechino col puré! Pazienza; vuol dire che mangerò un uovo al burro.
—
Diventiamo sempre più difficili, — commentò Margherita. — Adesso non vanno bene neanche la
pastasciutta e il cotechino.
—
Vanno bene, — spiegò la Pasionaria. Però, quando si deve lavorare, non si può mangiare della
roba pesante come quella lì. Del resto mi arrangio da me.
La Pasionaria prese un tegamino e lo mise sulla cucina economica, poi domandò dove fossero le uova.
—
Bisogna che mangio prima, così ho il tempo di fare il compito, — spiegò.
Ebbe il suo uovo al burro, una tazzina di brodo e un pezzettino di formaggio.
Mangiò in silenzio e, quand'ebbe finito, arrivò in tavola la pastasciutta col ragù.
—
Mettine via un piattino, — disse la Pasionaria a Margherita. — Lo mangerò quando avrò finito il
compito. Quando si è girato come abbiamo girato noi, va bene anche la roba fredda.
—
Ti conviene mangiarla adesso che è calda, — la consigliò Albertino.
—
Credi che mi farà peso e che mi darà fastidio nel lavoro? — s'informò la Pasionaria.
Albertino non credeva e la Pasionaria mangiò un buon piatto di pastasciutta.
Poi arrivò il cotechino col puré e la Pasionaria lo guardò con malinconia.
—
Se non dovevo fare il compito ne mangiavo un piatto così, — sospirò. — Ma quando si deve
lavorare non si può mangiare cotechino.
Il gatto reclamò la sua spettanza e gli vennero passati i cascami del cotechino.
La Pasionaria lo guardò mangiare poi scosse il capo malinconicamente:
—
Beati i gatti che non hanno preoccupazioni e non devono fare i compiti! — esclamò.
Il fatto che una bambina di otto anni si vedesse posta in tale situazione da dover invidiare un gatto era
angoscioso. Passai alla Pasionaria una abbondante porzione di cotechino con puré.
Mangiò il cotechino e il puré e, alla fine, si rammaricò :
—
Lo sapevo! Adesso sento nello stomaco un peso come se avessi mangiato del cemento.
La frutta cotta, mangiata ancor calda e ben zuccherata, aiuta a digerire : mandò giù un piatto di frutta
cotta. Poi aspettò che sparecchiassero.
—
Preferisco far il compito qui, — spiegò. — A lavorare sola, di notte, nella mia camera, mi viene la
malinconia.
Liberata la tavola, la Pasionaria tolse dalla borsa libri e quaderni e si mise al lavoro. Non fece ín tempo a
scrivere una parola perché il pennino le si spuntò. Cambiò il pennino, ma il nuovo le lasciò cadere sul
foglio una grossa macchia d'inchiostro. La gomma per cancellare si rivelò subito il più imperfetto degli
strumenti di lavoro perché, invece di togliere la macchia, la allargò e poi lacerò il foglio. Ma la Pasionaria
non si lasciò abbattere. Eliminò il foglio lesionato, ma il pennino agganciò subito un peluzzo e combinò
un nuovo guaio. La Pasionaria tentò di ridurre alla ragione il pennino, poi, risultati vani i suol sforzi
perché sí trattava del pennino più sovversivo dell'universo e non avendo altri pennini, la Pasionaria
proseguì col lapis. Ma la punta si ruppe subito.
Allora Margherita, che fino a quel momento non aveva parlato, urlò :
—
Basta!
Raccolse libri e quaderni dalla tavola, li gettò con violenza dentro la borsa, fece scomparire la borsa e mi
mise davanti la penna stilografica e la cartella coi fogli e le buste.
—
Cerca di non fare lo spiritoso, — mi ammonì. — Qui non si tratta di scrivere stupidaggini per i
giornali ma una cosa seria e misurata che vada bene per una maestra di vecchio stampo.
Scrissi rapidamente le poche righe di giustificazione, poi presi a leggere ad alta voce:
—
"Gentilissima Signora, oggi la Carlotta...".
—
Figuriamoci! — mi interruppe con vivacità Margherita : "la Carlotta"! Come se uno dicesse: "la
Malibran, la Duse, la Pompadour"!
Non aveva torto e modificai:
—
"Oggi la mia Carlotta...".
—
Troppo confidenziale, — decretò Margherita. — Stai parlando con una maestra, un funzionario,
non col tuo amico Carletto!
—
"Oggi la Carlottina...".
—
Peggio che andar di notte! — esclamò Margherita, — "la Carlottina" riunisce i difetti de "la
Carlotta" e de "la mia Carlotta".
—
"Oggi la piccola Carlotta...".
—
Lezioso! Se vuoi dare a tua figlia una qualifica, scegli una qualifica riconosciuta valida
dall'autorità scolastica. Non una qualifica suggerita dal tuo affetto paterno o dalle tue fisime letterarie!
—
"Oggi la bambina Carlotta...".
—
Generico! Evasivo!
—
"Oggi la figlia del sottoscritto...".
Margherita si mise a ridere :
—
"La figlia del sottoscritto"! Se usi un'espressione così, dovrai poi dire, per rimanere in stile, che "il
sottoscritto fa rispettosa istanza" e via discorrendo. E poi è ridicolo perché "la figlia del sottoscritto" fa
venire in mente "la figlia del reggimento" o roba del genere.
Mi seccai.
—
"La piccola Carlotta" non va, "la bambina Carlotta" non va! Cosa devo mettere? La "cittadina
Carlotta"?
La Pasionaria intervenne:
—
Si potrebbe mettere "la signorina Carlotta...".
—
Nientemeno! — esclamò Margherita. — Signorina una mocciosa di otto anni!
—
Quasi nove! — precisò la Pasionaria.
—
Sono sempre pochi! — affermò categorica Margherita.
—
Meglio pochi che troppi, — replicò subdola la Pasionaria. Intervenni e feci l'ultimo tentativo:
—
"Oggi la scolara Carlotta Guareschi...".
—
Da uno che fa lo scrittore di mestiere ci si poteva aspettare qualcosina di più. Comunque va bene.
Continua.
—
"Oggi la scolara Carlotta Guareschi ha dovuto recarsi in città".
—
Straordinario! Questa scolara di anni otto possiede già tale indipendenza da potersi recare in città
per conto suo!
—
"...ha dovuto recarsi in città assieme a me", — rettificai.
—
La scolara Carlotta, se va in città in terza persona, ci va assieme a suo padre non assieme ad un
tizio in prima persona.
—
"Oggi la scolara Carlotta Guareschi ha dovuto recarsi ín città assieme a suo padre ed essendo
ritornata tardi non ha potuto fare il compito. La prego pertanto di scusare...".
—
E cosa c'entri tu? — m'interruppe con vivacità Margherita. — Se la scolara Carlotta va in città
assieme a suo padre è suo padre che deve pregare la maestra di scusare l'involontaria mancanza. Non tu I
—
Ma io sono suo padre.
—
Sì : ma in prima persona. Mentre tua figlia va in città assieme a suo padre in terza persona. Quindi
si tratta di due amministrazioni diverse.
Trovai una soluzione più brillante :
—
"Oggi la scolara Carlotta Guareschi ha dovuto recarsi in città assieme a suo padre e, avendola
riaccompagnata tardi a casa, non ha potuto fare il compito. Pertanto La prego...".
—
Non cí siamo! — esclamò Margherita. La scolara Carlotta va in città assieme a suo padre
e
poi torna con te. Perché non è tornata con suo padre?
—
Sono affari che non interessano la maestra! — risposi. — La scolara Carlotta va con chi vuole
e
torna con chi le pare.
—
Bel concetto che sí faranno della serietà di tua figlia! Intervenne la Pasionaria :
—
Cosa c'entra il concetto? Quando la maestra vede dalla firma che mio babbo ha il cognome uguale
al mio, anche se la scolara Carlotta non torna dalla città insieme a suo padre, la maestra non si fa nessuna
meraviglia perché pensa che sí tratti non di uno qualunque ma di mio zio o un altro della famiglia.
—
E poi, — aggiunse Albertino, — quando la Carlotta è tornata c'ero anche io sulla macchina
e
posso sempre testimoniare.
Margherita disse che, se le cose stavano così, potevo_concludere. Conclusi :
—
"...Pertanto La prego di voler scusare l'involontaria mancanza".
—
"Pertanto" non va, — esclamò Margherita. — Qui siamo in campagna e "pertanto" è un avverbio
letterario che va bene per la città.
—
"Pertanto" non è un avverbio, — osservai.
—
Un pronome.
—
Neanche.
—
Il fatto che io non sappia cosa sia ti dimostra che "pertanto" è una espressione fuori dall'uso
comune, una preziosità letteraria. Roba da "Bagutta".
—
"Perciò La prego...".
—
"Perciò" è troppo categorico, autoritario. Attenua. Diluisci il concetto. Metti "comunque". Dicendo
"comunque" tu lasci alla maestra la piena libertà di credere o non credere alla giustificazione e ti rimetti
alla sua cortesia personale.
Mi rimisi alla cortesia personale della signora maestra e cambiai il "pertanto" in "comunque". Ricopiai in
bella copia, misi la lettera in busta e la consegnai alla Pasionaria.
—
Per questa volta è andata così, — borbottò la Pasionaria. — Però, d'ora in avanti, se vuoi che
venga con te, mi fai la giustificazione prima di partire.
Andai a letto col mal dí testa e quando, dopo mezz'ora, Margherita mi raggiunse, la sentii esclamare con
tono pieno di rimprovero :
—
Bel modo di curare l'educazione dei figli! Accompagna la bambina in città e poi la fa riportare a
casa dal primo che gli capita!
Non le risposi perché il padre della scolara Carlotta mi consigliò di lasciar perdere.
LA GENERAZIONE
DI MUZIO SCEVOLA
Tovai Margherita che soffriva in silenzio accasciata in una poltrona.
—
Margherita, cosa succede? — mi informai. Mi guardò con occhi pieni dí tristezza :
—
Non occupatevi di me, — sospirò. — Lasciatemi sola col mio dolore.
—
Che tipo di dolore è? — domandai. — Diffuso o localizzato?
—
Diffuso in un corpo localizzato, — rispose con angoscia Margherita. — Anzi: localizzato in un
corpo diffuso.
—
Margherita, riserva i tuoi paradossi per altra occasione. Sorrise malinconicamente :
—
Non è paradosso, Giovannino. Sono arrivata a tale punto di sofferenza che mi pare che il dolore
abbia schiacciato il mio essere frantumandolo e disperdendone le macerie. Io non sono più una creatura
localizzata, ma una creatura diffusa.
Era la prima volta che Margherita si sentiva diffusa e la cosa mi angosciò.
—
Margherita, per riuscire a reintegrare il tuo essere, bisogna individuare la causa della
disintegrazione stessa. Questa sofferenza è originata da un dolore fisico localizzabile in qualche punto
della parte materiale del tuo essere rimasta integra?
—
Niente è rimasto integro di me! — esclamò con angoscia Margherita. — Distrutta la mia unità
spirituale, la mia unità fisica è un non senso. Io sono come una mela svuotata dí tutta la sua polpa e ridotta
alla semplice buccia. Io sono l'involucro di me stessa.
—
Margherita, l'involucro di te stessa ha una consistenza materiale e di essa bisogna tener conto, agli
effetti della reintegrazione dell'essere. Cerchiamo di individuare ogni parte dell'involucro che risulti
malata.
Scosse il capo :
—
Se il malato è morto, perché vuoi guarire la sua ombra?
—
Margherita, — insistetti, — non è un'ombra che ío voglio curare e guarire. È un corpo! Un corpo
vivo che, adesso, sta seduto su quella poltrona e che possiede ancora una perfetta unità fisica.
—
Possiede anche un dente malato! — aggiunse la Pasionaria. Margherita la guardò con disprezzo.
—
Rispetta le macerie di tua madre! — esclamò.
—
Hai il dente malato! — ripeté la Pasionaria.
—
Non è vero! — protestò Albertino che, si capiva, era favorevole alla tesi romantica della
dispersione spirituale.
— È vero! — gridò la Pasionaria. — Me lo so perché ho visto che lei sí tocca sempre la guancia e poi,
ogni tanto, tira su l'aria.
Albertino guardò con sospetto Margherita.
—
È vero, mamma? — domandò.
—
Non darle retta, — rispose Margherita. È una calunniatrice.
—
Allora se me sono una calunniatrice, bevi l'acqua fredda, — replicò la Pasionaria.
Diedi un'occhiata ad Albertino, che scomparve riapparendo di lì a poco con un bicchiere colmo di acqua.
—
Bevi, Margherita, — ordinai appressando il bicchiere alle labbra della diffusa. Margherita mi
guardò.
—
Dunque non ti fidi di me! — esclamò con amarezza.
—
Bevi! — ripetei.
Margherita bevve un sorso d'acqua, ma subito respinse il bicchiere e prese a gemere portandosi la mano
alla guancia.
Una luce di trionfo brillava negli occhi della Pasionaria.
Albertino si appressò a Margherita.
—
Presto, — disse. — La macchina è ancora in cortile. Mettiti il soprabito così il babbo ti porta
subito dal dentista.
—
Adesso no! Domani, — rispose Margherita.
—
Subito devi andarci, — affermò Albertino.
—
Quando abbiamo noi il dente malato, aggiunse la Pasionaria, — tu ci fai subito portare dal
dentista. Adesso ci devi andare subito anche tu.
Margherita gemette.
—
Non è niente! — la rassicurò Albertino. — Hanno le macchine per addormentare il dente e non si
sente nessun male.
Margherita gemette ancora più forte.
—
Tante storie per andare dal dentista! esclamò severamente la Pasionaria. — Me ci sarò andata
trentamila volte e non ho mai detto neanche ahi.
—
Voi non potete capire! — gridò Margherita. — Voi appartenete a un'altra generazione! Voi avete
trovato tutto sistemato: la penicillina, i dentisti indolori, il telefono, l'ascensore, l'automobile, la radio,
l'aspirapolvere, la ghiacciaia elettrica...
—
Cosa c'entra la ghiacciaia! — interruppe la Pasionaria.
—
Per voi tutte queste cose sono naturali, urlò Margherita. — Ma noi apparteniamo a un'altra
generazione, a un altro tempo dove tutto era difficile e doloroso e, come entriamo con diffidenza in un
ascensore perché per noi' l'ascensore è ancora una novità, una bizzarria, così abbiamo il terrore del
dentista perché nella nostra giovinezza abbiamo conosciuto il gabinetto del dentista come una camera di
tortura...
—
Adesso non sei nella giovinezza, ma nella vecchiaia, e il dente ti fa male adesso, — disse
categorica la Pasionaria. — Quindi devi andare subito dal dentista che non fa male.
—
Fa male! — urlò Margherita.
—
Non fa male, — affermò Albertino che, nel frattempo, era salito a prendere il soprabito di
Margherita. — Presto : fra un'ora sarà tutto a posto.
Margherita gemette.
—
Una vecchia che ha paura dí andare dal dentista! — commentò la Pasionaria sghignazzando.
—
Io non sono vecchia e non ho paura! protestò indignata Margherita. — Io ho semplicemente il
complesso della generazione precedente. I vostri figli rideranno di voi perché voi avrete paura di salire sul
razzo atomico per andare sulla luna!
—
Intanto ridiamo noi, — borbottò la Pasionaria. Intervenni con cautela.
—
Margherita, — díssí a voce bassa, — la faccenda del complesso della generazione precedente è
giusto : però i tuoi figli appartengono alla generazione seguente e í genitori hanno il dovere di esser loro
sempre d'esempio anche se questo può costare un grosso sacrificio.
Margherita si alzò.
—
Sta bene, — disse fieramente, — vado subito dal dentista. E ci vado ridendo!
Rise infatti e si infilò il soprabito avviandosi decisamente verso la porta.
Quando fu sulla macchina, si rivolse alla squadra che assisteva alla partenza.
—
E vado non dal dentista che ha le macchine che non fanno sentire il dolore, — affermò; andrò da
un dentista all'antica, da uno di quelli che facevano soffrire noi ragazzi. Mi sembrerebbe di tradire la mia
giovinezza rinunciando a quella sofferenza. La nostra generazione guarda con diffidenza l'ascensore e
l'aeroplano, ma non ha paura del dolore!
C'era tanta fierezza in quelle parole che la Pasionaría e Albertino impallidirono e ristettero intimiditi.
Addio, generazione dell'anestesia, — gridò
sarcastica Margherita mentre io ingranavo la marcia. — La generazione dí Muzío Scevola ti saluta!
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—
Generazione di Muzio Scevola? — domandai mentre passavo in seconda. — Perché ti invecchi
tanto, Margherita?
—
Generazione di Muzio Scevola nel senso di generazione di uomini che sanno guardare con occhio
fermo e a ciglio asciutto il bisturi che taglia la loro carne viva, di gente che ha tale rispetto della propria
personalità da non accettare dí rinunciare a niente di sé: neppure alla sofferenza della propria carne offesa
dal ferro del chirurgo!
*
Arrivammo rapidamente in città. La generazione di Muzio Scevola sistemò l'automobile in posteggio,
comprò ini farmacia un completo assortimento di cachets e pillole contro il mal di denti e andò al
cinematografo. Ritornammo sul tardi.
—
Fatto tutto? — mi domandarono la Pasionaria ed Albertino, mentre Margherita era su in camera.
—
Fatto, — risposi. — È stata una cosa lunga
e
dolorosissima. Han dovuto tagliare la gengiva e poi limare l'osso.
—
Come si è comportata? — si informò Albertino.
—
Magnificamente, — affermai. — Non un gemito. Ha rifiutato l'anestesia. La Pasionaria mí guardò
perplessa.
—
Chi è l'anestesia?
—
Quella roba che non fa sentire il dolore quando si deve sopportare un'operazione. La squadra
rimase vivamente colpita.
— E tu sei stato a vedere mentre la tagliavano? — domandò la Pasionaria.
—
Certo.
—
E non ti ha fatto impressione?
Io, che prima di andare al cinematografo avevo comperato due saccocciate di castagne arrostite e le avevo
mangiate dalla prima all'ultima e perciò adesso mi pareva di avere una pantera inferocita dentro lo
stomaco, trovai la forza di mettermi a ridere.
La generazione di Muzio Scevola, quella sera, non mangiò : la parte maschile perché aveva un mal di
stomaco spaventoso, la parte femminile perché aveva un orrendo mal di denti. In compenso ebbe la
consolazione dí poter contemplare, dall'alto del suo fiero digiuno, la completa sconfitta morale della
generazione dell'anestesia.
LA TORTA «PURGATORIO»
La Giacometta domandò se poteva andare a dormire.
—
Vai pure tranquilla, — la rassicurò Margherita. — Tutte le cose più importanti sono già a posto.
—
E la torta con le nove candeline? — si informò la Pasionaria. — Mi piacerebbe che fosse un po'
bella perché voglio figurare bene con le amiche.
—
Sarà come deve essere, — dissi. — Domattina presto l'andrò a prendere in città.
—
Non occorre, — affermò Margherita. La torta la faccio io.
La cosa era grave e la Pasionaria e Albertino mi guardarono sgomenti.
—
Margherita, non vedo davvero la necessità che tu ti affatichi ancora. Hai fatto già troppo, osservai.
Margherita scosse il capo :
—
Il primo dovere di una madre è quello di confezionare con le proprie mani la torta tradizionale per
il compleanno dei figli.
La voce dí Margherita aveva un tono quanto mai deciso e la Pasionaria e Albertino impallidirono.
—
Dopo, se lavori troppo, — osservò la Pasionaria, — dici che ti fa male la testa e me mi viene il
rimorso...
—
Non dirò niente: una madre sa soffrire in silenzio. Appena avremo preso il caffè, voi ve ne andrete
a letto e io preparerò la torta.
—
Fai la torta « Paradiso? », — domandò cauto Albertino.
—
No, — rispose Margherita.
—
Magari fa la torta « Purgatorio », — borbottò la Pasionaria alzandosi da tavola e avviandosi verso
la porta.
—
Cerca di stare zitta, tu! — esclamò minacciosa Margherita.
—
Sempre così! — protestò la Pasionaria. Quando viene il mio compleanno tutti se ne approfittano.
Però a lui la torta l'avete comprata per il suo compleanno!
—
A te, invece, la farò io! E vergognati dí ricambiare con tanta villania il mio gentile pensiero!
—
Me non mangio il gentile pensiero, me mangio la torta! — replicò la Pasionaria uscendo.
Albertino la seguì senza parlare ma lo sguardo che mi lanciò era pieno d'angoscia.
Margherita terminò di fumare la sua sigaretta poi si alzò:
—
Ho la ricetta per una torta speciale, spiegò. — Una torta soffice come la bambagia e senza quei
dannati grassi che rendono indigeribili le torte in genere. Solo uova, zucchero, fecola e un po' di lievito.
In verità, Margherita, per rendere ancora più digeribile la sua torta avrebbe dovuto evitare di usare anche
le uova, lo zucchero, la fecola e il lievito : comunque non glielo dissi e mi limitai a domandarle quali
fossero í compiti a me affidati.
— Tu devi semplicemente preparare la stufa in modo che il forno sia ben caldo. Prima, però, pesami lo
zucchero e la fecola, le dosi sono in questo foglio.
Eseguii con diligenza poi misi legna nella cucina economica e stetti ad osservare con vivo interesse
Margherita.
Margherita lavorava con estrema decisione, Non aveva esitazioni di sorta e chiunque non avesse mai
assaggiato le torte di Margherita avrebbe esclamato : « Ecco una donna nata per fare delle torte! ».
Ora, non è da dire che le torte di Margherita siano cattive. Sono semplicemente pessime, ma ciò dipende
dal fatto che, anche nella confezione delle torte, Margherita si comporta come quando ragiona. Parte e,
con una rigida logica tutta sua personale, arriva alla conclusione più logicamente illogica dell'universo.
Uova, fecola, zucchero : Margherita accetta la formula e parte, per esempio, con le uova e lo zucchero
incominciando a sbattere il tutto dentro un tegame. Poi, ritenendo di dover diluire l'impasto, aggiunge
marsala. E, ottenuto un impasto troppo fluido, lo condensa aggiungendo biscotti savoiardi. Per
amalgamare la poltiglia la passa con lo spremíverdura e via discorrendo.
È un po' l'Armstrong delle torte, in definitiva : il guaio è che, siccome le torte di Margherita a differenza
degli arrangiamenti di Armstrong non si ascoltano ma si debbono mangiare, il risultato non è piacevole.
Margherita lavorò con estrema decisione per tre quarti d'ora quindi mi affidò una teglia piena fino all'orlo
di qualcosa di delicatamente giallo e mi impartì le direttive del caso :
— Metti al forno e, ogni tanto, controlla forando la torta con uno stuzzicadenti. Quando lo stuzzicadenti
esce perfettamente asciutto, togli la torta e falla raffreddare. Poi, con un po' dí questa crema e un po' di
fantasia, completala con qualche decorazione, colloca per bene le nove candeline e metti al fresco.
Andò a letto tranquilla e ío mi sedetti davanti alla cucina economica a far la guardia alla torta. E, ogni
tanto, aprivo lo sportello del forno e controllavo.
Dapprima la torta rimase pressoché inerte limitandosi ad assumere un colorito tendente al bruno dorato.
Poi, quando il lievito entrò in azione, incominciò a gonfiarsi fino a toccare la parte superiore del forno.
Poi prese lentamente a tornare alla normalità. Scese fino al livello dell'orlo della teglia ma doveva avere
sicuramente delle noie aí freni perché non si fermò lì e continuò ad andare sempre più giù.
Provai a forarla con urlò stuzzicadenti, ma lo stuzzicadenti si spezzò perché la crosta era diventata tenace.
Con un chiodo riuscii a forarla e a saggiare le viscere della pasta. Il chiodo uscì bagnato e richiusi lo
sportello.
In quel momento si aprì la porta della cucina ed apparvero Albertino e la Pasionaria in divisa da letto.
—
Come va? — si informò la Pasionaria.
—
Sta cuocendo.
—
Che aspetto ha? — domandò Albertino.
—
Non si può dire perché non si è ancora stabilizzata.
Aspettammo una decina di minuti e poi controllammo la cottura. La torta era discesa ancora più in basso e
il chiodo stentò a forare la crosta. Ma uscì perfettamente asciutto. La torta era cotta.
Cavai la teglia e la misi sulla tavola.
—
Sembra una frittata, — osservò cautamente Albertino.
La Pasionaria provò a pungere la torta col chiodo e non riuscì neppure a scalfire la crosta.
—
Per infilarci le candeline ci vorrà il trapano, — borbottò.
—
Si possono anche incollare con la colla da falegname, — disse Albertino.
—
Non occorre, — spiegai. — Una volta guarnita con crema e qualche altra cosetta la torta farà la sua
figura e le candeline staranno diritte benissimo.
Andammo ín dispensa per mettere la torta nella ghiacciaia. Si raffreddò rapidamente. Capovolgemmo la
teglia sul tavolo di cucina e la torta si staccò e, cadendo sul marmo, fece il rumore d'un coperchio di
legno.
Era diventata una specie di focaccia gialla alta un paio di centimetri e, a piegarla, ritornava lentamente alla
normalità perché aveva conservato un buon grado di elasticità.
Guardammo ín silenzio quella che doveva essere la torta più soffice e digeribile del mondo. Poi la
Pasionaria sospirò con un fil di voce :
—
Povera mamma...
Aveva gli occhi pieni di lacrime e allora io intervenni.
—
Non è il caso di drammatizzare : partiamo invece decisamente al contrattacco. E ricordatevi che
voi non lotterete per una torta, ma per vostra madre!
Rimisi la torta nel fuoco e ve la lasciai fin che non fu diventata secca stecchita come una galletta.
Si trattava di ammorbidire la torta e io, staccatone un pezzetto, provai a intingerlo nel latte. Non assorbiva
per niente. Allora col batticarne tritammo tutta la torta a pezzettini e macinammo i pezzettini nel
tritacarne.
Raccolsi la polvere così ottenuta in un tegame e la stemperai con vino Moscato. Ne saltò fuori una
pappetta languida che non prometteva niente di buono.
Aggiunsi farina, uova e zucchero e impastai ottenendo un blocco di roba molto rugosa perché la torta era
stata solo approssimativamente macinata dal tritacarne.
—
Si potrebbe fare una specie di sfoglia e poi stirarla col ferro elettrico, — consigliò la Pasionaria.
Questo mi suggerì un'idea brillante perché, tagliato il blocco a pezzetti, li passai uno per uno fra i rulli
della macchina per fare la pasta. Laminato il lingotto e ridottolo ín fogli, impastai assieme tutti i fogli e ne
ottenni un blocco compatto e
la Pasionaria osservò:
—
Se lo cuociamo così, diventerà un mattone.
—
E poi è impossibile che possa lievitare, aggiunse saggiamente Albertino.
—
Giusto, — dissi. — La pasta è snervata dal rude trattamento del laminatoio : bisogna rigenerarla.
Facemmo asciugare un momentino il lingotto dentro il forno poi lo grattuggiammo. Aggiungemmo un po'
di latte e di marsala, spolverammo con lievito e impastammo in modo da ottenere qualcosa di molto
morbido.
Imburrammo la teglia e, distesavi la neo-pasta, mettemmo la teglia nel forno.
Dopo qualche minuto la pasta dimostrò che aveva l'intenzione di lievitare con estrema energia, allora
cavammo la teglia dal forno e vi assicurammo sopra un robusto coperchio legato con fil di ferro in modo
che la pasta fosse costretta a contenere il suo impeto.
Rimettemmo in forno ma, poco dopo, si presentò il problema dell'assaggio di cottura. Togliere il
coperchio sarebbe stato come rompere un argine maestro del Po in piena.
La Pasionaria andò a prendere il trapano e forammo il coperchio in quattro o cinque punti. E usammo quei
buchi per introdurre lo stuzzicadenti nella pasta.
Quando la torta risultò cotta togliemmo la teglia dal forno e la facemmo raffreddare. La liberammo dal
coperchio e, con le forbici, tagliammo la pasta che s'era insinuata nella fessura rimasta aperta fra il
coperchio e l'orlo della teglia.
—
Per fare un bel lavoro bisognava saldarlo con l'ossigeno, — osservò la Pasionaria. Comunque la
neo-torta pareva cotta : tuttavia si presentava malissimo perché la crosta era tutta rovinata in quanto parte
di essa era rimasta attaccata al coperchio.
— Qui ci vuole proprio il ferro da stiro, — affermò la Pasionaria, donna di idee chiare.
Perfezionai la trovata e spolverai abbondantemente farina di castagne sulla crosta deteriorata colmando
ogni lacuna. Poi passai delicatamente il ferro da stiro ben caldo sulla farina abbrustolendola in modo da
ottenere una crosta lucida e compatta.
Spolverammo con zucchero velato. Estraemmo con delicatezza la neo-torta dalla teglia. Non aveva la
morbidezza desiderata ma ormai niente poteva fermarci : Albertino andò a prendere sul mio tavolo da
disegno lo spruzzatore e io feci cadere sopra la torta una rugiada leggerissima dí vino bianco.
Passammo alla decorazione : crema, nocciole, confetti macinati, uva passa, frutti canditi. Tre uomini in
gamba quali siamo Albertino, la Pasionaria ed io, ci mettono poco a cavar fuori un capolavoretto
ornamentale.
Infilammo le nove candeline e mettemmo la torta in ghiacciaia.
Era l'alba e la stanchezza ci pesava sulle spalle. Però Margherita era salva.
Quando, alla fine del pranzo, la torta venne in tavola, fu un successo.
Ma quando ognuno di noi ebbe la sua fetta di torta sul piatto ci guardammo perplessi : chi l'avrebbe
assaggiata per primo?
La Pasionaria, forte e generosa, si immolò e mandò giù un grosso boccone di torta.
—
È straordinaria! — esclamò.
In verità era una magnifica torta e tutti fecero grandi lodi a Margherita.
—
Normale amministrazione! — rispose con indifferenza Margherita. — Posso fare molto di meglio.
AMLETO
Conobbi Amleto da Amleto e Amleto me lo regalò.
Pare una cosa complicata, invece è semplice, perché Amleto è il cane che mí fu regalato dal
signor Amleto padrone della trattoria « Amleto ».
A onor del vero, quando Amleto mi regalò Amleto, Amleto non si chiamava Amleto, non
aveva né un nome né un programma : era un batuffolo di roba nera e soffice di forma imprecisata.
—
Cos'è? — domandai ad Amleto.
—
Dovrebbe essere un cane, — rispose Amleto.
—
Di che razza?
—
Difficile dirlo. È come sua madre : cani-Balcani. Mosaico di razze.
Tirai su da terra il batuffolo nero per guardarlo da vicino : mi leccò la punta del naso. Lo fece con garbo e
con grande senso di misura e ciò mi piacque.
Lo rimisi per terra e quello, fattosi issare da Amleto sul gradino, abbandonò la zona dei tavolini all'aperto
ed entrò nella trattoria propriamente detta.
—
Come si chiama? — domandai ad Amleto.
—
Arrivato senza documenti personali: non sappiamo niente.
Incominciai a mangiare e mi venne voglia di un po' di verdura. Allora chiamai ad alta voce:
« Amleto! » e subito apparve il cagnetto che, dall'alto del gradino, mi guardò emettendo uno scricchiolio.
Visto che non gli davo retta tornò dentro e ío chiamai ancora Amleto. E ancora il batuffolo
nero apparve e ancora mi guardò scricchiolando. Poi apparve anche Amleto e io, dopo avergli parlato
della verdura, gli comunicai:
—
Io lo so come si chiama il cagnolino. Poi mi volsi verso la vetrina e gridai ancora : « Amleto! ».
Il batuffolo nero apparve sulla soglia e mi guardò tentando ancora di abbaiare.
—
È la terza volta che questo fenomeno si verifica, — dissi ad Amleto. — È chiaro che il cane si
chiama Amleto.
—
Dottore, lei ha sempre voglia di scherzare, — borbottò poco benevolmente Amleto.
—
Non ho voglia né di scherzare né di diventare dottore. Io faccio delle constatazioni: se a
lei non garba che io dica che il cane si chiama Amleto, non lo dico più. Il cane non si chiama Amleto e sta
bene. Però è un cane che, a chiamarlo Amleto, risponde.
Il batuffolo era ritornato in bottega : chiamai ad alta voce : « Amleto! » e subito riapparve sulla soglia e mi
guardò tentando di abbaiare.
Amleto non era convinto ancora. Scomparso il batuffolo nero, provammo a chiamarlo usando altri nomi :
Alcibiade, Flik, Bob, Temistocle, Otello, eccetera. Non si fece vivo. Apparve invece quando io gridai: «
Amleto ».
Stando così le cose io mi ritenni autorizzato a tirare le somme :
—
Il cane non si chiama Amleto però mostra il vivo desiderio di essere chiamato Amleto. Cosa
facciamo? Lo accontentiamo?
—
Da « Amleto » ci può essere un solo Amleto, — disse Amleto. — Non voglio fare il gioco della
concorrenza autorizzandola a dire che Amleto è un cane.
Orbene, non si poteva dare buon gioco alla concorrenza permettendole un malvagio gioco dí
parole a danno di Amleto. D'altra parte, se il cagnetto desiderava essere chiamato Amleto, non si poteva
non tenerne conto : bisogna aiutare i giovani che cercano di farsi un nome, non ostacolarli. Trovai perciò
una soluzione di compromesso e dissi ad Amleto :
—
Lo chiameremo Amleto e verrà a vivere in campagna con me.
—
Sta bene, — rispose Amleto. — Chiamiamolo pure Amleto!
Lo disse un po' troppo ad alta voce e il batuffolo nero apparve sulla soglia. Allora Amleto lo
agguantò per la collottola e, aperta la portiera della mia macchina stazionante davanti al mio tavolo, lo
depositò sul sedile posteriore.
—
Buon viaggio, — borbottò richiudendo la portiera.
Il cagnetto incominciò a piagnucolare e sulla soglia apparve la cagnetta-madre che guardò preoccupata la
macchina e poi Amleto.
—
Lascialo perdere, Ketty, — le spiegò Amleto. — È passato all'estrema destra, nella categoria degli
agrari.
La cagnetta-madre parve soddisfattissima della nuova linea politica adottata dal figlio e si allontanò
scodinzolando allegramente.
*
Amleto si comportò male, quella notte, e protestò lungamente perché non intendeva essere lasciato solo.
Poi stette zitto : ma io, la mattina, uscendo dalla camera da letto, trovai davanti all'uscio qualcosa che non
avrei dovuto trovare. Non l'avrei dovuto trovare anche per la ragione che, a quanto mi risultava, Amleto
non era capace di superare senza aiuto il gradino tra il marciapiede e il pavimento della trattoria materna.
Come aveva fatto, durante la notte, a salire e quindi a ridiscendere due intere rampe di scale?
E poi, perché, deposto davanti alla mia porta il suo vibrato messaggio di protesta, non era rimasto al
primo piano?
Ci pensai a lungo mentre ripulivo la suola della pantofola che aveva calpestato il messaggio, ma non
trovai una risposta all'interrogativo.
Quando scesi rimproverai severamente Amleto che se ne stava accucciato nell'angolo che io gli avevo
assegnato, a piè della prima rampa della scala. Poiché fingeva di dormire, lo afferrai per la collottola e lo
tirai su per guardarlo negli occhi in modo che, dal balenio delle mie pupille, egli comprendesse di quale
grave colpa si fosse macchiato.
Mi leccò vigliaccamente il naso.
Gli perdonai l'inconsulta azione notturna e gli diedi via libera in giardino invitandolo a far buona guardia
mentre io mi preparavo per la partenza verso la campagna. Gli raccomandai particolarmente la macchina.
Quando tornai giù, Amleto mi venne incontro per riferirmi le novità : era azzurrino.
Lo toccai con un dito : non c'era da sbagliare : « Mobiloil ». La sera prima avevo fatto ingrassare la
macchina e Amleto aveva controllato diligentemente l'ingrassatura di ogni parte.
Per detergere l'olio lubrificante niente di meglio che la benzina. Presi Amleto, lo misi su una cassa e lo
smacchiai.
Dopo due minuti Amleto si agitava furiosamente tentando di grattarsi : allora, per asciugare la benzina ed
eliminare la causa dell'irritazione, gli feci un buon massaggio al borotalco. Per togliere il borotalco lo
passai tutto con l'aspirapolvere.
Durante queste operazioni Amleto diede la dimostrazione di possedere un carattere eccellente
perché non si mosse né aprì bocca. Alla fine mí
leccò il naso : e fu una leccatina al « Mobiloil ». — Amleto, — gli dissi, — il progresso meccanico ti
affascina come affascina tutte le anime semplici. Non lasciarti sedurre da esso o sarai tratto a scambiare il
progresso meccanico con la civiltà e uscirai dal seminato. Se gli uomini non riescono a mantenersi
uomini, cerca tu di non tradire la caninità.
Partimmo per la campagna e Amleto si comportò esemplarmente limitandosi ad abbaiare ogni volta che
suonavo il clacson : è il minimo che possa fare un cane che viaggia per la prima volta in macchina.
Ad un tratto capii che Amleto aveva sete : infatti io suonai il clacson e Amleto abbaiò regolarmente ma
senza il sonoro. Gola secca.
Ci fermammo al primo caffè che incontrammo lungo la strada : faceva assai caldo e avevo sete anch'io. Cí
sedemmo a tavolino e ci rinfrescammo la gola.
Poi Amleto manifestò il desiderio di fare un giretto e io glielo concessi. Era la prima volta che viaggiava e
non conosceva í terribili pericoli della strada.
Lo sentii, infatti, chiamarmi disperatamente e corsi fuori dal caffè. Lì, a due passi, gli operai stavano
incatramando la strada e Amleto, ignaro dei segnali di sbarramento, era andato a far le capriole sul
catrame appena spalmato rimanendo appiccicato come una mosca.
Gli operai furono molto gentili e con garbo distaccarono il batuffolo di peli morbidi da quel vischio nero.
— La consiglio di portarlo dalla smacchiatrice a secco, — mi disse l'operaio che mi consegnò Amleto.
— Io lo farei tosare, — affermò invece la padrona del caffè.
Una stupidaggine. Se tosate un batuffolo di seta, cosa vi resta?
Non volevo neppure ripetere la storia della benzina : lo lavorai con olio d'oliva puro, tiepido, e con
bambagia. A Piacenza mi procurai una busta di polvere per il bagno di schiuma (elimina ogni minima
particella di grasso senza irritare la pelle anzi massaggiandola deliziosamente grazie alla turbolenza delle
bollicine) e, arrivato a casa, lo rigenerai completamente.
Anche durante la sua seconda avventura Amleto si comportò veramente da uomo e io lo lodai senza
riserve.
Una volta che l'ebbi riasciugato con l'aria calda, gli mostrai la casa. Ne fu soddisfatto e, al termine del
giro, manifestò la sua soddisfazione agitando la coda.
E allora mi accorsi che Amleto aveva il treno posteriore sbilanciato.
Mi spiego. Perché la natura ha fornito di coda i cani? Perché la agitino. E i cani, disciplinatamente,
agitano la coda. Tutto ciò è quel che si dice « naturale ». Ma non è « naturale » che l'agitar della coda
sbilanci l'utente di essa. Se l'utente della coda si sbilancia tutto o in parte, vuol dire che c'è un difetto di
montaggio. Oppure che il cane è fornito di una coda che non è della portata adatta al suo tipo.
Amleto, dunque, incominciò ad agitare la coda e, mentre il treno anteriore rimaneva fermo sul pavimento,
il treno posteriore veniva coinvolto negli spostamenti laterali della coda tanto da slittare a destra e a
sinistra.
—
Il cane ha una coda superiore alle sue forze,
—
mi disse il capomastro che, passando dalla cucina, s'era fermato ad osservare il fenomeno. Bisogna
alleggerirla tagliandola.
—
Sono contento del suo lavoro, — gli risposi.
—
Però, se lei osa ancora una volta dire una bestemmia del genere, io la licenzio.
—
Non credevo di offenderla, — esclamò. — A quasi tutti i cani tagliano la coda.,.
—
Non ad Amleto, — gridai. — Amleto non è un cane, è una idea in marcia! Caso mai, troveremo il
sistema di ancorízzarlo.
Amleto volle fare un giretto attorno alla casa e glielo permisi. Ma pochi minuti dopo lo udii chiamarmi
disperatamente.
Gli smalti sintetici sono, diciamo pure, diavolerie : e il verniciatore aveva finito da poco di pitturarmi con
smalto sintetico lo zoccolo del garage. Amleto, nel fare una manovra marcia indietro, era rimasto
appiccicato allo zoccolo con tutta la coda, nel senso orizzontale.
Quando mi vide volle agitare la coda e, siccome la coda non poteva muoversi, si mosse lui e così assistetti
all'impressionante spettacolo di una coda che agitava il cane.
Staccai con uno scalpello il pezzettino di intonaco al quale era rimasta appiccicata la coda. L'aumento di
peso della massa caudale sbilanciò ancora di più il treno posteriore di Amleto e ciò gli causò visibile
amarezza.
Per consolarlo lo portai nel mio studio e gli feci vedere la grande fotografia della famiglia.
—
Questo sono ío, — gli spiegai mettendogli davanti il quadro. — Questa è la signora Margherita,
questo è Albertino e questa è la Pasionaria. È tutta brava gente e ti troverai bene.
Amleto leccò diligentemente tutta la famiglia e, quando lo rimisi in terra, si allontanò riconfortato.
Ma, prima di uscire, trovò per terra un pezzo di spago e lo prese tra í denti per giocare.
Disgraziatamente era il cordone della mia lampada da tavola e, forando uno dei due fili della treccia con
un dentino, Amleto ricevette un brutto colpo.
Questa volta pianse un pochino.
— Amleto, te l'ho già detto : diffida del progresso meccanico, rimani aggrappato alla natura I — lo
ammonii.
Una grande scodella di latte gli ridiede la fede nella vita.
Accettò dí dormire ín garage, ma volle la luce accesa.
Glielo concessi. In fondo, anch'io, che sono ben più vecchio di Amleto, ho paura del buio. Píù ancora di
quand'ero bambino.
Buona notte, Amleto.
LA LEGNA
Storia vecchia, il cui inizio si perde nella notte dei tempi. Anzi, con maggior precisione, si perde nel
pomeriggio di una afosa giornata di luglio.
Viaggiavo da un'ora sull'asfalto bollente della Via Emilia, quando mi accorsi che la lancetta del
manometro dell'olio aveva abbandonato la consueta posizione decisamente a destra assumendo quella di
centro-sinistra.
Fermai la macchina, scesi, tirai su il cofano e controllai il livello dell'olio. Era sensibilmente al disotto del
minimo: fortunatamente, nel baule posteriore, avevo la mia brava latta d'olio di riserva.
Passai nel versante opposto della macchina, spalancai il coperchio del baule e mi trovai davanti a un
massiccio blocco di legna da ardere.
Legna forte, asciutta, segata e spaccata giusta per la stufa.
In un pomeriggio dí luglio, sotto il sol battente e coi piedi sull'asfalto bollente della Via Emilia.
Come era finita dentro il baule della mia macchina quella dannata legna?
Chi era il pazzo scatenato che mi aveva combinato quello scherzo?
Non era il momento più adatto per cercar di risolvere il mistero : io dovevo ricuperare la latta dell'olio.
Con molta cautela incominciai a smantellare la muraglia di legna per identificare il punto in cui si trovava
la latta dell'olio e per estrarre quindi la latta senza dover togliere tutta la legna.
Difatti io non tolsi tutta la legna perché la legna, a un bel momento, mi franò sui piedi quasi tutta.
Così ricuperato il recipiente dell'olio e versato l'olio dentro il motore, fui costretto a pensare alla
sistemazione della legna.
Non potevo abbandonarla lì, sul ciglio della strada. Da qualunque parte essa provenisse, era onesta legna
da ardere.
E poi, come si possono fare delle indagini se si elimina il corpo del reato?
Raccolsi i pezzi di legna e li buttai alla rinfusa dentro il baule. Dopo di che dovetti cavarli fuori dal primo
all'ultimo e rimetterli nel baule uno alla volta cercando di ricostruire il blocco granitico che avevo trovato.
Feci le cose con ogni cura, ma la latta dell'olio e tre ciocchi di legna non riuscirono ad entrare, e li dovetti
ospitare nell'interno della macchina.
Arrivato a Milano, trovai ad attendermi tanti di quei guai da farmi dimenticare del tutto la legna. Me ne
ricordai tre giorni dopo al mio ritorno.
A metà strada, infatti, fermai la macchina perché, a ogni sobbalzo qualcosa sbatacchiava nelle retrovie
dell'automobile.
Scesi, aprii il baule e riscontrai che il baccano era causato dalla latta dell'olio malamente sistemata.
Allora mi ricordai della legna.
La legna era scomparsa. Non c'era ombra di legna, dentro il baule, e neppure nell'interno della macchina.
Faceva un caldo opprimente, ero pieno di stanchezza e di sonno : accettai l'ipotesi più comoda.
Evidentemente si trattava di un sogno. Il ricordo di uno stupido sogno che s'era inserito tra i ricordi dei
fatti realmente accaduti. Dimenticai la legna.
Passò parecchio tempo e una sera, quando già ero in vista di Milano, mi si afflosciò una delle gomme
della macchina. Dovetti fermare per cambiare la ruota. Scesi, abbassai il coperchio del baule e nel buio
cercai il crick e il girobacchíno, ma la mia mano fece poca strada perché il baule era pieno zeppo di legna.
Questa volta non era un sogno : era dura, tangibile realtà, e dura e tangibile realtà era che il críck e
girobacchino si trovavano sotto il blocco granitico di legna da ardere.
Ammaestrato dall'esperienza, riuscii a rendere meno gravosa la faccenda : tolsi infatti, pezzo per pezzo, la
legna ma non la buttai per terra come la prima volta. La misi, via via, dentro la macchina e, rintracciati gli
arnesi che mi servivano e cambiata la ruota, potei concludere senza altri' intoppi il mio viaggio.
Arrivato a casa, ricoverai la macchina nella rimessa e andai a letto. La mattina seguente, quando ritornai
in rimessa per iniziare i rilievi e le indagini sulla legna misteriosa, la legna era scomparsa.
Sentii uno strano rumore provenire dalla cantina : scesi cautamente la scala e sorpresi la Giuseppina in
flagrante.
Stava accatastando pezzi di legna da ardere!
—
Dove ha preso quella legna? — domandai. Arrossì e cercò di balbettare qualche parola di
giustificazione.
La Giuseppina, che per tre giorni ogni settimana soprassiede al funzionamento della mia casa di Milano, è
una signora molto seria e che parla pochissimo : i tipi così non sanno mentire e io ebbi buon gioco :
—
Dove ha preso quella legna? — ripetei con voce metallica.
—
L'ho trovata sulla macchina del signore, rispose.
—
E chi ha messo quella legna sulla macchina del signore? — incalzai.
Non rispose. Si strinse nelle spalle e allargò le braccia.
Mi guardai attorno perché i miei occhi si erano abituati alla penombra e così feci una scoperta
impressionante : la donna non stava sistemando í pezzi di legna disponendoli in bell'ordine l'uno sull'altro
a piè del muro!
Quello che io avevo creduto un muro era una compatta, granitica catasta di legna da ardere. Alta fino al
soffitto e profonda, così a occhio e croce, circa due metri.
—
E quella legna lì, dove l'ha presa? -- urlai sgomento.
—
L'ho sempre trovata dentro il baule della macchina del signore. Solo questa volta l'ho trovata fuori
dal baule.
Risalii senza più dire niente.
Parlai due giorni dopo, quando fui rientrato alla base.
— Margherita, — dissi, — desidererei sapere cosa significa questa storia della legna che viaggia
clandestinamente sulla mia macchina.
—
Ah, — rispose, — la Giuseppina se ne è dunque fatta accorgere!
—
No, Margherita : me ne sono accorto da solo e per ben due volte. Margherita si strinse nelle spalle:
—
La storia della legna è semplice : tu, il prossimo inverno, invece di spendere quattrini per comprare
legna cattiva e bagnata, potrai scaldarti con legna secca, buona e che non ti costa niente perché è tua. Se
non volevi servirtene non dovevi far cavare tante piante.
—
Margherita, non s'era detto che io, al momento opportuno, avrei mandato un camion di legna a
Milano?
—
E allora? La legna non è forse arrivata a Milano senza viaggiare in camion? Giovannino,
l'economia domestica è affare mio.
Era inutile intavolare delle discussioni complicate.
—
Margherita, — tagliai corto, — la legna è arrivata clandestinamente e illegalmente a Milano. E sta
bene. Però la storia non deve ripetersi. Dalla prossima volta, fine dello spettacolo.
Margherita chinò il capo :
—
Giovannino, per me ogni tuo desiderio è un ordine.
Passarono i soliti quattro giorni di licenza agricola settimanale e arrivò il momento di ripartire per Milano.
Prima di salire in macchina ispezionai il baule e, naturalmente, trovai che una mano criminosa lo aveva
inzeppato ancora di legna.
Richiusi il coperchio e chiamai Margherita :
—
Di' al meccanico di guardare il filtro dell'aria, — le spiegai quando arrivò. — La carburazione non
è giusta. Adoprerò l'altra macchina, stamattina.
Salii sulla macchina rossa e partii.
Margherita stette a guardarmi immobile come una statua : l'avevo giocata con infernale abilità e l'ultimo
sguardo che mi lanciò era carico di odio.
Feci uno dei viaggi più allegri della mia vita, quella volta. Arrivato alla periferia di Milano, incappai in un
blocco volante di controllo.
—
Ha qualcosa di dazio? — mi domandò uno dei vigili.
Allargai le braccia ridendo, e poi scesi e sollevai l'ampio coperchio del baule posteriore della macchina.
Il baule era pieno di legna. Pieno zeppo.
— Oh bella, un'automobile che va a legna! — ridacchiò il vigile rivolto verso il compagno.
—
Non sapevo che ci fossero automobili a legna, — rispose l'altro. — A carbonella lo sapevo, ma a
legna?
I due vigili contemplarono beffardi il mio miserevole intontimento.
—
Lei sapeva che la legna paga dazio? — mi domandò il primo vigile.
—
No, — risposi.
—
Allora questa è una magnifica occasione per impararlo. Allargai le braccia :
—
Sta bene, mi dicano quel che c'è da pagare e pagherò.
—
A un po' complicato, — spiegò il secondo vigile, — perché si paga secondo il peso. Comunque
lasciamo perdere gli scherzi: cosa c'è sotto la legna?
Lo guardai sbalordito :
—
Sotto la legna? — balbettai. — E cosa ci dovrebbe essere sotto la legna?
Il vigile scosse il capo :
E lei, con una macchina così elegante, viaggia col baule pieno di legna da ardere? Ammetterà che e una
cosa un po' curiosa.
Mi venne voglia di rispondere che, se avesse conosciuto Margherita, non avrebbe trovato nella faccenda
proprio niente di curioso. Mi limitai a replicare :
—
La legna è lì da vedere.
—
Be' vediamo, — esclamò il vigile. — Sposti la macchina lì a destra e poi tiri fuori la legna.
Spostai la macchina là a destra poi, pezzo per pezzo, cavai fuori la legna dal baule.
Quando il baule fu completamente vuoto, il vigile lo ispezionò con cura. Picchiò sul fondo e sulle pareti,
aprì la busta dei ferri, svitò il tappo della lattina d'olio di riserva, controllò la ruota di scorta.
—
E adesso? — domandai al vigile quando l'ispezione fu finita.
—
Adesso lei ricarichi la sua legna e si spicci altrimenti le faccio contravvenzione per occupazione
abusiva di suolo pubblico. Prima, però, mi dia nome cognome e indirizzo perché noi dobbiamo farle
rapporto per la legna.
Fui fortunato perché non c'era ancora gran traffico sul viale e le persone che mi prestarono la loro
assistenza morale mentre ricaricavo la legna non arrivavano al centinaio.
Comunque tutti indistintamente trovarono lo spettacolo assai interessante e divertente.
Passai i miei consueti giorni milanesi con un gatto vivo nello stomaco e, quando risalii in macchina per
ritornare al paese, ero animato da propositi quasi criminosi.
Fu un viaggio che incominciò subito malissimo perché, appena arrivai in periferia, íncoccíai in un blocco
volante della Finanza.
Guardarono dentro la macchina, poi vollero ispezionare il baule : e io scesi e sollevai il coperchio del
baule.
—
Che roba è? — domandò il sottufficiale che comandava il blocco.
Cosa potevo rispondergli, dato che il baule era pieno di legna?
—
È legna da ardere, — dissi.
—
Lei di dove viene?
—
Da Milano.
—
E dove va?
Gli spiegai che tornavo al paese, dalla mia famiglia.
—
Lei allora compra a Milano la legna per la famiglia! Non c'è la legna al suo paese?
—
Ce n'è anche troppa! — esclamai. — Questa non l'ho comprata, è legna mia. Legna delle mie
piante.
—
Leí possiede un bosco a Milano?
—
È legna che viene dalle piante del podere che ho al paese.
Il sottufficiale mi guardò stupito :
—
Se è legna che viene dal paese, come fa adesso a venire da Milano? Lei forse porta a Milano la
legna del paese per farle visitare la città?
Mi impappinai e allora il sottufficiale mi invitò a togliere la legna perché voleva controllare il baule.
Tolsi la legna e poi la rimisi nel baule.
Il sottufficiale mi comunicò che gli dispiaceva d'avermi fatto perdere tanto tempo.
Risalii in macchina, ed eseguita una brillante manovra, invertii il senso della marcia e ritornai índíetro
mentre le guardie mi guardavano come se io fossi diventato improvvisamente pazzo.
A casa trovai ancora la Giuseppina.
—
Perché non ha tolto la legna? — le domandai.
—
La legna? — esclamò. — La signora mi aveva parlato soltanto dell'altra macchina. Per questa non
mi aveva detto niente.
Le spiegai che scaricasse con tutta comodità perché, quella settimana, non sarei tornato a casa.
Rimasi a Milano e, il giorno seguente, verso le undici, arrivò Carletto in macchina.
—
Seí ancora qui? — mi domandò Carletto.
—
È facile capirlo, — risposi.
—
Non tanto, — obiettò. — Ieri sei partito e siamo rimasti d'accordo che sarei venuto al paese
stamattina. Arrivo di là : non ti ho trovato. Ti è successo qualcosa?
—
Niente, — spiegai, — un guasto alla macchina.
—
Meno male, — esclamò Carletto. — Posso lasciare la macchina qui, nel tuo giardino?
—
Fai quello che vuoi.
Carletto scese, passò dietro la macchina, sollevò il coperchio del baule :
—
Tanti saluti da tua moglie, — mi disse andandosene. — Vedi di sbrigarti perché la macchina mi
serve.
Chiamai la Giuseppina e le dissi di scaricare la legna che era arrivata• a Milano dentro il baule della
macchina dí Carletto.
IL «COMPLESSO DEL POMODORO»
Sentii che la Pasionaria borbottava : ce l'aveva con qualcosa o con qualcuno. Comunque, erano fatti suoi.
Poi la Pasionaria alzò la voce :
—
Me vorrei sapere perché, in questa casa, si compera l'acqua minerale quando poi un tizio ci sbatte
contro il suo maledetto giornale e, se gli toccano la bottiglia, incomincia a urlare come un leone !
Tolsi il giornale e la Pasionaria poté avere la bottiglia che l'interessava.
—
Quando si mangia non si deve leggere. Fa male, — spiegò la Pasionaria mentre si versava l'acqua.
— Il babbo lo dice sempre.
Quel sarcasmo non mi piacque e mi volsi per farlo notare a Margherita : ma il posto di Margherita era
vuoto.
—
Dov'è? — domandai.
—
È di là, — rispose Albertino.
—
Perché non viene a mangiare?
—
Ha una malattia nuova, — spiegò la Pasionaria.
Mi levai da tavola, andai di là e trovai Margherita che, seduta nella poltrona nel cantuccio della radio,
stava fissando intensamente qualcosa che avrebbe dovuto trovarsi all'angolo opposto della stanza. Guardai
anch'io e, siccome non vidi niente, domandai a Margherita cosa le stesse succedendo.
—
Ho il complesso, — rispose Margherita con voce piena d'angoscia.
Le comunicai che non capivo e Margherita sospirò:
—
Capirai quando io non ci sarò più. Voi uomini capite sempre quando è troppo tardi.
La faccenda prendeva una pessima piega e ío mi preoccupai di fare il punto esatto della situazione.
—
Margherita, tu mi hai detto che hai « il » complesso. Ma se non precisi di qual complesso si tratti,
come posso capire? Di complessi ce ne sono tanti. Che complesso hai?
—
Non lo so, — rispose Margherita. — Io so soltanto che ho il complesso e che soffro
immensamente.
Mi sedetti davanti a lei e le parlai con estrema dolcezza.
—
Margherita, ti comprendo. Ma se tu non cerchi di spiegarmi di qual genere sia questo tuo
turbamento psichico, come potremo curarti e guarirti?
—
Non è necessario che io guarisca, — rispose Margherita. — Anche se ío muoio, cosa importa? Chí
sono io? Cosa rappresento? Chi si è accorto che ío sono viva? Chi si accorgerebbe che ío sono morta?
Rise d'un riso breve e un po' crudele. Poi gli occhi le si riempirono di lacrime:
—
Voglio i miei figli, qui vicino a me! ansimò.
—
No, Margherita, — le risposi pacatamente. — Il raccontino nel quale tu dici ai bambini che la loro
povera mamma morirà e che, quando sarà sepolta nella terra fredda, sarà tanto sola eccetera eccetera, l'ho
già scritto l'altr'anno. Cerca qualcosa dí nuovo, Margherita, se proprio senti l'impellente bisogno dí far
singhiozzare i tuoi figli. Continuiamo a parlare di te, Margherita! Cos'è che ti senti?
Margherita scosse il capo:
—
Non lo so, Giovannino! A un certo momento sento una cosa qui...
—
Qui, dove?
Sorrise piena di malinconia :
—
Nessuno ha ancora pensato a stampare le carte topografiche della sofferenza! Come si può
localizzare un'angoscia che, improvvisamente, ti invade l'animo?
Cercai di indurla a riflettere:
—
Margherita, non bisogna subire un turbamento psichico come si subisce una tegola che ci cade
sulla testa. Vediamo dí analizzare la sofferenza. Se, improvvisamente, un senso d'angoscia tí invade
l'animo, da quale punto incomincia l'invasione?
—
L'anima non è qualcosa di definito. Non ha una forma, non ha un perimetro, non ha un baricentro o
una superficie, non ha dei lati, delle facce o degli angoli. Non ha quindi dei punti. Oppure credi che io, al
posto dell'anima, abbia un parallelepipedo o un dodecaedro?
Non avevo mai supposto orrori del genere e glielo dissi. Poi chiarii il mio concetto.
—
Margherita, seguimi senza fare obiezioni.
Questo tuo senso d'angoscia si sviluppa dentro di te o fuori di te?
Mi guardò con disgusto :
— Credi forse che ío porti la mia anima dentro la borsetta?
— No certamente, Margherita, e so bene che la tua anima è dentro di te. Ma tu devi tener presente che,
assai spesso, un turbamento psichico è originato da cause materiali. Uno può avere, senza saperlo, un
organo interno malato. Il cuore, il fegato, i polmoni eccetera. Non lo sa perché il male non ha raggiunto
ancora una consistenza tale da produrre dolore o disfunzione dell'organo in questione. Ma il male c'è, allo
stato potenziale, come un seme piantato nella terra. Il seme non ha ancora germinato, ma sta germinando
e, ogni tanto, pur non suonando il campanello d'allarme del dolore fisico, l'organo avverte la presenza e la
vitalità del seme del male. E allora si prova quel senso d'angoscia caratteristico di chi sente gravare su di
sé un'oscura minaccia e non sa né può immaginare di che cosa si tratti. .Di qui il turbamento psichico.
Però, ponendo mente a quanto si è detto, e cercando di analizzare questa sofferenza, sí potrà magari
scoprire che l'angoscia che tu ora genericamente senti « qui » incomincia dal cuore, o dai polmoni, o dal
fegato. Allora si può curare il turbamento psichico semplicemente curando il cuore, i polmoni, il fegato, la
milza.
Margherita mi considerò a lungo in silenzio con occhi severi.
— Giovannino, — disse alla fine, — questo è qualcosa di ancor più spregevole del materialismo storico.
È materialismo geografico. Addirittura materialismo topografico. Non posseggo una preparazione
scientifica particolare : ma sono in grado di saper distinguere un complesso da un mal di fegato!
La pregai di non eccitarsi. L'analisi della sofferenza la si deve fare per esclusione : potevamo escludere
che la sofferenza di Margherita fosse originata da una disfunzione interna.
— Dobbiamo cercare dunque all'esterno l'origine del tuo turbamento, — conclusi. — Dobbiamo
identificare il fattore esterno del tuo turbamento interno. Cerca ora di analizzare sotto questo aspetto la tua
sofferenza. Sei sicura che il tuo turbamento psichico, quel turbamento che poi, ripetendosi, diventa
cronico e quindi si trasforma in complesso, sí verifichi all'improvviso? Senza una ragione? Rimedita le
tue esperienze e cerca di scoprire se il tuo turbamento, la tua angoscia, non si verifichino, per caso,
quando accada un certo fatto. Quando, insomma, un agente esterno tí induca a ricordare una tua dolorosa
esperienza, o, comunque, qualcosa che ti dispiaccia.
Margherita mi guardò sfiduciata.
— Non è complicato, — le spiegai. Ad esempio a un uomo dí piccola statura dispiace di essere dí piccola
statura e tutte le volte che vede un uomo alto prova una sofferenza che, ripetendosi e facendosi cronica,
diventa il complesso dell'uomo piccolo. Quel complesso che si manifesta poi in un senso di ostilità contro
tutto quello che possa essere definito alto: un obelisco, un grattacielo, un traliccio della luce, eccetera.
Tutto questo processo si svolge all'insaputa dell'interessato, perché è il subcosciente che lavora. Così
l'uomo piccolo non sa di avere il complesso dell'uomo piccolo.
Sente questa angoscia ma difficilmente riesce a comprenderne l'origine, perché ormai il complesso sí
manifesta anche per cause esterne che non contengono un fatto specifico ma sono l'anello di una catena.
Margherita, cerca di analizzare la tua angoscia. Noi risaliremo alle origini, individueremo il complesso e
lo guariremo. Concentrati: l'angoscia che provi adesso, come si è manifestata? Dov'eri, cosa facevi, cosa
guardavi quando poco fa il tuo turbamento si è ripetuto?
Margherita visibilmente interessata si concentrò. Poi chiamò i bambini.
—
Quando poco fa ho detto : « Mio Dio, è qui. Ecco, ritorna quella cosa », dove ero?
Albertino e la Pasionaria si consultarono fra loro e, dopo una breve discussione, conclusero :
—
Quando hai detto : « Mio Dio, è qui. Ecco, ritorna quella cosa », eri davanti all'armadio dí cucina.
—
È vero, — riconobbe Margherita. — Ma con questo? Forse significa che ho il complesso
dell'armadio?
Andammo in cucina. Ordinai a Margherita di mettersi davanti all'armadio bianco.
—
L'armadio era aperto o chiuso? — domandai.
—
Aperto, — affermò la Pasionaria. — Era aperto e lei stava cercando qualcosa. Aprii lo sportello
dell'armadio.
—
Margherita, sforzati di ricordare : cosa stavi facendo?
—
Lo so me, — intervenne la Pasionaria. Lei faceva finta di mettere in ordine i tegami e invece stava
mangiando delle cucchiaiate di salsa di pomodoro. Quella in scatola che tu dici che non si deve mangiare
come se fosse marmellata perché fa male, e a me mi piace e non mi fa male ma guai se la tocco. Mentre a
lei le vengono tutte le macchie in faccia e le brucia lo stomaco ma è la signora e allora ne mangia fin che
vuole.
Margherita si volse :
—
Mi spia! — gridò. — Quella non è una bambina, è la Ghepeù! La Pasionaria non si turbò :
—
Quando una fa dei sotterfugi vuol dire che chi sbaglia è la madre, non la figlia che la sta a
guardare!
Intervenni:
—
Niente polemiche! Continuiamo la nostra indagine. Tu dunque, Margherita, stavi mangiando di
soppiatto una cucchiaiata di quella porcheria, quando improvvisamente hai detto : « Mio Dio, è qui. Ecco,
ritorna quella cosa ».
Tu eri con la testa dentro l'armadio, non potevi quindi guardare e sentire niente. Avevi in una mano la
scatola della salsa e nell'altra il cucchiaio. La causa è quindi da ricercarsi ín qualcosa che ha interessato
l'olfatto o il palato. Un odore o un sapore.
—
Ricordo benissimo, — esclamò Margherita. — Sentivo odor di conserva e sapore di conserva. Mi
dichiarai soddisfatto.
—
Adesso, Margherita, ripeti tutto quello che stavi facendo quando hai sentito l'angoscia. Margherita
ficcò la testa nell'armadio, e ingollò due grosse cucchiaiate di doppio concentrato di pomodoro.
—
Mio Dio, è qui! — esclamò d'un tratto volgendosi. — Ecco, ritorna quella cosa. Giovannino, non
c'è più nessun dubbio, ho il complesso del pomodoro !
Era una stupidaggine.
—
Margherita, quando l'ornino vede il corazziere e soffre, questo non vuoi dire che abbia il
complesso del corazziere. È la statura del corazziere che risveglia il complesso dell'uomo piccolo.
Bisogna cercare a che cosa si colleghino il sapore o l'odore della salsa di pomodoro. L'odore e il sapore
della salsa di pomodoro possono essere l'anello di una catena lunghissima. Cosa ci può essere,
immediatamente legato alla salsa di pomodoro?
—
Il bicarbonato, — affermò la Pasionaria. — Lei tutte le volte che mangia la salsa deve prendere il
bicarbonato.
Era un passo avanti.
—
Cosa si può ricollegare al bicarbonato? Margherita ebbe un grido :
—
Il sale! Giovannino, ho il complesso del sale! Una volta invece del bicarbonato, ho messo nel
bicchiere del sale fine e adesso quando vedo il bicarbonato risento sempre il sapore disgustoso dell'acqua
salata.
Riempii d'acqua un bicchiere, vi buttai un cucchiaio di sale fine :
—
Bevi, Margherita, e subito dimmi le reazioni!
Margherita bevve, poi, torcendo disgustata la bocca, esclamò :
—
Acqua di mare. L'altr'anno, quando volevo imparare a nuotare, ho bevuto...
Avevamo conquistato uno sbocco sul mare : la marcia prometteva bene.
—
Margherita, presto, rispondi: cos'è che, al mare, ti dava o ti dà maggior fastidio?
—
Le signorine giovani, — spiegò la Pasionaria. — Quando è in spiaggia dice sempre : « Che
vergogna, queste ragazze d'oggi? Quando ero ragazza io... », eccetera. Le solite stupidaggini che dicono le
vecchie.
Ritornammo di là.
—
Margherita, — le comunicai con la dovuta circospezione, — è spiacevole dovertelo dire, ma tu hai
il complesso della quarantenne.
—
Il complesso della quarantenne? È una cosa grave, Giovanníno?
—
Abbastanza, Margherita : sono cinque anni che ce l'hai, se ci pensi.
—
Per curarlo credi che basterà non mangiare più concentrato di pomodoro?
—
No, Margherita : occorre una cura radicale. Bisognerebbe abbandonare la mentalità della
quarantenne e fare il passaggio alla categoria dichiarata superiore.
—
E se poi mi viene il complesso della cinquantenne?
—
E come può venirti se ne hai quarantacinque? Saresti ín vantaggio di cinque anni.
Margherita passeggiò nervosamente ín su e in giù, poi esclamò con decisione :
—
Il cuore non invecchia e si hanno gli anni che si dimostrano? Dimostro quarant'anni, io forse? La
guardai attentamente :
—
Col naso imbrattato dí concentrato di pomodoro come l'hai adesso, no certamente. Sembri una
ragazzina.
A sentir parlare di concentrato di pomodoro Margherita impallidì :
— Mio Dio, è qui? — gemette abbattendosi su una poltrona. — Ecco, ritorna quella cosa?...
La Pasionaría si affacciò alla porta e aveva anche lei il naso imbrattato di doppio concentrato di
pomodoro.
Ma senza complesso.
L'INCHIESTA
Telefonò una signora molto gentile e mi domandò se le concedevo una brevissima intervista per un
settimanale di vita femminile.
Le feci subito presente che, se si trattava di cavarmi fuori dei pareri sulla moda, aveva sbagliato indirizzo :
ma la signora mi rassicurò:
—
Niente moda : è un'inchiesta. Sí tratta semplicemente di rispondere a questa domanda : « Perché lei
ha sposato sua moglie? ».
Non mi meravigliai perché ero abituato a quel tipo d'inchiesta : « Quali sono le canzonette che preferisce?
» ; « Se venissero i russi, come si comporterebbe? » ; « Se lei fosse Truman, cosa farebbe? », e via
discorrendo. Non mi meravigliai, ma rimasi perplesso.
—
Vuol sapere perché ho sposato mia moglie? — esclamai.
—
Già : perché ha sposato sua moglie, — spiegò la signora dall'altra parte del filo. — Mi pare che sia
una domanda sensata. Se un uomo sposa una donna piuttosto che un'altra, una ragione ci deve essere. Ci
pensi un momentino e mi risponda.
Provai a pensarci ma non trovai la risposta e allora dissi alla signora che era passato parecchio tempo da
quando avevo sposato mia moglie, e non mi ricordavo più perché avessi sposato Margherita invece di
un'altra donna.
—
Non ha importanza, — replicò la signora. — Ci pensi con calma. Ritelefonerò domani.
Quando, deposto il cornetto, ritornai in tinello, Margherita mi guardò sospettosamente.
—
Cosa sta succedendo? — si informò.
—
Volevano sapere perché ti ho sposato.
—
C'è qualcosa che non va? — domandò allarmatissima.
—
No, Margherita, va tutto bene. Si tratta d'una inchiesta giornalistica. Bisogna rispondere al quesito
: « Perché lei ha sposato sua moglie? ».
Margherita parve molto risollevata. Osservò che i giornalisti farebbero meglio a impicciarsi dei fatti loro,
poi volle sapere — a titolo di pura curiosità — cosa avessi risposto.
—
Non ho risposto, Margherita. Non è mica facile, per un uomo, spiegare lì, sui due piedi, perché ha
sposato sua moglie.
Margherita scosse il capo e mi guardò severamente :
—
Secondo me dovrebbe essere molto facile, invece, — replicò. — A meno che non si tratti di un
incosciente che si è sposato senza neppur sapere il perché. Se tu hai sposato me invece di un'altra donna
una ragione ci deve essere.
—
Me l'ha detto anche la giornalista che telefonava. Una ragione c'è, dí sicuro. Il fatto è che, preso
così alla sprovvista, non me la sono ricordata.
—
E adesso, te la ricordi? — domandò Margherita con palese sarcasmo. Cercai di fare « mente locale
» come si suol dire: riandai ai tempi felici della mia giovinezza. Rievocai mentalmente il primo incontro
coi' Margherita, ma la luce non venne.
Mi ricordai che, allora, avevo la lodevole abitudine di tenere un diario e andai su nel mio studio per
rintracciare il taccuino. Lo trovai e rilessi le note con le quali avevo fermato sulla carta i punti salienti
della mia relazione con Margherita. Ma non contenevano elementi sufficienti per stabilire la precisa
ragione per cui avevo sposato Margherita.
—
Dunque? — s'informò Margherita quando mi vide riapparire. — Possiamo avere il bene di sapere
perché ci avete sposato?
Mi strinsi nelle spalle e Margherita si indignò:
—
Non lo sai! Non lo hai mai saputo! Mi hai sposato così senza una ragione plausibile! Mi hai
sposato per futili motivi!
Mi ribellai:
—
Ma che futili motivi! Non ci si sposa per futili motivi! Quando un uomo si sposa lo fa a ragion
veduta. Perché ti ho sposato? Perché volevo farmi una famiglia, avere dei figli eccetera. Questi non sono
futili motivi!
Margherita non fu turbata dal tono concitato della mia voce:
—
Anche sposando un'altra donna e non me, tu avresti potuto farti una famiglia, avere dei figli
eccetera. Qui si tratta di spiegare perché hai sposato proprio me.
Risposi che, nel matrimonio, chi ha la parte più importante è il destino : Dio li fa e poi li accompagna. Un
uomo X è nato per sposare una donna Y. E viceversa. Quando l'uomo X incontra la donna Y ecco che si
sposano.
—
Magnifica storia d'amore e di passione! esclamò sarcastica Margherita. — Non credevo davvero di
aver sposato un tipo così sentimentale. Che bellezza quando leggeremo sul giornale:
«
Ho sposato mia moglie perché ho trovato in lei la mia Y ». Allora mi seccai:
—
Margherita, — esclamai, — se invece che a me si fossero rivolti a te e ti avessero domandato:
«
Perché lei ha sposato suo marito? », tu cosa avresti risposto?
—
È molto semplice, — affermò Margherita. — Avrei risposto la cosa più logica : « Io ho sposato
mio marito perché non potevo sposare il marito di un'altra. Ogni donna sposa suo marito e ogni uomo
sposa sua moglie ».
Le feci notare l'estrema superficialità della spiegazione.
—
Sarebbe molto bello, Margherita, se veramente succedesse così. Il guaio è che troppe volte l'uomo
sposa la moglie di un altro e la donna il marito di un'altra. E così nascono quei matrimoni infelici che poi
finiscono in modo tragico. E poi tu non hai fatto che parafrasare quanto io avevo già detto a proposito
dell'uomo X che sposa la donna Y. Cerca di essere meno generica e rispondimi: perché tu hai sposato me?
—
Un momento? — precisò Margherita. Non cambiamo le carte in tavola. Io non ho sposato te? Tu
hai sposato me e io mi sono lasciata sposare da te? Nel matrimonio il maggior responsabile è l'uomo,
perché l'iniziativa parte dall'uomo. Tu non hai il diritto di caricare sulle mie spalle la responsabilità del
nostro matrimonio.
Le dissi che qui non si trattava di precisare delle responsabilità. Inoltre, se lei non si fosse lasciata sposare
da me, io non avrei potuto sposarla. Perché si era lasciata sposare da me e non da un altro?
Margherita sospirò dolorosamente :
—
Ecco a che magnifico risultato sono arrivata : dopo tanti sacrifici, dopo aver allevato dei figli,
dopo aver creato una casa, mi sento rimproverare d'essermi lasciata sposare da lui!
—
Io non tí rimprovero niente, Margherita! Siccome tu fai del sarcasmo perché io non ho saputo
rispondere perché ti ho sposata, io ti ho domandato di provare tu a rispondere perché hai sposato me.
Margherita si alzò e andò alla finestra a guardare l'infinito. Poi, dopo un po', si volse :
—
Giovannino : eppure cí deve essere una ragione precisa per la quale tu hai sposato me e io mi sono
lasciata sposare da te! Se noi ci fossimo sposati senza un motivo ragionato questo non sarebbe un
matrimonio serio e i nostri figli risulterebbero non prodotti della nostra unione, ma prodotti del caso.
Potrebbero essere anche figli di altri due.
—
Questo no, — obiettai. — Sono roba nostra.
—
Materialmente, — replicò angosciata Margherita. — Solo materialmente. Perché : se la nostra
unione non è qualcosa di logico, e quindi di giusto, non possono essere né logici né giusti i prodotti della
nostra unione. Giovannino, tu oggi, dopo tanti anni, ammetti di avermi sposato senza una ragione
plausibile e non ti rendi conto ancora che io mi sono lasciata sposare da te soprattutto
perché avevo fiducia in te ed ero sicura che tu chiedessi di sposarmi in base a un preciso e solido
ragionamento! Non ti rendi conto che oggi noi ci accorgiamo di aver costruito una casa senza
fondamenta! Noi abbiamo preso per buono il risultato di una addizione di cui non conoscevamo gli
addendi. Margherita più Giovannino fanno sei, abbiamo detto. Poi abbiamo moltiplicato sei per due e
abbiamo ottenuto dodici. Ma qual valore può avere questo risultato dato che non sappiamo se Margherita
più Giovannino fanno realmente sei o invece fanno quattro o sette? Non ti rendi conto che i nostri figli
possono essere semplicemente un errore, frutto dí altro errore? Margherita era sgomenta e ío la rassicurai.
—
Margherita, non complicare il nostro matrimonio immischiandovi l'aritmetica. Qui di positivo ci
sono due fatti : che io ti ho sposato e che, se ti ho sposato, l'ho fatto per una ragione precisa. Non sono il
tipo che prende delle decisioni tanto alla leggera. Mi conosco benissimo. Quindi si tratta di ragionare
serenamente e dí ritrovare il nocciolo della faccenda.
Ragionammo serenamente ricominciando da capo.
—
Margherita, perché ti ho sposato? Avanziamo tutte le ipotesi possibili. Tí ho sposato forse per
interesse?
—
Lo escludo, — affermò Margherita categoricamente.
—
Forse perché affascinato dalla tua avvenenza? — continuai.
Margherita credette di sentire una punta di sarcasmo nella mia voce e replicò nervosamente:
—
Gli anni passano e il tempo corrode. Un giudizio basato sulla realtà d'oggi non può essere valido.
Bisogna vedere come stavano le cose allora.
Andai a prendere l'album grosso ed esaminammo coscienziosamente tutte le foto della Margherita
d'allora.
—
Non ero bella nel senso volgare della parola, ma facevo tipo, — concluse Margherita. Comunque,
pure non conoscendo quali fossero i tuoi criteri di valutazione estetica d'allora, posso escludere
onestamente che tu mi abbia sposato perché affascinato dalla mia avvenenza.
—
Non bisogna scoraggiarsi, — dissi io. Non può forse darsi che io sia rimasto conquistato dal tuo
brio, dal tuo spirito, dalla tua cultura, dalla tua intelligenza?
Margherita ripassò mentalmente la sua giovinezza poi scosse il capo :
—
Francamente non mi pare.
Ero sicuro che una ragione c'era : disgraziatamente non si riusciva a identificarla. Comunque non
bisognava lasciarsi scoraggiare. Ognuno cercasse di pensarci per conto suo. Alla fine le varie ipotesi
sarebbero state discusse assieme.
Ci mettemmo a pensare ognuno per conto proprio e una barriera di silenzio ci divise.
Allora, dopo qualche minuto, si udì venire dall'altra stanza la voce di Albertino :
—
Secondo te, perché lui ha sposato lei?
—
E chi lo sa? — rispose la voce della Pasionaria. — Forse perché era un po' stupido, da giovane.
—
Non è vero! — protestò Albertino. — Io ho guardato tutti i libri vecchi e le pagelle che lui ha nella
cassettina verde, e ho visto che lui invece era intelligente perché aveva dei bellissimi voti dappertutto,
meno che in matematica.
—
Quello conta I — sghignazzò la Pasionaria. — Quando uno sí sposa, i voti dí scuola non contano
niente. Secondo me, lui l'ha sposata perché lei era più vecchia di lui e quindi anche più furba.
Albertino insistette nella mia difesa :
—
Non dire stupidaggini. Io ho parlato con un ragazzo che è figlio di uno che era grande amico di lui.
E mi ha detto che suo babbo gli ha detto che lui è sempre stato uno in gamba anche da giovane.
—
E allora perché lui l'ha sposata? Hai sentito quello che dicevano : non per í soldi, non per la
bellezza, non per l'intelligenza. L'ha sposata perché era un po' stupido da giovane.
Albertino non rispose subito : evidentemente stava meditando sulla ferrea logica degli otto anni della
sorella,
—
Forse era un po' stupida anche lei, — disse alla fine.
—
Secondo me sí sono sposati perché erano un po' stupidi tutt'e due, — concluse saggiamente la
Pasionaria.
Ci fu qualche minuto di silenzio. Poi si udì la voce di Albertino.
—
Pensa, però, se lui, invece di sposare lei, avesse sposata un'altra!...
—
E se lei invece di sposare lui avesse sposato un altro!... — disse la Pasionaria.
Un turbine di gravi considerazioni doveva volteggiare nel cervello di Albertino. E alla fine, quando il
travaglio interno fu risolto, Albertino comunicò alla Pasionaria il risultato della complicata operazione :
—
Pensa : se lei avesse sposato un altro e se lui avesse sposata un'altra, noi due dí chi saremmo figli?
—
Mah! — rispose con un lungo sospiro la Pasionaria. — Chi lo sa? Forse non saremmo neanche
fratello e sorella.
—
Forse non cí conosceremmo nemmeno, aggiunse Albertino.
—
Meno male che lei ha sposato lui e che lui ha sposato lei! — esclamò la Pasionaria con un sospiro
di sollievo. — t sempre meglio essere figli di due genitori anche un po' disgraziati, piuttosto che essere
figli di due estranei. A me gli estranei mi fanno schifo.
I due individui uscirono allo scopo di perfezionare non so quale distruzione e allora Margherita fece udire
la sua voce :
—
Probabilmente hanno ragione loro : tu mi hai sposato perché eri un po' stupido e io mi sono
lasciata sposare da te perché ero un po' stupida. Comunque è meglio così. Pensa : se io avessi sposato un
altro e tu avessi sposato un'altra di chi sarebbero figli i nostri figli?
—
Fa paura a pensarci, — risposi io sinceramente preoccupato.
Quando la giornalista telefonò, il giorno dopo, rispose Margherita :
—
Dice mio marito che mi ha sposato per ovvie ragioni, — spiegò.
—
t un po' poco, — osservò di malumore la giornalista.
—
Ognuno si sposa come può, — replicò Margherita. — L'importante è che un uomo sposi sua
moglie evitando così che i suoi figli cadano in mano d'estranei.
—
Gli estranei mi fanno schifo, — borbottò la Pasionaria che incrociava nei paraggi.
DIRETTO 136
Io penso sempre al macchinista del diretto 136, — mi scappò detto ad alta voce.
La banda stava leggendo e Margherita, seduta davanti al camino, si divertiva a seguire il gioco della
fiamma.
—
Bambini, attenzione, — ammonì Margherita, — il babbo sta per dare i numeri del lotto.
Mi pentii dí aver pensato ad alta voce ma non me ne preoccupai troppo : la banda pareva non
avesse inteso e Margherita non dava l'idea di voler insistere sull'argomento.
Trascorsero alcuni minuti dí confortevole silenzio ed ecco la voce della Pasionaria :
—
Chi sarebbe, questo macchinista?
—
Quale macchinista? — domandai con indifferenza.
—
Quello del diretto 136, — precisò Albertino.
—
Non ci badate, — risposi. — È un macchinista come centomila altri.
—
Se fosse un macchinista come centomila altri, — osservò Margherita, — non penseresti sempre a
lui. Se tu pensi sempre a lui, significa che si tratta di un macchinista eccezionale.
—
Cosa gli è successo? — domandò la Pasionaria.
—
Niente! — esclamai. — Cosa volete che gli sia successo?
—
Ho capito, — disse Margherita. — Ti è accaduto qualche incidente domenica, quando sei
andato a Milano in treno anziché in macchina.
—
Non mi è successo niente! Il macchinista del diretto 136 è una faccenda mia personale che ho
dentro il cervello da un sacco d'anni. È il protagonista di una piccola storia che mi piacerebbe descrivere.
Ecco tutto. Non può interessarvi.
—
Dipende, — affermò la Pasionaria. — Se è una storia bella interessa sempre.
— È una storia stupida! — precisai. — Tanto stupida che non ho mai avuto il coraggio di scriverla.
—
Giovannino, tu non puoi giudicare se sia una storia stupida o no, — esclamò Margherita.
—
I lettori devono giudicare. Magari a te non piace più perché sono anni che l'hai dentro il cervello e
ti è venuta a noia. Comunque si fa presto: prova a dirla e si vede.
—
Smettiamola, — gridai seccato, — a voi non interessa un fico secco quello che scrivo, figuriamoci
se può interessarvi quello che non scrivo. Non racconto niente.
—
Allora, — disse con voce assai poco cordiale la Pasionaria, — quando non si vuole raccontare un fatto, non se ne parla. Sarebbe come se ti facessi vedere una fetta di torta e poi la mangiassi
me.
—
Lascialo perdere, — l'ammonì Margherita.
—
Se la tenga la sua storia. Questa sera ve ne racconto io trenta di storie di macchinisti.
—
A me piacerebbe sapere la storia di quel macchinista lì, — osservò cautamente Albertino. Dovetti
cedere.
—
Sta bene: vi dirò la storia del macchinista del diretto 136. Per voi risulterà una storia senza nessun
significato perché non è adatta a voi.
—
Cí sono delle situazioni scabrose? — si preoccupò Margherita.
—
Non ci sono mai situazioni scabrose nelle mie storie, — replicai indignato. — Non è adatta a voi
perché può avere un significato soltanto per me.
La banda attendeva immobile e ío incominciai a raccontare la storia :
Il macchinista del diretto r36, ogni volta che era di servizio, appunto, sul diretto 136, partiva col cuore
pieno di agitazione. « Ci sarà anche questa volta? », pensava mentre il treno incominciava a muoversi. «
Ci sarà anche stavolta come tutte le altre volte? ».
Infatti, già da due anni, quando il diretto 136 arrivava alla curva numero 18, succedeva un certo fatto
che dava sempre più da pensare al macchinista.
Alla curva 18, il diretto doveva rallentare e, quando la macchina passava a velocità ridotta davanti alla
casetta bianca che sorgeva a una cinquantina di metri dal piede della scarpata, il macchinista poteva
vedere, con tutta tranquillità, che le imposte della seconda finestra del primo piano si spalancavano e si
affacciava una giovane donna che, sorridendo, agitava il braccio in segno di saluto.
Margherita saltò su :
—
Si capisce subito che si tratta d'una storia stupida e immorale, — osservò. — Una storia che i
bambini non devono ascoltare. La Pasionaria si ribellò :
—
Se ascoltiamo la radio e se vediamo la televisione, possiamo anche ascoltare la storia del babbo.
—
Il fatto è che voi la radio, e soprattutto la televisione, dovreste sentirle e vederle soltanto quando
trasmettono i programmi per i bambini! — esclamò Margherita.
—
Non abbiamo colpa noi se i programmi per í bambini sono tanto stupidi che fanno schifo perfino ai
grandi! — replicò la Pasionaria.
—
Margherita, non esageriamo, — dissi. Non mi pare che la televisione trasmetta cose scandalose!
—
Qui non si tratta di scandali! Qui si tratta dí argomenti che, pur presentati pulitamente, non sono
adatti ai bambini. Le storie d'amore, per esemplo, comunque esse siano, fanno solo male ai bambini. E tu,
pur non dovendo sottostare alle particolari esigenze della radio e della televisione, invece di raccontare
una storia pulita, adatta ai tuoi figli, tiri fuori una storia d'amore!
—
La mia è una storia pulitissima, — protestai.
—
A salutare dalla finestra un treno che passa è forse una porcheria? — aggiunse la Pasíonaria.
—
Ma che treno! — replicò Margherita. — La donna giovane e bella non salutava mica il treno,
salutava il macchinista. Ci vuol poco a capirlo. Cosa diresti se io, tutte le volte che passa la corriera, mi
affacciassi per salutare l'autista?
—
Cosa c'entra? — borbottò la Pasionaría.
— La ragazza del diretto era giovane e bella e poi non aveva marito.
—
E come fai a saperlo? — gridò Margherita.
—
Se avesse avuto marito, cosa vuoi che gli interessava del macchinista? — rispose la Pasionaria. —
E poi bisogna sentire come si svolge il fatto.
Ripresi la narrazione.
Arrivato dunque il diretto alla curva 18, ogni volta, una donna giovane e bella si affacciava alla seconda
finestra del primo piano della casetta e salutava agitando il braccio e sorridendo. Erano ormai due anni
che la cosa si ripeteva puntualmente. E puntualmente il macchinista rispondeva al saluto agitando íl
berretto.
Il fatto era diventato quasi un incubo per il macchinista e, con l'andar del tempo, pensava alla ragazza
della curva 18 anche quando non era in servizio.
Il macchinista non era felice. Era celibe, abitava presso una vecchia zia che gli voleva un bene
dell'anima. Il macchinista non aveva quindi preoccupazioni di nessun genere e avrebbe potuto tirare
avanti in completa tranquillità, se la monotonia della sua vita non gli fosse venuta a noia.
Unico diversivo, la ragazza alla curva 18. Ma fino a quando sarebbe stato un diversivo?
Il fatto si ripeteva già da due anni e minacciava quindi di diventare « regolare », addirittura «
regolamentare », e, quindi, di trasformarsi anch'esso in una semplice parte della noia generale.
E, un giorno, qualcosa accadde veramente di nuovo alla curva i 8 : giunto alla curva 18, il diretto 136
rallentò come di consueto. Poi, con un improvviso stridore di freni, si arrestò.
Un uomo scivolò giù dalla locomotiva e si perdette rapidamente tra la sterpaglia di un boschetto che si
levava vicino alla scarpata.
Accadde un putiferio perché l'uomo che era saltato giù dal treno era il macchinista. Il diretto rimase
fermo qualche minuto e poi, quando il capotreno ebbe compiuta la necessaria indagine, il convoglio
riprese la marcia guidato dall'aiutante macchinista.
Il treno scomparve e, allora, il macchinista uscì dal suo nascondiglio e guardò la casetta bianca.
La donna giovane e bella era rimasta alla finestra: aveva visto il macchinista saltar giù dalla locomotiva
e correre a celarsi nel cespuglio.
Continuava a sorridere e il macchinista si avviò verso la casetta bianca.
Giunto sotto la finestrella si fermò e guardò su.
—
Scusate se uno sconosciuto vi rivolge la parola, — disse il macchinista. — Ma io...
—
Non siete uno sconosciuto, — rispose allegramente la fanciulla. — Io vi conosco ormai da due
anni. Voi siete il macchinista del diretto 136.
Il macchinista allargò le braccia:
—
Diciamo piuttosto che io ero il macchinista del diretto 136. Dopo quel che è successo poco fa,
credo che non lo sarò mai più vita natural durante.
La ragazza diventò triste:
—
Peccato, — sospirò. — Peccato davvero. Mi piaceva tanto il macchinista del diretto 136... Adesso
che non ci siete più voi, il diretto 136 non passerà più?
—
No davvero. Passerà regolarmente, come sempre, con un altro macchinista al posto mio. La
ragazza batté le mani piena di gioia:
—
Non vedo l'ora che arrivi domani per vedere come sarà il nuovo macchinista del diretto r36. Dite
che sarà bello e simpatico come eravate voi?
—
Non lo so, — rispose il macchinista. — Comunque io vi faccio presente che io non son morto e
che, se ero bello e simpatico fino a mezz'ora fa, lo dovrei essere ancora.
—
A me piaceva tanto il macchinista del diretto 136, — disse la fanciulla. — E voi non siete più il
macchinista del diretto 136.
Il macchinista guardò per l'ultima volta la ragazza e trovò che, vista di lì, era tutta diversa da quando la
vedeva stando sulla cabina della locomotiva.
— Così, scherzando scherzando, s'è fatto tardi, — borbottò toccandosi la visiera del berretto. — Buona
sera.
—
Buona sera, — rispose la ragazza ritirandosi dalla finestra e richiudendo le gelosie.
Tacqui perché la storia era finita e, per un po', tutti attesero che io continuassi. Poi la Pasionaria dísse:
—
E lui?
—
Lui se ne andò.
—
Dove? — s'informò Albertíno.
Mi strinsi nelle spalle e conclusi la storia :
Non andò in nessun posto. Incominciò a gironzolare per la campagna e imparò rapidamente a vivere di
niente come tutti i vagabondi dell'universo. Continuò a gironzolare per le campagne sempre
costeggiando una linea ferroviaria.
Quando sentiva avvicinarsi un treno, si appianava in qualche cespuglio a piè della scarpata e stava lì a
guardare il treno passare e poi scomparire.
E ancor oggi, sono passati anni e annorum e il vagabondo che fu macchinista del diretto 136 continua a
vivere così, come un cane randagio, aspettando che il treno passi, lassù, in alto, in cima al terrapieno
della strada ferrata.
La Pasionaria sospirò:
—
Mi dispiace, poveretto.
—
Dispiace anche a me, — disse Albertino.
—
La storia è meno immorale dí quanto potesse sembrare, — osservò Margherita. — E il significato
che nessuno dí noi, secondo vostro padre, può capire, tanto è profondo e difficile, è invece chiaro e
lampante : in una donna bellezza e giovinezza non -ontano niente.
—
Sarebbe comoda! — borbottò la Pasionaria.
Margherita la fulminò con uno sguardo poi continuò:
—
Quel che conta, in una donna, è il sentimento. Che, a differenza della bellezza e della giovinezza,
non si vede. Infelice colui che, illuso dalla sua bellezza e dalla sua giovinezza, perde la testa per una
ragazza senza preoccuparsi di sapere prima se le doti spirituali della ragazza corrispondano a quelle
fisiche esteriori, superficiali, volgari.
La Pasionaria rimase perplessa per qualche istante poi domandò:
—
Allora, se c'entrano la bellezza e la giovinezza, io non capisco perché il babbo pensa sempre al
macchinista del diretto 136.
—
La spiegazione è che tu sei una sciocca impertinente! — esclamò Margherita. — Diglielo tu,
Giovannino, se ho ragione o no.
Scossi il capo :
—
Margherita, tu haí ragione soltanto fino a quando rimproveri tua figlia per il suo irrispettoso e
inopportuno sarcasmo. Per il resto hai torto. Io penso al macchinista del diretto 136, perché il macchinista
del diretto 136 adesso sono io. Sono io che viaggio, dal giorno della fuga del primo macchinista, sulla
locomotiva del diretto 136, e sono io che ricevo, alla curva 18, il saluto della ragazza.
Margherita si indignò:
—
Ecco le belle mascalzonate che combini con la scusa di andare a Milano a lavorare! Dovresti
vergognarti di parlare così davanti ai tuoi figli.
Non le diedi retta.
—
Sì, Margherita : son io che, ogni volta che son di servizio e arrivo alla curva fatale, vedo la bella
ragazza salutarmi e penso : « La prossima volta fermo la baracca e salto giù ». La noia mi opprime,
Margherita, e rende duro, sempre più difficile e ingrato il mio lavoro, e vorrei disperatamente piantare lì
ogni cosa e accogliere l'invito che, da anni, io leggo nel sorriso della bella ragazza affacciata alla solita
finestrella. E ogni volta rimando perché penso alla storia del macchinista del diretto 136. E non blocco la
macchina e non salto giù perché ho paura di dover finire come lui. Ma sento che, un giorno, non avrò più
paura.
Margherita scosse energicamente il capo:
—
Non puoi farlo, Giovannino: l'ha potuto fare l'altro macchinista che viveva solo, con una vecchia
zia e non aveva figli.
—
Non essere banale, Margherita? Cosa c'entrano i figli?
—
C'entrano : quando ci sono dei figli, il dovere primo di un padre è quello di continuare a lavorare
per tutta la vita.
—
Io non dico di fare il vagabondo come il macchinista del diretto 136, — esclamai. — Posso
benissimo arrangiarmi facendo dell'altro.
—
Il primo dovere di un uomo è quello di fare il proprio lavoro, non quello degli altri.
—
E se io mi fossi accorto che quello che ho fatto fino ad oggi non è il mio lavoro?
—
Peggio per te, Giovannino. È troppo tardi. Per troppo tempo tu, in buona o in mala fede, hai tenuto
in vita l'equivoco. L'equivoco è diventato il tuo fardello : devi portarlo e sopportarlo fino alla fine.
Continua a viaggiare sul diretto 136 Io sarò al tuo fianco come fuochista.
La Pasionaria rise perfidamente :
—
Figurati? Lei che non va mai in treno perché ha paura delle gallerie!
—
Qui non si tratta di viaggiare su un treno ma su una allegoria! — le rispose fieramente Margherita.
Poi si rivolse a me.
—
Giovannino : hai presente quel vecchio cartellone che tu hai nel tuo studio? Dove c'è la locomotiva
che sta per uscire dal traforo del Sempione e, all'orizzonte, si intravede, nella immensa piana lombarda, la
guglia più alta del Duomo di Milano?
—
Sì, Margherita.
—
Ebbene, io sarò quella a sinistra e tu quello a destra.
La Pasionaria, che conosceva il cartellone, diede un paterno consiglio:
—
Allora sarà meglio che vimettiate un golfino addosso se no, arrivati a Lodi, siete già morti di
polmonite.
—
Taci, tu! — la rimbeccò Margherita. — Le allegorie possono viaggiare svestite anche d'inverno.
Margherita ha ragione : gli anni non pesano alle allegorie. Ma io non sono una allegoria e sento che un
giorno, arrivato alla curva 18, fermerò il treno e salterò giù.
E continuerò la mia strada pedibus calcantibus.
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