Presentazione di PowerPoint - Dipartimento di Comunicazione e

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Presentazione di PowerPoint - Dipartimento di Comunicazione e
Teoria e analisi delle audience
Lab. di ricerca sui media digitali e le audience multiscreen
Prof. Andò a.a. 2015-2016
Perchè studiare i media?
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Abbiamo ancora bisogno delle
audience?
Prof. Romana Andò
Teoria e analisi delle audience
Perchè studiare i media?
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Perché studiare i media?
Perchè studiare i media?
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Perché studiare i media?
• “ è mia intenzione sostenere che i media vanno
studiati perché sono centrali per la nostra vita
quotidiana, in quanto dimensioni sociali, culturali,
politiche ed economiche del mondo contemporaneo
e in quanto elementi che contribuiscono alla nostra
capacità variabile di dar senso al mondo, di
costruire e condividere i suoi significati” (R.
Silverstone 2002, pag.19)
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I media: parte del tessuto generale dell’esperienza
• “i nostri media sono ubiqui, costituiscono la
quotidianità, […] sono una dimensione essenziale
dell’esperienza contemporanea.
• […] siamo diventati dipendenti dai mezzi di
comunicazione, sia quelli a stampa sia quelli
elettronici, per svago e per informazione, per
conforto e per sicurezza, per un certo senso della
continuità dell’esperienza e di quando in quando
anche per i momenti più intensi dell’esperienza”
(Silverstone, 2002, pag. 18)
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Lo studio dei media: partire dall’esperienza e dalla
sua normalità
• Il punto di partenza per uno studio sui media è
l’esperienza e la sua normalità.
• “i media sono in primo luogo normali, sono una
presenza costante nella nostra vita quotidiana”
• L’azione dei media si svolge nel mondo ordinario:
essi sono “parte di una realtà alla quale
partecipiamo, che condividiamo e che manteniamo,
giorno per giorno, attraverso i nostri discorsi e le
nostre interazioni quotidiane” (Silverstone 2002,
pag. 24-25)
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Noi e i media
• Possiamo “pensare a noi stessi nella nostra
quotidianità e nella nostra vita con i media, come a
nomadi, girovaghi che si muovono da luogo a
luogo, da un ambiente mediale a un altro”
• “Ci muoviamo fra spazi privati e pubblici, fra spazi
locali e globali, da spazi sacri a spazi profani e da
spazi reali a spazi di finzione e virtuali e viceversa”
• “I media costituiscono il quotidiano e allo stesso
tempo forniscono alternative ad esso” (Silverstone
2002, pag. 27)
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I media partecipano alla vita sociale e culturale
• “Si tratta dunque di esaminare i media come
processo, come agenti e come oggetti dati, a tutti i
livelli, ovunque gli esseri umani si aggreghino in
uno spazio reale o virtuale, comunichino, tentino di
persuadere, informare, divertire, educare; ovunque
tentino, in una molteplicità di modi e con diversi
gradi di successo, di connettersi l’uno all’altro”
(Silverstone 2002, pag. 21)
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Media e contesti sociali
• Quando studiamo i media non dobbiamo correre il
rischio di concentrarci solo su
• i testi, analizzandoli in sé e per sé, senza relazioni
né con gli obiettivi e le risorse di chi li ha prodotti,
né con i modi in cui chi li riceve li utilizza e
comprende;
• i pubblici, analizzandone la composizione e la
quantità, gli effetti subiti, i bisogni alla base del
consumo etc.
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Media e contesti sociali
• Quando studiamo i media dobbiamo partire dal
carattere terreno dell’attività di ricezione.
• La ricezione dei prodotti dei media è un’attività
pratica e di routine che gli individui intraprendono in
quanto rappresenta un aspetto costitutivo della loro
vita quotidiana.
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La ricezione mediale
• La ricezione dei media è un’attività = un tipo di
pratica nel corso della quale gli individui si
appropriano dei materiali simbolici che ricevono e li
elaborano.
• La ricezione è un’attività collocata in un contesto: i
prodotti dei mezzi di comunicazione sono ricevuti
da individui invariabilmente situati in contesti
storico-sociali precisi (da cui distaccarsi o in cui
immergersi ancora di più)
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LA DIMENSIONE INDIVIDUALE
E RELAZIONALE DELLO
STUDIO SULLE AUDIENCE
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L’importanza di essere audience
• Se i media sono il nostro tessuto dell’esperienza, essere audience
mediali è sempre più “il” tratto caratterizzante della nostra
esistenza, tanto più nell’epoca della convergenza culturale.
• Studiare i media, quindi, oggi impone sempre più di studiare le
audience,
• non solo e non tanto in termini di rapporto mezzo di
comunicazione/suo pubblico, quanto per le implicazioni
• Individuali
• sociali
• culturali
• politiche
• economiche
• che l’essere audience produce.
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Media come filatoi del mondo moderno
• Se “l’uomo è sospeso su una rete di significati che
lui stesso ha tessuto” (Geertz)
• allora i media sono i i filatoi del mondo moderno, e
utilizzandoli, gli esseri umani tessono reti di
significato per loro stessi (Thompson1998, 22).
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Media, risorse simboliche e vita sociale
• Lo sviluppo dei media va letto come una
rielaborazione del carattere simbolico della vita
sociale, una riorganizzazione dei modi in cui le
informazioni e i contenuti simbolici sono prodotti e
scambiati nel mondo sociale, e una ristrutturazione
dei modi in cui gli individui si rapportano l’uno
all’altro e a se stessi (Thompson 1998, 22).
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I nostri media, le nostre storie, le nostre relazioni
• “le nostre storie, le nostre conversazioni sono
presenti sia nelle narrazioni formalizzate dei media,
nei resoconti fattuali e nelle rappresentazioni di
finzione sia nelle storie quotidiane: pettegolezzi,
dicerie e interazioni causali in cui troviamo dei modi
per fissarci nello spazio e nel tempo, e soprattutto
per fissarci nelle nostre relazioni reciproche,
connettendoci e separandoci, condividendo e
rifiutando, individualmente e collettivamente, in
amicizia e in ostilità, in pace e in guerra”
(Silverstone 2002, pag. 32)
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Senso comune e media
• I media mettono in scena il senso comune, lo costruiscono e
lo riproducono, in quanto “potenti costruttori di
rappresentazioni socio-narrative convenzionalizzate e
stereotipiche”.
• “Nel diventare parte del senso comune, le storie, i personaggi
e le rappresentazioni socio-narrative mediali si offrono come
risorse interpretative e riferimenti simbolici con i quali non si
può evitare di confrontarsi, anche solo per rifiutarli. (Di Fraia,
2004)
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Di Fraia, G. (2004). Storie con-fuse: pensiero narrativo, sociologia e media (pp. 1-217).
FrancoAngeli.
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Media e senso comune
• Il senso comune va inteso come “espressione e allo
stesso tempo precondizione dell’esperienza, come
condiviso o per lo meno condivisibile, come misura
delle cose spesso invisibile.
• I media dipendono dal senso comune, lo
riproducono, vi fanno riferimento così come lo
sfruttano e lo fraintendono” (Silverstone 2002, pag.
25)
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Il sé riflessivo e i media
• Nelle società moderne il processo di
autoformazione è sempre più riflessivo e aperto:
per costruirsi un’identità coerente, gli individui
imparano a ricorrere in misura sempre maggiore
alle loro stesse risorse.
• Ma anche alle risorse simboliche mediate, la cui
abbondanza estende le opportunità dell’individuo,
ma allenta il legame tra autoformazione e ambiente
condiviso: gli individui accedono infatti a
informazioni provenienti da fonti lontane e
attraverso reti di comunicazione mediate…
• ma l’appropriazione di questa conoscenza non
locale avviene sempre in contesti locali.
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Il sé come progetto simbolico
• “il sé è […] un progetto simbolico che l’individuo
costruisce attivamente sulla base dei materiali
simbolici a sua disposizione, materiali che
l’individuo ordina in un racconto coerente a
proposito di chi egli sia – un racconto della sua
identità” (Thompson, 293)
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L’appropriazione
• Thompson utilizza il termine di appropriazione per riferirsi
all’estensione del processo di ricezione oltre il momento
della fruizione.
• Appropriarsi significa “far proprio” qualcosa di estraneo e
sconosciuto e trovare un modo per rapportarsi ad esso e
incorporarlo nella propria vita, attraverso il proprio
bagaglio di competenze, conoscenze, inclinazioni.
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L’appropriazione
• “Perciò l’appropriazione dei messaggi deve essere
intesa come un processo continuo e socialmente
diseguale che dipende dai contenuti dei messaggi
ricevuti, dall’elaborazione discorsiva, e dagli attributi
sociali dei destinatari sia diretti sia indiretti”
(Thompson, 159).
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Un progetto simbolico diseguale
• Il carattere attivo e creativo del sé non implica che
esso non subisca condizionamenti sociali. Questi
possono essere letti nel:
• modo diseguale in cui sono distribuiti i materiali
simbolici sulla base dei quali costruiamo la nostra
identità;
• modo diseguale con cui gli individui utilizzano queste
risorse per costruire il proprio sé.
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Da dove vengono i materiali simbolici
• Prima dell’avvento dei media, i materiali simbolici utilizzati dai
soggetti per la costruzione della propria identità
(autoformazione) provenivano principalmente dalle interazioni
faccia a faccia (conoscenza locale).
• Oggi gli orizzonti di comprensione degli individui si allargano:
sono legati alla espansione delle reti mediate che rendono i
mezzi di comunicazione “moltiplicatori di mobilità” (Lerner):
“viaggi dell’immaginazione che aiutano gli individui a prendere
le distanze dagli ambienti più immediati del loro vivere
quotidiano” (Thompson, 295)
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Il sé come progetto riflessivo
• Materiali simbolici locali e mediati vengono incorporati dal
soggetto nel processo di autoformazione.
• “il sé si trasforma dunque in un progetto riflessivo nel corso
del quale l’individuo incorpora materiali mediati (tra le altre
cose) e li inserisce in un racconto autobiografico coerente e
continuamente rivisto” (Thompson, 295)
• Non solo: i media, e la conseguente abbondanza di
materiale simbolico, potenziano la stessa forma riflessiva del
sé.
• i materiali simbolici mediati offrono possibilità nuove al
processo di autoformazione e sottopongono il sé a richieste
senza precedenti.
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Media e generazioni
• Nella società contemporanea il concetto di generazione va ripensato
come categoria multi-dimensionale, in cui tratti storici, biografici e
culturali sono profondamente interconnessi. In questa prospettiva le
segmentazioni generazionali dei soggetti sociali devono essere
strettamente e contemporaneamente correlate a diversi fattori, come
ad esempio: la posizione lungo il corso di vita, la biografia mediale,
i contesti forniti da reti familiari e amicali come ambienti
dell'elaborazione di esperienze mediali, l'appartenenza a un
mondo di valori condivisi con gli altri membri della stessa
generazione, lo sviluppo storico del sistema dei media, le
diverse fasi di innovazione tecnologica, i processi di
addomesticamento e integrazione delle tecnologie e dei
prodotti mediali, e i più ampi cambiamenti strutturali che
interessano il sistema sociale e culturale
• http://www.cattolicanews.it/MediaGen.pdf
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Media come provider e certificatori
• I mezzi di comunicazione forniscono continuamente
e in grande quantità materiali simbolici con cui
confrontarsi e cui riferirsi a livello di lettura e pratiche
della e nella realtà che ci circonda,
• interpretando il doppio ruolo di provider di modelli e
di certificatori di qualità degli stessi e intervenendo
con decisione, dunque, nel processo riflessivo di
costruzione dell’identità.
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La dimensione relazionale del progetto riflessivo
del sé
• L’esercizio identitario si concretizza e si esplicita a
livello relazionale, non solo nel rapporto con i
media, ma in quello che si costruisce con altri
soggetti con i quali si condivide o si condividerà il
consumo mediale.
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Momenti di televisione:
nè testo nè audience
John Fiske 1989
In E. Seiter, H. Borchers, G. Kreutzner and E. –M Worth,
Remote control: television, audiences and cultural power
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L’audience come moltitudine di differenze
• L’ “audience televisiva” non è una categoria sociale
come la classe, la razza o il genere – ognuno si
muove dentro o fuori di essa in modo da rendere
senza senso qualunque definizione categorica.
• Peraltro, le persone si autodefiniscono membri
dell’audience ogni volta in modo diverso e per
prodotti diversi.
• “Le categorie si basano sulle similarità: l’audience è
più vicina ad una moltitudine di differenze” (Fiske
1989).
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Dal testo alla testualità
• Per riferirci al potenziale di costruzione di significato
della televisione è più opportuno riferirsi al concetto
di testualità che a quello di testo.
• La testualità segnala la potenzialità di significati
piuttosto che la loro concreta esistenza.
• La testualità del processo di produzione di senso e
di piacere si realizza quando la gente porta le
proprie differenti storie e soggettività nel processo
di visione della tv.
• Non c’è testo, non c’è audience, c’è solo il guardare
la tv .
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L’eterogeneità sociale e la soggettività nomade
• Le società del tardo capitalismo “sono
caratterizzate dalla eterogeneità – una vasta
gamma mutevole di sottoculture e gruppi che sono
in definitiva strutturati dalle loro relazioni con il
sistema, che distribuisce il potere in modo ineguale
all’interno di esse” (Fiske 1989).
• Ogni persona, o spettatore televisivo, costruisce
una serie di alleanze mutevoli all’interno di questa
eterogeneità, entrando nel sistema sociale
attraverso formazioni sociali differentemente
costituite e mutevoli (la metafora della soggettività
nomade).
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Soggettività e testualità
• Guardare la tv è un processo di produzione di
significati (meanings) e piaceri (pleasures)
determinato da due insiemi di forze: il sociale che
agisce sulla soggettività dello spettatore e il testuale
che opera sulla testualità della televisione.
• “Ogni spettatore può essere in diversi momenti
soggetto di una differente visione, in quanto
costituito dal suo determinante sociale, così come
differenti alleanze possono essere mobilitate per
differenti momenti di visione” (Fiske 1989).
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The viewing subject
• “lo spettatore/soggetto che guarda, costituito
socialmente, può occupare diversi spazi, all'interno
del territorio determinato, sulla base delle alleanze
sociali adatte allo specifico momento di costruzione
del significato e di raggiungimento del piacere
nell'esperienza televisiva.
• Hall si riferisce ad un simile processo in termini di
'articolazione‘”
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L’articolazione
• Hall usa il termine in entrambi i sensi,
• sia come discorso, cioè un sistema simbolico usato
per dare senso a sé stessi e all'esperienza,
• sia come connessione modulabile.
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Identità e articolazione
• “Uso “identità” per riferirmi al punto di incontro, al
punto di sutura tra i discorsi e le pratiche che
cercano di “interpellarci”, parlarci o richiamarci in un
contesto come soggetti di un particolare discorso
da una parte, e, dall’altra, i processi che producono
soggettività che ci costruiscono come soggetti di cui
si può “parlare”.
• Le identità sono quindi punti di approdo
temporaneo per le posizioni del soggetto, costruiti
per noi dalle pratiche discorsive.
• Sono il risultato di una ben riuscita articolazione o
“concatenazione” del soggetto nel flusso del
discorso” (Hall 1996, tr. it. p.136)
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L’interpellazione
• Per illustrare come il potere dell’ideologia formi i
soggetti, Althusser si riferisce all’esempio della
voce divina che dà il nome, e nominando, porta i
soggetti all’esistenza. L’interpellazione sociale può
essere letta come l’atto divino performativo.
• “l’autorità della “voce” dell’ideologia, la “voce”
dell’interpellazione, è immaginata come una voce
che è quasi impossibile rifiutare” (Butler1997, tr. it.
P105)
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Il piacere popolare
• Trarre senso dalla televisione popolare è allora il
processo di attivazione di significati a partire da
essa, e questa dinamica è controllata dallo
spettatore socialmente situato all'interno di confini
più o meno determinati.
• Il testo sarà una fonte di piacere popolare, quando
questi significati diventeranno parte di quel
processo culturale più ampio attraverso il quale il
soggetto dà senso alla propria esistenza materiale.
• Dunque l'esperienza sociale è come un testo: può
essere resa significativa solo quando un soggetto
sociale porta le proprie competenze discorsive a
relazionarsi con essa.
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L’intertestualità
• L'esperienza sociale è come l'intertestualità.
• E' un considerevole potenziale di interconnessioni tra
elementi che possono essere combinati in un'
imprevedibile quantità di modi. Ogni sistema sociale ha
bisogno di un sistema di significati sul quale sorreggersi,
e tali significati sono determinati solo in parte dal sistema
stesso.
• Questa determinazione concede a differenti soggetti uno
spazio adeguato per creare differenti significati, sebbene
i soggetti stessi possano usare, nel processo di
costruzione del senso, un repertorio discorsivo condiviso
• Il soggetto non è completamente assoggettato - il senso
che traiamo dalle nostre relazioni sociali è in parte sotto
il nostro controllo- e trarre senso dall'esperienza sociale
necessariamente implica il dare senso a noi stessi
all'interno di quella esperienza
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Guardare la tv:un’esperienza semiotica
• Dare senso all’esperienza sociale è un processo
quasi identico al dare senso a un testo.
• Quello che la televisione consegna non sono
programmi ma un’esperienza semiotica. Questa
esperienza è caratterizzata dalla sua apertura e
polisemia.
• La televisione non è affatto simile a un kit fai da te
di significati, né è una scatola di significati pronti per
la vendita.
• Sebbene lavori sulle determinazioni culturali, essa
offre anche libertà e potere per evadere o sfidare
queste limitazioni e forme di controllo.
• Tutti i testi sono polisemici, ma la polisemia è
assolutamente centrale per la testualità televisiva.
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A cultural commodity
• La televisione è una merce/prodotto culturale che opera all’interno di
un’economia capitalista determinata.
• È possibile distinguere tra una economia finanziaria, all’interno della
quale circolano le risorse economiche e un’economia culturale,
all’interno della quale circolano significati e piaceri.
• Nella economia finanziaria la televisione è programmi e pubblicità,
non testualità.
• Un programma è una merce prodotta e poi venduta ai distributori.
Nella distribuzione il suo ruolo cambia e diventa, non più quello di
merce, ma di produttore.
• E ciò che produce è una nuova merce, l’audience che viene poi, a
sua volta, venduta come merce ai pubblicitari
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A cultural commodity
• Ma nell'economia culturale l'audience rifiuta il suo
ruolo di merce e diventa un produttore, un
produttore di significati e piaceri,
• e in questo momento cessa di essere un' 'audience'
e si trasforma nelle diverse materializzazioni del
processo che chiamiamo 'guardare la televisione'
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Il capitale culturale popolare
• La differenza fondamentale tra la merce televisiva e altri
beni materiali che circolano nel mercato è la
considerevole libertà vinta dallo spettatore nel passaggio
da consumatore nella economia finanziaria a produttore
nell’economia culturale.
• Significati e piaceri non possono essere posseduti,
comprati o venduti.
• Rispetto all’idea di Bourdieu di capitale culturale nelle
mani della borghesia (sia in termini di economia
finanziaria che culturale), è necessario aggiungere
quella di capitale culturale popolare che tiene sotto
pressione la cultura borghese.
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Alcuni esempi di capitale culturale popolare
• Le donne che vedevano Crossroads, studiate dalla Hobson, avevano
fatto proprio il programma, e lo avevano costituito come proprio
capitale culturale.
• Solo ragionando sull’abilità ad essere produttori della propria cultura,
dei propri significati e piaceri è possibile comprendere la scelta degli
aborigeni australiani di vedere film western.
• Allo stesso modo gli spettatori arabi di Dallas “riscrivono” il testo nelle
loro conversazioni per adattarlo al proprio capitale culturale.
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Pagina 44
I limiti interpretativi dell’economia politica
• Il modello dell’economia politica, che si basa sulla
separazione tra economia culturale e finanziaria (cui
attribuisce grande potere di determinazione), non può
concepire le audience televisive come socialmente differenti e
capaci di produrre differenti significati e piaceri dalla stessa
merce.
• Non può concepire la merce culturale come un testo che
richiede lettura. Non può concepire il testo come un campo di
battaglia per il potere di attribuire senso.
• Non può concepire che ciò che determina significati e piaceri
di un testo è la situazione sociale dello spettatore, non gli
interessi dei produttori e i loro ideologici investimenti nel
capitalismo.
Perchè studiare le audience?
13/03/2016
Pagina 45
La discriminazione popolare
• L’economia politica, poi, non è in grado di considerare la
discriminazione popolare.
• “La gente sceglie di rendere alcuni testi popolari, e altri
no, e questo processo di scelta è essenzialmente
popolare”(Fiske 1989),
• per quanto l’industria possa cercare di influenzare la
scelta popolare, attraverso ricerche di mercato,
promozioni e pubblicità.
Perchè studiare le audience?
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Cultura popolare
• Accanto al termine “cultura di massa” si affianca
sempre più quello di “cultura popolare” intesa come
“cultura che è popolare”, cioè gradita ai più.
• Una merce culturale per diventare popolare deve
appagare i desideri dei suoi consumatori,
contemperando gli interessi del suo pubblico con
quelli dei suoi produttori.
• Il testo mediale è un prodotto culturale popolare.
• Portare i jeans, giocare con i videogames, ascoltare
dischi di musica rock sono, secondo Fiske
(Understanding popular culture), esempi di
consumo di cultura popolare.
Perchè studiare le audience?
13/03/2016
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L’attività delle audience
• L’economia finanziaria è interessata a produrre e
riprodurre merci di successo.
• I bisogni culturali, espressi da alleanze in costante
mutamento all’interno delle audience, forzano le
industrie a produrre merci sufficientemente originali da
incontrare questi cambiamenti e sufficientemente
familiari da rispondere alle aspettative delle audience e
corrispondere alle pratiche e alle routine produttive.
• La spinta maggiore all’innovazione proviene dall’attività
delle audience nella economia culturale.
Perché studiare le audience?
13/03/2016
Pagina 48
Il senso delle differenze
• È necessario, dunque, ragionare sul come la gente trasforma i
prodotti dell’industria nella loro cultura popolare e li rende servibili
per i suoi interessi.
• Le differenze sociali sono prodotte dal sistema sociale, ma i
significati di queste differenze sono prodotti dalla cultura. Il senso
di queste differenze viene costantemente prodotto e riprodotto
come parte dell’esperienza di queste differenze da parte del
soggetto.
• I significati che originano dallo spettatore attribuiti al testo e quelli
che originano dalle subculture nei confronti dell’esperienza
sociale attivano il piacere di produrre significati, piuttosto che
sottolineare la posizione di sudditanza di essere prodotti da loro e
rende possibile mantenere una consapevolezza di queste
differenze sociali scomode e abrasive, che il senso comune
egemonico tenta faticosamente di attenuare.
Perché studiare le audience?
13/03/2016
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Il consumo e l’uso
• “l’analisi delle immagini diffuse dalla televisione
(rappresentazioni) e della quantità di tempo passata
davanti allo schermo (comportamento) deve essere
completata dallo studio di ciò che il consumatore
culturale “fabbrica” durante queste ore e con queste
immagini.[…]
• Questa “fabbricazione” da svelare è una produzione, una
poietica, - ma nascosta, perché si dissemina negli spazi
definiti e occupati dai sistemi della “produzione” e perché
l’estensione sempre più totalitaria di tali sistemi non
lascia più ai “consumatori” un luogo in cui rivelare ciò
che fanno dei prodotti” (De Certeau 1990)
Perché studiare le audience?
13/03/2016
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L’obiettivo del critico
• Secondo Fiske, l’obiettivo del critico è quello di comprendere i
piaceri popolari e la discriminazione popolare, non
esaminando i testi, le letture delle audience o i processi di
produzione,
• Ma attraverso lo studio dei casi (“investigation of instances”),
dei “momenti di televisione” all’interno dei quali la varietà di
attività culturali che si realizza davanti allo schermo può
essere intravista.
Perché studiare le audience?
13/03/2016
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La televisione nella vita delle audience
• “la testualità non è delimitata dai titoli e dai credits
di un programma, la soggettività non può essere
confinata nella pelle o nella storia di un individuo, e
similmente il vedere la televisione non può essere
confinato nei periodi in cui la televisione è accesa.
La televisione […] è anche parte della nostra vita
culturale, quando la sua presenza è meno
diretta,meno ovvia” (Fiske 1989)
Perché studiare le audience?
13/03/2016
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Audience diffusa tra spettacolo, narcisismo,
immaginazione e comunità
Nick Abercrombie, Brian Longhurst 1998
In Audiences. A Sociological Theory of Performance and
Immagination, London Sage
Perché studiare le audience?
13/03/2016
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L’identità delle audience
• Il paradigma mira a studiare l’identità delle
audience e il loro statuto all’interno della società,
immaginando che l’identità si costruisca all’interno
non tanto dei testi mediali ma del cosiddetto
mediascape, il mondo globale dei media.
Perché studiare le audience?
Lo studio delle audience: dove siamo arrivati
• Secondo Abercrombie e Longhurst (1998) esistono
tre tipi di audience, che si sono sviluppate
storicamente e che oggi tendono alla compresenza:
• Simple audience
• Mass audience
• Diffused audience
Perché studiare le audience?
La simple audience
• La simple audience, nata in età premoderna e
tuttora presente, si basa sul rapporto diretto e
immediato tra emittente e ricevente.
• La comunicazione si svolge in uno spazio
socialmente definito (spazio pubblico)
• La figura dell’emittente-performer è distante da
quella del ricevente (che assiste allo spettacolo).
• Al ricevente è richiesto un elevato grado di
attenzione.
Perché studiare le audience?
La mass audience
• È tipica di forme di fruizione despazializzate.
• La comunicazione è mediata dai mezzi di
comunicazione.
• Emittente-performer e ricevente sono molto distanti.
• L’attenzione richiesta al ricevente può variare sulla
base delle caratteristiche contestuali della fruizione.
Perché studiare le audience?
La diffused audience
• Abercrombie e Longhurst intendono per
audience diffusa la situazione in cui il soggetto
è sempre parte di un pubblico a prescindere dal
singolo atto di fruizione e da singoli eventi.
• “The essential feature of this audienceexperience is that, in contemporary society,
everyone becomes an audience all the time.
Being a member of an audience is no longer an
exceptional event, nor even an everyday event.
Rather it is constitutive of everyday life”
(Abercrombie e Longhurst)
Perché studiare le audience?
I tratti della diffused audience
• La nozione di audience diffuse si riferisce a diversi
processi che operano a differenti livelli.
• 1) Le persone trascorrono una grande quantità di tempo
nel consumo di mass media in casa e in pubblico.
• 2) i media sono realmente costitutivi della vita quotidiana.
• 3) le audience vivono nella “performative society”
(Kershaw). Uno degli effetti della intrusione dei media
nella vita quotidiana è che in questo modo qualsiasi
evento può essere trasformato in performance e chi vi
partecipa vede se stesso come performer.
• 4) le audience diffuse sono il risultato dell’incontro tra
spettacolo e narcisismo
Perché studiare le audience?
Le audience diffuse…
• «essere un membro di un’audience non è
più tanto un evento eccezionale, e neanche
un evento quotidiano. Piuttosto è parte della
vita quotidiana» (Abercrombie, Longhurst,
1998)
Perché studiare le audience?
Performatività
• Per performatività si intendono, nelle parole
della Butler, quegli atti e gesti, generalmente
costruiti, che regolano i principi di
organizzazione dell’identità,
• nel senso che “l’essenza o identità che essi
dichiarano di esprimere sono fabbricazioni
prodotte e mantenute attraverso segni
corporei e altri mezzi discorsivi” (Butler
1990).
Perché studiare le audience?
Performatività
• La performatività è «una serie di pratiche che
segnano i corpi, in accordo ad una griglia di
intelligibilità, in modo tale che il corpo stesso diventi
una fiction familiare» (Mc Robbie 2005).
• Allargando il ragionamento al soggetto nella sua
interezza, per performatività intendiamo quindi le
pratiche che segnano il sé in accordo ad una griglia
di intelligibilità sociale,
• in modo tale che il sé diventi una fiction
(rappresentazione) familiare (cioè condivisa e
condivisibile all’interno dei legami sociali).
Perché studiare le audience?
Audience performative
• È performativa l’audience che si immedesima nel programma
televisivo o nel personaggio, attraverso meccanismi di
identificazione e proiezione, ovvero abbandonando per un
momento la propria identità per vestirne un’altra, o proiettando
piuttosto la propria coscienza in quella di diversi personaggi.
• È performativa l’audience che condivide con gli altri i racconti
delle storie mediali, per come le ha vissute rispetto al proprio
contesto sociale e culturale, per come utilizzerà queste
narrazioni per creare relazioni con altri.
• È performativa l’audience che costruisce la propria
rappresentazione quotidiana utilizzando i contenuti mediali
• È performativa l’audience che per una spinta narcisistica cerca di
entrare nel mondo dei media in cerca di visibilità, in cerca di
audience.
Perché studiare le audience?
Il mondo come spettacolo
• “Nel portare tesi a sostegno dell’importanza dello
spettacolo, la nostra proposta è che il mondo, e
tutto ciò che è al suo interno, viene trattato sempre
più come qualcosa a cui si assiste (Chaney, 1993).
• Nel mondo le persone, gli oggetti, gli eventi non
possono essere dati per scontati, ma devono
essere inseriti in cornici, guardati, osservati,
registrati e controllati. Ciò, a sua volta, suggerisce
che il mondo si costituisce come un evento, come
una performance; gli oggetti: le persone e gli eventi
che fanno parte del mondo sono fatti per mettere in
scena performance per coloro che li guardano o
osservano intensamente. (Abercrombie, Longhurst)
Perché studiare le audience?
Vedere ed essere visti
• Più in generale, la vita contemporanea è una
questione di spettacolo e lo scopo della vita
moderna è quello di vedere e essere visti. Questo
perché:
• 1) il mondo come merce richiede attenzione;
inscena performance;
• 2) la pervasività dei mezzi di comunicazione di
massa contribuisce alla presentazione del mondo
come uno spettacolo, come una serie di
performance.
• Il landscape diventa mediascape.
Perché studiare le audience?
Il narcisismo
• La nozione di società narcisistica include
l’idea che le persone si comportino come se
fossero guardate, come se fossero al centro
dell’attenzione di un’audience reale o
immaginata.
• Il narcisista incontra difficoltà nel distinguere
i confini del sé, nel separare se stesso dagli
altri. Il sé narcisistico è costruito e
mantenuto solo nei riflessi ricevuti dagli altri.
Perché studiare le audience?
Il narcisista
• “Malgrado le occasionali illusioni di
onnipotenza, il narcisismo attende da altri la
conferma della sua autostima. Non può
vivere senza un pubblico di
ammiratori”(Lasch 1979)
• “Il narcisista non è in grado di recepire nulla
di nuovo dal momento che tutto è visto nei
termini del sé già esistente”. (Sennet 1977)
Perché studiare le audience?
Performance narcisistica e audience immaginata
• Il fatto che il sé sia centrale, non significa
che tutto il resto venga cancellato.
• Per le funzioni proprie del narcisismo, infatti,
l’audience deve essere immaginata come
qualcosa che contribuisce alla propria
immagine narcisistica.
• Il narcisismo prevede una performance
immaginata di fronte agli altri, che
costituiscono un’audience focalizzata sul sé
narcisista.
Perché studiare le audience?
Società dello spettacolo,
narcisismo e performance
• Il narcisismo, dunque, fornisce il lato motivazionale e individuale
dello spettacolo.
• Per rendere il mondo sociale uno spettacolo, le persone devono
essere viste come oggetti di spettacolo. Devono essere incitate,
motivate, per mettere in atto performance. Lo spettacolo e il
narcisismo sono realmente i due lati della stessa medaglia.
• Entrambi sono effettivamente le conseguenze della diffusione della
performance al di fuori dei suoi ambiti originariamente relativamente
ristretti.
• La maggior parte degli eventi che costituiscono la vita quotidiana
sono performance per le quali esiste un’audience. Allo stesso
tempo, sempre più persone si vedono come performer osservati da
altri; il narcisismo è la cura del sé come spettacolo.
Perché studiare le audience?
Audience diffusa e
immaginazione
• Un mondo di spettacolo, narcisismo e performance
richiede il potere dell’immaginazione.
• L’audience diffusa richiede che i propri membri
mettano in campo una mole considerevole di
risorse immaginative.
• Una fondamentale caratteristica dell’esperienza
moderna è l’uso da parte degli individui ‘dei loro
poteri inventivi e creativi, per costruire immagini
mentali da poter consumare grazie al piacere
intrinseco che esse forniscono, una pratica meglio
descritta come sogno ad occhi aperti o fantasticare.
Perché studiare le audience?
Sogno ad occhi aperti e
performance
• Chiaramente, le trasformazioni del sé che si
sviluppano a partire dalla fantasia, stimoleranno
maggiormente il giudizio degli altri - l’audience reale
e immaginata che assiste alla performance.
• L’attitudine moderna del sogno ad occhi aperti
significa che le persone sono in grado di
immaginarsi mentre mettono in scena performance
di fronte ad altre persone e di immaginare, inoltre,
le reazioni che gli altri avranno
Perché studiare le audience?
Media, immagini e
immaginazione
• Le performance quotidiane che costituiscono una
società spettacolare e narcisistica sono organizzate
frequentemente intorno alle immagini che
provengono dai media sullo stile, la personalità,
l’abbigliamento, la musica e così via.
• Oltre ad essere regolatori o costitutivi della vita
quotidiana, i media forniscono anche immagini,
modelli di performance, o quadri di azione e di
pensiero che diventano risorse di routine del
quotidiano. Le persone, in altre parole, usano nella
vita quotidiana quello che i media forniscono loro.
Perché studiare le audience?
L’audience diffusa e i contenuti mediali
• L’attività delle audience somiglia, quindi, ad
una quasi naturale appropriazione delle
merci-spettacolo
• “che finiscono per diventare il fondale
ordinario, oltre che gli abiti di scena, delle
diverse rappresentazioni di sé. Il modello
ideale di un’audience diffusa, dunque,
agisce nella direzione di sottolineare la
normalizzazione di un processo di consumo,
uso e produzione di senso” (Andò, Marinelli,
2008)
Perché studiare le audience?
Perché studiare le audience?
Audience come comunità
immaginata
• Nei sogni ad occhi aperti, le persone immaginano la
presenza di altri, che costituiscono l’audience per le
loro performance quotidiane.
• Non c’è bisogno di ripetere che questi altri non sono
altri qualsiasi. Essi sono altri significativi, menti con
attitudini e gusti simili. Un modo per concettualizzare la
relazione tra le persone che formano parte di questa
presenza immaginata è descriverle come una
comunità.
• La nostra pretesa è sostenere che l’audience diffusa
sia una comunità immaginata
Perché studiare le audience?
La comunità immaginata di
Anderson
• L’espressione ‘comunità immaginata’ fu coniata da Anderson
(1991), interessato alla studio della formazione e della natura
dello stato-nazione e dei modi in cui esso può essere definito una
comunità, anche se immaginata.
• L’idea della nazione è molto potente e può mobilitare l’energia di
una popolazione, così come la fiducia e la lealtà, in un modo in cui
solo poche istituzioni riescono.
• La nazione è anche una comunità, nel senso che c’è un forte
sentimento di appartenenza alla comunità e una condivisione di
sentimenti, scopi e storia.
• Per quanto potente, il senso di comunità all’interno della nazione
non si fonda sulle relazioni personali come una normale comunità.
• Non c’è necessità di conoscere tutte le persone che vivono nella
nazione e non ci deve essere neppure la possibilità di questa
conoscenza. Ogni membro della comunità-nazione deve essere
semplicemente in grado di immaginare ogni altro membro
Perché studiare le audience?
L’audience diffusa come
comunità immaginata
• L’audience diffusa, intesa come comunità
immaginata, viene, in larga misura, se non
interamente, liberata dalle restrizioni di spazio e
tempo; i membri dell’audience diffusa possono
essere immaginati in ogni momento temporale,
ma soprattutto, in ogni luogo spaziale.
• La struttura della comunità può essere pensata
come una serie di anelli concentrici intorno
all’individuo, che si estendono nello spazio e nel
tempo.
Perché studiare le audience?
Esercitarsi nel riconoscersi tra audience
• Più estesa è diventata la penetrazione dei
media nella nostra vita quotidiana, più
strumenti sono resi disponibili,
• più ampia è diventata la possibilità per le
audience di esercitarsi nello stile e provare
la riconoscibilità di questo stile, per così dire
mediato, presso le altre componenti delle
audience con cui entrano in contatto
attraverso le pratiche (on e off line) di
consumo mediale.
Il circuito S-N-S
(spectacle-narcisismspectacle)
• I media forniscono una risorsa per vedere il mondo
in modo spettacolare;
• creano sistematicamente il mondo come spettacolo.
• Simultaneamente, forniscono alcuni materiali grezzi
per il narcisismo,
• così che le persone replicano nelle loro vite la
relazione performance-audience che ha luogo nei
media.
Perché studiare le audience?
Una rete di significati da
condividere
• La società è una rete di significati sostenibile “finché
quei significati sono mantenuti in comune, finché sono
ripetuti, condivisi, comunicati e, naturalmente, imposti.
• L’esperienza si costruisce attraverso queste reti di
significati, testi e discorsi quotidiani, e l’esperienza a
sua volta dipende dalla nostra partecipazione, forzata o
meno, alla rappresentazione” (Silverstone, 2002: 117).
• I media non fanno che enfatizzare questa possibilità
fornendo ai soggetti/audience gli strumenti espressivi e
la piattaforma condivisa per la gestione delle forme
culturali.
Perché studiare le audience?
LA DIMENSIONE CULTURALE
E POLITICA DELLO STUDIO
SULLE AUDIENCE
Perchè studiare i media?
13/03/2016
Pagina 80
Cultural studies: 2 concetti di
base
• La soggettività (subjectivity): i cultural studies studiano la
cultura in relazione alle vite individuali. “la cultura ci aiuta a
riconoscere che una qualunque pratica quotidiana (come il
leggere) non può essere separata dalla più ampia rete delle
altre pratiche quotidiana (come il lavoro, l’orientamento
sessuale, la vita familiare)”. (S. During, 2004)
• La cultura (culture): “per i cultural studies, “culture” non è
un’abbreviazione di “high culture”, considerata un oggetto a
valore costante nel tempo e nello spazio”. (S. During,
2004). La cultura è un intero stile di vita, che si compone
tanto attraverso le istituzioni e i comportamenti del
quotidiano, quanto attraverso l’arte e la letteratura.
Cultura come vita
• La cultura è indissolubilmente intrecciata con i
vissuti e le pratiche degli attori sociali.
• La cultura non esiste se non come una "forma di
vita" (secondo la celebre espressione di Wiliams, è
“a whole way of life”):
• studiarla significa studiare come le persone danno
senso alla realtà e alle cose che fanno,
• studiare gli oggetti che li circondano e i modi in cui
vivono quotidianamente.
• La cultura si riproduce nella vita dei soggetti
concreti e da questi viene costantemente
riformulata e innovata.
Il CCCS di Birmingham
• Nel 1964 Hoggart fonda il Birmingham Centre for
Contemporary Cultural Studies.
• La direzione di Hoggart durerà fino al 1968.
• L’interesse per le forme della cultura popolare e per
la loro componente politica caratterizza altri due
studiosi: R. Williams e E.P. Thompson, provenienti
come Hoggart dall’insegnamento per gli adulti.
Richard Hoggart: The Uses of
Literacy (1958)
• The Uses of Literacy si concentra sul quotidiano
“come categoria culturale della cultura operaia
britannica”.
• Questa viene descritta come “vita piena e ricca” di
rituali del lavoro e del tempo libero, studiata e
conosciuta attraverso l’esperienza personale:
• il vissuto come base dell’analisi scientifica.
• Ad essa si contrappone la cultura di massa
americana, accusata di far perdere il carattere di
classe e la coscienza comune del proletariato.
Raymond Williams: Culture and Society
(1958), The Long Revolution (1961)
• Dalla sua prima definizione di cultura come “intero
stile di vita […] come modalità di interpretazione
delle nostre esperienze comuni”, Williams arriva a
concepire la cultura come modo di vivere, che si
esprime tanto attraverso le istituzioni e i
comportamenti del quotidiano, quanto attraverso
l’arte e la letteratura.
• I vari elementi della cultura, in relazione tra loro,
vengono interpretati come espressioni di una
struttura di sentimenti, come valori di un gruppo, una
classe, una società …
• da leggere come forme culturali.
E. P. Thompson: The Making of the
English Working Class (1963)
•
•
•
Alla base del pensiero di Thompson c’è l’idea del
conflitto (“whole way of struggle”) tra forme di
cultura diverse.
Egli parla di una cultura popolare, attiva in senso
anti-egemonico, che deve confrontarsi
positivamente con la cultura dominante.
La cultura di massa viene, qui, demonizzata in
quanto accusata di eliminare lo spirito di
opposizione- ribellione della classe operaia.
Il ruolo politico della cultura
• Negli anni ’70 la cultura comincia, dunque, ad
essere indagata dal punto di vista della sua
funzione politica.
• La cultura viene letta come “ideologia” e come
“egemonia”, intendendo con questo concetto una
relazione di dominio che non viene vista (e vissuta)
come tale da chi la subisce.
L’ideologia nel pensiero di
Althusser
• Gli individui sono costrutti dell’ideologia.
• L’ideologia è l’insieme dei discorsi e delle
immagini che costituiscono la conoscenza
diffusa degli uomini: il senso comune.
• L’ideologia serve allo stato (e al capitalismo)
a riprodurre se stesso, senza la minaccia di
una rivoluzione.
• L’ideologia “cambia ciò che era politico,
parziale e aperto al cambiamento in
qualcosa che sembri “naturale”, universale
ed eterno” (S. During 2004)
L’ideologia dominante
• Il ruolo primario dell’ideologia è quello di
costruire un ritratto “immaginario” della vita
civile all’interno della quale i soggetti sono
rappresentati come liberi e unici.
• Gli individui accolgono l’ideologia così
facilmente perché essa li aiuta a “dare senso”
al mondo,
• e perché in essa si vedono indipendenti e forti.
• Sia nel privato (si veda Lacan e la funzione
dell’ideologia in quanto produttrice di false
soluzioni alle tensioni private e familiari)
• che nella vita politica.
Il senso comune
• “sono proprio la sua qualità “spontanea”, la sua
trasparenza, la sua “naturalità”, il rifiuto che oppone
a far esaminare i principi su cui è fondato, la sua
resistenza ai cambiamenti o alle correzioni, il suo
effetto di riconoscimento immediato, e il circolo
chiuso in cui si muove, che rendono il senso
comune simultaneamente “spontaneo” ideologico e
inconscio.
• tramite il senso comune non si può apprendere
come stanno le cose: si può solo scoprire qual è il
loro posto nello schema esistente delle cose” (Hall
in Hebdige p. 14)
Il rapporto dei soggetti con il loro mondo
• Il concetto di ideologia riguarda
• “il rapporto vissuto dagli uomini col loro mondo.
• Questo rapporto non si rivela “cosciente” se non a
condizione di essere inconscio […]. Nell’ideologia, infatti,
gli uomini esprimono non i loro rapporti con le loro
condizioni di esistenza, ma il modo in cui vivono i loro
rapporti con le loro condizioni di esistenza, la qual cosa
suppone al tempo stesso, un rapporto reale e un rapporto
“vissuto”, “immaginario”.
• L’ideologia è allora l’espressione del rapporto degli uomini
col loro “mondo”, ossia l’unità (surdeterminata) del loro
rapporto reale e del loro rapporto immaginario con le
loro reali condizioni di esistenza” (Althusser 1965)
L’atmosfera della vita umana
Perchè studiare i media?
13/03/2016
Pagina 92
L’ideologia in Althusser
• “l’ideologia ha ben poco a che vedere con la
“coscienza” […]. Essa è profondamente inconscia
[…].
• Per lo più sono immagini, a volte anche concetti,
ma soprattutto sono strutture e come tali si
impongono alla stragrande maggioranza degli
uomini senza passare attraverso la loro
“coscienza”.
• Sono oggetti culturali percepiti-accettati-subiti che
agiscono sugli uomini attraverso un processo che
sfugge loro” (Althusser in Hebdige, p. 14)
La consapevolezza dell’ideologia
• Non si può scegliere di uscire dall’ideologia,
ma si può scegliere di
• “conoscerla il più approfonditamente
possibile, riconoscerla il più in fretta
possibile e, attraverso il proprio lavoro
interpretativo, sempre e necessariamente
incompleto, lavorare per trasformarla”
(Spivak 1988, tr. it. p.38)
Dall’ideologia all’egemonia
• Il concetto di egemonia, nell’accezione di
ideologia dominante (Gramsci 1977), appare
in grado di spiegare come la cultura (anche
mediale) concorra a perpetuare la società
classista dominata da una classe.
• Per egemonia si intende un insieme di idee
dominanti che permeano una società,ma in
modo tale da far sembrare sensato, pacifico e
naturale l’assetto vigente di potere. (McQuail
1983)
• L’egemonia tende a liquidare l’opposizione
allo status quo come dissidenza o devianza
L’egemonia in Gramsci
• Secondo Gramsci non è lo Stato a essere
responsabile dell’egemonia, ma la società civile,
con le sue istituzioni, i sistemi educativi, la famiglia,
la chiesa, i mass media e la cultura popolare.
• Il consenso è un processo in continuo divenire,
frutto di un patteggiamento e non un
indottrinamento guidato.
Potere ed egemonia
• “il potere, chiaramente, è qualcosa di infinitamente
complesso e contraddittorio, non è mai condensato
in un unico luogo, circola dappertutto, è diffuso
lungo tutto il tessuto sociale.
• Come ci ha insegnato Gramsci, un potere che sia
capace di inquadrare la società all’interno di un
nuovo progetto storico deve operare
egemonicamente, deve necessariamente
intrecciare i modi di pensare, i media, la cultura, la
lingua, la filosofia, l’economia, la cultura popolare,
la Chiesa ecc.” (Hall, Mellino, 2007, p.41)
Cultura popolare
ed egemonia
• La cultura popolare viene intesa come il campo
di battaglia su cui i punti di vista dominanti si
assicurano la propria egemonia: “un campo di
battaglia permanente, i cui parametri sono definiti
solo parzialmente dalle condizioni economiche;
[…] al fine di raggiungere la leadership culturale il
gruppo
dominante
deve
impegnarsi
in
negoziazioni con i gruppi, le classi e valori in
opposizione - e queste negoziazioni devono dar
luogo a mediazioni autentiche” (Turner 1990)
Gramsci nei Cultural Studies
• I CS ritrovano in Gramsci la possibilità di appoggiarsi ad
un marxismo non determinista e non economicista,
attento al ruolo di istituzioni popolari come la chiesa e a
quello degli intellettuali,
• capace di tematizzare la cultura come il campo di lotte
per l'egemonia fra le classi.
• Una prospettiva insomma che riesce a vedere come le
classi subalterne siano contemporaneamente influenzate
da quelle superiori ma anche capaci di resistere a questa
influenza, e come la cultura sia un campo di orientamenti
in divenire costante, dove al venir meno di certe
"sottoculture" (come quella della classe operaia)
corrisponde il sorgere di altre (come quelle giovanili)
La resistenza e l’inglobamento
• “L’egemonia non esiste in maniera passiva come
forma di dominio. Deve essere costantemente
rinnovata, ricreata, difesa e modificata” (Williams
1977).
• “La cultura popolare non è la cultura imposta dai
teorici della cultura di massa, né un emergere dal
basso, spontaneo di una qualche cultura di
opposizione […] Piuttosto è un terreno di
scambio delle due forze: un terreno […] marcato
dalla resistenza e dall’inglobamento”. (Storey
1993, in Grandi 1999)
Il potere: Foucault
• L’idea di egemonia non come data a priori dall’alto,
ma come terreno di scontro
• è vicina al concetto di “potere” di Michel Foucault.
• Non esiste un potere unico, dall’alto, ma reti di
rapporti di potere.
• “come sarebbe indubbiamente facile smantellare il
potere, se esso si limitasse a sorvegliare, spiare,
sorprendere, proibire e punire. Ma esso incita,
suscita, produce; non è semplicemente occhio e
orecchio, ma fa agire e parlare” (La vita degli
uomini infami, in Archivio Foucault pag. 259)
Il potere: Foucault
• Il dominio è stabile e violento.
• Il potere è fluido e ribaltabile.
• Le azioni degli uomini avvengono all’interno di una
rete di poteri e sono esse stesse un modo per
ribaltare i rapporti e crearne di nuovi.
• Il discorso è il luogo dell’articolazione produttiva del
potere e del sapere.
Il discorso: Foucault
• Per Foucault il discorso è un insieme di
performance verbali, di sequenze di enunciati
cui si possono attribuire delle particolari
modalità di esistenza.
• “così concepito il discorso non è la
manifestazione, maestosamente sviluppata di
un soggetto che pensa, conosce e dice: si
tratta, invece, di un insieme in cui si possono
determinare la dispersione del soggetto e la
sua discontinuità con se stesso”
(L’archeologia del sapere 1971).
I discorsi del potere
• “L’analisi del discorso […] può divenire il mezzo
attraverso il quale le posizioni ideologiche dei
singoli si mostrano e si inseriscono in un contesto
sociale, favorendo l’analisi del modo in cui il
multiforme uso del linguaggio si interseca con il
potere”.
• Seguendo Foucault le “relazioni di potere sono
mantenute dall’infinita catena di espressioni che
“mobilitano” significati nel mondo sociale; […] al
modo in cui la storia è prodotta e la società si
riproduce” (Bianchi, Demaria, Nergaard, 2002, 16)
Un terreno di scontro
• “L’ideologia è così divenuta non solo una ‘forza
materiale’ – reale perché è ‘reale’ nei suoi effetti –
• ma anche un terreno di scontro (tra definizioni in
concorrenza) una scommessa – un premio da
vincere – nella attuazione di particolari strategie di
lotta” (Hall 1982)
Stuart Hall e l’ideologia nei media
• Con la direzione di Hall del CCCS dal 1968 al
1979, i Cultural studies si arricchiscono del
contributo della filosofia post-strutturalista e
della psicanalisi post- freudiana, dell’approccio
semiotico e dell’antropologia strutturale
• contemporaneamente ad una nuova
interpretazione del concetto marxista di
ideologia.
• La cultura, e in particolare i testi mediali,
vengono letti come campo di confronto per la
definizione dei significati e analizzati in termini di
effetti dell’ideologia.
L’ideologia nei media e gli effetti
di realtà
• La presenza dell'ideologia nei mass media ha come
effetto il suo eclissarsi all'interno di messaggi che
appaiono come naturali descrizioni della realtà:
• 'Vero' significa credibile, o almeno capace di conquistare
credibilità in quanto affermazione basata su fatti
• Hall parla, in questo caso, di "effetto di realtà“ da cui
derivano alcune conseguenze:
• la "naturalizzazione" delle rappresentazioni ideologiche
del mondo, la polisemicità del linguaggio e il processo di
significazione inteso come risultato di un conflitto non
riducibile alla lotta di classe, in quanto le forme culturali
sono considerate relativamente autonome dalle
condizioni economiche.
Gli effetti dell’ideologia
• Secondo Hall, l’attività ideologica si
presenta come la possibilità dei mass media
di definire la linea di demarcazione
• “tra spiegazioni preferite ed escluse,
• tra comportamenti ammessi e devianti,
• tra ‘ciò che è privo di senso’ e ‘ciò che è
pieno di senso’
• tra pratiche, significati e valori integrati e di
opposizione” (Hall 1979)
L’egemonia e i media
• I mass media non definiscono di per sé la
realtà, ma danno spazio alle definizioni dei
detentori del potere.
• I media agiscono per il mantenimento del
potere non attraverso “la trasmissione
diretta di istruzioni[…] ma grazie alla messa
in forma dell’intero ambiente ideologico, un
modo di rappresentare l’ordine delle cose
[…]” (Hall 1982)
L’egemonia e i media
• Il ruolo “consensuale” dei media non è più
individuato nel loro riflettere un consenso già
presente a livello sociale, ma nel partecipare alla
costruzione stessa di tale consenso che si articola
“liberamente” attorno a definizioni della situazione
interne alla “cornice di ciò su cui ciascuno
concorda”.(Hall 1982)
Il processo di comunicazione
Programma come
discorso “significato”
Codifica
Decodifica
Strutture di significato 1
Strutture di significato 2
Quadri di conoscenza
Quadri di conoscenza
Relazioni di produzione
Relazioni di produzione
Infrastrutture tecniche
Infrastrutture tecniche
Il processo di comunicazione
• Il processo comunicativo può essere, a grandi
linee, spiegato in questo senso:
• alle strutture istituzionali televisive “con le loro
pratiche e network produttivi, relazioni
organizzate e infrastrutture tecniche, è
richiesto di produrre un programma”.
• “La produzione, in questo contesto, costruisce
il messaggio. Da un certo punto di vista,
quindi, il circuito comincia qui” (Hall, Televisioni pag. 69)
La forma discorsiva
• Un evento grezzo “non può essere trasmesso nella
sua forma originaria da un notiziario televisivo. Gli
eventi possono essere comunicati solo dentro le
forme audiovisive del discorso televisivo”.
• Le strutture televisive devono produrre messaggi
codificati, nella forma di un discorso dotato di
senso” (Hall, Tele-visioni pag. 69-70)
La forma discorsiva
nel processo comunicativo
• “Il processo produttivo ha un suo aspetto
“discorsivo” in quanto è, a sua volta inserito
in una struttura di significati e di idee”
• “è nella forma discorsiva che avviene sia la
circolazione del prodotto che la sua
distribuzione a diversi tipi di pubblico”
• “affinché il circuito sia completo ed efficace,
il discorso una volta realizzato, deve essere
tradotto – cioè nuovamente trasformato – in
pratiche sociali” (Hall, Tele-visioni pag. 6870)
La mancanza di equivalenza
• “i codici di codifica e decodifica possono non
essere perfettamente simmetrici.
• Il grado di simmetria – cioè i gradi di
“comprensione” e di “fraintendimento” nello
scambio comunicativo – dipende dal livello
di simmetria/asimmetria (relazioni di
equivalenza) stabilitosi tra le posizioni delle
“personificazioni”, codificatore-produttore e
decodificatore-ricettore”
• Lo squilibrio può dipendere da differenze
strutturali (di relazione e posizione) o da
differenze di codici. (Hall, Tele-visioni pag.
72)
Denotazione e connotazione
• Il termine “denotazione” indica il significato
letterale del testo: “poiché questo significato
letterale è riconosciuto in maniera quasi
universale […] la “denotazione” è stata
spesso confusa con una trascrizione
letterale della “realtà” nel linguaggio, e
quindi con un “segno naturale”, prodotto
senza l’intervento di un codice”
• “La “connotazione” è utilizzata per indicare
significati associativi meno fissi e quindi più
convenzionali e trasformabili” (Hall, Televisioni pag. 75)
L’ideologia nel discorso
• Nel discorso i segni mescolano sia gli aspetti
denotativi che connotativi.
• “I segni sembrano acquisire il loro pieno valore
ideologico, ovvero sembrano aprirsi all’articolazione
con discorsi e significati più ampi,
• al livello dei significati “associativi” (cioè al livello
connotativo),
• perché qui i “significati” apparentemente non sono
fissati dalla percezione naturale (cioè non sono
completamente naturalizzati) e la fluidità di
significati e di associazioni può essere sfruttata e
trasformata più pienamente”.
• “A questo livello, possiamo vedere più chiaramente
l’intervento attivo delle ideologie nel discorso e su di
esso” (Hall, Tele-visioni pag. 75-76)
L’ideologia nei media
• La polisemia del segno connotativo non
deve essere scambiata per pluralismo.
• I significati connotativi non sono tutti uguali
tra loro. “qualunque società/cultura tende,
con diversi livelli di chiusura, ad imporre le
sue classificazioni del mondo sociale e
culturale e politico.
• Queste costituiscono un ordine culturale
dominante, che tuttavia non è né univoco né
incontrastato”. (Hall, Tele-visioni pag. 77)
L’ideologia nei media
• Qualunque società (struttura produttiva)
tende ad imporre le proprie “mappe di
significato” e a comporre la dimensione
connotativa in un “ordine culturale
dominante”
• I significati dominanti/preferiti non sono né
univoci, né incontrastati. Tuttavia, all’interno
del processo comunicativo, sono
perfettamente riconoscibili alcune “regole
performative” che cercano attivamente di
“imporre” o “promuovere” una mappa di
significato, o di rendere compatibili elementi
differenti all’interno della mappe dominanti.
La comunicazione
sistematicamente distorta
• “Dal momento che non esiste alcuna
corrispondenza necessaria fra la codifica e
la decodifica, la prima può cercare di
“indirizzare”, ma non può prescrivere o
garantire la seconda, che ha le sue proprie
condizioni di esistenza”
• L’ipotesi Encoding/Decoding è formulata a
partire dal fatto che non esistendo una
“corrispondenza necessaria” occorre
costruire una teoria della “comunicazione
sistematicamente distorta”
Codice professionale e
codice dominante
• “la produzione dei media di massa ricopre […] la funzione
di provvedere al mantenimento dell’ordine sociale
egemonico, legittimando le definizioni sociali esistenti […]
attraverso un processo di codifica che investe i prodotti
massmediatici di una lettura preferita”.
• Il professionista dei media, dunque, codifica un
messaggio che è già stato dotato di senso in modo
egemonico.
• “il codice professionale è “relativamente indipendente” dal
codice dominante, perché applica modifiche e criteri
propri, soprattutto di natura tecnico-pratica. Il codice
professionale, comunque, opera dentro l’ “egemonia” del
codice dominante”. (Hall, Tele-visioni, pag.81)
Stuart Hall: Encoding and decoding
in television discourse (1980)
• Se l’attività di codifica consiste dunque nel definire i
limiti e i parametri che racchiudono la libertà del
processo di decodifica
• dalla relazione tra lettore e questi limiti discendono
tre differenti modalità di decodifica :
la posizione dominante egemonica (lettura preferita)
• la posizione negoziata
• la posizione “di opposizione”
La lettura preferita
• Si attua una lettura “preferita” quando il
telespettatore “prende il significato connotato
da, diciamo, un telegiornale o una rubrica di
attualità direttamente e nella sua interezza e
decodifica il messaggio nei termini del codice
attraverso il quale è stato codificato” (Hall
1980)
• Il telespettatore opera all’interno del codice
dominante/egemonico mediato
professionalmente.
Le definizioni dominanti
• Le definizioni dominanti collegano implicitamente o
esplicitamente gli eventi con le grandi
generalizzazioni …
• Propongono “vedute ampie”.
• “la definizione di un punto di vista egemonico è
• A) che definisca, entro i propri termini, l’orizzonte
mentale o l’universo dei significati possibili, di un
intero settore di relazioni in una società o cultura e
• B) che abbia il crisma della legittimità, che sembri in
sintonia con ciò che è “naturale”, “inevitabile” e
“scontato” sull’ordine sociale”. (Hall, Tele-visioni,
pag.83)
Modello Encoding/Decoding
• L’uso del codice negoziato sottende un
atteggiamento duplice:
“accordare la posizione privilegiata alle
definizioni dominanti degli eventi, pur
riservando il diritto di attuarne un uso più
negoziato legato a condizioni locali” (Hall
1980)
La posizione negoziata



L’uso del codice negoziato sottende una
combinazione di elementi adattivi e
opposizionali:
lo spettatore è in grado di rintracciare la
definizione egemonica e pur riconoscendone la
legittimità nel contesto istituzionale opera la
decodifica attraverso una “versione negoziata”,
legata a “logiche particolari o situate”
Questo è l’ambito che professionalmente può
essere considerato in termini di “insuccesso
comunicativo” o di distorsione della
comunicazione.
La posizione di opposizione
• Nella posizione di opposizione il telespettatore
comprende la lettura preferita costruita e
proposta, ma ridefinisce “il messaggio all’interno di
una qualche cornice di riferimento alternativa”
• Nel caso precedente avevamo fenomeni di
distorsione della comunicazione, mentre qui non
si crea distorsione, ma si attiva la volontà di porre
in rilievo le contraddizioni che una lettura contro le
regole del codice egemonico comporta. (Hall
1980)
La decodifica differenziale
• Il processo di decoding avviene in maniera
differenziata:
• il conflitto culturale riguarda gruppi che si
identificano in, e attraverso, particolari pratiche
sociali e gruppi dominanti che tendono ad un
loro inglobamento.
• Il conflitto viene letto non più tra classe
egemone e classi subalterne
• ma come conflitto centrato su variabili come il
gender, l’età, la razza, le preferenze sessuali.
La mappa culturale dell’audience
David Morley
“Cultural Transformations: the politics
of resistance” in H. Davis, P. Wilson,
Language, image, Media, 1983
Dalla comunità all’audience
• La ricca ricerca sviluppata all’interno del
CCCS negli anni ’70 e ’80 è
emblematicamente rappresentata dallo
studio di David Morley, “The Nationwide”
Audience.
• È uno dei primi studi etnografici a
concentrarsi non più su una comunità
(intesa in senso locale e di classe) ma su
un’audience (definita come gruppo di
spettatori o lettori).
La struttura dell’audience: la
decodifica nel contesto culturale
• “Dovremmo utilmente pensare all’audience dei
media non tanto come una massa indifferenziata di
individui
• ma come una complessa struttura di individui
socialmente organizzati in un numero indefinito di
sottogruppi e subculture,
• ciascuna delle quali ha la sua storia e le sue
tradizioni culturali” (Morley, 1983)
L’orientamento culturale delle
audience
• La competenza culturale delle audience non è
automaticamente determinata o generata dalla
posizione sociale dei soggetti.
• “I singoli membri [delle subculture e dei gruppi]
condivideranno un orientamento culturale verso una
decodifica dei messaggi secondo differenti modalità.
• Le singole letture dei soggetti saranno incorniciate
(framed) dalle formazioni e dalle pratiche culturali.
• Questi orientamenti condivisi saranno a loro volta
determinati dalla posizione oggettiva del singolo
lettore nella struttura sociale” (Morley 1983)
Contro il rischio di convertire le
categorie sociali in significati
• Nella teoria sociologica di Parkin, si rileva la tendenza a
convertire direttamente le categorie sociali (per es. la
classe) in significati (per es. le posizioni ideologiche).
• in questa ipotesi, le strutture di classe rappresentano la
base di differenti sistemi di significato:
• “è semplicemente inadeguata l’idea di presentare i fattori
demografici e sociali, come l’età, il sesso, la razza o la
posizione sociale, come oggettivamente correlati o
determinanti diverse posizioni di decodifica, senza alcun
tentativo di specificare come essi intervengono nel
processo di comunicazione.
• […] questi fattori possono avere effetto solo attraverso
l’azione (possibilmente contraddittoria) dei discorsi nei
quali sono articolati” (Morley, 1983).
Non solo analisi del testo
• Secondo Morley, “il significato prodotto dall’incontro tra
testo e soggetto non può essere letto una volta per tutte
a partire dalle caratteristiche del testo stesso.
• Il testo non può essere considerato come isolato dalle
sue storiche condizioni di produzione e di consumo.
• Un’analisi dell’ideologia dei media non può risolversi
nella sola analisi della produzione e del testo.” (Morley
1983)
Il significato nei discorsi del testo
e delle audience
• “Il significato del testo verrà costruito
differentemente sulla base dei discorsi
(conoscenze, pregiudizi, resistenze) messi in gioco
dal lettore, e il fattore cruciale nell’incontro tra
soggetto e testo sarà il range di discorsi a
disposizione dell’audience” (Morley 1983)
Il modello encoding decoding in
Morley
• Nella codifica i broadcaster mirano a stabilire una
relazione di complicità con le audience.
• L’obiettivo è quello di “raggiungere l’identificazione
con le audience attraverso meccanismi che
conquistino la complicità delle audience e
suggeriscano letture preferite” (Morley 1983)
The Nationwide audience: il
metodo
• La ricerca aveva l’obiettivo di fornire un’analisi delle
forme discorsive del programma e di scoprire quali
segmenti di audience decodificavano in linea con i
codici preferiti/dominanti, e quali, invece, si
muovevano su letture negoziate o oppositive.
• Due puntate videoregistrate del programma furono
presentate a 29 gruppi (composti da 5-10 soggetti),
selezionati all’interno di diversi ambienti sociali e
culturali e diversi livelli del sistema educativo.
• I gruppi erano composti da: giovani apprendisti
ingegneri e metallurgici, sindacalisti, commessi e
studenti di colore.
The Nationwide audience: il
metodo
• La discussione, avviata dopo la visione del
programma, aveva la durata di circa 40
minuti e veniva registrata per poter essere
trascritta successivamente ed utilizzata per
l’analisi.
• La metodologia era l’intervista focalizzata.
• La prima parte dell’intervista, non direttiva,
aveva l’obiettivo di stabilire un “working
vocabulary” e una cornice interpretativa di
riferimento dei gruppi, e l’ordine di priorità
attribuito dai gruppi stessi ai temi in oggetto.
Il sistema lessico-referenziale dei
gruppi
• L’obiettivo del lavoro era quello di identificare la
natura dei sistemi “lessico-referenziali” dei
gruppi e indagare come questi si correlassero
con quelli usati dai broadcaster. I quesiti
dell’indagine:
• Le audience usano le stesse parole, negli stessi
modi dei broadcaster nel discutere i temi del
programma?
• I gruppi attribuiscono ai temi lo stesso ordine di
priorità presentato nel discorso televisivo?
• Dalla discussione emergono temi non discussi
dal programma, specificamente menzionati dai
gruppi?
Codici e repertori culturali
• “the question is which cultural repertoires and codes
are available to which groups, and how do they
utilize these symbolic resources in their attempt to
make sense of messages coming from the media?”
(Morley 1983)
Gli apprendisti e la lettura
dominante
• Il gruppo più vicino ai codici dominanti era quello
degli apprendisti.
• Sebbene il tono dominante delle risposte del
gruppo fosse di cinismo o resistenza (“damn all
politicians – they’re all as bad as each other”)
• essi tendevano ad accettare la prospettiva
offerta da e attraverso il programma.
• l’interpretazione di senso comune (“common
sense”) offerta dal programma era la stessa del
gruppo che riteneva i temi di Nationwide
“naturali”, ovvi e non problematici.
I sindacalisti e la lettura
negoziata
• All’interno di questo gruppo venivano prodotte letture
negoziate o oppositive: la risposta non era frutto della
posizione di classe “ but rather the result of differential
involvement and positioning in discourse formation”
(Morley 1983).
• In generale i sindacalisti erano spettatori regolari di
Nationwide e approvavano i temi e i modi del
programma, identificandosi nel “we” del programma
stesso (“it seems to be a programme acceptable to the
vast majority of people”)
• Sui temi più concreti, locali – per esempio quelli
riguardanti la posizione del sindacato – emergevano,
tuttavia, letture oppositive o negoziate.
I commessi e la lettura oppositiva
• Furono i commessi ad offrire spontaneamente la
lettura oppositiva più articolata e radicale.
• Essi rifiutavano il tentativo del programma di
costruire un “noi” nazionale, coerentemente con
quanto fatto da altri media e programmi.
Gli studenti di colore e la critica
del silenzio
• Questo gruppo era completamente distante dal
discorso di Nationwide (noioso e affatto
interessante).
• I temi e la cornice culturale del programma non
erano i loro temi e la loro cornice.
• Essi chiaramente indicavano che quello non era
un programma per loro, ma per “older people,
middle-class people”.
• Non rientrava nei loro interessi (“why didn’t they
never interview Bob Marley?”).
• La distanza dal programma era il riflesso di una
distanza marcata dalla “tv seria” e dalla politica.
Una mappa culturale delle
audience
• È possibile dire che tutti i gruppi coinvolti
condividevano, al loro interno, una comune
posizione di classe, ma le loro decodifiche del
programma erano orientate differentemente
sulla base dei discorsi e delle istituzioni in cui
erano inserite.
• “Per capire i significati potenziali di un
messaggio dato abbiamo bisogno di una mappa
culturale dell’audience alla quale il messaggio si
rivolge – una mappa che mostri i differenti
repertori culturali e le risorse simboliche
disponibili a sottogruppi posizionati
differentemente all’interno dell’audience” (Morley
1983).
“Una valida, anche se limitata, protesta”
Janice Radway: Reading the romance 1987
Movimento femminista e ricerca
femminista
• Dal punto di vista storico è possibile distinguere
due diverse ondate del movimento femminista:
• la prima (seconda metà del XIX secolo) si
caratterizza per un movimento politico, liberale
per la partecipazione politica paritaria (diritto di
voto, accesso alle cariche pubbliche, accesso a
livelli di studio superiori etc);
• la seconda (a partire dagli anni ’60) si poneva
l’obiettivo di tradurre nella pratica sociale i diritti
conquistati dai primi movimenti femministi.
Obiettivi del movimento
femminista
• È nella vita quotidiana che diventa manifesta
l’azione duratura dei rapporti sessuali e dei
rapporti di potere, sia nella sfera privata che nel
pubblico.
• L’obiettivo è, quindi, quello di arrivare
all’affermazione delle donne in tutti i settori in cui
erano in posizione marginale e prendere, al
contempo, coscienza delle gerarchie sessiste
all’interno della società, che mantengono le
donne intrappolate entro i ruoli (e i discorsi) del
sistema patriarcale.
Il femminismo e l’accademia
• Sulla scorta delle riflessioni teoriche di Foucault
(analisi del discorso) e di Lacan (psicanalisi) sul
soggetto, il movimento accademico “ha
contribuito in maniera fondamentale a evitare
che la differenza sessuale fosse ritenuta
determinata dalla natura, bensì scaturente
all’interno di processi psichici e corsi storici
specifici, e che quindi i ruoli assegnati alle
donne, come agli uomini, siano determinati
culturalmente e dunque non determinabili
biologicamente” (Lutter, Reisenleitner 2002)
La ricerca femminista e i cultural
studies
• Partendo, come gran parte degli studi culturologici,
dall’idea di classe, i primi studi femministi in seno ai
Cultural Studies (Women’s Studies Group del CCCS), si
concentrarono sulla condizione della donne e delle
giovani appartenenti alla classe operaia, in ambito
familiare, scolastico, lavorativo e del tempo libero.
• Queste donne erano considerate come soggetti in
posizione subordinata, dal punto di vista sociale e
sessuale, ma in grado di conquistare spazi per lo
sviluppo di pratiche autonome, di autodeterminazione
oltre che di opposizione.
• Coerentemente con l’approccio di Fiske, le studiose
femministe ritengono che i gruppi subordinati utilizzino i
media “for pleasure”, ed è questo piacere che consente
l’identificazione di gruppo, classe o gender.
Il significato della lettura e il
significato del testo
• Osservando il fenomeno della lettura di un
romanzo, secondo la Radway è possibile
distinguere analiticamente tra il significato
dell’azione (del leggere) e il significato del testo
letto.
Leggere: un’attività combattiva e
compensatoria
• L’analisi etnografica condotta su un gruppo di
donne che leggevano storie sentimentali ha
mostrato che la lettura è un’attività
• combattiva, nel senso che leggere consente
alle donne di rifiutare temporaneamente la
propria posizione all’interno della famiglia, e le
richieste costanti della famiglia stessa, per fare
qualcosa per il proprio piacere personale.
• compensatoria, in quanto la lettura risponde a
bisogni femminili non riconosciuti all’interno
della famiglia, dove la donna è vista come una
risorsa pubblica a disposizione delle esigenze
familiari.
Un rituale collettivamente
elaborato
• “La lettura e la scrittura di storie sentimentali
potrebbe essere vista come un rituale
femminile collettivamente elaborato, attraverso
il quale le donne esplorano le conseguenze
della loro comune posizione sociale, come
appendice degli uomini, e provano ad
immaginare una situazione migliore in cui tutti i
bisogni, sentiti così intensamente e accettati
come tali, possano essere adeguatamente
soddisfatti” (Janice Radway 1987)
Il bisogno nel reale e nel
fantastico
• Se la lettura rappresenta, dunque, una tacita
ricognizione sul fatto che l’attuale posizione
della donna all’interno del sistema patriarcale
non sia soddisfacente in termini di benessere
emotivo
• è pur vero che la lettura non fa niente per
cambiare questa situazione.
• La lettura, cioè, può sviare il bisogno/desiderio
di chiedere soddisfazione nel mondo reale, dal
momento che tale soddisfazione viene trovata
nel mondo della fantasia.
Una comunità separata
• Sebbene scrivere e leggere romanzi
sentimentali aiuti a creare una sorta di comunità
femminile,
• questa comunità è mediata dalla distanza che
caratterizza l’organizzazione capitalista e la
produzione di massa delle storie.
• Poiché la lettura di un libro è un atto privato,
isolato,
• le donne “non si trovano mai insieme a
condividere l’esperienza di una immaginazione
oppositiva o, cosa ancora più importante,
l’insoddisfazione che, in primo luogo, da origine
al loro bisogno del romanzo sentimentale”
(Radway 1987)
Una dichiarazione di
indipendenza
• Quando l’atto di leggere storie romantiche è visto come
tale da chi legge, può essere considerato un’attività di
tenue protesta e attesa per un cambiamento
dell’istituzione patriarcale, incapace di soddisfare i
bisogni emotivi delle donne.
• Leggere funziona come atto di riconoscimento e
contestazione, per mezzo del quale il fallimento
dell’istituzione patriarcale è prima ammesso e, poi,
rovesciato.
• Reading is “a declaration of independence”,
“This is my time, my space. Now leave me
alone”
… ma anche una protesta
disarmata
• Tuttavia,osservando la lettura di storie
romantiche dal punto di vista del femminismo,
cui piacerebbe vedere l’impulso oppositivo
tradotto in cambiamenti reali, questa attività può
essere vista come potenzialmente disarmante.
• Questo in quanto la lettura può supplire
vicariamente a bisogni reali, che potrebbero
altrimenti essere formulati come istanze e
richieste nel mondo reale, spingendo per un
cambiamento delle relazioni tra i sessi.
Consapevolezza della storia e di
sé
• Il discorso narrativo del romanzo
sentimentale è strutturato in modo da
essere piegato dalle più familiari strategie
della lettrice, in termini di inferenze sempre
immediatamente confermate.
• D’altra parte, mentre la lettrice ricostruisce
la storia essa non solo percepisce ciò che
verrà dopo, ma riconosce anche la sua
capacità di attribuire senso al testo e alle
azioni umane.
L’inganno del romanzo
• Tuttavia, il mondo finzionale ricostruito dalla
lettrice, se riconosce la capacità e il potere
delle donne che lo interpretano, allo stesso
tempo ne rinforza le tradizionali limitazioni,
validando il dominio dei temi domestici e
delle relazioni personali (rappresentati nel
romanzo) nella loro vita.
• “La lettrice si trova coinvolta in un processo
che rafforza il senso delle proprie capacità
e, contemporaneamente, crea un simulacro
del suo limitato mondo sociale all’interno di
una più glamourosa fiction” (Radway 1987)
Dentro al romanzo
• Osservando il consapevole coinvolgimento delle lettrici
nel romanzo, appare evidente che esse credono di
essere coinvolte in una storia in cui il trionfo della donna
corrisponde alla trasformazione di un inadeguato
corteggiatore in un “protettore del perfetto amore”.
• La ricostruzione del senso del romanzo porta, quindi, le
lettrici a:
• In primo luogo, protestare, in modo vicario, contro
l’incapacità iniziale dell’uomo a comprendere una donna
• In secondo luogo, acquisire il dominio della propria
paura nei confronti della violenza fisica da parte
dell’uomo.
• Infine, esprimere la propria opposizione nei confronti dei
valori del capitalismo, attraverso la capacità dell’eroina di
portar via l’eroe da un mondo di denaro e status verso la
supremazia dei suoi valori (femminili).
La lettura come catarsi
• Sebbene, dunque, la storia consenta, in
principio, alla lettrice di indulgere nella rabbia nei
confronti dell’uomo, tale rabbia appare alla fine
ingiustificata nei confronti di un uomo, la cui
indifferenza o crudeltà si trasforma in sentimenti
d’amore.
• La lettura diventa, dunque, catartica perché
consente di esprimere rabbia verso gli uomini
nell’immaginario e, allo stesso tempo,
suggerisce che questa rabbia non è giustificata,
in quanto dipende dall’incapacità
dell’eroina/donna di leggere correttamente un
uomo.
L’ideologia conservatrice del
romanzo romantico
• Pur sottolineando la linea di separazione tra sfera
pubblica, degli uomini, e sfera privata, delle donne, la
storia romantica continua a giustificare quella posizione
sociale delle donne, che da origine a quella
insoddisfazione, da cui nasce il desiderio di leggere il
romanzo stesso.
• Il romanzo è “un agente attivo nel mantenimento dello
status quo ideologico perché in definitiva esso riconcilia
le donne con la società patriarcale e le reintegra
all’interno delle sue istituzioni.
• [spostando tutto sul piano dell’immaginario, il romanzo
così] protegge la più importante arena della cultura da
una collettiva elaborazione al femminile della
insoddisfazione verso gli effetti della società patriarcale
sulla vita delle donne” (Radway 1987).
Il ruolo delle femministe
• “se le donne cominceranno a comprendere
che il loro bisogno dei romanzi è il prodotto
del loro status di dipendenza come donne e
della loro accettazione del matrimonio come
unica strada per la realizzazione femminile,
io penso che noi, come femministe,
dovremmo aiutare questo cambiamento,
imparando in primo luogo che la lettura del
romanzo nasce da una reale
insoddisfazione e racchiude in sé una
valida, anche se limitata, protesta” (Radway
1987)