Gabriele Gabrielli - Studio Gabrielli Associati

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Gabriele Gabrielli - Studio Gabrielli Associati
RASSEGNA STAMPA
Gabriele Gabrielli
Marchigiano, si laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Macerata. Consegue successivamente il Master in Psico-Sociologia dell’Organizzazione presso Organizzazioni Speciali di Firenze e il Master in Corporate Coaching presso la scuola Corporate Coach U Italia.
E’ docente di Organizzazione e gestione delle risorse umane e di Sistemi di remunerazione e gestione delle
risorse umane presso la Facoltà di Economia della LUISS Guido Carli. Ha incarichi di docenza
anche all'Università Europea di Roma e all'Università Politecnica delle Marche. E’ responsabile
dell’Area Executive Education & People Management della LUISS Business School, di cui
dirige anche il programma Executive MBA.
È stato Direttore Centrale Risorse Umane e Organizzazione di Ferrovie dello Stato; Direttore
Risorse Umane, Organizzazione e Qualità di Wind Telecomunicazioni; Direttore Personale e Organizzazione della Divisione Generazione e Energy Management di Enel e di Enel Produzione;
Direttore Centrale Risorse Umane di Gruppo Coin; Direttore Personale e Organizzazione Divisione Servizi Internazionali e dello Sviluppo Manageriale di Telecom Italia; ha diretto l’Ufficio
Studi delle Relazioni Industriali della Sip.
E’ autore e curatore di numerosi volumi e articoli sulla gestione delle risorse umane e sullo
sviluppo organizzativo. Tra i più recenti contributi:
09/06/2011
(con al.), Costruire un futuro sostenibile. Cooperazione, mutualità, partecipazione, Luiss University Press,
Roma, 2011
People management. Teorie e pratiche per una gestione sostenibile delle persone, FrancoAngeli, Milano,
2010;
(con al.), Development Factory, Franco Angeli, Milano 2010;
Il lavoro a più dimensioni, Luiss University Press, Roma, 2008;
Conoscenza, apprendimento, cambiamento, Franco Angeli, Milano, 2006;
Remunerazione e gestione delle persone, FrancoAngeli, Milano, 2005.
Giornalista pubblicista, formatore e coach scrive editoriali e cura rubrica per newsletter, webmagazine e riviste sui temi della leadership e dello human resource management.
Per altre informazioni:
www.gabrielegabrielli.com
contatti:
[email protected]
[email protected]
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
L’analisi – Pluralismo e inclusione sono indispensabili
Tra risorse umane e visione di squadra
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05-11 febbraio 2011
La Gazzetta dell’Economia
Ridisegnare sistemi, processi e strumenti di valorizzazione delle risorse umane. È la sfida che coinvolge la funzione e i
professionisti hr, un cambio di rotta imposto dalla trasformazione dei modelli sociali, economici e di business. I mutamenti
più significativi, crescente dimensione internazionale delle imprese e continuo cambiamento del contesto competitivo,
esigono politiche di people management organiche alla pianificazione strategica.
La frammentazione di interessi, aspettative, identità e la contestuale ridefinizione dei concetti di lavoro e del successo, richiedono alle organizzazioni apertura, pluralismo e capacità di includere la diversità. Così, anche i modelli di leadership
sono sottoposti a una radicale revisione.
Dopo la prefazione di Raoul Nacamulli, Ordinario di Organizzazione Aziendale presso l’Università di Milano-Bicocca, il
libro si articola in due parti. Nei primi capitoli, le riflessioni teoriche proposte da Gabriele Gabrielli e Ornella Chinotti.
Gabrielli racconta l’evoluzione e l’ampliamento dell’idea di sviluppo. A riguardo, le organizzazioni necessitano di metodologie nuove, orientate alla scoperta, all’innovazione e alla sperimentazione. Si rende indispensabile la disponibilità a recepire, comprendere e sfruttare i feedback come forma di apprendimento dinamico.
Riqualificate dalla metamorfosi in atto, le aziende diventano development factory, luoghi e laboratori per innovare e ottenere il massimo dalle risorse umane. Tutte le attività, i processi e gli strumenti di people management tendono alla valorizzazione delle strategie che il singolo mette in atto per raggiungere i propri obiettivi. Il metodo fonda la sua efficacia sulla
flessibilità e sul valore della diversità, cioè sulla conoscenza delle numerose variabili che influenzano il comportamento
organizzativo e sulla considerazione della persona come soggetto autonomo.
Una responsabilità diffusa all’interno dell’organizzazione presuppone pure un forte ripensamento del concetto di
leadership: capacità di costruire e comunicare alla squadra visione e senso del progetto. Il secondo capitolo, a cura di Ornella Chinotti, offre proprio una lettura della leadership e della sua evoluzione: profonda conoscenza di sé, ancoraggio
solido ai propri valori e scelta di ruoli coerenti. La Chinotti propone l’applicazione della psicologia positiva allo sviluppo
delle risorse umane. La disciplina pone alcune questioni fondamentali: in particolare, la possibilità che i leader possano
creare organizzazioni altamente efficaci puntando su individui in grado di utilizzare i propri punti di forza per ottenere
performance straordinarie.
Il libro raccoglie sette case study di grande rilevanza, inerenti aziende italiane ed estere. Nella forte vicinanza alle pratiche
aziendali risiede il valore aggiunto di questo testo. Il metodo consente di apprendere induttivamente, attraverso la generalizzazione di dati ed evidenze empiriche, modelli e teorie manageriali. Un approccio reso possibile dalla collaborazione,
nella stesura, fra un team di ricercatori universitari della Luiss Business School e gli specialisti di Shl Italy, divisione italiana
di una società di consulenza internazionale leader nel campo dello sviluppo delle risorse umane. I casi citati sono stati individuati sia per la rilevanza dell’impresa sia sulla base della precedente collaborazione dell’impresa stessa con Shl.
Significativo l’esempio di Ikea. La direzione hr Italia traduce in pratica la people idea del colosso svedese. Le persone,
manager e risorse operative, sono incoraggiate ad assumersi la responsabilità della propria crescita e, a tale scopo, hanno a
disposizione un kit di strumenti di autovalutazione e definizione del percorso di sviluppo e formazione. Pur sempre nel
rispetto del value statement aziendale.
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
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Intervista – Gabriele Gabrielli, docente della Luiss “Guido Carli”
“Armonizzare le diversità per dare un senso al lavoro”
“Una peculiarità di questo momento
storico è il disorientamento. Siamo
tutti accomunati dalla continua ricerca
di senso. Ecco, chi ricopre incarichi di
responsabilità nell’impresa, dal mio
punto di vista, dovrebbe aiutare le
persone a costruire senso del e nel
lavoro. Sembra facile, ma è un tema
complesso e poco frequentato”.
Gabriele Gabrielli è docente di Organizzazione e Gestione delle Risorse
Umane presso la Facoltà di Economia
della Luiss Guido Carli e
dell’Università Politecnica delle Marche. È responsabile dell’Area
Executive Education & People
Management della Luiss Business
School, di cui dirige anche il programma Executive Mba. Ha ricoperto il
ruolo di direttore delle risorse umane
in diverse aziende e gruppi, pubblici e
privati.
Restituire potere alle persone: è il
punto chiave dell’approccio di Develoment Factory?
“Assolutamente sì. Il libro pone
l’individuo, nella sua complessità, al
centro del dibattito, con tutto ciò che
ne consegue. Il rispetto e la valorizzazione della persona, prima che del
professionista, sono centrali. Questa
considerazione ha ricadute significative. Sul concetto di leadership, ad esempio: è necessario che i capi coltivino il desiderio di conoscere i propri
collaboratori nel profondo e che si
pongano domande attinenti. Perché
non c’è un solo modo di agire
all’interno di un’organizzazione. Per un
certo approccio, prevalente, allo sviluppo delle persone deve pensare
l’impresa, che detiene un monopolio in
questo senso. Ma è evidente che, oggi,
questo concetto lascia il tempo che
trova. E che il monopolio deve trasformarsi in qualcos’altro. Sempre più, la
percezione dell’avanzamento professionale cambia. Sono le persone a dover pensare al proprio sviluppo. La
carriera che molti desiderano, ai giorni
nostri, è quella che consente di realizzare scopi, progetti, sogni, a prescindere dalla mera scalata di posizioni.
Un’organizzazione deve conciliare
queste due dimensioni. E, per conciliarle, dovrebbe essere concepita come
un’officina in cui convivono tanti strumenti. In questo quadro, la carriera
smette di essere vincolata ad una sola
impresa per diventare sempre più transorganizzativa. Il percorso, cioè, si
costruisce con passaggi tra realtà diverse. Ci sono molti casi di aziende che
seguono ex dipendenti, impiegati altrove, nell’intenzione, ad esempio, di stipulare accordi di partnership”.
La diversità è un valore da coltivare. Il lavoro di un’impresa, però, è
ispirato da principi che sono legati
alla mission. Come possono questi
coesistere con la diversità e trarne
vantaggio?
“Un’impresa esiste perché ha una ragione d’essere. E vive fino a quando è
coerente con la sua missione. Le aziende devono comunicare bene la loro
mission. Comunicare bene la mission
diventa un modo per attrarre le persone e aggregarle attorno ad uno scopo.
Non tutti sono disponibili a lavorare
per tutte le mission. Questo è già differenziare, è già far emergere un’offerta
compatibile con la domanda. I leader
devono sempre verificare
l’allineamento tra l’organizzazione e gli
individui che la compongono. La diversità è linfa vitale. È necessario comprendere ciò che muove le persone,
nella consapevolezza che gli stimoli
cambiano. Come, del resto, cambiano
le organizzazioni. Il tempo è una componente di estrema importanza, mai
abbastanza considerata. Ciò che oggi
spinge qualcuno a lavorare in
un’azienda potrà non bastare a trattenere quel qualcuno nella stessa azienda
domani, perché le strutture motivazionali cambiano. O meglio: le componenti della motivazione non mutano,
ma varia la loro entità”.
La crisi ha relegato in secondo piano il dibattito attorno al tema delle
risorse umane o, al contrario, lo ha
reso più urgente?
“La crisi sta rendendo più vivo il dibat-
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La Gazzetta dell’Economia
tito, senza dubbio. Come è diffusamente argomentato, il reale fattore di
successo per l’impresa è costituito dalla
persona. A maggior ragione ora. La
cosa diventa ancora più cruciale. Dieci
anni addietro, in piena new economy,
sembrava che le aziende potessero
essere gestite solo da trentenni. Oggi,
la congiuntura economica sfavorevole
spinge a rivalutare il ruolo delle persone con maggiore esperienza. Sempre di
più, nelle imprese, convivono quattro
generazioni. Ecco, questo attiene al
tema della diversità. La crisi rimette al
centro il lavoro in tutte le sue nuove
complessità, che sono anche elementi
di contraddittorietà. Personalmente,
credo che gestire le imprese sia come
gestire ossimori, gestire cose che sembrano non poter andare d’accordo.
Ecco l’essenza del nuovo management.
Non c’è alternativa. Giovani e meno
giovani sono destinati alla cooperazione nelle organizzazioni, perché la vita
si allunga e le pensioni si allontanano.
Le imprese devono tenerne conto”.
Nella prefazione, Raoul Nacamulli
cita tre modelli di leadership: Barack Obama, Sergio Marchionne e
Karol Wojtyla. Qual è, invece, il suo
prototipo di leader moderno?
“Non ho un modello identificabile in
un personaggio. Sono convinto che, in
questo momento, occorrano piuttosto
dei tratti particolari. In primis, tutto ciò
che ha a che fare con l’attitudine ad
essere inclusivi è fondamentale. Per
l’economia come pure per la società.
Siamo naturalmente portati a privilegiare modelli di leadership autoritari,
ma c’è un dato davanti al quale non
possiamo restare indifferenti: il mondo
diventa sempre più partecipativo. Tutto si disintermedia: l’informazione, ad
esempio. Tutto è frutto di collaborazione, di partecipazione. Molte imprese mettono a punto wiki aziendali,
community, per condividere esperienze, sentimenti, modi di fare. Non c’è
bisogno di autorità. Piuttosto, i leader
devono essere partecipativi, capaci di
conciliare, di integrare, culture, pensieri
e persone”.
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
Intervista | Gabriele Gabrielli –Luiss Guido Carli di Roma
In pista il people manager
Alle aziende servono idee innovative da mettere subito in pratica
Quale sarà il futuro delle risorse umane? Come cambierà il settore? Quali le
prossime sfide in un momento in cui si
deve riorganizzare l’impianto comunicativo all’interno dei gruppi, per facilitare il consolidamento dei rapporti
professionali? A chiarirci le idee su
questi temi è un esperto del calibro di
Gabriele Gabrielli, docente di Organizzazione e gestione delle risorse
umane alla Luiss Guido Carli di Roma
e direttore dell’Executive Mba della
Luiss Business School.
Quali sono i driver che stanno chiedendo un cambiamento anche alla
funzione delle Risorse umane?
Le trasformazioni culturali, sociali ed
economiche che caratterizzano
quest’epoca di profonda transizione
impongono al management una grande agilità di pensiero e azione. Ci si
muove in un ambiente incerto e dinamico dove una giostra sempre in movimento frammenta senza sosta interessi, aspettative e identità. C’è bisogno di un contributo diverso da parte
della funzione risorse umane e dei suoi
professionisti. Forse non basta più
lavorare per costruire un approccio da
business partner giocato – come spesso si fa – in una chiave interna
all’organizzazione.
Si tratta di una nuova sfida?
È proprio così. Si è lavorato molto per
assecondare la necessità di
un’evoluzione “multi-ruolo” delle
risorse umane nel senso prospettato da
Dave Ulrich più di dieci anni fa. Le
direzioni del personale hanno dato una
diversa qualificazione alle competenze,
per renderle capaci di aggiungere valore in una filiera sempre più complessa
e talvolta disarticolata dai processi di
riorganizzazione del business. Quello
che abbiamo di fronte, ora, è un quadro che deve fare i conti con una prospettiva sempre più multi-relazionale,
dove giocano in modo autorevole una
crescente pluralità di soggetti con cui
occorre saper interagire per compren-
derne strategie e obiettivi.
Cosa ci si attende allora dalle
“nuove” risorse umane?
Le aspettative nei confronti della funzione e le misure di efficacia del suo
contributo hanno a che fare sempre di
più con la capacità di costruire legami
e leggere le relazioni che si moltiplicano dentro i contesti organizzativi. Al
settore è richiesto di progettare architetture che facilitino il dialogo tra molte diversità utilizzando vecchi materiali
e sperimentandone di nuovi. E non è
facile. Ma l’economia della conoscenza
richiede anche alla funzione del personale di esercitarsi nel trovare approcci
e strumenti che moltiplichino il valore
della conoscenza. Tra i nuovi strumenti ci sono la rete e le metodologie per
analizzare le relazioni tra le persone. È
qui, cioè nella capacità di essere architetti di apprendimento, che si gioca la
creazione di valore. Nella costruzione
di ambienti di lavoro inclusivi, capaci
di mettere insieme stabilmente ciò che
appare fluido. La sfida non è di poco
conto perché richiede un cambiamento mentale prima che operativo. Continuerà a rimanere forte, poi,
l’aspettativa di un supporto nei confronti dei capi. La funzione del personale dovrà continuare a spendere tempo, valori, competenze e leadership
per “educare” i manager – a qualunque
livello – a sviluppare motivazione e
benessere individuale e sociale. È una
priorità faticosa e talvolta poco premiata, che presuppone un lavoro sotto
traccia dei professionisti delle risorse
umane, un presidio costante che non
fa notizia, ma contribuisce a creare
valore.
Come si possono motivare e
“ispirare” le persone nei contesti
organizzativi?
Compito del management è proprio
quello di motivare persone e gruppi a
fare sempre meglio e con la giusta
energia ciò che l’organizzazione si
attende da loro in termini di perfor-
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RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
mance, non dimenticando
che la risonanza tra progetti
personali e ambiente organizzativo è un forte driver
della motivazione.
La motiv azione ritorna a
rivestire, se mai l’abbia
dismesso, un ruolo centrale?
Certo. E in un contesto in
cui si lamentano significativi differenziali di produttività. Il governo della motivazione e del comportamento organizzativo è il
campo più rilevante per far
crescere produttività e qualità. Riconoscere che cosa è
importante per una persona
e che cosa per un’altra,
capire i valori e gli scopi
dell’una o dell’altra, così
come comprendere che
cosa incentivi davvero un
collaboratore e ciò che
invece previene o contiene
la sua insoddisfazione potrà
consentire alle imprese e ai
people manager di scegliere
la risposta giusta in un dato
contesto.
Cosa possono fare i
manager per agevolare
questo cambiamento?
Viviamo un’epoca dove
non c’è più un solo significato del lavoro ma una
pluralizzazione crescente
dei suoi significati e una
crescente diversificazione.
Oggi avere le competenze
per costruire ambienti organizzativi dove le persone
possano trovare e verificare
il “senso” del lavoro e del
loro commitment significa
possedere un differenziale
competitivo. La gestione
delle persone sarà di valore
dove riuscirà ad esaltare la
diversità e l’unicità delle
persone e delle loro storie.
I manager possono fare
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molto. Ad esempio aiutare
le persone a realizzare i
propri progetti di sviluppo,
valorizzando ciò che gli
individui trovano nell’organ
izzazione come fattori abilitanti la loro soddisfazione.
L’engagement delle persone
nei progetti e nelle attività
dell’impresa nasce da qui.
In un’epoca come questa
non è soltanto consigliabile
ma davvero necessario
investire energie per comprendere le dinamiche motivazionali, le caratteristiche
degli individui, le
“somiglianze” tra le persone. Solo questa conoscenza
consentirà alle organizzazioni e al management di
estrarre valore da politiche
di differenziazione, sottolineando le potenzialità di
ciascuno per conseguire
livelli crescenti di produttività, soddisfazione e clima
positivo.
Qualche domanda allo studioso di organizzazione
Gabriele Gabrielli
Può farci un esempio?
È di oltre 29 miliardi di
dollari l’incredibile fatturato
globale, che la Abbott
(health care) riesce a realizzare ogni anno. La società,
fondata oltre un secolo fa, è
presente in 130 Paesi nel
mondo. Sin dalla sua creazione, il caposaldo è stato
quello di mettere la propria
scienza al servizio
dell’umanità, per preservarne la salute. L’azienda, infatti, abbraccia con tutti i
suoi prodotti ogni fase della
vita umana, cominciando
dall’infanzia, e si impegna
con dedizione nella ricerca.
13/12/2010
Il Sole 24 Ore
Settembre 2010
Piceno33.it
L’economia e il lavoro vivono da vicino, anche nel nostro territorio, le questioni che la stanno caratterizzando quest’epoca di
forte cambiamento, almeno nell’occidente. Tra queste spicca per la sua multidimensionalità il tema della diversità che ha tante
facce e che può essere declinata in molti modi. Ne parliamo con Gabriele Gabrielli (www.gabrielegabrielli.com), un marchigiano che frequenta Offida da quasi 30 anni con un passato da manager in numerosi gruppi e grandi aziende del Paese e Docente di Organizzazione e gestione delle risorse umane all’Università Luiss di Roma. Dall’anno scorso insegna anche a San
Benedetto del Tronto, sede distaccata della Facoltà di Economia dell’Università Politecnica delle Marche.
Da dove vogliamo cominciare? Puoi dirci cosa significa gestire la “diversità” nel lavoro e nell’economia?
Credo che la cosa migliore per discutere di questo complesso tema sia partire da qualche esempio concreto e poi ragionarci
sopra. La diversità nel mondo del lavoro ha molte dimensioni, come già ricordavi. C’è quella dell’età che modificherà modi di
lavorare sfidando tutti. L’allungamento delle aspettative di vita, l’allontanamento nel tempo del momento per andare in pensione, il calo demografico sono tutti fattori che avranno certamente almeno una implicazione: più generazioni occuperanno
contestualmente i luoghi sociali e organizzativi.
Perché dici che è una sfida per tutti?
Perché richiede agli imprenditori, ai “capi” e alle persone una grande capacità di leggere e comprendere le aspettative degli
altri, coglierne le differenze e costruire le risposte professionali e di relazione più appropriate. Questa capacità di mettersi nei
panni altrui la considero la vera competenza di cui bisogna dotarsi per vivere bene sia nel sociale, sia nei luoghi di lavoro. Ed
è una competenza ancora non diffusa a sufficienza su cui bisogna lavorare predisponendo investimenti educativi a tutti i livelli. Sempre più vedremo lavorare insieme giovani di venticinque anni e anziani di sessantacinque e oltre; non solo. Già oggi
stiamo sperimentando cosa vuol dire lavorare anche con persone che appartengono a segmenti di età diversi, come i
trentacinquenni e gli over fifty, come li chiamiamo, ossia quelli che hanno superato la soglia dei cinquanta. Non è difficile
immaginare che ci siano in tutti i casi atteggiamenti verso il lavoro diversi; valori differenti; conoscenze e competenze molto
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variegate. Le generazioni infatti crescono e si formano in ambienti diversi. Occorre allora far stare tutto questo insieme in
modo produttivo e senza che generi conflitti, ricercando il benessere organizzativo e personale di ciascuno.
Credo che non sia proprio facile …
Beh, direi proprio di no! Immaginiamo, soltanto per fare un esempio, quanto possa essere diversa l’attitudine del giovane e
della persona più matura verso il “lavoro di gruppo” o, ancor di più, verso il lavoro cooperativo che ci offre la “rete” e che la
tecnologia ci spinge a usare. Le opportunità sono molte. Ma anche i rischi. Pensiamo per esempio se la tecnologia (o meglio la
maggiore o minore capacità di usarla) diventasse strumento di marginalizzazione … anziché occasione per integrare nel lavoro le diverse generazioni. Di esempi concreti ce ne sono davvero tanti. Insomma, fare i conti con la diversità, significa innanzi
tutto condividere un principio: che una società non può fare a meno di nessuno e che tutti possono e devono concorrere a
questo risultato. Lo deve fare la politica, attraverso lo strumento legislativo e gli incentivi più appropriati, lo deve fare
l’economia e le sue regole, lo deve fare l’impresa e il management. Ma non finisce qui, perché lo strumento più importante
per preparare la società a gestire le molte diversità è la scuola e l’educazione a tutti i livelli, a cominciare dalla famiglia per
arrivare all’università e poi ai luoghi di lavoro.
Ecco che ritorna il tema delle molte dimensioni della diversità. Abbiamo toccato quella dell’età, ma ce ne sono
molte altre …
Quella dell’età, come dicevo, è forse la più evidente e sentita anche perché pone davanti a tutti la questione del confronto
generazionale e del rapporto giovani-anziani in una società. E’ stato molto interessante per me discuterne recentemente in
occasione di un incontro organizzato dal Rotary di Ascoli Piceno presso il Caffè Meletti. Mi sono fatto l’idea, parlandone con
molte persone che ricoprono ruoli diversi nella società e nel lavoro, che questo aspetto crea qualche preoccupazione e disagio, perché ci si sente forse impreparati. C’è però una grande voglia di comprendere per attrezzarci tutti. E questo è un bel
segnale, vuol dire che in questo territorio c’è una sorta di “dna inclusivo” che vuole accogliere e integrare. E’ un ottimo anticorpo contro i conflitti sociali che bisogna allontanare a tutti i costi. Ma l’età è solo un aspetto della diversità rilevante per
l’economia e il mondo del lavoro. C’è quella di “genere” che sta sempre più occupando le pagine dei giornali perché ci sono
molte –e talvolta discusse- iniziative al riguardo; c’è quella relativa allo status sociale, ancora ben presente nella nostra cultura;
c’è quella che può derivare dalla salute di ciascuno di noi; c’è poi quella altrettanto evidente della diversità del rapporto di
lavoro, per esempio a tempo indeterminato o determinato, part time o full time, a progetto e così via, con cui si presta la propria collaborazione e potremmo continuare. C’è poi, naturalmente, anche quella relativa alla razza e al paese di provenienza
…
Ecco, la diversità delle origini ha un impatto sempre più evidente anche nell’economia e nella gestione del territorio, non è vero?
E’ proprio così. Il tema del lavoro immigrato è uno dei più difficili da trattare, ma vorrei subito dire una cosa. Il lavoro e le
competenze che ci vengono portate da fuori dei confini sono solo “manna” per la nostra economia e per il nostro sviluppo.
Le ragioni sono tante e molto evidenti, a cominciare dal fatto che gli immigrati portano nel nostro Paese anche nuova natalità,
addolcendo un po’ gli indicatori statistici che ci vedono come una realtà che invecchia progressivamente senza capacità di
rigenerazione. Voglio sottolineare poi un altro aspetto. Quando parliamo di lavoro immigrato andiamo subito a pensare ai
lavori che nessuno vuol più fare; lavori dunque a basso contenuto professionale e che non richiedono grandi conoscenze e
competenze. Ma la realtà è ben diversa da questa percezione. Oggi lavoro immigrato significa anche lavoro imprenditoriale,
manageriale, professionale. In Italia, ormai, il numero degli imprenditori stranieri che vivono, producono e creano lavoro nel
nostro Paese si avvicina alle due cifre. Nel Piceno, un 5% circa delle piccole e medie imprese sono guidate da imprenditori di
origine straniera. Tutto questo è positivo, perché ci fa crescere e ci aiuta a sviluppare una cultura inclusiva, capace di valorizzare le differenze integrando persone, gruppi e ricchezza nella società. Ma occorre investire molto su questo aspetto, perché –
lo dicevo sopra- gestire la diversità è la chiave del futuro.
So che attorno a questo tema dell’accoglienza e della gestione della diversità stai raccogliendo idee e energie per
realizzare un Centro di Ricerca e di Formazione a Offida. Ci puoi anticipare qualche cosa?
Con molto piacere. Sì, è proprio così. Si tratta di un progetto molto ambizioso cui sto lavorando da tempo. Solo poche battute che sarò ben felice di poter sviluppare, se di interesse per i lettori, in una prossima occasione. L’idea è quella di aggregare le
migliori energie del territorio, istituzionali e private, e di alcune università per realizzare una serie di significative iniziative con
l’obiettivo di promuovere una cultura imprenditoriale, manageriale e del lavoro che valorizzi la persona nella sua unicità e
integralità, ritenendo questo approccio un fattore essenziale per costruire un futuro “accogliente” e prospettare uno sviluppo
sostenibile della società e dell’economia. Le idee sono molte e particolarmente ambiziose. Ora le stiamo meglio strutturando
per poterle realizzare a breve e contribuire così a rendere attrattivo questo bel territorio, valorizzando la ricchezza artistica,
culturale ed enogastronomica di Offida e di tutto il Piceno all’insegna dell’accoglienza.
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
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Glamour Lab
Come cavarsela alla grande con il proprio capo
10 lettori e la loro giornata in redazione con 4 tutor speciali. Ora tocca a te seguire la
lezione.
Si sa, il boss
non si sceglie. E
pretendere di
cambiare il suo
modo di usare il
potere è assurdo. Ma noi abbiamo una responsabilità nel
determinare la
qualità dei rapporti con lui, a
volte la sottovalutiamo. Al nostro laboratorio
attivo si sono
confrontati capi
e non capi. Obiettivo: trovare un modo efficace di
interagire sviluppando l’arte della followership, e cioè della collaborazione
fattiva con il leader, qualunque sia il
suo profilo caratteriale.
SE IL CAPO NON MI CHIEDE
MAI COSA PENSO
Marta «Io vorrei un rapporto più costruttivo con il capo, ma lui non sembra interessato a ciò che penso».
Gabrielli «C’è un punto chiave, Marta,
che aiuta ogni relazione e su cui invito
tutti a riflettere. Solo chi riesce a infilarsi gli occhiali dell’altro per guardare
lo stesso mondo ha una chance per
costruire un buon rapporto. Lo fai
ogni tanto? Ti metti nei panni del capo,
pensi alle pressioni a cui è sottoposto?».
Montanari «Se fai questo esercizio,
potresti anche scoprire che non è il
capo a non ascoltarti, ma tu a essere
poco incisiva quando parli. Nella mia
esperienza ho notato che a volte vi
manca un po’ il dono della sintesi.
Allenatela: è una dote preziosa, utile
anche quando dovete negoziare».
SE IL MIO CAPO MI INTIMIDISCE
Valentina «Altro che concisa: davanti
al capo io mi blocco. Eppure non sono
né timida né insicura».
Montanari «Primo, lavora sulla tua
autostima. Ma attenta: non quella che
valorizza le capacità cognitive, qui noi
siamo donne forti. Piuttosto quella che
si basa sulle cosiddette soft skill, sulle
doti personali: saper comunicare, parlare in pubblico, negoziare».
Gabrielli «Io aggiungo: in questi casi
può aiutare costruire con il boss una
relazione personale. Apritevi, condividete con lui le vostre aspettative, anche
le vostre emozioni a volte. È un rischio
ma va messo in conto. L’obiettivo è
ottenere il suo rispetto per voi come
persone prima che come professionisti».
Saolini «Così potete anche creare uno
storico piacevole di scambi e incontri:
riportarli alla mente se siete a colloquio
con lui, può ridurre l’ansia».
E SE VUOLE UNA RELAZIONE
TROPPO PERSONALE
Maria «Per me è stato il contrario: a
furia di condividere luci e ombre, il
capo si sentiva autorizzato a invitarmi
a cena, senza secondi fini s’intende, ma
per parlare di lavoro. Rifiutare mi sembrava un errore».
Pola «Qui sei tu che
hai sbagliato. Non
dare per scontato che
al tuo capo sia concesso tutto. Fissa anche
tu le regole del gioco,
metti qualche paletto».
Saolini «E se all’inizio
sei stata troppo disponibile, non avere paura
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
di fare un passo indietro, di
ridimensionare il tuo impegno, pur con garbo».
SE MI ASSEGNA COMPITI CHE NON MI
SPETTANO
Laura M. «Il mio problema
è un altro: quando il mio
superiore mi assegna incarichi che non mi competono,
provo a mettere dei paletti e
passo per negligente».
Laura D. «Oppure per una
che non riesce a gestire le
richieste, che non è capace.
Anche a me succede».
Saolini «Qui è un po’ questione del ruolo che vi siete
costruite: avete sempre detto sì, il lavoro lo fate bene…
Il capo approfitta. Non
subite la situazione senza
dire nulla! Quanto meno,
fate notare il super-lavoro,
chiedete per quanto durerà
la situazione. A volte ci sta
anche un riconoscimento
economico».
Simona «Ma se hai un responsabile che non sa bene
qual è il tuo lavoro, quello
che fai in azienda?» .
Montanari «Oggi capita
con i nuovi mestieri del
web. Spiegagli cosa fai, sen-
za paura. Non ti rendi conto
che, con il divario digitale
che ci separa, noi abbiamo
tantissimo da imparare da
voi. Aiutateci a capire di più,
la formazione non è più
“one way”».
SE NON DA’ MAI UN
GIUDIZIO SUL MIO
LAVORO
Matteo «Sapete, invece, che
cosa succede a me? Sono
passato da una realtà piccola
a una grande azienda. E non
so a chi chiedere un feedback sul mio lavoro».
Gabrielli «Eh no, è importantissimo averlo. Scrive
Randy Pausch ne L’ultima
lezione, “se qualcuno ti dà
un feedback, vuol dire che si
preoccupa di te. Se non te lo
dà, preoccupati”. Cerca una
valutazione».
Montanari «Attenti però,
c’è un solo modo intelligente per fare tesoro del feedback: va ascoltato con attenzione, non bisogna ribattere
se c’è una critica. Prima va
metabolizzato e lasciato
sedimentare».
Pola «Qui vorrei ribadire il
ruolo di un capo: è quello di
farvi crescere. E le critiche e
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i no servono proprio a questo, non dimenticatelo e
imparate a farne tesoro.
Però non tutti vanno accettati passivamente. Sia ben
chiaro: siete una risorsa per
l’azienda. Se siete lì vuol dire
che investe su di voi: questo
deve darvi fiducia e sicurezza quando negoziate».
SE MI SONO GIOCATA
IL RAPPORTO CON
UNA LITE
Valentina «Un giorno ho
detto una frase di troppo,
eccessivamente sincera.
Come si recupera?».
Saolini «Non confondete
mai il coraggio di chiedere
con la temerarietà di dire
quello che pensate».
Montanari «Qui ci vuole una
buona intelligenza sociale,
cioè la capacità di capire
quelle regole del contesto in
cui vivete che vanno sempre
rispettate».
SE IL CAPO NON TIENE CONTO CHE SONO MAMMA
Silvia «Ho un bimbo di 8
anni, non voglio sacrificare
tutto il mio tempo al lavoro:
ma con questo non sono
meno determinata a dare il
meglio».
Gabrielli «È un problema
molto diffuso. Hai mai pensato che il capo potrebbe
avere avuto la tua stessa
difficoltà di conciliare famiglia e lavoro? Anche qui
l’errore più grande è non
parlarne».
Saolini «Vero, ma bilancia
la tua assenza in alcuni momenti con lo spirito di iniziativa, con una disponibilità
alternativa nelle ore in cui
sei più libera».
SE IL CAPO E’ UN MIO
AMICO
Riccardo «Tutti questi consigli valgono anche quando
con il responsabile c’è un
rapporto di amicizia?».
Gabrielli «Certo. Ma siccome non è una situazione
facile, preparati anche a
gestire un coinvolgimento
molto forte, specie in caso
di delusioni».
Saolini «E definisci a priori
gli spazi (intimo, personale,
sociale…) da condividere
con il capo-amico».
Settembre 2010
Glamour
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
Presentato il libro di Gabriele Gabrielli
“People management”, nuove vie per l’impresa
PAGINA 9
25/07/2010
Il Messaggero
ROMA – Attrarre, trattenere e motivare le persone. Ma anche conoscere, valorizzare, rispondere ai bisogni dei propri collaboratori e comprenderne i loro obiettivi. Lavorare “con” e “attraverso” gli altri è diventata oggi la vera sfida principale di imprese, organizzazioni e manager.
La persona e la sua motivazione, le competenze individuali e di team sono il cuore del cambiamento e il motore di leadership efficaci. Non a caso, alle teorie e pratiche per una gestione
sostenibile delle persone Gabriele Gabrielli, docente di Organizzazione e gestione delle risorse
umane all’Università Luiss di Roma ha dedicato “People Management”, l’ultimo suo libro
edito da Franco Angeli, presentato nei giorni scorsi nell’ateneo romano, alla presenza, tra gli
altri, del direttore generale della Luiss Pier Luigi Celli, dell’imprenditrice Luisa Todini e di Alessandro Laterza, amministratore delegato dell’omonima casa editrice.
Progettato per una platea di studenti universitari, professionisti e manager dello Human Resources Management «questo volume – afferma Gabrielli, già autore di numerose pubblicazioni sulla gestione delle persone e sullo sviluppo organizzativo, tra cui “Remunerazione e gestione delle persone” (2005) e “Conoscenza, apprendimento e cambiamento” (2006) – che ho
scritto negli ultimi due anni, quando ancora non eravamo nel pieno dell’attuale crisi economica, può essere uno strumento utile per riscoprire le relazioni che guidano i contesti organizzativi, nel caso specifico il rapporto tra capo e collaboratore». Non solo analisi e studi, quindi,
ma anche consigli.
Intervista | Gabriele Gabrielli – Università Luiss Guido Carli
«No ai tagli indiscriminati»
«Razionalizzare va bene, specie in tempi di crisi, ma serve una prospettiva di più ampio respiro.
Le aziende hanno bisogno di manager che portino una visione, nuove possibilità di crescita che
le rendano capaci di agganciare la ripresa. Si può tagliare, senza però arrivare a scarnificare fino
all’osso l’azienda, che altrimenti perde l’anima: con le scorciatoie non si va da nessuna parte».
Ne è convinto Gabriele Gabrielli, docente di Organizzazione e gestione delle risorse umane alla
Facoltà di Economia della Luiss Guido Carli, che al tema della gestione delle risorse umane in
tempo di crisi ha dedicato un libro uscito quest’anno, “People management. Teorie e pratiche
per il management sostenibile delle persone”, edizione Franco Angeli.
Come si affronta la crisi?
Non esistono ricette valide per ogni contesto. Di certo i tagli indiscriminati non servono perché
poi si finisce strozzati quando arriva la ripresa. È vero che non si finisce mai di fare efficienza,
una buona regola che vale ancora di più con la crisi. Ma anche durante i periodi difficili bisogna
continuare a investire su figure manageriali utili allo sviluppo dell’azienda. Va bene andare a
sollevare lo zerbino per vedere la polvere che si è accumulata e toglierla. Ma poi bisogna lavare
lo zerbino o ricomprarlo. Anche nella crisi non si deve entrare nella logica del taglio di breve
periodo. Occorre mantenere una prospettiva di lungo periodo.
Come?
Non bisogna privarsi di manager capaci di mettere in rete tutte le energie che cooperano alla
riuscita dell’impresa. Non va sottovalutata poi la variabile psicologica. Occorre fare crescere la
consapevolezza della propria forza a chi lavora in azienda. Servono manager positivi, in grado di
guardare oltre la crisi, di mantenere vivi il progetto e l’anima dell’impresa.
Un consiglio alle Pmi del Lazio.
Ci sono alcune buone pratiche che vanno coltivate. Le piccole e medie imprese devono continuare a puntare a fare rete, a mettere insieme le forze necessarie a fare innovazione e ricerca. Lo
sviluppo della capacità di connessione e di interrelazione è fondamentale. È importante agire
anche sul marketing territoriale, per capire dove sono le risorse che rendono opportuno anche
07/07/2010
Il Sole 24 Ore
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
PAGINA 10
l’investimento di altri soggetti nel proprio territorio, in una sorta di delocalizzazione al contrario.
Quali sono le professionalità che risentono più della crisi?
Ci sono di sicuro alcune professioni che hanno sviluppato meno anticorpi. Ad esempio nel mondo della ricerca. Se ogni due
mesi il budget aziendale per la ricerca viene tagliato, viene meno la stessa funzione del ricercatore che di solito gioca su un
orizzonte temporale medio-lungo.
Cosa ci insegna la crisi?
A guardare ai possibili spazi di nuovo sviluppo dell’economia. Penso al dibattito in corso sul tema dell’economia sociale di
mercato che ha un grande merito: stiamo arrivando tutti alla conclusione che il mercato non può essere lasciato a sé stesso,
che l’economia può essere organizzata diversamente, che c’è spazio per forme organizzative come la cooperazione che, pur
senza scartare il profitto, lavorano per uno sviluppo diverso.
I saggi studiano la cura per l’economia
A luglio pronto un piano strategico. Turismo “difficile”, meglio bel vivere e cultura
Concludono oggi l’intenso
lavoro della terza tornata,
dopo tre giorni di full
immersion nei problemi
economici della Provincia di
Ascoli, i 6 “tavoli” tematici e
il comitato dei saggi chiamati
dalla Fondazione Cassa di
Risparmio di Ascoli Piceno a
presentare, entro luglio, un
piano strategico per risollevare la nostra economia. È
una missione molto ardua
ma l’iniziativa della Fondazione ispirata dal presidente
Vincenzo Marini Marini, è
semplicemente meritoria
oltre che indispensabile. Al
contrario di quanto fanno
spesso enti pubblici e Politica, non si guarda
all’immediato ma al futuro.
«Non vogliamo certo scaval-
care gli amministratori pubblici – sottolinea Marini Marini – ma fornire strumenti
per l’elaborazione, se vorranno, di interventi specifici per
rilanciare l’economia del
territorio. Cerchiamo idee e
progetti realizzabili». La
“squadra” scesa in campo è
di altissimo valore. Effettuerà altri incontri in città, consultando altri operatori dei
vari settori, poi, come detto,
presenterà la sua sintesi.
Quali le ipotesi che stanno
maturando? Ad esempio lo
sfruttamento di bellezze
ambientali, enogastronomia,
patrimonio culturale, qualità
della vita e buon vivere in
generale. Ai tavoli
(coordinati dai professori
Renato Novelli, Tonino
Pencarelli e Massimo Sargolini) e ai saggi (Josep Ejarque, project leader, Umberto
Paolucci, Gabriele Gabrielli,
Giuseppe Alai e Roberto
Gambino), se questa sarà
l’indicazione finale, il compito di elaborare una proposta
strategica su base prettamente scientifica. In questi giorni, come i dottori fanno con
i malati, i tavoli e i saggi hanno effettuato un’accurata
“visita”. Sono emersi, ad
esempio per il turismo, gli
storici problemi della lontananza di un aeroporto, di
collegamenti adeguati con il
Tirreno, di una ricettività
insufficiente numericamente
e qualitativamente, eccetera.
Ma anche idee nuove. Comunque è presto per tirare le
somme.
Di
certo
l’operazione avviata dalla
Fondazione è molto alta e
darà risultati interessanti per
costruire lo sviluppo del
domani dove certamente
non si potrà più pensare a
nuovi insediamenti industriali di grande dimensione. Si
cercano insomma idee e
progetti che si possano tradurre in proposte operative e
naturalmente “vendere”
bene. Per la cronaca i saggi, a
titolo personale, sono tutti
rimasti affascinati dal centro
storico ascolano e dalle eccellenze alimentari del territorio (olive ascolane in primo luogo).
06/02/2010
Il Messaggero
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
PAGINA 11
L’investimento in un MBA alza la posta
Scegliere un master in busi-ness administration (Mba) vuol dire investire su se
stessi e sul proprio futuro. Se da un lato
i costi per iscriversi a questi esclusivi
percorsi di alta formazione raramente
scendono sotto i 30-40mila euro, dall'altro le garanzie di successo sono molto
elevate. Ecco allora che qualcuno si
autofinanzia tramite prestiti d'onore, in
accordo con gli istituti di credito, mentre altri (pochi) fortunati beneficiano di
borse di studio sponsorizzate dalle imprese, e altri ancora arrivano a pagare la
retta con i propri risparmi personali.
«Registriamo circa 1'8o% di occupati tra
i nostri allievi, a tre mesi dal conseguimento del titolo -afferma Valter Lazzari, direttore dell'Mba della Sda Bocconi
-. Si tratta di
un percorso
di studi con
un alto grado
di internazionalizzazione.
Dall'anno
scorso intera-
mente in inglese, raccoglie circa il 60%
di iscritti ogni anno dall'estero, con una
rappresentanza di quasi 30 paesi del
mondo». La Sda, tra l'altro, è presente
nelle principali classifiche internazionali
elaborate annualmente dal Financial
Times e dalle riviste economiche internazionali.
Interessante anche l'offerta della Luiss:
«Oltre alla formazione di base, che deve
essere comune a tutti, noi cerchiamo di
costruire l'anima del manager - afferma
Gabriele Gabrielli, docente in Organizzazione e gestione delle risorse umane presso la facoltà di economia della
Luiss e direttore dell'executive Mba
promosso dall'ateneo -. I nostri iscritti
seguono anche laboratori musicali o
teatrali e incontrano alcuni dei migliori
top manager sul campo che raccontano
la loro esperienza personale. In questo
modo offriamo anche un prodotto "di
tipo narrativo" in grado di sviluppare
immedesimazione e proiezione».
A scommettere sugli Mba, poi, sono
sempre più spesso le grandi aziende
che, per prime, decidono di investire
cifre elevate per la formazione dei propri manager: gli executive Mba finanziati dal datore di lavoro permettono ai
lavoratori di seguire le lezioni part time,
anche in distance learning. A settembre
parte per la prima volta il Gmp september
intake della business school internazionale Escp Europe, rivolto a manager
con solo tre anni di rilevante esperienza
lavorativa, una specie di corso di preparazione che apre le porte all'executive
Mba (per cui servono invece dai cinque
ai dieci anni di esperienza) e fornisce
competenze interfunzionali per ruoli di
general management a livello internazionale. Sarà strutturato in nove moduli mensili e si svolgerà fra i campus di Torino
e Londra. Al suo termine sarà possibile
scegliere, oppure no, di proseguire gli
studi frequentando lo European
executive Mba, che è inserito nelle classifiche del Financial Times dei migliori
percorsi executive in Europa e nel mondo.
21/09/2009
Sevel leader in cultura industriale
18/07/2009
Nella fabbrica del Ducato crescono i manager e i talenti d’azienda
ATESSA. - Non si possono
produrre beni competitivi e
aperti ai maggiori mercati del
mondo se prima non si produce cultura industriale. Se
questa è la risposta vincente
della Sevel a quel fenomeno
conosciuto come globalizzazione e col quale le imprese
lottano tutti i giorni per restare nel panorama mondiale
delle società che contano,
ecco allora che lo stabilimento Fiat abruzzese diventa
punto di riferimento per le
sfide di oggi e di domani. A
prescindere dalla crisi che ha
fermato la produzione con 18
settimane di cassa integrazione.
Ne sanno qualcosa i dirigenti
dell’azienda del furgone Ducato che per il secondo anno
accolgono per due giorni una
cinquantina di talenti e
manager aziendali iscritti a un
master della Luiss “Guido
Carli” coordinato dal direttore Gabriele Gabrielli, docente di Organizzazione e
gestione delle risorse umane,
e con Marcello Lando, docente di Gestione della produzione industriale.
Sì, perché nel seminario si
parla essenzialmente di risorse umane nelle varie sfaccettature: lancio di idee, trasferimento di conoscenze, parte-
Il Sole24Ore
cipazione al ciclo produttivo,
performance, In una parola:
Sevel. Il tutto racchiuso nella
“produzione agile”, la lean
production. «Questo nome»,
spiega Alfredo Leggero, direttore della Sevel, «cerca di
rendere con la sinteticità e
l’ovvia genericità di uno slogan, una realtà estremanente
complessa e tesa ad accrescere la flessibilità dell’impresa
attraverso strutture organiz-
Il Centro
zative agili, un’attività con
l’intelligente partecipazione
delle persone al processo
produttivo, un uso delle tecnologie meglio integrato con
l’attività umana».
In questo contesto la Fiat da
qualche anno applica il programma Wcm, World class
manufacturing, cioé la produzione di livello mondiale con
eccellenze nei processi di
qualità dei prodotti. E la Sevel è uno degli stabilimenti
più avanti nel Wcm. «Ma è
più importante», riprende
Leggero, «che le fabbriche
abbiano ripreso a generare
idee e si è ripristinata una
cultura del miglioramento e
della sfida continua. Di conseguenza è migliorato il clima, sostenuto dal coinvolgimento di tutte le persone.
Quello che si è innescato è un
gigantesco processo di crea-
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
PAGINA 12
Ai corsisti vengono mostrate anche le immagini
del Family Day dello scorso anno, quello al quale
l’amministratore delegato
della Fiat, Sergio Marchionne, partecipò facendosi
fotografare con ogni singolo lavoratore. La festa dello
slogan “Protagonisti delle
nostre vittorie”.
zione e di trasferimento di
conoscenze: le best practices, le pratiche migliori, presenti negli stabilimenti sono
state raccolte e trasferite per
mettere in circolazione e far
condividere la conoscenza
esistente».
comportamenti. In questo
periodo di crisi una risposta
va data dalla riorganizzazione del lavoro, dalla capacità
di stare sulla fabbrica, dalla
riduzione degli errori». «La
svolta di Marchionne alla
Fiat è stata questa», aggiunge
Lando, «cioè ha mostrato
attenzione agli investimenti e
alla tecnologia, ma soprattutto al personale. Del resto
Secondo il professor GaMarchionne non è un ingebrielli, «la Sevel è una delle
gnere ma un uomo di legge e
aziende Fiat che tengono la
soprattutto un filosofo».
persona al centro dell’attività
produttiva perché investe sui
Le immagini a corredo dell’articolo sono state scattate durante la visita degli allievi EMBA III ediz. allo stabilimento SEVEL e sono state aggiunte al
momento dell’impaginazione del presente documento.
Meno tecnica e più anima per i dirigenti
Anche i leader hanno un' anima. Nonostante le università non lo insegnino. E
così oggi, in tempi di crisi globale, c' è
chi propone il training dell'anima, un
approccio che rimette al centro la persona e pone l' accento sull' essere prima
che sulla tecnica. E' il filo conduttore di
un libro appena uscito, Leader dentro,
Luiss Press, che rispolvera con acume e
brillantezza di stile quella che in fondo
è saggezza millenaria: «Gnoti sauton»,
conosci te stesso. Ne discutevano già ai
tempi di Socrate. Un progetto di formazione inesauribile e rivoluzionario. L'
obiettivo dei tre autori Marco Ghetti,
Isabella Appolloni e Fabia Bergamo è
forte: mettere da parte almeno per un
momento tecnica e know how e riappropriarsi del sé. Un bravo leader infatti
è soprattutto leader di se stesso. «Sulla
scia di una scuola che ha dato grandi
risultati nel mondo anglosassone», spie-
ga Ghetti, presidente di Mosaic
Leadership Institute, «stiamo lavorando
ad un riequilibrio tra le varie componenti dell'’essere manager. In Italia la
formazione è strutturalmente sbilanciata a beneficio delle competenze tecnico
gestionali. La nostra cultura reputa che
il leader sia un ingegnere che deve manovrare una macchina organizzativa.
Per cambiare il mondo invece bisogna
lavorare su se stessi. Ed è difficile che
un leader che deve essere portatore di
cambiamento sia tale se non è capace di
lavorare al suo proprio cambiamento».
Così Mosaic Leadership Institute e
Luiss Business School promuovono
Leadership for Change, un programma
di business education in sei tappe che
viene proposto in edizioni parallele a
Milano e a Roma. «Nel mondo complesso in cui viviamo non ci si può
appiattire sugli strumenti», sostiene
Gabriele Gabrielli direttore dell'
Executive Mba Luiss, «non c’è soltanto
il fare perché non esiste una ricetta
precostituita. Occorre una riflessione
individuale e di gruppo e una prospettiva di medio lungo termine».
08/05/2009
Corriere della Sera
Gabriele Gabrielli e Marco Ghetti, foto aggiunta all’articolo al momento dell’impaginazione del presente documento.
IL LIBRO
08/12/2008
Il lavoro e l’impresa
Italia Oggi
Otto temi per uno strumento che vuole rispondere alla diversità del possibile e alla molteplicità dei percorsi. In sintesi, il libro
di Gabriele Gabrielli. Prendendo spunto dalla quotidianità e autoassegnandosi un profilo apparentemente sommesso, Gabrielli nel suo ultimo libro (Il Lavoro a più dimensioni. Frammenti di quotidianità, Luiss University Press, 280 pagine, 15 euro) trae a
sua volta spunto dalle sue esperienze di uomo d’azienda (Ferrovie, Wind, Enel, Coin, Telecom) e di formazione (è docente alla
Luiss e direttore dell’Executive Mba della Luiss Business School) e racconta uno spaccato niente affatto sommesso. La scrittura dei frammenti si presta in realtà a un tono, sempre elegante, ma intriso di passione culturale e civile. Quando parla della
necessità di un management più generoso, da classe dirigente, fortemente segnato dall’etica della responsabilità. Oppure quando fustiga il management del sottovento, degli slalomisti e dei galleggiatori d’azienda, sempre pronti a servire troppi padroni.
Oltre alla responsabilità, il viaggio di Gabrielli attraversa il tempo, la fiducia, il rispetto, le competenze, la partecipazione, la
comunicazione e la carriera. Capitolo, questo, in cui si indica come virtù il network e come peccato capitale la verticite, malattia
non solo senile di troppi manager.
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
Il saggio di Gabrielli
10/08/08
Il futuro del lavoro
Meno soldi, ma più tempo libero
Il mondo variegato e complesso del lavoro visto attraverso le lenti della quotidianità e dell’esperienza personale, affrontando i nuovi
temi che in un periodo come
quello della globalizzazione
attraversano velocemente i
confini. Questo fa Gabriele
Gabrielli nel libro “Il lavoro
a più dimensioni” (Luiss
University Press, pp. 278,
euro 15, nella foto a destra la
copertina). Docente di Organizzazione e gestione delle
risorse umane all’ateneo
romano, con un curriculum
da direttore delle risorse
umane per diverse aziende
statali e private, Gabrielli
divide il suo libro in capitoli
che fanno riferimento ad
alcune componenti fondamentali dell’ambiente lavorativo: tempo, responsabilità,
fiducia, rispetto, competenze, partecipazione, carriera,
PAGINA 13
comunicazione. E offre una
lettura utile per capire nuovi
e vecchi meccanismi di una
attività che da una parte risponde alle esigenze lavorative di persone e famiglie,
dall’altra si concentra
sull’organizzazione per capire per quale motivo si investa o meno sul lavoro, si
aprano nuovi punti vendita e
se ne chiudano altri.
Spazio è dedicato anche alle
nuove mode. Come quella
del “downshifting”, legata
alla sfera del tempo: scambiare una carriera economicamente soddisfacente ma
stressante con uno stile di
vita meno faticoso e retribuito ma più gratificante dal
punto di vista personale. Una
scelta di vita (e di lavoro) che
sta prendendo piede negli
Stati Uniti e si appresta a
sbarcare da questa parte
dell’Atlantico. Una scelta che
Libero Cultura
risponde al desiderio di
dedicare maggior tempo
della giornata a se stessi e
alla vita privata, mettendo
in conto una rinuncia remunerativa e professionale.
Gabrielli, tra le altre cose,
affronta anche il turbamento che provoca un
gesto ormai quotidiano
come quello del controllo
delle mail sul computer: «La
posta elettronica, insomma,
o meglio “quanta” posta
attrae e raccoglie la tua casella, sta diventando o, può
essere percepito, anche come
un indicatore di status». Vale
a dire la “certificazione che si
conta qualcosa, che è stata
fatta carriera. E se non scrive
nessuno? È una paura che
sta dietro l’angolo.
Occorre fiducia, la quale
«assume una grande impor-
04/07/2008
MANAGEMENT
Gabrielli, un libro per capire cosa ci piace del nostro lavoro
Comprendere e gestire il lavoro è un
tema centrale per il nostro benessere e
per quello della società. Il lavoro nella
sua concretezza, però, è una questione
assai complessa. Molti sono, infatti, i
punti di vista da cui lo si può osservare,
vivere e valorizzare. C’è la prospettiva
del mercato del lavoro e
dell’organizzazione, ma
c’è anche quella del gruppo in cui si lavora, fatto di
colleghi e di pari, di identità e di ruoli. Lo sa bene
Gabriele Gabrielli, 50
anni, metà dei quali trascorsi nel ruolo di
manager di importanti
aziende, e che al mondo
del lavoro ha dedicato un
libro non a caso dal titolo
“Il lavoro a più dimensioni” (edito da Luiss
University Press). Fram-
tanza per costruire relazioni
di lavoro positive e produttive, sia per le imprese che per
i collaboratori». Ovviamente,
serve che a infonderla, la
fiducia, ci sia qualcuno: ovvero un “capo coach” che
aiuti le persone a esplorare e
risolvere un problema o migliorare una prestazione. La
tecnica si chiama coaching e
sembra quella di un allenatore che scalda i suoi prima di
una importante sfida. Come
quella del lavoro.
menti di quotidianità raccolti dalla esperienza personale: Gabrielli che attualmente è docente di organizzazione e
gestione delle risorse umane presso la
Luiss, è stato infatti fino a un anno fa
direttore delle risorse umane e organizzazione delle Ferrovie dello Stato. «Il
volume, scritto sostanzialmente per i
Il Messaggero
capi - spiega l’autore- vuole essere una
lettura utile per approfondire la dimensione del management delle risorse umane, un modo per conversare su cosa ci
motiva e su cosa ci soddisfa nel lavoro.
Ma anche e soprattutto richiamare
l’attenzione su persone che in fondo
oltre a lavorare, di fatto hanno una vita
personale di ozio e
tempo libero da trascorrere in famiglia». E
sull’attuale ruolo del
direttore delle risorse
umane, Gabrielli non
ha dubbi: «Rispetto a
20 anni fa, oggi è un
vero e proprio architetto che ha il compito di
mettere insieme più
persone con diversi
punti di vista e modi di
lavorare».
Immagine scattata durante la presentazione del libro Il lavoro a più dimensioni presso “Bibli Caffè” a Roma e aggiunta all’articolo al momento
dell’impaginazione del documento
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
PAGINA 14
Il team building entra in classe
Outdoor e coaching personale arrivano anche agli MBA. E alle materie classiche come finanza
ed economia aziendale si affianca il training open air per far emergere i talenti, favorire il
lavoro di squadra e instaurare un clima di fiducia
Complessità, globalità, velocità e instabilità sono le
grandi questioni che i
manager di oggi devono
saper gestire in modo eccellente per competere sui
mercati. E tutti invocano le
soft skills, quelle capacità
relazionali e cognitive, di
leadership e comunicazione
che si aggiungono alla
“cassetta degli attrezzi” del
sapere specialistico.
Anche al Master con la M
maiuscola, il Master in Business
Administration
(Mba) e la versione
Executive Mba, due classici
della formazione manageriale avanzata, dove già si
declinano in modo generalista, interfunzionale e integrato le materie classiche
del general management
(come finanza, marketing,
economia aziendale e organizzazione) negli ultimi
tempi
è
cresciuta
l’attenzione allo sviluppo
delle capacità personali.
Con metodi anche non
convenzionali di formazione, quelli che agiscono
fortemente sulle emozioni
e attingono a teorie di crescita personale di vago
sapore americano. Che
siamo abituati a vedere sì
nella formazione aziendale,
meno in quella accademico
- istituzionale seppur orientata al business come le
business school. Così oggi
l’outdoor training è entrato
a pieno titolo nel programma del Master e il coaching
personale
accompagna
l’alunno nei 15 mesi e più
di corso.
Il fondatore e direttore
scientifico del MIB School
of Management di Trieste
Vladimir
Nanut
(vicepresidente
Asfor,
l’associazione di accreditamento degli Mba in Italia),
alle celebrazioni del ventennale della scuola il 16
maggio ha citato l’aspetto
dello sviluppo personale
come necessario per integrare i saperi ed essere in
grado di gestire complessità
e dinamicità: «Noi stimoliamo l’attitudine al cambiamento, alla leadership e alla
Vision con metodologie
molto evolute: action learning, outdoor, teatro aziendale, metafore tratte dalle
arti marziali». Il battesimo
della partecipazione all’Mba
di Trieste in genere avviene
in mare, in barca a vela.
Altre volte in cima a una
montagna. Mare o montagna, ciò che conta sono le
dinamiche che si mettono
in atto (e non tanto il risultato), con l’obiettivo di
creare fin da subito il gruppo. In che modo? Valorizzando le differenze e facendo emergere i talenti in
situazioni impreviste e sfidanti a forte impatto emotivo (tra l’altro le aule di
Trieste sono molto internazionali, con studenti provenienti da 60 paesi al mondo).
«Partendo
con
l’outdoor si velocizzano i
tempi di conoscenza e di
affiatamento del team che,
poi, lavora meglio anche in
aula. Da uno scambio vero
e sincero di diversi punti di
vista nasce un clima di fiducia molto importante per
proseguire il percorso insieme», spiega Valeria Forzano, responsabile Area Sviluppo Manageriale MIB
School of Management.
Inoltre
l’esperienza
dell’outdoor, dove ognuno
si è confrontato con i propri punti di forza e di debolezza, è l’inizio di un lavoro
su se stessi che viene sostenuto durante tutta la durata
del corso da un’attività
individuale di coaching
(ossia di facilitazione e affiancamento sul potenziamento di alcune soft skills
da parte di un counselor). Il
ricorso alle formazione non
convenzionale si ripresenta
poi alla fine del Master con
metafore tratte dal teatro o
dalle arti marziali. Partecipando a una rappresentazione teatrale o eseguendo
esercizi guidati, si osserva il
proprio atteggiamento, la
propria predisposizione alla
relazione (conflittuale o
assertivocollaborativa?) e
alla leadership. In un certo
senso, è il momento della
verità!
Al Mip di Milano, la busi-
ness school del Politecnico
milanese, il “laboratorio di
auto sviluppo personale”
previsto per tutti gli Mba
ed Executive Mba ha contagiato lo stesso staff operativo (non ancora i docenti). Per due giorni la scuola
ha praticamente chiuso e si
sono
recati
tutti
sull’Appennino a fare esercizi di orienteering per rafforzare lo spirito di squadra.
Un
successo!
«Dedichiamo il 10,15%
delle attività degli Mba al
personal development, con
forte
attenzione
all’outdoor, che organizziamo nella prima fase del
master.L’outdoor è un modo per sperimentare concretamente le proprie capacità cognitive (percezione
del problema e capacità di
analisi) e le proprie capacità
relazionali. Scegliamo posti
remoti e organizziamo attività varie, come la costruzione del ponte tibetano».
dice Andrea Sianesi, direttore MBA e Master del Mip
Politecnico di Milano. Al
momento del coinvolgimento emotivo segue poi la
rilettura personale dei propri punti di forza e di debolezza con il sostegno di un
coach che segue l’alunno
per tutta la durata del
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
master. «Un bravo coach deve saper
ascoltare e poi, all’occorrenza, dire
qualcosa di intelligente, di sincero e
professionale, in modo da creare una
relazione di fiducia con la persona e
stimolarla nella sua crescita », conclude Andrea Sianesi.
Alla Luiss si insegna il coaching
E ora il coaching si insegna alla business school della Luiss, con un percorso di 140 ore in otto moduli che parte
il 12 giugno e si conclude a dicembre.
«Vogliamo offrire un approccio strutturato,basato su una precisa metodologia, per quella che è una funzione
sempre più diffusa nell’area risorse
PAGINA 15
umane», dice Gabriele Gabrielli,
direttore Executive Mba della business school Luiss e docente di organizzazione e gestione risorse umane. Il
corso in particolare si rivolge ai capi
d’azienda per sviluppare la capacità di
far emergere il potenziale dei propri
collaboratori (“con l’ascolto attivo e le
domande giuste”) e ai consulenti.
Mentre il coaching individuale viene
praticato alla Luiss già da anni verso
gli studenti dell’Executive Mba.
Parte invece a ottobre, e si concluderà
ad aprile, la settima edizione del
Master in Outdoor Management
Training organizzato dall’Istituto Europeo di Neurosistemica con sede in
Liguria a Sestri Levante. «L’outdoor è
un’occasione per mettersi in gioco e
fare qualche piccolo cambiamento
nella propria vita, in azienda, nelle
relazioni con gli altri», spiega Marco
Rotondi, presidente Ien, ingegnere e
psicologo, esperto di outdoor
training. «Il primo risultato è quello
di passare da un modello dove si
pensa di essere perfetti a un modello
di pensiero che, invece, riconosce
normale avere punti di forza e punti
di debolezza, che non sono altro che
aree di miglioramento. In questo
modo si è già in traiettoria, il percorMaggio 2008
www.mastermeeting.it
Lauree brevi e molto inutili
Con il titolo triennale solo in pochi casi si trova lavoro. Così quasi tutti proseguono gli studi per
ottenere la magistrale o almeno un master. E il gap italiano si allarga: meno laureati e più
stagionati
Ce l'hai un master, almeno?
Al terzo anno di lavoro,
Elena non si aspettava una
domanda simile. Laureata in
Scienze delle comunicazioni, subito infilata nella catena di montaggio stagecontratti, era abbastanza
ben messa: inserita in un
ufficio stampa, per di più
della stessa università nella
quale si era laureata con un
bel 110 e pochissimi mesi
fuori corso. Senonché, dopo due anni di lavoro e al
momento di firmare il terzo
contratto, pochi giorni fa ha
avuto una doccia gelata:
non si può fare, perché la
legge finanziaria adesso per
i contratti esterni richiede la
laurea specialistica. Il 'più 2'.
O almeno un master, un
'più 1', insomma qualcosa
dopo quei tre anni della
'laurea breve'.
Così, "il progetto a cui stavo lavorando non è finito,
ma io devo andar via, perché ho solo la laurea triennale. La mia università non
riconosce il titolo che essa
stessa mi ha dato". Un bel
paradosso, per l'università
del 'tre più due'. Nella quale,
a dieci anni dalla riforma
che voleva introdurre la
laurea breve nel paese dei
perenni fuori corso, i numeri parlano chiaro: l'82,9 per
cento dei nuovi laureati
prosegue dopo il triennio.
Ma allora, se tutti allungano,
a che serve la laurea breve?
Lasci
o
raddoppi?
"Bisogna capire se proseguono perché vogliono
saperne di più o perché non
sanno dove sbattere la testa". Andrea Cammelli,
direttore di Almalaurea,
propende per la seconda
ipotesi. Il consorzio che
dirige dà in tempo reale la
temperatura dell'università.
Cammelli non è di quelli
che buttano la croce sulla
riforma del 1999, anzi, nel
complesso la difende. Ricorda i numeri del passato:
"Nel 2001 in Italia si laureavano in corso meno di 10
studenti su 100. Il 25 per
cento era sui cinque anni
fuori corso". In media, ci si
laureava dopo sette anni di
università: un'enormità, che
ci fece imboccare di gran
carriera il 'processo di Bolo-
gna', la Maastricht delle
università alla quale però i
paesi europei si sono adeguati in ordine assai sparso.
La Gran Bretagna, per dire,
ancora non ha cambiato
una virgola del suo sistema.
Ma lì, come in tutta l'Europa del Nord, non avevano i
nostri problemi: studi lunghi e lavoro mediamente
sulla soglia dei 30 anni.
Adesso, dice Cammelli,
"almeno abbiamo aumentato i laureati e ridotto i fuori
corso". Che sono a quota
50 per cento tra i laureati
'puri', cioè tra quelli che
hanno iniziato e finito l'università con le nuove regole.
L'età media si è così abbassata: a 24,2 anni, dicono i
dati del 2006. Solo che a
quell'età si supera - e già
con un anno di ritardo, in
media - solo il primo gradino: si è laureati, ma spesso
questo vale solo per il biglietto da visita e per i dati
dell'Istat. Per tutto il resto
serve salire gli altri gradini:
più di 8 laureati brevi su 10
proseguono, con picchi
sopra il 90 per cento in
Psicologia, Sociologia, Co-
municazione. La stragrande
maggioranza va verso la
laurea specialistica, una
minoranza verso i master. E
non è tutto: i primi battaglioni di laureati che hanno
fatto tutto il percorso nel
3+2 sembrano intenzionati
a restare ancora nell'università. Quasi la metà di loro
vuole prendere un'altra
specializzazione o proseguire con il dottorato. I più
motivati, quelli che vanno
all'estero per un Phd, ci
arrivano come minimo dopo la specialistica, e lì si
trovano fianco a fianco con
colleghi stranieri più giovani
che, tra liceo e università,
hanno risparmiato almeno
un anno o due.
Così il triennio è diventato
solo un campo-base, da cui
partire per le più alte vette.
Salvo rare eccezioni. Ad
esempio, nel ramo delle
Scienze mediche ci si ferma
più spesso al triennio, ma
solo perché si tratta di preparazioni assai specialistiche
(nella riabilitazione, fisioterapia, ecc.) e in maggioranza
di studenti che già lavoravano prima nel campo, dun-
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
que continuano a lavorare dopo con il
nuovo titolo. In alcuni settori di Ingegneria, legati alle nuove tecnologie, a
volte ci si può fermare alla laurea breve. Ma la massa prosegue. Per non
parlare di quelle facoltà che hanno
fatto lacontroriforma: come Giurisprudenza, dove il 3+2 è durato poco e si è
tornati al ciclo lungo della laurea magistrale. Gli accademici del diritto hanno
imposto la loro legge: per diventare
avvocati o magistrati, hanno detto,
serve una preparazione più solida, studi
lunghi e approfonditi, dalle pandette al
nuovo diritto commerciale. Dunque,
restino sui banchi tutti. "Certo, per fare
l'avvocato tre anni possono essere pochi", commenta Guido Fiegna, membro del Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario, "ma di
quanti avvocati ha bisogno l'Italia? Seisettemila l'anno, mentre dalle nostre
facoltà escono almeno 35 mila laureati
in legge. La maggior parte non andrà a
fare l'avvocato, ma lavori nel campo
giuridico per i quali tre anni di preparazione potevano bastare". Lo stesso vale
per gli ingegneri, il cui Ordine (come
quasi tutti gli albi professionali) non
riconosce le lauree brevi: "Ma mica
tutti devono firmare un progetto civile,
c'è chi dovrà costruire palazzi e chi
dovrà fare le valutazioni di impatto
ambientale, professionalità differenti".
È soprattutto nelle facoltà tradizionali,
dice Cammelli, che il corpo accademico
ha respinto nei fatti la riforma introdotta da Luigi Berlinguer e via via attuata,
PAGINA 16
modificata, controriformata, aggiustata
dai ministri successivi: Zecchino, Moratti, Mussi. "A volte sono gli stessi
prof che fanno capire ai loro studenti
che il corso triennale non basta, che la
laurea breve è di serie B". Alle università, secondo il direttore di Almalaurea,
"si chiedeva una rivoluzione culturale,
non di versare un litro di vino in una
bottiglia da tre quarti". Ma era difficile
pretendere tanto cambiamento, aggiunge, da una università dove l'età media
dei docenti è sopra i 50, e quella degli
ordinari, che sono poi coloro che siedono nei posti decisionali, sfiora i 60.
riforma abbia "spostato in avanti, di
tre anni, la fase adolescenziale e il
termine degli studi secondari". Ha
stiracchiato i bamboccioni, direbbe
Padoa-Schioppa. "Di fatto adesso
siamo al 4+3: in media uno studente
impiega quattro anni per il triennio,
poi i due della specialistica, tra ammissione esami e tesi, diventano tre:
insomma siamo tornati ai sette anni,
quelli che facevano scandalo prima
della riforma". E tutto ciò, senza che
si siano innalzati i livelli di qualità:
anzi, spesso le cose sono state rese
più facili, scrivono Guerraggio e Giaquinta, con molti altri.
Pubblico e privato Il fatto è che il
fallimento delle lauree brevi è generalizzato. È uno dei pochi tratti unificanti, in un panorama universitario caratterizzato dallo spezzatino: tra le eccellenze e gli esamifici, l'ateneo monstre e
quello sotto casa, il pubblico e il privato. 'Fai altri due anni' è una delle poche
parole d'ordine comuni, in un mondo
che ha moltiplicato all'infinito gli insegnamenti e le loro definizioni, chiamando corsi identici con nomi diversi.
Nell'università della Confindustria, la
Luiss, qualche rapporto con il mondo
del lavoro lo dovrebbero avere: eppure
vanno alla specialistica in 90 su 100.
Alla Bocconi, uno degli atenei con più
alto rapporto occupati-laureati, la laurea breve pesa un po' di più: prosegue
il 70 per cento dei dottori brevi in economia. "E con grandi ansie e tensioni,
perché l'accesso al biennio non è garantito,
dopo la prima laurea",
spiega Angelo Guerraggio, che insegna
Matematica ai futuri
economisti della Bocconi e dell'Università
dell'Insubria. Sul '3+2'
Guerraggio ha scritto
un libro, insieme a un
altro
matematico,
Mariano Giaquinta:
'Ipotesi
sull'università' (Codice
edizioni). Senza nessun rimpianto per un
passato che troppo
spesso viene mitizzato, facciamo però
qualche conto e qualche ipotesi sui numeri
dell'oggi, dicono i due
matematici. E una
delle ipotesi è che la
Ma se la qualità, in attesa del sistema
di valutazione, è ancora poco misurabile, i dati sulla lunghezza degli studi
sono certi. E ci dicono che sono
lontani gli obiettivi della riforma:
quello esplicito, ridurre i tempi di
permanenza all'università; e quello
implicito, che almeno la metà dei
laureati potesse andare a cercare lavoro dopo i tre anni. Perché proseguono? "In molte zone d'Italia, perché non c'è lavoro, dunque le famiglie che possono permetterselo spingono per far prendere ai figli un titolo più elevato". E nelle zone del
Nord dove invece il lavoro c'è?
"Anche qui pochi si accontentano
della laurea breve, soprattutto nelle
famiglie dove già i genitori erano
laureati".
Guerraggio introduce l'altro protagonista del fallimento delle lauree triennali: il mitico mercato del lavoro,
quello per il quale l'università in teoria era stata rivoltata. Quello che
ancora oggi chiede al sistema dell'istruzione braccia e menti nelle seguenti proporzioni: un terzo con la
sola licenza media, un 8-9 per cento
di diplomati alle scuole professionali,
un buon 50 di diplomati e solo un 910 per cento di laureati (dati Excelsior). Pochissimi, rispetto agli altri
paesi europei. Per molti anni di questa scarsità è stata incolpata l'università italiana, la sua arretratezza, le sue
lungaggini. E adesso? Perché le imprese non vogliono i dottori brevi?
Certo, c'è stata la lunga fase di transizione. C'è stato il caos sfornato dagli
atenei: Michele Rostan, che ha analizzato il rapporto tra laureati e mondo
del lavoro in un volume recente su
'L'università di fronte al cambiamento' (Il Mulino), ha contato alme-
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
no otto diversi tipi di 'dottori' usciti
negli ultimi anni dalla nostra università:
quello vecchio tipo, il mix vecchio più
nuovo ordinamento, il breve, lo specialistico, il magistrale, il mix tra i due, e
poi i master di vario livello. Roba da far
girare la testa ai cacciatori di teste. Eppure, non è solo dell'università il problema.
Imprese mirate A guardare bene cosa
è successo dall'altra parte, tra quelli che
i laureati li dovevano assumere, si scopre un altro pezzo della storia. La racconta Gabriele Gabrielli, docente di
Economia e direttore dei master Mba
(quelli per manager in crescita) alla
Luiss di Roma. Prima di passare dalla
parte dell'università, Gabrielli selezionava il personale per grandi aziende:
Fs, Wind, Enel, Coin. Vari settori, varie
grandezze, pubblico e privato. Ne ha
tratto una consapevolezza: "È la domanda delle imprese che è cambiata.
Vogliono laureati già formati, specializzati, pronti". Personale 'skillato', dicono
in gergo. "Non sono più i tempi in cui
le grandi aziende immettevano laureati
in blocco, per poi formarli e farli crescere all'interno. Quello era un investimento in capitale umano, di chi guardava al lungo periodo e non solo al
breve". Adesso no. Se così stanno le
cose, "è chiaro che la laurea triennale
non basta, serve la specializzazione, e
poi la super-specializzazione.". Gabrielli non lo dice così, ma l'impressione è che le imprese chiedano alle università la pappa già pronta, in modo da
non dover spendere soldi sui laureati
che arrivano. Nel migliore dei casi,
imprese più lungimiranti commissionano direttamente all'università i corsi, o
fanno accordi per istituire al proprio
interno delle 'corporate university'. Ma
sempre con l'obiettivo della specializzazione: quella che in altri paesi si fa dopo essere entrati nel mondo del lavoro,
e da noi prima e a lungo, posticipando
all'infinito l'età di ingresso. "È chiaro
che il modello della formazione continua è molto migliore, per questo io alla
classica domanda che tutti mi fanno
dopo la laurea, se fare un master o
cercare uno stage, dico sempre di fare
lo stage, andare in azienda e poi semmai tornare all'università".
Difficile stabilire chi abbia più colpe, se
l'università che in quei tre anni non
prepara bene o le imprese che non
investono granché nel capitale umano.
E finora abbiamo parlato dei big: "Per
le piccole imprese,
quelle con 4-6 dipendenti, certo è ancora
più difficile assumere
un laureato", dice
Fiegna. E il pubblico? Dopo anni di
tentennamenti, nei
concorsi per l'amministrazione
sono
state riconosciute le
lauree brevi. Ma
tanto i concorsi sono
usciti col contagocce. Più significativo il
comportamento del
settore
pubblico
riguardo a questioni
come il contratto di
Elena: per fare contratti esterni serve la
laurea specialistica, si
è deciso. E questo
non per esigenze
professionali specifiche, ma semplicemente per fare meno
contratti e risparmiare soldi: tant'è che la
novità che ha stoppato il contratto di
Elena è arrivata con
l'ultima Finanziaria.
Ma la prova più eclatante del fatto che il
sistema nel suo complesso non crede alle
lauree brevi la si
trova nelle regole sul reclutamento
degli insegnanti. A oggi, il percorso
canonico per diventare insegnante di
scuola superiore in Italia prevede: tre
anni per una prima laurea, più due per
una specialistica, più due anni di Siss
(scuola superiore per formare gli insegnanti). 3+2+2, senza guadagnare un
soldo anzi pagando. E poi, dopo tutto
ciò, per conquistare il posto si entra in
guerra con i precari, quelli che già nella
scuola ci sono e insegnano, supplenza
dopo supplenza. Sono necessari sette
anni di istruzione universitaria per
essere bravi insegnanti? "Sono convinto del fatto che per insegnare un'equazione di secondo grado devi sapere
molto di più, ma certo sette anni sono
un po' troppi", dice Guerraggio, parlando di matematica. Una commissione mista ad hoc ovviamente era nata, e
aveva studiato lungamente la cosa: lì i
tecnici del ministero dell'Istruzione
avevano proposto una strada più rapida, ossia quella di far seguire alla laurea
PAGINA 17
triennale un biennio di specializzazione e inserimento nelle scuole, con
un ultimo anno già retribuito. Il
mondo dell'università in blocco ha
rigettato la proposta. L'opposizione
più forte è venuta dalle facoltà di
Lettere. Per nobili motivi certo, ma
forse anche con un occhio alla frequenza dei propri corsi di specialistica: che si sarebbero svuotati degli
aspiranti insegnanti.
E qui si arriva all'ultimo velenoso
paradosso delle lauree brevi: per l'università che le fornisce, lo studente è
un cliente. Frequenta e paga, attrae
finanziamenti. "Se lo studente esce
prima, dura meno", commenta amaro Guido Fiegna. Meglio trattenerli,
allora. Tanto fuori, che fanno?
22/05/2008
L’Espresso
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
PAGINA 18
Un talento da sfruttare
La professionalità non basta più. Per restare competitive, le aziende hanno bisogno di persone con una
tale personalità capace di fare la differenza, di aggiungere valore alle imprese.
Marketing, creatività, innovazione, equilibri strategici: sono
questi gli elementi imprescindibili per chiunque oggi operi nel
complesso mondo aziendale, in
ogni settore e in ogni mercato.
Se ne è parlato in occasione del
World Business Forum a
Milano, dove oltre 2.000
manager si sono dati appuntamento per discutere dei metodi
e delle dinamiche del “fare
impresa” con successo. Un
confronto e uno stimolo per
approfondire e valutare i limiti
e le potenzialità del dialogo
attivo e stimolante fra tutti i
soggetti coinvolti nel variegato
universo del business nazionale
ed estero.
Il punto nodale resta comunque
il rapporto biunivoco tra singolo individuo e azienda, tra competenze professionali ed esigenze di business.
Primo fra tutti il valore del
lavoratore e la capacità di
un’azienda nel riconoscerlo,apprezzarlo e valorizzarlo.
Saper gestire il talento è oggi,
forse, la vera chiave di successo
per trovare, in un mondo del
lavoro sempre più globalizzato,
il dettaglio distintivo che garantisca una posizione privilegiata
nella quale collocare la propria
impresa e, al tempo stesso, un
solido punto di partenza per un
metodico processo di crescita.
Il tema del talento può essere
molto ambiguo: per tale ragione
deve essere inquadrato in un
determinato contesto di business.
Cresce
di più
sempre
capacità di contestualizzare il ro chiaramente definito nei
proprio talento nella dimensio- suoi termini di valore professionale, un commitment forte
ne in cui si trova a operare.
e condizioni organizzative che
«Credo che le leve usate per
consentano un coinvolgimento
attrarre i talenti, non siano più
delle persone e una significatisolo di carattere economico, i
va autonomia», afferma Gacosiddetti “financial reward”.
briele Gabrielli, docente
DOMANDA E OFFERTA
Per attrarre e trattenere i talenti occorre un progetto di lavo31/10/2007
Il mercato del lavoro, soprattutto quello delle alte professionaJobber
lità, è un mercato sempre più
mobile e complesso. Sono molOggi la situazione sembra essersi dell’azienda ridurre il più possibile
te le variabili che lo influenzano
capovolta: non sono più i talenti a la conflittualità tra colleghi e
e lo modificano costantemente.
rincorrere le aziende ma viceversa, massimizzare il senso di appartePrime fra tutte le dinamiche e
ed essi costituiscono una merce nenza all’azienda, mentre
alquanto rara nel mercato del all’esterno presentare l’azienda
gli equilibri fra domanda e oflavoro. Reperire e fidelizzare i come un brand appetibile e alletferta. Nelle aziende sta crescenmigliori talenti è un’impresa che tante agli occhi della forza lavoro.
do sempre più l’esigenza di
richiede il massimo impegno da Con la coscienza che si può perdere
figure che siano caratterizzate
parte delle aziende. A tale fenome- un cliente per una promessa non
da una forte competenza di
no va aggiunto un mutamento mantenuta e, allo stesso modo, si
management, di gestione dei
culturale che ha trasformato i può rischiare di perdere la fiducia
problemi e capacità di focalizcriteri di scelta: le persone scelgono dei propri dipendenti attuali e
zarsi su obiettivi a medio e
il lavoro per benefici immateriali potenziali. La gestione del retailungo termine. Insomma figure
che esso offre piuttosto che per i ning - ossia la capacità di trattenedotate non soltanto di profesbenefici materiali, relativi alla re il potenziale in azienda - non è
retribuzione. La “comunicazione secondaria a quella del recruting,
sionalità, ma anche e soprattutdei valori” diventa allora un ele- anzi viene pianificata e realizzata
to capaci di distinguersi, di fare
mento strategico per attrarre e grazie ad attente politiche retribula differenza e rappresentare il
fidelizzare. È necessario che le tive, di crescita professionale, di
valore aggiunto, il giusto
aziende costruiscano una forte formazione e di benefit offerti ai
“investimento” in termini di
corporate brand reputation per propri dipendenti.
tempo, denaro e risorse. Come
poter attirare risorse di talento con
si muovono le aziende in quelo stesso impegno con cui lo fanno «Valorizzare i talenti significa
sto contesto? Nell’attuale panoper il cliente. Per questo anche in realizzare concretamente una
rama economico, il capitale
Italia, come già accade da tempo primaria responsabilità del
umano acquisisce importanza
negli Stati Uniti, si sta afferman- management che è quella di diffedo una nuova strategia di selezione renziare e riconoscere a ciascuno il
fondamentale e le aziende, se
e gestione della forza lavoro.
proprio valore. Quella del Talent
vogliono mantenere il vantaggio
competitivo sul mercato globa«L’Employer Branding», spiega Management non può essere solle, devono saper attrarre le
Gabrielli, «è una politica a cui tanto una pratica per costruire
migliori risorse disponibili sul
oggi le aziende ricorrono sistemati- “élite”, ma piuttosto un vero e
camente, soprattutto quelle di proprio “orientamento al talento”
mercato, formarli e trattenerli in
medio-grandi dimensioni, per che il management può e deve
azienda. Oggi più di prima, il
attrarre lavoratori attraverso sviluppare, riconoscendo le differenmondo delle imprese ragiona
l’utilizzo della forza del brand e ze e premiando di conseguenza, e
con logiche strategiche che
quindi dell’immagine e della repu- per fare ciò deve sapere investire
puntano
a
costruire
tazione dell’impresa, mettendo in anche in termini di tempo», ribadiun’immagine attrattiva per il
atto un processo di creazione dei
sce Gabrielli. «C’è poi una
potenziale
dipendente
o
valori aziendali e della loro giusta
manager, ma senza
comunicazione al target di riferi- verità che spesso dimentichiamo.
mento». Per Gabrielli la reputa- La performance dei collaboratori
dimenticare
zione è infatti una variabile fonda- dipende in gran parte da quello che
l’importanza
mentale e, spesso, determinante i capi pensano di loro. Avere
dell’esperienza pernelle scelte lavorative del singolo fiducia - e farlo capire - significa
sonale e le attitudini
individuo. Sono due le direttrici essere già sulla buona strada per
del singolo, oltre e
principali di questa nuova politica una corretta gestione dei talenti».
soprattutto alla sua
d’immagine aziendale: all’interno
infatti l’attenzione al valorizzare
i cosiddetti “talenti organizzativamente sostenibili”, ossia individui che sappiano inserire
proficuamente
la
loro
“talentuosità” nell’ambito aziendale in cui operano.
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
PAGINA 19
Incontro di Team
Building
Interessanti novità ai vertici F.S.
Forlenza è stato sostituito
Loccioni apre l'impresa ai
partecipanti dell'Executive
MBA della LUISS, diretto dal
Prof. Gabriele Gabrielli.
Circa 50 manager delle più
importanti aziende a livello
internazionale tra cui ENEL,
IBM, AUTOSTRADE, NOKIA, MINISTERO DELLA
DIFESA, hanno trascorso
due giorni nel Gruppo alla
ricerca della vision Loccioni.
Dopo la maratona di interviste ad alcuni collaboratori del
Gruppo Loccioni e alla proprietà, e un "brainstorming"
serale nella meravigliosa cornice delle colline marchigiane, i partecipanti hanno presentato i lavori svolti che
sono risultati di altissimo
livello e una tappa fondamentale nel processo di envisioning del Gruppo.
Da mesi, da quando cioè
nella cabina di guida è salito
l’ing. Mauro Moretti, avevamo chiesto segnali che riavvicinassero i ferrovieri, quelli che definiamo “veri”, alle
Ferrovie. Per la verità
l’Amministratore Delegato
si era mosso abbastanza
velocemente iniziando la sua
opera di ricambio in quasi
tutti i settori e molte teste
erano già cadute. Ma la
mannaia, di quello che certa
stampa definisce il “boss”
delle Ferrovie non si era
ancora spinta così in alto. La
decisione era però nell’aria,
così non ha sorpreso più di
tanto l’apprendere che tra le
illustri vittime sia finito anche il Direttore Generale
delle risorse umane, il dott.
Francesco Forlenza, sul
quale negli ultimi giorni si
erano addensate minacciose
nubi, ed al quale non si è
neppure concessa la possibi-
09/07/2007
www.Loccioni.com
lità di essere dirottato alla
presidenza di Trenitalia.
Uomo di Giancarlo Cimoli,
Forlenza rappresentava
quindi l’anello di congiunzione con un passato che
occorreva rimuovere perché
si realizzasse una vera e
sostanziale discontinuità. Ma
non è l’unica testa eccellente
ad essere rotolata, uguale
sorte è toccata a Marco Ravanello, direttore del settore
pubblicità e sponsorizzazioni. Chiaro quindi il messaggio proveniente dai piani alti
di Piazza della Croce Rossa:
occorre tagliare con il passato e rinnovarsi, se si vuole
rilanciare il Gruppo, finito
irrimediabilmente su un
binario morto. A sostituire
Forlenza è stato chiamato il
dott. Gabriele Gabrielli,
professore presso la Luiss di
Roma (Libera Università
Internazionale degli Studi
Sociali), la prestigiosa uni-
Un treno pieno di forbici
01/04/07
Il Sole24Ore
Il difficile confronto con il governo sul
nuovo piano industriale 2007-2011
dell’azienda e il profondo rosso di due
miliardi di euro nei conti non rallentano
la marcia dell’amministratore delegato
delle Fs, Mauro Moretti, verso il totale
rinnovo del top management. Confermando la sua fama di grande accentratore, questa volta ha mirato ad il bersaglio
grosso: a perdere la poltrona sarà Francesco Forlenza, potente direttore generale
delle risorse umane, arrivato alle Ferrovie
con l’ex numero uno Giancarlo Cimoli,
che lo aveva pescato nel gruppo Eni.
A prendere il posto di Forlenza, che a un
certo punto sembrava in predicato per la
presidenza della controllata Trenitalia,
sarà Gabriele Gabrielli,un
quarantottenne marchigiano laureato in
giurisprudenza e oggi docente di organizzazione e gestione delle risorse umane
alla Luiss, l’università confindustriale del
caro amico Pier Luigi Celli.
versità che fa capo a Confindustria, dove insegna
organizzazione e gestione
delle risorse umane. Al suo
attivo vanta esperienze in
diverse grandi aziende italiane tra cui Telecom Italia,
Coin, Wind ed Enel, presso
le quali ha ricoperto sempre
il ruolo di responsabile delle
risorse umane. Un curriculum di tutto rispetto che
riteniamo utile nella conduzione di un’Azienda che
mostra ormai i segni dei
suoi anni e che forse ha
bisogno di un profondo
restyling organizzativo. La
successione a Marco Ravanello, ex direttore pubblicità
e sponsorizzazioni, è invece
tutta interna al Gruppo e la
scelta è caduta su Daniela
Carosio.
04/04/2007
Osservatore Ferroviario
Gabriele ha lavorato in Telecom, dove è
stato capo del personale sotto la gestione del
management di area prodiana Tomaso Tommasi di Vignano, di cui era stato uno stretto
collaboratore. Poi è emigrato nel gruppo
Coin. Quindi ha fatto ritorno alla telefonia
con Wind (sempre come capo del personale),
dove è rimasto (tranne una breve parentesi
all’Enel) parecchi anni per lasciare dopo la
dipartita dell’ex capo azienda Tommaso
Pompei.
Moretti non s’è accontentato della testa di
Forlenza. Novità sono in vista anche per la
delicata (e ricchissima) direzione che sovrintende alla pubblicità e alle sponsorizzazioni,
l’unico dei tre segmenti della comunicazione
(gli altri due sono l’ufficio stampa e le relazioni istituzionali) che nell’organigramma aziendale non è direttamente in staff
all’amministratore delegato. La scelta è caduta
su Daniela Carosio, già all’interno del gruppo.
A lasciarle il posto sarà Marco Pavanello.
22/03/2007
L’Espresso
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
Gli incontri della biblioteca
Chi ha spostato il mio formaggio?
Una storia semplice ed istruttiva su quattro personaggi
che vivono in un “labirinto”
e sono alla costante ricerca di
un Formaggio che li nutra e li
faccia vivere con tutte le sicurezze possibili. E' lo storia di
Spencer Johnson. La storia
rappresenta la metafora di
quello che tutti vorremmo
avere: un buon lavoro, un
rapporto d'amore appagante,
soldi, salute, serenità. Il labirinto è il nostro ambiente, la
nostra epoca. I personaggi si
trovano di fronte a cambiamenti improvvisi. Ognuno
dei 4 personaggi, Nasofino e
Trottolino, Tentenna e Ridolino, adotta una strategia diversa, che porterà a diversi
risultati. Come per ognuno di
noi. E' stato questo il punto
di partenza dell'Incontro della
Biblioteca dello scorso 14 marzo con Gabriele Gabrielli,
Docente alla Facoltà di Economia della Luiss e Direttore
dell'Executive Master in Business Administration
(EMBA) della luiss Business
School. Al confronto ha partecipato anche Franco Amicucci, sociologo e formatore,
che ha curato molti degli
incontri della Biblioteca TSF.
La discussione si è sviluppata
prendendo spunto da alcune
parole chiave della storia: "il
cambiamento è inevitabile",
la paura e la naturale resistenza, la decisione e la responsabilità individuale, il saper
ritrovare in noi le migliori
risorse per affrontare cambiamenti individuali e cambiamenti collettivi. Il confronto
ha messo in evidenza, tra le
molte questioni, quella delle
diverse prospettive attraverso
cui il cambiamento può essere visto: quello individuale e
PAGINA 20
quello di gruppo. In entrambe troviamo sia "motivi di
resistenza" e "spinte" a prendere in considerazione, con
energia e positività, il viaggio
che ogni cambiamento comporta. E soprattutto
"l'apprendimento" che se ne
può trarre non solo per se
stessi ma anche per gli altri.
Per questo Ridolino rompe
l'inerzia e la "compagnia" di
Tentenna che rifiuta ogni
azione per cercare un altro
Formaggio. La discussione su
questo aspetto ha portato a
evidenziare l'importanza
della. "consapevolezza" e la
forza che questa ha "nel farci
spostare". Gli apprendimenti
scritti da Ridolino sulle pareti
della scena del cambiamento,
cioè il labirinto, possono così
anche diventare - è emerso
dalla discussione - un
"manifesto programmatico"
su cui riflettere, ed al contempo introdurre una terza
prospettiva attraverso cui
guardare il cambiamento:
quella dell'Organizzazione.
Esistono Organizzazioni in
cui il Management, come
Tentenna, non prende iniziative ed altre in cui chi guida
l'impresa abbandona la tentazione, comoda ed economica, di rimanere fermi ed avvia
comunque un nuovo cammino fatto di altre scoperte ed
emozioni. La discussione ha
quindi creato l'opportunità
per sottolineare come sia
possibile, in qualche modo,
superare "la sorpresa" dello
spostamento del Formaggio
attraverso la ricerca, individuale e di gruppo, e la condivisione di ciò che si va scoprendo, "tracciando" tutto
ciò sulle pareti dell'Organizzazione. In questa maniera si
può addirittura diventare
agenti di cambiamento per la
vita di altre persone.
17/03/07
Collegati TSF
Negli Stati Uniti un libro propone dei singolari «casi di successo»
Falliti e poi rinati, la lezione di Martha e Jimmy
La caduta degli dei. Ovvero,
quando anche i potenti piangono. Cadono, piangono e si
rialzano. Succede sul grande
schermo. Ma nella vita reale?
E' davvero possibile reinserirsi nel mondo del lavoro e
risollevare la propria reputazione dopo una importante
battuta d'arresto? Negli Stati
Uniti parrebbe proprio di sì.
Almeno a leggere Jeffrey
Sonnenfeld e Andrew Ward,
docenti alla Harvard Busi-
ness school. Il loro libro
«Firing back, come i grandi
leader si risollevano dopo i
disastri di carriera» spiega
con quella sicumera un po'
sfrontata tipica d'Oltreoceano - a metà tra il sogno americano e una confortante
fiducia in un ego smisurato come gestire un fallimento e
poi risorgere.
Dalle stelle alle stalle, dalla
stanza dei bottoni alla soglia
del carcere, c'è chi riesce
davvero a rimettersi in
gioco. E' la storia di
Martha Stewart. O di
Jeffrey Katzenberg, prima ai vertici della Walt
Disney poi nella polvere:
nel 1994 fu addirittura
costretto a difendere
pubblicamente la propria
reputazione. Lasciata l'azienda e passato all'allora minuscola Dream Works sfidò
con successo il monopolio
delle major americane. O la
storia di Jimmy Carter che,
fallita la rielezione alla Casa
Bianca nel 1980, riuscì a riciclarsi in un ambito diverso e
a vincere il Premio Nobel
per le sue attività umanitarie.
E in Italia? Più difficile parlare di resurrezione di dostoevskijana memoria. Nel nostro Paese, sussurrano alcuni,
dopo una sconfitta l'unica
preoccupazione della gran
parte dei manager è quella di
incassare liquidazioni milionarie.
Mentre la capacità di riciclar-
si con
successo sembra essere più
prerogativa dei
nostri
politici.
«Ci sono persone che non demordono mai», spiega Roberto
Vaccari, Sda Bocconi. «I
manager che riescono a ricollocarsi con successo hanno
dei tratti caratteriali molto
specifici: non sono ragionatori
cartesiani ma eclettici, creativi, spaziali, metaforici. Cercano l'essenza di un problema,
non guardano il dettaglio.
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
Per loro quello che conta è
solo il modello, sono quasi
indifferenti al prodotto. E di
fronte al disagio non mollano, hanno energie individuali
tali da risorgere continuamente. Penso al "vecchio"
Merloni, per esempio, ma
anche a Barilla prima generazione che nel momento di
difficoltà ha lasciato che gli
americani gli ristrutturassero
l'azienda e poi se l'è ricomperata». E dunque nella resurrezione di un leader contano principalmente i tratti
personali
del carattere? Secondo gli
autori di
«Firing
PAGINA 21
back» il percorso di rinascita
si svolge in cinque tappe. Il
primo passo è confrontarsi
con il fallimento, gestendo
imbarazzo e umiliazione. Poi
trovare supporto nell'ambiente circostante, soprattutto in familiari e amici. Infine
ricostruirsi un'immagine,
dare prova del proprio valore e riscoprire una nuova
mission. «E' un modo di
vedere il mondo eccessivamente polarizzato», ribatte
Gabriele Gabrielli, Luiss.
«Oggi le carriere sono di tipo
diverso. Quando ci sono
importanti battute d'arresto
tuttavia è fondamentale tirare fuori la passione, la capacità di costruire un progetto.
Senza progetto non ci può
essere resurrezione. Ma è la
passione che spinge a fare le
cose, a gestire i fallimenti, a
trovare la forza di riemerge02/02/07
re».
Corriere della Sera
Luiss, l'accademia dell'industria
È finanziata da Confindustria e da molte grandi imprese. Qui insegnano docenti –manager come
Fabio Pistella, Matteo Arpe, Andrea Monorchio. Ecco perché l’ateneo romano, grazie a una ferrea selezione delle matricole e alla vocazione internazionale, ha tutti i numeri per competere con
la Bocconi. E da quest’anno si parla cinese
Come in tutte le aziende che
si rispettano, alla Luiss sono
prodighi di grafici, cifre,
statistiche e tabulati. E sono
molto orgogliosi dei dati che
emergono. Per esempio,
soltanto l'1,5%dei laureati
risulta disoccupato quattro
anni dopo aver concluso gli
studi. La percentuale media
nelle università italiane è
quasi sei volte superiore
(12,6%). Secondo esempio:
soltanto il 3% degli studenti
Luiss abbandona gli studi
fra il primo e il secondo
anno di corso, contro il
10,6%delle università non
statali e il 19% della media
nazionale. Terzo esempio:
gli studenti in corso rappresentano il 74,3% degli iscritti, mentre sono il 66% nelle
università non statali e il
59% nella media nazionale.
Non solo: il 48,5% dei fuori
corso della Luiss riesce comunque a laurearsi entro il
primo anno. Accorpando
questi dati si ottiene un risultato estremamente lusinghiero: il tempo medio impiegato dagli studenti della
Luiss per ottenere la laurea
breve è di tre anni e sei mesi, cinque anni e mezzo per
la laurea magistrale. Il merito di questi risultati va attribuito alle strutture e alle
metodologie didattiche,
all'obbligo di frequenza in
tutti i corsi, al livello del
corpo docenti, ma anche
alle capacità degli studenti e
allo sbarramento d'accesso
che ne garantisce (con il
numero chiuso) il livello
qualitativo. Il 68,6% degli
immatricolati approda alla
Luiss con un voto di maturità superiore a 90/100; la
media delle università non
statali e la media nazionale
risultano nettamente inferiori: soltanto 31 studenti su
100 si iscrivono alle università non statali con un voto
di maturità superiore ai
90/100; la media scende a
28 se si considerano tutte le
università italiane.
La Libera università internazionale degli studi sociali,
intitolata alla memoria di
Guido Carli, è un ateneo
privato, con tre sole facoltà:
Giurisprudenza, Scienze
politiche ed Economia. Gli
sforzi maggiori (e i risultati
migliori) sono riservati alla
facoltà di Economia, per
una ragione che risulta ovvia: la Luiss è un ente privato,
le cui azioni sono divise in
parti uguali fra Confindustria e una Fondazione fi-
nanziata da un gruppo di
imprese di rilevanza nazionale (Eni, Enel, Telecom,
Ferrovie). Molti docenti
della facoltà di Economia
sono dirigenti e manager
delle aziende interessate a
catturare gli studenti migliori, e gli studenti sanno che,
terminati gli studi, trovare
una collocazione adeguata
nel mondo del lavoro non
sarà un problema. Scorrere i
nomi dei docenti equivale a
sfogliare il Gotha dell'imprenditoria e della finanza
italiana. Insegnano nella
facoltà, fra gli altri, Rainer
Masera (presidente di Sanpaolo-Imi, ministro del Bilancio nel governo Dini),
Carlo Scognamiglio (ex presidente del Senato, ex ministro della Difesa), Fulvio
Conti (amministratore delegato dell'Enel), Fabio Pistella (presidente del Cm), Matteo Arpe (direttore generale
e amministratore delegato di
Capitalia), Giovanni Fiori
(vicepresidente dell'Istituto
Poligrafico e Zecca dello
Stato), Gian Maria GrosPietro (presidente di Auto-
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
strade), Massimo Sarmi
(amministratore delegato
Poste italiane), Giorgio
Zappa (presidente a amministratore délegato Alenia),
Paolo Savona (ex ministro
dell'Economia, ex direttore
generale Confindustria),
Emmanuele Emanuele
(presidente della Fondazione Banca di Roma), l'ambasciatore Sergio Vento, Andrea Monorchio (ex ragioniere generale dello Stato),
Ernesto Monti (presidente
del Gruppo Astaldi, consigliere di amministrazione di
Finmeccanica e Cofiri),
Bruno Steve (membro del
consiglio di sorveglianza di
StMicroelectronics), Gabriele Gabrielli (direttore
Risorse umane di Wind). La
Luiss non vanta una storia
antica come la Bocconi, o
come le più prestigiose
università americane, inglesi
o francesi, ma sta recuperando il tempo perduto a
passi rapidi. Gli studenti si
sentono già in competizione con i bocconiani: fanno
paragoni, confrontano i
corsi di studio, esaminano i
curricula dei docenti. Sono
fieri e soddisfatti per la
scelta compiuta. «Questa
facoltà», dice Caterina, toscana di Cortona, impegnata nella stesura della tesi,
«offre molte più opportunità di altre, ma occorre un
grande impegno». Raffaele,
da Fasano in Puglia, laureando anche lui, le fa eco:
«Temevo che fosse un ambiente elitario. Invece no. Il
livello medio degli studenti
è molto alto, ma in termini
di capacità e di impegno.
Questa è una facoltà da
vivere in full immersion.
Con i professori ci sono
rapporti molto cordiali,
sono sempre disponibili,
rispondono a tutte le email, ti aiutano a superare le
difficoltà nello studio». La
facoltà, con l'attuale rettore,
professor Marcello Foschini, nell'anno accademico
appena concluso aveva
2.217 iscritti, tre quarti al
corso triennale e un quarto
al corso di laurea magistrale.
Le matricole iscritte per il
prossimo anno sono 505.
La tassa di iscrizione al primo anno è di 6.300 euro,
ma esistono borse di studio
e prestiti d'onore per i meno abbienti. Previste anche
esenzioni dal pagamento
delle tasse per gli studenti
atleti che giocano a basket,
in serie B, con la squadra
della Luiss. Da quest'anno
sarà disponibile una residenza destinata agli studenti
fuori sede, in un immobile
in zona residenziale (nel
quartiere di Montesacro,
immerso nel verde) in grado di ospitare 90 studenti in
44 camere. I posti saranno
assegnati sulla base di criteri
di merito e di reddito. Luca
Montezemolo, presidente
della Luiss, riassume in tre
punti le ragioni per le quali
la scelta di questa università
offre opportunità molto
elevate agli studenti: il rapporto privilegiato con il
mondo del lavoro; la forte
connotazione internazionale; la fede assoluta nella
PAGINA 22
competitività. II numero
chiuso Le selezioni dei candidati avvengono in primavera, sulla base delle votazioni ottenute nel terzultimo e penultimo anno di
scuola media superiore e di
una prova scritta e orale)
garantisce la competitività
anche fra gli studenti. «Si
crea un positivo spirito di
emulazione», sottolinea
Rainer Masera, professore
di Economia degli intermediari finanziari e di Economia dei mercati monetari e
finanziari. «Il rischio che si
corre nel triennio è che la
proliferazione dei docenti
non offra adeguate garanzie
di qualità nell'insegnamento. La Luiss ha risolto il
problema ricorrendo a un
numero molto ridotto di
professori ordinari affiancato da un numero elevato di
professori a contratto, che
devono uniformarsi allo
standard di qualità per vedersi confermare il contratto». E sono, per lo più,
proprio i professori a contratto a garantire un rapporto strettissimo con il mondo della finanza, con la
pubblica amministrazione e
con le aziende che hanno
radici a Roma. Gian Maria
Gros-Pietro, ordinario di
Economia dell'impresa e
direttore del dipartimento
di Economia, mette a fuoco
un altro aspetto: la mentalità formativa. «ll mondo
dell'impresa aggrega le persone in forma di coalizione,
creando uno spirito di corpo, perché il destino di
ciascuno è legato alle sorti
dell'azienda. Questo spirito
viene trasferito agli studenti. L'insegnamento non è
polveroso, su vecchi testi da
biblioteca. E funziona perfettamente l'integrazione fra
i professori di radice accademica e i docenti professionisti. L'insegnante di
matematica (o di diritto) è
un accademico che bada a
formare la mente degli allievi; ma il professore di arbitrato internazionale spiega
concretamente come si fa
un arbitrato, mettendo a
disposizione degli studenti
la propria esperienza». Considerazioni analoghe vengono proposte anche da Matteo Giuliano Caroli, ordinario di Economia e gestione
delle imprese internazionali:
«I metodi didattici sono
tarati sulle modalità operative delle imprese. L'articolazione dei corsi di laurea è
studiata sulla capacità di
leggere le problematiche
gestionali, con un riguardo
molto particolare alle esi-
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
genze dei mercati internazionali. Lo stesso criterio
adottato per chi aspiri a
entrare nelle istituzioni e nel
sistema pubblico. In questo
campo specifico il nostro
obiettivo ultimo è creare
una scuola simile all'Ena
francese». Una facoltà piccola (dal punto di vista numerico) garantisce anche il
rapporto stretto fra studenti
e professori. Non ci sono
mai lezioni con centinaia di
ragazzi distratti. Fin dal
triennio, ogni studente è
seguito da un tutor, che lo
controlla da vicino, lo aiuta,
discute con lui le attitudini,
prospettandogli gli sbocchi
professionali. Nel biennio
magistrale questo rapporto
diventa ancora più stretto e
fecondo. Il preside della
facoltà, Franco Fontana,
ordinario di Economia e
gestione delle imprese e
docente di Organizzazione
aziendale nella stessa facoltà, sottolinea con orgoglio il
lavoro specifico che viene
compiuto. «Abbiamo quattro corsi di laurea magistrale: Economia e finanza,
Economia e direzione d'impresa, Business administration, General Management
(in lingua inglese). La pro-
PAGINA 23
gettazione didattica è minuziosa, sia nei contenuti, sia
nelle IT sia nelle metodologie didattiche. I contenuti
vengono verificati con un
panel di alti dirigenti di
imprese e istituzioni pubbliche. Nel biennio cambiano
le condizioni di apprendimento, perché gli studenti
sono più maturi e si avvicinano al mercato del lavoro.
I tutor (uno ogni cinque
studenti) sono coinvolti in
attività didattiche. Le tesiprogetto vengono preparate
dagli studenti all'interno di
un'impresa, e i ragazzi sono
assistiti nella scelta del tema
e dell'azienda
nella quale
è più opportuno
svolgerla.
I
tutor
aiutano gli
studenti
a n c h e
nelle lauree all'estero, e le
grandi aziende fanno lo
stesso. Per fare un esempio,
Finmeccanica garantisce
un'assistenza totale nelle
aziende estere del gruppo. I
ragazzi che compiono questa scelta possono attingere,
in caso di necessità, a un
fondo economico messo a
disposizione dalla facoltà».
Foschini non nasconde la
propria soddisfazione. «lo»,
dice, «sono il primo tutor
degli studenti». Basta passeggiare fra gli edifici della
Luiss per respirare il clima
da campus americano. «Qui
dentro», racconta Pier Luigi
Celli, «si stampano sei giornali studenteschi. E stiamo
allestendo anche una stazione radio». E il caffè che si
beve sotto gli ombrelloni, in
giardino, è davvero ottimo.
Settembre 2006
Capital
Career day 2006, primo giorno
Professionisti ed esperti di tutti i settori
si mobilitano per la Quarta edizione
del Career day, che prende il via mercoledì prossimo, 3 maggio. All’apertura
dei lavori, prevista per le 10 in Aula
magna, dopo l’introduzione di Cristiana Mammana, delegata del rettore ai
rapporti con le imprese, prenderanno
parte il rettore Roberto Sani, il presidente della Fondazione Carima Franco
Gazzani e la direttrice dell’Accademia
di Belle Arti Anna Verducci.
Seguirà, quindi, la tavola rotonda su “Il
futuro del lavoro fra innovazione e
tradizione” alla quale siederanno
l’autrice e conduttrice Rai Federica
Gentile, il sociologo Franco Amicucci,
il docente della Luiss Gabriele Gabrielli, l’amministratore delegato della
Bloom Paolo Peresani, Piero Corsini di
Rai educational, Lino Fornari, amministratore delegato della Fornari, Iginio
Staffi, amministratore delegato della
Rainbow,
e
Goffredo
Binni,
dell’Associazione laureati ateneo maceratese.
Nel primo pomeriggio alle 14 si svolgeranno i laboratori di orientamento
(partecipazione su prenotazione via email a [email protected]) tenuti da
consulenti e psicologi nell’Antica Biblioteca, nell’Aula dell’ex Rettorato e
nell’Aula
Magna
(piaggia
dell’Università, 2). Saranno trattate le
tipologie di contratto per entrare nel
mondo del lavoro, come trasformare
gli incontri con le aziende in
un’opportunità e come costruire il proprio curriculum vitae e lettera di accompagnamento.
Alle 16 sarà, invece, la volta dei laboratori, che si svolgeranno in contemporanea, dedicati a specifiche professioni
con gli esperti dei vari settori. Incontri,
dunque, nell’Antica biblioteca di Giurisprudenza con Orazio Coppe, presidente dell’Ordine degli assistenti sociali
delle Marche; nell’aula 3 di Scienze
della comunicazione (via Don Minzoni, 2) con il regista Henning Brockhaus
per la comunicazione culturale e con
Alessandro Marsili del gruppo di ricerca Friendly Media Communication per
l’editoria multimediale; nell’Aula abside
di Scienze politiche (piazza Strambi, 1)
con Luciano Salciccia, dirigente generale del Comune di Macerata, e con Roberta Fileni della Fileni Simar.
Si ricorda, infine, la sera alle 21.15 al
teatro Lauro Rossi lo spettacolo di
cabaret con Giovanni Cacioppo, ben
noto al pubblico di Zelig. I biglietti
sono già in vendita al costo di 5 euro
intero e 3 euro per studenti29/04/2006
e neo laureati
www.unimc.it
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
PAGINA 24
Triplice «addio» in casa
Wind
Assegnati a Castellaneta i premi Valentino”
Wind è ancora un grande cantiere. L'operatore di telefonia prosegue la riorganizzazione del management: il finanziere egiziano Naguib Sawiris ha affidato la guida
della sua squadra a Paolo Dal Pino, nuovo
a.d. al posto di Tommaso Pompei, e sta
pian piano riempiendo o modificando
anche altri tasselli. Le ultime novità sono
in partenza. Ha lasciato l'azienda Gabriele
Gabrielli, direttore del personale, che sceglie l'attività accademica: insegnerà Organizzazione e gestione delle risorse umane
alla Luiss di Roma. Il ruolo di Gabrielli è
coperto ad interim da Paolo Dal Pino.
CASTELLANETA (Taranto) Nella cornice del Teatro dei Colori del parco “Felisia”, all’interno
del complesso Nuova Yardinia di
Castellaneta Marina, sono stati
assegnati i riconoscimenti del
decennale “Premio Internazionale
Economia, Finanza, Comunicazione e Ricerca “Rodolfo Valentino”, che ha ricevuto l’alto Patronato del Presidente della Repubblica.
Addio a Wind anche da Laura Rovizzi, che
aveva perso la poltrona di capo degli Affari regolamentari a favore di Romano Righetti, arrivato da Telecom Italia. Righetti,
in più, ha assunto la guida degli Affari istituzionali.
Ha lasciato Wind anche Alberto De Paoli,
che è era stato assistente personale di
Tommaso Pompei e suo uomo di massima
fiducia. Tra gli altri incarichi, De Paoli
aveva seguito per conto di Wind la partecipazione alle gare Consip per i servizi di
telefonia alla Pubblica amministrazione.
Nessuna certezza, per ora, sulle nuove
destinazioni di Rovizzi e De Paoli, anche
se da tempo negli ambienti del settore si
vocifera che Pompei, ora amministratore
delegato del gruppo Tiscali, voglia ricostituire intorno a sé almeno una piccola squadra di ex collaboratori.
Dai servizi all'hardware. Lg Electronics
Italia, filiale del gruppo coreano, ha nominato Dong Woong Shin nuovo presidente
della società. Tra i suoi compiti quello di
consolidare anche nel nostro Paese la doppia immagine che si è ormai costruita Lg,
produttore di elettronica di consumo ma
anche protagonista emergente nel settore
dei telefonini Umts.
Selesta spa, società che opera nel mercato
delle infrastrutture di information technology per le grandi aziende, ha annunciato la
nomina di Alfonso Nobilio a Direttore
generale dell'area Security Systems. Nobilio assume anche la guida della divisione
Grandi clienti.
14/02/2006
Il Sole 24 Ore
L’iniziativa è organizzata dal
Lions Club di Castellaneta, presieduta da Alessandro Scalera,
insieme con quelli di Martina
Valle d’Itria, Ginosa, Massafra
Mottola, Taranto Poseidon, Taranto Aragonese e Taranto S.
Cataldo, ed usufruisce del Patrocinio del Comune ospite, della
Provincia di Taranto e della Regione Puglia.
La giuria, per quest’edizione, ha
inteso assegnare il Premio, quale
testimonianza per aver contribuito a riaffermare l’immagine positiva e grande dell’Italia nel nome
primo divo del cinema nativo di
Castellaneta, a: Antonino Cavagna (Vice Presidente Gruppo
Uno a Erre), Salvatore Pistola
(Amministratore delegato Land
Rover Italia), Luciano Vinella
(Presidente Sita) per l’Economia,
Giancarlo Durante (Direttore
Centrale ABI), Luigi Mastropasqua (Amministratore Delegato
Inter Europa Bank R. T. Budapest), Gabriele Gabrielli
(Direttore Wind) per la sezione
Finanza; Andrea Amato
(Presidente Istituto per il Medite r r an e o ), M a r ia C u f fa r o
(Redazione Esteri TG3 Rai),
Franco Di Mare (Giornalista Rai),
Nemer Hammad (Ambasciatore
della Palestina in Italia), Giancarlo Spadoni (Direttore TG3 Rai
Puglia) per la Comunicazione; il
pugliese Ulrico Jacobellis, prima-
rio della divisione di urologia del
policlinico di Bari, per
l’innovativa sezione Ricerca.
Una serata di gala in cui i Lions
ionici sono riusciti a dar corpo ai
propri ideali, legando tra loro le
diverse notevoli competenze specifiche dei premiati nello spirito
di vicinanza e costruttivo legame
tra i diversi popoli all’impronta
del confronto.
Spirito lionistico ed aspirazioni di
far ritrovare a tanti popoli quegli
essenziali equilibri per una migliore e più pacifica convivenza e
rispetto reciproco sono state ritrovate nelle dichiarazioni
dell’ambasciatore Nemer Hammad e della giornalista Rai Maria
Cuffaro, testimoni diretti di
drammatici avvenimenti.
La sezione Comunicazione proprio con questi due premiati, tra
gli altri, ha portato nel teatro, in
tutta la sua drammaticità, la questione mediorientale per rilanciare
un messaggio di solidarietà internazionale.
Proprio nelle parole della Cuffaro, testimone diretta quale per le
cronache di guerra in Iraq, si è
sintetizzato il dramma bellico del
Medio Oriente. «L’atmosfera di
questo teatro – ha ricordato
l’inviata del TG3 – è lontana ani
luce da quella che si vive nelle
zone di guerra. La gente è rintanata nelle case perché ha paura di
uscire da casa perché non sa se
potrà farvi ritorno. L’impegno
d e l l ’ in fo rm az i on e , po i , è
anch’esso a rischio ed ho saputo
da poco che un cameraman iracheno, che mi ha sempre accompagnato riprendere le scene per i
reportage è morto per
l’esplosione
27/10/2004
di una autobomba».
La Gazzetta del
Mezzogiorno
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
LAVORARE IN WIND Un sito per i curriculum
d'assunzioni,
Il vento dell' assunzione soffia forte sul web 60% neolaureati e 40%
La nuova frontiera della selezione del neodiplomati, e così ha lanciato Windpersonale passa per Internet. Soprattutto work, il primo vero programma di
le grandi aziende, infatti, usano ogni «e.recruiting», reperibile sul sito
mezzo per catturare quelli che, con es- www.wind.it. «Affidiamo parti imporpressione ormai abusata, vengono chia- tanti del processo di selezione al web mati giovani talenti. E' ovvio che il web dice il responsabile risorse umane Gadiventi terreno di caccia, perché briele Gabrielli -. Inoltre trattiamo i
promette tempi rapidi per la cattura delle giovani come clienti, cui riservare la
prede ambite. Così si moltiplicano i siti massima cura: l' obiettivo è di non
delle imprese che offrono la possibilità perdere nessun candidato». Chi vuol
di depositare i curriculum. Nella maggior trasmettere il curriculum trova, come
parte dei casi, però, l' azienda non fa un altrove, domande standard che lo idenbuon servizio a se stessa, perché chi tificano, ma poi non deve seguire uno
lascia i propri dati perde ogni traccia del schema rigido: la richiesta di dati è disuo curriculum. La sensazione di non namica, diversificata per laureati e diploessere presi in considerazione causa la mati, aperta all' inserimento di quante
delusione e poi la fuga verso altre esperienze professionali si voglia, agile
aziende percepite come più attente. nella compilazione (l' errore in un
Sembra invece andare contro corrente campo non fa ripetere tutto). «Insomma
Wind, la società di telefonia mobile (si - continua Gabrielli - è un sistema penfonderà con Infostrada) con 4.800 sato per chi è abituato a Internet e non
dipendenti e 250 nuovi assunti nei primi sopporta tempi morti. Per noi, poi, è già
quattro mesi dell' anno. Da qui a dicem- un primo screening sulla familiarità con
bre conta di mantenere lo stesso trend le nuove tecnologie». Chiunque abbia
PAGINA 25
inviato il curriculum riceve poi una email di conferma e, in ogni momento,
può accedere ai suoi dati e verificare se
la posizione per cui si candidato è ancora aperta. Dopo un periodo più o
meno lungo un' altra e-mail, che chiede
di aggiornare il curriculum, viene inviata
ai candidati ancora in attesa. E' sempre
la posta elettronica che invita i giovani
più interessanti a misurarsi con i test on
line. Un' ampia batteria di domande, con
un tempo disponibile predeterminato,
per verificare attitudini generali e conoscenze tecniche. Senza spazi, però, per
imbrogliare: si vede una domanda per
volta e non si può scaricare l' intero
questionario. Insomma, è un vero e
proprio processo di selezione che sostituisce l' aula e la carta. I migliori, infine,
vengono convocati per sostenere i colloqui vecchia maniera. «Nulla - conclude
Gabrielli - può infatti sostituire il
guardare negli occhi la persona prima di
decidere se assumerla»
06/07/2001
Corriere della Sera
I plus del 2000? Etica e capacità di comunicare
Le technalities cedono il passo alle qualità umane della persona. Ecco come cambia il profilo
dei nuovi manager nelle aziende.
Potrebbe essere la riscossa delle lauree
umanistiche, dopo il boom di quelle
tecnicoscientifiche o economiche. L'ingegnere e il laureato in economia, anche
con master, sono out se le competenze
non sono accompagnate da una forte
capacità relazionale. Cosa chiedono
infatti oggi le aziende? I profili dei nuovi
top manager, tracciati da Stanton Chase
international, con una ricerca mondiale
tra oltre 900 direttori delle risorse umane, vedono in testa vision strategica,
flessibilità, intelligenza o, ancora, la capacità di gestire i cambiamenti e le ansie
connesse a un mondo in rapida evoluzione. Duttile, versatile, creativo, gran
comunicatore sono gli aggettivi più
utilizzati. Caratteristiche più della personalità che della tecnica, attitudini più che
esperienze. Non necessariamente legate
all'età. Se i settori che hanno maggiormente risentito di questi cambiamenti
sono quelli della e-economy, delle telecomunicazioni e dei servizi, il trend
riguarda ormai anche le imprese più
tradizionali. Perché è innanzitutto lo
scenario a essere profondamente mutato e ad avere imposto nuove regole.
«In passato», spiega Paolo Pellini, presidente della sede italiana di Stanton
Chase international, «il mondo nel
quale operavano le organizzazioni era
caratterizzato del1a stabilità, da piccoli
eventi di cambiamento e da proiezioni
future che si basavano sul passato: si
analizzava quello che si era fatto, per
stabilire cosa fare in futuro. Oggi, inve-
ce, nel contesto generale dominano
l'instabilità e il cambiamento veloce:
l'unica certezza è l'imprevedibilità e il
futuro va scoperto di volta in volta immaginato». E il manager non può che
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
essere innovativo e
creativo. Ma anche
il contesto economico dell'organizzazione è mutato.
«In passato», continua Pellini, «vigeva
la cultura dell'implementazione: si
ricercava soprattutto efficienza».
Per esempio, fabbricando spazzolini, si andava a
cercare dove produrli a prezzo inferiore. Oggi e in
futuro varrà di più
inventare nuove strategie: lasciare un
mercato per andare in altri, segmentare,
specializzarsi, riconvertirsi nel core business o differenziarsi allargando la gamma, orientandosi in continuazione al
cliente che si è identificato.
Nell'esempio degli spazzolini, secondo
Pelli, potrà essere determinante produrre anche filo interdentale e dotarsi di un
dentifricio, per non essere vinti da concorrenti che hanno à il dentifricio:
«Mentre prima gli obiettivi di business
erano la vendita di beni e servizi, adesso
prioritario diventa soddisfare il cliente (il
vero core), o, meglio, soddisfare i bisogni attraverso servizi e prodotti».
Com'era il manager del passato? Aveva
una conoscenza basata sulla sua esperienza di lavoro, era rispettoso dell'autorità gerarchica, obbediente agli standard,
alle norme, ai regolamenti. Era implementatore di cambiamenti originati
dall'alto o dall'esterno dell'organizzazio-
ne - società di consulenza, azionisti,
sede centrale della company - e il suo
sviluppo di carriera derivava dall'esecuzione corretta degli ordini e dalla fedeltà
aziendale. Cosa gli si chiede oggi? La
ricerca di Stanton Chase international
fotografa uno spaccato mondiale. E in
Italia? «Dalla seconda metà degli anni
Novanta», racconta Renato Casarotto,
direttore risorse umane di Infostrada,
«le aziende hanno avuto un cambio di
marcia che le ha portate a rivedere la
propria filosofia e perciò i profili dei
manager. Oggi, per esempio, bisogna
andare a scovare il cliente, mentre prima
era il contrario. E questo vale per tutti i
settori, dall'industria ai servizi. Nel ciclo
precedente questo valeva nel largo consumo o nei servizi basati sull' alta tecnologia; mentre oggi non solo le dc, anche
una banca o un'assicurazione cercano di
andare in modo sempre più capillare
all'utente. La caratteristica che si attaglia
al manager di questo periodo è perciò
l'esigenza di rapidità nelle decisioni e
nella loro implementazione, perché i
cicli di cambiamento - e lo si è visto in
Borsa con la new economy - sono molto brevi». In particolare, nelle telecomunicazioni, dopo la liberalizzazione, ci si
trova a decidere in presenza di una carenza di informazioni. «Non c'è benchmark», come sottolinea Casarotto, e si
deve decidere su qualcosa che avviene
per la prima volta. Occorrono perciò
coraggio e spensieratezza. Secondo Gabriele Gabrielli, direttore risorse umane di Wind, questo è il tempo della
complessità: di persone, di economy, di
finanza, di attori che sono coinvolti nei
processi produttivi e del business. «E al
manager si chiede di agire su finali diffe-
PAGINA 26
renziati con
variabili
differenziate
e di gestire
tale
complessità.
Perciò occorrono:
velocità,
grande capacità di decisione, grande capacità
di ascolto perché essendoci
diversi attori bisogna saper interpretare
le attese degli interlocutori. Paradossalmente, serve anche la semplicità: quella
di raccontare in quattro battute, in due
slogan, ogni giorno, ogni settimana, la
visione dell’impresa in cui si sta: dove
andare, l’obiettivo da raggiungere”. Caratteristiche più umanistiche che tecniche. “è finito il tempo degli ingegneri”
dice Casarotto, “perché oggi la tecnologia non è più un valore forte come in
passato. Davanti si hanno degli utenti da
soddisfare e la tecnologia è <la bestia
che sta in cantina> che il cliente non
vede e che dà per scontata”. Addirittura,
nell’economia basata sui servizi, i
manager migliori sono quelli che partono con lauree umanistiche, perché sono
affrancati dal feticismo tecnologico,
capiscono il cliente ed hanno un forte
orientamento alla comunicazione”.
Il loro mestiere è dare migliori servizi.
“Non è che valgano più le competenze
classiche, come conoscere il business o
la funzione” specifica Gabrielli, “ma a
chi opera nel finance si chiede di dare
una visione finanziaria dell’impresa”.
Oggi un manager è molto esposto, il
suo ruolo principale è dialogare e trasformare le idee complesse in concetti
semplici”. È così anche secondo Mario
Sassi, direttore risorse umane di Standa
Commerciale, che in precedenza ha
lavorato in Galbani. “Anche un ingegnere o un responsabile vendite deve
avere capacità di integrazione orizzontale con i colleghi e una visione d’insieme
dell’organizzazione, non solo quella del
proprio lavoro: le riorganizzazioni degli
anni scorsi hanno appiattito le strutture,
quindi a tutti viene richiesto di interagire
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
con le parti superiori e quelle chio sul lungo periodo”. Si
mensione relazionale; e alloinferiori. Una volta contava- chiede perciò duttilità cognira occorre essere molto flesno molto competenze e tiva, ampiezza di mente per
sibili».
specializzazioni, oggi si deve guardare simultaneamente al
Disposizione ai cambiamenti
riuscire
a
t e n e r e breve e allungo periodo, alla
continui, velocità e coraggio
l’organizzazione al passo con dimensione interna e a quelnelle decisioni, creatività e
il contesto, perciò si richiede la esterna in funzione dello
così via. Sembrerebbero
anche molta capacità di rea- stato di crescita dell' azienda:
caratteristiche attribuibili in
zione alle instabilità. È pre- “Saper guardare alla sopravmaggior misura ai giovani.
miata la capacità
vivenza immediata,
«È vero. Ma soltanto nella
di risolvere i pro- A FRONTE DEL- ma dare visione e
misura in cui uno se le porta
blemi”.
I l LA COMPLESSI- costruire il clima»,
nel dna. Certo non possono
manager generi- TÀ DELLO SCE- conclude Graziotti.
essere insegnate in un
co è passato di NARIO, OCCOR- Secondo Aldo Mamaster, tuttavia sono rafformoda, ma non RE PERÒ SAPER gnone, attualmente
zate dall'esperienza maturata
basta il solo spe- COMUNICARE
country
human
in diverse organizzazioni»,
LA VISION IN resource Italy di
cialista.
dice Gabrielli.
“L’esperienza di DUE BATTUTE.
Walt Disney, che
In Edisontel avevano anche
questi ultimi dieci
ha lavorato anche
un altro slogan, "Start up dei
anni mi fa dire”, Afferma in Colgate Palmolive, Star e
capelli grigi" perché, come
Luciano Graziotti, direttore prima ancora in Pirelli per
dice Graziotti: «negli anni 90
del personale di Edisontel, 12 anni, «tutta l'attenzione si
c'è stata un'ubriacatura: l'età
con trascorsi pure in Exxon è spostata in questi ultimi
era segno di rimbambimento
Chemicals, Pioneer, Dow anni sulle soft skills, cioè sulle
- i più anziani erano accusati
Chemical, General Electric e dimensioni relazionali che
di non conoscere le tecnoloAlbacom, «che il ruolo completano un profilo progie, e di non avere spirito
dell'executive si è modificato fessionale. Mentre inizialimprenditoriale - e si partiva
progressivamente da quello mente l'accento era sulle hard
dall'assunto che a giovinezza
di esperto di un ambito, di skills, cioè su competenze e
fossero associate le caratteriuna professionalità, di una conoscenze specifiche o
stiche vincenti. Oggi invece
technality a quello america- professionali, si è passati a
ci mettono in guardia da
no di coach. Se fino a dieci una situazione dove le conoqueste generalizzazioni: ci
anni fa il manager era uno scenze sono una precondisono giovani capaci di gestidei pochi che poteva inter- zione.
re le aziende e anziani che
venire nelle cose e utilizzava E senza conoscenze non si
sanno fare lo start up e giolo stili come supporto infor- viene nemmeno presi in
vani e anziani che non sanno
mativo, la velocità dei cam- considerazione. Ciò che fa la
fare né l'uno né l'altro ». Per
biamenti, la globalizzazione, differenza oggi sono le capadirla con le parole di Magnol'internet time insomma, cità relazionali che si accomne «l'età sta diventando un
impongono che questo ruo- pagnano al sapere tecnico,
falso problema. Chi ha carilo sia esercitato dalle perso- legate alle possibili declinasma è un evergreen: Celentane dello staff, da chi cioè è zioni della leadership, dall'inno buca il video anche a 63
più vicino al problema. E novazione alla capacità di
anni compiuti e lo faceva
l'executive deve dare la essere creativi, alla comunipure 30 anni fa.
vision, dare obiettivi, dare cazione, alla capacità di aL'età giusta è un concetto
risorse, cioè svolgere un'atti- scolto». Il manager deve
vecchio; anche nel mondo
vità di maggiore supporto a sapere entrare in sintonia
dell'entertainment non c'è
quello che fanno altri. Allo con l'ambiente di
problema per un
stesso tempo, ed è a nostra riferimento: con la L’ACCENTO
SI 60enne che sapesperienza, si chiede di avere "grisaglia" di McKin- SPOSTA DALLE pia ben relazioil duplice sguardo - è stato sey o con l'eccentri- HARD
SKILLS narsi con gli
anche lo slogan della nostra cità del creativo, (COMPETENZE
altri. Caso mai si
fase iniziale - di essere stra- «perché viviamo in SPECIFICHE)
stanno scolorenbici per natura: con un oc- una società trasver- ALLE
SOFT do certi stereotichio guardare al breve perio- sale, dove gli stereo SKILLS
pi, per esempio
do, all' operatività immedia- tipi sono divergenti e (CAPACITÀ RE- il link tra anziata, mantenendo l'altro oc- si moltiplica la di- LAZIONALI).
PAGINA 27
nità e progressione economica: oggi
se uno è bravo, lo pagano
tanto anche se è giovane».
Stiamo uscendo insomma da
una situazione schematica. E
lo conferma Sassi, che precisa:
«Prima l'esperienza era fondamentale.
Adesso si
SI
PUNTA
sta lavoranSEMPRE
PIÙ
do
sulle
SULLA CAPAcaratteristiCITÀ DI LAche
indi- VORARE
IN
TEAM
PIUT-
TOSTO
SU
CHE
SOLISTI
CAPACI
pendentemente dalle età, e
tutte le aziende puntano a
crearsi dei vivai».
Manager con queste doppie
caratteristiche non sono facili
da scovare. «Si trovano ancora
bravi ingegneri», riassume per
tutti Luciano Graziotti, «ma
spesso sono soltanto bravi
tecnici. Così come si trovano
ancora bravi manager. Quando si tratta di approfondire un
argomento, si scopre però che
questi ultimi non conoscono il
linguaggio, la grammatica
dell'area».
E poi è anche difficile farli
restare nell'organizzazione.
«A parte le stock option»,
afferma Mario Sassi, «ci si sta
accorgendo che non si può
trattenere qualcuno soltanto
con i soldi; tutti sono in grado
di darli. Occorrono piuttosto
più iniziative sulla comunicazione, sullo stare insieme,
aspetti che in passato erano
molto istituzionali. Perché
uno dovrebbe rimanere 15 ore
in azienda? La differenza la
fanno il clima, i progetti che si
mettono in campo, il superamento delle gerarchie, il poter
portare il proprio contributo
al risultato finale, e così via».
Più che la fedeltà, impensabile
in un' epoca nella quale si sta
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
accorciando la vita di un
manager all'interno della
stessa azienda,
contano la lealtà e la capacità
etica, che valgono per qualunque ambiente: verso l'azienda, verso il, cliente o
verso le persone con le quali
si lavora.
Valori di riferimento, all'interno dei quali muoversi in
autonomia. Quella che una
volta si chiamava fedeltà
all'azienda oggi non basta
più. Come! sostiene Aldo
Magnone, «è importante
invece possedere un buon
meccanismo di identificazione con l'organizzazione aziendale, perché, se non si è
in grado di interpretare il
momento che si sta vivendo,
l'anzianità non basta per sopravvivere».
Dalla ricerca internazionale
risulta che il processo iniziato, e che si sta svolgendo,
beni difficilmente si stabilizzerà: il nuovo equilibrio sarà
sempre evolutivo; il punto di
arrivo cioè avrà un altro equilibrio e così via. E perciò,
come dice Paolo Pellini,
«nessuno potrà più focalizzarsi su un solo aspetto. Anzi, le persone devono essere
in itinere e sapere cambiare
per poter mutare la propria
impresa». Un'impresa non
più basata su routine e standardizzazione su burocrazia e
centralizzazione, ma creativa
innovativa, snella e leggera.
Non più con 5-6 stratigrafie
PAGINA 28
nell' ambito dell' organizzazione bensì con 1-2-3 livelli,
flessibili e capaci di lavorare
in termini di complementarità e di outsourcing, portando
fuori o gestendo alleanze
per non fare più tutto da soli.
Passando da un stile di gestione basato su una efficiente amministrazione a una
gestione del business in termini di leadership e imprenditorialità.
Rispetto a come siamo o alla
percezione di come ci siamo
modificati, quali sono le aspettative di cambiamento
che dovremmo apportare per
essere sensibili all'environment?
Cosa manca, insomma, agli
italiani nel confronto con il
livello internazionale? Qual è
la distanza tra come il
manager è oggi e come dovrebbe essere per collocarsi
ancora più vicino ai bisogni
del mercato?
«Dall'indagine», rispondePellini, «emerge un leggero gap
sul piano umanistico, segno
quindi che c'è stata evoluzione, e un gap forte sull'orientamento al team. In Italia e in
Europa si riscontra ancora
una notevole individualità, a
differenza per esempio di
quanto avviene nelle culture
anglosassoni. Per quanto
riguarda infine la centralizzazione del
Giugno 2001
potere la
gestione
Espansione
dell'in-
Crescere grazie alle risorse umane
Oggi per creare valore e aumentare la competitività le aziende devono essere in grado di individuare, misurare e sviluppare i veri motori delle performance individuali.
Affermare che l'impresa
deve produrre valore significa scoprire l'acqua calda. Il
punto chiave, oggi, è comprendere quali sono, all'interno e all'esterno dell'azienda, le persone che possono
maggiormente contribuire a
far raggiungere questo traguardo. Sono queste le tematiche che cercherà di approfondire il workshop di Ambrosetti, che si terrà a Roma
il 28 e il 29 settembre, dedicato alle possibilità di creare
valore d'impresa attraverso
le risorse umane.
All'incontro interverranno
esperti e manager che sono
riusciti a incrementare lo
sviluppo di grandi imprese
attraverso una migliore gestione del personale. «In
effetti anche nelle aziende
italiane si stanno affinando e
sviluppando criteri di misura
delle performance individuali
e collettive», osserva Gio-
vanni Mocchi, senior
manager di Ambrosetti.
«Non basta, però, misurare e
motivare le risorse umane.
Questo è solo il punto di
partenza. Bisogna evitare che
le persone corrano facendo
solo confusione. E per farlo
occorre che, accanto a un
sistema orientato al valore, le
aziende riescano a individuare e sviluppare i veri motori
delle performance, e cioè le
capacità e le competenze».
In sostanza, la direzione
risorse umane di un'azienda,
per poter contribuire alla
creazione di valore, dovrà
sempre di più dimostrare di
essere in grado di individuare, misurare e sviluppare i
veri driver della performance
individuale. È questa la logica con la quale è stato progettato il workshop che,
partendo dall'analisi di quello
che Ambrosetti considera il
più efficace sistema di misura del valore (Eva, o l'Eco-
nomie value added), si propone di presentare, attraverso le testimonianze di esperti
e di casi aziendali, lo stato
dell'arte sui sistemi di governo delle motivazioni della
performance individuale.
«Per ottenere un risultato le
persone devono essere motivate a raggiungerlo e devono
essere competenti», afferma
Paolo Vitali, partner di Ambrosetti, «è anche necessario,
però, che l'ambiente in cui
operano sia coerente con gli
obiettivi posti alla squadra e
agli individui. Insomma, se ci
si rende conto che è opportuno dare spazio all'iniziativa
dei singoli è necessario che
poi questa venga lasciata
libera di esprimersi. Se, invece, sono più utili le persone
competenti, va fatto in modo che queste crescano».Vitali vanta un'esperienza unica nel settore delle
risorse umane. AlI'Eni è
stato, infatti, responsabile
dello sviluppo e della gestione manageriale, cioè delle
fasce più alte della dirigenza.
Tra i suoi compiti vi è stato
quello di assistere l'amministratore delegato dell'epoca,
Franco Bernabè, nella scelta
dei top manager da porre a
capo delle società del gruppo
(Agip, Enichem, Snam e così
via) mettendosi al riparo da
contestazioni esponendo al
consiglio di amministrazione
criteri decisionali oggettivi.
«Abbiamo dovuto sostituire
prima 80 persone ai livelli
più alti», racconta Vitali,
«andando a studiare quali
dovevano essere le competenze adatte a ricoprire le
posizioni vacanti. Successivamente lo stesso lavoro
d'analisi è stato fatto per 200
dirigenti da collocare in posizioni chiave, come i direttori
di stabilimento, di divisione
e altro ancora. Si trattava
senz'altro di responsabilità
inferiori per assegnare le
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
quali era, però, necessario
mettere a fuoco un analogo
processo d'analisi per la scelta degli individui più adatti in
termini di capacità e di competenze».
Queste ultime sono delle
abilità interiori che le persone hanno e che esternano
attraverso comportamenti
organizzativi. Tanto che
qualcuno può essere giudicato adatto a sviluppare le
competenze di altri colleghi.
Un'altra dote è la capacità di
pianificare e che si può chiaramente osservare negli individui alle prese con i compiti
loro assegnati. Vi sono, inoltre, persone in grado di misurare gli obiettivi del gruppo e di suddividere le responsabilità, o di prevedere
con un certo anticipo rischi e
opportunità di una situazione. Tra le tante competenze
è possibile citare anche l'orientamento all'efficienza e
alla flessibilità nell'adattarsi
alle situazioni impreviste,
assorbendole senza traumi.
Vi sono, poi, l'attenzione ai
dettagli e la capacità di autocontrollo. A queste si aggiungono le attitudini relazionali come l’empatia, la
capacità di persuadere o di
stabilire rapporti interpersonali positivi. Si pensi, inoltre,
a chi non sa come risolvere
un problema ma ha sempre
un amico o l’esperto adatto
cui chiedere un consiglio, o
un’idea. Pure la fiducia in se
stessi figuri tra le competenze relazionali insieme alla
comunicazione verbale. Le
capacità (o capabilities) indicano, invece, delle caratteristiche professionali che gli
individui maturano nel tempo. “Questo significa”, spiega Vitali, “saper governare, a
livello di top management, le
sinergie tra business e divisioni, concentrandosi sui
mercati più redditivi, individuando le modalità che pos-
sono permettere il conseguimento di vantaggi competitivi sui concorrenti. La
leadership individuale deve,
infine, portare all’esercizio di
un controllo strategico volto
ad assicurare che lo sviluppo
dei settori di business sia
coerente con il piano stabilito”. Una volta compresa la
necessità di scegliere oculatamente le persone giuste a cui
affidare mansioni di responsabilità si tratta poi di motivarle al raggiungimento degli
obiettivi, misurandone le
performance. È questo
l’obiettivo di Eva che Filippo Peschiera, amministratore
delegato di Ambrosetti-Stern
Stewart Italia, ha introdotto
in quattro aziende quotate:
due società industriali, una
banca e una catena di distribuzione. “Il concetto sembra
banale”, spiega Peschiera,
“ma in pratica non è così. In
Italia
va
diffusa
l’incentivazione attraverso la
parte variabile delle retribuzioni anche se si tratta di
intervenire su comportamenti molto radicati che
ostacolano il cambiamento.
Molti manager sono, infatti,
abituati ad essere incentivati
sulla parte ficca ma così non
si sviluppa la mentalità imprenditoriale che presuppone una certa attitudine al
rischio e che è alla base della
ricerca di risultati sempre
migliori”. Ma, pur con lentezza, la situazione sta cambiando anche in Italia e sono
sempre di più i manager che
accettano di legare gli incentivi al valore prodotto per
l’azienda. A dire il vero se le
cose si modificano ciò è
dovuto anche i mutamenti
intervenuti nelle stesse strategie d’impresa. “La premiazione in base al risultato va,
però, introdotta a tutti i livelli aziendali», aggiunge Peschiera, «per permettere
all'azienda di pagare meglio
PAGINA 29
un gran numero dei suoi
dipendenti senza correre
eccessivi rischi». Più stock
option, allora? «Non è detto»,
risponde Peschiera, «anzi noi
non le vediamo di buon
occhio perché, normalmente, sono rivolte a un'élite
dell'azienda e perchè si sono
rivelate un boomerang, almeno per l'Italia, a causa
dell'andamento della Borsa
negli ultimi mesi». All’evento
organizzato da Ambrosetti
saranno presenti Martin
Goetzeler, responsabile
dell’applicazione operativa di
Eva in Siemens Italia, che
interverrà sui risvolti che
questa ha comportato nella
vita d’impresa, e Pierluigi
Crudele, presidente di Finmatica, diventata famosa per
un’eccezionale performance
borsistica. “La net economy
non è solo Internet”, precisa
Crudele, “ma anche il risultato del cambiamento che ha
travolto l’organizzazione dei
processi produttivi.
Un’evoluzione cominciata
negli anni Settanta con primi passi dell’outsourcing,
diventato negli anni Ottanta
la parola d'ordine a cui si
sono affiancati altri modelli
innovativi di organizzazione
dell'impresa come il franchising. Tutti hanno, però, una
cosa in comune. Una riorganizzazione che mette al centro dell'impresa le core competencies lasciando fuori tutto
quanto è strumentale,
dall'amministrazione alla
logistica, alla pubblicità. Perfino le proprietà immobili
vengono cedute per essere
noleggiate in un processo
che mira a portare all'esterno
i valori materiali per
privilegiare quelli intangibili.
Allora, l'unico vero e fondamentale asset che rimane al
centro di un'azienda è costituito dal capitale intellettuale
e dalle competenze incorporate nelle risorse umane».Gli
uomini e le donne di un'impresa ne sono il motore, gli
interpreti e il veicolo sul
mercato, insiste Crudele. «E
le imprese eccellenti sono
fatte di uomini e donne eccellenti. Ritengo che nel
prossimo futuro prospereranno le aziende che saranno
capaci di impostare relazioni
stabili e durature con il mercato, con i propri clienti
attraverso rapporti anche
quotidiani in cui i gestori di
queste relazioni saranno
considerati sempre più risorse pregiate. Si tratterà di
persone che, a prescindere
dalle gerarchie, interpreteranno il loro ruolo come
portatori delle competenze,
dell'immagine e delle opportunità offerte da un'intera
azienda».Porterà un contributo al workshop, in veste di
relatore, pure Gabriele Gabrielli, direttore delle risorse
umane di Wind, il terzo gestore di telefonia cellulare in
Italia, che alla scelta degli
individui attribuisce una
funzione fondamentale. «Per
competere con successo e
realizzare performance superiori alla media è assolutamente
necessario valorizzare le
competenze individuali e
collettive che le persone
esprimono attraverso i propri comportamenti nel lavoro quotidiano. La valorizzazione non può essere però
episodica. Al contrario, deve
diventare una sorta di ossessione del management ed
essere, quindi, parte integrante della cultura aziendale. Noi abbiamo scelto di
posizionarci molto chiaramente. Uno dei nostri valori
fondamentali consiste proprio nel dar valore alle persone».
Luglio-Agosto 2000
Espansione
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
I nuovi mestieri d' oro
Tutti li vogliono. Sono i
nuovi "colletti bianchi virtuali", professionisti dell'
universo ipertecnologico.
Caccia aperta per esperti di
e commerce, web designer,
internet surfer, content
manager,
information
broker, web market research, specialisti datawarehouse e linguaggio html,
change e security manager.
Nuove professioni di oggi,
bacino di nuovi occupati di
domani. Con un pericolo:
lo skill shortage, ovvero la
carenza di professionalita' .
Secondo l' Assinform, l'
associazione che raccoglie
le maggiori imprese di informatica e comunicazione, nel 2000 c' e' spazio per
oltre 40 mila posti di lavoro tra internauti, specialisti
di database, networking e
sistemi applicativi come
Erp (electronic re engineering
process),
Crm
(customer
relationship
management) e Sap. A
giudizio
di
Idc
(International data corporation) nel 2002 in Italia le
posizioni da coprire tra
informatica e tlc saranno
150 mila. Ma Federcomin,
organismo di Confindustria, ha calcolato che nel
2001 internet chiedera' e
non trovera' 60 mila posti
di lavoro. E questo mentre
Databank consulting stima
in 130 mila i siti web aziendali attivi oggi, che entro 5
anni potrebbero salire a un
milione. Dunque, un' esplosione di opportunita' di
incerta copertura. Anche se
con il tempo cambiera' la
domanda: meno tecnici e
piu' persone con il compito
di gestire i siti, come addetti al marketing, personale
amministrativo o addetti
alle pubbliche relazioni. Ci
sono poi i lavori non virtuali. Qualche profilo piu'
tradizionale, seppur rinnovato nei contenuti, creera'
occupazione. Buone prospettive esistono per esempio per chi conosce le tec-
PAGINA 30
niche piu' avanzate del marketing, fa ricerca in campo
biotecnologico, gestisce le
strategie ambientali (eco
manager) o pianifica campagne pubblicitarie (media
planner). Il futuro appare
roseo tanto per professioni
di alto rango, come i preziosi banchieri d' affari (vedere
schede), quanto per attivita'
da tempo un po' in declino,
come l' agricoltura: l' arrivo
dell' e commerce sta generando richiesta di agricoltori
high tech. Come e' accaduto
negli Stati Uniti, un tappeto
rosso inizia poi a stendersi
davanti a chi conosce il settore biotech, obiettivo di
multinazionali e start up.
Tutto cio' senza dimenticare
figure professionali gia' conosciute. A guardare i giornali straboccano inserzioni
di product, project e account
manager, analisti e promotori finanziari, key account. E
poi, a un livello inferiore,
infornate nel mondo delle
telecomunicazioni, come e' il
caso degli operatori di call
center. Qualcosa di piu' di
Wind vola sulle ali della conoscenza
Intervista a Gabriele Gabrielli, Direttore Risorse umane Wind
In un'azienda di telecomunicazioni come Wind che significato
assume il tema del Knowledge
Management?
Significa trovare le modalità, prima
di tutto culturali, poi naturalmente
anche le metodologie e gli strumenti
per gestire lo straordinario patrimonio di conoscenza ed esperienza di
un gruppo di persone multiculturale
per valorizzarne le differenze. Oggi
siamo quasi 3500 persone e razienda ha lanciato
la sua offerta commerciale appena otto mesi
fa: abbiamo effettuato,
un'analisi delle risorse
umane di cui disponiamo e il dato
più rilevante emerso è che proveniamo da oltre 300 aziende diverse. Quindi 300 modi di lavorare,
300 visioni, 300 esperienze diverse sotto il profilo personale e umano, dei rapporti con il cliente,
con l'organizzazione e con l'ambiente. Tutto questo significa un
patrimonio enorme. Il tema è
appunto come valorizzarlo appie-
un fisiologico rinnovamento
professionale. Complice la
new economy, il mondo del
lavoro sta vivendo e soprattutto vivra' forti cambiamenti. Che le telecomunicazioni
rappresentino un trampolino
per nuovi lavori e' del resto
testimoniato da tutti gli operatori. Si prenda Wind, terzo
gestore nella telefonia cellulare. Gabriele Gabrielli,
direttore risorse umane,
precisa: "Ci servono circa 70
web master e web producer,
da aggiungere ai 50 che stanno sviluppando il nostro
portale. Ma il grosso della
domanda riguarda i call
center". Sia pure di piu' basso profilo e senza particolare
pedegree, gli operatori dei
call center rappresentano
pur sempre una nuova forza
lavoro. Wind gia' ne ha
1.350 (su 3.500 addetti), che
assumono con contratti formazione lavoro e chiamano
"consulenti telefonici".
19/05/00
Il Mondo
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
no, costruendo una cultura e
un'identità aziendale coerente con il nostro posizionamento e con gli obiettivi di
business. "Lavorare con le
differenze", non a caso, è
l'obiettivo di un seminario
che abbiamo lanciato in questi giorni e che abbiamo
chiamato Patchwork, un
titolo simbolico, che richiama l'arte di mettere insieme
cose eterogenee, colori diversi, per dare vita a un mosaico armonioso, a un'immagine unica, originale e irripetibile. Valorizzarle differenze
- anche quelle emotive credo sia l'aspetto più rilevante, sfidante e concreto
del nostro processo di, Knowledge Management.
Quali
sono
le
"conoscenze
aziendali
critiche" per un'organizzazione come Wind?
L'aspetto principale su cui
lavorare è declinare proprio
in competenze le comportamenti concreti la convergenza fra più tecnologie e più
servizi che offriamo, la trasparenza e l'innovazione che
rappresentano la nostra promessa al mercato.
Quali sono le leve e i meccanismi gestionali che
possono facilitare lo sviluppo di queste competenze e comportamenti
all'interno dell'organizzazione?
Gli strumenti sono in parte
tradizionali, in parte meno.
Questa azienda ha la sua
visione, i suoi valori e la sua
missione: in altre parole, ha
le proprie "regole del gioco".
La concretizzazione di questo - se preferisci la sua comunicazione – avviene attraverso i comportamenti del
suo management e delle
persone che offrono le loro
energie intellettuali per lo
sviluppo dell'impresa. La
prima leva gestionale è quindi il management e soprattutto la sua modalità del
"fare". Comunicare la visione, attraverso l'azione, soprattutto in aziende che operano in settori 'velocissimi
come quello dell'Information & Communication Technology, è fondamentale.
Assume il significato di una
"decodifica" continua di
quello che l'azienda vuole
perseguire. L'essenza dell'attività del management è poi
quella di assumersi la responsabilità di gestione della
persona che ti è affidata; il
mandato di un capo è di
tirar fuori dalle persone il
meglio: "sempre". Tutte le
persone possono crescere,
ognuna ha un suo potenziale
inespresso.
È per questo che abbiamo
avviato un percorso di interiorizzazione e condivisione
di questa filosofia
all'interno
dell'Executive
Team di Wind; un percorso
molto articolato che è iniziato con un team building di
tre giorni; un rime-out finalizzato a "ri-conoscerci" e a
"socializzare" gli obiettivi
della squadra e quelli di ciascuno. L'abbiamo chiamato,
scegliendo un apposito logo,
Bike; un acronimo che sta
peri Building Integration,
Knowledge Excellence. Dai
lavori del team building è
emerso, tra le altre cose, che
ogni gruppo dirigente proietta un"'ombra" su tutta l'azienda. Abbiamo lavorato
molto nel cercare di capire
qual è l'ombra che proiettiamo: se è un'ombra coerente
con quello che vogliamo e
con quello che l'azienda
intende perseguire. In altre
parole stiamo sviluppando
una grossa capacità di ascol-
PAGINA 31
to all'interno e all'esterno; e
l'ascolto ritengo sia uno strumento chiave del Knowledge Management.
E anche su questo, credo,
che le organizzazioni di successo del Terzo Millennio
fonderanno il loro vantaggio
competitivo.
Quale è il ruolo della direzione Risorse umane in Si è affermato più volte
questo processo?
che l'individuo all'interno
Essenzialmente un ruolo di delle organizzazioni esprifacilitazione del processo di me una limitata: parte
cambiamento; un ruolo di delle competenze che posaccompagnamento
del siede: come valorizzare
management nell'assunzione questo potenziale inedelle proprie responsabilità spresso delle organizzaverso le persone. Un ruolo zioni?
di continua innovazione e
regolazione dei processi di
apprendimento individuali e
collettivi. A questa filosofia
corrisponde, sotto il profilo
della strumentazione, un
assetto
di
people
management fatto di poche
regole e principi che siano in
grado di inventare continuamente occasioni di apprendimento per far crescere le
persone e sviluppare approcci innovativa tutti i livelli.
La promessa che Wind fa
alle sue risorse è molto semplice: "crescerai continuamente perché avrai tante
occasioni di apprendimento,
che faranno crescere - nel
tempo - il tuo valore come
professionista e come persona, sia nel mercato interno
sia nel mercato esterno". E
all'interno
di
questa
"promessa" che va anche
collocato il significato che
attribuiamo a un termine
forse obsoleto, ma ancora
utilizzato, come la "carriera".
Il modello della carriera verticale non è più valido, anche se, mi rendo conto, resta
ancora molto radicato nelle
organizzazioni nella percezione delle persone. E invece importante sviluppare un
approccio diverso, basato
sulla creazione e valorizzazione di continue occasioni
di apprendimento.
Lavoriamo in un settore che
opera con tecnologie e offre
servizi tipici della società
postindustriale: lavoriamo
nel mondo della comunicazione e dell'intrattenimento,
nel mondo che sviluppa una
nuova socialità attorno alla
valorizzazione della personalità e soggettività, di ciascuno.
La soggettività è il drive
fondamentale dei bisogni e
della motivazione delle persone, così come la ricerca
continua di nuove forme
anche temporanee - di aggregazione sociale.
Entrambe hanno ricadute
importanti sulle competenze
da sviluppare e sul potenziale da ricercare e far esprimere. Faccio un esempio: come
fa una persona che non è
attenta all'ascolto e che non
ha attitudini in tal senso a
lavorare bene e a crescere in
un'azienda come Wind, in
un settore come questo,
all'interno di un posizionamento di business come il
nostro?
Quale ruolo può avere la
Formazione in questo
complesso processo?
Stiamo progettando contenuti, strumenti e occasioni
formative che siano coerenti
con l'obiettivo della nostra
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
presenza nella società e nei
mercati in cui operiamo.
Sviluppare creatività, attenzione ai bisogni delle persone, il "gusto" di raggiungere
insieme obiettivi sfidanti,
benessere personale e professionale: sono questi alcuni
dei filoni di nostro interesse
per accrescere quelle competenze che riteniamo appropriate per gestire il business
affascinante in cui operiamo.
Quindi stai dicendo che la
filosofia e la strategia
complessiva è quella
dell'integrated diversity,
fondamentalmente?
Assolutamente. Con un modello organizzativo matriciale che aiuti e faciliti proprio i
processi di apprendimento.
Ti propongo questo tema.
Come, creare valore d'impresa in contesti competiQual è il modello organiz- tivi: quali competenze?
zativo in questa azienda? Il nostro modello di compeCome può facilitare lo tenze è tutto giocato sui
sviluppo di questa, visione comportamenti. Non posso
e strategia complessiva?
darti una risposta compiuta
E un modello organizzativo
nuovo rispetto ad altre esperienze. Ci crediamo molto; è
un modello organizzativo
complesso, con molte matrici, coerenti però con una
mentalità e la volontà di
mettere a confronto più
culture, più responsabilità e
più competenze.
Possono le condizioni
organizzative stesse (task
force, team di progetto
eccetera) facilitare tale
processo? Come strutture
cioè che veicolano nel
quotidiano, operare, nel
problem solving, quotidiano, quelle conoscenze
''tacite'', nascoste e custodite nell'individuo?
Un modello come il nostro
crediamo faciliti l'integrazione e la prospettiva multiculturale, nonché la patrimonializzazione delle competenze
individuali e dell'organizzazione. Un'azienda come
Wind non può fondarsi né
su approcci gerarchici né su
quelli funzionali, ma deve
lavorare su un approccio più
di gestione strategica e culturale. La nostra struttura vuol
rispondere a questi obiettivi
e a un mercato complesso.
perché il modello di competenze è in itinere e sarà definito con l'apporto di tutto il
Management - entro il mese;
possiamo però provare a
fare dei ragionamenti.
Che cosa significa innanzitutto creare valore? Associato all'espressione "creare
valore" credo ci siano tre
dimensioni: il valore per
l'azionista, il valore per il
mercato (cliente e società), il
valore per le persone che
operano in azienda. Non
credo ad approcci monodimensionali, anche se gli assetti, finanziari e di mercato
sembrano talvolta privilegiare questo. Ritengo infatti che
l'approccio monodimensionale sia una filosofia che
contribuisce poco a costruire
percorsi
di
sviluppo
"sostenibili". In altre parole
credo profondamente che nella
prospettiva
del
management - creare valore
significhi produrre risposte
"sostenibili" per tutti gli
stakeholders. Ma so anche di
rappresentare, almeno credo
una corrente di pensiero
minoritaria.
Se questo significa creare
valore quali sono allora le
competenze da sviluppare?
PAGINA 32
Ritengo che uno dei comportamenti più concreti,
come, ho già detto, sia l'ascolto e anche la tolleranza.
L'ascolto in questo caso si
traduce nel cercare di comprendere a fondo le diverse
prospettive dei molteplici
portatori di interesse. Compito del management quello
di riuscire a integrare, operativamente, in
soluzioni
“sostenibili”. In questo senso sono prioritarie le conoscenze del mercato e delle
tecnologie, ma anche la capacità di valutare gli impatti
culturali e sociali delle scelte
di business. Questo è un
aspetto fondamentale. Il
tema del valore, in una prospettiva di integrazione delle
tre dimensioni che ho proposto, richiede una responsabilità manageriale molto
profonda e qualitativamente
diversa da quella che si insegna, talora, nelle business
School. Non credo in altre
parole né ad approcci meramente finanziari, né ad approcci di "buonismo" tipo le
relazioni umane degli anni
Sessanta.
E quindi?
management giovani sono
sempre più ansiosi di crescere velocemente. Come
è possibile gestire questo?
Che cosa ne pensi?
Questa è un'azienda giovanissima. L'età media è 29
anni. Quando un'azienda è
giovane si respira freschezza,
entusiasmo e, talora, anche
ingenuità. Quando incontro
colleghi più giovani che mi
chiedono "come" l'azienda
pensa di farli crescere e
"quando" normalmente rispondo con una domanda:
"Ti senti oggi in grado di
prendere il posto del tuo
capo o del tuo champion
professionale? 'Quanto' ti
manca e 'cosa' ti manca?'
Costruisci l'obiettivo e insieme costruiamo il percorso
per raggiungerlo". In altre
parole invito le persone a
fare self-assessment e a misurarsi.
Chi deve aiutarle nel fare
questo? Il management. Solo
il management può aiutare la
persona ad assumere un
ruolo di protagonista del suo
processo di crescita e a sollecitarla in direzione di un
continuo bilancio "di dove
sei
arrivato".
E
il
management ha anche la
responsabilità di essere chiaro in questo percorso e dire
talvolta: “guarda che devi
ancora crescere su questo
aspetto e su quest'altro”
Perché tutte le persone possono crescere; è questo il
principio, non c'è nessuna
persona che non possa crescere e re-inventarsi. Ognuna ha il suo potenziale inespresso ed è questa la nuova
arena della competizione per
la gestione delle risorse umane.
Quindi occorre declinare in
comportamenti
concreti
questa visione affinché lo
stile di management, l'organizzazione e la cultura
dell'impresa siano coerenti.
Faccio un altro esempio:
Wind chiede molto alle persone; l'asticella della performance attesa e richiesta viene continuamente spostata
verso l'alto. In questo contesto però vogliamo altresì che
l' errore sia tollerato. Perché
crediamo sia una leva formidabile di innovazione e di
imprenditorialità.
Come si muove, un'azien-
da come Wind per valorizRitorno un attimo sulla zare queste competenze
filosofia
di
people inespresse che alla fine
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
PAGINA 33
diventano patrimonio per che stiamo pensando do- stanza che considero molto Tmi porto con me l'espel'intera organizzazione?
vrebbe aiutare a imboccare utili e ricchi di funzioni d'u- rienza propria di uno startAiutandole persone, come
ho già detto, in un processo
continuo di consapevolezza.
Appena disponibile il modello di competenze, avvieremo
un sistema di assessment e
di sviluppo: il nostro assessment
&
development
center. Un sistema che è
finalizzato anche con l'apporto del management che
giocherà ruoli di mentoring
per i nostri key people – a
offrire aiuto e consulenza
alle persone, per scoprirne il
valore inespresso, quello
cioè che ancora può dare
cimentandosi magari in sfide
nuove. Non vogliamo mettere in piedi sistemi finalizzati
a dire "tu sei buono, tu non
sei buono"; il principio è un
altro. Il gioco con le persone
non è mai a somma zero.
rapidamente questa direzione. Rendere consapevoli le
persone dei propri successi e
delle tappe ancora da vincere; sollecitare riflessioni del
tipo: “Ah, pensavo che avessi finito ma non ho finito
per niente, perché...”.
di conoscenza per l'organizzazione e per la persona. Ma
è anche uno
strumento di cultura organizzativa.
Faccio un esempio: una cosa
che non vogliamo assolutamente sponsorizzare nell'organizzazione è la presunzione; perché crediamo che la
presunzione sia, per così
dire, la più forte barriera
all'entrata per competenze
chiave come l'ascolto e l'innovazione continua.
L'autoreferenzialità è una
dimensione psicologica e
organizzativa davvero pericolosa. Allora bisogna disporre di strumenti che continuamente
riescano
a
"mettere in crisi" la persone.
Perché è questo che fa scattare l'apprendimento: è questo che fa scattare la logica
della sfida. Il sistema di assessment & development
Credo che nell'attuale fase di
sviluppo organizzativo di
Wind siano più utili altre
"strumentazioni". Privilegerei una formazione più
“socializzante”. Pensa che
nell'ultimo anno questa azienda ha assunto oltre 2000
persone, a un ritmo impressionante.
Soltanto due numeri per
darti un'idea più precisa:
abbiamo assunto 8 persone
al giorno, ogni giorno
dell'anno compresi i festivi e
le ferie; quindi ogni 3 ore è
entrata una nuova persona
in questa azienda! Credo che
la formazione possa aiutare a
costruire un processo di
conoscenza reciproca, un "ri
-conoscersi" attorno agli
obiettivi e all’identità che
vogliamo costruire. In altre
esperienze ho lavorato con
impegno per sviluppare sistemi di formazione a di-
so ancora inesplorate. Ma
nel contesto organizzativo in
cui opero, in questo momento, credo sia più proficuo
costruire momenti di socialità non tanto virtuali quanto
fisici e reali.
Quindi sviluppare una
Gli esami non finiscono reale conoscenza tra le
mai!
persone: con chi si ha a
È proprio così. E attraverso che fare quotidianamente?
questa modalità si consolida
una concezione dell'organizzazione mobile, dinamica,
sempre in movimento.
Un'organizzazione che può
offrire sempre nuove opportunità.
È proprio così. È questa
modalità che crea il gruppo,
la squadra, il sentirsi insieme.
L'obiettivo quindi è facilitare
- come dicevo - un processo
di "ri-conoscimento" che è
sempre un processo di innovazione organizzativa e culE la formazione a distan- turale.
za, secondo te, che ruolo
ha? Può essere utile come
strumento per gestire questo processo di sviluppo,
È anche questo uno stru- di integrazione delle dimento di conoscenza?
versità, di apprendimenCertamente, uno strumento to?
Senti, che ti porti in Wind
delle tue precedenti esperienze prima in Sip, poi in
Telecom, in Tmi e in
Gruppo Coin?
Domanda complessa!
Lo so bene. Fai questo
esercizio di semplificazione.
Dell'esperienza Sip e Telecom porto sostanzialmente
queste cose: innanzitutto
una competenza a gestire
strutture e processi complessi; la partecipazione a un
progetto organizzativo e
culturale di costruzione di
una società – una risorsa del
Paese - aperta al mercato e
alla concorrenza: l'esperienza
professionale che ho maturato nelle tante e diverse
responsabilità che ho ricoperto, sia gestionali sia di
progettazione e di sviluppo;
e, infine, uno straordinario
bagaglio di conoscenza delle
differenti tipologie di
persone/aspettative/
sentimenti che si possono
incontrare nella vita e nei
contesti organizzativi. Di
up, la complessità di un'organizzazione multietnica,
l'entusiasmo, la professionalità e la volontà di un gruppo
di giovani e validi professionisti, aggregati attorno a un
unico obiettivo.
Di Gruppo Coin porto con
me invece la conoscenza di
un modello di business,
quello della Grande Distribuzione Organizzata, affascinante e diverso; mi porto
il concetto di efficienza e di
velocità; e l'esperienza di
un'acquisizione. La Standa,
che mi ha dato 1'opportunità
di lavorare attorno a un progetto complesso di integrazione organizzativa, professionale e culturale. Se posso
ancora semplificare, dall'insieme delle esperienze che
ho maturato, porto con me
in Wind l'attenzione e il rispetto per la diversità e, soprattutto, flessibilità e un
buon bagaglio, almeno credo, di griglie di lettura delle
persone e delle organizzazioni.
Un'ultima domanda: direttore del Personale Wind
o direttore delle Risorse
umane?
Tra le due certamente preferisco Risorse umane. Ma
nessuna coglie l'essenza della
professione e della sua responsabilità.
A chi lavora con me spesso
dico che stiamo sempre più
assomigliando a una sorta di
"architetti sociali" o, se preferisci,a "designer" del cambiamento e dell'apprendimento. O tali ambiremmo
divenire, per creare valore
nelle organizzazioni.
Gennaio 2000
Hamlet
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
PAGINA 34
Pronto? Cerchiamo 700 talenti
Il terzo polo della telefonia è passato in due anni da zero a 3.300 dipendenti. E l'obiettivo dei
prossimi mesi è di arrivare a quota 4.000. Puntando sui giovani. Appassionati e dotati di cultura
imprenditoriale
Chi compone il numero
158 ha una possibilità su
700 che dall' altra parte
risponda Claudia, una ragazza di Torvaianica, 24
anni, capelli nerissimi, un
diploma di perito aziendale in tasca, voce calda e
linguaggio professionale,
grande disponibilità a risolvere i problemi delle 30
mila aziende che hanno
firmato un contratto telefonico con Wind. Cuffia,
computer e tecnici on line.
L'importante e' dare una
risposta concreta. Vietato
dire bugie. Meglio informarsi e poi richiamare.
Così si crea un rapporto
diretto. E la stessa Claudia
può diventare l' interfaccia
stabile di un cliente corporate. Claudia e' uno dei
700 giovani che si danno il
turno al settimo piano del
palazzo Wind di Roma, al
parco dei Medici, centro
direzionale con molti marchi delle tlc come Bosch,
Ericsson e Italtel, in un
salone che rappresenta il
punto di contatto tra il
terzo gestore della telefonia italiana post monopolio e un milione di aziende
e famiglie. Un call center
diretto, non in service
come qualche concorrente. Meta' e' composto da
studenti part time, meta'
da personale stabile a tempo pieno. Come Claudia,
che fa questo lavoro
"perche' le piace prendersi
carico dei problemi degli
altri". In questa frase e' un
po' la filosofia aziendale di
Wind, che "deve dare cio'
che promette con la pubblicita' : tariffe chiare, senza costi aggiuntivi, massima trasparenza", puntando sulle persone. Quelle
del call center sono considerate strategiche, hanno
accesso a tutte le informazioni, vivono in un ambiente disegnato su misura
(in un palazzo anonimo e
disadorno e gia' piccolo),
vengono formate continuamente dopo 5 settimane di training iniziale, il
piu' lungo del genere, sotto la guida, da pochi giorni, di Marco Pavoncello. Il
call center e' anche un
vivaio per chi vuole fare
carriera secondo la visione
degli uomini di Tommaso
Pompei, amministratore
delegato, l' uomo che ha
posto le basi di Wind e
che l' ha portata da zero a
3.300 dipendenti in un
paio di anni, e da zero a
un milione di clienti in sei
mesi, il piu' grande start
up europeo degli ultimi
anni, raggiungendo il traguardo con un paio di
mesi di anticipo rispetto al
budget fissato con Franco
Tato' , amministratore
delegato di Enel, il principale azionista. Un' occasione per festeggiare. I 700
del call center di Roma
sono stati invitati al Gilda
due di Fregene a fine settembre per una serata animata dal complesso Dual
band. Festa anche tra i
colleghi di Napoli. A Sesto
San Giovanni, invece,
fuori Milano, il call center
e' ancora in fase di allesti-
mento. Si stanno reclutando i giovani adatti, 250
entro fine anno, apertura a
meta' novembre. Tutti i
3.300 dipendenti hanno
ricevuto i complimenti in
diretta sul pc e avranno
(dovrebbe essere una sorpresa) un orologio Sector
con i colori aziendali. Dopo l' esordio Il traguardo
degli abbonamenti e' anche un' occasione per passare alla fase due, come ha
deciso Pompei nei giorni
scorsi varando un nuovo
organigramma (grafico in
alto a destra). La novita' e'
la divisione della societa'
in quattro aree territoriali.
"Dobbiamo avvicinarci ai
clienti e alla rete", spiega
Pompei, che incontra in
cene informali non solo la
prima linea ma anche i
dirigenti di secondo e terzo livello. "Siamo particolarmente attenti ai talenti
per i quali abbiamo previsto percorsi rapidi di carriera", aggiunge lo stesso
Pompei parlando dei 50
dirigenti (10 donne, un
piccolo primato, come
Giovanna Bianchini al
marketing operativo, Laura Rovizzi che si occupa
dei rapporti con l' authority per le telecomunicazioni, o Elvira Sasso, 32 anni,
ingegnere da Procida, impegnata a estendere la rete
a fibre ottiche) e dei 150
talenti in pista. La diversita' di origine e di culture
(box a pag. 78) e' considerata "una ricchezza" che fa
di Wind un crogiuolo in
ebollizione. Il fuoco e'
regolato da Gabriele Gabrielli, 41 anni, marchigiano, una cavalla ceca, Aurora, in un maneggio sull'
Ardeatina, un paio di pacchetti di Chesterfield al
giorno (anche se negli
uffici e' vietato fumare),
sociologo e docente universitario, una carriera
nelle risorse umane in
Telecom e un anno alla
Coin prima di passare, in
luglio, a Wind come responsabile del personale.
Per alimentare il fuoco
Pompei e Gabrielli organizzano continue occasioni di incontro. Tra uomini
Wind, e con personalita'
esterne come Pierluigi
Celli, direttore generale
alla Rai, guru delle risorse
umane. I dirigenti devono
valutare i collaboratori ma
soprattutto se stessi. Pompei cerca "manager imprenditori, capaci di lavorare in gruppo e con grandi competenze specifiche".
L' esercizio piu' importante e' ascoltare i collaboratori e misurare attraverso
la loro percezione dell'
azienda il grado di raggiungimento degli obiettivi
della squadra. Insomma,
una specie di monitoraggio e di feed back continuo. E' bravo chi riesce a
far fare carriera agli junior.
Tutto molto in fretta. Entro pochi mesi devono
arrivare altri 700 dipendenti. Le societa' esterne
fanno la prima scremature
della candidature, Gabrielli pesca dalla short
list. Giovani (eta' media 29
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
PAGINA 35
anni, il 60% dei dipendenti ne ha
meno di 25, 30% laureati, moltissimi laureandi), disposti ad accettare una scommessa e a dare molto, pronti a essere corteggiati dai
concorrenti e dai newcomer (i
gestori della telefonia fissa in Italia sono ormai una sessantina) e a
dire di no. Finora nessuno, in
pratica, ha mollato. Un po' perche' l' atmosfera e' di una squadra
a inizio campionato. L' allenatore chiede vivacita' emotiva,
passione. Un po' anche perche' e' una azienda dove si
puo' andare in ufficio in maglietta, in cravatta o in jeans,
truccatissime o all' acqua e
sapone. Il cambiamento delle
direzioni territoriali e' strutturale. Non e' solo questione di
crescita. Ogni area e' una azienda con un bilancio profit
and loss. Ne e' consapevole
Giuseppe Bonacina, uno dei
giovani emergenti, capelli lunghi ben phonati, piglio da
animatore, 36 anni, liceo a
Lecco, un anno a Stanford,
nel curriculum Andersen consulting, Consiel e Omnitel,
passione per i viaggi, moglie e
figlia piccola da trasferire a
Napoli dove sara' il suo quartiere generale. Bonacina, come
Giovanni Lupotto, Stefano
Zangrilli (promozioni interne)
e Paolo Venturini (assunto
dall' esterno), hanno anche un
compito urgente. Migliorare la
logistica. La crescita impetuosa ha messo a dura prova il
sistema degli ordini e delle
consegne di telefonini e di
altri prodotti, in parte affidato
in service, in parte gestito
direttamente, con ritardi e
vuoti di magazzino. In questo
settore tutto invecchia in fretta. In poche settimane si bruciano le campagne pubblicitarie. Durano pochissimo le
offerte dei nuovi prodotti e le
tariffe. Diventano obsoleti i
telefonini nelle tasche degli
italiani. I nuovi modelli
(adesso ha un Ericsson veramente mignon) arrivano con
due mesi di anticipo sul tavolo
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
di Angelo Cianciosi, 38
anni, a Filadelfia fino all'
Universita' , figlio di italoamericani, cresciuto alla
Tim di Mario Sentinelli,
considerato il miglior
pricing manager del mercato, capace di calibrare i
tempi e i numeri della
corsa agli sconti, alla tariffa piu' appetibile per il
cliente e remunerativa per
il gestore. Cianciosi ha
soprattutto il compito di
rendere concreta per le
famiglie una parola chiave, convergenza, che
mette insieme telefonino
e telefono, per ora con la
stessa tariffa, presto con
lo stesso numero. Un'
altra parola chiave per
Pompei e' proprio l' innovazione. Nelle proposte
commerciali e nelle tecnologie. La rete di fibra
ottica stesa sui tralicci
dell' Enel da un robot o
seminata sotto terra per
arrivare ai clienti corporate e alle centrali Telecom
delle citta' puo' trasportare di tutto. Oggi voce,
dati e messaggi, tra qual-
PAGINA 36
che giorno (sara' la novita' d' autunno) Internet, e
tra un po' le immagini in
movimento con i video
telefonini. Cosi' chi chiamera' il 158 con l' ultimo
gadget tecnologico potra'
finalmente associare un
volto alla voce di Claudia.
08/10/99
Il Mondo
Nelle Formazione - I manager della grande distribuzione sono di fronte a
una nuova sfida: riuscire ad aumentare la fedeltà dei consumatori. I dirigenti imparano a vendere emozioni
Clienti alla ricerca di spazi in
cui aggirarsi non solo per
fare acquisti ma anche per
soddisfare bisogni sempre
più immateriali.
Punti vendita che dispongono di aree in cui potere,
all'occorrenza, creare eventi
e organizzare intrattenimento. É dall'incontro di una
clientela alla ricerca di nuove
esperienze che i gruppi della
grande distribuzione non
alimentare stanno mutuando
un modo inedito di fare
retail, che carica di forti significati il momento dell'acquisto.
Proprio come chiedono i
consumatori.
Tecniche di marketing e di
vendita che non possono
svilupparsi, però, senza la
diffusione di una nuova
mentalità della distribuzione.
É su questi elementi che si
stanno misurando i responsabili delle risorse
umane nella Gdo, impegnati
nel generare, soprattutto
fra i manager, l'attenzione
alle rinnovate esigenze del
cliente finale. Una scoperta
non recente per Ikea, dove
l'identificazione del punto
vendita come luogo di ritrovo e di soddisfazione
del desiderio di "viver meglio" è da sempre al centro
della formazione del personale.
«Per il 1999 i nostri
manager si misureranno
con la creazione di
nuove soluzioni per la famiglia - precisa Patrizia De
Marchi, responsabile delle
risorse umane di Ikea Italia
-, mentre in prospettiva ci
concentreremo su come
fornire un servizio più
puntuale e capillare, offrendo anche ambienti maggiormente in linea con il
gusto del Paese in cui ci
troviamo». Cambiamenti
che non si ottengono
solo intervenendo sulle
capacità comportamentali
di chi lavora a contatto con
la clientela, ma definendo a
monte strategie di acquisto,
distribuzione, allestimento,
marketing. E, se necessario
anche mandando i manager
a lezione da psicologi, architetti, persino da un cuoco,
come è successo. «Coglie
solo un aspetto del problema chi pensa che la capacità
di creare eventi di acquisto
interessi soltanto chi opera
sul punto vendita», concorda
Gabriele Gabrielli, direttore centrale risorse umane del
gruppo Coin (che opera
anche con le insegne Bimbus, Oviesse e La Standa e
impiega circa novemila persone). «Bisogna creare una
nuova sensibilità - sottolinea
- che permea ogni livello
dell'organizzazione e che
deve orientare l'impostazione mentale di tutti, dagli
stilisti ai category manager,
dai buyer agli assistenti alla
vendita. Questo per il settore rappresenta una straordinaria opportunità di innova-
zione». Evidentemente,
allora, l'offerta tradizionale
di merci e servizi, seppur di
profilo qualitativo crescente, non basta più. «Infatti le
nuove frontiere della formazione per un retailer
sono nella capacità di mettere insieme la conoscenza
delle merci e dei bisogni
latenti dei clienti - sottolinea ancora Gabrielli -. Un
nuovo mestiere si profila
all'orizzonte:
il
"retainment" che combina
le competenze classiche del
retailer e quelle del mondo
dell'intrattenimento, dove
regnano stupore, estetica,
comunicazione, esperienza,
emozione ed evento». In
quest'ottica nel gruppo
Marzotto il salto è avvenuto in settembre, quando la
formazione è stata elevata
a livello corporate, per
coordinare dal centro le
politiche di customer satisfaction, tanto che ad aprile verrà inaugurata una vera
«scuola di business
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
Marzotto». Ma soprattutto,
per recepire i nuovi stimoli
c h e
v e n g o n o
dal mercato e dalla clientela, Marzotto ha avviato
recentemente un programma di ricerca sulle tecniche
di distribuzione e di marketing per il proprio settore.
«Non esiste un marketing
specifico
per
il
sistema moda - illustra
Massimo Lolli, responsabile risorse umane del
gruppo - noi lo stiamo creando. É un lavoro affascinante che si traduce in azioni di sviluppo professionale
sia a beneficio dei manager
Marzotto, sia dei negozi
affiliati». E le nuove modalità di vendita hanno contagiato anche un'azienda media, come SalmoiraghiViganò. «Se in passato la
competizione nell'ottica si
giocava sul momento tecnico-professionale - spiega
PAGINA 37
Riccardo Perdomi, amministratore delegato di
Salmoiraghi-Viganò - ora
si è spostata sul retail.
Serve quindi personale
che sappia anticipare i
bisogni del cliente (da
affiancare agli esperti di
prodotto) che spesso preferiamo acquisire dall'esterno. Il passo ulteriore,
che richiederà invece una
formazione mirata, è il
miglioramento degli spazi
self-service. Il cliente chiede
di poter avere sia un servizio
personalizzato sia la possibilità di muoversi da solo nei
negozi. Questo impone di
introdurre elementi di category management e di marketing più elaborati».
18/01/99
Il Sole24Ore
STRETTAMENTE PERSONALE
Comit, Fiat, Ibm e Telecom. Queste le società eccellenti nella gestione delle risorse umane.
Lo rivela una ricerca di Artemis.
Hegel, il grande filosofo
tedesco, l'aveva già capito
più di 150 anni fa: «Nulla
di importante è mai stato
compiuto senza passione».
Affermazione sacrosanta.
Anche per le imprese degli
anni 90: senza coinvolgimento e consenso oggi il
successo è impossibile. Un
dato di fatto che porta con
sé una conseguenza: che si
tratti di aumentare la produttività o di risparmiare
sui costi, è necessario cambiare quasi tutto nel modo
tradizionale di gestire l'or-
ganizzazione aziendale: «A
cominciare dal termine
"organizzazione"», sostiene
Piero Trupia, dirigente della
Confindustria e docente di
comunicazione alla Luiss.
Trupia propone di parlare
d'ora
in
poi
di
«personigramma», anziché di
«Organigramma».
«Quest'ultimo termine indica
un insieme di organi e di
strumenti. Evoca un vecchio
modo di concepire l'azienda.
L'impresa moderna deve
essere centrata sull'uomo».
Ma qual è, in concreto, il
modo nuovo di gestire le
risorse umane? Per capirlo, Agip ed Enel hanno
sponsorizzato una ricerca,
condotta da Artemis
management consulting,
sulle maggiori imprese
italiane. Obiettivo: individuare le aziende più innovative. «Dallo studio emerge soprattutto un
elemento», spiega Claudio
Fratta, amministratore
delegato di Artemis. “Una
gestione innovativa del
personale contribuisce in
modo visibile e concreto a migliorare il
rapporto tra impresa
e cliente». La direzione di marcia si può
sintetizzare in una
formula: si passerà
da una gestione di
massa del personale
a una gestione attenta agli individui, ai
loro valori e alle loro
aspirazioni. «Le aziende migliori»,
spiega
Trupia,
«hanno capito che la
battaglia non si vince
più sulle tecnologie, ormai
alla portata di tutti, ma
sull'organizzazione del personale». Ma quali aziende si
trovano già a buon punto su
questa strada? Secondo l'indagine le cinque imprese più
innovative nella gestione del
personale sono Fiat, Fiat
Auto, Fiat Avio, Ibm e Sip
(oggi Telecom).
Capital ha ricostruito quattro casi esemplari, tre del
gruppo di eccellenza del
settore industriale e uno,
Comit, nel mondo del credito.
TELECOM L'ex Sip cambia nome e si riorganizza.
Circa 100mila dipendenti,
14mila miliardi di fatturato
nei primi sei mesi del ’94, il
leader delle telecomunicazioni deve affrontare tassi
crescenti di competitività.
“In questo contesto la qualità del servizio diventa decisiva per il successo”, spiega
Gabriele Gabrielli, responsabile personale e organizzazione della divisione servizi
internazionali ed ex responsabile dello sviluppo dei
RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI
quadri Sip. L’azienda è
passata da una gestione
standardizzata del personale a una gestione differenziata sui vari business
aziendali e sulle diverse
aree di personale: dirigenti,
quadri, laureati. “Sino a
poco tempo fa questi ultimi erano visti come un
mondo omogeneo”, spiega
Gabrielli. “Ora invece ne
analizziamo diverse tipologie e motivazioni. Abbiamo iniziato a domandarci
perchè lavorano con noi e
cosa si aspettano
dall’azienda”. Non solo.
“Da poco abbiamo sensi-
bilmente modificato i criteri di valutazione. Fino a
ora tutto il sistema era
mirato a stimare le capacità manageriali, cioè le attitudini a guidare, motivare
e gestire. Proprio questo
però era uno dei punti
deboli dell’azienda. Così
facendo si valutava solo
una fascia di personale
tagliando fuori un segmento che in Telecom è in
crescita, quello dei professional. Il problema non
riguarda solo l’ex-Sip ma è
sempre più delicato in
molte aziende: si tratta, per
esempio, di gestire al meglio gli addetti alla ricerca
e sviluppo,
molto attenti
ai contenuti
del lavoro e
alla crescita
delle competenze, oppure
i venditori tra
i quali è indispensabile
individuare le
persone che
presentano le
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migliori potenzialità. Proprio con questo obiettivo è
stato avviato il progetto
SVILUPPO organizzativo,
che cerca di identificare il
portafoglio delle competenze aziendali per poter
poi personalizzare i diversi
percorsi professionali e di
carriera. “Il nostro nuovo
modo di valutazione delle
prestazioni è finalizzato
all’orientamento al cliente», spiega ancora Gabrielli. Gli strumenti scelti
sono stati più d'uno.
«Abbiamo realizzato sondaggi per testare la customer satisfaction esterna»,
aggiunge Gabrielli. «Ma
non solo. Abbiamo anche
portando nelle schede di
valutazione il cliente interno. Il progettista, per esempio, non si valuta più
solamente sulle performance personali, ma anche
sugli obiettivi di
team, sul contributo che
da al suo vicino uomo
delle vendite». Telecom ha
puntato anche sul versante
della comunicazione
interna. Una scelta compiuta con lo scopo di motivare, per esempio il personale di prima linea.
«Non basta», chiarisce
Gabrielli, «dire al dipendente: devi essere cortese.
Bisogna fargli cogliere la
qualità percepita dal cliente. Per questo inviamo a
tutti gli uomini del front
office un sondaggio dal
titolo: Il nostro cliente ci
vede così». Un altro dei
supporti motivazionali che
vengono usati viaggia sulla
rete telematica interna. Si
chiama Progetto sintesi,
viene aggiornato ogni
tre mesi e contiene informazioni su vendite, andamento del singolo servizio
e avanzamento degli obiettivi aziendali.
«Sapere dove va l'azienda»,
c o n c l u d e G a br i e l l i ,
«aumenta il senso di appartenenza».
Novembre 1994
Capital
Si precisa che le figure riportate in queste pagine (salvo quanto diversamente specificato) sono tratte dalle pubblicazioni di cui si riportano i riferimenti in testa o in calce a ciascuno degli articoli che compongono la presente rassegna stampa.