Gabriele Gabrielli - Studio Gabrielli Associati
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Gabriele Gabrielli - Studio Gabrielli Associati
RASSEGNA STAMPA Gabriele Gabrielli Marchigiano, si laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Macerata. Consegue successivamente il Master in Psico-Sociologia dell’Organizzazione presso Organizzazioni Speciali di Firenze e il Master in Corporate Coaching presso la scuola Corporate Coach U Italia. E’ docente di Organizzazione e gestione delle risorse umane e di Sistemi di remunerazione e gestione delle risorse umane presso la Facoltà di Economia della LUISS Guido Carli. Ha incarichi di docenza anche all'Università Europea di Roma e all'Università Politecnica delle Marche. E’ responsabile dell’Area Executive Education & People Management della LUISS Business School, di cui dirige anche il programma Executive MBA. È stato Direttore Centrale Risorse Umane e Organizzazione di Ferrovie dello Stato; Direttore Risorse Umane, Organizzazione e Qualità di Wind Telecomunicazioni; Direttore Personale e Organizzazione della Divisione Generazione e Energy Management di Enel e di Enel Produzione; Direttore Centrale Risorse Umane di Gruppo Coin; Direttore Personale e Organizzazione Divisione Servizi Internazionali e dello Sviluppo Manageriale di Telecom Italia; ha diretto l’Ufficio Studi delle Relazioni Industriali della Sip. E’ autore e curatore di numerosi volumi e articoli sulla gestione delle risorse umane e sullo sviluppo organizzativo. Tra i più recenti contributi: 09/06/2011 (con al.), Costruire un futuro sostenibile. Cooperazione, mutualità, partecipazione, Luiss University Press, Roma, 2011 People management. Teorie e pratiche per una gestione sostenibile delle persone, FrancoAngeli, Milano, 2010; (con al.), Development Factory, Franco Angeli, Milano 2010; Il lavoro a più dimensioni, Luiss University Press, Roma, 2008; Conoscenza, apprendimento, cambiamento, Franco Angeli, Milano, 2006; Remunerazione e gestione delle persone, FrancoAngeli, Milano, 2005. Giornalista pubblicista, formatore e coach scrive editoriali e cura rubrica per newsletter, webmagazine e riviste sui temi della leadership e dello human resource management. Per altre informazioni: www.gabrielegabrielli.com contatti: [email protected] [email protected] RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI L’analisi – Pluralismo e inclusione sono indispensabili Tra risorse umane e visione di squadra PAGINA 2 05-11 febbraio 2011 La Gazzetta dell’Economia Ridisegnare sistemi, processi e strumenti di valorizzazione delle risorse umane. È la sfida che coinvolge la funzione e i professionisti hr, un cambio di rotta imposto dalla trasformazione dei modelli sociali, economici e di business. I mutamenti più significativi, crescente dimensione internazionale delle imprese e continuo cambiamento del contesto competitivo, esigono politiche di people management organiche alla pianificazione strategica. La frammentazione di interessi, aspettative, identità e la contestuale ridefinizione dei concetti di lavoro e del successo, richiedono alle organizzazioni apertura, pluralismo e capacità di includere la diversità. Così, anche i modelli di leadership sono sottoposti a una radicale revisione. Dopo la prefazione di Raoul Nacamulli, Ordinario di Organizzazione Aziendale presso l’Università di Milano-Bicocca, il libro si articola in due parti. Nei primi capitoli, le riflessioni teoriche proposte da Gabriele Gabrielli e Ornella Chinotti. Gabrielli racconta l’evoluzione e l’ampliamento dell’idea di sviluppo. A riguardo, le organizzazioni necessitano di metodologie nuove, orientate alla scoperta, all’innovazione e alla sperimentazione. Si rende indispensabile la disponibilità a recepire, comprendere e sfruttare i feedback come forma di apprendimento dinamico. Riqualificate dalla metamorfosi in atto, le aziende diventano development factory, luoghi e laboratori per innovare e ottenere il massimo dalle risorse umane. Tutte le attività, i processi e gli strumenti di people management tendono alla valorizzazione delle strategie che il singolo mette in atto per raggiungere i propri obiettivi. Il metodo fonda la sua efficacia sulla flessibilità e sul valore della diversità, cioè sulla conoscenza delle numerose variabili che influenzano il comportamento organizzativo e sulla considerazione della persona come soggetto autonomo. Una responsabilità diffusa all’interno dell’organizzazione presuppone pure un forte ripensamento del concetto di leadership: capacità di costruire e comunicare alla squadra visione e senso del progetto. Il secondo capitolo, a cura di Ornella Chinotti, offre proprio una lettura della leadership e della sua evoluzione: profonda conoscenza di sé, ancoraggio solido ai propri valori e scelta di ruoli coerenti. La Chinotti propone l’applicazione della psicologia positiva allo sviluppo delle risorse umane. La disciplina pone alcune questioni fondamentali: in particolare, la possibilità che i leader possano creare organizzazioni altamente efficaci puntando su individui in grado di utilizzare i propri punti di forza per ottenere performance straordinarie. Il libro raccoglie sette case study di grande rilevanza, inerenti aziende italiane ed estere. Nella forte vicinanza alle pratiche aziendali risiede il valore aggiunto di questo testo. Il metodo consente di apprendere induttivamente, attraverso la generalizzazione di dati ed evidenze empiriche, modelli e teorie manageriali. Un approccio reso possibile dalla collaborazione, nella stesura, fra un team di ricercatori universitari della Luiss Business School e gli specialisti di Shl Italy, divisione italiana di una società di consulenza internazionale leader nel campo dello sviluppo delle risorse umane. I casi citati sono stati individuati sia per la rilevanza dell’impresa sia sulla base della precedente collaborazione dell’impresa stessa con Shl. Significativo l’esempio di Ikea. La direzione hr Italia traduce in pratica la people idea del colosso svedese. Le persone, manager e risorse operative, sono incoraggiate ad assumersi la responsabilità della propria crescita e, a tale scopo, hanno a disposizione un kit di strumenti di autovalutazione e definizione del percorso di sviluppo e formazione. Pur sempre nel rispetto del value statement aziendale. RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI PAGINA 3 Intervista – Gabriele Gabrielli, docente della Luiss “Guido Carli” “Armonizzare le diversità per dare un senso al lavoro” “Una peculiarità di questo momento storico è il disorientamento. Siamo tutti accomunati dalla continua ricerca di senso. Ecco, chi ricopre incarichi di responsabilità nell’impresa, dal mio punto di vista, dovrebbe aiutare le persone a costruire senso del e nel lavoro. Sembra facile, ma è un tema complesso e poco frequentato”. Gabriele Gabrielli è docente di Organizzazione e Gestione delle Risorse Umane presso la Facoltà di Economia della Luiss Guido Carli e dell’Università Politecnica delle Marche. È responsabile dell’Area Executive Education & People Management della Luiss Business School, di cui dirige anche il programma Executive Mba. Ha ricoperto il ruolo di direttore delle risorse umane in diverse aziende e gruppi, pubblici e privati. Restituire potere alle persone: è il punto chiave dell’approccio di Develoment Factory? “Assolutamente sì. Il libro pone l’individuo, nella sua complessità, al centro del dibattito, con tutto ciò che ne consegue. Il rispetto e la valorizzazione della persona, prima che del professionista, sono centrali. Questa considerazione ha ricadute significative. Sul concetto di leadership, ad esempio: è necessario che i capi coltivino il desiderio di conoscere i propri collaboratori nel profondo e che si pongano domande attinenti. Perché non c’è un solo modo di agire all’interno di un’organizzazione. Per un certo approccio, prevalente, allo sviluppo delle persone deve pensare l’impresa, che detiene un monopolio in questo senso. Ma è evidente che, oggi, questo concetto lascia il tempo che trova. E che il monopolio deve trasformarsi in qualcos’altro. Sempre più, la percezione dell’avanzamento professionale cambia. Sono le persone a dover pensare al proprio sviluppo. La carriera che molti desiderano, ai giorni nostri, è quella che consente di realizzare scopi, progetti, sogni, a prescindere dalla mera scalata di posizioni. Un’organizzazione deve conciliare queste due dimensioni. E, per conciliarle, dovrebbe essere concepita come un’officina in cui convivono tanti strumenti. In questo quadro, la carriera smette di essere vincolata ad una sola impresa per diventare sempre più transorganizzativa. Il percorso, cioè, si costruisce con passaggi tra realtà diverse. Ci sono molti casi di aziende che seguono ex dipendenti, impiegati altrove, nell’intenzione, ad esempio, di stipulare accordi di partnership”. La diversità è un valore da coltivare. Il lavoro di un’impresa, però, è ispirato da principi che sono legati alla mission. Come possono questi coesistere con la diversità e trarne vantaggio? “Un’impresa esiste perché ha una ragione d’essere. E vive fino a quando è coerente con la sua missione. Le aziende devono comunicare bene la loro mission. Comunicare bene la mission diventa un modo per attrarre le persone e aggregarle attorno ad uno scopo. Non tutti sono disponibili a lavorare per tutte le mission. Questo è già differenziare, è già far emergere un’offerta compatibile con la domanda. I leader devono sempre verificare l’allineamento tra l’organizzazione e gli individui che la compongono. La diversità è linfa vitale. È necessario comprendere ciò che muove le persone, nella consapevolezza che gli stimoli cambiano. Come, del resto, cambiano le organizzazioni. Il tempo è una componente di estrema importanza, mai abbastanza considerata. Ciò che oggi spinge qualcuno a lavorare in un’azienda potrà non bastare a trattenere quel qualcuno nella stessa azienda domani, perché le strutture motivazionali cambiano. O meglio: le componenti della motivazione non mutano, ma varia la loro entità”. La crisi ha relegato in secondo piano il dibattito attorno al tema delle risorse umane o, al contrario, lo ha reso più urgente? “La crisi sta rendendo più vivo il dibat- 05-11 febbraio 2011 La Gazzetta dell’Economia tito, senza dubbio. Come è diffusamente argomentato, il reale fattore di successo per l’impresa è costituito dalla persona. A maggior ragione ora. La cosa diventa ancora più cruciale. Dieci anni addietro, in piena new economy, sembrava che le aziende potessero essere gestite solo da trentenni. Oggi, la congiuntura economica sfavorevole spinge a rivalutare il ruolo delle persone con maggiore esperienza. Sempre di più, nelle imprese, convivono quattro generazioni. Ecco, questo attiene al tema della diversità. La crisi rimette al centro il lavoro in tutte le sue nuove complessità, che sono anche elementi di contraddittorietà. Personalmente, credo che gestire le imprese sia come gestire ossimori, gestire cose che sembrano non poter andare d’accordo. Ecco l’essenza del nuovo management. Non c’è alternativa. Giovani e meno giovani sono destinati alla cooperazione nelle organizzazioni, perché la vita si allunga e le pensioni si allontanano. Le imprese devono tenerne conto”. Nella prefazione, Raoul Nacamulli cita tre modelli di leadership: Barack Obama, Sergio Marchionne e Karol Wojtyla. Qual è, invece, il suo prototipo di leader moderno? “Non ho un modello identificabile in un personaggio. Sono convinto che, in questo momento, occorrano piuttosto dei tratti particolari. In primis, tutto ciò che ha a che fare con l’attitudine ad essere inclusivi è fondamentale. Per l’economia come pure per la società. Siamo naturalmente portati a privilegiare modelli di leadership autoritari, ma c’è un dato davanti al quale non possiamo restare indifferenti: il mondo diventa sempre più partecipativo. Tutto si disintermedia: l’informazione, ad esempio. Tutto è frutto di collaborazione, di partecipazione. Molte imprese mettono a punto wiki aziendali, community, per condividere esperienze, sentimenti, modi di fare. Non c’è bisogno di autorità. Piuttosto, i leader devono essere partecipativi, capaci di conciliare, di integrare, culture, pensieri e persone”. RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI Intervista | Gabriele Gabrielli –Luiss Guido Carli di Roma In pista il people manager Alle aziende servono idee innovative da mettere subito in pratica Quale sarà il futuro delle risorse umane? Come cambierà il settore? Quali le prossime sfide in un momento in cui si deve riorganizzare l’impianto comunicativo all’interno dei gruppi, per facilitare il consolidamento dei rapporti professionali? A chiarirci le idee su questi temi è un esperto del calibro di Gabriele Gabrielli, docente di Organizzazione e gestione delle risorse umane alla Luiss Guido Carli di Roma e direttore dell’Executive Mba della Luiss Business School. Quali sono i driver che stanno chiedendo un cambiamento anche alla funzione delle Risorse umane? Le trasformazioni culturali, sociali ed economiche che caratterizzano quest’epoca di profonda transizione impongono al management una grande agilità di pensiero e azione. Ci si muove in un ambiente incerto e dinamico dove una giostra sempre in movimento frammenta senza sosta interessi, aspettative e identità. C’è bisogno di un contributo diverso da parte della funzione risorse umane e dei suoi professionisti. Forse non basta più lavorare per costruire un approccio da business partner giocato – come spesso si fa – in una chiave interna all’organizzazione. Si tratta di una nuova sfida? È proprio così. Si è lavorato molto per assecondare la necessità di un’evoluzione “multi-ruolo” delle risorse umane nel senso prospettato da Dave Ulrich più di dieci anni fa. Le direzioni del personale hanno dato una diversa qualificazione alle competenze, per renderle capaci di aggiungere valore in una filiera sempre più complessa e talvolta disarticolata dai processi di riorganizzazione del business. Quello che abbiamo di fronte, ora, è un quadro che deve fare i conti con una prospettiva sempre più multi-relazionale, dove giocano in modo autorevole una crescente pluralità di soggetti con cui occorre saper interagire per compren- derne strategie e obiettivi. Cosa ci si attende allora dalle “nuove” risorse umane? Le aspettative nei confronti della funzione e le misure di efficacia del suo contributo hanno a che fare sempre di più con la capacità di costruire legami e leggere le relazioni che si moltiplicano dentro i contesti organizzativi. Al settore è richiesto di progettare architetture che facilitino il dialogo tra molte diversità utilizzando vecchi materiali e sperimentandone di nuovi. E non è facile. Ma l’economia della conoscenza richiede anche alla funzione del personale di esercitarsi nel trovare approcci e strumenti che moltiplichino il valore della conoscenza. Tra i nuovi strumenti ci sono la rete e le metodologie per analizzare le relazioni tra le persone. È qui, cioè nella capacità di essere architetti di apprendimento, che si gioca la creazione di valore. Nella costruzione di ambienti di lavoro inclusivi, capaci di mettere insieme stabilmente ciò che appare fluido. La sfida non è di poco conto perché richiede un cambiamento mentale prima che operativo. Continuerà a rimanere forte, poi, l’aspettativa di un supporto nei confronti dei capi. La funzione del personale dovrà continuare a spendere tempo, valori, competenze e leadership per “educare” i manager – a qualunque livello – a sviluppare motivazione e benessere individuale e sociale. È una priorità faticosa e talvolta poco premiata, che presuppone un lavoro sotto traccia dei professionisti delle risorse umane, un presidio costante che non fa notizia, ma contribuisce a creare valore. Come si possono motivare e “ispirare” le persone nei contesti organizzativi? Compito del management è proprio quello di motivare persone e gruppi a fare sempre meglio e con la giusta energia ciò che l’organizzazione si attende da loro in termini di perfor- PAGINA 4 RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI mance, non dimenticando che la risonanza tra progetti personali e ambiente organizzativo è un forte driver della motivazione. La motiv azione ritorna a rivestire, se mai l’abbia dismesso, un ruolo centrale? Certo. E in un contesto in cui si lamentano significativi differenziali di produttività. Il governo della motivazione e del comportamento organizzativo è il campo più rilevante per far crescere produttività e qualità. Riconoscere che cosa è importante per una persona e che cosa per un’altra, capire i valori e gli scopi dell’una o dell’altra, così come comprendere che cosa incentivi davvero un collaboratore e ciò che invece previene o contiene la sua insoddisfazione potrà consentire alle imprese e ai people manager di scegliere la risposta giusta in un dato contesto. Cosa possono fare i manager per agevolare questo cambiamento? Viviamo un’epoca dove non c’è più un solo significato del lavoro ma una pluralizzazione crescente dei suoi significati e una crescente diversificazione. Oggi avere le competenze per costruire ambienti organizzativi dove le persone possano trovare e verificare il “senso” del lavoro e del loro commitment significa possedere un differenziale competitivo. La gestione delle persone sarà di valore dove riuscirà ad esaltare la diversità e l’unicità delle persone e delle loro storie. I manager possono fare PAGINA 5 molto. Ad esempio aiutare le persone a realizzare i propri progetti di sviluppo, valorizzando ciò che gli individui trovano nell’organ izzazione come fattori abilitanti la loro soddisfazione. L’engagement delle persone nei progetti e nelle attività dell’impresa nasce da qui. In un’epoca come questa non è soltanto consigliabile ma davvero necessario investire energie per comprendere le dinamiche motivazionali, le caratteristiche degli individui, le “somiglianze” tra le persone. Solo questa conoscenza consentirà alle organizzazioni e al management di estrarre valore da politiche di differenziazione, sottolineando le potenzialità di ciascuno per conseguire livelli crescenti di produttività, soddisfazione e clima positivo. Qualche domanda allo studioso di organizzazione Gabriele Gabrielli Può farci un esempio? È di oltre 29 miliardi di dollari l’incredibile fatturato globale, che la Abbott (health care) riesce a realizzare ogni anno. La società, fondata oltre un secolo fa, è presente in 130 Paesi nel mondo. Sin dalla sua creazione, il caposaldo è stato quello di mettere la propria scienza al servizio dell’umanità, per preservarne la salute. L’azienda, infatti, abbraccia con tutti i suoi prodotti ogni fase della vita umana, cominciando dall’infanzia, e si impegna con dedizione nella ricerca. 13/12/2010 Il Sole 24 Ore Settembre 2010 Piceno33.it L’economia e il lavoro vivono da vicino, anche nel nostro territorio, le questioni che la stanno caratterizzando quest’epoca di forte cambiamento, almeno nell’occidente. Tra queste spicca per la sua multidimensionalità il tema della diversità che ha tante facce e che può essere declinata in molti modi. Ne parliamo con Gabriele Gabrielli (www.gabrielegabrielli.com), un marchigiano che frequenta Offida da quasi 30 anni con un passato da manager in numerosi gruppi e grandi aziende del Paese e Docente di Organizzazione e gestione delle risorse umane all’Università Luiss di Roma. Dall’anno scorso insegna anche a San Benedetto del Tronto, sede distaccata della Facoltà di Economia dell’Università Politecnica delle Marche. Da dove vogliamo cominciare? Puoi dirci cosa significa gestire la “diversità” nel lavoro e nell’economia? Credo che la cosa migliore per discutere di questo complesso tema sia partire da qualche esempio concreto e poi ragionarci sopra. La diversità nel mondo del lavoro ha molte dimensioni, come già ricordavi. C’è quella dell’età che modificherà modi di lavorare sfidando tutti. L’allungamento delle aspettative di vita, l’allontanamento nel tempo del momento per andare in pensione, il calo demografico sono tutti fattori che avranno certamente almeno una implicazione: più generazioni occuperanno contestualmente i luoghi sociali e organizzativi. Perché dici che è una sfida per tutti? Perché richiede agli imprenditori, ai “capi” e alle persone una grande capacità di leggere e comprendere le aspettative degli altri, coglierne le differenze e costruire le risposte professionali e di relazione più appropriate. Questa capacità di mettersi nei panni altrui la considero la vera competenza di cui bisogna dotarsi per vivere bene sia nel sociale, sia nei luoghi di lavoro. Ed è una competenza ancora non diffusa a sufficienza su cui bisogna lavorare predisponendo investimenti educativi a tutti i livelli. Sempre più vedremo lavorare insieme giovani di venticinque anni e anziani di sessantacinque e oltre; non solo. Già oggi stiamo sperimentando cosa vuol dire lavorare anche con persone che appartengono a segmenti di età diversi, come i trentacinquenni e gli over fifty, come li chiamiamo, ossia quelli che hanno superato la soglia dei cinquanta. Non è difficile immaginare che ci siano in tutti i casi atteggiamenti verso il lavoro diversi; valori differenti; conoscenze e competenze molto RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI PAGINA 6 variegate. Le generazioni infatti crescono e si formano in ambienti diversi. Occorre allora far stare tutto questo insieme in modo produttivo e senza che generi conflitti, ricercando il benessere organizzativo e personale di ciascuno. Credo che non sia proprio facile … Beh, direi proprio di no! Immaginiamo, soltanto per fare un esempio, quanto possa essere diversa l’attitudine del giovane e della persona più matura verso il “lavoro di gruppo” o, ancor di più, verso il lavoro cooperativo che ci offre la “rete” e che la tecnologia ci spinge a usare. Le opportunità sono molte. Ma anche i rischi. Pensiamo per esempio se la tecnologia (o meglio la maggiore o minore capacità di usarla) diventasse strumento di marginalizzazione … anziché occasione per integrare nel lavoro le diverse generazioni. Di esempi concreti ce ne sono davvero tanti. Insomma, fare i conti con la diversità, significa innanzi tutto condividere un principio: che una società non può fare a meno di nessuno e che tutti possono e devono concorrere a questo risultato. Lo deve fare la politica, attraverso lo strumento legislativo e gli incentivi più appropriati, lo deve fare l’economia e le sue regole, lo deve fare l’impresa e il management. Ma non finisce qui, perché lo strumento più importante per preparare la società a gestire le molte diversità è la scuola e l’educazione a tutti i livelli, a cominciare dalla famiglia per arrivare all’università e poi ai luoghi di lavoro. Ecco che ritorna il tema delle molte dimensioni della diversità. Abbiamo toccato quella dell’età, ma ce ne sono molte altre … Quella dell’età, come dicevo, è forse la più evidente e sentita anche perché pone davanti a tutti la questione del confronto generazionale e del rapporto giovani-anziani in una società. E’ stato molto interessante per me discuterne recentemente in occasione di un incontro organizzato dal Rotary di Ascoli Piceno presso il Caffè Meletti. Mi sono fatto l’idea, parlandone con molte persone che ricoprono ruoli diversi nella società e nel lavoro, che questo aspetto crea qualche preoccupazione e disagio, perché ci si sente forse impreparati. C’è però una grande voglia di comprendere per attrezzarci tutti. E questo è un bel segnale, vuol dire che in questo territorio c’è una sorta di “dna inclusivo” che vuole accogliere e integrare. E’ un ottimo anticorpo contro i conflitti sociali che bisogna allontanare a tutti i costi. Ma l’età è solo un aspetto della diversità rilevante per l’economia e il mondo del lavoro. C’è quella di “genere” che sta sempre più occupando le pagine dei giornali perché ci sono molte –e talvolta discusse- iniziative al riguardo; c’è quella relativa allo status sociale, ancora ben presente nella nostra cultura; c’è quella che può derivare dalla salute di ciascuno di noi; c’è poi quella altrettanto evidente della diversità del rapporto di lavoro, per esempio a tempo indeterminato o determinato, part time o full time, a progetto e così via, con cui si presta la propria collaborazione e potremmo continuare. C’è poi, naturalmente, anche quella relativa alla razza e al paese di provenienza … Ecco, la diversità delle origini ha un impatto sempre più evidente anche nell’economia e nella gestione del territorio, non è vero? E’ proprio così. Il tema del lavoro immigrato è uno dei più difficili da trattare, ma vorrei subito dire una cosa. Il lavoro e le competenze che ci vengono portate da fuori dei confini sono solo “manna” per la nostra economia e per il nostro sviluppo. Le ragioni sono tante e molto evidenti, a cominciare dal fatto che gli immigrati portano nel nostro Paese anche nuova natalità, addolcendo un po’ gli indicatori statistici che ci vedono come una realtà che invecchia progressivamente senza capacità di rigenerazione. Voglio sottolineare poi un altro aspetto. Quando parliamo di lavoro immigrato andiamo subito a pensare ai lavori che nessuno vuol più fare; lavori dunque a basso contenuto professionale e che non richiedono grandi conoscenze e competenze. Ma la realtà è ben diversa da questa percezione. Oggi lavoro immigrato significa anche lavoro imprenditoriale, manageriale, professionale. In Italia, ormai, il numero degli imprenditori stranieri che vivono, producono e creano lavoro nel nostro Paese si avvicina alle due cifre. Nel Piceno, un 5% circa delle piccole e medie imprese sono guidate da imprenditori di origine straniera. Tutto questo è positivo, perché ci fa crescere e ci aiuta a sviluppare una cultura inclusiva, capace di valorizzare le differenze integrando persone, gruppi e ricchezza nella società. Ma occorre investire molto su questo aspetto, perché – lo dicevo sopra- gestire la diversità è la chiave del futuro. So che attorno a questo tema dell’accoglienza e della gestione della diversità stai raccogliendo idee e energie per realizzare un Centro di Ricerca e di Formazione a Offida. Ci puoi anticipare qualche cosa? Con molto piacere. Sì, è proprio così. Si tratta di un progetto molto ambizioso cui sto lavorando da tempo. Solo poche battute che sarò ben felice di poter sviluppare, se di interesse per i lettori, in una prossima occasione. L’idea è quella di aggregare le migliori energie del territorio, istituzionali e private, e di alcune università per realizzare una serie di significative iniziative con l’obiettivo di promuovere una cultura imprenditoriale, manageriale e del lavoro che valorizzi la persona nella sua unicità e integralità, ritenendo questo approccio un fattore essenziale per costruire un futuro “accogliente” e prospettare uno sviluppo sostenibile della società e dell’economia. Le idee sono molte e particolarmente ambiziose. Ora le stiamo meglio strutturando per poterle realizzare a breve e contribuire così a rendere attrattivo questo bel territorio, valorizzando la ricchezza artistica, culturale ed enogastronomica di Offida e di tutto il Piceno all’insegna dell’accoglienza. RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI PAGINA 7 Glamour Lab Come cavarsela alla grande con il proprio capo 10 lettori e la loro giornata in redazione con 4 tutor speciali. Ora tocca a te seguire la lezione. Si sa, il boss non si sceglie. E pretendere di cambiare il suo modo di usare il potere è assurdo. Ma noi abbiamo una responsabilità nel determinare la qualità dei rapporti con lui, a volte la sottovalutiamo. Al nostro laboratorio attivo si sono confrontati capi e non capi. Obiettivo: trovare un modo efficace di interagire sviluppando l’arte della followership, e cioè della collaborazione fattiva con il leader, qualunque sia il suo profilo caratteriale. SE IL CAPO NON MI CHIEDE MAI COSA PENSO Marta «Io vorrei un rapporto più costruttivo con il capo, ma lui non sembra interessato a ciò che penso». Gabrielli «C’è un punto chiave, Marta, che aiuta ogni relazione e su cui invito tutti a riflettere. Solo chi riesce a infilarsi gli occhiali dell’altro per guardare lo stesso mondo ha una chance per costruire un buon rapporto. Lo fai ogni tanto? Ti metti nei panni del capo, pensi alle pressioni a cui è sottoposto?». Montanari «Se fai questo esercizio, potresti anche scoprire che non è il capo a non ascoltarti, ma tu a essere poco incisiva quando parli. Nella mia esperienza ho notato che a volte vi manca un po’ il dono della sintesi. Allenatela: è una dote preziosa, utile anche quando dovete negoziare». SE IL MIO CAPO MI INTIMIDISCE Valentina «Altro che concisa: davanti al capo io mi blocco. Eppure non sono né timida né insicura». Montanari «Primo, lavora sulla tua autostima. Ma attenta: non quella che valorizza le capacità cognitive, qui noi siamo donne forti. Piuttosto quella che si basa sulle cosiddette soft skill, sulle doti personali: saper comunicare, parlare in pubblico, negoziare». Gabrielli «Io aggiungo: in questi casi può aiutare costruire con il boss una relazione personale. Apritevi, condividete con lui le vostre aspettative, anche le vostre emozioni a volte. È un rischio ma va messo in conto. L’obiettivo è ottenere il suo rispetto per voi come persone prima che come professionisti». Saolini «Così potete anche creare uno storico piacevole di scambi e incontri: riportarli alla mente se siete a colloquio con lui, può ridurre l’ansia». E SE VUOLE UNA RELAZIONE TROPPO PERSONALE Maria «Per me è stato il contrario: a furia di condividere luci e ombre, il capo si sentiva autorizzato a invitarmi a cena, senza secondi fini s’intende, ma per parlare di lavoro. Rifiutare mi sembrava un errore». Pola «Qui sei tu che hai sbagliato. Non dare per scontato che al tuo capo sia concesso tutto. Fissa anche tu le regole del gioco, metti qualche paletto». Saolini «E se all’inizio sei stata troppo disponibile, non avere paura RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI di fare un passo indietro, di ridimensionare il tuo impegno, pur con garbo». SE MI ASSEGNA COMPITI CHE NON MI SPETTANO Laura M. «Il mio problema è un altro: quando il mio superiore mi assegna incarichi che non mi competono, provo a mettere dei paletti e passo per negligente». Laura D. «Oppure per una che non riesce a gestire le richieste, che non è capace. Anche a me succede». Saolini «Qui è un po’ questione del ruolo che vi siete costruite: avete sempre detto sì, il lavoro lo fate bene… Il capo approfitta. Non subite la situazione senza dire nulla! Quanto meno, fate notare il super-lavoro, chiedete per quanto durerà la situazione. A volte ci sta anche un riconoscimento economico». Simona «Ma se hai un responsabile che non sa bene qual è il tuo lavoro, quello che fai in azienda?» . Montanari «Oggi capita con i nuovi mestieri del web. Spiegagli cosa fai, sen- za paura. Non ti rendi conto che, con il divario digitale che ci separa, noi abbiamo tantissimo da imparare da voi. Aiutateci a capire di più, la formazione non è più “one way”». SE NON DA’ MAI UN GIUDIZIO SUL MIO LAVORO Matteo «Sapete, invece, che cosa succede a me? Sono passato da una realtà piccola a una grande azienda. E non so a chi chiedere un feedback sul mio lavoro». Gabrielli «Eh no, è importantissimo averlo. Scrive Randy Pausch ne L’ultima lezione, “se qualcuno ti dà un feedback, vuol dire che si preoccupa di te. Se non te lo dà, preoccupati”. Cerca una valutazione». Montanari «Attenti però, c’è un solo modo intelligente per fare tesoro del feedback: va ascoltato con attenzione, non bisogna ribattere se c’è una critica. Prima va metabolizzato e lasciato sedimentare». Pola «Qui vorrei ribadire il ruolo di un capo: è quello di farvi crescere. E le critiche e PAGINA 8 i no servono proprio a questo, non dimenticatelo e imparate a farne tesoro. Però non tutti vanno accettati passivamente. Sia ben chiaro: siete una risorsa per l’azienda. Se siete lì vuol dire che investe su di voi: questo deve darvi fiducia e sicurezza quando negoziate». SE MI SONO GIOCATA IL RAPPORTO CON UNA LITE Valentina «Un giorno ho detto una frase di troppo, eccessivamente sincera. Come si recupera?». Saolini «Non confondete mai il coraggio di chiedere con la temerarietà di dire quello che pensate». Montanari «Qui ci vuole una buona intelligenza sociale, cioè la capacità di capire quelle regole del contesto in cui vivete che vanno sempre rispettate». SE IL CAPO NON TIENE CONTO CHE SONO MAMMA Silvia «Ho un bimbo di 8 anni, non voglio sacrificare tutto il mio tempo al lavoro: ma con questo non sono meno determinata a dare il meglio». Gabrielli «È un problema molto diffuso. Hai mai pensato che il capo potrebbe avere avuto la tua stessa difficoltà di conciliare famiglia e lavoro? Anche qui l’errore più grande è non parlarne». Saolini «Vero, ma bilancia la tua assenza in alcuni momenti con lo spirito di iniziativa, con una disponibilità alternativa nelle ore in cui sei più libera». SE IL CAPO E’ UN MIO AMICO Riccardo «Tutti questi consigli valgono anche quando con il responsabile c’è un rapporto di amicizia?». Gabrielli «Certo. Ma siccome non è una situazione facile, preparati anche a gestire un coinvolgimento molto forte, specie in caso di delusioni». Saolini «E definisci a priori gli spazi (intimo, personale, sociale…) da condividere con il capo-amico». Settembre 2010 Glamour RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI Presentato il libro di Gabriele Gabrielli “People management”, nuove vie per l’impresa PAGINA 9 25/07/2010 Il Messaggero ROMA – Attrarre, trattenere e motivare le persone. Ma anche conoscere, valorizzare, rispondere ai bisogni dei propri collaboratori e comprenderne i loro obiettivi. Lavorare “con” e “attraverso” gli altri è diventata oggi la vera sfida principale di imprese, organizzazioni e manager. La persona e la sua motivazione, le competenze individuali e di team sono il cuore del cambiamento e il motore di leadership efficaci. Non a caso, alle teorie e pratiche per una gestione sostenibile delle persone Gabriele Gabrielli, docente di Organizzazione e gestione delle risorse umane all’Università Luiss di Roma ha dedicato “People Management”, l’ultimo suo libro edito da Franco Angeli, presentato nei giorni scorsi nell’ateneo romano, alla presenza, tra gli altri, del direttore generale della Luiss Pier Luigi Celli, dell’imprenditrice Luisa Todini e di Alessandro Laterza, amministratore delegato dell’omonima casa editrice. Progettato per una platea di studenti universitari, professionisti e manager dello Human Resources Management «questo volume – afferma Gabrielli, già autore di numerose pubblicazioni sulla gestione delle persone e sullo sviluppo organizzativo, tra cui “Remunerazione e gestione delle persone” (2005) e “Conoscenza, apprendimento e cambiamento” (2006) – che ho scritto negli ultimi due anni, quando ancora non eravamo nel pieno dell’attuale crisi economica, può essere uno strumento utile per riscoprire le relazioni che guidano i contesti organizzativi, nel caso specifico il rapporto tra capo e collaboratore». Non solo analisi e studi, quindi, ma anche consigli. Intervista | Gabriele Gabrielli – Università Luiss Guido Carli «No ai tagli indiscriminati» «Razionalizzare va bene, specie in tempi di crisi, ma serve una prospettiva di più ampio respiro. Le aziende hanno bisogno di manager che portino una visione, nuove possibilità di crescita che le rendano capaci di agganciare la ripresa. Si può tagliare, senza però arrivare a scarnificare fino all’osso l’azienda, che altrimenti perde l’anima: con le scorciatoie non si va da nessuna parte». Ne è convinto Gabriele Gabrielli, docente di Organizzazione e gestione delle risorse umane alla Facoltà di Economia della Luiss Guido Carli, che al tema della gestione delle risorse umane in tempo di crisi ha dedicato un libro uscito quest’anno, “People management. Teorie e pratiche per il management sostenibile delle persone”, edizione Franco Angeli. Come si affronta la crisi? Non esistono ricette valide per ogni contesto. Di certo i tagli indiscriminati non servono perché poi si finisce strozzati quando arriva la ripresa. È vero che non si finisce mai di fare efficienza, una buona regola che vale ancora di più con la crisi. Ma anche durante i periodi difficili bisogna continuare a investire su figure manageriali utili allo sviluppo dell’azienda. Va bene andare a sollevare lo zerbino per vedere la polvere che si è accumulata e toglierla. Ma poi bisogna lavare lo zerbino o ricomprarlo. Anche nella crisi non si deve entrare nella logica del taglio di breve periodo. Occorre mantenere una prospettiva di lungo periodo. Come? Non bisogna privarsi di manager capaci di mettere in rete tutte le energie che cooperano alla riuscita dell’impresa. Non va sottovalutata poi la variabile psicologica. Occorre fare crescere la consapevolezza della propria forza a chi lavora in azienda. Servono manager positivi, in grado di guardare oltre la crisi, di mantenere vivi il progetto e l’anima dell’impresa. Un consiglio alle Pmi del Lazio. Ci sono alcune buone pratiche che vanno coltivate. Le piccole e medie imprese devono continuare a puntare a fare rete, a mettere insieme le forze necessarie a fare innovazione e ricerca. Lo sviluppo della capacità di connessione e di interrelazione è fondamentale. È importante agire anche sul marketing territoriale, per capire dove sono le risorse che rendono opportuno anche 07/07/2010 Il Sole 24 Ore RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI PAGINA 10 l’investimento di altri soggetti nel proprio territorio, in una sorta di delocalizzazione al contrario. Quali sono le professionalità che risentono più della crisi? Ci sono di sicuro alcune professioni che hanno sviluppato meno anticorpi. Ad esempio nel mondo della ricerca. Se ogni due mesi il budget aziendale per la ricerca viene tagliato, viene meno la stessa funzione del ricercatore che di solito gioca su un orizzonte temporale medio-lungo. Cosa ci insegna la crisi? A guardare ai possibili spazi di nuovo sviluppo dell’economia. Penso al dibattito in corso sul tema dell’economia sociale di mercato che ha un grande merito: stiamo arrivando tutti alla conclusione che il mercato non può essere lasciato a sé stesso, che l’economia può essere organizzata diversamente, che c’è spazio per forme organizzative come la cooperazione che, pur senza scartare il profitto, lavorano per uno sviluppo diverso. I saggi studiano la cura per l’economia A luglio pronto un piano strategico. Turismo “difficile”, meglio bel vivere e cultura Concludono oggi l’intenso lavoro della terza tornata, dopo tre giorni di full immersion nei problemi economici della Provincia di Ascoli, i 6 “tavoli” tematici e il comitato dei saggi chiamati dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno a presentare, entro luglio, un piano strategico per risollevare la nostra economia. È una missione molto ardua ma l’iniziativa della Fondazione ispirata dal presidente Vincenzo Marini Marini, è semplicemente meritoria oltre che indispensabile. Al contrario di quanto fanno spesso enti pubblici e Politica, non si guarda all’immediato ma al futuro. «Non vogliamo certo scaval- care gli amministratori pubblici – sottolinea Marini Marini – ma fornire strumenti per l’elaborazione, se vorranno, di interventi specifici per rilanciare l’economia del territorio. Cerchiamo idee e progetti realizzabili». La “squadra” scesa in campo è di altissimo valore. Effettuerà altri incontri in città, consultando altri operatori dei vari settori, poi, come detto, presenterà la sua sintesi. Quali le ipotesi che stanno maturando? Ad esempio lo sfruttamento di bellezze ambientali, enogastronomia, patrimonio culturale, qualità della vita e buon vivere in generale. Ai tavoli (coordinati dai professori Renato Novelli, Tonino Pencarelli e Massimo Sargolini) e ai saggi (Josep Ejarque, project leader, Umberto Paolucci, Gabriele Gabrielli, Giuseppe Alai e Roberto Gambino), se questa sarà l’indicazione finale, il compito di elaborare una proposta strategica su base prettamente scientifica. In questi giorni, come i dottori fanno con i malati, i tavoli e i saggi hanno effettuato un’accurata “visita”. Sono emersi, ad esempio per il turismo, gli storici problemi della lontananza di un aeroporto, di collegamenti adeguati con il Tirreno, di una ricettività insufficiente numericamente e qualitativamente, eccetera. Ma anche idee nuove. Comunque è presto per tirare le somme. Di certo l’operazione avviata dalla Fondazione è molto alta e darà risultati interessanti per costruire lo sviluppo del domani dove certamente non si potrà più pensare a nuovi insediamenti industriali di grande dimensione. Si cercano insomma idee e progetti che si possano tradurre in proposte operative e naturalmente “vendere” bene. Per la cronaca i saggi, a titolo personale, sono tutti rimasti affascinati dal centro storico ascolano e dalle eccellenze alimentari del territorio (olive ascolane in primo luogo). 06/02/2010 Il Messaggero RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI PAGINA 11 L’investimento in un MBA alza la posta Scegliere un master in busi-ness administration (Mba) vuol dire investire su se stessi e sul proprio futuro. Se da un lato i costi per iscriversi a questi esclusivi percorsi di alta formazione raramente scendono sotto i 30-40mila euro, dall'altro le garanzie di successo sono molto elevate. Ecco allora che qualcuno si autofinanzia tramite prestiti d'onore, in accordo con gli istituti di credito, mentre altri (pochi) fortunati beneficiano di borse di studio sponsorizzate dalle imprese, e altri ancora arrivano a pagare la retta con i propri risparmi personali. «Registriamo circa 1'8o% di occupati tra i nostri allievi, a tre mesi dal conseguimento del titolo -afferma Valter Lazzari, direttore dell'Mba della Sda Bocconi -. Si tratta di un percorso di studi con un alto grado di internazionalizzazione. Dall'anno scorso intera- mente in inglese, raccoglie circa il 60% di iscritti ogni anno dall'estero, con una rappresentanza di quasi 30 paesi del mondo». La Sda, tra l'altro, è presente nelle principali classifiche internazionali elaborate annualmente dal Financial Times e dalle riviste economiche internazionali. Interessante anche l'offerta della Luiss: «Oltre alla formazione di base, che deve essere comune a tutti, noi cerchiamo di costruire l'anima del manager - afferma Gabriele Gabrielli, docente in Organizzazione e gestione delle risorse umane presso la facoltà di economia della Luiss e direttore dell'executive Mba promosso dall'ateneo -. I nostri iscritti seguono anche laboratori musicali o teatrali e incontrano alcuni dei migliori top manager sul campo che raccontano la loro esperienza personale. In questo modo offriamo anche un prodotto "di tipo narrativo" in grado di sviluppare immedesimazione e proiezione». A scommettere sugli Mba, poi, sono sempre più spesso le grandi aziende che, per prime, decidono di investire cifre elevate per la formazione dei propri manager: gli executive Mba finanziati dal datore di lavoro permettono ai lavoratori di seguire le lezioni part time, anche in distance learning. A settembre parte per la prima volta il Gmp september intake della business school internazionale Escp Europe, rivolto a manager con solo tre anni di rilevante esperienza lavorativa, una specie di corso di preparazione che apre le porte all'executive Mba (per cui servono invece dai cinque ai dieci anni di esperienza) e fornisce competenze interfunzionali per ruoli di general management a livello internazionale. Sarà strutturato in nove moduli mensili e si svolgerà fra i campus di Torino e Londra. Al suo termine sarà possibile scegliere, oppure no, di proseguire gli studi frequentando lo European executive Mba, che è inserito nelle classifiche del Financial Times dei migliori percorsi executive in Europa e nel mondo. 21/09/2009 Sevel leader in cultura industriale 18/07/2009 Nella fabbrica del Ducato crescono i manager e i talenti d’azienda ATESSA. - Non si possono produrre beni competitivi e aperti ai maggiori mercati del mondo se prima non si produce cultura industriale. Se questa è la risposta vincente della Sevel a quel fenomeno conosciuto come globalizzazione e col quale le imprese lottano tutti i giorni per restare nel panorama mondiale delle società che contano, ecco allora che lo stabilimento Fiat abruzzese diventa punto di riferimento per le sfide di oggi e di domani. A prescindere dalla crisi che ha fermato la produzione con 18 settimane di cassa integrazione. Ne sanno qualcosa i dirigenti dell’azienda del furgone Ducato che per il secondo anno accolgono per due giorni una cinquantina di talenti e manager aziendali iscritti a un master della Luiss “Guido Carli” coordinato dal direttore Gabriele Gabrielli, docente di Organizzazione e gestione delle risorse umane, e con Marcello Lando, docente di Gestione della produzione industriale. Sì, perché nel seminario si parla essenzialmente di risorse umane nelle varie sfaccettature: lancio di idee, trasferimento di conoscenze, parte- Il Sole24Ore cipazione al ciclo produttivo, performance, In una parola: Sevel. Il tutto racchiuso nella “produzione agile”, la lean production. «Questo nome», spiega Alfredo Leggero, direttore della Sevel, «cerca di rendere con la sinteticità e l’ovvia genericità di uno slogan, una realtà estremanente complessa e tesa ad accrescere la flessibilità dell’impresa attraverso strutture organiz- Il Centro zative agili, un’attività con l’intelligente partecipazione delle persone al processo produttivo, un uso delle tecnologie meglio integrato con l’attività umana». In questo contesto la Fiat da qualche anno applica il programma Wcm, World class manufacturing, cioé la produzione di livello mondiale con eccellenze nei processi di qualità dei prodotti. E la Sevel è uno degli stabilimenti più avanti nel Wcm. «Ma è più importante», riprende Leggero, «che le fabbriche abbiano ripreso a generare idee e si è ripristinata una cultura del miglioramento e della sfida continua. Di conseguenza è migliorato il clima, sostenuto dal coinvolgimento di tutte le persone. Quello che si è innescato è un gigantesco processo di crea- RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI PAGINA 12 Ai corsisti vengono mostrate anche le immagini del Family Day dello scorso anno, quello al quale l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, partecipò facendosi fotografare con ogni singolo lavoratore. La festa dello slogan “Protagonisti delle nostre vittorie”. zione e di trasferimento di conoscenze: le best practices, le pratiche migliori, presenti negli stabilimenti sono state raccolte e trasferite per mettere in circolazione e far condividere la conoscenza esistente». comportamenti. In questo periodo di crisi una risposta va data dalla riorganizzazione del lavoro, dalla capacità di stare sulla fabbrica, dalla riduzione degli errori». «La svolta di Marchionne alla Fiat è stata questa», aggiunge Lando, «cioè ha mostrato attenzione agli investimenti e alla tecnologia, ma soprattutto al personale. Del resto Secondo il professor GaMarchionne non è un ingebrielli, «la Sevel è una delle gnere ma un uomo di legge e aziende Fiat che tengono la soprattutto un filosofo». persona al centro dell’attività produttiva perché investe sui Le immagini a corredo dell’articolo sono state scattate durante la visita degli allievi EMBA III ediz. allo stabilimento SEVEL e sono state aggiunte al momento dell’impaginazione del presente documento. Meno tecnica e più anima per i dirigenti Anche i leader hanno un' anima. Nonostante le università non lo insegnino. E così oggi, in tempi di crisi globale, c' è chi propone il training dell'anima, un approccio che rimette al centro la persona e pone l' accento sull' essere prima che sulla tecnica. E' il filo conduttore di un libro appena uscito, Leader dentro, Luiss Press, che rispolvera con acume e brillantezza di stile quella che in fondo è saggezza millenaria: «Gnoti sauton», conosci te stesso. Ne discutevano già ai tempi di Socrate. Un progetto di formazione inesauribile e rivoluzionario. L' obiettivo dei tre autori Marco Ghetti, Isabella Appolloni e Fabia Bergamo è forte: mettere da parte almeno per un momento tecnica e know how e riappropriarsi del sé. Un bravo leader infatti è soprattutto leader di se stesso. «Sulla scia di una scuola che ha dato grandi risultati nel mondo anglosassone», spie- ga Ghetti, presidente di Mosaic Leadership Institute, «stiamo lavorando ad un riequilibrio tra le varie componenti dell'’essere manager. In Italia la formazione è strutturalmente sbilanciata a beneficio delle competenze tecnico gestionali. La nostra cultura reputa che il leader sia un ingegnere che deve manovrare una macchina organizzativa. Per cambiare il mondo invece bisogna lavorare su se stessi. Ed è difficile che un leader che deve essere portatore di cambiamento sia tale se non è capace di lavorare al suo proprio cambiamento». Così Mosaic Leadership Institute e Luiss Business School promuovono Leadership for Change, un programma di business education in sei tappe che viene proposto in edizioni parallele a Milano e a Roma. «Nel mondo complesso in cui viviamo non ci si può appiattire sugli strumenti», sostiene Gabriele Gabrielli direttore dell' Executive Mba Luiss, «non c’è soltanto il fare perché non esiste una ricetta precostituita. Occorre una riflessione individuale e di gruppo e una prospettiva di medio lungo termine». 08/05/2009 Corriere della Sera Gabriele Gabrielli e Marco Ghetti, foto aggiunta all’articolo al momento dell’impaginazione del presente documento. IL LIBRO 08/12/2008 Il lavoro e l’impresa Italia Oggi Otto temi per uno strumento che vuole rispondere alla diversità del possibile e alla molteplicità dei percorsi. In sintesi, il libro di Gabriele Gabrielli. Prendendo spunto dalla quotidianità e autoassegnandosi un profilo apparentemente sommesso, Gabrielli nel suo ultimo libro (Il Lavoro a più dimensioni. Frammenti di quotidianità, Luiss University Press, 280 pagine, 15 euro) trae a sua volta spunto dalle sue esperienze di uomo d’azienda (Ferrovie, Wind, Enel, Coin, Telecom) e di formazione (è docente alla Luiss e direttore dell’Executive Mba della Luiss Business School) e racconta uno spaccato niente affatto sommesso. La scrittura dei frammenti si presta in realtà a un tono, sempre elegante, ma intriso di passione culturale e civile. Quando parla della necessità di un management più generoso, da classe dirigente, fortemente segnato dall’etica della responsabilità. Oppure quando fustiga il management del sottovento, degli slalomisti e dei galleggiatori d’azienda, sempre pronti a servire troppi padroni. Oltre alla responsabilità, il viaggio di Gabrielli attraversa il tempo, la fiducia, il rispetto, le competenze, la partecipazione, la comunicazione e la carriera. Capitolo, questo, in cui si indica come virtù il network e come peccato capitale la verticite, malattia non solo senile di troppi manager. RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI Il saggio di Gabrielli 10/08/08 Il futuro del lavoro Meno soldi, ma più tempo libero Il mondo variegato e complesso del lavoro visto attraverso le lenti della quotidianità e dell’esperienza personale, affrontando i nuovi temi che in un periodo come quello della globalizzazione attraversano velocemente i confini. Questo fa Gabriele Gabrielli nel libro “Il lavoro a più dimensioni” (Luiss University Press, pp. 278, euro 15, nella foto a destra la copertina). Docente di Organizzazione e gestione delle risorse umane all’ateneo romano, con un curriculum da direttore delle risorse umane per diverse aziende statali e private, Gabrielli divide il suo libro in capitoli che fanno riferimento ad alcune componenti fondamentali dell’ambiente lavorativo: tempo, responsabilità, fiducia, rispetto, competenze, partecipazione, carriera, PAGINA 13 comunicazione. E offre una lettura utile per capire nuovi e vecchi meccanismi di una attività che da una parte risponde alle esigenze lavorative di persone e famiglie, dall’altra si concentra sull’organizzazione per capire per quale motivo si investa o meno sul lavoro, si aprano nuovi punti vendita e se ne chiudano altri. Spazio è dedicato anche alle nuove mode. Come quella del “downshifting”, legata alla sfera del tempo: scambiare una carriera economicamente soddisfacente ma stressante con uno stile di vita meno faticoso e retribuito ma più gratificante dal punto di vista personale. Una scelta di vita (e di lavoro) che sta prendendo piede negli Stati Uniti e si appresta a sbarcare da questa parte dell’Atlantico. Una scelta che Libero Cultura risponde al desiderio di dedicare maggior tempo della giornata a se stessi e alla vita privata, mettendo in conto una rinuncia remunerativa e professionale. Gabrielli, tra le altre cose, affronta anche il turbamento che provoca un gesto ormai quotidiano come quello del controllo delle mail sul computer: «La posta elettronica, insomma, o meglio “quanta” posta attrae e raccoglie la tua casella, sta diventando o, può essere percepito, anche come un indicatore di status». Vale a dire la “certificazione che si conta qualcosa, che è stata fatta carriera. E se non scrive nessuno? È una paura che sta dietro l’angolo. Occorre fiducia, la quale «assume una grande impor- 04/07/2008 MANAGEMENT Gabrielli, un libro per capire cosa ci piace del nostro lavoro Comprendere e gestire il lavoro è un tema centrale per il nostro benessere e per quello della società. Il lavoro nella sua concretezza, però, è una questione assai complessa. Molti sono, infatti, i punti di vista da cui lo si può osservare, vivere e valorizzare. C’è la prospettiva del mercato del lavoro e dell’organizzazione, ma c’è anche quella del gruppo in cui si lavora, fatto di colleghi e di pari, di identità e di ruoli. Lo sa bene Gabriele Gabrielli, 50 anni, metà dei quali trascorsi nel ruolo di manager di importanti aziende, e che al mondo del lavoro ha dedicato un libro non a caso dal titolo “Il lavoro a più dimensioni” (edito da Luiss University Press). Fram- tanza per costruire relazioni di lavoro positive e produttive, sia per le imprese che per i collaboratori». Ovviamente, serve che a infonderla, la fiducia, ci sia qualcuno: ovvero un “capo coach” che aiuti le persone a esplorare e risolvere un problema o migliorare una prestazione. La tecnica si chiama coaching e sembra quella di un allenatore che scalda i suoi prima di una importante sfida. Come quella del lavoro. menti di quotidianità raccolti dalla esperienza personale: Gabrielli che attualmente è docente di organizzazione e gestione delle risorse umane presso la Luiss, è stato infatti fino a un anno fa direttore delle risorse umane e organizzazione delle Ferrovie dello Stato. «Il volume, scritto sostanzialmente per i Il Messaggero capi - spiega l’autore- vuole essere una lettura utile per approfondire la dimensione del management delle risorse umane, un modo per conversare su cosa ci motiva e su cosa ci soddisfa nel lavoro. Ma anche e soprattutto richiamare l’attenzione su persone che in fondo oltre a lavorare, di fatto hanno una vita personale di ozio e tempo libero da trascorrere in famiglia». E sull’attuale ruolo del direttore delle risorse umane, Gabrielli non ha dubbi: «Rispetto a 20 anni fa, oggi è un vero e proprio architetto che ha il compito di mettere insieme più persone con diversi punti di vista e modi di lavorare». Immagine scattata durante la presentazione del libro Il lavoro a più dimensioni presso “Bibli Caffè” a Roma e aggiunta all’articolo al momento dell’impaginazione del documento RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI PAGINA 14 Il team building entra in classe Outdoor e coaching personale arrivano anche agli MBA. E alle materie classiche come finanza ed economia aziendale si affianca il training open air per far emergere i talenti, favorire il lavoro di squadra e instaurare un clima di fiducia Complessità, globalità, velocità e instabilità sono le grandi questioni che i manager di oggi devono saper gestire in modo eccellente per competere sui mercati. E tutti invocano le soft skills, quelle capacità relazionali e cognitive, di leadership e comunicazione che si aggiungono alla “cassetta degli attrezzi” del sapere specialistico. Anche al Master con la M maiuscola, il Master in Business Administration (Mba) e la versione Executive Mba, due classici della formazione manageriale avanzata, dove già si declinano in modo generalista, interfunzionale e integrato le materie classiche del general management (come finanza, marketing, economia aziendale e organizzazione) negli ultimi tempi è cresciuta l’attenzione allo sviluppo delle capacità personali. Con metodi anche non convenzionali di formazione, quelli che agiscono fortemente sulle emozioni e attingono a teorie di crescita personale di vago sapore americano. Che siamo abituati a vedere sì nella formazione aziendale, meno in quella accademico - istituzionale seppur orientata al business come le business school. Così oggi l’outdoor training è entrato a pieno titolo nel programma del Master e il coaching personale accompagna l’alunno nei 15 mesi e più di corso. Il fondatore e direttore scientifico del MIB School of Management di Trieste Vladimir Nanut (vicepresidente Asfor, l’associazione di accreditamento degli Mba in Italia), alle celebrazioni del ventennale della scuola il 16 maggio ha citato l’aspetto dello sviluppo personale come necessario per integrare i saperi ed essere in grado di gestire complessità e dinamicità: «Noi stimoliamo l’attitudine al cambiamento, alla leadership e alla Vision con metodologie molto evolute: action learning, outdoor, teatro aziendale, metafore tratte dalle arti marziali». Il battesimo della partecipazione all’Mba di Trieste in genere avviene in mare, in barca a vela. Altre volte in cima a una montagna. Mare o montagna, ciò che conta sono le dinamiche che si mettono in atto (e non tanto il risultato), con l’obiettivo di creare fin da subito il gruppo. In che modo? Valorizzando le differenze e facendo emergere i talenti in situazioni impreviste e sfidanti a forte impatto emotivo (tra l’altro le aule di Trieste sono molto internazionali, con studenti provenienti da 60 paesi al mondo). «Partendo con l’outdoor si velocizzano i tempi di conoscenza e di affiatamento del team che, poi, lavora meglio anche in aula. Da uno scambio vero e sincero di diversi punti di vista nasce un clima di fiducia molto importante per proseguire il percorso insieme», spiega Valeria Forzano, responsabile Area Sviluppo Manageriale MIB School of Management. Inoltre l’esperienza dell’outdoor, dove ognuno si è confrontato con i propri punti di forza e di debolezza, è l’inizio di un lavoro su se stessi che viene sostenuto durante tutta la durata del corso da un’attività individuale di coaching (ossia di facilitazione e affiancamento sul potenziamento di alcune soft skills da parte di un counselor). Il ricorso alle formazione non convenzionale si ripresenta poi alla fine del Master con metafore tratte dal teatro o dalle arti marziali. Partecipando a una rappresentazione teatrale o eseguendo esercizi guidati, si osserva il proprio atteggiamento, la propria predisposizione alla relazione (conflittuale o assertivocollaborativa?) e alla leadership. In un certo senso, è il momento della verità! Al Mip di Milano, la busi- ness school del Politecnico milanese, il “laboratorio di auto sviluppo personale” previsto per tutti gli Mba ed Executive Mba ha contagiato lo stesso staff operativo (non ancora i docenti). Per due giorni la scuola ha praticamente chiuso e si sono recati tutti sull’Appennino a fare esercizi di orienteering per rafforzare lo spirito di squadra. Un successo! «Dedichiamo il 10,15% delle attività degli Mba al personal development, con forte attenzione all’outdoor, che organizziamo nella prima fase del master.L’outdoor è un modo per sperimentare concretamente le proprie capacità cognitive (percezione del problema e capacità di analisi) e le proprie capacità relazionali. Scegliamo posti remoti e organizziamo attività varie, come la costruzione del ponte tibetano». dice Andrea Sianesi, direttore MBA e Master del Mip Politecnico di Milano. Al momento del coinvolgimento emotivo segue poi la rilettura personale dei propri punti di forza e di debolezza con il sostegno di un coach che segue l’alunno per tutta la durata del RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI master. «Un bravo coach deve saper ascoltare e poi, all’occorrenza, dire qualcosa di intelligente, di sincero e professionale, in modo da creare una relazione di fiducia con la persona e stimolarla nella sua crescita », conclude Andrea Sianesi. Alla Luiss si insegna il coaching E ora il coaching si insegna alla business school della Luiss, con un percorso di 140 ore in otto moduli che parte il 12 giugno e si conclude a dicembre. «Vogliamo offrire un approccio strutturato,basato su una precisa metodologia, per quella che è una funzione sempre più diffusa nell’area risorse PAGINA 15 umane», dice Gabriele Gabrielli, direttore Executive Mba della business school Luiss e docente di organizzazione e gestione risorse umane. Il corso in particolare si rivolge ai capi d’azienda per sviluppare la capacità di far emergere il potenziale dei propri collaboratori (“con l’ascolto attivo e le domande giuste”) e ai consulenti. Mentre il coaching individuale viene praticato alla Luiss già da anni verso gli studenti dell’Executive Mba. Parte invece a ottobre, e si concluderà ad aprile, la settima edizione del Master in Outdoor Management Training organizzato dall’Istituto Europeo di Neurosistemica con sede in Liguria a Sestri Levante. «L’outdoor è un’occasione per mettersi in gioco e fare qualche piccolo cambiamento nella propria vita, in azienda, nelle relazioni con gli altri», spiega Marco Rotondi, presidente Ien, ingegnere e psicologo, esperto di outdoor training. «Il primo risultato è quello di passare da un modello dove si pensa di essere perfetti a un modello di pensiero che, invece, riconosce normale avere punti di forza e punti di debolezza, che non sono altro che aree di miglioramento. In questo modo si è già in traiettoria, il percorMaggio 2008 www.mastermeeting.it Lauree brevi e molto inutili Con il titolo triennale solo in pochi casi si trova lavoro. Così quasi tutti proseguono gli studi per ottenere la magistrale o almeno un master. E il gap italiano si allarga: meno laureati e più stagionati Ce l'hai un master, almeno? Al terzo anno di lavoro, Elena non si aspettava una domanda simile. Laureata in Scienze delle comunicazioni, subito infilata nella catena di montaggio stagecontratti, era abbastanza ben messa: inserita in un ufficio stampa, per di più della stessa università nella quale si era laureata con un bel 110 e pochissimi mesi fuori corso. Senonché, dopo due anni di lavoro e al momento di firmare il terzo contratto, pochi giorni fa ha avuto una doccia gelata: non si può fare, perché la legge finanziaria adesso per i contratti esterni richiede la laurea specialistica. Il 'più 2'. O almeno un master, un 'più 1', insomma qualcosa dopo quei tre anni della 'laurea breve'. Così, "il progetto a cui stavo lavorando non è finito, ma io devo andar via, perché ho solo la laurea triennale. La mia università non riconosce il titolo che essa stessa mi ha dato". Un bel paradosso, per l'università del 'tre più due'. Nella quale, a dieci anni dalla riforma che voleva introdurre la laurea breve nel paese dei perenni fuori corso, i numeri parlano chiaro: l'82,9 per cento dei nuovi laureati prosegue dopo il triennio. Ma allora, se tutti allungano, a che serve la laurea breve? Lasci o raddoppi? "Bisogna capire se proseguono perché vogliono saperne di più o perché non sanno dove sbattere la testa". Andrea Cammelli, direttore di Almalaurea, propende per la seconda ipotesi. Il consorzio che dirige dà in tempo reale la temperatura dell'università. Cammelli non è di quelli che buttano la croce sulla riforma del 1999, anzi, nel complesso la difende. Ricorda i numeri del passato: "Nel 2001 in Italia si laureavano in corso meno di 10 studenti su 100. Il 25 per cento era sui cinque anni fuori corso". In media, ci si laureava dopo sette anni di università: un'enormità, che ci fece imboccare di gran carriera il 'processo di Bolo- gna', la Maastricht delle università alla quale però i paesi europei si sono adeguati in ordine assai sparso. La Gran Bretagna, per dire, ancora non ha cambiato una virgola del suo sistema. Ma lì, come in tutta l'Europa del Nord, non avevano i nostri problemi: studi lunghi e lavoro mediamente sulla soglia dei 30 anni. Adesso, dice Cammelli, "almeno abbiamo aumentato i laureati e ridotto i fuori corso". Che sono a quota 50 per cento tra i laureati 'puri', cioè tra quelli che hanno iniziato e finito l'università con le nuove regole. L'età media si è così abbassata: a 24,2 anni, dicono i dati del 2006. Solo che a quell'età si supera - e già con un anno di ritardo, in media - solo il primo gradino: si è laureati, ma spesso questo vale solo per il biglietto da visita e per i dati dell'Istat. Per tutto il resto serve salire gli altri gradini: più di 8 laureati brevi su 10 proseguono, con picchi sopra il 90 per cento in Psicologia, Sociologia, Co- municazione. La stragrande maggioranza va verso la laurea specialistica, una minoranza verso i master. E non è tutto: i primi battaglioni di laureati che hanno fatto tutto il percorso nel 3+2 sembrano intenzionati a restare ancora nell'università. Quasi la metà di loro vuole prendere un'altra specializzazione o proseguire con il dottorato. I più motivati, quelli che vanno all'estero per un Phd, ci arrivano come minimo dopo la specialistica, e lì si trovano fianco a fianco con colleghi stranieri più giovani che, tra liceo e università, hanno risparmiato almeno un anno o due. Così il triennio è diventato solo un campo-base, da cui partire per le più alte vette. Salvo rare eccezioni. Ad esempio, nel ramo delle Scienze mediche ci si ferma più spesso al triennio, ma solo perché si tratta di preparazioni assai specialistiche (nella riabilitazione, fisioterapia, ecc.) e in maggioranza di studenti che già lavoravano prima nel campo, dun- RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI que continuano a lavorare dopo con il nuovo titolo. In alcuni settori di Ingegneria, legati alle nuove tecnologie, a volte ci si può fermare alla laurea breve. Ma la massa prosegue. Per non parlare di quelle facoltà che hanno fatto lacontroriforma: come Giurisprudenza, dove il 3+2 è durato poco e si è tornati al ciclo lungo della laurea magistrale. Gli accademici del diritto hanno imposto la loro legge: per diventare avvocati o magistrati, hanno detto, serve una preparazione più solida, studi lunghi e approfonditi, dalle pandette al nuovo diritto commerciale. Dunque, restino sui banchi tutti. "Certo, per fare l'avvocato tre anni possono essere pochi", commenta Guido Fiegna, membro del Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario, "ma di quanti avvocati ha bisogno l'Italia? Seisettemila l'anno, mentre dalle nostre facoltà escono almeno 35 mila laureati in legge. La maggior parte non andrà a fare l'avvocato, ma lavori nel campo giuridico per i quali tre anni di preparazione potevano bastare". Lo stesso vale per gli ingegneri, il cui Ordine (come quasi tutti gli albi professionali) non riconosce le lauree brevi: "Ma mica tutti devono firmare un progetto civile, c'è chi dovrà costruire palazzi e chi dovrà fare le valutazioni di impatto ambientale, professionalità differenti". È soprattutto nelle facoltà tradizionali, dice Cammelli, che il corpo accademico ha respinto nei fatti la riforma introdotta da Luigi Berlinguer e via via attuata, PAGINA 16 modificata, controriformata, aggiustata dai ministri successivi: Zecchino, Moratti, Mussi. "A volte sono gli stessi prof che fanno capire ai loro studenti che il corso triennale non basta, che la laurea breve è di serie B". Alle università, secondo il direttore di Almalaurea, "si chiedeva una rivoluzione culturale, non di versare un litro di vino in una bottiglia da tre quarti". Ma era difficile pretendere tanto cambiamento, aggiunge, da una università dove l'età media dei docenti è sopra i 50, e quella degli ordinari, che sono poi coloro che siedono nei posti decisionali, sfiora i 60. riforma abbia "spostato in avanti, di tre anni, la fase adolescenziale e il termine degli studi secondari". Ha stiracchiato i bamboccioni, direbbe Padoa-Schioppa. "Di fatto adesso siamo al 4+3: in media uno studente impiega quattro anni per il triennio, poi i due della specialistica, tra ammissione esami e tesi, diventano tre: insomma siamo tornati ai sette anni, quelli che facevano scandalo prima della riforma". E tutto ciò, senza che si siano innalzati i livelli di qualità: anzi, spesso le cose sono state rese più facili, scrivono Guerraggio e Giaquinta, con molti altri. Pubblico e privato Il fatto è che il fallimento delle lauree brevi è generalizzato. È uno dei pochi tratti unificanti, in un panorama universitario caratterizzato dallo spezzatino: tra le eccellenze e gli esamifici, l'ateneo monstre e quello sotto casa, il pubblico e il privato. 'Fai altri due anni' è una delle poche parole d'ordine comuni, in un mondo che ha moltiplicato all'infinito gli insegnamenti e le loro definizioni, chiamando corsi identici con nomi diversi. Nell'università della Confindustria, la Luiss, qualche rapporto con il mondo del lavoro lo dovrebbero avere: eppure vanno alla specialistica in 90 su 100. Alla Bocconi, uno degli atenei con più alto rapporto occupati-laureati, la laurea breve pesa un po' di più: prosegue il 70 per cento dei dottori brevi in economia. "E con grandi ansie e tensioni, perché l'accesso al biennio non è garantito, dopo la prima laurea", spiega Angelo Guerraggio, che insegna Matematica ai futuri economisti della Bocconi e dell'Università dell'Insubria. Sul '3+2' Guerraggio ha scritto un libro, insieme a un altro matematico, Mariano Giaquinta: 'Ipotesi sull'università' (Codice edizioni). Senza nessun rimpianto per un passato che troppo spesso viene mitizzato, facciamo però qualche conto e qualche ipotesi sui numeri dell'oggi, dicono i due matematici. E una delle ipotesi è che la Ma se la qualità, in attesa del sistema di valutazione, è ancora poco misurabile, i dati sulla lunghezza degli studi sono certi. E ci dicono che sono lontani gli obiettivi della riforma: quello esplicito, ridurre i tempi di permanenza all'università; e quello implicito, che almeno la metà dei laureati potesse andare a cercare lavoro dopo i tre anni. Perché proseguono? "In molte zone d'Italia, perché non c'è lavoro, dunque le famiglie che possono permetterselo spingono per far prendere ai figli un titolo più elevato". E nelle zone del Nord dove invece il lavoro c'è? "Anche qui pochi si accontentano della laurea breve, soprattutto nelle famiglie dove già i genitori erano laureati". Guerraggio introduce l'altro protagonista del fallimento delle lauree triennali: il mitico mercato del lavoro, quello per il quale l'università in teoria era stata rivoltata. Quello che ancora oggi chiede al sistema dell'istruzione braccia e menti nelle seguenti proporzioni: un terzo con la sola licenza media, un 8-9 per cento di diplomati alle scuole professionali, un buon 50 di diplomati e solo un 910 per cento di laureati (dati Excelsior). Pochissimi, rispetto agli altri paesi europei. Per molti anni di questa scarsità è stata incolpata l'università italiana, la sua arretratezza, le sue lungaggini. E adesso? Perché le imprese non vogliono i dottori brevi? Certo, c'è stata la lunga fase di transizione. C'è stato il caos sfornato dagli atenei: Michele Rostan, che ha analizzato il rapporto tra laureati e mondo del lavoro in un volume recente su 'L'università di fronte al cambiamento' (Il Mulino), ha contato alme- RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI no otto diversi tipi di 'dottori' usciti negli ultimi anni dalla nostra università: quello vecchio tipo, il mix vecchio più nuovo ordinamento, il breve, lo specialistico, il magistrale, il mix tra i due, e poi i master di vario livello. Roba da far girare la testa ai cacciatori di teste. Eppure, non è solo dell'università il problema. Imprese mirate A guardare bene cosa è successo dall'altra parte, tra quelli che i laureati li dovevano assumere, si scopre un altro pezzo della storia. La racconta Gabriele Gabrielli, docente di Economia e direttore dei master Mba (quelli per manager in crescita) alla Luiss di Roma. Prima di passare dalla parte dell'università, Gabrielli selezionava il personale per grandi aziende: Fs, Wind, Enel, Coin. Vari settori, varie grandezze, pubblico e privato. Ne ha tratto una consapevolezza: "È la domanda delle imprese che è cambiata. Vogliono laureati già formati, specializzati, pronti". Personale 'skillato', dicono in gergo. "Non sono più i tempi in cui le grandi aziende immettevano laureati in blocco, per poi formarli e farli crescere all'interno. Quello era un investimento in capitale umano, di chi guardava al lungo periodo e non solo al breve". Adesso no. Se così stanno le cose, "è chiaro che la laurea triennale non basta, serve la specializzazione, e poi la super-specializzazione.". Gabrielli non lo dice così, ma l'impressione è che le imprese chiedano alle università la pappa già pronta, in modo da non dover spendere soldi sui laureati che arrivano. Nel migliore dei casi, imprese più lungimiranti commissionano direttamente all'università i corsi, o fanno accordi per istituire al proprio interno delle 'corporate university'. Ma sempre con l'obiettivo della specializzazione: quella che in altri paesi si fa dopo essere entrati nel mondo del lavoro, e da noi prima e a lungo, posticipando all'infinito l'età di ingresso. "È chiaro che il modello della formazione continua è molto migliore, per questo io alla classica domanda che tutti mi fanno dopo la laurea, se fare un master o cercare uno stage, dico sempre di fare lo stage, andare in azienda e poi semmai tornare all'università". Difficile stabilire chi abbia più colpe, se l'università che in quei tre anni non prepara bene o le imprese che non investono granché nel capitale umano. E finora abbiamo parlato dei big: "Per le piccole imprese, quelle con 4-6 dipendenti, certo è ancora più difficile assumere un laureato", dice Fiegna. E il pubblico? Dopo anni di tentennamenti, nei concorsi per l'amministrazione sono state riconosciute le lauree brevi. Ma tanto i concorsi sono usciti col contagocce. Più significativo il comportamento del settore pubblico riguardo a questioni come il contratto di Elena: per fare contratti esterni serve la laurea specialistica, si è deciso. E questo non per esigenze professionali specifiche, ma semplicemente per fare meno contratti e risparmiare soldi: tant'è che la novità che ha stoppato il contratto di Elena è arrivata con l'ultima Finanziaria. Ma la prova più eclatante del fatto che il sistema nel suo complesso non crede alle lauree brevi la si trova nelle regole sul reclutamento degli insegnanti. A oggi, il percorso canonico per diventare insegnante di scuola superiore in Italia prevede: tre anni per una prima laurea, più due per una specialistica, più due anni di Siss (scuola superiore per formare gli insegnanti). 3+2+2, senza guadagnare un soldo anzi pagando. E poi, dopo tutto ciò, per conquistare il posto si entra in guerra con i precari, quelli che già nella scuola ci sono e insegnano, supplenza dopo supplenza. Sono necessari sette anni di istruzione universitaria per essere bravi insegnanti? "Sono convinto del fatto che per insegnare un'equazione di secondo grado devi sapere molto di più, ma certo sette anni sono un po' troppi", dice Guerraggio, parlando di matematica. Una commissione mista ad hoc ovviamente era nata, e aveva studiato lungamente la cosa: lì i tecnici del ministero dell'Istruzione avevano proposto una strada più rapida, ossia quella di far seguire alla laurea PAGINA 17 triennale un biennio di specializzazione e inserimento nelle scuole, con un ultimo anno già retribuito. Il mondo dell'università in blocco ha rigettato la proposta. L'opposizione più forte è venuta dalle facoltà di Lettere. Per nobili motivi certo, ma forse anche con un occhio alla frequenza dei propri corsi di specialistica: che si sarebbero svuotati degli aspiranti insegnanti. E qui si arriva all'ultimo velenoso paradosso delle lauree brevi: per l'università che le fornisce, lo studente è un cliente. Frequenta e paga, attrae finanziamenti. "Se lo studente esce prima, dura meno", commenta amaro Guido Fiegna. Meglio trattenerli, allora. Tanto fuori, che fanno? 22/05/2008 L’Espresso RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI PAGINA 18 Un talento da sfruttare La professionalità non basta più. Per restare competitive, le aziende hanno bisogno di persone con una tale personalità capace di fare la differenza, di aggiungere valore alle imprese. Marketing, creatività, innovazione, equilibri strategici: sono questi gli elementi imprescindibili per chiunque oggi operi nel complesso mondo aziendale, in ogni settore e in ogni mercato. Se ne è parlato in occasione del World Business Forum a Milano, dove oltre 2.000 manager si sono dati appuntamento per discutere dei metodi e delle dinamiche del “fare impresa” con successo. Un confronto e uno stimolo per approfondire e valutare i limiti e le potenzialità del dialogo attivo e stimolante fra tutti i soggetti coinvolti nel variegato universo del business nazionale ed estero. Il punto nodale resta comunque il rapporto biunivoco tra singolo individuo e azienda, tra competenze professionali ed esigenze di business. Primo fra tutti il valore del lavoratore e la capacità di un’azienda nel riconoscerlo,apprezzarlo e valorizzarlo. Saper gestire il talento è oggi, forse, la vera chiave di successo per trovare, in un mondo del lavoro sempre più globalizzato, il dettaglio distintivo che garantisca una posizione privilegiata nella quale collocare la propria impresa e, al tempo stesso, un solido punto di partenza per un metodico processo di crescita. Il tema del talento può essere molto ambiguo: per tale ragione deve essere inquadrato in un determinato contesto di business. Cresce di più sempre capacità di contestualizzare il ro chiaramente definito nei proprio talento nella dimensio- suoi termini di valore professionale, un commitment forte ne in cui si trova a operare. e condizioni organizzative che «Credo che le leve usate per consentano un coinvolgimento attrarre i talenti, non siano più delle persone e una significatisolo di carattere economico, i va autonomia», afferma Gacosiddetti “financial reward”. briele Gabrielli, docente DOMANDA E OFFERTA Per attrarre e trattenere i talenti occorre un progetto di lavo31/10/2007 Il mercato del lavoro, soprattutto quello delle alte professionaJobber lità, è un mercato sempre più mobile e complesso. Sono molOggi la situazione sembra essersi dell’azienda ridurre il più possibile te le variabili che lo influenzano capovolta: non sono più i talenti a la conflittualità tra colleghi e e lo modificano costantemente. rincorrere le aziende ma viceversa, massimizzare il senso di appartePrime fra tutte le dinamiche e ed essi costituiscono una merce nenza all’azienda, mentre alquanto rara nel mercato del all’esterno presentare l’azienda gli equilibri fra domanda e oflavoro. Reperire e fidelizzare i come un brand appetibile e alletferta. Nelle aziende sta crescenmigliori talenti è un’impresa che tante agli occhi della forza lavoro. do sempre più l’esigenza di richiede il massimo impegno da Con la coscienza che si può perdere figure che siano caratterizzate parte delle aziende. A tale fenome- un cliente per una promessa non da una forte competenza di no va aggiunto un mutamento mantenuta e, allo stesso modo, si management, di gestione dei culturale che ha trasformato i può rischiare di perdere la fiducia problemi e capacità di focalizcriteri di scelta: le persone scelgono dei propri dipendenti attuali e zarsi su obiettivi a medio e il lavoro per benefici immateriali potenziali. La gestione del retailungo termine. Insomma figure che esso offre piuttosto che per i ning - ossia la capacità di trattenedotate non soltanto di profesbenefici materiali, relativi alla re il potenziale in azienda - non è retribuzione. La “comunicazione secondaria a quella del recruting, sionalità, ma anche e soprattutdei valori” diventa allora un ele- anzi viene pianificata e realizzata to capaci di distinguersi, di fare mento strategico per attrarre e grazie ad attente politiche retribula differenza e rappresentare il fidelizzare. È necessario che le tive, di crescita professionale, di valore aggiunto, il giusto aziende costruiscano una forte formazione e di benefit offerti ai “investimento” in termini di corporate brand reputation per propri dipendenti. tempo, denaro e risorse. Come poter attirare risorse di talento con si muovono le aziende in quelo stesso impegno con cui lo fanno «Valorizzare i talenti significa sto contesto? Nell’attuale panoper il cliente. Per questo anche in realizzare concretamente una rama economico, il capitale Italia, come già accade da tempo primaria responsabilità del umano acquisisce importanza negli Stati Uniti, si sta afferman- management che è quella di diffedo una nuova strategia di selezione renziare e riconoscere a ciascuno il fondamentale e le aziende, se e gestione della forza lavoro. proprio valore. Quella del Talent vogliono mantenere il vantaggio competitivo sul mercato globa«L’Employer Branding», spiega Management non può essere solle, devono saper attrarre le Gabrielli, «è una politica a cui tanto una pratica per costruire migliori risorse disponibili sul oggi le aziende ricorrono sistemati- “élite”, ma piuttosto un vero e camente, soprattutto quelle di proprio “orientamento al talento” mercato, formarli e trattenerli in medio-grandi dimensioni, per che il management può e deve azienda. Oggi più di prima, il attrarre lavoratori attraverso sviluppare, riconoscendo le differenmondo delle imprese ragiona l’utilizzo della forza del brand e ze e premiando di conseguenza, e con logiche strategiche che quindi dell’immagine e della repu- per fare ciò deve sapere investire puntano a costruire tazione dell’impresa, mettendo in anche in termini di tempo», ribadiun’immagine attrattiva per il atto un processo di creazione dei sce Gabrielli. «C’è poi una potenziale dipendente o valori aziendali e della loro giusta manager, ma senza comunicazione al target di riferi- verità che spesso dimentichiamo. mento». Per Gabrielli la reputa- La performance dei collaboratori dimenticare zione è infatti una variabile fonda- dipende in gran parte da quello che l’importanza mentale e, spesso, determinante i capi pensano di loro. Avere dell’esperienza pernelle scelte lavorative del singolo fiducia - e farlo capire - significa sonale e le attitudini individuo. Sono due le direttrici essere già sulla buona strada per del singolo, oltre e principali di questa nuova politica una corretta gestione dei talenti». soprattutto alla sua d’immagine aziendale: all’interno infatti l’attenzione al valorizzare i cosiddetti “talenti organizzativamente sostenibili”, ossia individui che sappiano inserire proficuamente la loro “talentuosità” nell’ambito aziendale in cui operano. RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI PAGINA 19 Incontro di Team Building Interessanti novità ai vertici F.S. Forlenza è stato sostituito Loccioni apre l'impresa ai partecipanti dell'Executive MBA della LUISS, diretto dal Prof. Gabriele Gabrielli. Circa 50 manager delle più importanti aziende a livello internazionale tra cui ENEL, IBM, AUTOSTRADE, NOKIA, MINISTERO DELLA DIFESA, hanno trascorso due giorni nel Gruppo alla ricerca della vision Loccioni. Dopo la maratona di interviste ad alcuni collaboratori del Gruppo Loccioni e alla proprietà, e un "brainstorming" serale nella meravigliosa cornice delle colline marchigiane, i partecipanti hanno presentato i lavori svolti che sono risultati di altissimo livello e una tappa fondamentale nel processo di envisioning del Gruppo. Da mesi, da quando cioè nella cabina di guida è salito l’ing. Mauro Moretti, avevamo chiesto segnali che riavvicinassero i ferrovieri, quelli che definiamo “veri”, alle Ferrovie. Per la verità l’Amministratore Delegato si era mosso abbastanza velocemente iniziando la sua opera di ricambio in quasi tutti i settori e molte teste erano già cadute. Ma la mannaia, di quello che certa stampa definisce il “boss” delle Ferrovie non si era ancora spinta così in alto. La decisione era però nell’aria, così non ha sorpreso più di tanto l’apprendere che tra le illustri vittime sia finito anche il Direttore Generale delle risorse umane, il dott. Francesco Forlenza, sul quale negli ultimi giorni si erano addensate minacciose nubi, ed al quale non si è neppure concessa la possibi- 09/07/2007 www.Loccioni.com lità di essere dirottato alla presidenza di Trenitalia. Uomo di Giancarlo Cimoli, Forlenza rappresentava quindi l’anello di congiunzione con un passato che occorreva rimuovere perché si realizzasse una vera e sostanziale discontinuità. Ma non è l’unica testa eccellente ad essere rotolata, uguale sorte è toccata a Marco Ravanello, direttore del settore pubblicità e sponsorizzazioni. Chiaro quindi il messaggio proveniente dai piani alti di Piazza della Croce Rossa: occorre tagliare con il passato e rinnovarsi, se si vuole rilanciare il Gruppo, finito irrimediabilmente su un binario morto. A sostituire Forlenza è stato chiamato il dott. Gabriele Gabrielli, professore presso la Luiss di Roma (Libera Università Internazionale degli Studi Sociali), la prestigiosa uni- Un treno pieno di forbici 01/04/07 Il Sole24Ore Il difficile confronto con il governo sul nuovo piano industriale 2007-2011 dell’azienda e il profondo rosso di due miliardi di euro nei conti non rallentano la marcia dell’amministratore delegato delle Fs, Mauro Moretti, verso il totale rinnovo del top management. Confermando la sua fama di grande accentratore, questa volta ha mirato ad il bersaglio grosso: a perdere la poltrona sarà Francesco Forlenza, potente direttore generale delle risorse umane, arrivato alle Ferrovie con l’ex numero uno Giancarlo Cimoli, che lo aveva pescato nel gruppo Eni. A prendere il posto di Forlenza, che a un certo punto sembrava in predicato per la presidenza della controllata Trenitalia, sarà Gabriele Gabrielli,un quarantottenne marchigiano laureato in giurisprudenza e oggi docente di organizzazione e gestione delle risorse umane alla Luiss, l’università confindustriale del caro amico Pier Luigi Celli. versità che fa capo a Confindustria, dove insegna organizzazione e gestione delle risorse umane. Al suo attivo vanta esperienze in diverse grandi aziende italiane tra cui Telecom Italia, Coin, Wind ed Enel, presso le quali ha ricoperto sempre il ruolo di responsabile delle risorse umane. Un curriculum di tutto rispetto che riteniamo utile nella conduzione di un’Azienda che mostra ormai i segni dei suoi anni e che forse ha bisogno di un profondo restyling organizzativo. La successione a Marco Ravanello, ex direttore pubblicità e sponsorizzazioni, è invece tutta interna al Gruppo e la scelta è caduta su Daniela Carosio. 04/04/2007 Osservatore Ferroviario Gabriele ha lavorato in Telecom, dove è stato capo del personale sotto la gestione del management di area prodiana Tomaso Tommasi di Vignano, di cui era stato uno stretto collaboratore. Poi è emigrato nel gruppo Coin. Quindi ha fatto ritorno alla telefonia con Wind (sempre come capo del personale), dove è rimasto (tranne una breve parentesi all’Enel) parecchi anni per lasciare dopo la dipartita dell’ex capo azienda Tommaso Pompei. Moretti non s’è accontentato della testa di Forlenza. Novità sono in vista anche per la delicata (e ricchissima) direzione che sovrintende alla pubblicità e alle sponsorizzazioni, l’unico dei tre segmenti della comunicazione (gli altri due sono l’ufficio stampa e le relazioni istituzionali) che nell’organigramma aziendale non è direttamente in staff all’amministratore delegato. La scelta è caduta su Daniela Carosio, già all’interno del gruppo. A lasciarle il posto sarà Marco Pavanello. 22/03/2007 L’Espresso RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI Gli incontri della biblioteca Chi ha spostato il mio formaggio? Una storia semplice ed istruttiva su quattro personaggi che vivono in un “labirinto” e sono alla costante ricerca di un Formaggio che li nutra e li faccia vivere con tutte le sicurezze possibili. E' lo storia di Spencer Johnson. La storia rappresenta la metafora di quello che tutti vorremmo avere: un buon lavoro, un rapporto d'amore appagante, soldi, salute, serenità. Il labirinto è il nostro ambiente, la nostra epoca. I personaggi si trovano di fronte a cambiamenti improvvisi. Ognuno dei 4 personaggi, Nasofino e Trottolino, Tentenna e Ridolino, adotta una strategia diversa, che porterà a diversi risultati. Come per ognuno di noi. E' stato questo il punto di partenza dell'Incontro della Biblioteca dello scorso 14 marzo con Gabriele Gabrielli, Docente alla Facoltà di Economia della Luiss e Direttore dell'Executive Master in Business Administration (EMBA) della luiss Business School. Al confronto ha partecipato anche Franco Amicucci, sociologo e formatore, che ha curato molti degli incontri della Biblioteca TSF. La discussione si è sviluppata prendendo spunto da alcune parole chiave della storia: "il cambiamento è inevitabile", la paura e la naturale resistenza, la decisione e la responsabilità individuale, il saper ritrovare in noi le migliori risorse per affrontare cambiamenti individuali e cambiamenti collettivi. Il confronto ha messo in evidenza, tra le molte questioni, quella delle diverse prospettive attraverso cui il cambiamento può essere visto: quello individuale e PAGINA 20 quello di gruppo. In entrambe troviamo sia "motivi di resistenza" e "spinte" a prendere in considerazione, con energia e positività, il viaggio che ogni cambiamento comporta. E soprattutto "l'apprendimento" che se ne può trarre non solo per se stessi ma anche per gli altri. Per questo Ridolino rompe l'inerzia e la "compagnia" di Tentenna che rifiuta ogni azione per cercare un altro Formaggio. La discussione su questo aspetto ha portato a evidenziare l'importanza della. "consapevolezza" e la forza che questa ha "nel farci spostare". Gli apprendimenti scritti da Ridolino sulle pareti della scena del cambiamento, cioè il labirinto, possono così anche diventare - è emerso dalla discussione - un "manifesto programmatico" su cui riflettere, ed al contempo introdurre una terza prospettiva attraverso cui guardare il cambiamento: quella dell'Organizzazione. Esistono Organizzazioni in cui il Management, come Tentenna, non prende iniziative ed altre in cui chi guida l'impresa abbandona la tentazione, comoda ed economica, di rimanere fermi ed avvia comunque un nuovo cammino fatto di altre scoperte ed emozioni. La discussione ha quindi creato l'opportunità per sottolineare come sia possibile, in qualche modo, superare "la sorpresa" dello spostamento del Formaggio attraverso la ricerca, individuale e di gruppo, e la condivisione di ciò che si va scoprendo, "tracciando" tutto ciò sulle pareti dell'Organizzazione. In questa maniera si può addirittura diventare agenti di cambiamento per la vita di altre persone. 17/03/07 Collegati TSF Negli Stati Uniti un libro propone dei singolari «casi di successo» Falliti e poi rinati, la lezione di Martha e Jimmy La caduta degli dei. Ovvero, quando anche i potenti piangono. Cadono, piangono e si rialzano. Succede sul grande schermo. Ma nella vita reale? E' davvero possibile reinserirsi nel mondo del lavoro e risollevare la propria reputazione dopo una importante battuta d'arresto? Negli Stati Uniti parrebbe proprio di sì. Almeno a leggere Jeffrey Sonnenfeld e Andrew Ward, docenti alla Harvard Busi- ness school. Il loro libro «Firing back, come i grandi leader si risollevano dopo i disastri di carriera» spiega con quella sicumera un po' sfrontata tipica d'Oltreoceano - a metà tra il sogno americano e una confortante fiducia in un ego smisurato come gestire un fallimento e poi risorgere. Dalle stelle alle stalle, dalla stanza dei bottoni alla soglia del carcere, c'è chi riesce davvero a rimettersi in gioco. E' la storia di Martha Stewart. O di Jeffrey Katzenberg, prima ai vertici della Walt Disney poi nella polvere: nel 1994 fu addirittura costretto a difendere pubblicamente la propria reputazione. Lasciata l'azienda e passato all'allora minuscola Dream Works sfidò con successo il monopolio delle major americane. O la storia di Jimmy Carter che, fallita la rielezione alla Casa Bianca nel 1980, riuscì a riciclarsi in un ambito diverso e a vincere il Premio Nobel per le sue attività umanitarie. E in Italia? Più difficile parlare di resurrezione di dostoevskijana memoria. Nel nostro Paese, sussurrano alcuni, dopo una sconfitta l'unica preoccupazione della gran parte dei manager è quella di incassare liquidazioni milionarie. Mentre la capacità di riciclar- si con successo sembra essere più prerogativa dei nostri politici. «Ci sono persone che non demordono mai», spiega Roberto Vaccari, Sda Bocconi. «I manager che riescono a ricollocarsi con successo hanno dei tratti caratteriali molto specifici: non sono ragionatori cartesiani ma eclettici, creativi, spaziali, metaforici. Cercano l'essenza di un problema, non guardano il dettaglio. RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI Per loro quello che conta è solo il modello, sono quasi indifferenti al prodotto. E di fronte al disagio non mollano, hanno energie individuali tali da risorgere continuamente. Penso al "vecchio" Merloni, per esempio, ma anche a Barilla prima generazione che nel momento di difficoltà ha lasciato che gli americani gli ristrutturassero l'azienda e poi se l'è ricomperata». E dunque nella resurrezione di un leader contano principalmente i tratti personali del carattere? Secondo gli autori di «Firing PAGINA 21 back» il percorso di rinascita si svolge in cinque tappe. Il primo passo è confrontarsi con il fallimento, gestendo imbarazzo e umiliazione. Poi trovare supporto nell'ambiente circostante, soprattutto in familiari e amici. Infine ricostruirsi un'immagine, dare prova del proprio valore e riscoprire una nuova mission. «E' un modo di vedere il mondo eccessivamente polarizzato», ribatte Gabriele Gabrielli, Luiss. «Oggi le carriere sono di tipo diverso. Quando ci sono importanti battute d'arresto tuttavia è fondamentale tirare fuori la passione, la capacità di costruire un progetto. Senza progetto non ci può essere resurrezione. Ma è la passione che spinge a fare le cose, a gestire i fallimenti, a trovare la forza di riemerge02/02/07 re». Corriere della Sera Luiss, l'accademia dell'industria È finanziata da Confindustria e da molte grandi imprese. Qui insegnano docenti –manager come Fabio Pistella, Matteo Arpe, Andrea Monorchio. Ecco perché l’ateneo romano, grazie a una ferrea selezione delle matricole e alla vocazione internazionale, ha tutti i numeri per competere con la Bocconi. E da quest’anno si parla cinese Come in tutte le aziende che si rispettano, alla Luiss sono prodighi di grafici, cifre, statistiche e tabulati. E sono molto orgogliosi dei dati che emergono. Per esempio, soltanto l'1,5%dei laureati risulta disoccupato quattro anni dopo aver concluso gli studi. La percentuale media nelle università italiane è quasi sei volte superiore (12,6%). Secondo esempio: soltanto il 3% degli studenti Luiss abbandona gli studi fra il primo e il secondo anno di corso, contro il 10,6%delle università non statali e il 19% della media nazionale. Terzo esempio: gli studenti in corso rappresentano il 74,3% degli iscritti, mentre sono il 66% nelle università non statali e il 59% nella media nazionale. Non solo: il 48,5% dei fuori corso della Luiss riesce comunque a laurearsi entro il primo anno. Accorpando questi dati si ottiene un risultato estremamente lusinghiero: il tempo medio impiegato dagli studenti della Luiss per ottenere la laurea breve è di tre anni e sei mesi, cinque anni e mezzo per la laurea magistrale. Il merito di questi risultati va attribuito alle strutture e alle metodologie didattiche, all'obbligo di frequenza in tutti i corsi, al livello del corpo docenti, ma anche alle capacità degli studenti e allo sbarramento d'accesso che ne garantisce (con il numero chiuso) il livello qualitativo. Il 68,6% degli immatricolati approda alla Luiss con un voto di maturità superiore a 90/100; la media delle università non statali e la media nazionale risultano nettamente inferiori: soltanto 31 studenti su 100 si iscrivono alle università non statali con un voto di maturità superiore ai 90/100; la media scende a 28 se si considerano tutte le università italiane. La Libera università internazionale degli studi sociali, intitolata alla memoria di Guido Carli, è un ateneo privato, con tre sole facoltà: Giurisprudenza, Scienze politiche ed Economia. Gli sforzi maggiori (e i risultati migliori) sono riservati alla facoltà di Economia, per una ragione che risulta ovvia: la Luiss è un ente privato, le cui azioni sono divise in parti uguali fra Confindustria e una Fondazione fi- nanziata da un gruppo di imprese di rilevanza nazionale (Eni, Enel, Telecom, Ferrovie). Molti docenti della facoltà di Economia sono dirigenti e manager delle aziende interessate a catturare gli studenti migliori, e gli studenti sanno che, terminati gli studi, trovare una collocazione adeguata nel mondo del lavoro non sarà un problema. Scorrere i nomi dei docenti equivale a sfogliare il Gotha dell'imprenditoria e della finanza italiana. Insegnano nella facoltà, fra gli altri, Rainer Masera (presidente di Sanpaolo-Imi, ministro del Bilancio nel governo Dini), Carlo Scognamiglio (ex presidente del Senato, ex ministro della Difesa), Fulvio Conti (amministratore delegato dell'Enel), Fabio Pistella (presidente del Cm), Matteo Arpe (direttore generale e amministratore delegato di Capitalia), Giovanni Fiori (vicepresidente dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato), Gian Maria GrosPietro (presidente di Auto- RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI strade), Massimo Sarmi (amministratore delegato Poste italiane), Giorgio Zappa (presidente a amministratore délegato Alenia), Paolo Savona (ex ministro dell'Economia, ex direttore generale Confindustria), Emmanuele Emanuele (presidente della Fondazione Banca di Roma), l'ambasciatore Sergio Vento, Andrea Monorchio (ex ragioniere generale dello Stato), Ernesto Monti (presidente del Gruppo Astaldi, consigliere di amministrazione di Finmeccanica e Cofiri), Bruno Steve (membro del consiglio di sorveglianza di StMicroelectronics), Gabriele Gabrielli (direttore Risorse umane di Wind). La Luiss non vanta una storia antica come la Bocconi, o come le più prestigiose università americane, inglesi o francesi, ma sta recuperando il tempo perduto a passi rapidi. Gli studenti si sentono già in competizione con i bocconiani: fanno paragoni, confrontano i corsi di studio, esaminano i curricula dei docenti. Sono fieri e soddisfatti per la scelta compiuta. «Questa facoltà», dice Caterina, toscana di Cortona, impegnata nella stesura della tesi, «offre molte più opportunità di altre, ma occorre un grande impegno». Raffaele, da Fasano in Puglia, laureando anche lui, le fa eco: «Temevo che fosse un ambiente elitario. Invece no. Il livello medio degli studenti è molto alto, ma in termini di capacità e di impegno. Questa è una facoltà da vivere in full immersion. Con i professori ci sono rapporti molto cordiali, sono sempre disponibili, rispondono a tutte le email, ti aiutano a superare le difficoltà nello studio». La facoltà, con l'attuale rettore, professor Marcello Foschini, nell'anno accademico appena concluso aveva 2.217 iscritti, tre quarti al corso triennale e un quarto al corso di laurea magistrale. Le matricole iscritte per il prossimo anno sono 505. La tassa di iscrizione al primo anno è di 6.300 euro, ma esistono borse di studio e prestiti d'onore per i meno abbienti. Previste anche esenzioni dal pagamento delle tasse per gli studenti atleti che giocano a basket, in serie B, con la squadra della Luiss. Da quest'anno sarà disponibile una residenza destinata agli studenti fuori sede, in un immobile in zona residenziale (nel quartiere di Montesacro, immerso nel verde) in grado di ospitare 90 studenti in 44 camere. I posti saranno assegnati sulla base di criteri di merito e di reddito. Luca Montezemolo, presidente della Luiss, riassume in tre punti le ragioni per le quali la scelta di questa università offre opportunità molto elevate agli studenti: il rapporto privilegiato con il mondo del lavoro; la forte connotazione internazionale; la fede assoluta nella PAGINA 22 competitività. II numero chiuso Le selezioni dei candidati avvengono in primavera, sulla base delle votazioni ottenute nel terzultimo e penultimo anno di scuola media superiore e di una prova scritta e orale) garantisce la competitività anche fra gli studenti. «Si crea un positivo spirito di emulazione», sottolinea Rainer Masera, professore di Economia degli intermediari finanziari e di Economia dei mercati monetari e finanziari. «Il rischio che si corre nel triennio è che la proliferazione dei docenti non offra adeguate garanzie di qualità nell'insegnamento. La Luiss ha risolto il problema ricorrendo a un numero molto ridotto di professori ordinari affiancato da un numero elevato di professori a contratto, che devono uniformarsi allo standard di qualità per vedersi confermare il contratto». E sono, per lo più, proprio i professori a contratto a garantire un rapporto strettissimo con il mondo della finanza, con la pubblica amministrazione e con le aziende che hanno radici a Roma. Gian Maria Gros-Pietro, ordinario di Economia dell'impresa e direttore del dipartimento di Economia, mette a fuoco un altro aspetto: la mentalità formativa. «ll mondo dell'impresa aggrega le persone in forma di coalizione, creando uno spirito di corpo, perché il destino di ciascuno è legato alle sorti dell'azienda. Questo spirito viene trasferito agli studenti. L'insegnamento non è polveroso, su vecchi testi da biblioteca. E funziona perfettamente l'integrazione fra i professori di radice accademica e i docenti professionisti. L'insegnante di matematica (o di diritto) è un accademico che bada a formare la mente degli allievi; ma il professore di arbitrato internazionale spiega concretamente come si fa un arbitrato, mettendo a disposizione degli studenti la propria esperienza». Considerazioni analoghe vengono proposte anche da Matteo Giuliano Caroli, ordinario di Economia e gestione delle imprese internazionali: «I metodi didattici sono tarati sulle modalità operative delle imprese. L'articolazione dei corsi di laurea è studiata sulla capacità di leggere le problematiche gestionali, con un riguardo molto particolare alle esi- RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI genze dei mercati internazionali. Lo stesso criterio adottato per chi aspiri a entrare nelle istituzioni e nel sistema pubblico. In questo campo specifico il nostro obiettivo ultimo è creare una scuola simile all'Ena francese». Una facoltà piccola (dal punto di vista numerico) garantisce anche il rapporto stretto fra studenti e professori. Non ci sono mai lezioni con centinaia di ragazzi distratti. Fin dal triennio, ogni studente è seguito da un tutor, che lo controlla da vicino, lo aiuta, discute con lui le attitudini, prospettandogli gli sbocchi professionali. Nel biennio magistrale questo rapporto diventa ancora più stretto e fecondo. Il preside della facoltà, Franco Fontana, ordinario di Economia e gestione delle imprese e docente di Organizzazione aziendale nella stessa facoltà, sottolinea con orgoglio il lavoro specifico che viene compiuto. «Abbiamo quattro corsi di laurea magistrale: Economia e finanza, Economia e direzione d'impresa, Business administration, General Management (in lingua inglese). La pro- PAGINA 23 gettazione didattica è minuziosa, sia nei contenuti, sia nelle IT sia nelle metodologie didattiche. I contenuti vengono verificati con un panel di alti dirigenti di imprese e istituzioni pubbliche. Nel biennio cambiano le condizioni di apprendimento, perché gli studenti sono più maturi e si avvicinano al mercato del lavoro. I tutor (uno ogni cinque studenti) sono coinvolti in attività didattiche. Le tesiprogetto vengono preparate dagli studenti all'interno di un'impresa, e i ragazzi sono assistiti nella scelta del tema e dell'azienda nella quale è più opportuno svolgerla. I tutor aiutano gli studenti a n c h e nelle lauree all'estero, e le grandi aziende fanno lo stesso. Per fare un esempio, Finmeccanica garantisce un'assistenza totale nelle aziende estere del gruppo. I ragazzi che compiono questa scelta possono attingere, in caso di necessità, a un fondo economico messo a disposizione dalla facoltà». Foschini non nasconde la propria soddisfazione. «lo», dice, «sono il primo tutor degli studenti». Basta passeggiare fra gli edifici della Luiss per respirare il clima da campus americano. «Qui dentro», racconta Pier Luigi Celli, «si stampano sei giornali studenteschi. E stiamo allestendo anche una stazione radio». E il caffè che si beve sotto gli ombrelloni, in giardino, è davvero ottimo. Settembre 2006 Capital Career day 2006, primo giorno Professionisti ed esperti di tutti i settori si mobilitano per la Quarta edizione del Career day, che prende il via mercoledì prossimo, 3 maggio. All’apertura dei lavori, prevista per le 10 in Aula magna, dopo l’introduzione di Cristiana Mammana, delegata del rettore ai rapporti con le imprese, prenderanno parte il rettore Roberto Sani, il presidente della Fondazione Carima Franco Gazzani e la direttrice dell’Accademia di Belle Arti Anna Verducci. Seguirà, quindi, la tavola rotonda su “Il futuro del lavoro fra innovazione e tradizione” alla quale siederanno l’autrice e conduttrice Rai Federica Gentile, il sociologo Franco Amicucci, il docente della Luiss Gabriele Gabrielli, l’amministratore delegato della Bloom Paolo Peresani, Piero Corsini di Rai educational, Lino Fornari, amministratore delegato della Fornari, Iginio Staffi, amministratore delegato della Rainbow, e Goffredo Binni, dell’Associazione laureati ateneo maceratese. Nel primo pomeriggio alle 14 si svolgeranno i laboratori di orientamento (partecipazione su prenotazione via email a [email protected]) tenuti da consulenti e psicologi nell’Antica Biblioteca, nell’Aula dell’ex Rettorato e nell’Aula Magna (piaggia dell’Università, 2). Saranno trattate le tipologie di contratto per entrare nel mondo del lavoro, come trasformare gli incontri con le aziende in un’opportunità e come costruire il proprio curriculum vitae e lettera di accompagnamento. Alle 16 sarà, invece, la volta dei laboratori, che si svolgeranno in contemporanea, dedicati a specifiche professioni con gli esperti dei vari settori. Incontri, dunque, nell’Antica biblioteca di Giurisprudenza con Orazio Coppe, presidente dell’Ordine degli assistenti sociali delle Marche; nell’aula 3 di Scienze della comunicazione (via Don Minzoni, 2) con il regista Henning Brockhaus per la comunicazione culturale e con Alessandro Marsili del gruppo di ricerca Friendly Media Communication per l’editoria multimediale; nell’Aula abside di Scienze politiche (piazza Strambi, 1) con Luciano Salciccia, dirigente generale del Comune di Macerata, e con Roberta Fileni della Fileni Simar. Si ricorda, infine, la sera alle 21.15 al teatro Lauro Rossi lo spettacolo di cabaret con Giovanni Cacioppo, ben noto al pubblico di Zelig. I biglietti sono già in vendita al costo di 5 euro intero e 3 euro per studenti29/04/2006 e neo laureati www.unimc.it RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI PAGINA 24 Triplice «addio» in casa Wind Assegnati a Castellaneta i premi Valentino” Wind è ancora un grande cantiere. L'operatore di telefonia prosegue la riorganizzazione del management: il finanziere egiziano Naguib Sawiris ha affidato la guida della sua squadra a Paolo Dal Pino, nuovo a.d. al posto di Tommaso Pompei, e sta pian piano riempiendo o modificando anche altri tasselli. Le ultime novità sono in partenza. Ha lasciato l'azienda Gabriele Gabrielli, direttore del personale, che sceglie l'attività accademica: insegnerà Organizzazione e gestione delle risorse umane alla Luiss di Roma. Il ruolo di Gabrielli è coperto ad interim da Paolo Dal Pino. CASTELLANETA (Taranto) Nella cornice del Teatro dei Colori del parco “Felisia”, all’interno del complesso Nuova Yardinia di Castellaneta Marina, sono stati assegnati i riconoscimenti del decennale “Premio Internazionale Economia, Finanza, Comunicazione e Ricerca “Rodolfo Valentino”, che ha ricevuto l’alto Patronato del Presidente della Repubblica. Addio a Wind anche da Laura Rovizzi, che aveva perso la poltrona di capo degli Affari regolamentari a favore di Romano Righetti, arrivato da Telecom Italia. Righetti, in più, ha assunto la guida degli Affari istituzionali. Ha lasciato Wind anche Alberto De Paoli, che è era stato assistente personale di Tommaso Pompei e suo uomo di massima fiducia. Tra gli altri incarichi, De Paoli aveva seguito per conto di Wind la partecipazione alle gare Consip per i servizi di telefonia alla Pubblica amministrazione. Nessuna certezza, per ora, sulle nuove destinazioni di Rovizzi e De Paoli, anche se da tempo negli ambienti del settore si vocifera che Pompei, ora amministratore delegato del gruppo Tiscali, voglia ricostituire intorno a sé almeno una piccola squadra di ex collaboratori. Dai servizi all'hardware. Lg Electronics Italia, filiale del gruppo coreano, ha nominato Dong Woong Shin nuovo presidente della società. Tra i suoi compiti quello di consolidare anche nel nostro Paese la doppia immagine che si è ormai costruita Lg, produttore di elettronica di consumo ma anche protagonista emergente nel settore dei telefonini Umts. Selesta spa, società che opera nel mercato delle infrastrutture di information technology per le grandi aziende, ha annunciato la nomina di Alfonso Nobilio a Direttore generale dell'area Security Systems. Nobilio assume anche la guida della divisione Grandi clienti. 14/02/2006 Il Sole 24 Ore L’iniziativa è organizzata dal Lions Club di Castellaneta, presieduta da Alessandro Scalera, insieme con quelli di Martina Valle d’Itria, Ginosa, Massafra Mottola, Taranto Poseidon, Taranto Aragonese e Taranto S. Cataldo, ed usufruisce del Patrocinio del Comune ospite, della Provincia di Taranto e della Regione Puglia. La giuria, per quest’edizione, ha inteso assegnare il Premio, quale testimonianza per aver contribuito a riaffermare l’immagine positiva e grande dell’Italia nel nome primo divo del cinema nativo di Castellaneta, a: Antonino Cavagna (Vice Presidente Gruppo Uno a Erre), Salvatore Pistola (Amministratore delegato Land Rover Italia), Luciano Vinella (Presidente Sita) per l’Economia, Giancarlo Durante (Direttore Centrale ABI), Luigi Mastropasqua (Amministratore Delegato Inter Europa Bank R. T. Budapest), Gabriele Gabrielli (Direttore Wind) per la sezione Finanza; Andrea Amato (Presidente Istituto per il Medite r r an e o ), M a r ia C u f fa r o (Redazione Esteri TG3 Rai), Franco Di Mare (Giornalista Rai), Nemer Hammad (Ambasciatore della Palestina in Italia), Giancarlo Spadoni (Direttore TG3 Rai Puglia) per la Comunicazione; il pugliese Ulrico Jacobellis, prima- rio della divisione di urologia del policlinico di Bari, per l’innovativa sezione Ricerca. Una serata di gala in cui i Lions ionici sono riusciti a dar corpo ai propri ideali, legando tra loro le diverse notevoli competenze specifiche dei premiati nello spirito di vicinanza e costruttivo legame tra i diversi popoli all’impronta del confronto. Spirito lionistico ed aspirazioni di far ritrovare a tanti popoli quegli essenziali equilibri per una migliore e più pacifica convivenza e rispetto reciproco sono state ritrovate nelle dichiarazioni dell’ambasciatore Nemer Hammad e della giornalista Rai Maria Cuffaro, testimoni diretti di drammatici avvenimenti. La sezione Comunicazione proprio con questi due premiati, tra gli altri, ha portato nel teatro, in tutta la sua drammaticità, la questione mediorientale per rilanciare un messaggio di solidarietà internazionale. Proprio nelle parole della Cuffaro, testimone diretta quale per le cronache di guerra in Iraq, si è sintetizzato il dramma bellico del Medio Oriente. «L’atmosfera di questo teatro – ha ricordato l’inviata del TG3 – è lontana ani luce da quella che si vive nelle zone di guerra. La gente è rintanata nelle case perché ha paura di uscire da casa perché non sa se potrà farvi ritorno. L’impegno d e l l ’ in fo rm az i on e , po i , è anch’esso a rischio ed ho saputo da poco che un cameraman iracheno, che mi ha sempre accompagnato riprendere le scene per i reportage è morto per l’esplosione 27/10/2004 di una autobomba». La Gazzetta del Mezzogiorno RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI LAVORARE IN WIND Un sito per i curriculum d'assunzioni, Il vento dell' assunzione soffia forte sul web 60% neolaureati e 40% La nuova frontiera della selezione del neodiplomati, e così ha lanciato Windpersonale passa per Internet. Soprattutto work, il primo vero programma di le grandi aziende, infatti, usano ogni «e.recruiting», reperibile sul sito mezzo per catturare quelli che, con es- www.wind.it. «Affidiamo parti imporpressione ormai abusata, vengono chia- tanti del processo di selezione al web mati giovani talenti. E' ovvio che il web dice il responsabile risorse umane Gadiventi terreno di caccia, perché briele Gabrielli -. Inoltre trattiamo i promette tempi rapidi per la cattura delle giovani come clienti, cui riservare la prede ambite. Così si moltiplicano i siti massima cura: l' obiettivo è di non delle imprese che offrono la possibilità perdere nessun candidato». Chi vuol di depositare i curriculum. Nella maggior trasmettere il curriculum trova, come parte dei casi, però, l' azienda non fa un altrove, domande standard che lo idenbuon servizio a se stessa, perché chi tificano, ma poi non deve seguire uno lascia i propri dati perde ogni traccia del schema rigido: la richiesta di dati è disuo curriculum. La sensazione di non namica, diversificata per laureati e diploessere presi in considerazione causa la mati, aperta all' inserimento di quante delusione e poi la fuga verso altre esperienze professionali si voglia, agile aziende percepite come più attente. nella compilazione (l' errore in un Sembra invece andare contro corrente campo non fa ripetere tutto). «Insomma Wind, la società di telefonia mobile (si - continua Gabrielli - è un sistema penfonderà con Infostrada) con 4.800 sato per chi è abituato a Internet e non dipendenti e 250 nuovi assunti nei primi sopporta tempi morti. Per noi, poi, è già quattro mesi dell' anno. Da qui a dicem- un primo screening sulla familiarità con bre conta di mantenere lo stesso trend le nuove tecnologie». Chiunque abbia PAGINA 25 inviato il curriculum riceve poi una email di conferma e, in ogni momento, può accedere ai suoi dati e verificare se la posizione per cui si candidato è ancora aperta. Dopo un periodo più o meno lungo un' altra e-mail, che chiede di aggiornare il curriculum, viene inviata ai candidati ancora in attesa. E' sempre la posta elettronica che invita i giovani più interessanti a misurarsi con i test on line. Un' ampia batteria di domande, con un tempo disponibile predeterminato, per verificare attitudini generali e conoscenze tecniche. Senza spazi, però, per imbrogliare: si vede una domanda per volta e non si può scaricare l' intero questionario. Insomma, è un vero e proprio processo di selezione che sostituisce l' aula e la carta. I migliori, infine, vengono convocati per sostenere i colloqui vecchia maniera. «Nulla - conclude Gabrielli - può infatti sostituire il guardare negli occhi la persona prima di decidere se assumerla» 06/07/2001 Corriere della Sera I plus del 2000? Etica e capacità di comunicare Le technalities cedono il passo alle qualità umane della persona. Ecco come cambia il profilo dei nuovi manager nelle aziende. Potrebbe essere la riscossa delle lauree umanistiche, dopo il boom di quelle tecnicoscientifiche o economiche. L'ingegnere e il laureato in economia, anche con master, sono out se le competenze non sono accompagnate da una forte capacità relazionale. Cosa chiedono infatti oggi le aziende? I profili dei nuovi top manager, tracciati da Stanton Chase international, con una ricerca mondiale tra oltre 900 direttori delle risorse umane, vedono in testa vision strategica, flessibilità, intelligenza o, ancora, la capacità di gestire i cambiamenti e le ansie connesse a un mondo in rapida evoluzione. Duttile, versatile, creativo, gran comunicatore sono gli aggettivi più utilizzati. Caratteristiche più della personalità che della tecnica, attitudini più che esperienze. Non necessariamente legate all'età. Se i settori che hanno maggiormente risentito di questi cambiamenti sono quelli della e-economy, delle telecomunicazioni e dei servizi, il trend riguarda ormai anche le imprese più tradizionali. Perché è innanzitutto lo scenario a essere profondamente mutato e ad avere imposto nuove regole. «In passato», spiega Paolo Pellini, presidente della sede italiana di Stanton Chase international, «il mondo nel quale operavano le organizzazioni era caratterizzato del1a stabilità, da piccoli eventi di cambiamento e da proiezioni future che si basavano sul passato: si analizzava quello che si era fatto, per stabilire cosa fare in futuro. Oggi, inve- ce, nel contesto generale dominano l'instabilità e il cambiamento veloce: l'unica certezza è l'imprevedibilità e il futuro va scoperto di volta in volta immaginato». E il manager non può che RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI essere innovativo e creativo. Ma anche il contesto economico dell'organizzazione è mutato. «In passato», continua Pellini, «vigeva la cultura dell'implementazione: si ricercava soprattutto efficienza». Per esempio, fabbricando spazzolini, si andava a cercare dove produrli a prezzo inferiore. Oggi e in futuro varrà di più inventare nuove strategie: lasciare un mercato per andare in altri, segmentare, specializzarsi, riconvertirsi nel core business o differenziarsi allargando la gamma, orientandosi in continuazione al cliente che si è identificato. Nell'esempio degli spazzolini, secondo Pelli, potrà essere determinante produrre anche filo interdentale e dotarsi di un dentifricio, per non essere vinti da concorrenti che hanno à il dentifricio: «Mentre prima gli obiettivi di business erano la vendita di beni e servizi, adesso prioritario diventa soddisfare il cliente (il vero core), o, meglio, soddisfare i bisogni attraverso servizi e prodotti». Com'era il manager del passato? Aveva una conoscenza basata sulla sua esperienza di lavoro, era rispettoso dell'autorità gerarchica, obbediente agli standard, alle norme, ai regolamenti. Era implementatore di cambiamenti originati dall'alto o dall'esterno dell'organizzazio- ne - società di consulenza, azionisti, sede centrale della company - e il suo sviluppo di carriera derivava dall'esecuzione corretta degli ordini e dalla fedeltà aziendale. Cosa gli si chiede oggi? La ricerca di Stanton Chase international fotografa uno spaccato mondiale. E in Italia? «Dalla seconda metà degli anni Novanta», racconta Renato Casarotto, direttore risorse umane di Infostrada, «le aziende hanno avuto un cambio di marcia che le ha portate a rivedere la propria filosofia e perciò i profili dei manager. Oggi, per esempio, bisogna andare a scovare il cliente, mentre prima era il contrario. E questo vale per tutti i settori, dall'industria ai servizi. Nel ciclo precedente questo valeva nel largo consumo o nei servizi basati sull' alta tecnologia; mentre oggi non solo le dc, anche una banca o un'assicurazione cercano di andare in modo sempre più capillare all'utente. La caratteristica che si attaglia al manager di questo periodo è perciò l'esigenza di rapidità nelle decisioni e nella loro implementazione, perché i cicli di cambiamento - e lo si è visto in Borsa con la new economy - sono molto brevi». In particolare, nelle telecomunicazioni, dopo la liberalizzazione, ci si trova a decidere in presenza di una carenza di informazioni. «Non c'è benchmark», come sottolinea Casarotto, e si deve decidere su qualcosa che avviene per la prima volta. Occorrono perciò coraggio e spensieratezza. Secondo Gabriele Gabrielli, direttore risorse umane di Wind, questo è il tempo della complessità: di persone, di economy, di finanza, di attori che sono coinvolti nei processi produttivi e del business. «E al manager si chiede di agire su finali diffe- PAGINA 26 renziati con variabili differenziate e di gestire tale complessità. Perciò occorrono: velocità, grande capacità di decisione, grande capacità di ascolto perché essendoci diversi attori bisogna saper interpretare le attese degli interlocutori. Paradossalmente, serve anche la semplicità: quella di raccontare in quattro battute, in due slogan, ogni giorno, ogni settimana, la visione dell’impresa in cui si sta: dove andare, l’obiettivo da raggiungere”. Caratteristiche più umanistiche che tecniche. “è finito il tempo degli ingegneri” dice Casarotto, “perché oggi la tecnologia non è più un valore forte come in passato. Davanti si hanno degli utenti da soddisfare e la tecnologia è <la bestia che sta in cantina> che il cliente non vede e che dà per scontata”. Addirittura, nell’economia basata sui servizi, i manager migliori sono quelli che partono con lauree umanistiche, perché sono affrancati dal feticismo tecnologico, capiscono il cliente ed hanno un forte orientamento alla comunicazione”. Il loro mestiere è dare migliori servizi. “Non è che valgano più le competenze classiche, come conoscere il business o la funzione” specifica Gabrielli, “ma a chi opera nel finance si chiede di dare una visione finanziaria dell’impresa”. Oggi un manager è molto esposto, il suo ruolo principale è dialogare e trasformare le idee complesse in concetti semplici”. È così anche secondo Mario Sassi, direttore risorse umane di Standa Commerciale, che in precedenza ha lavorato in Galbani. “Anche un ingegnere o un responsabile vendite deve avere capacità di integrazione orizzontale con i colleghi e una visione d’insieme dell’organizzazione, non solo quella del proprio lavoro: le riorganizzazioni degli anni scorsi hanno appiattito le strutture, quindi a tutti viene richiesto di interagire RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI con le parti superiori e quelle chio sul lungo periodo”. Si mensione relazionale; e alloinferiori. Una volta contava- chiede perciò duttilità cognira occorre essere molto flesno molto competenze e tiva, ampiezza di mente per sibili». specializzazioni, oggi si deve guardare simultaneamente al Disposizione ai cambiamenti riuscire a t e n e r e breve e allungo periodo, alla continui, velocità e coraggio l’organizzazione al passo con dimensione interna e a quelnelle decisioni, creatività e il contesto, perciò si richiede la esterna in funzione dello così via. Sembrerebbero anche molta capacità di rea- stato di crescita dell' azienda: caratteristiche attribuibili in zione alle instabilità. È pre- “Saper guardare alla sopravmaggior misura ai giovani. miata la capacità vivenza immediata, «È vero. Ma soltanto nella di risolvere i pro- A FRONTE DEL- ma dare visione e misura in cui uno se le porta blemi”. I l LA COMPLESSI- costruire il clima», nel dna. Certo non possono manager generi- TÀ DELLO SCE- conclude Graziotti. essere insegnate in un co è passato di NARIO, OCCOR- Secondo Aldo Mamaster, tuttavia sono rafformoda, ma non RE PERÒ SAPER gnone, attualmente zate dall'esperienza maturata basta il solo spe- COMUNICARE country human in diverse organizzazioni», LA VISION IN resource Italy di cialista. dice Gabrielli. “L’esperienza di DUE BATTUTE. Walt Disney, che In Edisontel avevano anche questi ultimi dieci ha lavorato anche un altro slogan, "Start up dei anni mi fa dire”, Afferma in Colgate Palmolive, Star e capelli grigi" perché, come Luciano Graziotti, direttore prima ancora in Pirelli per dice Graziotti: «negli anni 90 del personale di Edisontel, 12 anni, «tutta l'attenzione si c'è stata un'ubriacatura: l'età con trascorsi pure in Exxon è spostata in questi ultimi era segno di rimbambimento Chemicals, Pioneer, Dow anni sulle soft skills, cioè sulle - i più anziani erano accusati Chemical, General Electric e dimensioni relazionali che di non conoscere le tecnoloAlbacom, «che il ruolo completano un profilo progie, e di non avere spirito dell'executive si è modificato fessionale. Mentre inizialimprenditoriale - e si partiva progressivamente da quello mente l'accento era sulle hard dall'assunto che a giovinezza di esperto di un ambito, di skills, cioè su competenze e fossero associate le caratteriuna professionalità, di una conoscenze specifiche o stiche vincenti. Oggi invece technality a quello america- professionali, si è passati a ci mettono in guardia da no di coach. Se fino a dieci una situazione dove le conoqueste generalizzazioni: ci anni fa il manager era uno scenze sono una precondisono giovani capaci di gestidei pochi che poteva inter- zione. re le aziende e anziani che venire nelle cose e utilizzava E senza conoscenze non si sanno fare lo start up e giolo stili come supporto infor- viene nemmeno presi in vani e anziani che non sanno mativo, la velocità dei cam- considerazione. Ciò che fa la fare né l'uno né l'altro ». Per biamenti, la globalizzazione, differenza oggi sono le capadirla con le parole di Magnol'internet time insomma, cità relazionali che si accomne «l'età sta diventando un impongono che questo ruo- pagnano al sapere tecnico, falso problema. Chi ha carilo sia esercitato dalle perso- legate alle possibili declinasma è un evergreen: Celentane dello staff, da chi cioè è zioni della leadership, dall'inno buca il video anche a 63 più vicino al problema. E novazione alla capacità di anni compiuti e lo faceva l'executive deve dare la essere creativi, alla comunipure 30 anni fa. vision, dare obiettivi, dare cazione, alla capacità di aL'età giusta è un concetto risorse, cioè svolgere un'atti- scolto». Il manager deve vecchio; anche nel mondo vità di maggiore supporto a sapere entrare in sintonia dell'entertainment non c'è quello che fanno altri. Allo con l'ambiente di problema per un stesso tempo, ed è a nostra riferimento: con la L’ACCENTO SI 60enne che sapesperienza, si chiede di avere "grisaglia" di McKin- SPOSTA DALLE pia ben relazioil duplice sguardo - è stato sey o con l'eccentri- HARD SKILLS narsi con gli anche lo slogan della nostra cità del creativo, (COMPETENZE altri. Caso mai si fase iniziale - di essere stra- «perché viviamo in SPECIFICHE) stanno scolorenbici per natura: con un oc- una società trasver- ALLE SOFT do certi stereotichio guardare al breve perio- sale, dove gli stereo SKILLS pi, per esempio do, all' operatività immedia- tipi sono divergenti e (CAPACITÀ RE- il link tra anziata, mantenendo l'altro oc- si moltiplica la di- LAZIONALI). PAGINA 27 nità e progressione economica: oggi se uno è bravo, lo pagano tanto anche se è giovane». Stiamo uscendo insomma da una situazione schematica. E lo conferma Sassi, che precisa: «Prima l'esperienza era fondamentale. Adesso si SI PUNTA sta lavoranSEMPRE PIÙ do sulle SULLA CAPAcaratteristiCITÀ DI LAche indi- VORARE IN TEAM PIUT- TOSTO SU CHE SOLISTI CAPACI pendentemente dalle età, e tutte le aziende puntano a crearsi dei vivai». Manager con queste doppie caratteristiche non sono facili da scovare. «Si trovano ancora bravi ingegneri», riassume per tutti Luciano Graziotti, «ma spesso sono soltanto bravi tecnici. Così come si trovano ancora bravi manager. Quando si tratta di approfondire un argomento, si scopre però che questi ultimi non conoscono il linguaggio, la grammatica dell'area». E poi è anche difficile farli restare nell'organizzazione. «A parte le stock option», afferma Mario Sassi, «ci si sta accorgendo che non si può trattenere qualcuno soltanto con i soldi; tutti sono in grado di darli. Occorrono piuttosto più iniziative sulla comunicazione, sullo stare insieme, aspetti che in passato erano molto istituzionali. Perché uno dovrebbe rimanere 15 ore in azienda? La differenza la fanno il clima, i progetti che si mettono in campo, il superamento delle gerarchie, il poter portare il proprio contributo al risultato finale, e così via». Più che la fedeltà, impensabile in un' epoca nella quale si sta RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI accorciando la vita di un manager all'interno della stessa azienda, contano la lealtà e la capacità etica, che valgono per qualunque ambiente: verso l'azienda, verso il, cliente o verso le persone con le quali si lavora. Valori di riferimento, all'interno dei quali muoversi in autonomia. Quella che una volta si chiamava fedeltà all'azienda oggi non basta più. Come! sostiene Aldo Magnone, «è importante invece possedere un buon meccanismo di identificazione con l'organizzazione aziendale, perché, se non si è in grado di interpretare il momento che si sta vivendo, l'anzianità non basta per sopravvivere». Dalla ricerca internazionale risulta che il processo iniziato, e che si sta svolgendo, beni difficilmente si stabilizzerà: il nuovo equilibrio sarà sempre evolutivo; il punto di arrivo cioè avrà un altro equilibrio e così via. E perciò, come dice Paolo Pellini, «nessuno potrà più focalizzarsi su un solo aspetto. Anzi, le persone devono essere in itinere e sapere cambiare per poter mutare la propria impresa». Un'impresa non più basata su routine e standardizzazione su burocrazia e centralizzazione, ma creativa innovativa, snella e leggera. Non più con 5-6 stratigrafie PAGINA 28 nell' ambito dell' organizzazione bensì con 1-2-3 livelli, flessibili e capaci di lavorare in termini di complementarità e di outsourcing, portando fuori o gestendo alleanze per non fare più tutto da soli. Passando da un stile di gestione basato su una efficiente amministrazione a una gestione del business in termini di leadership e imprenditorialità. Rispetto a come siamo o alla percezione di come ci siamo modificati, quali sono le aspettative di cambiamento che dovremmo apportare per essere sensibili all'environment? Cosa manca, insomma, agli italiani nel confronto con il livello internazionale? Qual è la distanza tra come il manager è oggi e come dovrebbe essere per collocarsi ancora più vicino ai bisogni del mercato? «Dall'indagine», rispondePellini, «emerge un leggero gap sul piano umanistico, segno quindi che c'è stata evoluzione, e un gap forte sull'orientamento al team. In Italia e in Europa si riscontra ancora una notevole individualità, a differenza per esempio di quanto avviene nelle culture anglosassoni. Per quanto riguarda infine la centralizzazione del Giugno 2001 potere la gestione Espansione dell'in- Crescere grazie alle risorse umane Oggi per creare valore e aumentare la competitività le aziende devono essere in grado di individuare, misurare e sviluppare i veri motori delle performance individuali. Affermare che l'impresa deve produrre valore significa scoprire l'acqua calda. Il punto chiave, oggi, è comprendere quali sono, all'interno e all'esterno dell'azienda, le persone che possono maggiormente contribuire a far raggiungere questo traguardo. Sono queste le tematiche che cercherà di approfondire il workshop di Ambrosetti, che si terrà a Roma il 28 e il 29 settembre, dedicato alle possibilità di creare valore d'impresa attraverso le risorse umane. All'incontro interverranno esperti e manager che sono riusciti a incrementare lo sviluppo di grandi imprese attraverso una migliore gestione del personale. «In effetti anche nelle aziende italiane si stanno affinando e sviluppando criteri di misura delle performance individuali e collettive», osserva Gio- vanni Mocchi, senior manager di Ambrosetti. «Non basta, però, misurare e motivare le risorse umane. Questo è solo il punto di partenza. Bisogna evitare che le persone corrano facendo solo confusione. E per farlo occorre che, accanto a un sistema orientato al valore, le aziende riescano a individuare e sviluppare i veri motori delle performance, e cioè le capacità e le competenze». In sostanza, la direzione risorse umane di un'azienda, per poter contribuire alla creazione di valore, dovrà sempre di più dimostrare di essere in grado di individuare, misurare e sviluppare i veri driver della performance individuale. È questa la logica con la quale è stato progettato il workshop che, partendo dall'analisi di quello che Ambrosetti considera il più efficace sistema di misura del valore (Eva, o l'Eco- nomie value added), si propone di presentare, attraverso le testimonianze di esperti e di casi aziendali, lo stato dell'arte sui sistemi di governo delle motivazioni della performance individuale. «Per ottenere un risultato le persone devono essere motivate a raggiungerlo e devono essere competenti», afferma Paolo Vitali, partner di Ambrosetti, «è anche necessario, però, che l'ambiente in cui operano sia coerente con gli obiettivi posti alla squadra e agli individui. Insomma, se ci si rende conto che è opportuno dare spazio all'iniziativa dei singoli è necessario che poi questa venga lasciata libera di esprimersi. Se, invece, sono più utili le persone competenti, va fatto in modo che queste crescano».Vitali vanta un'esperienza unica nel settore delle risorse umane. AlI'Eni è stato, infatti, responsabile dello sviluppo e della gestione manageriale, cioè delle fasce più alte della dirigenza. Tra i suoi compiti vi è stato quello di assistere l'amministratore delegato dell'epoca, Franco Bernabè, nella scelta dei top manager da porre a capo delle società del gruppo (Agip, Enichem, Snam e così via) mettendosi al riparo da contestazioni esponendo al consiglio di amministrazione criteri decisionali oggettivi. «Abbiamo dovuto sostituire prima 80 persone ai livelli più alti», racconta Vitali, «andando a studiare quali dovevano essere le competenze adatte a ricoprire le posizioni vacanti. Successivamente lo stesso lavoro d'analisi è stato fatto per 200 dirigenti da collocare in posizioni chiave, come i direttori di stabilimento, di divisione e altro ancora. Si trattava senz'altro di responsabilità inferiori per assegnare le RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI quali era, però, necessario mettere a fuoco un analogo processo d'analisi per la scelta degli individui più adatti in termini di capacità e di competenze». Queste ultime sono delle abilità interiori che le persone hanno e che esternano attraverso comportamenti organizzativi. Tanto che qualcuno può essere giudicato adatto a sviluppare le competenze di altri colleghi. Un'altra dote è la capacità di pianificare e che si può chiaramente osservare negli individui alle prese con i compiti loro assegnati. Vi sono, inoltre, persone in grado di misurare gli obiettivi del gruppo e di suddividere le responsabilità, o di prevedere con un certo anticipo rischi e opportunità di una situazione. Tra le tante competenze è possibile citare anche l'orientamento all'efficienza e alla flessibilità nell'adattarsi alle situazioni impreviste, assorbendole senza traumi. Vi sono, poi, l'attenzione ai dettagli e la capacità di autocontrollo. A queste si aggiungono le attitudini relazionali come l’empatia, la capacità di persuadere o di stabilire rapporti interpersonali positivi. Si pensi, inoltre, a chi non sa come risolvere un problema ma ha sempre un amico o l’esperto adatto cui chiedere un consiglio, o un’idea. Pure la fiducia in se stessi figuri tra le competenze relazionali insieme alla comunicazione verbale. Le capacità (o capabilities) indicano, invece, delle caratteristiche professionali che gli individui maturano nel tempo. “Questo significa”, spiega Vitali, “saper governare, a livello di top management, le sinergie tra business e divisioni, concentrandosi sui mercati più redditivi, individuando le modalità che pos- sono permettere il conseguimento di vantaggi competitivi sui concorrenti. La leadership individuale deve, infine, portare all’esercizio di un controllo strategico volto ad assicurare che lo sviluppo dei settori di business sia coerente con il piano stabilito”. Una volta compresa la necessità di scegliere oculatamente le persone giuste a cui affidare mansioni di responsabilità si tratta poi di motivarle al raggiungimento degli obiettivi, misurandone le performance. È questo l’obiettivo di Eva che Filippo Peschiera, amministratore delegato di Ambrosetti-Stern Stewart Italia, ha introdotto in quattro aziende quotate: due società industriali, una banca e una catena di distribuzione. “Il concetto sembra banale”, spiega Peschiera, “ma in pratica non è così. In Italia va diffusa l’incentivazione attraverso la parte variabile delle retribuzioni anche se si tratta di intervenire su comportamenti molto radicati che ostacolano il cambiamento. Molti manager sono, infatti, abituati ad essere incentivati sulla parte ficca ma così non si sviluppa la mentalità imprenditoriale che presuppone una certa attitudine al rischio e che è alla base della ricerca di risultati sempre migliori”. Ma, pur con lentezza, la situazione sta cambiando anche in Italia e sono sempre di più i manager che accettano di legare gli incentivi al valore prodotto per l’azienda. A dire il vero se le cose si modificano ciò è dovuto anche i mutamenti intervenuti nelle stesse strategie d’impresa. “La premiazione in base al risultato va, però, introdotta a tutti i livelli aziendali», aggiunge Peschiera, «per permettere all'azienda di pagare meglio PAGINA 29 un gran numero dei suoi dipendenti senza correre eccessivi rischi». Più stock option, allora? «Non è detto», risponde Peschiera, «anzi noi non le vediamo di buon occhio perché, normalmente, sono rivolte a un'élite dell'azienda e perchè si sono rivelate un boomerang, almeno per l'Italia, a causa dell'andamento della Borsa negli ultimi mesi». All’evento organizzato da Ambrosetti saranno presenti Martin Goetzeler, responsabile dell’applicazione operativa di Eva in Siemens Italia, che interverrà sui risvolti che questa ha comportato nella vita d’impresa, e Pierluigi Crudele, presidente di Finmatica, diventata famosa per un’eccezionale performance borsistica. “La net economy non è solo Internet”, precisa Crudele, “ma anche il risultato del cambiamento che ha travolto l’organizzazione dei processi produttivi. Un’evoluzione cominciata negli anni Settanta con primi passi dell’outsourcing, diventato negli anni Ottanta la parola d'ordine a cui si sono affiancati altri modelli innovativi di organizzazione dell'impresa come il franchising. Tutti hanno, però, una cosa in comune. Una riorganizzazione che mette al centro dell'impresa le core competencies lasciando fuori tutto quanto è strumentale, dall'amministrazione alla logistica, alla pubblicità. Perfino le proprietà immobili vengono cedute per essere noleggiate in un processo che mira a portare all'esterno i valori materiali per privilegiare quelli intangibili. Allora, l'unico vero e fondamentale asset che rimane al centro di un'azienda è costituito dal capitale intellettuale e dalle competenze incorporate nelle risorse umane».Gli uomini e le donne di un'impresa ne sono il motore, gli interpreti e il veicolo sul mercato, insiste Crudele. «E le imprese eccellenti sono fatte di uomini e donne eccellenti. Ritengo che nel prossimo futuro prospereranno le aziende che saranno capaci di impostare relazioni stabili e durature con il mercato, con i propri clienti attraverso rapporti anche quotidiani in cui i gestori di queste relazioni saranno considerati sempre più risorse pregiate. Si tratterà di persone che, a prescindere dalle gerarchie, interpreteranno il loro ruolo come portatori delle competenze, dell'immagine e delle opportunità offerte da un'intera azienda».Porterà un contributo al workshop, in veste di relatore, pure Gabriele Gabrielli, direttore delle risorse umane di Wind, il terzo gestore di telefonia cellulare in Italia, che alla scelta degli individui attribuisce una funzione fondamentale. «Per competere con successo e realizzare performance superiori alla media è assolutamente necessario valorizzare le competenze individuali e collettive che le persone esprimono attraverso i propri comportamenti nel lavoro quotidiano. La valorizzazione non può essere però episodica. Al contrario, deve diventare una sorta di ossessione del management ed essere, quindi, parte integrante della cultura aziendale. Noi abbiamo scelto di posizionarci molto chiaramente. Uno dei nostri valori fondamentali consiste proprio nel dar valore alle persone». Luglio-Agosto 2000 Espansione RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI I nuovi mestieri d' oro Tutti li vogliono. Sono i nuovi "colletti bianchi virtuali", professionisti dell' universo ipertecnologico. Caccia aperta per esperti di e commerce, web designer, internet surfer, content manager, information broker, web market research, specialisti datawarehouse e linguaggio html, change e security manager. Nuove professioni di oggi, bacino di nuovi occupati di domani. Con un pericolo: lo skill shortage, ovvero la carenza di professionalita' . Secondo l' Assinform, l' associazione che raccoglie le maggiori imprese di informatica e comunicazione, nel 2000 c' e' spazio per oltre 40 mila posti di lavoro tra internauti, specialisti di database, networking e sistemi applicativi come Erp (electronic re engineering process), Crm (customer relationship management) e Sap. A giudizio di Idc (International data corporation) nel 2002 in Italia le posizioni da coprire tra informatica e tlc saranno 150 mila. Ma Federcomin, organismo di Confindustria, ha calcolato che nel 2001 internet chiedera' e non trovera' 60 mila posti di lavoro. E questo mentre Databank consulting stima in 130 mila i siti web aziendali attivi oggi, che entro 5 anni potrebbero salire a un milione. Dunque, un' esplosione di opportunita' di incerta copertura. Anche se con il tempo cambiera' la domanda: meno tecnici e piu' persone con il compito di gestire i siti, come addetti al marketing, personale amministrativo o addetti alle pubbliche relazioni. Ci sono poi i lavori non virtuali. Qualche profilo piu' tradizionale, seppur rinnovato nei contenuti, creera' occupazione. Buone prospettive esistono per esempio per chi conosce le tec- PAGINA 30 niche piu' avanzate del marketing, fa ricerca in campo biotecnologico, gestisce le strategie ambientali (eco manager) o pianifica campagne pubblicitarie (media planner). Il futuro appare roseo tanto per professioni di alto rango, come i preziosi banchieri d' affari (vedere schede), quanto per attivita' da tempo un po' in declino, come l' agricoltura: l' arrivo dell' e commerce sta generando richiesta di agricoltori high tech. Come e' accaduto negli Stati Uniti, un tappeto rosso inizia poi a stendersi davanti a chi conosce il settore biotech, obiettivo di multinazionali e start up. Tutto cio' senza dimenticare figure professionali gia' conosciute. A guardare i giornali straboccano inserzioni di product, project e account manager, analisti e promotori finanziari, key account. E poi, a un livello inferiore, infornate nel mondo delle telecomunicazioni, come e' il caso degli operatori di call center. Qualcosa di piu' di Wind vola sulle ali della conoscenza Intervista a Gabriele Gabrielli, Direttore Risorse umane Wind In un'azienda di telecomunicazioni come Wind che significato assume il tema del Knowledge Management? Significa trovare le modalità, prima di tutto culturali, poi naturalmente anche le metodologie e gli strumenti per gestire lo straordinario patrimonio di conoscenza ed esperienza di un gruppo di persone multiculturale per valorizzarne le differenze. Oggi siamo quasi 3500 persone e razienda ha lanciato la sua offerta commerciale appena otto mesi fa: abbiamo effettuato, un'analisi delle risorse umane di cui disponiamo e il dato più rilevante emerso è che proveniamo da oltre 300 aziende diverse. Quindi 300 modi di lavorare, 300 visioni, 300 esperienze diverse sotto il profilo personale e umano, dei rapporti con il cliente, con l'organizzazione e con l'ambiente. Tutto questo significa un patrimonio enorme. Il tema è appunto come valorizzarlo appie- un fisiologico rinnovamento professionale. Complice la new economy, il mondo del lavoro sta vivendo e soprattutto vivra' forti cambiamenti. Che le telecomunicazioni rappresentino un trampolino per nuovi lavori e' del resto testimoniato da tutti gli operatori. Si prenda Wind, terzo gestore nella telefonia cellulare. Gabriele Gabrielli, direttore risorse umane, precisa: "Ci servono circa 70 web master e web producer, da aggiungere ai 50 che stanno sviluppando il nostro portale. Ma il grosso della domanda riguarda i call center". Sia pure di piu' basso profilo e senza particolare pedegree, gli operatori dei call center rappresentano pur sempre una nuova forza lavoro. Wind gia' ne ha 1.350 (su 3.500 addetti), che assumono con contratti formazione lavoro e chiamano "consulenti telefonici". 19/05/00 Il Mondo RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI no, costruendo una cultura e un'identità aziendale coerente con il nostro posizionamento e con gli obiettivi di business. "Lavorare con le differenze", non a caso, è l'obiettivo di un seminario che abbiamo lanciato in questi giorni e che abbiamo chiamato Patchwork, un titolo simbolico, che richiama l'arte di mettere insieme cose eterogenee, colori diversi, per dare vita a un mosaico armonioso, a un'immagine unica, originale e irripetibile. Valorizzarle differenze - anche quelle emotive credo sia l'aspetto più rilevante, sfidante e concreto del nostro processo di, Knowledge Management. Quali sono le "conoscenze aziendali critiche" per un'organizzazione come Wind? L'aspetto principale su cui lavorare è declinare proprio in competenze le comportamenti concreti la convergenza fra più tecnologie e più servizi che offriamo, la trasparenza e l'innovazione che rappresentano la nostra promessa al mercato. Quali sono le leve e i meccanismi gestionali che possono facilitare lo sviluppo di queste competenze e comportamenti all'interno dell'organizzazione? Gli strumenti sono in parte tradizionali, in parte meno. Questa azienda ha la sua visione, i suoi valori e la sua missione: in altre parole, ha le proprie "regole del gioco". La concretizzazione di questo - se preferisci la sua comunicazione – avviene attraverso i comportamenti del suo management e delle persone che offrono le loro energie intellettuali per lo sviluppo dell'impresa. La prima leva gestionale è quindi il management e soprattutto la sua modalità del "fare". Comunicare la visione, attraverso l'azione, soprattutto in aziende che operano in settori 'velocissimi come quello dell'Information & Communication Technology, è fondamentale. Assume il significato di una "decodifica" continua di quello che l'azienda vuole perseguire. L'essenza dell'attività del management è poi quella di assumersi la responsabilità di gestione della persona che ti è affidata; il mandato di un capo è di tirar fuori dalle persone il meglio: "sempre". Tutte le persone possono crescere, ognuna ha un suo potenziale inespresso. È per questo che abbiamo avviato un percorso di interiorizzazione e condivisione di questa filosofia all'interno dell'Executive Team di Wind; un percorso molto articolato che è iniziato con un team building di tre giorni; un rime-out finalizzato a "ri-conoscerci" e a "socializzare" gli obiettivi della squadra e quelli di ciascuno. L'abbiamo chiamato, scegliendo un apposito logo, Bike; un acronimo che sta peri Building Integration, Knowledge Excellence. Dai lavori del team building è emerso, tra le altre cose, che ogni gruppo dirigente proietta un"'ombra" su tutta l'azienda. Abbiamo lavorato molto nel cercare di capire qual è l'ombra che proiettiamo: se è un'ombra coerente con quello che vogliamo e con quello che l'azienda intende perseguire. In altre parole stiamo sviluppando una grossa capacità di ascol- PAGINA 31 to all'interno e all'esterno; e l'ascolto ritengo sia uno strumento chiave del Knowledge Management. E anche su questo, credo, che le organizzazioni di successo del Terzo Millennio fonderanno il loro vantaggio competitivo. Quale è il ruolo della direzione Risorse umane in Si è affermato più volte questo processo? che l'individuo all'interno Essenzialmente un ruolo di delle organizzazioni esprifacilitazione del processo di me una limitata: parte cambiamento; un ruolo di delle competenze che posaccompagnamento del siede: come valorizzare management nell'assunzione questo potenziale inedelle proprie responsabilità spresso delle organizzaverso le persone. Un ruolo zioni? di continua innovazione e regolazione dei processi di apprendimento individuali e collettivi. A questa filosofia corrisponde, sotto il profilo della strumentazione, un assetto di people management fatto di poche regole e principi che siano in grado di inventare continuamente occasioni di apprendimento per far crescere le persone e sviluppare approcci innovativa tutti i livelli. La promessa che Wind fa alle sue risorse è molto semplice: "crescerai continuamente perché avrai tante occasioni di apprendimento, che faranno crescere - nel tempo - il tuo valore come professionista e come persona, sia nel mercato interno sia nel mercato esterno". E all'interno di questa "promessa" che va anche collocato il significato che attribuiamo a un termine forse obsoleto, ma ancora utilizzato, come la "carriera". Il modello della carriera verticale non è più valido, anche se, mi rendo conto, resta ancora molto radicato nelle organizzazioni nella percezione delle persone. E invece importante sviluppare un approccio diverso, basato sulla creazione e valorizzazione di continue occasioni di apprendimento. Lavoriamo in un settore che opera con tecnologie e offre servizi tipici della società postindustriale: lavoriamo nel mondo della comunicazione e dell'intrattenimento, nel mondo che sviluppa una nuova socialità attorno alla valorizzazione della personalità e soggettività, di ciascuno. La soggettività è il drive fondamentale dei bisogni e della motivazione delle persone, così come la ricerca continua di nuove forme anche temporanee - di aggregazione sociale. Entrambe hanno ricadute importanti sulle competenze da sviluppare e sul potenziale da ricercare e far esprimere. Faccio un esempio: come fa una persona che non è attenta all'ascolto e che non ha attitudini in tal senso a lavorare bene e a crescere in un'azienda come Wind, in un settore come questo, all'interno di un posizionamento di business come il nostro? Quale ruolo può avere la Formazione in questo complesso processo? Stiamo progettando contenuti, strumenti e occasioni formative che siano coerenti con l'obiettivo della nostra RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI presenza nella società e nei mercati in cui operiamo. Sviluppare creatività, attenzione ai bisogni delle persone, il "gusto" di raggiungere insieme obiettivi sfidanti, benessere personale e professionale: sono questi alcuni dei filoni di nostro interesse per accrescere quelle competenze che riteniamo appropriate per gestire il business affascinante in cui operiamo. Quindi stai dicendo che la filosofia e la strategia complessiva è quella dell'integrated diversity, fondamentalmente? Assolutamente. Con un modello organizzativo matriciale che aiuti e faciliti proprio i processi di apprendimento. Ti propongo questo tema. Come, creare valore d'impresa in contesti competiQual è il modello organiz- tivi: quali competenze? zativo in questa azienda? Il nostro modello di compeCome può facilitare lo tenze è tutto giocato sui sviluppo di questa, visione comportamenti. Non posso e strategia complessiva? darti una risposta compiuta E un modello organizzativo nuovo rispetto ad altre esperienze. Ci crediamo molto; è un modello organizzativo complesso, con molte matrici, coerenti però con una mentalità e la volontà di mettere a confronto più culture, più responsabilità e più competenze. Possono le condizioni organizzative stesse (task force, team di progetto eccetera) facilitare tale processo? Come strutture cioè che veicolano nel quotidiano, operare, nel problem solving, quotidiano, quelle conoscenze ''tacite'', nascoste e custodite nell'individuo? Un modello come il nostro crediamo faciliti l'integrazione e la prospettiva multiculturale, nonché la patrimonializzazione delle competenze individuali e dell'organizzazione. Un'azienda come Wind non può fondarsi né su approcci gerarchici né su quelli funzionali, ma deve lavorare su un approccio più di gestione strategica e culturale. La nostra struttura vuol rispondere a questi obiettivi e a un mercato complesso. perché il modello di competenze è in itinere e sarà definito con l'apporto di tutto il Management - entro il mese; possiamo però provare a fare dei ragionamenti. Che cosa significa innanzitutto creare valore? Associato all'espressione "creare valore" credo ci siano tre dimensioni: il valore per l'azionista, il valore per il mercato (cliente e società), il valore per le persone che operano in azienda. Non credo ad approcci monodimensionali, anche se gli assetti, finanziari e di mercato sembrano talvolta privilegiare questo. Ritengo infatti che l'approccio monodimensionale sia una filosofia che contribuisce poco a costruire percorsi di sviluppo "sostenibili". In altre parole credo profondamente che nella prospettiva del management - creare valore significhi produrre risposte "sostenibili" per tutti gli stakeholders. Ma so anche di rappresentare, almeno credo una corrente di pensiero minoritaria. Se questo significa creare valore quali sono allora le competenze da sviluppare? PAGINA 32 Ritengo che uno dei comportamenti più concreti, come, ho già detto, sia l'ascolto e anche la tolleranza. L'ascolto in questo caso si traduce nel cercare di comprendere a fondo le diverse prospettive dei molteplici portatori di interesse. Compito del management quello di riuscire a integrare, operativamente, in soluzioni “sostenibili”. In questo senso sono prioritarie le conoscenze del mercato e delle tecnologie, ma anche la capacità di valutare gli impatti culturali e sociali delle scelte di business. Questo è un aspetto fondamentale. Il tema del valore, in una prospettiva di integrazione delle tre dimensioni che ho proposto, richiede una responsabilità manageriale molto profonda e qualitativamente diversa da quella che si insegna, talora, nelle business School. Non credo in altre parole né ad approcci meramente finanziari, né ad approcci di "buonismo" tipo le relazioni umane degli anni Sessanta. E quindi? management giovani sono sempre più ansiosi di crescere velocemente. Come è possibile gestire questo? Che cosa ne pensi? Questa è un'azienda giovanissima. L'età media è 29 anni. Quando un'azienda è giovane si respira freschezza, entusiasmo e, talora, anche ingenuità. Quando incontro colleghi più giovani che mi chiedono "come" l'azienda pensa di farli crescere e "quando" normalmente rispondo con una domanda: "Ti senti oggi in grado di prendere il posto del tuo capo o del tuo champion professionale? 'Quanto' ti manca e 'cosa' ti manca?' Costruisci l'obiettivo e insieme costruiamo il percorso per raggiungerlo". In altre parole invito le persone a fare self-assessment e a misurarsi. Chi deve aiutarle nel fare questo? Il management. Solo il management può aiutare la persona ad assumere un ruolo di protagonista del suo processo di crescita e a sollecitarla in direzione di un continuo bilancio "di dove sei arrivato". E il management ha anche la responsabilità di essere chiaro in questo percorso e dire talvolta: “guarda che devi ancora crescere su questo aspetto e su quest'altro” Perché tutte le persone possono crescere; è questo il principio, non c'è nessuna persona che non possa crescere e re-inventarsi. Ognuna ha il suo potenziale inespresso ed è questa la nuova arena della competizione per la gestione delle risorse umane. Quindi occorre declinare in comportamenti concreti questa visione affinché lo stile di management, l'organizzazione e la cultura dell'impresa siano coerenti. Faccio un altro esempio: Wind chiede molto alle persone; l'asticella della performance attesa e richiesta viene continuamente spostata verso l'alto. In questo contesto però vogliamo altresì che l' errore sia tollerato. Perché crediamo sia una leva formidabile di innovazione e di imprenditorialità. Come si muove, un'azien- da come Wind per valorizRitorno un attimo sulla zare queste competenze filosofia di people inespresse che alla fine RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI PAGINA 33 diventano patrimonio per che stiamo pensando do- stanza che considero molto Tmi porto con me l'espel'intera organizzazione? vrebbe aiutare a imboccare utili e ricchi di funzioni d'u- rienza propria di uno startAiutandole persone, come ho già detto, in un processo continuo di consapevolezza. Appena disponibile il modello di competenze, avvieremo un sistema di assessment e di sviluppo: il nostro assessment & development center. Un sistema che è finalizzato anche con l'apporto del management che giocherà ruoli di mentoring per i nostri key people – a offrire aiuto e consulenza alle persone, per scoprirne il valore inespresso, quello cioè che ancora può dare cimentandosi magari in sfide nuove. Non vogliamo mettere in piedi sistemi finalizzati a dire "tu sei buono, tu non sei buono"; il principio è un altro. Il gioco con le persone non è mai a somma zero. rapidamente questa direzione. Rendere consapevoli le persone dei propri successi e delle tappe ancora da vincere; sollecitare riflessioni del tipo: “Ah, pensavo che avessi finito ma non ho finito per niente, perché...”. di conoscenza per l'organizzazione e per la persona. Ma è anche uno strumento di cultura organizzativa. Faccio un esempio: una cosa che non vogliamo assolutamente sponsorizzare nell'organizzazione è la presunzione; perché crediamo che la presunzione sia, per così dire, la più forte barriera all'entrata per competenze chiave come l'ascolto e l'innovazione continua. L'autoreferenzialità è una dimensione psicologica e organizzativa davvero pericolosa. Allora bisogna disporre di strumenti che continuamente riescano a "mettere in crisi" la persone. Perché è questo che fa scattare l'apprendimento: è questo che fa scattare la logica della sfida. Il sistema di assessment & development Credo che nell'attuale fase di sviluppo organizzativo di Wind siano più utili altre "strumentazioni". Privilegerei una formazione più “socializzante”. Pensa che nell'ultimo anno questa azienda ha assunto oltre 2000 persone, a un ritmo impressionante. Soltanto due numeri per darti un'idea più precisa: abbiamo assunto 8 persone al giorno, ogni giorno dell'anno compresi i festivi e le ferie; quindi ogni 3 ore è entrata una nuova persona in questa azienda! Credo che la formazione possa aiutare a costruire un processo di conoscenza reciproca, un "ri -conoscersi" attorno agli obiettivi e all’identità che vogliamo costruire. In altre esperienze ho lavorato con impegno per sviluppare sistemi di formazione a di- so ancora inesplorate. Ma nel contesto organizzativo in cui opero, in questo momento, credo sia più proficuo costruire momenti di socialità non tanto virtuali quanto fisici e reali. Quindi sviluppare una Gli esami non finiscono reale conoscenza tra le mai! persone: con chi si ha a È proprio così. E attraverso che fare quotidianamente? questa modalità si consolida una concezione dell'organizzazione mobile, dinamica, sempre in movimento. Un'organizzazione che può offrire sempre nuove opportunità. È proprio così. È questa modalità che crea il gruppo, la squadra, il sentirsi insieme. L'obiettivo quindi è facilitare - come dicevo - un processo di "ri-conoscimento" che è sempre un processo di innovazione organizzativa e culE la formazione a distan- turale. za, secondo te, che ruolo ha? Può essere utile come strumento per gestire questo processo di sviluppo, È anche questo uno stru- di integrazione delle dimento di conoscenza? versità, di apprendimenCertamente, uno strumento to? Senti, che ti porti in Wind delle tue precedenti esperienze prima in Sip, poi in Telecom, in Tmi e in Gruppo Coin? Domanda complessa! Lo so bene. Fai questo esercizio di semplificazione. Dell'esperienza Sip e Telecom porto sostanzialmente queste cose: innanzitutto una competenza a gestire strutture e processi complessi; la partecipazione a un progetto organizzativo e culturale di costruzione di una società – una risorsa del Paese - aperta al mercato e alla concorrenza: l'esperienza professionale che ho maturato nelle tante e diverse responsabilità che ho ricoperto, sia gestionali sia di progettazione e di sviluppo; e, infine, uno straordinario bagaglio di conoscenza delle differenti tipologie di persone/aspettative/ sentimenti che si possono incontrare nella vita e nei contesti organizzativi. Di up, la complessità di un'organizzazione multietnica, l'entusiasmo, la professionalità e la volontà di un gruppo di giovani e validi professionisti, aggregati attorno a un unico obiettivo. Di Gruppo Coin porto con me invece la conoscenza di un modello di business, quello della Grande Distribuzione Organizzata, affascinante e diverso; mi porto il concetto di efficienza e di velocità; e l'esperienza di un'acquisizione. La Standa, che mi ha dato 1'opportunità di lavorare attorno a un progetto complesso di integrazione organizzativa, professionale e culturale. Se posso ancora semplificare, dall'insieme delle esperienze che ho maturato, porto con me in Wind l'attenzione e il rispetto per la diversità e, soprattutto, flessibilità e un buon bagaglio, almeno credo, di griglie di lettura delle persone e delle organizzazioni. Un'ultima domanda: direttore del Personale Wind o direttore delle Risorse umane? Tra le due certamente preferisco Risorse umane. Ma nessuna coglie l'essenza della professione e della sua responsabilità. A chi lavora con me spesso dico che stiamo sempre più assomigliando a una sorta di "architetti sociali" o, se preferisci,a "designer" del cambiamento e dell'apprendimento. O tali ambiremmo divenire, per creare valore nelle organizzazioni. Gennaio 2000 Hamlet RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI PAGINA 34 Pronto? Cerchiamo 700 talenti Il terzo polo della telefonia è passato in due anni da zero a 3.300 dipendenti. E l'obiettivo dei prossimi mesi è di arrivare a quota 4.000. Puntando sui giovani. Appassionati e dotati di cultura imprenditoriale Chi compone il numero 158 ha una possibilità su 700 che dall' altra parte risponda Claudia, una ragazza di Torvaianica, 24 anni, capelli nerissimi, un diploma di perito aziendale in tasca, voce calda e linguaggio professionale, grande disponibilità a risolvere i problemi delle 30 mila aziende che hanno firmato un contratto telefonico con Wind. Cuffia, computer e tecnici on line. L'importante e' dare una risposta concreta. Vietato dire bugie. Meglio informarsi e poi richiamare. Così si crea un rapporto diretto. E la stessa Claudia può diventare l' interfaccia stabile di un cliente corporate. Claudia e' uno dei 700 giovani che si danno il turno al settimo piano del palazzo Wind di Roma, al parco dei Medici, centro direzionale con molti marchi delle tlc come Bosch, Ericsson e Italtel, in un salone che rappresenta il punto di contatto tra il terzo gestore della telefonia italiana post monopolio e un milione di aziende e famiglie. Un call center diretto, non in service come qualche concorrente. Meta' e' composto da studenti part time, meta' da personale stabile a tempo pieno. Come Claudia, che fa questo lavoro "perche' le piace prendersi carico dei problemi degli altri". In questa frase e' un po' la filosofia aziendale di Wind, che "deve dare cio' che promette con la pubblicita' : tariffe chiare, senza costi aggiuntivi, massima trasparenza", puntando sulle persone. Quelle del call center sono considerate strategiche, hanno accesso a tutte le informazioni, vivono in un ambiente disegnato su misura (in un palazzo anonimo e disadorno e gia' piccolo), vengono formate continuamente dopo 5 settimane di training iniziale, il piu' lungo del genere, sotto la guida, da pochi giorni, di Marco Pavoncello. Il call center e' anche un vivaio per chi vuole fare carriera secondo la visione degli uomini di Tommaso Pompei, amministratore delegato, l' uomo che ha posto le basi di Wind e che l' ha portata da zero a 3.300 dipendenti in un paio di anni, e da zero a un milione di clienti in sei mesi, il piu' grande start up europeo degli ultimi anni, raggiungendo il traguardo con un paio di mesi di anticipo rispetto al budget fissato con Franco Tato' , amministratore delegato di Enel, il principale azionista. Un' occasione per festeggiare. I 700 del call center di Roma sono stati invitati al Gilda due di Fregene a fine settembre per una serata animata dal complesso Dual band. Festa anche tra i colleghi di Napoli. A Sesto San Giovanni, invece, fuori Milano, il call center e' ancora in fase di allesti- mento. Si stanno reclutando i giovani adatti, 250 entro fine anno, apertura a meta' novembre. Tutti i 3.300 dipendenti hanno ricevuto i complimenti in diretta sul pc e avranno (dovrebbe essere una sorpresa) un orologio Sector con i colori aziendali. Dopo l' esordio Il traguardo degli abbonamenti e' anche un' occasione per passare alla fase due, come ha deciso Pompei nei giorni scorsi varando un nuovo organigramma (grafico in alto a destra). La novita' e' la divisione della societa' in quattro aree territoriali. "Dobbiamo avvicinarci ai clienti e alla rete", spiega Pompei, che incontra in cene informali non solo la prima linea ma anche i dirigenti di secondo e terzo livello. "Siamo particolarmente attenti ai talenti per i quali abbiamo previsto percorsi rapidi di carriera", aggiunge lo stesso Pompei parlando dei 50 dirigenti (10 donne, un piccolo primato, come Giovanna Bianchini al marketing operativo, Laura Rovizzi che si occupa dei rapporti con l' authority per le telecomunicazioni, o Elvira Sasso, 32 anni, ingegnere da Procida, impegnata a estendere la rete a fibre ottiche) e dei 150 talenti in pista. La diversita' di origine e di culture (box a pag. 78) e' considerata "una ricchezza" che fa di Wind un crogiuolo in ebollizione. Il fuoco e' regolato da Gabriele Gabrielli, 41 anni, marchigiano, una cavalla ceca, Aurora, in un maneggio sull' Ardeatina, un paio di pacchetti di Chesterfield al giorno (anche se negli uffici e' vietato fumare), sociologo e docente universitario, una carriera nelle risorse umane in Telecom e un anno alla Coin prima di passare, in luglio, a Wind come responsabile del personale. Per alimentare il fuoco Pompei e Gabrielli organizzano continue occasioni di incontro. Tra uomini Wind, e con personalita' esterne come Pierluigi Celli, direttore generale alla Rai, guru delle risorse umane. I dirigenti devono valutare i collaboratori ma soprattutto se stessi. Pompei cerca "manager imprenditori, capaci di lavorare in gruppo e con grandi competenze specifiche". L' esercizio piu' importante e' ascoltare i collaboratori e misurare attraverso la loro percezione dell' azienda il grado di raggiungimento degli obiettivi della squadra. Insomma, una specie di monitoraggio e di feed back continuo. E' bravo chi riesce a far fare carriera agli junior. Tutto molto in fretta. Entro pochi mesi devono arrivare altri 700 dipendenti. Le societa' esterne fanno la prima scremature della candidature, Gabrielli pesca dalla short list. Giovani (eta' media 29 RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI PAGINA 35 anni, il 60% dei dipendenti ne ha meno di 25, 30% laureati, moltissimi laureandi), disposti ad accettare una scommessa e a dare molto, pronti a essere corteggiati dai concorrenti e dai newcomer (i gestori della telefonia fissa in Italia sono ormai una sessantina) e a dire di no. Finora nessuno, in pratica, ha mollato. Un po' perche' l' atmosfera e' di una squadra a inizio campionato. L' allenatore chiede vivacita' emotiva, passione. Un po' anche perche' e' una azienda dove si puo' andare in ufficio in maglietta, in cravatta o in jeans, truccatissime o all' acqua e sapone. Il cambiamento delle direzioni territoriali e' strutturale. Non e' solo questione di crescita. Ogni area e' una azienda con un bilancio profit and loss. Ne e' consapevole Giuseppe Bonacina, uno dei giovani emergenti, capelli lunghi ben phonati, piglio da animatore, 36 anni, liceo a Lecco, un anno a Stanford, nel curriculum Andersen consulting, Consiel e Omnitel, passione per i viaggi, moglie e figlia piccola da trasferire a Napoli dove sara' il suo quartiere generale. Bonacina, come Giovanni Lupotto, Stefano Zangrilli (promozioni interne) e Paolo Venturini (assunto dall' esterno), hanno anche un compito urgente. Migliorare la logistica. La crescita impetuosa ha messo a dura prova il sistema degli ordini e delle consegne di telefonini e di altri prodotti, in parte affidato in service, in parte gestito direttamente, con ritardi e vuoti di magazzino. In questo settore tutto invecchia in fretta. In poche settimane si bruciano le campagne pubblicitarie. Durano pochissimo le offerte dei nuovi prodotti e le tariffe. Diventano obsoleti i telefonini nelle tasche degli italiani. I nuovi modelli (adesso ha un Ericsson veramente mignon) arrivano con due mesi di anticipo sul tavolo RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI di Angelo Cianciosi, 38 anni, a Filadelfia fino all' Universita' , figlio di italoamericani, cresciuto alla Tim di Mario Sentinelli, considerato il miglior pricing manager del mercato, capace di calibrare i tempi e i numeri della corsa agli sconti, alla tariffa piu' appetibile per il cliente e remunerativa per il gestore. Cianciosi ha soprattutto il compito di rendere concreta per le famiglie una parola chiave, convergenza, che mette insieme telefonino e telefono, per ora con la stessa tariffa, presto con lo stesso numero. Un' altra parola chiave per Pompei e' proprio l' innovazione. Nelle proposte commerciali e nelle tecnologie. La rete di fibra ottica stesa sui tralicci dell' Enel da un robot o seminata sotto terra per arrivare ai clienti corporate e alle centrali Telecom delle citta' puo' trasportare di tutto. Oggi voce, dati e messaggi, tra qual- PAGINA 36 che giorno (sara' la novita' d' autunno) Internet, e tra un po' le immagini in movimento con i video telefonini. Cosi' chi chiamera' il 158 con l' ultimo gadget tecnologico potra' finalmente associare un volto alla voce di Claudia. 08/10/99 Il Mondo Nelle Formazione - I manager della grande distribuzione sono di fronte a una nuova sfida: riuscire ad aumentare la fedeltà dei consumatori. I dirigenti imparano a vendere emozioni Clienti alla ricerca di spazi in cui aggirarsi non solo per fare acquisti ma anche per soddisfare bisogni sempre più immateriali. Punti vendita che dispongono di aree in cui potere, all'occorrenza, creare eventi e organizzare intrattenimento. É dall'incontro di una clientela alla ricerca di nuove esperienze che i gruppi della grande distribuzione non alimentare stanno mutuando un modo inedito di fare retail, che carica di forti significati il momento dell'acquisto. Proprio come chiedono i consumatori. Tecniche di marketing e di vendita che non possono svilupparsi, però, senza la diffusione di una nuova mentalità della distribuzione. É su questi elementi che si stanno misurando i responsabili delle risorse umane nella Gdo, impegnati nel generare, soprattutto fra i manager, l'attenzione alle rinnovate esigenze del cliente finale. Una scoperta non recente per Ikea, dove l'identificazione del punto vendita come luogo di ritrovo e di soddisfazione del desiderio di "viver meglio" è da sempre al centro della formazione del personale. «Per il 1999 i nostri manager si misureranno con la creazione di nuove soluzioni per la famiglia - precisa Patrizia De Marchi, responsabile delle risorse umane di Ikea Italia -, mentre in prospettiva ci concentreremo su come fornire un servizio più puntuale e capillare, offrendo anche ambienti maggiormente in linea con il gusto del Paese in cui ci troviamo». Cambiamenti che non si ottengono solo intervenendo sulle capacità comportamentali di chi lavora a contatto con la clientela, ma definendo a monte strategie di acquisto, distribuzione, allestimento, marketing. E, se necessario anche mandando i manager a lezione da psicologi, architetti, persino da un cuoco, come è successo. «Coglie solo un aspetto del problema chi pensa che la capacità di creare eventi di acquisto interessi soltanto chi opera sul punto vendita», concorda Gabriele Gabrielli, direttore centrale risorse umane del gruppo Coin (che opera anche con le insegne Bimbus, Oviesse e La Standa e impiega circa novemila persone). «Bisogna creare una nuova sensibilità - sottolinea - che permea ogni livello dell'organizzazione e che deve orientare l'impostazione mentale di tutti, dagli stilisti ai category manager, dai buyer agli assistenti alla vendita. Questo per il settore rappresenta una straordinaria opportunità di innova- zione». Evidentemente, allora, l'offerta tradizionale di merci e servizi, seppur di profilo qualitativo crescente, non basta più. «Infatti le nuove frontiere della formazione per un retailer sono nella capacità di mettere insieme la conoscenza delle merci e dei bisogni latenti dei clienti - sottolinea ancora Gabrielli -. Un nuovo mestiere si profila all'orizzonte: il "retainment" che combina le competenze classiche del retailer e quelle del mondo dell'intrattenimento, dove regnano stupore, estetica, comunicazione, esperienza, emozione ed evento». In quest'ottica nel gruppo Marzotto il salto è avvenuto in settembre, quando la formazione è stata elevata a livello corporate, per coordinare dal centro le politiche di customer satisfaction, tanto che ad aprile verrà inaugurata una vera «scuola di business RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI Marzotto». Ma soprattutto, per recepire i nuovi stimoli c h e v e n g o n o dal mercato e dalla clientela, Marzotto ha avviato recentemente un programma di ricerca sulle tecniche di distribuzione e di marketing per il proprio settore. «Non esiste un marketing specifico per il sistema moda - illustra Massimo Lolli, responsabile risorse umane del gruppo - noi lo stiamo creando. É un lavoro affascinante che si traduce in azioni di sviluppo professionale sia a beneficio dei manager Marzotto, sia dei negozi affiliati». E le nuove modalità di vendita hanno contagiato anche un'azienda media, come SalmoiraghiViganò. «Se in passato la competizione nell'ottica si giocava sul momento tecnico-professionale - spiega PAGINA 37 Riccardo Perdomi, amministratore delegato di Salmoiraghi-Viganò - ora si è spostata sul retail. Serve quindi personale che sappia anticipare i bisogni del cliente (da affiancare agli esperti di prodotto) che spesso preferiamo acquisire dall'esterno. Il passo ulteriore, che richiederà invece una formazione mirata, è il miglioramento degli spazi self-service. Il cliente chiede di poter avere sia un servizio personalizzato sia la possibilità di muoversi da solo nei negozi. Questo impone di introdurre elementi di category management e di marketing più elaborati». 18/01/99 Il Sole24Ore STRETTAMENTE PERSONALE Comit, Fiat, Ibm e Telecom. Queste le società eccellenti nella gestione delle risorse umane. Lo rivela una ricerca di Artemis. Hegel, il grande filosofo tedesco, l'aveva già capito più di 150 anni fa: «Nulla di importante è mai stato compiuto senza passione». Affermazione sacrosanta. Anche per le imprese degli anni 90: senza coinvolgimento e consenso oggi il successo è impossibile. Un dato di fatto che porta con sé una conseguenza: che si tratti di aumentare la produttività o di risparmiare sui costi, è necessario cambiare quasi tutto nel modo tradizionale di gestire l'or- ganizzazione aziendale: «A cominciare dal termine "organizzazione"», sostiene Piero Trupia, dirigente della Confindustria e docente di comunicazione alla Luiss. Trupia propone di parlare d'ora in poi di «personigramma», anziché di «Organigramma». «Quest'ultimo termine indica un insieme di organi e di strumenti. Evoca un vecchio modo di concepire l'azienda. L'impresa moderna deve essere centrata sull'uomo». Ma qual è, in concreto, il modo nuovo di gestire le risorse umane? Per capirlo, Agip ed Enel hanno sponsorizzato una ricerca, condotta da Artemis management consulting, sulle maggiori imprese italiane. Obiettivo: individuare le aziende più innovative. «Dallo studio emerge soprattutto un elemento», spiega Claudio Fratta, amministratore delegato di Artemis. “Una gestione innovativa del personale contribuisce in modo visibile e concreto a migliorare il rapporto tra impresa e cliente». La direzione di marcia si può sintetizzare in una formula: si passerà da una gestione di massa del personale a una gestione attenta agli individui, ai loro valori e alle loro aspirazioni. «Le aziende migliori», spiega Trupia, «hanno capito che la battaglia non si vince più sulle tecnologie, ormai alla portata di tutti, ma sull'organizzazione del personale». Ma quali aziende si trovano già a buon punto su questa strada? Secondo l'indagine le cinque imprese più innovative nella gestione del personale sono Fiat, Fiat Auto, Fiat Avio, Ibm e Sip (oggi Telecom). Capital ha ricostruito quattro casi esemplari, tre del gruppo di eccellenza del settore industriale e uno, Comit, nel mondo del credito. TELECOM L'ex Sip cambia nome e si riorganizza. Circa 100mila dipendenti, 14mila miliardi di fatturato nei primi sei mesi del ’94, il leader delle telecomunicazioni deve affrontare tassi crescenti di competitività. “In questo contesto la qualità del servizio diventa decisiva per il successo”, spiega Gabriele Gabrielli, responsabile personale e organizzazione della divisione servizi internazionali ed ex responsabile dello sviluppo dei RASSEGNA STAMPA, GABRIELE GABRIELLI quadri Sip. L’azienda è passata da una gestione standardizzata del personale a una gestione differenziata sui vari business aziendali e sulle diverse aree di personale: dirigenti, quadri, laureati. “Sino a poco tempo fa questi ultimi erano visti come un mondo omogeneo”, spiega Gabrielli. “Ora invece ne analizziamo diverse tipologie e motivazioni. Abbiamo iniziato a domandarci perchè lavorano con noi e cosa si aspettano dall’azienda”. Non solo. “Da poco abbiamo sensi- bilmente modificato i criteri di valutazione. Fino a ora tutto il sistema era mirato a stimare le capacità manageriali, cioè le attitudini a guidare, motivare e gestire. Proprio questo però era uno dei punti deboli dell’azienda. Così facendo si valutava solo una fascia di personale tagliando fuori un segmento che in Telecom è in crescita, quello dei professional. Il problema non riguarda solo l’ex-Sip ma è sempre più delicato in molte aziende: si tratta, per esempio, di gestire al meglio gli addetti alla ricerca e sviluppo, molto attenti ai contenuti del lavoro e alla crescita delle competenze, oppure i venditori tra i quali è indispensabile individuare le persone che presentano le PAGINA 38 migliori potenzialità. Proprio con questo obiettivo è stato avviato il progetto SVILUPPO organizzativo, che cerca di identificare il portafoglio delle competenze aziendali per poter poi personalizzare i diversi percorsi professionali e di carriera. “Il nostro nuovo modo di valutazione delle prestazioni è finalizzato all’orientamento al cliente», spiega ancora Gabrielli. Gli strumenti scelti sono stati più d'uno. «Abbiamo realizzato sondaggi per testare la customer satisfaction esterna», aggiunge Gabrielli. «Ma non solo. Abbiamo anche portando nelle schede di valutazione il cliente interno. Il progettista, per esempio, non si valuta più solamente sulle performance personali, ma anche sugli obiettivi di team, sul contributo che da al suo vicino uomo delle vendite». Telecom ha puntato anche sul versante della comunicazione interna. Una scelta compiuta con lo scopo di motivare, per esempio il personale di prima linea. «Non basta», chiarisce Gabrielli, «dire al dipendente: devi essere cortese. Bisogna fargli cogliere la qualità percepita dal cliente. Per questo inviamo a tutti gli uomini del front office un sondaggio dal titolo: Il nostro cliente ci vede così». Un altro dei supporti motivazionali che vengono usati viaggia sulla rete telematica interna. Si chiama Progetto sintesi, viene aggiornato ogni tre mesi e contiene informazioni su vendite, andamento del singolo servizio e avanzamento degli obiettivi aziendali. «Sapere dove va l'azienda», c o n c l u d e G a br i e l l i , «aumenta il senso di appartenenza». Novembre 1994 Capital Si precisa che le figure riportate in queste pagine (salvo quanto diversamente specificato) sono tratte dalle pubblicazioni di cui si riportano i riferimenti in testa o in calce a ciascuno degli articoli che compongono la presente rassegna stampa.