5 struttura delle proteine 2
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5 struttura delle proteine 2
La struttura terziaria di una proteina definisce la disposizione di tutti i suoi atomi nello spazio tridimensionale La struttura secondaria si riferisce a una speciale disposizione spaziale di residui amminoacidici che sono adiacenti nella struttura primaria. La struttura terziaria tiene conto delle interazioni a lungo raggio esistenti nella sequenza amminoacidica. Quando la proteina si avvolge su se stessa, gli amminoacidi localizzati in regioni lontane della sequenza amminoacidica (struttura primaria) e che fanno parte di strutture secondarie diverse possono interagire tra loro. In base alla struttura le proteine vengono classificate in due gruppi principali: Le proteine fibrose hanno catene polipeptidiche disposte in lunghi fasci o foglietti. Le proteine globulari hanno catene polipeptidiche ripiegate e assumono forme globulari o sferiche. Struttura secondaria e proprietà delle proteine fibrose Struttura Elica α, con ponti disolfuro trasversali Caratteristiche Esempi Strutture dure e α-cheratina dei capelli, penne e unghie insolubili di varia resistenza e flessibilità Conformazione β Filamenti soffici e flessibili Fibroina della seta Tripla elica del collageno Molto resistente alla tensione, senza elasticità Collageno α -cheratina Le singole catene polipeptidiche che costituiscono l’ α -cheratina hanno una struttura ad α -elica destrorsa . Due catene di α -cheratina con la stessa direzionalità (con gli amminoacidi amminoterminali alla stessa estremità) si avvolgono l’una sull’altra per formare un superavvolgimento anche detto avvolgimento avvolto (coiled coil). L’andamento elicoidale del superavvolgimento è sinistrorso, opposto a quello delle due eliche α. Le superfici dove le due eliche si toccano nella struttura avvolta presentano residui idrofobici. Avvolgimento avvolto dell’α-cheratina Le eliche dell’ α -cheratina hanno sequenze pseudo ripetitive a-b-c-d-e-fg in cui a e d sono preferenzialmente residui non polari. a) La vista dall’alto lungo l’asse dell’avvolgimento mostra l’allineamento dei residui non polari su un lato di ogni αelica (a e d). b) Le catene laterali, indicate come sfere in rosso nel modello spaziale si adattano perfettamente tra loro La resistenza delle proteine fibrose è aumentata da legami covalenti crociati tra le catene polipeptidiche presenti nella struttura a “corda” o tra catene adiacenti nel complesso sopramolecolare. Nelle α-cheratine i legami crociati che stabilizzano la struttura quaternaria sono ponti disolfuro. La permanente riduzione piega ossidazione Collageno Il collageno è la proteina più rappresentata nei mammiferi, ed è presente nel tessuto connettivo come i tendini, la cartilagine, la matrice organica delle ossa e la cornea dell’occhio. La molecola del collageno è costituita da 3 lunghe catene polipeptidiche (~1000 amminoacidi) La glicina rappresenta il 35% dei residui totali, l’alanina l’11% e la prolina e la idrossiprolina (HyPro, un amminoacido non standard) il 21 %. La sequenza amminoacidica del collageno è costituita da un’unità ripetute Gly-X-Pro oppure Gly -X-HyPro. Amminoacidi non standard 4-Idrossiprolina Collageno Ciascuna catena del collageno si organizza in una struttura elicoidale diversa dall’α-elica L’elica del collageno: a) sinistrorsa b) 3 residui per giro d’elica c) i legami idrogeno intracatena sono assenti d) l’elica è stabilizzata da repulsioni steriche tra gli anelli pirrolidonici dei residui di Prolina. e) tre eliche si avvolgono l’una sull’altra con andamento destrorso. La tripla elica del collageno Legami idrogeno che stabilizzano la tripla elica del collageno Le tre catene del collageno sono legate l’una all’altra da legami idrogeno tra i gruppi N-H peptidici dei residui di glicina e gli atomi di ossigeno carbonilici dei residui X (spesso prolina) nella catena. La struttura a tripla elica del collageno viene stabilizzata anche da legami idrogeno a cui partecipano i gruppi -OH dei residui di idrossiprolina ed alcune molecole di acqua che formano ponti tra gruppi diversi. La tripla elica è stabilizzata dalla idrossilazione della prolina Reazione di idrossilazione della prolina Vitamina C (Acido ascorbico) L’acido ascorbico (vitamina C), un efficace agente riducente, mantiene la prolilidrossilasi nella forma attiva conservando il suo atomo di Fe nello stato di ossidazione +2. Nello scorbuto (deficienza di Vitamina C) si hanno lesioni della pelle e fragilità dei vasi sanguigni. Il collageno sintetizzato in assenza di acido ascorbico è insufficientemente idrossilato e ha una minore stabilità. Il collageno assume una conformazione elicoidale sinistrorsa con circa 3 residui per giro. Tre catene polipeptidiche si arrotolano l’una sull’altra generando un moderato avvolgimento destrorso tipico della struttura a tripla elica della molecola del collageno. Il terzo residuo di ogni catena polipeptidica viene a trovarsi nel centro della tripla elica. Il centro della tripla elica è così compatto che solo le catene laterali di residui di glicina possono adattarsi in questa regione. Da questa caratteristica della molecola del collageno dipende la necessità che nella sequenza amminoacidica vi sia ogni 3 residui un residuo di glicina = Glicina I residui di Glicina occupano lo spazio tra le tre eliche La mutazione di una sola glicina nel collageno può essere letale. Esempio: Osteogenesi imperfetta: disordine del tessuto connettivo dovuto ad un collageno difettoso. La malattica, caratterizzata da deformazioni ossee dovute ad una formazione anomala dell’osso nel bambino, è dovuta ad una singola mutazione Gly  Cys. Le catene α nella molecola del collageno e le molecole di collageno in una fibra sono unite tra loro da legami crociati che coinvolgono residui di Lys, HyLys (idrossilisina) o di His. Questi legami creano residui non standard coma la deidroidrossilisinonorleucina Deidroidrossilisinonorleucina La fibroina della seta La fibroina della seta è costituita da strati di foglietti β antiparalleli ricchi di residui di Alanina e Glicina. Catene laterali di Alanina Catene laterali di Glicina Sequenza (Gly-Ser-Gly-Ala-Gly-Ala)n Le catene laterali piccole di questi residui consentono un avvicinamento perfetto degli strati di foglietti. Fotografia colorata al microscopio elettronico di fili di fibroina che escono dalla filiera di un ragno La struttura delle proteine globulari è compatta L’albumina, una proteina globulare, MW 64500, 585 aa Struttura della mioglobina di capodoglio (J. Kendrew, anni ‘50) Residui idrofobici Eme Residui idrofobici Eme Struttura della mioglobina di capodoglio (J. Kendrews) > 70% in α-elica La maggior parte dei gruppi R idrofobici sono all’interno della molecola, lontano dal contatto con l’acqua; Tutti i gruppi polari, eccetto 2 residui di istidina che hanno un ruolo determinante nel legame del ferro dell’eme e dell’ossigeno, sono localizzati sulla superficie; I residui di prolina sono localizzati in corrispondenza di un cambio di direzione; La molecola è così compatta che nel suo interno vi è posto per solo 4 molecole di acqua. In questo ambiente così compatto le interazioni deboli sono più salde. Le catene laterali non polari nel nucleo della proteina sono così vicine che le interazioni a breve raggio di van der Waals stabilizzano le interazioni idrofobiche; Il gruppo eme è confinato in una tasca della molecola. La mioglogina = residui idrofobici = residui carichi = altri residui Regole generali della struttura tridimensionale di proteine globulari I residui non polari (Val, Leu, Ile, Met e Phe) sono presenti molto spesso all’interno della proteina, lontano dal contatto con il solvente acquoso. Gli effetti idrofobici che questa distribuzione genera sono in gran parte responsabili della struttura tridimensionale della proteina nativa. I residui polari carichi (Arg, His, Lys, Asp e Glu) sono di solito localizzati sulla superficie delle proteine, in contatto con il solvente acquoso. I residui polari non carichi (Ser, Thr, Asn, Gln, Tyr) sono di solito presenti sulla superficie delle proteine, ma si riscontrano anche nel compartimento interno. Questi residui, quando sono immersi nelle proteine, sono sempre impegnati in legami idrogeno con altri gruppi nelle vicinanze. La formazione di legami idrogeno “neutralizza” la loro polarità. Questo vale anche per i gruppi appartenenti allo scheletro covalente del polipeptide. La struttura della porina: una proteina di membrana Con una certa frequenza nelle strutture delle proteine diverse strutture secondarie si trovano associate secondo modalità costanti dando origine alle cosidette strutture supersecondarie o motivi strutturali Motivo elica-loop-elica a) Legame al DNA a) Legame del calcio Motivo β−α−β Da motivi semplici si possono formare motivi più complessi . Il barile α/β è un motivo comune costruito dalla ripetizione di un motivo più semplice, il motivo β−α−β . Le catene polipeptidiche contenenti più di 200 residuidi di norma si ripiegano in due o più raggruppamenti globulari, detti domini. Antigene di superficie CD4 costituito da 4 domini simili Dominio = una catena polipeptidica o parte di essa che può ripiegarsi in modo indipendente dal resto della molecola a formare una struttura terziaria stabile. I domini sono anchè unità funzionali e spesso diversi domini di una proteina sono associati a funzioni differenti. Esistono esempi di funzioni biologiche che in alcune specie sono espletate da catene polipeptidiche diverse mentre in altre lo sono da domini diversi di una stessa proteina CAP La proteina CAP, una proteina che regola l’espressione genica nei batteri, ha due domini: - Il dominio più piccolo lega il DNA; - Il dominio più grande lega l’AMP ciclico Una volta che si è evoluta una proteina con una conformazione stabile con proprietà utili, la struttura può essere modificata durante l’evoluzione per ottenere proteine con nuove funzioni Le proteine con somiglianze significative nella loro struttura primaria, o con struttura e funzioni altrettanto simili, fanno parte della stessa famiglia In una famiglia esistono evidenti correlazioni evoluzionistiche La famiglia delle serinproteasi = Amminoacidi conservati Due o più famiglie con poche analogie di sequenza usano talvolta dei principali motivi strutturali e hanno funzioni simili Queste famiglie sono raggruppate in superfamiglie Proteine con sequenze amminoacidiche diverse presentano generalmente strutture terziarie diverse che si riflettono in funzioni diverse. Citocromo c Lisozima Ribonucleasi Nelle proteine piccole i residui idrofobici sono meno facilmente nascosti all’interno della struttura: la geometria ci dice che quanto più piccola è una proteina di forma sferica, tanto minore è il suo rapporto superficie/volume. Le proteine di piccole dimensioni devono avere altre interazioni che le aiutano a stabilizzare la loro struttura. Il lisozima e la ribonucleasi hanno ponti disolfuro, mentre nel citocromo c il gruppo eme legato su entrambi i lati alla proteina ha un effetto stabilizzante sull’intera struttura proteica. Anche gli ioni metallici partecipano alla formazione di legami trasversali all’interno delle proteine Un motivo a dito di zinco tratto dalla proteina Zif268 che lega il DNA Albero filogenetico costruito in base al numero di differenze amminoacidiche nella sequenza del citocromo c di specie diverse. E’ sovrapponiblie a quello ottenuto con la tassonomia classica. Il numero di residui che differiscono nelle proteine omologhe da 2 specie diverse è proporzionale alle differenze filogenetiche esistenti tra le 2 specie. Es.: cavallo-lievito 48 sostituzioni Anitra-pollo 2 sostituzioni Struttura quaternaria delle proteine Struttura quaternaria della deossiemoglobina La struttura quaternaria delle proteine varia dai dimeri a complessi molto più grandi come i capsidi virali Poliovirus Diametro 300 Å Virus del mosaico del tabacco Lunghezza 3000 Å, diametro 180 Å Le proprietà biologiche di una proteina dipendono dall’interazione con altre molecole (ligandi) Queste interazioni sono molto specifiche e sono dovute per lo più ad interazioni deboli non covalenti La regione di una proteina che si associa con il ligando è detta sito di legame (binding site) Spesso gli amminoacidi che costituiscono il sito di legame appartengono a regioni diverse della sequenza della proteina e sono portati vicini dal ripiegamento della proteina La struttura terziaria di una proteina non è rigida Enzima esochinasi. La struttura terziaria di una proteina non è rigida Modificazione conformazionale dell’esochinasi indotta dal legame del D-glucoso. La struttura terziaria di una proteina non è rigida Alcune proteine contengono due o più siti di legame che comunicano tra loro. Una modificazione conformazionale indotta dal legame di un ligando ad un sito di una proteina può alterare le proprietà di altri siti distanti. Le proteine possono funzionare da interruttori molecolari che ricevono, integrano e trasmettono segnali. Molte proteine contengono siti regolatori (detti siti allosterici) in grado di legare ligandi che ne modificano l’attività biologica. Denaturazione e ripiegamento delle proteine La perdita della organizzazione tridimensionale di una proteina, associata alla perdita della sua funzione, è detta denaturazione. Le proteine possono denaturarsi con: Calore pH estremi Urea, idrocloruro di guanidina Detergenti Idrocloruro di guanidina La capacità di denaturare le proteine dell’idrocloruro di guanidina (6 M) e dell’urea (8 M) dipende dalla loro capacità di rompere le interazioni idrofobiche che stabilizzano il nucleo interno delle proteine globulari, ma il loro meccanismo d’azione non è stato ancora identificato nei dettagli. La denaturazione completa di una proteina stabilizzata da ponti disolfuro richiede l’utilizzo di agenti riducenti come il β-mercaptoetanolo Mercaptoetanolo Esperimento di Anfinsen, 1950 L’informazione necessaria per specificare la complessa struttura tridimensionale della ribonucleasi è contenuta nella sua sequenza di amminoacidi (Anfinsen, C., 1950) La sequenza amminoacidica determina la struttura terziaria. La conformazione è importante per la funzione Il ripiegamento delle proteine non può essere un processo completamente casuale basato sulla prova e sull’eliminazione dell’errore. I principi che regolano questo processo non sono stati ancora elucidati nei dettagli. Esistono vari modelli per spiegare il corretto ripiegamento delle proteine: a) Le strutture secondarie locali si formano per prime; prime seguono poi interazioni più a lungo raggio (es.: due α eliche si associano formando una struttura supersecondaria). Il processo prosegue in questo modo fino a che non sono completati i domini e l’intera catena polipeptidica si è avvolta correttamente; b) L’avvolgimento inizia dall’assunzione spontanea da parte della catena polipeptidica di uno stato compatto, mediato dalle interazioni idrofobiche tra i residui non polari (“collasso idrofobico”). idrofobico La maggior parte delle proteine si ripiega probabilmente mediante un processo che presenta caratteristiche di entrambi i modelli Simulazione di una via di ripiegamento mediante Il modello è un subdominio di 36 residui della proteina villina Termodinamica del ripiegamento delle proteine visto come un imbuto di energia libera Gli stati non ripiegati possiedono un elevato grado di entropia conformazionale, accompagnata da un alto livello di energia libera. Intermedi semistabili che rallentano la velocità del processo. Non tutte le proteine si ripiegano spontaneamente appena sono sintetizzate nelle cellule. Il ripiegamento di molte proteine è facilitato dall’azione di proteine specializzate. Gli chaperoni molecolari sono proteine che interagiscono con polipeptidi parzialmente ripiegati o impropriamente ripiegati, e ne assistono il ripiegamento corretto o forniscono un microambiente in cui il processo possa avvenire. Sono note due classi di chaperoni molecolari, presenti in moltissimi organismi, dai batteri all’uomo. Gli chaperoni della prima classe, una famiglia di proteine chiamate Hsp70 (MW intorno a 70 kDa), sono molto abbondanti in cellule sottoposte ad uno shock termico (heat shock). shock Le Hsp70 si legano alle regioni non ripiegate di un polipeptide, ricche di residui idrofobici, impedendo un’aggregazione non corretta. Le Hsp70 quindi “proteggono” le proteine che sono state denaturate dal calore e i peptidi in via di sintesi che non sono ancora ripiegati in modo corretto. Le Hsp70 legano e rilasciano polipeptidi in un ciclo che coinvolge diverse altre proteine (comprese le Hsp40) Hsp40 e richiede l’idrolisi dell’ATP. Questi chaperoni non promuovono il ripiegamento dei loro substrati proteici, ma impediscono l’aggregazione delle parti non ripiegate. Ripiegamento assistito dagli chaperoni DNAK e DNAJ di E. coli, omologhi alle Hsp70 e alle Hsp40 degli eucarioti Analogo eucariotico ? Gli chaperoni della seconda classe sono detti chaperonine. chaperonine Le chaperonine sono complessi proteici elaborati necessari al ripiegamento di un certo numero di proteine cellulari che non si avvolgono spontaneamente. E’ stato stimato che in E. coli il 10-15% delle proteine totali richiede per un corretto ripiegamento il sistema delle chaperonine, chiamato GroEL/GroES. Il meccanismo di azione proposto per il funzionamento del sistema GroEL/GroES Gro/ES Gro/EL Per vedere questa immagine occorre QuickTime™ e un decompressore Animation. Per vedere questa immagine occorre QuickTime™ e un decompressore Animation. Alcune proteine per poter raggiungere la conformazione nativa richiedono l’azione di due enzimi che catalizzano reazioni di isomerizzazione. La proteina disolfuro isomerasi (PDI) è un enzima che catalizza la rottura di ponti disolfuro e la riformazione di nuovi ponti sino a che non si formano i legami presenti nella conformazione nativa. Tra le funzione della PDI vi è quella di eliminare intermedi del processo di ripiegamento con ponti disolfuro non corretti. La peptide prolil cis-trans isomerasi (PPI) catalizza l’interconversione dei legami peptidici cis e trans della prolina. Questa può essere una tappa lenta nel ripegamento di proteine che abbiano alcuni legami nella conformazione cis. Meccanismo di azione della proteina disolfuro isomerasi (PDI) Encefalopatie spongiformi Una proteina mal ripiegata (prione), sembra essere la causa di un certo numero di malattie rare dei mammiferi caratterizzate da degenerazione celebrale (encefalopatie spongiformi; es.: malattia di Creutzfeldt-Jakob e kuru nell’uomo, scrapie nelle pecore, encefalopatia spongiforme bovina o malattia della “mucca pazza” nei bovini). Diagnosi Una diagnosi definitiva può essere effettuata soltanto sull’animale morto mediante esami di laboratorio. La diagnosi consiste nel rilevare le alterazioni strutturali del cervello (“buchi”) e/o la presenza di prioni anormali nel tessuto celebrale, che sono visibili solo 6 mesi circa prima dell’apparizione dei sintomi clinici. Al momento attuale, non esiste alcun test che permetta di rilevare queste alterazioni o tali pioni sull’animale vivo. Il quadro clinico dell’animale vivo consente di effettuare unicamente una diagnosi di probabilità Il “morbo della mucca pazza”. I prioni sono stati posti in relazione col “morbo della mucca pazza”, che si ritiene si sia diffuso anche all’uomo in conseguenza dell’assunzione di carni provenienti da bovini contaminati in seguito alla loro alimentazione con farine animali prodotte con resti di ovini infetti. Struttura tridimensionale della proteina prionica di topo (mPrP) Struttura tridimensionale della proteina prionica umana (hPrP) Meccanismo di azione dei prioni. A) B) C) forma del prione (proteina alterata) forma della proteina normale Quando il prione entra in contatto con la proteina normale, questa assume la stessa forma del prione: Nelle cellule infette da prioni si innesca un processo a catena che provoca gravi lesioni Prione Agente biologico responsabile della distruzione del tessuto cerebrale, nell’evoluzione del morbo di Creutzfeldt-Jakob, (la nota Encefalopatia Spongiforme Bovina) ovvero "mucca pazza", scoperto da Stanley Prusiner (premio Nobel nel 1997), biologo e biochimico californiano. I prioni, per certi versi, hanno assunto caratteristiche tipiche dei virus: in particolare possono replicarsi pur senza avere quel materiale genetico (DNA o RNA) necessario ad ogni struttura vivente per riprodursi. Il prione è una proteina innocua che si trova in tutti gli organi di tutti i mammiferi, compreso l’uomo, con maggiore concentrazione sulla superficie delle cellule nervose. Il suo ruolo “normale” è quello di aiutare la trasmissione dei segnali tra le cellule nervose. Il prione però ha una caratteristica peculiare: si trasforma in un agente infettivo. Secondo la teoria conosciuta come "teoria della sola proteina", proposta dallo stesso Stanley Prusiner, ad un certo punto la catena aminoacidica della proteina prionica si ripiega in un modo diverso, anomalo, originando così il prione, che è patogeno perché in questa nuova configurazione acquista la capacità di autoreplicarsi. Legandosi ad altre proteine prioniche normali, le costringe cioè ad assumere la sua stessa struttura anomala. A loro volta i nuovi prioni funzionano da stampo per la conversione di altre proteine prioniche e così via, in un processo autocatalitico che alla fine fa morire le cellule nervose che li contengono. Le modificazioni dei prioni non si verificano nella loro struttura primaria, cioè nella composizione aminoacidica, ma nella conformazione della loro struttura nello spazio. Specificatamente le molecole si ripiegano fino ad assumere una forma che permette loro di resistere alla normale degradazione metabolica enzimatica. Queste molecole con conformazione modificata si presentano pertanto resistenti alla proteolisi, oltre che a temperature elevate e irradiazioni. La malattia di Creutzfeldt-Jakob Una proteina mal ripiegata (prione), sembra essere la causa di un certo numero di malattie rare dei mammiferi caratterizzate da degenerazione celebrale (encefalopatie spongiformi; es.: malattia di Creutzfeldt-Jakob e kuru nell’uomo, scrapie nelle pecore, encefalopatia spongiforme bovina o malattia della “mucca pazza” nei bovini). L’agente infettivo è proteina, presente conformazione alterata una singola in una