La fede dei supereroi Attentato in Pakistan
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La fede dei supereroi Attentato in Pakistan
La fede dei supereroi leggi di più mar 16 dic 2014 Attentato in Pakistan Cari fratelli e sorelle, ormai per gli abitanti dei paesi arabi, tradizionalmente di fede musulmana, soprattutto per loro in base al numero delle vittime di guerre e attentati terroristici, la vita sempre più assomiglia drammaticamente ad un inferno. A loro si aggiungono per altre guerre le vittime animiste, cristiane e musulmane soprattutto in Africa. Stavolta dei terroristi, in lotta contro il governo militare del Pakistan, hanno compiuto quello che avete letto su tutti i giornali. I genitori, essendo musulmani, non sono come noi prossimi al Natale, ma forse noi, in riferimento a questo periodo d'avvento, possiamo associare l'accaduto al racconto evangelico della strage degli innocenti. Il Cristo nasce nel mezzo della violenza di questo mondo, soprattutto violenza ai più deboli, e nasce per portare a questo mondo la notizia della sconfitta del peccato e della morte. In ogni guerra sono soprattutto i bambini e le donne le principali vittime innocenti del conflitto; soprattutto a loro, quindi, si è reso e si rende solidale in ogni tempo e luogo, il Cristo morente sulla croce. Possa il Dio della resurrezione occuparsi dei bambini sopravvissuti, che hanno visto quelle scene a dir poco efferate, e consolare i genitori e i familiari dei bambini che invece sono morti. Possa Cristo guidare anche noi che siamo lontani da quei luoghi, e indicarci il modo giusto per fare la nostra parte nel mondo che abitiamo. Possa lo Spirito dell'amore e della vita soffiare sugli oppressi, i feriti, gli sconsolati, gli schiavi di questa nostra umanità. Possa la Chiesa seguire il proprio Signore, a beneficio di ogni etnia, religione, Paese. Possano le nostre preghiere unirsi a quelle che già in queste ore si levano da moschee, sinagoghe e chiese di tutto il mondo. Amen. 0 Commenti mar 14 ott 2014 Storia dell'epidemia di HIV/AIDS La storia dell'epidemia di HIV/AIDS viene solitamente fatta iniziare nel 1981 quando fu riconosciuta l'esistenza di una nuova malattia in alcuni pazienti negli Stati Uniti: in realtà l'infezione esisteva già da molti anni, ma era stata sempre scambiata per altro. Diffusasi in maniera esponenziale in tutto il mondo (diventando una vera e propria pandemia), a differenza di tutte le altre epidemie fino ad allora conosciute fu a lungo mortale in percentuali vicine al 100% dei casi diagnosticati (pur nella variabilità dei tempi di sviluppo dei sintomi). Inoltre, il legame presto dimostrato con la sfera sessuale e con l'uso di sostanze stupefacenti (eroina), legò indissolubilmente il contagio, nell'opinione generale, a comportamenti stigmatizzabili, in quanto "trasgressivi": la sieropositività è ancora oggi vissuta come una condizione potenzialmente discriminatoria, che talvolta ha anche richiesto specifici interventi legislativi. Dal 1996 una combinazione di farmaci riesce a "immobilizzare" il virus negli individui, bloccando lo sviluppo della sindrome immunodepressiva, ma non a eradicarlo, cronicizzando quindi la malattia. Tutt'altro che debellata, la sindrome da HIV è diventata endemica nei paesi sviluppati, dove è crollato il numero di decessi, ma non quello dei contagi, mentre è ancora uno dei più gravi fattori di mortalità nei paesi in via di sviluppo, all'origine di gravi problematiche sociali, etiche, economiche e organizzative. Origini L'esistenza di virus che inducono uno stato di progressiva immunodeficienza è documentata in natura in varie specie animali, tra i quali sono più noti il FIV (Feline Immunedeficiency Virus), legato ai felini e in particolare al gatto, e il SIV (Simian Immunedeficiency Virus), legato a varie specie di scimmie Passaggio di specie Diffusione in Africa dello scimpanzé, concidente con la fascia centro-equatoriale in cui si diffuse originariamente la malattia È ormai accertato che il virus umano dell'HIV (Human Immunedeficiency Virus) derivi da mutazioni di vari ceppi del SIV, con il salto di specie in un'epoca imprecisata in alcune regioni dell’Africa occidentale sub-sahariana. I primi studi degli anni ottanta indicavano come possibile zona d'origine del contagio la zona dei grandi laghi, mentre gli studi più moderni si focalizzano in un'area più a ovest, nel Camerun. Dal virus SIVcpz dello scimpanzé Pan troglodytes troglodytes deriverebbe il ceppo HIV1, responsabile dell’attuale pandemia, mentre dal virus SIVsmm, che colpisce le scimmie Sooty Mangabey, deriverebbe il ceppo HIV-2, dotato di patogenicità e contagiosità più limitate, che è rimasto confinato nei luoghi di origine, con l'eccezione di alcuni soggetti infettati nelle proprie aree endemiche e poi trasferitesi in paesi occidentali. Il primo caso di sieropositività accertato risale al 1959, quando venne prelevato da un uomo di Leopoldville (oggi Kinshasa) un campione di sangue che, analizzato trent'anni dopo, dimostrò di contenere anticorpi all'HIV-1. All'anno successivo appartiene un campione di tessuti di linfonodi di una donna della stessa città, pure infettato dal virus. La trasmissione uomo/scimmia dovette avvenire tramite il contatto tra liquidi biologici (ad esempio morso) o per via sessuale. Vi sono prove che gli esseri umani che partecipano ad attività di caccia e di vendita di carne e pelli di scimmia, abbiano contratto il SIV (teoria del cacciatore) tuttavia, solo alcune di queste infezioni sono state in grado di causare epidemie nell'uomo e tutte si sono verificate tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX secolo. Non è chiaro perché pratiche di caccia e macellazione, in atto da secoli, abbiano prodotto un'epidemia che si è sviluppata documentatamente solo sul finire degli anni '50, magari facilitate dal crearsi di più stretti contatti ambientali tra uomo e scimmia a seguito della progressiva coltivazione della savana. Esiste una teoria secondo la quale all'origine del passaggio di specie ci sia il vaccino orale antipolio che tra il 1957 e il 1960 Hilary Koprowski sperimentò in Congo Belga. È possibile che una parte dei vaccini destinati al Congo fosse preparata localmente coltivando il virus della polio in tessuti di reni di scimpanzé (invece delle consueti macachi e simili provenienti da India e Filippine) e che nel filtraggio del vaccino, oltre al virus inattivato della polio, passassero altri virus animali, come era successo per l'SV40 negli Stati Uniti. Varie argomentazioni confutano tale ipotesi, che comunque la scienza ha giudicato plausibile, sollecitando una maggiore prudenza nell'introduzione di trattamenti medici derivati da tessuti animali, come i vaccini vivi attenuati e gli xenotrapianti. Diversi laboratori di microbiologia (fra cui il Los Alamos National Laboratory) hanno effettuato confronti filogenetici e datazioni della sequenza "progenitrice" del gruppo principale dell'HIV-1 (HIV-1 Gruppo M) concludendo tutte che l'introduzione dell'HIV1 nell'uomo è avvenuta nella prima metà del XX secolo (1915-1941 circa o, secondo altri studi del 2008, entro il 1908-1930[4][10])[11][12][13]. Nel 1931 è infatti individuabile una prima descrizione dei sintomi della Sindrome dell’Immunodeficienza Umana Acquisita, sebbene non riconosciuta come tale e classificata come per degenerazione o complicazione di malattie note. La fase nascosta dell'epidemia Il primo ceppo responsabile del contagio in Africa fu HIV-2, più simile al SIV, che cominciò a diffondersi lungo la costa occidentale dell'Africa. In seguito fece la sua comparsa il tipo HIV-1, lungo i paesi centro-equatoriali. Nella seconda metà del XX secolo è stata diagnosticato in Africa un cosiddetto slim disease ("mal sottile"), che portava misteriosamente a morte i malati per una progressiva consunzione, e che probabilmente era l'AIDS. Il virus si dovette diffondere in aree urbane dell'Africa (come Kinshasa), quasi esclusivamente tramite contagi eterosessuali, per poi travalicare l'oceano alla fine degli anni sessanta. Sporadiche manifestazioni della sindrome di immunodeficienza, riconosciuta come tale solo nei decenni successivi, sono state infatti riscontrate nei tessuti conservati di persone decedute fin dal 1969 in America (caso di Robert R.) e in Europa (casi di Arvid Noe e di Grethe Rask). Negli anni settanta, favorita dalla promiscuità legata alla rivoluzione sessuale e altri fenomeni connessi, ebbe inizio la seconda fase della malattia, che interessò Haiti, New York e il Brasile. Haiti aveva particolari relazioni con l'Africa, e il virus qui trovò un bacino di contagio vantaggioso soprattutto nelle comunità omosessuali maschili; fu forse l'isola caraibica, meta del turismo gay statunitense, a fare da ponte tra l'Africa e l'America. Il virus in America Lesioni del sarcoma di Kaposi, tra le infezioni opportunistiche dell'Aids Soltanto quando il virus iniziò a colpire con forza alcuni specifici gruppi di individui, i sospetti di essere di fronte a una nuova patologia non poterono più essere ignorati. Grazie alla particolare forza contagiosa dei soggetti maschi e grazie alle condizioni particolarmente favorevoli al contagio dei rapporti di tipo anale, il virus trovò infatti un vantaggioso bacino di infezione nella comunità omosessuale maschile di alcune grandi città americane. Alla fine del 1980 un ricercatore dell'Università della California, Michael Gottlieb, nell'ambito di uno studio sui deficit del sistema immunitario si imbatté in un ospedale nel caso di un giovane paziente che soffriva di un raro tipo di polmonite dovuta al protozoo Pneumocystis carinii, che di solito colpiva quasi esclusivamente i neonati prematuri e i pazienti dal sistema immunitario molto indebolito (malati con tumori, o esposti farmaci molto potenti, o trapiantati)[16]. Nei mesi successivi Gottlieb scoprì altri tre pazienti, tutti omosessuali attivi, un basso livello di linfociti T. Considerando i lunghi tempi di incubazione del virus prima dell'arrivo dei sintomi, l'epidemia doveva essere arrivata già a uno stadio talmente avanzato dall'essere ormai impossibile continuare a ignorarne i segnali. Il 5 giugno 1981 infatti i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie di Atlanta (CDC) pubblicarono nel bollettino Morbidity and mortality weekly report un improvviso aumento di diagnosi di casi di polmonite da Pneumocystis carinii e di un raro tumore dei vasi sanguigni, il Sarcoma di Kaposi, in alcuni giovani omosessuali gravitanti nelle aree metropolitane di Los Angeles, San Francisco e New York. Il fatto non destò particolare allarme, ma le segnalazioni di nuovi casi aumentarono vertiginosamente, tanto che già nel luglio di quell'anno il New York Times pubblicò le constatazioni allarmanti legate a tale notizia: i casi erano ormai centinaia (422), colpivano soggetti molto più giovani di quanto non avvenisse normalmente, e avevano un decorso clinico estremamente grave, con un alto numero di decessi (159). Pochi giorni dopo i CDC costituirono una task force dedicata espressamente alla ricerca sul sarcoma di Kaposi e sulle altre infezioni opportunistiche: si iniziò a parlare di epidemia e venne associata all'omosessualità. La ricerca di un paziente zero negli Stati Uniti, sebbene in passato abbia prodotto il nome di Gaëtan Dugas, non ebbe esito, anche per il lungo periodo di incubazione del virus. Alla fine del 1981, nell'oscurità legata alle forme di trasmissione contagio, cominciano a nascere le prime teorie sulle cause delle infezioni e dei tumori: infezione da Cytomegalovirus (Cmv), uso di droghe, stimolazione eccessiva del sistema immunitario. Il ricordo di alcune centinaia di morti verificatesi in Spagna per una sindrome tossica da olio adulterato fece sospettare di non essere in presenza di una patologia contagiosa, ma di un'intossicazione legata magari a sostanze in uso tra la comunità omosessuale, come il nitrito d'amile (popper) utilizzato come potenziatore dell'orgasmo[7]. Alla fine dell'anno si registrano i primi casi tra eterosessuali e il primo contagio in Europa, in Inghilterra[15]. La malattia non aveva ancora un nome e iniziarono a circolare sulla carta stampata le definizioni più disparate: "Gay compromise sindrome", su The Lancet, "immunodeficienza gay-correlata" (Gay-related immune deficiency, Grid), "cancro dei gay", "disfunzione immunitaria acquisita". Una nuova epidemia Un francobollo russo del 1993 dedicato all'epidemia di AIDS La notizia di una "nuova" malattia trasmissibile fu accolta nella generale incredulità, anche perché appena quattro anni prima (nel 1977) era entrato negli annali lo straordinario traguardo sanitario mondiale dell'eradicazione definitiva del vaiolo: per la prima volta nella storia della medicina si era definitivamente debellata una patologia che mieteva milioni di vittime all'anno da millenni. Dal dopoguerra, in effetti, le migliorate condizioni abitative, alimentari e di gestione delle acque avevano drasticamente ridotto nei paesi sviluppati l'incidenza di patologie fino ad allora endemiche come il tifo, la tubercolosi, le salmonellosi, mentre la diffusione delle vaccinazioni avevano estinto di fatto infezioni gravi e frequenti come il tetano, la difterite, la poliomielite. Inoltre, la comparsa degli antibiotici negli anni quaranta, aveva reso improvvisamente guaribili patologie infettive come le polmoniti, gli ascessi, le sepsi e persino la peste e il colera. In tale contesto il rischio di un'epidemia nuova e inarrestabile non figurava in nessuna previsione della fine degli anni settanta, un periodo in cui la società concentrava le sue preoccupazioni su temi come l'inquinamento, l'esaurimento delle fonti energetiche, i conflitti atomici, l'effetto serra. Le epidemie fino ad allora conosciute erano infatti di tipo "strutturale", cioè legate a carenze o inefficienze nella gestione di particolari elementi della salute sociale (acque, alimenti, rifiuti, animali, insetti), risolvibili con interventi strutturali e farmacologici, mentre si andavano affacciando sulla scena le epidemie cosiddette comportamentali, legate cioè agli errori nei comportamenti degli individui, tra le quali quella da HIV rappresenta la più estesa e pericolosa, anche perché legata alla sfera irrazionale ed emotiva dei rapporti sessuali e della tossicodipendenza. Nel 1982 alcuni primi casi si verificarono tra gli emofiliaci, obbligati a ricevere continue trasfusioni, e cominciò a farsi strada l'idea che il contagio fosse legato a un'anomalia del sangue, svanendo presto l'illusione del contagio chimico. Nell'agosto di quell'anno, durante un congresso dalla Fda sui prodotti ematici, Bruce Voeller propose di chiamare la nuova malattia Acquired Immune-Deficiency Syndrome (Aids), basandosi sulla comparsa di una serie di patologie nei pazienti, tra cui infezioni opportunistiche e neoplasie (il sarcoma di Kaposi, il linfoma di Burkitt, il linfoma primitivo cerebrale e alcuni linfomi dei linfonodi a grado alto e intermedio) altrimenti molto rare in giovani adulti non immunodepressi. A fine anno morì un primo bambino emofiliaco per una trasfusione infetta e si registrò il primo caso documentato di trasmissione verticale materno-fetale: per l'opinione pubblica fu un vero e proprio trauma. La facilità degli spostamenti delle persone e le frequenti occasioni di viaggio resero rapidamente l'epidemia un fatto mondiale: nel 1982 si rigistrarono i primi casi in Italia, Canada, Brasile. In Italia in particolare il primo caso era legato a un paziente omosessuale che si era recato più volte negli Stati Uniti; nel 1983 i casi erano 4, con caratteristiche simili, e nel 1984 18, tra cui un primo caso, a Milano, di paziente tossicodipendente che non era mai stato all'estero. I casi negli USA nell'82 salirono a 1614 con 619 decessi. Per il 1983 i dati individuavano 642 omosessuali maschi contagiati, 154 tossicodipendenti, 81 tossicodipendenti omosessuali, 50 soggetti haitiani immigrati e 61 a epidemiologia ignota. L'alta prevalenza di omosessuali maschi focalizzò inizialmente l'attenzione sulla sola popolazione gay e il messaggio era arrivato anche all'opinione pubblica fin da quando il New York Times titolò «Raro cancro osservato in 41 omosessuali» (1981). Sebbene circoscrivere il rischio a un gruppo sociale ristretto e socialmente isolato poté essere in un certo senso di conforto per l'opinione pubblica, ciò fu fuorviante e per diversi anni distolse l'attenzione dal più concreto e reale rischio di diffusione nel mondo, tramite i rapporti eterosessuali. Nel frattempo, soprattutto nella fascia mediterranea, il mezzo di diffusione più veloce e frequente fu quello del contatto ematico tra gruppi di eroinomani che condividevano la stessa siringa: in Italia ad esempio nei primi anni ottanta il consumo di eroina era una occasione di incontro per molti giovani, in cui si condivideva sia sostanza sia siringa[1]. Per un certo periodo l'infezione fu chiamata "delle 4 H", poiché colpiva omosessuali, eterosessuali utilizzatori di droghe endovena, haitiani ed emofiliaci (in inglese "homosexuals, heterosexual intravenous drug users, Haitian immigrants" e "hemophiliacs")[21][22] La scoperta del virus Françoise Barré-Sinoussi, prima persona a vedere al microscopio il virus dell'HIV Nel 1982 Robert Gallo, direttore del laboratorio di biologia cellulare dei tumori del National Cancer Institute di Bethesda in America, accertò l'origine virale dell'epidemia, riconoscendo l'azione di un retrovirus, appartenente a tale particolare famiglia da lui identificata qualche anno prima nei suoi studi sulla leucemia. Il 4 novembre 1983 Françoise Barré-Sinoussi, nel laboratorio di retrovirologia dell’Istituto Pasteur di Parigi diretto da Luc Montagnier vide al microscopio per la prima volta il virus HIV, nei tessuti di un linfonodo prelevato da una persona infetta, ma che non aveva ancora sviluppato la sindrome: si tratta di un paziente omosessuale che aveva come unico sintomo i linfonodi ingrossati. Un anno dopo, il 22 aprile 1984, i CDC dichiarano pubblicamente che il virus francese era stato definitivamente identificato come la causa dell'Aids e il giorno successivo venne annunciato che Robert Gallo aveva a sua volta isolato un virus prelevato da pazienti malati di AIDS, e che per il virus sarebbe stato disponibile a breve un kit per riconoscere le persone infette, tramite l'individuazione nel sangue della presenza o meno di uno degli anticorpi prodotti dall'organismo contro l'infezione. Il virus di Gallo, infettante i linfociti T umani, si rivelò poi lo stesso virus francese e tra i due istituti avviò una vera e propria battaglia legale su chi dovesse rivendicare la scoperta, conclusa in un certo senso con il conferimento del premio Nobel per la medicina ai francesi nel 2008. La terza fase dell'epidemia Un poster del 1989 che mette in guardia i rischi di contrarre l'AIDS facendo utilizzo di droga Dalla seconda metà degli anni '80 l'epidemia entrò nel pieno della sua "terza fase"; dopo quella "nascosta" e quella americana e nordeuropea (quella legata prevalentemente agli omosessuali), esplose infatti il contagio per via parenterale tra tossicodipendenti nell'Europa centromeridionale e di nuovo negli USA, in Thailandia, in India e molte altre regioni asiatiche e africane, raggiungendo una diffusione veramente da pandemia mondiale. Si trattava di una via alternativa a quella sessuale (etero- e omosessuale), che si aggiungeva alle altre fonti di contagio. Nel 1985 si tenne ad Atlanta la prima Conferenza internazionale sull'AIDS, sponsorizzata dall'Organizzazione mondiale della sanità, alla quale partecipano circa 2000 ricercatori provenienti da trenta nazioni. Nelle successive conferenze, che si tennero a scadenza annuale fino al 1996, vennero via via resi noti i dati sulla diffusione dell'epidemia. Nel 1984 ad esempio Usa i casi di contagio erano arrivati a 22.996 e 12.592 i decessi, con un decorso della malattia che aveva ancora l'allarmante dato vicino al 100% di mortalità. Venne denunciata l'esistenza del focolaio africano, senza però avere dati certi, e si iniziò a parlare di trasmissione eterosessuale. Dal 1985 in Usa e Giappone si iniziò, con riluttanza, a testare gli emoderivati, in Europa dall'anno successivo[15]. La piena cognizione che sangue ed emoderivati trasmettessero l'AIDS avvenne tra molti ritardi, quando circa 8000 casi si erano verificati negli Stati Uniti e 6000 in Europa, tra il 1985 e il 1992, nonostante dal 1985 si scaldassero gli emoderivati per la neutralizzazione del virus. Ritardata fu l'esclusione dalle donazioni di alcune categorie a rischio (come i detenuti), così come l'applicazione dei test ELISA, specialmente in Francia. Nel rapporto statunitense sull'epidemia del 1986 si richiamò la necessità di dare informazioni legate al sesso. La seconda conferenza mondiale si tenne a Parigi, durante la quale l'OMS fornisce una stima di 5/10 milioni di sieropositivi[15]. Apparve chiaro come fosse necessario creare campagne d'informazione per arginare il contagio e cominciarono a ventilare le prime notizie sulla ricerca legata a una possible cura. L'anno successivo, il 1987, registrò la conferenza a Washington, in cui l'Assemblea Mondiale della Sanità approvò una strategia globale per fronteggiare l’epidemia. Nel mondo si contavano ormai 50.000 casi (800 in Italia). I problemi sociali ed economici legati alla droga, la difficile emancipazione degli omosessuali iniziata proprio in quegli anni, l'imbarazzo legato ai temi sessuali, furono all'origine di atti di discriminazione e sottostima dei rischi. Emblematico è il caso dell'Italia, il cui ministro della Salute, Carlo Donat-Cattin ritardò oltremodo i controlli sulle sacche di sangue (ben tre anni dopo altri paesi europei, nel 1988) e le campagne di informazione pubbliche sull'epidemia (pure solo dal 1988, a fronte del 1985 in Gran Bretagna e del 1986 in paesi come Francia, Germania, Belgio, zona scandinava), vietando di fatto di citare l'uso del profilattico come metodo di prevenzione per evitare di "spiegarne l'uso nelle scuole" (a differenza ad esempio degli spot della TV svizzera). Casi celebri, episodi di discriminazione e di solidarietà Rock Hudson (a sinistra) con il presidente statunitense Ronald Reagan e la moglie Nancy nel maggio 1984 alla Casa Bianca, un anno prima di morire di AIDS. La prima vittima celebre che ammise pubblicamente di essere affetta da AIDS fu il divo americano Rock Hudson, morto il 2 ottobre 1985. Il "caso Rock Hudson" portò alla coscienza degli USA, dell'Europa e delle popolazioni di molti altri Paesi, l'esistenza della sindrome e di come essa non fosse un destino riservato a pochi emarginati, né una "prerogativa" del mondo omosessuale (in realtà il divo era gay, ma segretamente). La sua immagine di uomo virile, bianco, ricco e persino repubblicano (amico personale di Ronald Reagan), non sembrava avere nulla a che fare con lo stereotipo imperante circa la tipologia delle vittime del morbo, dimostrando così che le convinzioni confortate dalle statistiche sulle cosiddette "categorie a rischio", andavano senz'altro riviste. Hudson visse sulla sua pelle la discriminazione e la psicosi legata a questa malattia di cui si sapeva poco e faceva paura. Quando un comunicato stampa diffuse la sua reale situazione sanitaria, l'ospedale di Parigi in cui era ricoverato si svuotò immediatamente per il terrore del contagio. L'attore volle rientrare subito negli Stati Uniti ma il suo staff incontrò notevoli problemi nel reperire un volo, poiché nessuna compagnia aerea voleva averlo come passeggero. L'attrice Linda Evans, che qualche anno prima aveva baciato Hudson sul set di Dynasty, si sottopose a controlli medici, risultando poi non infettata, non sapendo che il virus non si trasmette col bacio. L'amicizia con l'attore e con altre persone ammalate spinse invece Elizabeth Taylor a impegnarsi attivamente, dedicando molto tempo e molte energie, nella lotta all'AIDS, attraverso manifestazioni e raccolte fondi, culminate con la fondazione dell'American Foundation for AIDS Research (AmfAR). Si stima che la Taylor abbia aiutato alla raccolta di circa 50.000.000$ per la lotta alla malattia. Vittima della discriminazione fu anche il ragazzo emofiliaco Ryan White, che dopo un'iniezione di sangue contaminato contrasse il virus e, nel 1984, sebbene i medici avessero escluso il rischio di contaminazione, fu espulso dalla scuola, diventando un simbolo della lotta all'HIV/AIDS negli Stati Uniti: per lui intervennero Magic Johnson, Elton John e Michael Jackson. Nel 1990, poco tempo dopo la morte di White, il Congresso degli Stati Uniti d'America proclamò il Ryan White Care Act, fondamentale per contrastare l'AIDS. Lo stesso anno l'epidemia mieteva un'altra vittima illustre, l'artista Keith Haring. Una delle prime vittime eterosessuali famose fu Arthur Ashe, tennista americano, che fu diagnosticato come positivo all'HIV il 31 agosto 1988, dopo aver contratto il virus da trasfusioni di sangue durante un intervento chirurgico al cuore; morì all'età di 49 anni, il 6 febbraio 1993. Una vittima celebre nel Regno Unito fu Nicholas Eden (m. 1985), membro gay del Parlamento inglese e figlio del defunto primo ministro Anthony Eden[29]. Il virus provocò forse la sua più celebre vittima il 24 novembre 1991, quando la rockstar Freddie Mercury, cantante e frontman dei Queen, morì per una patologia correlata all'AIDS dopo aver annunciato la malattia soltanto il giorno precedente. Poco dopo seguì quella del ballerino Rudol'f Nuriev (1993). In Francia Michel Foucault tenne rigorosamente nascosta la sua malattia, morendo nel 1984; nel 1987 invece Jean-Paul Aron decise di rompere il silenzio, primo in Francia, facendosi intervistare dal settimanale Nouvel Observateur in copertina e col titolo Mon Sida ("Il mio AIDS") In Italia ci fu più circospezione sull'argomento: la scomparsa dello scrittore Pier Vittorio Tondelli fu ad esempio un fatto privato, passato relativamente in sordina (1991)[32]; solo nel 1992 un personaggio pubblico fece sentire la sua voce, il giornalista Giovanni Forti, in una fase avanzata della malattia, facendosi intervistare su Rai 1 da Enzo Biagi e pubblicando una cronaca limpida, e insieme ottimista, del suo stato su L'Espresso del 16 febbraio 1992: i colleghi del settimanale gli dedicarono la copertina, prima di morire il 4 aprile di quell'anno. La scoperta dell'AZT Pillole di AZT in diversi formati Nel 1987, a tempo di record (entrando negli annali della storia della medicina), fu approvato un primo farmaco, la molecola dell’AZT, inibitrice dell'enzima della transcrittasi inversa virale[15]. Sebbene i risultati della terapia si sarebbero dimostrati non pienamente soddisfacenti, per la relativa facilità con cui il virus riusciva a sviluppare ceppi resistenti al farmaco, il farmaco dimostrò di prolungare la vita dei pazienti rallentando lo sviluppo della sindrome. Nonostante le difficoltà di assunzione e i pesanti effetti collaterali, il farmaco riaccese la speranza di decine di migliaia di contagiati, creando però anche inevitabili problemi gestionali nella sua erogazione, all'origine di disordini e di un vero e proprio mercato nero (come il caso di Ron Woodroof a Dallas). Alla conferenza del 1988, a Stoccolma, partecipò per la prima volta una nutrita rappresentanza di ricercatori da paesi in via di sviluppo. Seguì nel 1989 la conferenza di Montreal, in cui per la prima volta ci fu una forte contestazione da parte di attivisti che rivendicavano l'abbassamento del prezzo dell'AZT, arrivando al palco: negli Usa la Burroughs Wellcome fu costretta a venire incontro a queste richieste. Nel 1988 venne istituita la Giornata mondiale contro l'AIDS, ogni anno il 1º dicembre: dietro tale data non c'è un evento particolarmente significativo, ma essa venne scelta in modo da ottenere la massima copertura mediatica, dopo le elezioni USA e prima del periodo natalizio. In Italia, archiviato il lassismo di Donat-Cattin, il nuovo ministro Francesco De Lorenzo fece andare in onda nel 1989 la più efficace comunicazione di massa sull'Aids nel pubblico italiano, con una serie di spot televisivi in cui venivano mostrati i modi di contagio (tra tossicodipendenti e con rapporti sessuali eterosessuali non protetti). In essi un alone viola circondava i contagiati, altrimenti invisibili, invitando a prendere misure precauzionali come l'evitare di utilizzare siringhe usate o come l'utilizzo del preservativo nei rapporti sessuali occasionali. Celebre lo slogan "Aids, se lo conosci lo eviti"[36]. La VI conferenza internazionale Aids si tenne a San Francisco (1990) e in quell'occasione furono migliaia gli attivisti scesi in campo, che manifestarono per richiamare l'attenzione sulla malattia e contestare le norme discriminatorie introdotte da George Bush, limitanti ad esempio la mobilità dei sieropositivi[15]. I dati di quell'anno parlavano di 254.000 casi di AIDS nel mondo (6.759 in Italia), con i sieropositivi stimati in circa 10 milioni[15]. Progressi farmacologici Grafico dell'aspettativa di vita in alcuni paesi africani particolarmente colpiti dall'epidemia Nel 1991 venne approvato un nuovo farmaco anti AIDS, la DDI che, come l'AZT, mirava a impedire la trascrittasi inversa agendo sugli enzimi coinvolti, evitando alcuni degli effetti collaterali del precedente farmaco. Un anno dopo fu approvata la DDC, un altro inibitore, e prese avvio lo studio clinico sulla combinazione a due farmaci. La conferenza del 1991 si tiene a Firenze e quella successiva, l'VIII, avrebbe dovuto tenersi a Boston, ma le norme restrittive del governo nordamericano resero necessario uno spostamento ad Amsterdam. Simbolo della rinata speranza fu il cestista americano Magic Johnson: dopo aver ammesso di essere sieropositivo nel 1991, nello sconcerto generale (anche per la sua eterosessualità), la sua malattia non progredì mai a uno stadio grave grazie all'uso dei farmaci. Nel 1993 scoppiò in Francia, e poi in altri paesi compresa l'Italia, lo scandalo del sangue infetto che fece arrestare e condannare quattro funzionari della banca del sangue. La IX conferenza si tenne a Berlino, in cui si registrò come l'epidemia si stesse diffondendo molto rapidamente nel Sud Est Asiatico[15]. Lo stesso anno i CDC americani introdussero una nuova definizione di AIDS, non più basata sui sintomi, ma sul livello di linfociti T CD4+ al di sotto di 200/mm3; in Europa invece si continuò col metodo tradizionale, includendo nella conta nuove infezioni opportunistiche quali tubercolosi polmonare, polmonite ricorrente e carcinoma invasivo della cervice. Tale novità, legata a considerazioni di ordine assistenziale negli Stati Uniti, portò al raddoppio virtuale dell'incidenza di casi AIDS negli USA. L'ingresso sul mercato del D4T si ebbe nel 1994, anno dell'ultima conferenza annuale, a Yokohama. In seguito le conferenze si tennero ogni due anni. Nel 1994 i malati di AIDS nel mondo erano saliti del 37%, con 985.119 casi complessivi, dei quali il 42% negli Stati Uniti, il 33,5% in Africa, l'11,5% in Europa, l'11,5% nelle Americhe, l'1% in Asia e lo 0,5% in Oceania; i sieropositivi erano stimati in 16 milioni, di cui un milione solo di bambini in Africa. In Italia i dati parlavano di un infettato ogni diecimila abitanti. La progressione farmacologica aveva già intaccato la mortalità per la malattia, che dal 100% nel 1984 era scesa al 77,5%. Ulteriori progressi, sebbene non ancora risolutivi, si registrarono nel 1995, quando fu approvato il saquinavir, il primo inibitore della proteasi, e il 3TC, un inibitore della trascrittasi inversa particolarmente sinergico con altri inibitori. Il 1995 fu anche l'anno che registrò il picco dell'epidemia, col massimo numero di nuovi casi: in Italia arrivarono ad essere 4.515[15]. La svolta (1996) David Ho Il 1996 fu l'anno della svolta che vide l'abbandono della monoterapia (AZT) e delle duplici terapie: a gennaio infatti furono presentati studi clinici sull'Haart (Highly Active Anti-Retroviral Therapy), che presto diventò lo standard mondiale nella cura dell'Aids. Si tratta di una combinazione di due inibitori della trascrittasi inversa, il processo che permette al virus di trascrivere il proprio codice genetico (RNA) nello stesso linguaggio usato dal codice genetico delle cellule dell’uomo (DNA), impedendo di essere aggredito dai farmaci e dalla risposta immunitaria, e di un inibitore della proteasi, ovvero l'enzima che modella le macroproteine prodotte dalle cellule infettate in una forma idonea a dar vita a nuovi virus. Venne inoltre messo a punto un metodo per misurare la carica virale degli individui, ovvero la presenza di copie del virus nel sangue, in modo da capire l'efficacia delle terapie. Lo scienziato taiwanese David Ho, sulla base di modelli matematici, sostenne che la possibilità di eradicare il virus era vicina e si guadagnò la copertina del TIME come "uomo dell'anno". L'offerta terapeutica si arricchisce di nuovi farmaci, come la Nevirapina, primo inibitore non nucleosidico della trascrittasi inversa, l’Indinavir e il Ritonavir, agenti contro la proteasi. L'XI Conferenza Internazionale Aids a Vancouver si chiuse per la prima volta intravedendo una luce in fondo al tunnel. I risultati delle nuove terapie non tardano infatti ad arrivare: la mortalità per AIDS calò rapidamente e nettamente (negli Stati Uniti si dimezza già dal primo anno), i ricoveri diminuirono drasticamente e la fiducia, l'ottimismo e l'entusiasmo tornarono tra medici e pazienti affetti da HIV. Nuovi progressi e la catastrofe africana[modifica | modifica wikitesto] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Diffusione dell'HIV in Africa. Prevalenza stimata di HIV nei giovani adulti (15–49 anni) per nazione alla fine del 2005. I successivi sforzi della comunità sanitaria internazionale si spostarono quindi sull'accessibilità delle terapie per tutti, stimando in 22 milioni gli infettati nel mondo. Trattandosi di farmaci molto costosi, la cura rappresenta tuttora un problema per i budget dei paesi del Nord del mondo, figuriamoci per quelli in via di sviluppo, dove appare come una chimera irraggiungibile. I risultati positivi delle ricerche sulle terapie di combinazione furono presentati alla XII Conferenza Internazionale Aids di Ginevra (1998), sebbene l'entusiasmo fosse frenato dai primi fallimenti terapeutici dell'Haart: se infatti la terapia non azzera rapidamente la replicazione, il virus, con la sua alta mutabilità, sviluppa presto forme resistenti, per cui è necessario ricorrere a molecole differenti; capitavano inoltre resistenze incrociate. Nonostante ciò la terapia segnò indiscutibili successi: i numeri di decessi e i casi di AIDS conclamato crollarono, generando però un pericoloso riflusso. Il messaggio che prendeva piede nell'opinione pubblica era infatti che l'AIDS fosse battuto e l'epidemia arrestata, confondendo il dato del decrescere della mortalità con quello dei nuovi contagi, che invece restò stabile, anzi in aumento[15]. Inoltre si accrebbe il divario tra Nord e Sud del mondo: per ridurre le diseguaglianze l’International Aids Society (Ias) organizzò a Roma nel 1999 la State-of-the Art Conference on Treatment of Hiv Infection lancia il progetto "Share" per una chiamata a una mobilitazione collettiva mondiale. La situazione in Africa era infatti più che mai drammatica: stime parlavano dell'8% della popolazione sudafricana infetta, con 3,6 milioni di persone ammalate di Aids. Tali dati facevano del Sudafrica la nazione più colpita al mondo, con circa un quinto della popolazione infetta. Persone sieropositive sudafricane durante un'azione di protesta Nel 1999 molti nuovi farmaci videro la luce: l’Abacavir (inibitore della trascrittasi inversa), il Nelfinavir (contro la proteasi), la Delaviridina e il Efavirenz (inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa); inoltre negli Stati Uniti l'Fda garantì una procedura d'approvazione accelerata per l'inibitore della proteasi Amprenavir e molte nuove molecole erano in procinto di registrazione[15]. Nel settembre del 2000 fu messo in commercio il Lopinavir, potentissimo inibitore della proteasi. Nel 2000, a vent'anni dalla scoperta dell'epidemia, si calcolavano 16,3 milioni di decessi[15]. L'epidemia aveva ormai una dimensione geopolitica, e stimolava la solidarietà tra paesi ricchi e paesi poveri: a chi sosteneva che i brevetti dei farmaci dovessero essere sempre e comunque rispettati rispondeva chi sostiene che, davanti alla catastrofe sanitaria, fosse legittimo da parte dei paesi più poveri di accedere a diverse forme di approvvigionamento, compresi i cosiddetti farmaci generici prima dell'esauristi dei diritti. Alcune aziende farmaceutiche accettarono di ridurre significativamente il prezzo dei farmaci per il sud del mondo. Nel frattempo il presidente Bill Clinton riconobbe l'emergenza africana e varò una sorta di nuovo piano Marshall. La nuova conferenza internazionale si tenne a Durban, con 12.700 delegati di cui 1.459 erano giornalisti. Dei 36,1 milioni di sieropositivi nel 2000 (di cui 1,4 di bambini sotto i 15 anni di età), oltre il 70% viveva nell'Africa sub-sahariana e il 16% nel Sud-Est Asiatico. Ricadute positive sulla virologia e l'assistenza sanitaria Clinica per l'AIDS a McLeod Ganj, Himachal Pradesh, India, 2010 La pandemia dell'AIDS ha sollevato tutta una serie di problematiche, stimolando la popolazione mondiale a trovare soluzioni, non del tutto prive di ricadute positive in generale. I migliori centri di ricerca del mondo si sono impegnati subito in approfondite ricerche sui virus e in particolare sui retrovirus, facendo nuove scoperte in campo epidemiologico, virologico, immunologico e clinico, con un'intensità senza precedenti nella storia della medicina. Di tali scoperte hanno beneficiato tutti i soggetti immunocompromessi in generale. Le conoscenze sui virus, sul loro aggancio alle cellule dell'ospite e sulla loro replicazione hanno subito un'impennata, dalle quali sono nati nuovi farmaci antivirali. L'assistenza ai malati ha stimolato la nascita e la regolamentazione dei day-hospital e dell'assistenza domiciliare, utilizzati anche per altre forme di patologie croniche. Forme di volontariato organizzato sono sorte ovunque. Nei paesi poveri l'epidemia di AIDS ha rivelato all'opinione pubblica lo stato di abbandono di interi sub-continenti, spingendo l'intervento di molte associazioni nonprofit impegnate nella lotta all’AIDS, con risultati incoraggianti. In paesi dove ancora oggi si muore di malaria, tubercolosi, polmoniti e diarree, tutte malattie curabili con costi enormemente inferiori a quelli delle cure per l’AIDS, la diffusione di una cultura della salute, legata all'educazione, l'informazione, la prevenzione e la cura, può portare ricadute positive su tutte le patologie che affliggono i paesi poveri. L'epidemia oggi Oggi la situazione dell'epidemia nel mondo è complessa e articolata. Nel mondo occidentale categorie un tempo ad altissimo rischio, come eroinomani e omosessuali maschi, sono oggi interessate in maniera più limitata dal contagio. I primi si sono ormai circoscritti in limitate sacche di consumatori cronici, mentre i secondi hanno progressivamente preso atto dei rischi, utilizzando maggiormente il preservativo. Sebbene il consumo di eroina sia in crescita in paesi dal recente benessere, come l’Est europeo, l’Eurasia e il lontano Oriente, oggi la trasmissione eterosessuale è nettamente la prevalente causa di contagio nel mondo, quasi esclusiva in numerosi paesi. UNAIDS, organizzazione internazionale per il controllo dell'epidemia, stima le persone sieropositive in circa 39,5 milioni (2007), con 4.3 milioni di nuove infezioni nel 2006. I morti per l'epidemia quasi 3 milioni. Nella sola Africa subsahariana sono stimati 24,7 milioni di persone HIV+ viventi, 460.000 nell’Africa settentrionale, 7,8 milioni nel SudEst asiatico, 740.000 in Europa, 1,7 milioni nell’Europa dell’Est e in Asia centrale, 1,7 milioni in America Latina, 1,4 milioni in America Settentrionale, 250.000 nei Caraibi e 81.000 in Australia[38]. Le nuove infezioni erano stimate nel 2006 a 2,8 milioni per l’Africa sub-sahariana, 860.000 per il Sud-Est e del Sud asiatici, 270.000 per l’Europa dell’Est e l’Asia centrale, 140.000 per l’America Latina, 43.000 per l’America Settentrionale e 22.000 per l'Europa occidentale. Il problema legato all'HIV/AIDS nei paesi sviluppati è oggi rappresentato soprattutto da una pericolosa attenuazione progressiva della percezione del rischio nella collettività: l'AIDS non è più sentito come un'emergenza e l'attenzione di media, istituzioni e della stessa comunità scientifica è progressivamente crollata. La morte per AIDS viene vista come un evento eccezionale, e il rischio di contagio è sistematicamente sottostimato, soprattutto nei giovani, che arrivano all’appuntamento con le prime esperienze sessuali privi delle adeguate conoscenze, e nella popolazione ultraquarantenne, soprattutto immigrata. Le conseguenze di questo stato si leggono nel numero costante dei contagi, che si è stabilizzato e non accenna a diminuire (soprattutto per le trasmissioni di tipo sessuale), e nella fase ormai avanzata della malattia a cui arriva una fetta sempre più larga di persone ignare del proprio contagio. Tra il 40 e il 50% di HIV+ scoprono di esserlo solo alla prima infezione opportunistica, dopo essere stati per mesi o anni possibili fonti di contagio e quando non possono ormai più godere i benefici di una diagnosi precoce, richiedendo un più difficile trattamento terapeutico L'ultima conferenza mondiale a Washington (23-26 luglio 2012) ha evidenziato soprattutto il problema dell'accesso ai farmaci nei paesi meno ricchi, dimostrando progressi incoraggianti in questo senso: oggi sono circa 8 milioni le persone HIV+ in Africa subsahariana che possono accedere a una terapia antiretrovirale. La prossima conferenza mondiale si terrà a Melbourne a luglio 2014 e presenterà, in particolare, le caratteristiche peculiari del virus HIV nell'area asiatico-pacifica. In Italia In Italia, come nel resto del mondo occidentale, il contagio da HIV si è trasformato da epidemia (col picco endemico raggiunto all'inizio degli anni '80 con circa 18.000 nuove infezioni all'anno) a endemia. Le nuove infezioni all'anno si sono stabilizzate in circa 3500-4000[38], un numero che mostra una leggera riduzione solo tra i consumatori di sostanze per via iniettiva, mentre resta costante tra eterosessuali e omosessuali maschi. Nel 2010 i nuovi casi sono stati 5,5 ogni 100.000 residenti, con un'incidenza maggiore nel centro nord e minore al sud e nelle isole. In particolare il contagio riguarda in percentuale maggiore gli stranieri residenti (un contagio su tre, 20 nuovi casi su 100.000 stranieri residenti). I rapporti sessuali non protetti sono all'origine dell'80,7% di tutte le segnalazioni (eterosessuali 49,8%, omosessuali 30,9%), l'età media di persone che scoprono il contagio è 39 anni per i maschi e 35 per le femmine, tra i quali oltre un terzo si accorge della malattia solo in una fase avanzata. A quest'ultima fascia appartengono soprattutto persone di età sopra i 40 anni, prevalentemente eterossessuali e più spesso stranieri. Stime europee parlano di un sieropositivo su quattro che non sa di esserlo. Le tendenza degli ultimi dieci anni riguardano essenzialmente: l'aumento delle infezioni contratte attraverso rapporti sessuali la diminuzione di nuovi contagi attraverso il consumo di sostanze per via iniettiva l'aumento di casi tra i residenti stranieri la diminuzione delle infezioni tra le donne l'aumento dell'età media e delle nuove infezioni in persone con oltre 50 anni di età. È aumentata anche la percentuale di nuovi contagi sotto i 25 anni Tra i sintomi che hanno portato alla diagnosi dell'Aids sono diminuite la candidosi polmonare o esofagea, mentre sono aumentati i linfomi. Dal 1982 in Italia sono stati segnalati circa 64.000 casi di Aids, con quasi 40.000 decessi (2010)[41], i sieropositivi sono stimati in circa 130-140.000 (2006): non è obbligatoria la loro segnalazione da parte di provincie e regioni (le stime si basano sui modelli di UNAIDS), mentre è obbligatoria quella di casi di Aids conclamato. 0 Commenti gio 04 set 2014 Per non dimenticare Gli orrori di una guerra, di tutte le guerre A Sant’Anna di Stazzema, la mattina del 12 agosto 1944, si consumò uno dei più atroci crimini commessi ai danni delle popolazioni civili nel secondo dopoguerra in Italia. La furia omicida dei nazi-fascisti si abbattè, improvvisa e implacabile, su tutto e su tutti. Nel giro di poche ore, nei borghi del piccolo paese, alla Vaccareccia, alle Case, al Moco, al Pero, ai Coletti, centinaia e centinaia di corpi rimasero a terra, senza vita, trucidati, bruciati, straziati. Quel mattino di agosto a Sant’Anna uccisero i nonni, le madri, uccisero i figli e i nipoti. Uccisero i paesani ed uccisero gli sfollati, i tanti saliti, quassù, in cerca di un rifugio dalla guerra. Uccisero Anna, l’ultima nata nel paese di appena 20 giorni, uccisero Evelina, che quel mattino aveva le doglie del parto, uccisero Genny, la giovane madre che, prima di morire, per difendere il suo piccolo Mario, scagliò il suo zoccolo in faccia al nazista che stava per spararle, uccisero il prete Innocenzo, che implorava i soldati nazisti perché risparmiassero la sua gente, uccisero gli otto fratellini Tucci, con la loro mamma. 560 ne uccisero, senza pietà in preda ad una cieca furia omicida. Indifesi, senza responsabilità, senza colpe. E poi il fuoco, a distruggere i corpi, le case, le stalle, gli animali, le masserizie. A Sant’Anna, quel giorno, uccisero l’umanità intera. La strage di Sant’Anna di Stazzema desta ancora oggi un senso di sgomento e di profonda desolazione civile e morale, poiché rappresenta una delle pagine più brutali della barbarie nazifascista, il cancro che aveva colpito l’Europa e che devastò i valori della democrazia e della tolleranza. Rappresentò un odioso oltraggio compiuto ai danni della dignità umana. Quel giorno l’uomo decise di negare se stesso, di rinunciare alla difesa ed al rispetto della persona e dei diritti in essa radicati. 0 Commenti sab 01 mar 2014 Olio di palma prima causa deforestazione in Indonesia. Certificazione RSPO una farsa La principale causa della deforestazione in Indonesia tra il 2009 e il 2011 continua a essere la produzione di olio di palma. È quanto rivela il rapporto pubblicato oggi da Greenpeace International dal titolo "Certificando la distruzione", che denuncia come dall'olio di palma dipenda ben un quarto della perdita di superficie forestale del Paese. La ricerca, condotta sul campo dagli attivisti, dimostra come la maggior parte della deforestazione avvenga in concessioni controllate da membri della RSPO (Tavola Rotonda per l'Olio di Palma Sostenibile) un'organizzazione nata per garantire la sostenibilità della produzione dell'olio di palma in Indonesia. Tra queste la multinazionale Wilmar International con sede a Singapore. Il dato più allarmante contenuto nel rapporto è proprio che il 39 per cento degli incendi forestali che hanno coinvolto la Provincia di Riau nel primo semestre del 2013 si sono verificati in concessioni certificate come "sostenibili" dalla stessa RSPO. La RSPO si vanta di annoverare tra i propri membri i leader della sostenibilità nel settore dell'olio di palma ma gli standard della propria certificazione lasciano gli stessi membri liberi di distruggere le foreste, drenare le torbiere e appiccare incendi dolosi. "Anno dopo anno gli incendi forestali creano il caos, rendendo irrespirabile l'aria dall'Indonesia a Singapore e producendo migliaia di sfollati dalle aree forestali in fiamme - denuncia Chiara Campione, responsabile della campagna Foreste di Greenpeace Italia -. I membri della RSPO dicono di avere delle precise politiche che vietano l'uso del fuoco per preparare il terreno alle nuove piantagioni ma non si rendono conto che le torbiere, una volta distrutta la foresta e drenata l'acqua diventano delle polveriere. Basta una scintilla per scatenare l'inferno". Dal mese di giugno, Greenpeace ha contattato più di 250 aziende internazionali che consumano olio di palma per i propri prodotti chiedendo come fanno a garantire che le loro filiere non siano contaminate da fenomeni come la deforestazione e l'incendio delle ultime torbiere indonesiane. Dalle risposte ricevute finora sembra che la maggior parte di queste si basi solo ed esclusivamente sulla certificazione RSPO per garantire la sostenibilità dei propri prodotti. L'unica soluzione per le aziende che acquistano olio di palma indonesiano è andare oltre la certificazione RSPO. Alcuni lo stanno già facendo. Questa è la sfida che Greenpeace lancia oggi all'industria dell'olio di palma. "Sapone, cioccolata, sughi pronti, biscotti, shampoo e persino prodotti per la pulizia della casa sono tutti fatti con olio di palma. Le aziende che producono questi comunissimi beni di consumo devono poter garantire a noi consumatori che acquistando questi prodotti non stiamo inconsapevolmente accelerando la distruzione di uno degli ultimi polmoni del Pianeta e i cambiamenti climatici" - conclude Campione. Il rapporto "Certificando la distruzione" è disponibile in inglese al seguente link: www.greenpeace.org/international/certifying-destruction 0 Commenti mer 26 feb 2014 Bretagna: la protesta di Notre-Dame-des-Landes arriva a Nantes leggi di più 0 Commenti ven 07 feb 2014 COSA ARRIVA A FARE L'UOMO? la crudeltà dell'uomo rappresentata in un cartone animato 1 Commenti gio 06 feb 2014 4 consigli per non sprecare il cibo Ieri è stata la Giornata Mondiale dell’Alimentazione e siamo certi che per molti è stata un’occasione per interrogarsi e ripensare le proprie scelte in fatto di alimentazione e, perchè no, anche gli sprechi ad essa correlati. Secondo i dati di Waste Watcher, l’Osservatorio internazionale dell’Università di Bologna, in Italia ogni anno si buttano 76 chili di cibo per ogni cittadino. Ciò significa che il 25% della spesa in prodotti alimentari per un motivo o per un altro finisce nella spazzatura. Dal mio punto di vista sprecare cibo è eticamente inaccettabile. Non voglio fare la morale a nessuno ma trovo la cosa molto irritante. Opulenza e consumismo potrebbero essere le cause che ci hanno portato a tanto, che hanno cioè creato individui inclini a gettare alimenti ancora commestibili. Ed anche se siamo in piena crisi, per molte persone sprecare alimenti è ormai un’abitudine, qualcosa di inevitabile e di ineluttabile. Nel Regno Unito ormai da anni si sono resi conto che al di là della questione etica, lo spreco di cibo non fa altro che nuocere all’ambiente creando una grossa quantità di rifiuti da smaltire che mette in difficoltà le amministrazioni. Per questo il governo tramite il WRAP (Waste & Resources Action Programme) dal 2007 porta avanti “Love food hate waste”, una grande campagna di comunicazione pubblica e permanente rivolta a tutti i cittadini per sensibilizzarli ed educarli alla questione. Nel corso del tempo sono state intraprese molteplici azioni e si sono susseguite svariate iniziative. Fra le ultime, il rilascio di un’utile applicazione disponibile sia per iPhone che per dispositivi Android, che permette di pianificare la propria spesa, di riutilizzare gli avanzi attraverso alcune ricette e di ridurre gli scarti. Numerosi i destinatari dell’azione comunicativa di questo imponente programma. Io stessa che anni fa ne avevo parlato in qualche articolo sono stata omaggiata di alcuni utili gadget, tra cui un misuratore di spaghetti. Ecco a voi alcuni utili consigli che spero vi aiuteranno a minimizzare lo spreco alimentare. Sono azioni di buon senso che spesso dimentichiamo o semplicemente sottovalutiamo: Comperare le giuste quantità. Conservare gli alimenti in modo corretto. Consumare i cibi che scadono prima. Riciclare gli avanzi, come facevano i nostri nonni. http://www.econote.it 0 Commenti mar 14 gen 2014 Piccoli e scuri, puzzano e rubano: pregiudizio contro gli italiani Pregiudizio contro gli italiani Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Piccoli e scuri, puzzano e rubano «Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Molti puzzano perché tengono lo stesso vestito per settimane. Si costruiscono baracche nelle periferie. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano in 2 e cercano una stanza con uso cucina. Dopo pochi giorni diventano 4, 6, 10. Parlano lingue incomprensibili, forse dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l'elemosina; spesso davanti alle chiese donne e uomini anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano sia perché poco attraenti e selvatici, sia perché è voce diffusa di stupri consumati quando le donne tornano dal lavoro. I governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, di attività criminali». «Non amano l'acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l'elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici, ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali». «Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano pur che le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell'Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione». Il fenomeno dell'italofobia è riferito soprattutto ai paesi del Nordamerica e dell'Europa centro-settentrionale (Germania, Svizzera, Belgio, Francia ecc.) e dell'est europeo (relegato principalmente alla Slovenia e ad una parte della Croazia). Nel caso del Nord America e dell'Europa centro-settentrionale si pensa che la causa fu l'emigrazione italiana di massa giunta a coprire settori occupazionali considerati disagevoli, che gli abitanti locali rifiutavano di svolgere per ragioni sanitarie o di convenienza sociale (come ad esempio il settore minerario)[senza fonte]. Nel caso della Slovenia e Croazia (ed anche dell'Austria) la causa principale va imputata alle quattro guerre d'indipendenza italiane e relative ostilità nazionalistiche ed etniche. Nel linciaggio di New Orleans accaduto nel 1891 furono linciati 9 italiani, tutti siciliani, accusati ingiustamente di aver ucciso il capo della polizia urbana. Nell'agosto del 1893 la cittadina francese di Aigues-Mortes fu teatro di un conflitto tra operai francesi ed italiani (soprattutto piemontesi, ma anche lombardi, liguri, toscani) impiegati nelle saline di Peccais, che si trasformò in un vero e proprio eccidio con nove morti e un centinaio di feriti tra i lavoratori italiani. La tensione che ne seguì fece sfiorare la guerra tra i due Paesi. In un tribunale dell'Alabama, nel 1922 (processo Rollins versus Alabama), una donna italiana venne dichiarata "non appartenente alla razza bianca" — criterio sul quale si fondava il giudizio della corte. Durante il processo agli anarchici italiani Sacco e Vanzetti, avvenuto a Boston nel 1927, il pregiudizio contro gli immigrati (italiani) emerse con chiarezza e contribuì, pur non essendo il pregiudizio decisivo, alla loro condanna a morte. In Australia, gli italiani del centro e del sud dal 1891 agli anni sessanta del XX secolo erano schedati dagli uffici dell'immigrazione come Coloured, Semi-White oppure Olive — per via della pelle olivastra. A Kalgoorlie, in Australia Occidentale, nel 1934 provenienti dal Sud Europa vennero incendiate, e gli Italiani, gli Yugoslavi e i Greci dovettero scappare dalla città. Il sentimento anti-italiano in Svizzera si manifestò nel 1971 con un fatto di violenza: l'uccisione dell'immigrato italiano Alfredo Zardini. Il presidente statunitense Richard Nixon, durante la sua visita in Italia all'inizio degli anni settanta, dichiarò che non soltanto gli italiani si comportavano in un modo diverso dagli altri europei, ma avevano anche un "odore" diverso. La copertina della rivista tedesca Der Spiegel nel 1977, il periodo più acuto degli anni di piombo, mostrava la foto di un piatto di spaghetti conditi con sopra una pistola, in riferimento alla presenza del terrorismo in Italia. Fu replicata nel 2006, in occasione dei mondiali di calcio: l'intento era ironico, ma con sfumature razziste, vista la decontestualizzazione dell'immagine (originariamente riferita a fatti di violenza). Nel 1990 all'appassionato di golf John A. Segalla, ricco imprenditore dello Stato del Connecticut, venne negata l'iscrizione ad un prestigioso ed esclusivo circolo del golf a causa del cognome italiano. Egli rispose all'oltraggio costruendo un proprio golf nel 1993. In una rivista giapponese del 2006 è apparsa una classifica intitolata Itaria-jin no ya-na tokoro besto ten (Le dieci cose peggiori degli italiani), che descrive gli italiani come bugiardi, ritardatari e irrispettosi delle regole (questo è un esempio di anti-italianismo "leggero", in quanto l'avversione per un gruppo va di pari passo con l'individuazione di luoghi comuni negativi che lo caratterizzano). Nel 2006 il quotidiano tedesco Die Zeit pubblica sulla versione on-line un articolo sulla qualificazione dell'Italia (a spese della Germania) alla finale dei Mondiali di calcio del 2006 titolandolo "Mafia in Finale";l'intento è satirico ma viene considerato offensivo e di cattivo gusto.[9] Il 10 ottobre 2007, in Germania, il Tribunale di Bückeburg ha ridotto da 8 a 6 anni di carcere la pena di un cameriere italiano riconosciuto colpevole di stupro, sequestro di persona e violenza di gruppo verso la sua ragazza. Nel formulare tale giudizio si tenne anche in considerazione la sua origine sarda. Nella sentenza di condanna, la riduzione di pena è stata così giustificata dal giudice tedesco: "Si deve tenere conto delle particolari impronte culturali ed etniche dell'imputato. È sardo. Il quadro del ruolo dell'uomo e della donna, esistente nella sua patria, non può certo valere come scusante, ma deve essere tenuto in considerazione come attenuante". Nel 2008, in Germania, la catena di negozi Media Markt ha commissionato una serie di spot pubblicitari che hanno per protagonista un italiano vestito come un buzzurro (canottiera con stemma tricolore, occhiali da sole sulla fronte, catena d'oro al collo, baffetti neri e parlata maccheronica) che si comportava come un truffatore sempre pronto a turlupinare il prossimo compiacendosi dei suoi biechi sotterfugi. La macchietta appare assai simile al personaggio di Alberto Bertorelli, protagonista di una vecchia sit-com della BBC. Nel 2012, a proposito del naufragio della Costa Concordia, il settimanale tedesco Der Spiegel attacca in modo duro il comportamento degli italiani, esemplificato, secondo la rivista, da quello del comandante Francesco Schettino; questo provoca una piccata replica di un giornalista italiano. Tipologia di termini dispregiativi Termini riferiti all'alimentazione tipica Garlics (dall'inglese garlic, aglio); Pepperoni (utilizzato negli Stati Uniti); Maccaronì (utilizzato negli anni cinquanta e sessanta in Belgio contro i minatori italiani, anche in Francia); Maiser (in Svizzera, uomo del mais, polentone); Los Polpettoes; Pizzagang; Spaghetti; Spaghettifresser (mangiaspaghetti, nei paesi di lingua tedesca); Pastar (da pronunciare "pashtar", parola croata che significa Colui che mangia la pasta); Mangiarane (Žabar in croato/sloveno) in Paesi dell'ex Jugoslavia e dai tempi di Tito, nonostante questo termine oggi sia riferito più che altro ai francesi; Makaroniarz ("un appassionato della pasta"; makaron=la pasta) in Polonia. Makaronarji/Makaroni (tra gli Sloveni). Broccoli (storpiatura dall'americano "Brooklyn", così pronunciato dagli emigranti italiani che arrivavano nel porto di New York tra la fine del secolo XIX e l'inizio del XX); Termini riferiti all'onomastica[modifica | modifica sorgente] Dago; Negli USA è usato per tutti i popoli "latini". Deriva dal nome proprio Diego; forse dalla parola Dago - coltello;[senza fonte] Black dago (dago nero); Gino (femminile: Gina), usato in Canada; Guido (femminile: Guidette), usato negli USA; Tony; Alfonso (in Lituania, un Alfonso è un racconta bugie — il raccontare frottole può essere espresso con l'espressione "makaronų kabinti"); Tano (deriva da "napolitano", usato in Argentina e Uruguay) Termini riferiti alle abitudini linguistiche[modifica | modifica sorgente] Digic (termine croato derivato dall'italiano dire attraverso la parola giuliano-veneta digo); Digó (termine del gergo ungherese derivato dall'italiano dico attraverso la pronuncia — anche meridionale — digo); Goombah (nell'area di New York, dall'italiano compare, derivante dal dialettale cumpà); Minghiaweisch (dall'esclamazione italiana minchia e "weisch?", cioè capisci? in svizzero tedesco, usata in Ticino per definire gli italiani di seconda generazione presenti in Svizzera tedesca - evidenzia le difficoltà a parlare in italiano senza influenze dialettali e senza influenze tedesche); Paisà (nell'area di New York con riferimento all'espressione italiana paesano, la cui deformazione dialettale suona letteralmente "paisà"); Rital (in francese, da franco-italien: evidenziava la difficoltà degli immigrati a pronunciare la R francese); Walsche e Sentas (in Alto Adige: dalla diffusa abitudine di rivolgersi al prossimo con l'espressione "senta" — percepita come uno sgradito imperativo); Wop (assonanza col termine napoletano guappo: significa without papers/passport, persone senza documenti). È uno dei più usati negli USA[17]; Zabar (dal croato "zaba", che significa rana: fa riferimento alla pronuncia degli italiani del settentrione, che viene accostata ai suoni emessi dalle rane). Termini riferiti a pregiudizi etnici[modifica | modifica sorgente] Guinea (viene dalla falsa credenza che gli italiani siano in parte africani a causa della carnagione scura presente in alcuni di essi. È diminutivo di Guinea Negro, usato negli anni '50/'60 negli Stati Uniti; Mozzarellanigger (suona all'incirca come negro-mozzarella, da nigger: il pregiudizio assimila italiani ed africani, con l'aggiunta di "mozzarella", che gioca sul vasto consumo di questo alimento da parte degli italiani e sul colore della pelle più chiaro); Wog (utilizzato, soprattutto in Australia, contro le popolazioni dell'Europa meridionale e del Mediterraneo); Mafiamann e Mafiosi (singolare) o mafioso: usato in Germania. Termini riferiti alla Storia Katzelmacher, Katzener (deriva dall'accusa di tradimento della 1ª guerra mondiale, lanciata dall'Austria e dall'incorporazione di terre, con riferimento a quelle abitate prevalentemente da popolazioni di lingua di ceppo germanico. Secondo le varie fonti "Katzelmacher" deriva da "facitori di gattini" nel senso della prolificità familiare oppure "venditori di cucchiai", derivante dalle attività dei commercianti ambulanti transfrontalieri, i termini sono diffusi in tutti i paesi di lingua tedesca ed in tutte le aree appartenenti alla Repubblica italiana, che in passato erano austriache. Il termine si diffuse rapidamente nell'Impero grazie all'opera satirica del disegnatore Arpad, che aveva predisposto un libello intitolato "Maledetto Katzelmacher" e che raffigurava la caricatura di un bandito meridionale. Ampiamente citato in quasi tutte le opere storiche sulla 1ª GM); Verräter (dal tedesco "traditori", generalizzazione attribuita agli italiani già nella prima guerra mondiale ma ancora di più dopo l'8 settembre del 1943; diffusa in Germania ed in alcune zone dell'Austria); (taliani, talijani, 'talianat (diffusi nelle "provincie irredente", in particolare nel Litorale Adriatico di lingua friulana e slovena e nel trentino); taliani de legno (diffuso nel Litorale Adriatico ed in particolare a Trieste, ma anche in Istria e nell'ex Friuli austriaco. Deriva dal commento dell'ammiraglio austriaco vincitore (dubbio di fonti sulla correzion ricevuta; non esistono documenti ufficiali scritti da Wilhelm von Tegethoff con quella frase, chi conosce la Storia della Marina Austriaca dubita che un Contrammiraglio potesse rivolgersi in quel modo all'Imperatore, che leggeva tutti i dispacci importanti al Comando Supremo. Il motto fa parte della tradizione orale delle genti nord ed est adriatiche, ma la sua origine è tutt'altro che certa) della battaglia di Lissa "Omini de fero su barche de legno ga batù omini de legno su barche de fero". A Trieste in particolare si usa anche "lianta de gnole", da un gergo locale che inverte le sillabe delle parole "lian-ta de gno-le", si usa verso tutti gli italiani quando accentuano determinate caratteristiche a loro attribuite dall'immaginario collettivo, come ad esempio pretendere spaghetti in Scandinavia, invocare la mamma, dire "lei non sa chi sono io" eccetera); regnicoli (diffuso in tutte le "terre irredente" e derivante dal nome degli immigrati con residenza in Austria ma senza cittadinanza, provenienti dal Regno d'Italia. Il termine veniva usato anche sulla stampa italiana, è "spregiativo" solo in minima parte. Ampiamente citato da molte fonti, compreso L'Italia dei cent'anni del Comandini); cifarielli abbreviato CIF (usato a Trieste, era un sinonimo di "cabibo" e derivava da un fatto di cronaca famoso agli inizi del secolo, e cioè dell'omicidio d'onore commesso dal cantante Cifariello a Napoli, i delitti d'onore erano una relativa novità per l'ambiente mitteleuropeo triestino, il termine si rivolge in prevalenza agli italiani meridionali. Il termine fu usato anche dall'Irredentista Attilio Tamaro nel 1919 e dalla polizia in un rapporto prefettizio, per manifestare quanto fosse diffuso in città dopo l'arrivo degli italiani e di come alcuni loro costumi fossero poco accetti dalla popolazione. Citato anche in Filosofia Quotidiana di Manlio Cecovini ed in alcuni dizionari vernacolari); cabibi (usato nel Litorale Adriatico, sembra che derivi dal film "le notti di Cabiria", serve per indicare gli italiani meridionali ed alcune volte per estensione, tutti gli italiani. Citato nei dizionari vernacolai); marinielli (usato a Trieste ed in particolar modo sul Carso e nella comunità slovena, si riferisce al cognome di un soldato italiano che per primo, si dice impalmò una donna di lingua madre slovena. Si riferisce al fascino mediterraneo che si dice farebbe presa sulle donne nordiche, poco abituate dai loro uomini alle attenzioni ed alle galanterie meridionali. Il termine nasconde un doppio senso "el mariniel ve frega", riferito alla presunta abitudine alla fuga dei conquistatori mediterranei, dopo che avrebbero raggiunto il loro scopi. Citato dal prof. Luccio in una conferenza, facente parte della tradizione orale locale); pigne per estensione pignate (pentole) (usato a Trieste, era un riferimento allo stemma d'Italia che assomigliava ad una pigna[non chiaro]); scafuri (usato a Trieste ed in Istria, deriva dallo sloveno "cefurj", termine spregiatico con il quale si indicano i popoli del meridione della ex Jugoslavia, per estensione applicato anche agli italiani); Altri termini Greaseball (USA: significa palla di unto. Usato per la moda della brillantina e per un pregiudizio legato alle condizioni igieniche); Itaker (in Germania, gioco di parole tra Italia e Itaca, che rimanda a giramondo, vagabondi); Carcamano (in Brasile, significa furbone, truffatore: dall'atto di calcare la mano sul piatto della bilancia barando sul peso, persona morta di fame, zampe di vacca - persona che non compra niente, persona con le mani chiuse che non spende dei denaro); Pedofilo (In brasile, quando si dice pedofilo o straniero viene in mente l´italiano. Ciò è dovuto al turismo sessuale con i minorenni nel nord-est dal Brasile. La polizia brasiliana ha scoperto che molti di loro erano turisti sessuali italiani. Questo è successo qualche anno fa e ed stato molto discusso nella TV brasiliana. E ancora dopo lo scandalo dell'exPresidente del Consiglio italiano con la supposta giovane straniera minorenne, per cui il cattivo soprannome si è ancora più diffuso in Brasile. Tschinggali (Svizzera, fine Ottocento: dalla trascrizione del suono cinq!, usato nel gioco della morra, diffusissima tra gli italiani). Nello spettacolo teatrale "Italiani Cìncali" si specula sul fatto che Tschinggali possa essere una storpiatura di Zingari, cioè vagabondi. In Svizzera erano così definiti gli italiani lavoratori, con intento chiaramente dispregiativo e allusivo alla loro condizione di "vagabondi, ladri e poco igienici". La popolazione Romanì è vittima dello stesso pregiudizio); Magnaramina (in Ticino, significa rosicchia-reticolato. Usato in pariticolare nei confronti dei lavoratori frontalieri); Shitalian (parola macedonia che fonde Italian — italiano — e shit — termine dispregiativo che indica gli escrementi); Italiashka (in Russia significa "italianaccio"). Tanos (in Argentina detto per le navi che arrivavano nel porto di Buenos Aires, in maggioranza da Napoli, per questo Napoli-tanos"). Bibliografia Jennifer Guglielmo, Salvatore Salerno, Gli italiani sono bianchi? Come l' America ha costruito la razza, Saggiatore, 2006; Direttiva razza (Direttiva 2000/43/CE del Consiglio d'Europa, 29 giugno 2000); L'orda (quando gli albanesi eravamo noi) di Gian Antonio Stella, Rizzoli (2002); (EN) Mamma Mia! : Good Italian Girls Talk Back raccolta di testimonianze fatta da Maria Coletta McLean; (EN) WOP! A Documentary History Of Anti-Italianism di Salvatore LaGumina J. (1998); L'identità italiana? Cultura migrante di Nicola Guerra. Filmografia (EN) Linciati: Lynchings of Italians in America (EN) Our Contributions: The Italians in America [3], Film-TV del 1999 per History Channel 0 Commenti mer 08 gen 2014 Notte di san Bartolomeo: la strage ugonotta La notte di San Bartolomeo è il nome con il quale è passata alla storia la strage compiuta nella notte tra il 23 ed il 24 agosto 1572 dalla fazione cattolica ai danni degli ugonotti a Parigi in un clima di rivincita indotto dalla battaglia di Lepanto e dal crescente prestigio della Spagna. La vicenda è nota anche come Strage di san Bartolomeo o Massacro di san Bartolomeo. Il massacro ebbe luogo a partire dall'ordine di Carlo IX di uccidere sistematicamente i maggiori esponenti dei protestanti, fra i quali il capo militare e politico degli ugonotti, l'ammiraglio Gaspard de Coligny, che sei giorni prima si erano radunati a Parigi, una città fortemente cattolica, in occasione delle nozze fra la sorella del re, Margherita di Valois e il protestante Enrico III di Borbone, re di Navarra e futuro re di Francia. Due giorni dopo l'attentato a Coligny gli organizzatori persero il controllo della situazione e, in un eccidio indiscriminato durato diverse settimane e destinato ad estendersi in altri centri urbani e in campagna provocò l'uccisione di un numero di persone compreso, secondo le stime moderne, fra 5.000 e 30.000. A nulla valse l'ordine, giunto dal re il 24 agosto, di cessare immediatamente gli omicidi: la strage proseguì, diventando - secondo una definizione diffusa - «il peggiore dei massacri religiosi del secolo» e macchiando il matrimonio reale con il nome di «nozze vermiglie». A lungo la tradizione storiografica ha ritenuto che la strage sia stata organizzata da Caterina de' Medici e Carlo IX per evitare che una controffensiva dei protestanti colpisse la famiglia reale dopo il tentato omicidio di Coligny. Ad ogni modo, la strage, colpendo gli ugonotti con l'uccisione di molti nobili influenti e numerosi soldati, segnò una svolta nelle guerre di religione francesi, contribuendo a diffondere fra i protestanti l'idea che «il cattolicesimo [fosse] una religione sanguinaria e traditrice». Il contesto Tra il 1560 e il 1569, furono chiamati ugonotti i protestanti francesi di tendenza calvinista. Il protestantesimo si diffuse tra la nobiltà e la borghesia francesi nella prima metà del XVI secolo. Il calvinismo, eccetto che in piccole zone, si diffuse meno nelle campagne ma ebbe una certa diffusione presso alcuni ceti popolari delle città, in particolar modo i lavoranti di professioni nuove e innovative per l'epoca (tipografi, vetrai, stampatori, barbieri...). Tale diffusione suscitò l'allarme dei cattolici, aggiungendo l'elemento religioso ai motivi di scontro politico-dinastico che opponevano la casa regnante dei Valois a quella di Guisa. Caterina de' Medici, reggente dal 1559, aveva più volte utilizzato la presenza e l'appoggio degli ugonotti per evitare di essere soffocata dalle pretese della grande nobiltà cattolica, rappresentata soprattutto dai Guisa. Storia L'attentato a Coligny in una stampa dell'epoca. Il massacro di San Bartolomeo è la conseguenza dei seguenti fatti: la Pace di Saint-Germain che pone fine alla terza guerra di religione, l'8 agosto 1570 il matrimonio tra Enrico di Navarra e Margherita di Valois, il 18 agosto 1572 il mancato assassinio dell'ammiraglio de Coligny, il 23 agosto 1572 Una pace e un matrimonio impopolare[modifica | modifica sorgente] La pace di Saint-Germain mise fine a tre anni di terribili guerre civili tra cattolici e protestanti, ma fu precaria, perché i cattolici intransigenti non l'accettarono. Il ritorno dei protestanti a corte li scandalizzava ma la regina madre Caterina de' Medici e il figlio Carlo IX, coscienti delle difficoltà finanziarie del regno, erano decisi a impedire la ripresa delle ostilità. Per concretizzare il mantenimento della pace tra i due partiti religiosi, Caterina progettò il matrimonio tra la figlia Margherita di Valois e il principe protestante Enrico di Navarra, pretendente alla corona dopo i Fils de France ed erede di una grande proprietà nella Francia sud-occidentale. Alla notizia del matrimonio, Margherita accettò l'ordine della madre (secondo una parte della tradizione storiografica pur dopo aver rifiutato, forse convinta successivamente dall'ambizione di salire al trono e dall'ottimismo che si stava diffondendo sulle nozze), ribadendo però la sua adesione convinta al Cattolicesimo. Il suo attaccamento alla fede fu contrapposto alle richieste della madre di Enrico, Giovanna d'Albret, regina di Navarra e convintamente ugonotta, che durante le trattative matrimoniali iniziate nel 1572 pose come condizione la conversione al Calvinismo della sposa: Margherita rifiutò e Giovanna, spinta dal partito protestante, accettò di ritirare la condizione dando il suo assenso poco prima di morire e cedere il trono proprio a Enrico. Lo sposo arrivò a Parigi, accompagnato da 800 gentiluomini vestiti a lutto per la morte della regina, nel luglio 1572. Le nozze furono celebrate il 18 agosto 1572 dal cardinale Carlo di BorboneVendôme, zio di Enrico, davanti alla Cattedrale di Notre Dame. Per il matrimonio non fu attesa la dispensa papale, che si era resa necessaria perché il rito riguardava fedeli di due religioni differenti, fra l'altro cugini di secondo grado fra loro. Alle nozze, definite "unione esecrabile dai gesuiti e seguite da tre giorni di festeggiamenti, non presero parte ambasciatori provenienti da nazioni cattoliche né componenti del Parlamento di Parigi. Il tentato assassinio di Coligny Nel 1572 il clima di rivincita cattolica introdotto dalla battaglia di Lepanto (1571 - Golfo di Corinto - contro l'impero ottomano) e il crescente prestigio della Spagna, sostenitrice dei Guisa, provocarono un clima di rinnovata fiducia per le posizioni cattoliche più intransigenti, favorendo il diffondersi di congiure e parole d'ordine che avrebbero portato alla strage. Il 22 agosto 1572, l'ammiraglio comandante delle forze protestanti Gaspard II de Coligny subisce un attentato, operato da Charles de Louviers, seigneur de Maurevert, dal quale esce soltanto ferito a un braccio. La storiografia non è riuscita a individuare con certezza i mandanti del tentato omicidio e risultano tre tesi: i Guisa: Carlo di Guisa, cardinale di Lorena, Enrico di Guisa e Claudio II d'Aumale sono i maggiori sospettati. Capi del partito cattolico, avrebbero voluto vendicare Francesco I di Guisa, assassinato, a loro parere, su ordine del Coligny dieci anni prima e il colpo di pistola contro l'ammiraglio protestante fu esploso da una casa appartenente ai Guisa Il duca d'Alba governatore dei Paesi Bassi in nome di Filippo II: Coligny progettava di appoggiare i ribelli fiamminghi per liberarli dal dominio spagnolo d'accordo con i Nassau. Nel mese di giugno aveva inviato clandestinamente delle truppe in aiuto della cittadinanza di Mons, assediati dal duca d'Alba e sperava, dopo il matrimonio, di portare una guerra a fondo contro la Spagna. Caterina de' Medici: secondo la tradizione, Coligny avrebbe acquisito troppa influenza sul re e Caterina avrebbe avuto il timore che il figlio trascinasse la Francia in una guerra nelle Fiandre contro i potenti spagnoli. Considerando i suoi sforzi per ristabilire la pace interna, sembra difficile credere che volesse provocare la nuova guerra interna che si sarebbe certamente scatenata dopo l'omicidio. Caterina de' Medici, in quanto donna, straniera e fiorentina (città che nel rinascimento veniva spesso associata a Machiavelli e alle congiure) fu immediata protagonista di una sorta di "leggenda nera", che la vorrebbe dietro ogni malefatta della strage di San Bartolomeo. La strage Gli aristocratici escono dal Louvre: da Intolerance (1916) Il mancato assassinio del Coligny è l'evento che scatena la crisi: gli ugonotti chiedono vendetta e la capitale è al limite di un regolamento di conti fra i partigiani dei Guisa e quelli dei Montmorency; per rassicurare i protestanti, il re Carlo IX si presenta al capezzale del ferito, promettendogli giustizia, mentre i Guisa minacciano di lasciare la famiglia reale senza la loro protezione e Caterina, che non ha dimenticato il rischio corso in occasione del tentativo di sequestro - la sorpresa di Meaux - nel 1567, avrebbe deciso la strage. La sera del 22 agosto tiene una riunione alle Tuileries con il Maresciallo di Tavannes, il Barone de Retz, René de Birague e Ludovico Gonzaga-Nevers. La sera dopo Caterina avrebbe informato il figlio - un debole di mente come il fratello suo predecessore - che i protestanti stavano complottando contro di loro. A questo punto secondo una tradizione corrente Carlo IX, gridando di collera: «Ebbene, sia! Li si uccida! Ma tutti! Che non ne resti uno che me ne si possa rimproverare!», decise l'eliminazione dei capi protestanti, con l'esclusione dei principi di Navarra e di Condé. Poco tempo dopo, le autorità municipali di Parigi furono convocate ed ebbero ordine di chiudere le porte della città e di armare anche i borghesi. La fazione cattolica facente capo ai duchi di Guisa e appoggiata dal re, dal fratello Enrico (poi Enrico III) e dalla regina madre Caterina de' Medici, nella notte tra il 23 e 24 agosto scatenò la caccia agli ugonotti convenuti in città per il matrimonio tra l'ugonotto Enrico di Navarra e Margherita di Valois. Sembra che il segnale d'inizio della strage fosse fissato dallo scoccare di un'ora imprecisata della notte delle campane della chiesa di Saint-Germain-l'Auxerrois, vicina al Louvre, dove molti dei nobili protestanti abitavano. L'ammiraglio de Coligny fu ucciso nel suo letto e scaraventato dalla finestra; i corpi degli uccisi, trascinati per le strade, furono ammassati nel cortile del Louvre. Parte della popolazione, scoperta la strage al mattino, partecipò ai massacri che durarono diversi giorni, incoraggiati dai preti che incitarono a sterminare anche gli studenti stranieri e i librai, considerati tutti protestanti. Molti cadaveri furono gettati nella Senna, come quello del de Coligny, poi ripescato, evirato e impiccato. Il re di Navarra e suo cugino Enrico di Condé, sorpresi al Louvre, furono obbligati ad abiurare la loro fede e graziati perché principi del sangue. Secondo Castelot, Elisabetta d'Austria fu svegliata dalle urla e chiese se suo marito fosse informato, ottenendo in risposta la notizia che l'ordine proveniva da lui. Dopo questa conversazione, la regina consorte chiese perdono a Dio per il marito. La strage nel resto della Francia Il lit de justice di Carlo IX Il 26 agosto il re tenne un lit de justice dove si assunse la responsabilità del massacro, dichiarando di aver voluto «prevenire l'esecuzione di una disgraziata e detestabile congiura fatta dall'ammiraglio, capo e autore, e dai suoi aderenti e complici, contro la persona del re e il suo Stato, la regina madre, i fratelli, il re di Navarra e i principi e i signori che erano presso di loro». Ma il massacro di San Bartolomeo fu seguito da molti altri: dura tutta una stagione, secondo l'espressione di Michelet. Avvertiti da testimoni, da commercianti di passaggio, incoraggiati da agitatori come il conte di Montsoreau nella Valle della Loira, le città di provincia scatenarono i loro massacri: il 25 agosto è la volta di Orléans, dove fece un migliaio di vittime, e Meaux; il 26 La Charité-sur-Loire, il 28 e il 29 Angers e Saumur, il 31 agosto Lione, l'11 settembre Bourges, il 3 ottobre Bordeaux, il 4 ottobre Troyes, Rouen, Tolosa, il 5 ottobre Albi, Gaillac, Bourges, Romans, Valence, Orange e altre ancora. La reazione delle autorità fu varia: a volte incoraggiarono il massacro, come a Meaux dove il procuratore del re diede il segnale o anche a Bordeaux, dove fu organizzato dal Parlamento, a Tolosa il governatore duca di Joyeuse, si mostrò favorevole alla strage A volte i protestanti vengono protetti chiudendoli in prigione, come Le Mans o a Tours, ma a volte le prigioni sono assaltate e i reclusi uccisi, come a Lione, Rouen, Albi. I governatori si oppongono a coloro che sostengono che la strage sia ordinata dal re stesso ma questo non sempre impedisce gli omicidi. I sovrani europei, papa Gregorio XIII compreso, appresero la notizia del massacro, «presentata come una vittoria del re contro la congiura ordinata dagli ugonotti contro di lui»: il pontefice fece cantare un Te Deum di ringraziamento, coniare una medaglia con la propria effigie per ricordare l'evento e commissionò al pittore Giorgio Vasari una serie di affreschi raffiguranti il massacro, tuttora presenti nella Sala Regia dei Palazzi vaticani. Filippo II di Spagna espresse la sua soddisfazione dichiarando che quello era il più bel giorno della sua vita; invece la regina Elisabetta I d'Inghilterra prese il lutto e fece stare l'ambasciatore francese in piedi per molte ore prima di fingere di credere, per ragioni diplomatiche, alla tesi del complotto ugonotto e del massacro preventivo. Quella strage provocò in Francia l'inizio della quarta guerra di religione. Interpretazione tradizionale Il massacro di San Bartolomeo divenne presto un tema di studio storiografico. Di fronte alle contraddizioni della politica reale, ciascuno ha cercato di darne la propria interpretazione. Secondo i protestanti, il re e la regina-madre sono responsabili di aver progettato il massacro o almeno di non aver saputo proteggere i protestanti. Scrittori come Aubigné non hanno esitato a esagerare le cifre e a trasformare l'evento come il risultato del solo conflitto religioso. I cattolici cercano di scolparsi gettando la responsabilità su altri, il maresciallo de Saulx-Tavannes, o su Margherita di Valois, che disse di non aver mai saputo nulla. In realtà, la complessità e la rapidità della tragedia fu tale che nessuno ha mai saputo veramente cogliere le differenti fasi del suo sviluppo. Rivendicando alcuni giorni dopo la paternità della strage, Carlo IX ne divenne, di fronte alla posterità, il principale responsabile. Un'altra interpretazione schematica del massacro consiste nel considerarne solo l'aspetto religioso. Al tempo della Rivoluzione, in un'epoca di tentativo di scristianizzazione, il fanatismo cattolico fu stigmatizzato e il dramma teatrale di Marie-Joseph Chénier, Charles IX ou la Saint Barthélemy (1790), ebbe un grande successo. Ancora nel XIX secolo Alexandre Dumas continuò la tradizione nel suo romanzo La Regina Margot. Nuovo orientamento storiografico Se oggi gli storici separano l'esecuzione dei capi protestanti dal massacro popolare propriamente detto, essi dibattono ancora sulle responsabilità della famiglia reale. Il problema è di trovare il grado del loro coinvolgimento nell'organizzazione del massacro. L'interpretazione tradizionale, sostenuta da Janine Garrisson, fa di Caterina de' Medici e dei suoi consiglieri i maggiori responsabili. Essi avrebbero forzato la mano di un re esitante e velleitario per decidere l'esecuzione dei principali capi militari. Denis Crouzet pone il massacro nel contesto ideologico dell'epoca. Carlo IX e Caterina non avrebbero potuto avere il disegno di assassinare Coligny, perché questo sarebbe andato contro il loro desiderio di mantenere l'armonia della persona reale. Una volta che il tentativo di uccidere l'ammiraglio è stato compiuto e che viene minacciata la riapertura di una nuova guerra a causa dell'indignazione protestante, Caterina avrebbe deciso di sopprimere tutti i capi protestanti. Per Jean-Louis Bourgeon furono i parigini, i Guisa e gli agenti di Filippo II i veri responsabili e il re e la regina madre del tutto estranei. Egli sottolinea lo stato quasi insurrezionale della città in quei giorni: già nel dicembre 1571 molte case ugonotte erano state saccheggiate e i Guisa, molto popolari nella capitale, avrebbero approfittato per fare pressione sul re e la madre ed essi sarebbero stati costretti a precedere la prossima sommossa. Per Thierry Wanegffelen, uno dei principali responsabili sarebbe il duca d'Anjou, il futuro re Enrico III. Dopo il fallito attentato al Coligny, che sarebbe stato organizzato dai Guisa e dagli spagnoli, i consiglieri italiani di Caterina de' Medici avrebbero suggerito l'eliminazione di una cinquantina di capi protestanti per profittare dell'occasione di eliminare il pericolo ugonotto, ma il re e la madre si sarebbero opposti. Tuttavia, Enrico d'Anjou, luogotenente generale del regno e presente al Consiglio reale, vide nel delitto l'occasione di imporsi al governo, accordandosi con Enrico di Guisa. La notte di San Bartolomeo sarebbe nata da questa unità d'interessi e gli uomini del duca d'Anjou avrebbero agito, secondo la mentalità dell'epoca, in nome del re. Si comprenderebbe così perché, l'indomani della strage, Caterina abbia fatto condannare attraverso una dichiarazione di Carlo IX i delitti, minacciando il Guisa: ma quando seppero del coinvolgimento di Enrico d'Anjou, si sentirono legati alla sua iniziativa e Carlo IX fu costretto ad assumersi pubblicamente la responsabilità della strage, giustificandola come un atto preventivo. Caterina de' Medici avrebbe da allora cercato di eliminare il figlio Enrico dalla successione reale, mandandolo a comandare l'assedio de La Rochelle e facendolo poi eleggere re di Polonia. Letteratura La Regina Margot di Alexandre Dumas Die Jugend des Königs Henri Quatre di Heinrich Mann. (1935) La regina maledetta di Jeanne Kalogridis. (2009) Le confessioni di Caterina De' Medici di C. W. Gortner. (2011) Il libraio notturno di Foll Francois. (2010) The Twelve Children Of Paris di Tim Willocks. (2013) Teatro[modifica | modifica sorgente] The Massacre at Paris (Il massacro di Parigi, 1593 circa) di Christopher Marlowe Musica[modifica | modifica sorgente] Gli Ugonotti, opera composta da Giacomo Meyerbeer nel 1836. Cinema Intolerance (1916) di David Wark Griffith La Regina Margot (1954) di Jean Dréville. La Regina Margot (1994) di Patrice Chéreau. Televisione The Massacre of St Bartholomew's Eve, serial della terza stagione di Doctor Who (1966) via wikipedia 0 Commenti sab 04 gen 2014 COSA SUCCEDE NEL CORPO QUANDO SI BEVE COCACOLA E AFFINI? Grazie ad Ambientebio, vediamo gli effetti minuto per minuto di quella bevanda e sue affini nel nostro corpo: Dopo 10 minuti I dieci cucchiai di zucchero contenuti in un bicchiere di cola rappresentano un colpo devastante per il corpo. Tuttavia questo bilancia l’effetto devastante che l’acido fosforico produrrebbe sull’organismo se assunto da solo. Dopo 20 minuti Si verfica un aumento dei livelli di insulina nel sangue. Il fegato converte tutto lo zucchero in grassi. Dopo 40 minuti L’ingestione di caffeina è stata completata; le pupille si dilatano . Aumenta la pressione sanguigna non appena il fegato rilascia altro zucchero nel sangue . I recettori dell’adenosina vengono bloccati e viene così inibita la sonnolenza. Dopo 45 minuti Il corpo aumenta la produzione di dopamina , un ormone che stimola il centro del piacere del cervello che ha lo stesso principio di funzionamento delle droghe pesanti . Dopo 1 ora L’ acido fosforico lega il calcio , il magnesio e lo zinco nel tratto gastrointestinale , sovralimentando così il metabolismo . Viene aumentata l’escrezione di calcio attraverso le urine. Dopo più di 1 ora Senti l’effetto diuretico della bevanda . Il corpo elimina calcio, magnesio e zinco , componenti ossee , così come il sodio . A questo punto la persona si sente irritabile o debole . In questo contesto ci dobbiamo chiedere se i consumatori sono consapevoli del ‘ cocktail ‘ che stanno ingerendo quando bevono una bottiglia di Coca-Cola e godere il suo effetto indubbiamente “rinfrescante” Bisogna ricordare che il principio attivo di questa bevanda è l’acido fosforico . A causa della sua elevata acidità , le cisterne in cui il concentrato viene trasportato devono essere resistenti a materiali altamente corrosivi . In generale , la composizione di uno dei prodotti più pubblicizzati dalla Coca -Cola, la Diet Coke , senza caffeina, ci lascia davvero a bocca aperta . Questa bevanda contiene acqua gassata , E150d , E952 , E950 , E951 , E338 , E330 , E211 ed aromi . L’acqua gassata è l’acqua con gas (anidride carbonica). Provoca la secrezione gastrica , aumenta l’acidità del succo gastrico e può causare flatulenza . E150d : è un colorante alimentare ottenuto dalla lavorazione di zucchero a determinate temperature , con o senza aggiunta di reagenti chimici . In questo caso , si aggiunge solfato di ammonio . E952 : è ciclamato di sodio , un sostituto dello zucchero . Il ciclamato è un prodotto chimico sintetico con 200 volte più dolce dello zucchero ed è usato come un sapore dolcificante artificiale . Nel 1969 fu bandito dalla Food and Drug Administration ( FDA ), perché questa sostanza come saccarina e aspartame , ha causato il cancro della vescica nei ratti . Nel 1975 ha iniziato ad essere bandito anche in Giappone , Corea del Sud e Singapore. Nel 1979 l’OMS ( Organizzazione Mondiale della Sanità ) di nuovo permesso l’uso del ciclamato . E950 : è acesulfame potassio , estremamente dolce e colpevole di alterare il funzionamento del sistema cardiovascolare . Esso contiene anche acido aspartico , una sostanza che può anche eccitare il sistema nervoso e nel tempo può portare alla dipendenza . L’acesulfame scioglie male e non è consigliabile che bambini e donne incinte consumano. E951 : aspartame è utilizzato come sostituto dello zucchero per i diabetici . È chimicamente instabile a temperature elevate perché si decompone come metanolo e fenilalanina . Il metanolo è molto pericoloso : da 5 a 10 ml sono sufficienti a distruggere il nervo ottico , causando cecità irreversibile . Quando viene riscaldato (come possibile nelle bibite mal stoccate ) l’aspartame diventa formaldeide , un potente agente cancerogeno. E338 : è l’acido fosforico . Può causare irritazione alla pelle e agli occhi . Viene utilizzato per la produzione di sali di acido fosforico di ammoniaca , sodio, calcio , alluminio , e anche nella sintesi organica per la produzione di carbone e nastri cinematografici, materiali refrattari , ceramiche, vetro , fertilizzanti , detergenti sintetici. E’ inoltre usato nel settore metallurgico e tessile e nell’industria medica . Acido citrico E330 . È diffuso in natura ed è utilizzato nell’industria alimentare e farmaceutica . Sali di acido citrico ( citrato ) sono utilizzati nell’industria alimentare e in medicina , per la conservazione del sangue . E211 : benzoato di sodio è usato come agente antisettico e antimicotico in prodotti alimentari come marmellate, succhi di frutta e yogurt agente . Non è consigliabile che vegna consumato da asmatici e le persone che sono sensibili all’aspirina . Uno studio condotto da Peter Piper , dell’Università britannica di Sheffield , ha rivelato che questo composto provoca cambiamenti signbificiativi e danni al DNA . Questo può portare a cirrosi e malattie degenerative come il Parkinson . Gli “aromi naturali” sono additivi aromatici sconosciuti . La Diet Coke quindi è ancora peggio , perché con l’ aspartame , che sostituisce lo zucchero in questa bevanda , la bevanda diventa un veleno neurotossico puro . Istituzione Culturale ICP Pachayachachiq FONTE: Ambientebio.it 0 Commenti gio 12 dic 2013 Il buono che avanza: ristoranti contro lo spreco-tuttogreen.it Lo spreco di cibo è uno dei segni più tangibili di uno stile di vita ‘usa-e-getta’ in cui si adotta il consumismo come filosofia imperante. Ma se in una Paese simbolo di consumismo come gli U.S.A. è diffusa l’abitudine di richiedere ai ristoratori una ‘doggy-bag’ per portar via le porzioni di cibo o le bottiglie di vino non consumate, anche l’Italia dovrebbe seguire questa buona pratica. Un’iniziativa interessante che va in questa direzione è quella dell’associazione Onlus Cena dell’Amicizia che a Milano sta portando avanti il progetto “Il buono che avanza”. Grazie all’impegno di quest’associazione, che opera da decenni a favore delle persone senza fissa dimora, è stato possibile istituire una rete di ristoranti che si sono schierati contro lo spreco offrendo ai loro avventori la possibilità di portare a casa i propri avanzi con le doggy bags appositamente fornite. In questo modo Cena dell’Amicizia intende sensibilizzare la popolazione ad evitare sia gli eccessi alimentari, responsabili della diffusione dell’obesità e delle malattie ad essa associate, sia gli sprechi di cibo, che rappresentano una vera e propria beffa nei confronti di chi ha difficoltà ad assicurarsi i normali pasti quotidiani. Viene, pertanto, sdoganato il gesto del portar via gli avanzi liberandolo del senso di imbarazzo da cui spesso è accompagnato nella nostra cultura. In prospettiva, l’idea della Cena dell’Amicizia è quella di estendere la rete anti-spreco ad un numero sempre maggiore di ristoranti e servizi di catering così da consentire un riciclo dei prodotti alimentari non consumati da mettere a disposizione dei bisognosi. Per ora i ristoranti aderenti sono 37 (trovate a questo link la lista) e la cosa buona è che si cominciano a vedere ristoranti aderenti anche fuori da Milano e Lombardia. Per informarsi sull’associazione, aderire all’iniziativa come ristoratori o diventare volontari si consiglia di visitare il sito ufficiale Cenadellamicizia.it 0 Commenti mer 11 dic 2013 Cibo: i prezzi aumentano per il riscaldamento globale? di Carlo Magni-tuttogreen.it Secondo uno studio svolto da alcuni ricercatori, il riscaldamento globale ha influenzato i prezzi del cibo nel mondo, poiché la coltivazione di cereali e frumento ha subìto delle modifiche a causa della disidratazione delle piante stesse, anticipato i tempi dell’impollinazione e rallentato la fotosintesi. Lester Brown, presidente dell’Earth Policy Institute di Washington, ha affermato che gli accertamenti effettuati consigliano una svolta nel sistema agricolo mondiale, visto il difficile adattamento delle piante al clima instabile degli ultimi decenni, adattando l’agricoltura a un mondo più caldo, affinché l’aumento della popolazione globale sia supportata da una maggiore disponibilità di cibo. “Continuando a coltivare sempre le stesse varietà di semi con le temperature che continuano ad aumentare, i prezzi saranno destinati a salire in continuazione”, afferma Wolfram Schlenker, uno dei ricercatori del team che ha effettuato lo studio sugli effetti del riscaldamento globale sui prezzi del cibo. Tra l’altro, gli effetti del riscaldamento stanno già abbondantemente influenzando la Terra: gli scienziati, infatti, hanno mostrato che la forte ondata di caldo che uccise migliaia di persone in Europa, nel 2003, fu causata dal riscaldamento globale, così come le inondazioni che causarono danni per 3.5 miliardi di sterline in Inghilterra, tre anni prima. I prezzi del cibo, quest’anno, sono aumentati in maniera spropositata, causando il malcontento dei paesi del Medio Oriente e dell’Africa e generando emergenze sociali e politiche. Attualmente, infatti, la quantità di cibo è sufficiente ad alimentare la popolazione mondiale. I problemi si manifestano quando cresce la domanda di carne, visto che quest’ultima non è sufficiente per sfamare tutti: per produrre un chilogrammo di carne serve la stessa quantità di grano e quindi i paesi che possono permettersi più grano sono quelli che si assicurano una maggiore quantità di carne, a sfavore dei paesi più poveri, estromessi dal mercato per via delle scarse risorse economiche di cui dispongono. Lo studio, pubblicato sulla rivista Science, ha evidenziato come l’aumento delle temperature abbia influenzato – tra il 1980 e il 2008 – la produzione agricola dei paesi tra i maggiori produttori di cereali. I modelli informatici, usati per mostrare quanto grano sarebbe stato raccolto senza il riscaldamento globale, hanno rivelato che le tonnellate di grano non raccolto per via dei cambiamenti climatici ammontano a circa 33 milioni. In particolare, paesi come la Russia e l’Italia hanno registrato una diminuzione della produzione di grano e mais ben oltre la media. Nello studio non compaiono gli Stati Uniti, il maggior produttore di cereali al mondo. Questo perché sembra che la produzione a stelle e strisce non abbia subìto bruschi rallentamenti, visto che l’aumento delle temperature è stato abbastanza contenuto rispetto ad altre zone del mondo. Secondo Schlenker “gli agricoltori americani stanno avendo fortuna, nel senso che le loro colture non hanno subito danni per via del clima e i prezzi sono rimasti alti, ricavando maggior profitto. Ma diversi modelli climatici indicano che anche gli USA sono destinati a subire gli effetti del riscaldamento globale.” 0 Commenti lun 09 dic 2013 Domande frequenti sugli OGM-Greenpeace.it leggi di più 0 Commenti gio 05 dic 2013 6 frutti dimenticati da riscoprire-tuttogreen-erika facciolla Dimenticati, snobbati, sottovalutati, disprezzati o perfino sconosciuti: quanti aggettivi negativi hanno collezionato col passare del tempo alcuni prodotti della terra e quanta ‘memoria’, quante ‘tradizioni’, quanti valori e quanti sapori di una volta sono spariti con loro? La domanda a cui cercheremo di rispondere in questo breve viaggio alla ricerca dei ‘frutti perduti’ è proprio questa. Già, perché i tempi cambiano e con essi gli stili di vita e le abitudini alimentari delle persone, sempre più condizionate dalle mode culinarie del momento, dal consumo di massa e da una scarsa conoscenza delle antiche tradizioni contadine. Spariti sia dalle nostre memorie che dalle tavole, alcuni frutti oggi considerati ‘minori’ in un tempo non lontanissimo erano preziosi perché garantivano un’ottima riserva (gratuita) di cibo e perché crescevano spontaneamente nelle campagne, nelle radure boschive e nei prati, regalando raccolti floridi e abbondanti Senza neanche saperlo, molti di voi potrebbero abitare nei pressi di un bell’alberello di pere o mele cotogne, o di azzeruole, oppure di corniole o ancora di giuggiole o corbezzoli. Ancora oggi queste piante antiche rappresentano un patrimonio inestimabile per la biodiversità che vale la pena tutelarle e ricominciare ad apprezzare, quando si vanno a scovare frutti esotici provenienti da paesi lontani, estranei alla nostra tradizione, magari pagandole a caro prezzo. Pensate che nel piccolo comune di Casola Valsenio (RA) ogni anno, in ottobre, si celebra la Festa dei frutti dimenticati, una manifestazione unica nel suo genere che è valsa a questo paesino sperduto tra gli Appennini del ravennate il titolo di ‘Paese delle erbe e dei frutti dimenticati’. Il contributo che iniziative di questo genere possono apportare al recupero delle antiche piante da frutto, e con esse di tutte quelle tradizioni che rischiano di sparire per sempre, è enorme: basti pensare che ogni anno l’evento di Casola è salutato da oltre 10.000 visitatori provenienti da tutta Italia. Ma torniamo ai nostri frutti dimenticati e cerchiamo di conoscere meglio alcuni di quelli ad oggi più ignoti o comunque spariti dai banchi della frutta dei supermercati e dei mercati ortofrutticoli. Il sorbo. E’ uno dei frutti antichi più ricco di proprietà benefiche, ottimo per confezionare marmellate o per la preparazione di un sidro molto apprezzato in alcune regioni della Francia e della Germania. L’albero della sorba (sorbus domestica) è originario dell’Europa Meridionale ed è facile trovarlo selvatico nei boschi di latifoglie sotto gli 800 metri. La bellezza della pianta, del suo fogliame e dei fiori, ha fatto sì che con gli anni venisse usata nei giardini come pianta ornamentale ma la bontà dei frutti giunti a maturazione meriterebbe altre glorie… magari le stesse che gli riservavano gli antichi romani che già nel 400 a.c. ne esaltavano le proprietà benefiche sull’intestino derivate dall’alta concentrazione di tannino, flavonoidi e vitamina C; ancora oggi le sorbe si utilizzano in erboristeria come rimedio per la dissenteria e per la cura di varie patologie a carico del sistema circolatorio. La leggenda: nella cultura europea il sorbo serviva a tenere lontani gli spiriti maligni dalle case. In dialetto bolognese, poi, l’esclamazione ‘sorbole!’ indica stupore e meraviglia. Le giuggiole. Chi di noi non ricorda il detto ‘andare in un brodo di giu ggiole‘? Dette anche ‘datteri cinesi’, derivano dalla pianta che ha il curiosissimo nome botoanico di Ziziphus zizyphus. La provenienza è ancora incerta ma qualunque sia la sua origine, il giuggiolo può essere coltivato sia in pianura che in montagna, per via della sua spiccata resistenza al freddo. Le giuggiole si raccolgono in tarda estate, meglio quando il colore della buccia diventa rosso intenso poiché la polpa raggiunge la completa maturazione, che gli conferisce il caratteristico sapore dolciastro e zuccherino. Oltre al più famoso brodo di giuggiole, questi frutti possono essere utilizzati per preparare sciroppi, marmellate e liquori La leggenda: si pensa che una specie affine al giuggiolo sia una delle due piante che servirono a preparare la corona di spine di Gesù. Per i Romani, invece, il giuggiolo simboleggiava il silenzio e per questo motivo era utilizzato per adornare i templi della dea Prudenza. In Romagna e in generale nelle case coloniche la pianta del giuggiolo veniva piantata vicino l’uscio, nella zona più esposta al sole, poiché ritenuta un portafortuna. Il corbezzolo. Molti di voi forse non l’avranno mai assaggiato, ma il corbezzolo (Arbutus Unedo) è il frutto di uno splendido arbusto sempre verde che durante la fioritura offre una cascata di fiorellini bianchi a campanella che sbocciano durante l’autunno e che nell’anno successivo si trasformano in coloratissimi frutti a bacca rosso vivo dalla polpa fresca e dolcissima. Originario del Mediterraneo Occidentale e delle coste meridionali dell’Irlanda, un tempo il corbezzolo era utilizzato per preparare un ottimo aceto aromatizzato che serviva per condire insalate e pietanze. Un altro impiego possibile è farne marmellate, decotti e infusi utili a disintossicare reni, fegato e vie urinarie e a combattere stati febbrili e diarree per le proprietà antisettiche e astringenti. La leggenda: i Latini erano attribuivano al corbezzolo poteri magici e secondo la testimonianza di Virgilio riportata nell’Eneide, sulle tombe dei defunti venivano lasciati dei ramoscelli di corbezzolo a simbolo della stima nutrita nei confronti del defunto. mele e pere cotogne . Sono frutti appartenenti all’omonima pianta, il cotogno (Cydonia oblonga), forse la più antica fra quelle conosciute. Già nel 2.000 a.C., infatti, i Babilonesi si dedicavano alla sua coltivazione, mentre greci e romani la consideravano una pianta sacra. I meli e i peri cotogni, di forma più allungata, sono utilizzati per la preparazione di marmellate, gelatine, mostarde, distillati e liquori e per la famosa ‘cotognata’, una gelatina semisolida in pezzi tipica del ragusano. Vista la loro aromaticità, i frutti del cotogno venivano utilizzati anche come profuma biancheria per armadi. Fino agli anni Sessanta la produzione del cotogno in Italia era florida e abbondante ma la minor richiesta del mercato ha indotto una netta contrazione della lavorazione a livello industriale tanto che il suo seme è oggetto di salvaguardia da parte dei SeedSaver. La leggenda: nell’antica città di Cydon (Creta), i meli e peri cotogni erano soprannominati ‘pomi d’oro’ e offerti in dono agli Dei. Fino al XVII secolo, questi frutti furono considerati un toccasana per l’azione astringente e come antidoto contro i veleni. Veniva inoltre somministrato per la cura dei mal di stomaco, in caso di inappetenze e per migliorare il funzionamento delle vie biliari. Le corniole. Sono simili ad olive he durante la maturazione cambiano frequentemente colore passando dal verde al giallo, dall’arancio al rosso accesso fino ad acquisire una colorazione ‘vinaccia’ quando è il momento di raccoglierle. Il corniolo (Cornus Mas) deve il suo nome alla durezza del legno che caratterizza la corteccia (= Cornus, corno) ed è molto diffuso nei boschi a latifoglie e nelle radure pianeggianti. Caduta in disuso come pianta da frutto, oggi è molto diffuso nei giardini come specie ornamentale. Nonostante questo la corniola è un frutto leggermente acidulo ma zuccherino al punto giusto, estremamente dissetante e ottimo per preparare delle marmellate e salse. Nella campagna emiliana e romagnola, i frutti del corniolo venivano utilizzati per produrre aceti, liquori, gelatine e dolci. L’azione tonico-astringente rende il frutto un ottimo rimedio per curare dermatiti, dolori articolari e disturbi del metabolismo. La leggenda: la tradizione narra che il Cavallo di Troia fu costruito proprio con il legno di corniolo, così come il giavellotto con il quale Romolo tracciò i confini di Roma. 1 Commenti mer 27 nov 2013 Case di Paglia: come autocostruire una casa naturale e autosufficiente con 45mila euro -Sara Bartolini Casa di paglia autocostruita. I cereali oltre che il pane, ci possono dare anche una casa. La paglia, materiale di risulta della produzione dei cereali, è infatti un ottimo materiale da costruzione ed il suo utilizzo si sta sviluppando velocemente anche in Italia. La paglia viene utilizzata nelle costruzioni sotto forma di balle o ballette pressate, che sostituiscono il tradizionale mattone in terra cotta, andando a costituire il materiale per il tamponamento e l'isolamento dei muri e delle coperture; la struttura solitamente è in legno, un materiale naturale e con ottime prestazioni anti sismiche. Dall'idea di sperimentare questo materiale e tutte le sue potenzialità nasce il progetto Filo di Paglia, un gruppo di giovani architetti e designer, che dopo essersi formati sul tema in Italia ed all'estero, mette in pratica le proprie esperienze, progettando e realizzando edifici in balle di paglia. Lo studio si occupa di progettazione, formazione e di assistenza all'autocostruzione. La realizzazione di murature in balle di paglia infatti è molto semplice, e questa semplicità permette ai proprietari di realizzare parte dell'abitazione direttamente con le proprie mani, abbattendo notevolmente i costi di costruzione. Si può decidere di realizzare da soli le murature in paglia; gli intonaci, solitamente in terra cruda e calce; o di spingersi ancora oltre e di realizzare completamente in autocostruzione la propria casa. L'autocostruzione non è uno scherzo, ed è importante che chi decide di avvicinarsi al lavoro del cantiere sia ben formato e sappia come muoversi e lavorare con gli altri "per questo organizziamo corsi di formazione, perché le persone possano provare cosa vuol dire lavorare in un cantiere e riescano a capire i propri limiti e potenzialità, prima di instradarsi in un viaggio che a volte può essere anche molto lungo. Inoltre i corsi di formazioni sono utili anche per aiutare le persone a capire che una casa in paglia è solida e duratura, che non parliamo della casa dei tre porcellini, ma di un edificio confortevole, isolato e sano", spiegano i ragazzi di Filo d'Oro. La paglia è un materiale totalmente naturale, che ha un ciclo di vita breve (ogni anno si rigenera), e che non richiede grosso impiego di energia grigia (le piante già si coltivano per la produzione dei cereali). La paglia non rilascia nell'ambiente sostanze inquinanti, ha un'elevata traspirabilità e permette alle pareti di respirare, garantendo sempre un elevato confort termo igrometrico interno agli edifici. La buona progettazione e realizzazione per un edificio in paglia è molto importante, è fondamentale proteggere il materiale in maniera adeguata da acqua e umidità, "si dice che un edificio in paglia deve avere buoni stivali ed un buon cappello!" e seguire alcuni accorgimenti in fase di realizzazione dell'edificio. Filo di Paglia ha progettato e realizzato alcuni edifici in Italia, sia aiutando i proprietari nell'autocostruzione che organizzando il lavoro di ditte specializzate. L'autocostruzione della casa 45k In particolare la casa 45K , casa di Andrea e Francesca e una delle sedi dello studio, è stato un primo banco di prova per sperimentare l'utilizzo della paglia e altre tecnologie naturali, oltre alla progettazione di arredi interni che utilizzano materiali riciclati e di scarto. La casa è stata realizzata da Andrea e Francesca completamente in autocostruzione, con un budget totale di 45.000 Euro (da qui il nome) e 3000 ore di lavoro. Le murature riprendono ed adattano al contesto italiano la tecnica canadese GREB, ma rispetto a questa propongono alcune interessanti innovazioni: il cemento che è previsto nella realizzazione della malta GREB non è stato utilizzato ed è stato sostituito con argilla e calce naturale; inoltre per dare ancora maggior stabilità e resistenza alle murature le balle di paglia sono state ulteriormente pressate e bloccate alla struttura portante in legno, andando a costituire con questa un unico corpo, così che la paglia possa contribuire alla riduzione delle eventuali azioni sismiche; inoltre, per rispondere in maniera più efficiente alle esigenze di isolamento estivo, è stata aumentata la massa del muro attraverso l'utilizzo di uno spessore maggiore di malta e di intonaco. Al centro dell'edificio si trova una stufa in terra cruda, che attraverso un sistema di ricircolo dei fumi, contribuisce al riscaldamento di tutti gli ambienti. L'impianto di riscaldamento a parete è alimentato da una pompa di calore e tutta l'energia che serve alla casa è fornita da pannelli fotovoltaici e da mini pale eoliche. La casa è un'isola, completamente autosufficiente! Si tratta di una delle prime abitazioni off – grid realizzate in Italia. Anche le finiture interne ed esterne sono realizzate con materiali naturali; il particolare colore bianco dell'intonaco esterno è dato dalla calce naturale, utilizzata per la finitura dei muri; i pavimenti sono stati realizzati in argilla, sperimentando la tecnica giapponese del Tataki, ed il particolare colore di finitura è dato dall'utilizzo di pigmenti di terra di Siena rossa e gialla; gli intonaci interni in grassello sono stati realizzati con la tecnica dell'affresco e quelli di bagno e cucina con la tecnica marocchina del Tadelakt, che attraverso l'utilizzo di una finitura realizzata con il sapone rende impermeabili e lavabili le superfici. Il costo di costruzione della casa è veramente minimo, ma anche realizzando un edificio in paglia non in autocostruzione si può arrivare ad un importante risparmio, sia nei costi di costruzione, dovuti all'utilizzo di un materiale povero, che ai costi di gestione, una casa in paglia riesce a far risparmiare il 75% su costi energetici per riscaldamento e raffrescamento. L'utilizzo di un materiale naturale a basso impatto ambientale, la facilità di costruzione, l'abbattimento dei costi per l'isolamento e per la gestione della casa rappresentano le maggiori innovazioni e potenzialità della paglia nelle costruzioni, senza considerare che a "fine vita" quasi la totalità dell'edificio può essere riciclata o biodegradata, abbattendo costi ed esternalità negative anche per le generazioni future. Potete leggere e seguire la storia della costruzione della casa sul sito www.filodipaglia.com , dove un blog ripercorre le fasi della costruzione, raccontando esperienze, difficoltà e tante soddisfazioni. 0 Commenti mar 19 nov 2013 RICETTA SEADAS O SEBADAS leggi di più 1 Commenti sab 16 nov 2013 TERRA PROMESSA Terra-Promessa-Lampedusa.pps Presentazione Microsoft Power Point [1.3 MB] Download 0 Commenti ven 15 nov 2013 ANGELI DEL FANGO, L'ALLUVIONE DI FIRENZE DEL '66 http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntate/lalluvione-di-firenze/543/default.aspx leggi di più 0 Commenti lun 11 nov 2013 LA CAMPANA DELLA CHIESA-TRILUSSA Che sôno a fa’? – diceva una Campana. Da un po’ de tempo in qua, c’è tanta gente che invece d’entrà drento s’allontana. Anticamente, appena davo un tocco la Chiesa era già piena; ma adesso ho voja a fa’ la canoffiena pe’ chiamà li cristiani cór patocco! Se l’omo che me sente nun me crede che diavolo dirà Dommineddio? Dirà ch’er sôno mio nun è più bono a risvejà la fede. No, la raggione te la spiego io: je disse un angeletto che stava in pizzo ar tetto nun dipenne da te che nun sei bona, ma dipenne dall’anima cristiana che nun se fida più de la Campana perchè conosce quello che la sona… 3 Commenti lun 28 ott 2013 Società biblica, verso una nuova traduzione della Bibbia ROMA - La Società biblica britannica e forestiera e la Società biblica in Italia prevedono per il 31 ottobre 2017, cinquecentesimo anniversario della Riforma protestante, la pubblicazione del "nuovo Testamento e Salmi" e per il 2023 la pubblicazione dell'intera Bibbia in una nuova traduzione in italiano. Lo annuncia Eric Noffke, presidente della Società biblica in Italia in una lettera rivolta alle comunità evangeliche in vista della prossima ricorrenza della "Domenica della Riforma (27 ottobre 2013). Eric Noffke scrive: «Il metodo che vorremmo seguire [per la nuova traduzione, ndr], già illustrato agli esecutivi delle chiese evangeliche, è il più corale fin dalla partenza, perché vede coinvolto un gruppo di traduttori, consulenti e revisori scelti nel mondo dell'evangelismo italiano per fare una traduzione fedele alla lettera dei testi biblici e in una lingua moderna, sotto la guida della Società biblica britannica e forestiera e dei suoi esperti». Nella stessa lettera Eric Noffke ricorda che «il grande merito dei Riformatori, a cominciare da Martin Lutero, fu quello di richiamare la cristianità alla sua fonte, a Cristo, alla Parola di Dio fatta carne, la cui unica testimonianza autorevole si trova nelle Sacre Scritture e nel Nuovo Testamento. [gp] Per maggiori informazioni: tel. 06/69941416; fax 06/69941702; email: [email protected] - See more at: http://www.evangelici.net/notizie/1382533980.html#sthash.u1ELDHOn.dpuf 0 Commenti gio 22 ago 2013 DEL BUON USO DEL TELEFONO MOBILE, ovvero: “IL PARLATOR CORTESE” La buona educazione è il risultato di secoli di sedimenti culturali. Buon garbo ed educazione sono oggi spesso negletti ed il ritmo della vita induce a volte a trascurarne l’importanza. Buone maniere e garbo, invece, non sono formalità vuote di contenuto, bensì un modo codificato – quindi intelligibile a tutte/i- per mostrare rispetto alle persone ed il presupposto per pretenderne. Il telefono mobile o portatile, il telefonino o telefono cellulare ha un’età storica insignificante ed è largamente diffuso da molto meno; per questo non si è ancora formato un codice di comportamento nel suo utilizzo generalmente condiviso ed universalmente adottato. Molte persone si sforzano lodevolmente di adattare i canoni della buona educazione tradizionale all’uso del cellulare, ma ciascuno lo fa a suo modo e per questo spesso con poco successo o incomprensioni a dispetto delle buone intenzioni. Queste regolette sono la sintesi dei modi garbati adottati e/o suggeriti da persone diverse nell’uso del loro cellulare; esse possono costituire un aggiornamento della buona creanza in rapporto a questo aspetto della modernità. 1. Non chiedere il numero di telefono cellulare; non rivelare il tuo con leggerezza ne quello altrui senza aver prima ottenuto il consenso dell’interessata/o. 2. Non spegnere mai il telefono portatile. 3. Silenzia il telefonino se non vuoi essere disturbato; avrai comunque traccia di chi Ti ha telefonato. 4. Ricontatta sempre chi ti ha cercato al telefono cellulare. 5. Silenzia sempre il telefonino nei luoghi di culto e di intrattenimento, mentre assisiti ad un evento sportivo, durante un appuntamento di lavoro o di piacere, ad un convegno, in una riunione, a casa d’altri, ecc.. 6. Nelle riunioni e/o nelle occasioni pubbliche non esitare a chiedere a tutte/i di silenziare il rispettivo telefono portatile, se il tuo ruolo lo consente. 7. Usa prevalentemente la sola vibrazione come segnale per le telefonate in arrivo. 8. Attiva la suoneria solo quando il telefono cellulare è lontano da te e tienila bassa q.b. 9. Non giocherellare col telefonino e non esporlo in vista di chi è con te; questi potrebbe pensare che attendi una telefonata più di quanto tu non sia interessato/a alla conversazione e dispiacersene. 10. Dai la precedenza a chi ti è accanto, evitando di rispondere a telefonate mentre sei in compagnia; se non puoi farne a meno, chiedendo scusa a chi è con te, allontanati e limita all’essenziale la conversazione. 11. Se decidi di rispondere comunque ad un telefonata mentre sei in compagnia (es: se sei un passeggero in un automobile altrui, ecc.) annuncia a chi è con te che non puoi astenerti dalla risposta e scusati per questo, chiedi subito a chi ti telefona se la comunicazione è urgente e se può essere eventualmente differita accordandoti su chi ritelefonerà e quando; se concordi che sia Tu a ritelefonare, a tempo debito ricordati di farlo. 12. Non poggiare il telefono portatile sul tavolo del ristorante, il banco o il tavolino del bar e se sei solo resisti alla tentazione di usarlo mentre consumi. 13. In vacanza (al mare, durante una passeggiata in montagna, in campagna, sulle rive di un lago od un fiume, ecc.), specialmente se sei in gruppo, tieni silenziato il telefono cellulare e ritelefona a chi ti ha cercato solo in un secondo tempo. 14. Se chi è con te decide di rispondere ad una telefonata, allontanati per discrezione. 15. Se non ottieni risposta al quarto squillo, rinvia la telefonata. 16. Se telefoni mentre sei in compagnia allontanati per non disturbare il lavoro o lo svago di chi è con te (es: se fai o ricevi una telefonata mentre guardi la TV con qualcun altro). 17. Se telefoni in strada o in un luogo pubblico controlla il tono di voce, non trattare argomenti riservati (anche, ad es: “Rossi, quello che abita sul mio pianerottolo, è in vacanza per due settimane e mi ha chiesto di dar l’acqua ai suoi fiori”) o “piccanti”, non fare nomi di persone, usa un linguaggio decoroso, non gesticolare e non gironzolare. 18. Non telefonare quando sei in coda o ti stanno servendo alla posta o in banca, in biglietteria, al check-in in aeroporto, al supermercato, in un negozio o mentre un cameriere sta prendendo le ordinazioni al tuo tavolo, ecc. 19. Riduci al minimo le telefonate sui mezzi pubblici (treni, bus, taxi, ecc.). 20. A meno di rapporti confidenziali e/o di emergenze è bene telefonare ai telefoni portatili solo tra le 9 e le ore 19, evitando le ore dei pasti ed i giorni festivi; se telefoni all’estero tieni conto del fuso orario. 21. Quando telefoni entri nella privacy di qualcuna/o e ne interrompi l’attività; esordisci salutando, chiedendo per prima cosa se disturbi o se sia opportuno ritelefonare in un altro momento; non dimenticare di chiedere al/la intercolutore/rice come sta prima di avviare la conversazione. 22. Non trascurare di fare una sola breve telefonata di cortesia ai tuoi colleghi più stretti quando sono in vacanza, ma solo se pensi che gradiscano il tuo interessamento; ricordati però che se sono all’estero, una buona parte della chiamata è a loro carico; in questo caso uno SMS può forse bastare. 23. Se telefoni ad una persona con la quale non sei in confidenza, preannunciati con un SMS e chiedi quando potrai telefonare senza disturbare; chi è bene educata/o ti risponderà senz’altro. 24. Non leggere o scrivere SMS mentre stai colloquiando con qualcuna/o. 25. Usa gli SMS solo per comunicazioni informali e di rilievo minore; evita l’uso delle abbreviazioni e/o delle parole sincopate; usa la punteggiatura e le maiuscole. 26. Non usare SMS per comunicazioni che richiedono una risposta immediata; telefona! 27. Verifica il tono dello SMS prima di spedirlo; potresti inavvertitamente averne usato uno inappropriato. 28. Se ricevi un SMS (o una email) è buona educazione rispondere sempre compatibilmente con le circostanze; comunque, quanto prima è cortese dare all’interlocutore almeno un segnale di riscontro; a volte un semplice “grazie”, un “si” o un “no” o la promessa di rispondere/richiamare successivamente sono più che sufficienti, anche inviati dopo qualche ora,. 29. Non chiedere in prestito il telefono cellulare, a meno di un’assoluta necessità; in questo caso la conversazione dovrà essere estremamente essenziale, breve e concisa. 30. Non scrivere SMS mentre conduci un automobile. Non telefonare mentre guidi, anche se hai il viva voce o l’auricolare; la tua attenzione sarà comunque distratta dalla conversazione. 0 Commenti sab 03 ago 2013 Il riscaldamento globale e gli oceani (quimeteo.it) Non è solo l’atmosfera ad essere riscaldata dall’effetto serra, ma un contenitore di calore molto più influente per il clima globale La crescente concentrazione di gas ad effetto serra nell’atmosfera, come tutti ormai sappiamo, sta intrappolando sempre più radiazione infrarossa nelle vicinanze della superficie terrestre. Ci si attende che questa radiazione in eccesso riscaldi la superficie e i primi strati atmosferici, ma recenti osservazioni indicano che la maggior parte del calore è trasportata all’interno degli oceani. Nuovi lavori scientifici hanno sostanzialmente rafforzato l’evidenza che le attività umane stanno riscaldando queste immense masse d’acqua. Le osservazioni hanno mostrato che l’84% del calore in eccesso dal 1950 si trova attualmente negli oceani. Questo aumentato contenuto di calore degli oceani ha portato ad un’espansione termica delle acque, contribuendo almeno al 25% dell’innalzamento del livello globale dei mari relativo agli ultimi 50 anni. In figura possiamo osservare l’anomalia di temperatura della superficie oceanica, con differenze anche di 5 gradi centigradi. Il riscaldamento dell’oceano può anche portare ad una maggiore stratificazione delle acque, causando un indebolimento della circolazione globale oceanica, così come molti modelli di previsione numerica climatica confermano; inoltre, gli oceani sono un elemento chiave nel ciclo globale del carbonio, in quanto si stima che la metà del carbonio prodotto da attività umane dall’inizio dell’era industriale sia appunto contenuta in essi. Per tutte queste ragioni, gli oceani sono un posto importante dove cercare i cambiamenti climatici attesi a causa dell’effetto serra, una sorta di “impronte digitali” (fingerprints) per dirla nel linguaggio scientifico. Molti dei cambiamenti osservati alla superficie terrestre e nella libera atmosfera nel ventesimo secolo possono essere riprodotti dai modelli climatici che tengono conto dell’incremento dei gas ad effetto serra, degli aerosol associati all’inquinamento, dei cambiamenti nella radiazione solare e della riflessione di questa da parte degli aerosol vulcanici. I metodi “ad impronte digitali” usano informazioni dettagliate riguardo la risposta climatica a queste influenze esterne, allo scopo di separarle una dall’altra e dalla variabilità naturale del sistema climatico. Gli studi che usano questi metodi hanno mostrato, con ottima approssimazione, che la principale causa dell’aumento di temperatura negli ultimi 50 anni è stato causato dai gas ad effetto serra. T.P Barnett e i suoi collaboratori hanno applicato questi metodi relativamente agli storici della temperatura dei primi 700 metri di profondità oceanica dal 1960. E’ proprio in questo strato che sono stati registrati i maggiori cambiamenti di temperatura, sebbene ci sia da dire che questo strato è quello che meglio si conosce proprio perché più studiato dalla comunità scientifica. Gli autori hanno comparato i migliori dati osservativi disponibili con le simulazioni di due diversi modelli numerici. I risultati mostrano che i cambiamenti nella radiazione solare e la forzante relativa agli aerosols vulcanici non riesce a spiegare la situazione osservata di cambiamento oceanico. Il fatto che entrambi i modelli convergano a questa conclusione indica che i risultati non sono affetti in modo significativo da errori nella formulazione dei modelli. Quindi la situazione attuale, come in molti altri campi della fisica atmosferica e oceanica, è ancora in fase di studio e nuovi metodi devono ancora essere sviluppati per consentire un’indagine scientifica adeguata. Il riscaldamento degli oceani rimane comunque un argomento di primaria importanza, sia per effetti a breve termine come ad esempio gli ormai tristemente famosi uragani che colpiscono l’America del centro-nord o El Nino, sia soprattutto per effetti a lungo termine. La capacità termica dell’acqua è infatti così elevata da far sentire gli effetti di un riscaldamento anche a distanza di secoli. Bibliografia 1. T. P. Barnett et al., Science 309, 284 (2005) 2. S. Levitus, J. I. Antonov, T. P. Boyer, Geophys. Res. Lett. 32, L02604 (2005) 3. J. I. Antonov, S. Levitus, T. P. Boyer, Geophys. Res. Lett. 32, L12602 (2005) 4. U. Cubasch et al., in Climate Change 2001: The Scientific Basis. Contribution of Working Group I to the Third Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change, J. T. Houghton et al., Eds. (Cambridge Univ. Press, New York, 2001), pp. 525-582 5. C. L. Sabine et al., Science 0 Commenti gio 01 ago 2013 il-dilemma-dell-australia-miniere-carbone-o-paradisonaturale-e-scontro-tra-ambientalisti-e-colossi leggi di più 0 Commenti lun 22 lug 2013 La preghiera secondo Barth leggi di più 0 Commenti lun 15 lug 2013 La Bibbia è prima in classifica… in Norvegia A maggio le vendite hanno bissato il successo del 2012 grazie a una performance teatrale del National Theatre Company che ha portato in scena episodi tratti dal Vecchio e Nuovo Testamento. La nuova traduzione della Bibbia pubblicata dalla Norwegian Bible Society nell’ottobre 2011 è andata a prendere il posto di una vecchia edizione datata 1978 con lo scopo di migliorarne al contempo la leggibilità e la correttezza filologica. Termini troppo lontani dal linguaggio comune e la patina un po’ desueta nella sintassi sono stati rivisti in chiave moderna. Ma non è solo una questione di traduzione. La Norwegian Bible Society ha sostenuto il lancio della nuova Bibbia con una campagna marketing degna di un bestseller, con teaser delle storie bibliche fatti uscire prima del lancio ufficiale e scelte grafiche pensate per attrarre specifici target di lettori: il rosa e il denim per i teenager piuttosto che sofisticate copertine elaborate per i lettori adulti. Così, il libro dei libri ha conquistato uno dei popoli più laici d’Europa (solo l’1% dei 5 milioni di residenti frequentano abitualmente la Chiesa anche se la base evangelica e protestante è molto forte). Ma il fenomeno non è nuovo: dall’uscita al dicembre 2012, infatti, la Bibbia è stata in classifica per ben 54 settimane su 56, superando in permanenza Cinquanta sfumature di grigio e l’autobiografia di Justin Bieber e diventando – con le sue 160.000 copie – il libro più venduto del 2012! 0 Commenti mer 10 lug 2013 Disciplina domestica cristiana”. La violenza sulle donne giustificata dalla fede Si chiama DDC ed è un modo di intendere la fede cristiana che sta rapidamente prendendo piede in Italia. Le donne accettano di essere picchiate, abusate e sottomesse dai propri compagni, i quali hanno il compito di "disciplinarle" per "volere di Dio". -Redazione- -20 giugno 2013-A poche ore dall'approvazione in Senato della Convenzione di Istanbul, contro la violenza sulle donne, e in un momento in cui si parla molto di femminicidio, diventa impossibile non indignarsi di fronte a quel fenomeno che, ultimamente, sta spopolando negli Stati Uniti, trovando terreno purtroppo fertile anche in Europa e in Italia. Si chiama DDC, Disciplina Domestica Cristiana. E' una maniera aberrante di intendere e praticare la fede religiosa, basata sul sessismo e sull'abusoall'interno del matrimonio. Secondo le migliaia e migliaia di persone che vi credono, attraverso questa è possibile tornare alle origini, a prima, cioè, che Eva compisse il peccato originale offrendo la mela ad Adamo. La prima donna che sbagliò condannò, secondo quanto queste persone credono, tutte le donne a errare e soltanto l'intervento dell'uomo può aiutarle a ritrovare la giusta strada. Attraverso le punizioni corporali e la dominazione. Non si trattano neanche di tecniche sadomaso, sebbene i manuali di DDC spesso e volentieri citino pratiche a sfondo chiaramente erotico: il piacere, infatti, è secondario rispetto alla necessità di “riportare all'ordine la donna” e insegnarle a comportarsi. Dunque, se alcuni volumi insegnano al marito come picchiare la moglie, impartiscono anche lezioni su come costringerla a soddisfarlo sessualmente con l'unico intento di umiliarla e sottometterla. A ogni errore della femmina, scattano le punizioni, scelte dall'uomo, a proprio piacimento, e non vi è possibilità di ribellarsi in quanto la violenza non scaturisce, secondo loro, dal proprio compagno, bensì dalla mano stessa delSignore che intende salvarle e renderle degne del Paradiso. Inoltre, coloro che ne siano sottomesse, ringraziano per ciò che subiscono e arrivano a richiedere maggiore severità per potersi migliorare. Navigando su internet, è possibile trovare centinaia di forum e testimonianze di persone che credono nella Disciplina Domestica come adempimento della volontà di Dio. Consigli e suggerimenti, ma anche resoconti e descrizioni dettagliate delle pratiche di punizione. Qualcuno arriva anche a richiedere un ritorno dello “ius corrigendi”, il diritto cioè di punire la propria moglie, che rimase in vigore fino al 1963. La sua abolizione, secondo una blogger dedita alla DDC, per esempio, è “un peccato” per tutte coloro che “credono fermamente nel diritto del marito di correggerle, e nel proprio dovere di essere disciplinate dall'uomo che amano e di cui si fidano.” http://www.articolotre.com 4 Commenti sab 06 lug 2013 Dalla Francia un’idea ruspante, per ridurre i rifiuti ed avere uova freschissime!!! Barsac è un paesino di 2.100 abitanti della Gironda e il suo sindaco ha avuto un’idea geniale per la riduzione dei rifiuti organici. Invece di dotare i suoi cittadini di compostiere, il sindaco, Philippe Meynard, ha donato una coppia di galline a circa 150 famiglie. Questa scelta, che a prima vista sembrerebbe alquanto bizzarra, nasce da un calcolo sulla riduzione dei rifiuti organici: in un anno ogni coppia di volatili mangia circa 300 kg di rifiuti alimentari domestici (pane secco, scarti di frutta e verdura, etc…), produce 400 uova e una discreta quantità di pollina, ottimo concime per gli orti familiari. Le famiglie che hanno ricevuto in regalo la coppia di galline si sono impegnate a tenerle per due anni, a curarle e a non mettere galli nel loro pollaio. In cambio hanno ricevuto il permesso per vendere le uova in eccedenza al mercato locale. L’idea è stata già copiata da diversi sindaci della zona e di altre aree rurali francesi. L’amministrazione comunale di Podensac, un altro paese della Gironda, ha calcolato che distribuendo 1.000 galline eviterebbe lo smaltimento di 150 tonnellate di rifiuti alimentari con un risparmio per le casse comunali di 15.000€… http://unpodimondo.wordpress.com 0 Commenti ven 05 lug 2013 Per voi che andate a fare il bagno alle spiagge bianche... La Procura di Livorno ha accettato la richiesta di patteggiamento dello stabilimento Solvay di Rosignano. L’inchiesta riguarda gli scarichi a mare dello stabilimento chimico. Il reparto operativo aeronavale della Guardia di finanza di Livorno aveva scoperto che gli scarichi a mare della Solvay venivano diluiti con acque di raffreddamento; in questo modo venivano fatte rientrare nei limiti di legge le quantita’ di sostanze inquinanti sversate. Ora, la richiesta di patteggiamento verra’ inoltrata al giudice. leggi di più 0 Commenti mer 26 giu 2013 CANDID CAMERA?