La fede dei supereroi Attentato in Pakistan

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La fede dei supereroi Attentato in Pakistan
La fede dei supereroi
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mar
16
dic
2014
Attentato in Pakistan
Cari fratelli e sorelle,
ormai per gli abitanti dei paesi arabi, tradizionalmente di fede musulmana, soprattutto per loro in base
al numero delle vittime di guerre e attentati terroristici, la vita sempre più assomiglia
drammaticamente ad un inferno. A loro si aggiungono per altre guerre le vittime animiste, cristiane e
musulmane soprattutto in Africa.
Stavolta dei terroristi, in lotta contro il governo militare del Pakistan, hanno compiuto quello che avete
letto su tutti i giornali. I genitori, essendo musulmani, non sono come noi prossimi al Natale, ma forse
noi, in riferimento a questo periodo d'avvento, possiamo associare l'accaduto al racconto evangelico
della strage degli innocenti. Il Cristo nasce nel mezzo della violenza di questo mondo, soprattutto
violenza ai più deboli, e nasce per portare a questo mondo la notizia della sconfitta del peccato e della
morte.
In ogni guerra sono soprattutto i bambini e le donne le principali vittime innocenti del conflitto;
soprattutto a loro, quindi, si è reso e si rende solidale in ogni tempo e luogo, il Cristo morente sulla
croce. Possa il Dio della resurrezione occuparsi dei bambini sopravvissuti, che hanno visto quelle scene
a dir poco efferate, e consolare i genitori e i familiari dei bambini che invece sono morti. Possa Cristo
guidare anche noi che siamo lontani da quei luoghi, e indicarci il modo giusto per fare la nostra parte
nel mondo che abitiamo. Possa lo Spirito dell'amore e della vita soffiare sugli oppressi, i feriti, gli
sconsolati, gli schiavi di questa nostra umanità. Possa la Chiesa seguire il proprio Signore, a beneficio di
ogni etnia, religione, Paese. Possano le nostre preghiere unirsi a quelle che già in queste ore si levano
da moschee, sinagoghe e chiese di tutto il mondo.
Amen.
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mar
14
ott
2014
Storia dell'epidemia di HIV/AIDS
La storia dell'epidemia di HIV/AIDS viene solitamente fatta iniziare nel 1981 quando fu
riconosciuta l'esistenza di una nuova malattia in alcuni pazienti negli Stati Uniti: in realtà
l'infezione esisteva già da molti anni, ma era stata sempre scambiata per altro. Diffusasi
in maniera esponenziale in tutto il mondo (diventando una vera e propria pandemia), a
differenza di tutte le altre epidemie fino ad allora conosciute fu a lungo mortale in
percentuali vicine al 100% dei casi diagnosticati (pur nella variabilità dei tempi di
sviluppo dei sintomi). Inoltre, il legame presto dimostrato con la sfera sessuale e con
l'uso di sostanze stupefacenti (eroina), legò indissolubilmente il contagio, nell'opinione
generale, a comportamenti stigmatizzabili, in quanto "trasgressivi": la sieropositività è
ancora oggi vissuta come una condizione potenzialmente discriminatoria, che talvolta ha
anche richiesto specifici interventi legislativi.
Dal 1996 una combinazione di farmaci riesce a "immobilizzare" il virus negli individui,
bloccando lo sviluppo della sindrome immunodepressiva, ma non a eradicarlo,
cronicizzando quindi la malattia. Tutt'altro che debellata, la sindrome da HIV è diventata
endemica nei paesi sviluppati, dove è crollato il numero di decessi, ma non quello dei
contagi, mentre è ancora uno dei più gravi fattori di mortalità nei paesi in via di
sviluppo, all'origine di gravi problematiche sociali, etiche, economiche e organizzative.
Origini
L'esistenza di virus che inducono uno stato di progressiva immunodeficienza è
documentata in natura in varie specie animali, tra i quali sono più noti il FIV (Feline
Immunedeficiency Virus), legato ai felini e in particolare al gatto, e il SIV (Simian
Immunedeficiency Virus), legato a varie specie di scimmie
Passaggio di specie
Diffusione in Africa dello scimpanzé, concidente con la fascia centro-equatoriale in cui
si diffuse originariamente la malattia
È ormai accertato che il virus umano dell'HIV (Human Immunedeficiency Virus) derivi
da mutazioni di vari ceppi del SIV, con il salto di specie in un'epoca imprecisata in
alcune regioni dell’Africa occidentale sub-sahariana. I primi studi degli anni ottanta
indicavano come possibile zona d'origine del contagio la zona dei grandi laghi, mentre
gli studi più moderni si focalizzano in un'area più a ovest, nel Camerun.
Dal virus SIVcpz dello scimpanzé Pan troglodytes troglodytes deriverebbe il ceppo HIV1, responsabile dell’attuale pandemia, mentre dal virus SIVsmm, che colpisce le
scimmie Sooty Mangabey, deriverebbe il ceppo HIV-2, dotato di patogenicità e
contagiosità più limitate, che è rimasto confinato nei luoghi di origine, con l'eccezione di
alcuni soggetti infettati nelle proprie aree endemiche e poi trasferitesi in paesi
occidentali. Il primo caso di sieropositività accertato risale al 1959, quando venne
prelevato da un uomo di Leopoldville (oggi Kinshasa) un campione di sangue che,
analizzato trent'anni dopo, dimostrò di contenere anticorpi all'HIV-1. All'anno
successivo appartiene un campione di tessuti di linfonodi di una donna della stessa città,
pure infettato dal virus.
La trasmissione uomo/scimmia dovette avvenire tramite il contatto tra liquidi biologici
(ad esempio morso) o per via sessuale. Vi sono prove che gli esseri umani che
partecipano ad attività di caccia e di vendita di carne e pelli di scimmia, abbiano
contratto il SIV (teoria del cacciatore) tuttavia, solo alcune di queste infezioni sono state
in grado di causare epidemie nell'uomo e tutte si sono verificate tra la fine del XIX
secolo e l'inizio del XX secolo. Non è chiaro perché pratiche di caccia e macellazione, in
atto da secoli, abbiano prodotto un'epidemia che si è sviluppata documentatamente solo
sul finire degli anni '50, magari facilitate dal crearsi di più stretti contatti ambientali tra
uomo e scimmia a seguito della progressiva coltivazione della savana.
Esiste una teoria secondo la quale all'origine del passaggio di specie ci sia il vaccino
orale antipolio che tra il 1957 e il 1960 Hilary Koprowski sperimentò in Congo Belga. È
possibile che una parte dei vaccini destinati al Congo fosse preparata localmente
coltivando il virus della polio in tessuti di reni di scimpanzé (invece delle consueti
macachi e simili provenienti da India e Filippine) e che nel filtraggio del vaccino, oltre al
virus inattivato della polio, passassero altri virus animali, come era successo per l'SV40
negli Stati Uniti. Varie argomentazioni confutano tale ipotesi, che comunque la scienza
ha giudicato plausibile, sollecitando una maggiore prudenza nell'introduzione di
trattamenti medici derivati da tessuti animali, come i vaccini vivi attenuati e gli
xenotrapianti.
Diversi laboratori di microbiologia (fra cui il Los Alamos National Laboratory) hanno
effettuato confronti filogenetici e datazioni della sequenza "progenitrice" del gruppo
principale dell'HIV-1 (HIV-1 Gruppo M) concludendo tutte che l'introduzione dell'HIV1 nell'uomo è avvenuta nella prima metà del XX secolo (1915-1941 circa o, secondo altri
studi del 2008, entro il 1908-1930[4][10])[11][12][13]. Nel 1931 è infatti individuabile
una prima descrizione dei sintomi della Sindrome dell’Immunodeficienza Umana
Acquisita, sebbene non riconosciuta come tale e classificata come per degenerazione o
complicazione di malattie note.
La fase nascosta dell'epidemia
Il primo ceppo responsabile del contagio in Africa fu HIV-2, più simile al SIV, che
cominciò a diffondersi lungo la costa occidentale dell'Africa. In seguito fece la sua
comparsa il tipo HIV-1, lungo i paesi centro-equatoriali.
Nella seconda metà del XX secolo è stata diagnosticato in Africa un cosiddetto slim
disease ("mal sottile"), che portava misteriosamente a morte i malati per una progressiva
consunzione, e che probabilmente era l'AIDS. Il virus si dovette diffondere in aree
urbane dell'Africa (come Kinshasa), quasi esclusivamente tramite contagi eterosessuali,
per poi travalicare l'oceano alla fine degli anni sessanta. Sporadiche manifestazioni della
sindrome di immunodeficienza, riconosciuta come tale solo nei decenni successivi, sono
state infatti riscontrate nei tessuti conservati di persone decedute fin dal 1969 in America
(caso di Robert R.) e in Europa (casi di Arvid Noe e di Grethe Rask).
Negli anni settanta, favorita dalla promiscuità legata alla rivoluzione sessuale e altri
fenomeni connessi, ebbe inizio la seconda fase della malattia, che interessò Haiti, New
York e il Brasile. Haiti aveva particolari relazioni con l'Africa, e il virus qui trovò un
bacino di contagio vantaggioso soprattutto nelle comunità omosessuali maschili; fu forse
l'isola caraibica, meta del turismo gay statunitense, a fare da ponte tra l'Africa e
l'America.
Il virus in America
Lesioni del sarcoma di Kaposi, tra le infezioni opportunistiche dell'Aids
Soltanto quando il virus iniziò a colpire con forza alcuni specifici gruppi di individui, i
sospetti di essere di fronte a una nuova patologia non poterono più essere ignorati.
Grazie alla particolare forza contagiosa dei soggetti maschi e grazie alle condizioni
particolarmente favorevoli al contagio dei rapporti di tipo anale, il virus trovò infatti un
vantaggioso bacino di infezione nella comunità omosessuale maschile di alcune grandi
città americane.
Alla fine del 1980 un ricercatore dell'Università della California, Michael Gottlieb,
nell'ambito di uno studio sui deficit del sistema immunitario si imbatté in un ospedale
nel caso di un giovane paziente che soffriva di un raro tipo di polmonite dovuta al
protozoo Pneumocystis carinii, che di solito colpiva quasi esclusivamente i neonati
prematuri e i pazienti dal sistema immunitario molto indebolito (malati con tumori, o
esposti farmaci molto potenti, o trapiantati)[16]. Nei mesi successivi Gottlieb scoprì altri
tre pazienti, tutti omosessuali attivi, un basso livello di linfociti T. Considerando i lunghi
tempi di incubazione del virus prima dell'arrivo dei sintomi, l'epidemia doveva essere
arrivata già a uno stadio talmente avanzato dall'essere ormai impossibile continuare a
ignorarne i segnali.
Il 5 giugno 1981 infatti i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie di Atlanta
(CDC) pubblicarono nel bollettino Morbidity and mortality weekly report un improvviso
aumento di diagnosi di casi di polmonite da Pneumocystis carinii e di un raro tumore dei
vasi sanguigni, il Sarcoma di Kaposi, in alcuni giovani omosessuali gravitanti nelle aree
metropolitane di Los Angeles, San Francisco e New York. Il fatto non destò particolare
allarme, ma le segnalazioni di nuovi casi aumentarono vertiginosamente, tanto che già
nel luglio di quell'anno il New York Times pubblicò le constatazioni allarmanti legate a
tale notizia: i casi erano ormai centinaia (422), colpivano soggetti molto più giovani di
quanto non avvenisse normalmente, e avevano un decorso clinico estremamente grave,
con un alto numero di decessi (159). Pochi giorni dopo i CDC costituirono una task
force dedicata espressamente alla ricerca sul sarcoma di Kaposi e sulle altre infezioni
opportunistiche: si iniziò a parlare di epidemia e venne associata all'omosessualità. La
ricerca di un paziente zero negli Stati Uniti, sebbene in passato abbia prodotto il nome di
Gaëtan Dugas, non ebbe esito, anche per il lungo periodo di incubazione del virus.
Alla fine del 1981, nell'oscurità legata alle forme di trasmissione contagio, cominciano a
nascere le prime teorie sulle cause delle infezioni e dei tumori: infezione da
Cytomegalovirus (Cmv), uso di droghe, stimolazione eccessiva del sistema immunitario.
Il ricordo di alcune centinaia di morti verificatesi in Spagna per una sindrome tossica da
olio adulterato fece sospettare di non essere in presenza di una patologia contagiosa, ma
di un'intossicazione legata magari a sostanze in uso tra la comunità omosessuale, come il
nitrito d'amile (popper) utilizzato come potenziatore dell'orgasmo[7]. Alla fine dell'anno
si registrano i primi casi tra eterosessuali e il primo contagio in Europa, in
Inghilterra[15].
La malattia non aveva ancora un nome e iniziarono a circolare sulla carta stampata le
definizioni più disparate: "Gay compromise sindrome", su The Lancet,
"immunodeficienza gay-correlata" (Gay-related immune deficiency, Grid), "cancro dei
gay", "disfunzione immunitaria acquisita".
Una nuova epidemia
Un francobollo russo del 1993 dedicato all'epidemia di AIDS
La notizia di una "nuova" malattia trasmissibile fu accolta nella generale incredulità,
anche perché appena quattro anni prima (nel 1977) era entrato negli annali lo
straordinario traguardo sanitario mondiale dell'eradicazione definitiva del vaiolo: per la
prima volta nella storia della medicina si era definitivamente debellata una patologia che
mieteva milioni di vittime all'anno da millenni. Dal dopoguerra, in effetti, le migliorate
condizioni abitative, alimentari e di gestione delle acque avevano drasticamente ridotto
nei paesi sviluppati l'incidenza di patologie fino ad allora endemiche come il tifo, la
tubercolosi, le salmonellosi, mentre la diffusione delle vaccinazioni avevano estinto di
fatto infezioni gravi e frequenti come il tetano, la difterite, la poliomielite. Inoltre, la
comparsa degli antibiotici negli anni quaranta, aveva reso improvvisamente guaribili
patologie infettive come le polmoniti, gli ascessi, le sepsi e persino la peste e il colera.
In tale contesto il rischio di un'epidemia nuova e inarrestabile non figurava in nessuna
previsione della fine degli anni settanta, un periodo in cui la società concentrava le sue
preoccupazioni su temi come l'inquinamento, l'esaurimento delle fonti energetiche, i
conflitti atomici, l'effetto serra. Le epidemie fino ad allora conosciute erano infatti di tipo
"strutturale", cioè legate a carenze o inefficienze nella gestione di particolari elementi
della salute sociale (acque, alimenti, rifiuti, animali, insetti), risolvibili con interventi
strutturali e farmacologici, mentre si andavano affacciando sulla scena le epidemie
cosiddette comportamentali, legate cioè agli errori nei comportamenti degli individui, tra
le quali quella da HIV rappresenta la più estesa e pericolosa, anche perché legata alla
sfera irrazionale ed emotiva dei rapporti sessuali e della tossicodipendenza.
Nel 1982 alcuni primi casi si verificarono tra gli emofiliaci, obbligati a ricevere continue
trasfusioni, e cominciò a farsi strada l'idea che il contagio fosse legato a un'anomalia del
sangue, svanendo presto l'illusione del contagio chimico. Nell'agosto di quell'anno,
durante un congresso dalla Fda sui prodotti ematici, Bruce Voeller propose di chiamare
la nuova malattia Acquired Immune-Deficiency Syndrome (Aids), basandosi sulla
comparsa di una serie di patologie nei pazienti, tra cui infezioni opportunistiche e
neoplasie (il sarcoma di Kaposi, il linfoma di Burkitt, il linfoma primitivo cerebrale e
alcuni linfomi dei linfonodi a grado alto e intermedio) altrimenti molto rare in giovani
adulti non immunodepressi.
A fine anno morì un primo bambino emofiliaco per una trasfusione infetta e si registrò il
primo caso documentato di trasmissione verticale materno-fetale: per l'opinione pubblica
fu un vero e proprio trauma. La facilità degli spostamenti delle persone e le frequenti
occasioni di viaggio resero rapidamente l'epidemia un fatto mondiale: nel 1982 si
rigistrarono i primi casi in Italia, Canada, Brasile. In Italia in particolare il primo caso
era legato a un paziente omosessuale che si era recato più volte negli Stati Uniti; nel
1983 i casi erano 4, con caratteristiche simili, e nel 1984 18, tra cui un primo caso, a
Milano, di paziente tossicodipendente che non era mai stato all'estero.
I casi negli USA nell'82 salirono a 1614 con 619 decessi. Per il 1983 i dati
individuavano 642 omosessuali maschi contagiati, 154 tossicodipendenti, 81
tossicodipendenti omosessuali, 50 soggetti haitiani immigrati e 61 a epidemiologia
ignota. L'alta prevalenza di omosessuali maschi focalizzò inizialmente l'attenzione sulla
sola popolazione gay e il messaggio era arrivato anche all'opinione pubblica fin da
quando il New York Times titolò «Raro cancro osservato in 41 omosessuali» (1981).
Sebbene circoscrivere il rischio a un gruppo sociale ristretto e socialmente isolato poté
essere in un certo senso di conforto per l'opinione pubblica, ciò fu fuorviante e per
diversi anni distolse l'attenzione dal più concreto e reale rischio di diffusione nel mondo,
tramite i rapporti eterosessuali.
Nel frattempo, soprattutto nella fascia mediterranea, il mezzo di diffusione più veloce e
frequente fu quello del contatto ematico tra gruppi di eroinomani che condividevano la
stessa siringa: in Italia ad esempio nei primi anni ottanta il consumo di eroina era una
occasione di incontro per molti giovani, in cui si condivideva sia sostanza sia siringa[1].
Per un certo periodo l'infezione fu chiamata "delle 4 H", poiché colpiva omosessuali,
eterosessuali utilizzatori di droghe endovena, haitiani ed emofiliaci (in inglese
"homosexuals, heterosexual intravenous drug users, Haitian immigrants" e
"hemophiliacs")[21][22]
La scoperta del virus
Françoise Barré-Sinoussi, prima persona a vedere al microscopio il virus dell'HIV
Nel 1982 Robert Gallo, direttore del laboratorio di biologia cellulare dei tumori del
National Cancer Institute di Bethesda in America, accertò l'origine virale dell'epidemia,
riconoscendo l'azione di un retrovirus, appartenente a tale particolare famiglia da lui
identificata qualche anno prima nei suoi studi sulla leucemia. Il 4 novembre 1983
Françoise Barré-Sinoussi, nel laboratorio di retrovirologia dell’Istituto Pasteur di Parigi
diretto da Luc Montagnier vide al microscopio per la prima volta il virus HIV, nei tessuti
di un linfonodo prelevato da una persona infetta, ma che non aveva ancora sviluppato la
sindrome: si tratta di un paziente omosessuale che aveva come unico sintomo i linfonodi
ingrossati.
Un anno dopo, il 22 aprile 1984, i CDC dichiarano pubblicamente che il virus francese
era stato definitivamente identificato come la causa dell'Aids e il giorno successivo
venne annunciato che Robert Gallo aveva a sua volta isolato un virus prelevato da
pazienti malati di AIDS, e che per il virus sarebbe stato disponibile a breve un kit per
riconoscere le persone infette, tramite l'individuazione nel sangue della presenza o meno
di uno degli anticorpi prodotti dall'organismo contro l'infezione. Il virus di Gallo,
infettante i linfociti T umani, si rivelò poi lo stesso virus francese e tra i due istituti avviò
una vera e propria battaglia legale su chi dovesse rivendicare la scoperta, conclusa in un
certo senso con il conferimento del premio Nobel per la medicina ai francesi nel 2008.
La terza fase dell'epidemia
Un poster del 1989 che mette in guardia i rischi di contrarre l'AIDS facendo utilizzo di
droga
Dalla seconda metà degli anni '80 l'epidemia entrò nel pieno della sua "terza fase"; dopo
quella "nascosta" e quella americana e nordeuropea (quella legata prevalentemente agli
omosessuali), esplose infatti il contagio per via parenterale tra tossicodipendenti
nell'Europa centromeridionale e di nuovo negli USA, in Thailandia, in India e molte
altre regioni asiatiche e africane, raggiungendo una diffusione veramente da pandemia
mondiale. Si trattava di una via alternativa a quella sessuale (etero- e omosessuale), che
si aggiungeva alle altre fonti di contagio.
Nel 1985 si tenne ad Atlanta la prima Conferenza internazionale sull'AIDS,
sponsorizzata dall'Organizzazione mondiale della sanità, alla quale partecipano circa
2000 ricercatori provenienti da trenta nazioni. Nelle successive conferenze, che si
tennero a scadenza annuale fino al 1996, vennero via via resi noti i dati sulla diffusione
dell'epidemia. Nel 1984 ad esempio Usa i casi di contagio erano arrivati a 22.996 e
12.592 i decessi, con un decorso della malattia che aveva ancora l'allarmante dato vicino
al 100% di mortalità. Venne denunciata l'esistenza del focolaio africano, senza però
avere dati certi, e si iniziò a parlare di trasmissione eterosessuale.
Dal 1985 in Usa e Giappone si iniziò, con riluttanza, a testare gli emoderivati, in Europa
dall'anno successivo[15]. La piena cognizione che sangue ed emoderivati trasmettessero
l'AIDS avvenne tra molti ritardi, quando circa 8000 casi si erano verificati negli Stati
Uniti e 6000 in Europa, tra il 1985 e il 1992, nonostante dal 1985 si scaldassero gli
emoderivati per la neutralizzazione del virus. Ritardata fu l'esclusione dalle donazioni di
alcune categorie a rischio (come i detenuti), così come l'applicazione dei test ELISA,
specialmente in Francia.
Nel rapporto statunitense sull'epidemia del 1986 si richiamò la necessità di dare
informazioni legate al sesso. La seconda conferenza mondiale si tenne a Parigi, durante
la quale l'OMS fornisce una stima di 5/10 milioni di sieropositivi[15]. Apparve chiaro
come fosse necessario creare campagne d'informazione per arginare il contagio e
cominciarono a ventilare le prime notizie sulla ricerca legata a una possible cura. L'anno
successivo, il 1987, registrò la conferenza a Washington, in cui l'Assemblea Mondiale
della Sanità approvò una strategia globale per fronteggiare l’epidemia. Nel mondo si
contavano ormai 50.000 casi (800 in Italia).
I problemi sociali ed economici legati alla droga, la difficile emancipazione degli
omosessuali iniziata proprio in quegli anni, l'imbarazzo legato ai temi sessuali, furono
all'origine di atti di discriminazione e sottostima dei rischi. Emblematico è il caso
dell'Italia, il cui ministro della Salute, Carlo Donat-Cattin ritardò oltremodo i controlli
sulle sacche di sangue (ben tre anni dopo altri paesi europei, nel 1988) e le campagne di
informazione pubbliche sull'epidemia (pure solo dal 1988, a fronte del 1985 in Gran
Bretagna e del 1986 in paesi come Francia, Germania, Belgio, zona scandinava),
vietando di fatto di citare l'uso del profilattico come metodo di prevenzione per evitare di
"spiegarne l'uso nelle scuole" (a differenza ad esempio degli spot della TV svizzera).
Casi celebri, episodi di discriminazione e di solidarietà
Rock Hudson (a sinistra) con il presidente statunitense Ronald Reagan e la moglie
Nancy nel maggio 1984 alla Casa Bianca, un anno prima di morire di AIDS.
La prima vittima celebre che ammise pubblicamente di essere affetta da AIDS fu il divo
americano Rock Hudson, morto il 2 ottobre 1985. Il "caso Rock Hudson" portò alla
coscienza degli USA, dell'Europa e delle popolazioni di molti altri Paesi, l'esistenza della
sindrome e di come essa non fosse un destino riservato a pochi emarginati, né una
"prerogativa" del mondo omosessuale (in realtà il divo era gay, ma segretamente). La
sua immagine di uomo virile, bianco, ricco e persino repubblicano (amico personale di
Ronald Reagan), non sembrava avere nulla a che fare con lo stereotipo imperante circa la
tipologia delle vittime del morbo, dimostrando così che le convinzioni confortate dalle
statistiche sulle cosiddette "categorie a rischio", andavano senz'altro riviste.
Hudson visse sulla sua pelle la discriminazione e la psicosi legata a questa malattia di cui
si sapeva poco e faceva paura. Quando un comunicato stampa diffuse la sua reale
situazione sanitaria, l'ospedale di Parigi in cui era ricoverato si svuotò immediatamente
per il terrore del contagio. L'attore volle rientrare subito negli Stati Uniti ma il suo staff
incontrò notevoli problemi nel reperire un volo, poiché nessuna compagnia aerea voleva
averlo come passeggero. L'attrice Linda Evans, che qualche anno prima aveva baciato
Hudson sul set di Dynasty, si sottopose a controlli medici, risultando poi non infettata,
non sapendo che il virus non si trasmette col bacio.
L'amicizia con l'attore e con altre persone ammalate spinse invece Elizabeth Taylor a
impegnarsi attivamente, dedicando molto tempo e molte energie, nella lotta all'AIDS,
attraverso manifestazioni e raccolte fondi, culminate con la fondazione dell'American
Foundation for AIDS Research (AmfAR). Si stima che la Taylor abbia aiutato alla
raccolta di circa 50.000.000$ per la lotta alla malattia.
Vittima della discriminazione fu anche il ragazzo emofiliaco Ryan White, che dopo
un'iniezione di sangue contaminato contrasse il virus e, nel 1984, sebbene i medici
avessero escluso il rischio di contaminazione, fu espulso dalla scuola, diventando un
simbolo della lotta all'HIV/AIDS negli Stati Uniti: per lui intervennero Magic Johnson,
Elton John e Michael Jackson. Nel 1990, poco tempo dopo la morte di White, il
Congresso degli Stati Uniti d'America proclamò il Ryan White Care Act, fondamentale
per contrastare l'AIDS. Lo stesso anno l'epidemia mieteva un'altra vittima illustre,
l'artista Keith Haring. Una delle prime vittime eterosessuali famose fu Arthur Ashe,
tennista americano, che fu diagnosticato come positivo all'HIV il 31 agosto 1988, dopo
aver contratto il virus da trasfusioni di sangue durante un intervento chirurgico al cuore;
morì all'età di 49 anni, il 6 febbraio 1993.
Una vittima celebre nel Regno Unito fu Nicholas Eden (m. 1985), membro gay del
Parlamento inglese e figlio del defunto primo ministro Anthony Eden[29]. Il virus
provocò forse la sua più celebre vittima il 24 novembre 1991, quando la rockstar Freddie
Mercury, cantante e frontman dei Queen, morì per una patologia correlata all'AIDS dopo
aver annunciato la malattia soltanto il giorno precedente. Poco dopo seguì quella del
ballerino Rudol'f Nuriev (1993).
In Francia Michel Foucault tenne rigorosamente nascosta la sua malattia, morendo nel
1984; nel 1987 invece Jean-Paul Aron decise di rompere il silenzio, primo in Francia,
facendosi intervistare dal settimanale Nouvel Observateur in copertina e col titolo Mon
Sida ("Il mio AIDS")
In Italia ci fu più circospezione sull'argomento: la scomparsa dello scrittore Pier Vittorio
Tondelli fu ad esempio un fatto privato, passato relativamente in sordina (1991)[32];
solo nel 1992 un personaggio pubblico fece sentire la sua voce, il giornalista Giovanni
Forti, in una fase avanzata della malattia, facendosi intervistare su Rai 1 da Enzo Biagi e
pubblicando una cronaca limpida, e insieme ottimista, del suo stato su L'Espresso del 16
febbraio 1992: i colleghi del settimanale gli dedicarono la copertina, prima di morire il 4
aprile di quell'anno.
La scoperta dell'AZT
Pillole di AZT in diversi formati
Nel 1987, a tempo di record (entrando negli annali della storia della medicina), fu
approvato un primo farmaco, la molecola dell’AZT, inibitrice dell'enzima della
transcrittasi inversa virale[15]. Sebbene i risultati della terapia si sarebbero dimostrati
non pienamente soddisfacenti, per la relativa facilità con cui il virus riusciva a sviluppare
ceppi resistenti al farmaco, il farmaco dimostrò di prolungare la vita dei pazienti
rallentando lo sviluppo della sindrome. Nonostante le difficoltà di assunzione e i pesanti
effetti collaterali, il farmaco riaccese la speranza di decine di migliaia di contagiati,
creando però anche inevitabili problemi gestionali nella sua erogazione, all'origine di
disordini e di un vero e proprio mercato nero (come il caso di Ron Woodroof a Dallas).
Alla conferenza del 1988, a Stoccolma, partecipò per la prima volta una nutrita
rappresentanza di ricercatori da paesi in via di sviluppo. Seguì nel 1989 la conferenza di
Montreal, in cui per la prima volta ci fu una forte contestazione da parte di attivisti che
rivendicavano l'abbassamento del prezzo dell'AZT, arrivando al palco: negli Usa la
Burroughs Wellcome fu costretta a venire incontro a queste richieste.
Nel 1988 venne istituita la Giornata mondiale contro l'AIDS, ogni anno il 1º dicembre:
dietro tale data non c'è un evento particolarmente significativo, ma essa venne scelta in
modo da ottenere la massima copertura mediatica, dopo le elezioni USA e prima del
periodo natalizio.
In Italia, archiviato il lassismo di Donat-Cattin, il nuovo ministro Francesco De Lorenzo
fece andare in onda nel 1989 la più efficace comunicazione di massa sull'Aids nel
pubblico italiano, con una serie di spot televisivi in cui venivano mostrati i modi di
contagio (tra tossicodipendenti e con rapporti sessuali eterosessuali non protetti). In essi
un alone viola circondava i contagiati, altrimenti invisibili, invitando a prendere misure
precauzionali come l'evitare di utilizzare siringhe usate o come l'utilizzo del preservativo
nei rapporti sessuali occasionali. Celebre lo slogan "Aids, se lo conosci lo eviti"[36].
La VI conferenza internazionale Aids si tenne a San Francisco (1990) e in
quell'occasione furono migliaia gli attivisti scesi in campo, che manifestarono per
richiamare l'attenzione sulla malattia e contestare le norme discriminatorie introdotte da
George Bush, limitanti ad esempio la mobilità dei sieropositivi[15]. I dati di quell'anno
parlavano di 254.000 casi di AIDS nel mondo (6.759 in Italia), con i sieropositivi stimati
in circa 10 milioni[15].
Progressi farmacologici
Grafico dell'aspettativa di vita in alcuni paesi africani particolarmente colpiti
dall'epidemia
Nel 1991 venne approvato un nuovo farmaco anti AIDS, la DDI che, come l'AZT,
mirava a impedire la trascrittasi inversa agendo sugli enzimi coinvolti, evitando alcuni
degli effetti collaterali del precedente farmaco. Un anno dopo fu approvata la DDC, un
altro inibitore, e prese avvio lo studio clinico sulla combinazione a due farmaci.
La conferenza del 1991 si tiene a Firenze e quella successiva, l'VIII, avrebbe dovuto
tenersi a Boston, ma le norme restrittive del governo nordamericano resero necessario
uno spostamento ad Amsterdam.
Simbolo della rinata speranza fu il cestista americano Magic Johnson: dopo aver
ammesso di essere sieropositivo nel 1991, nello sconcerto generale (anche per la sua
eterosessualità), la sua malattia non progredì mai a uno stadio grave grazie all'uso dei
farmaci.
Nel 1993 scoppiò in Francia, e poi in altri paesi compresa l'Italia, lo scandalo del sangue
infetto che fece arrestare e condannare quattro funzionari della banca del sangue. La IX
conferenza si tenne a Berlino, in cui si registrò come l'epidemia si stesse diffondendo
molto rapidamente nel Sud Est Asiatico[15]. Lo stesso anno i CDC americani
introdussero una nuova definizione di AIDS, non più basata sui sintomi, ma sul livello di
linfociti T CD4+ al di sotto di 200/mm3; in Europa invece si continuò col metodo
tradizionale, includendo nella conta nuove infezioni opportunistiche quali tubercolosi
polmonare, polmonite ricorrente e carcinoma invasivo della cervice. Tale novità, legata a
considerazioni di ordine assistenziale negli Stati Uniti, portò al raddoppio virtuale
dell'incidenza di casi AIDS negli USA.
L'ingresso sul mercato del D4T si ebbe nel 1994, anno dell'ultima conferenza annuale, a
Yokohama. In seguito le conferenze si tennero ogni due anni. Nel 1994 i malati di AIDS
nel mondo erano saliti del 37%, con 985.119 casi complessivi, dei quali il 42% negli
Stati Uniti, il 33,5% in Africa, l'11,5% in Europa, l'11,5% nelle Americhe, l'1% in Asia e
lo 0,5% in Oceania; i sieropositivi erano stimati in 16 milioni, di cui un milione solo di
bambini in Africa. In Italia i dati parlavano di un infettato ogni diecimila abitanti. La
progressione farmacologica aveva già intaccato la mortalità per la malattia, che dal
100% nel 1984 era scesa al 77,5%.
Ulteriori progressi, sebbene non ancora risolutivi, si registrarono nel 1995, quando fu
approvato il saquinavir, il primo inibitore della proteasi, e il 3TC, un inibitore della
trascrittasi inversa particolarmente sinergico con altri inibitori. Il 1995 fu anche l'anno
che registrò il picco dell'epidemia, col massimo numero di nuovi casi: in Italia
arrivarono ad essere 4.515[15].
La svolta (1996)
David Ho
Il 1996 fu l'anno della svolta che vide l'abbandono della monoterapia (AZT) e delle
duplici terapie: a gennaio infatti furono presentati studi clinici sull'Haart (Highly Active
Anti-Retroviral Therapy), che presto diventò lo standard mondiale nella cura dell'Aids.
Si tratta di una combinazione di due inibitori della trascrittasi inversa, il processo che
permette al virus di trascrivere il proprio codice genetico (RNA) nello stesso linguaggio
usato dal codice genetico delle cellule dell’uomo (DNA), impedendo di essere aggredito
dai farmaci e dalla risposta immunitaria, e di un inibitore della proteasi, ovvero l'enzima
che modella le macroproteine prodotte dalle cellule infettate in una forma idonea a dar
vita a nuovi virus. Venne inoltre messo a punto un metodo per misurare la carica virale
degli individui, ovvero la presenza di copie del virus nel sangue, in modo da capire
l'efficacia delle terapie. Lo scienziato taiwanese David Ho, sulla base di modelli
matematici, sostenne che la possibilità di eradicare il virus era vicina e si guadagnò la
copertina del TIME come "uomo dell'anno".
L'offerta terapeutica si arricchisce di nuovi farmaci, come la Nevirapina, primo inibitore
non nucleosidico della trascrittasi inversa, l’Indinavir e il Ritonavir, agenti contro la
proteasi. L'XI Conferenza Internazionale Aids a Vancouver si chiuse per la prima volta
intravedendo una luce in fondo al tunnel. I risultati delle nuove terapie non tardano
infatti ad arrivare: la mortalità per AIDS calò rapidamente e nettamente (negli Stati Uniti
si dimezza già dal primo anno), i ricoveri diminuirono drasticamente e la fiducia,
l'ottimismo e l'entusiasmo tornarono tra medici e pazienti affetti da HIV.
Nuovi progressi e la catastrofe africana[modifica | modifica wikitesto]
Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Diffusione dell'HIV in Africa.
Prevalenza stimata di HIV nei giovani adulti (15–49 anni) per nazione alla fine del 2005.
I successivi sforzi della comunità sanitaria internazionale si spostarono quindi
sull'accessibilità delle terapie per tutti, stimando in 22 milioni gli infettati nel mondo.
Trattandosi di farmaci molto costosi, la cura rappresenta tuttora un problema per i
budget dei paesi del Nord del mondo, figuriamoci per quelli in via di sviluppo, dove
appare come una chimera irraggiungibile.
I risultati positivi delle ricerche sulle terapie di combinazione furono presentati alla XII
Conferenza Internazionale Aids di Ginevra (1998), sebbene l'entusiasmo fosse frenato
dai primi fallimenti terapeutici dell'Haart: se infatti la terapia non azzera rapidamente la
replicazione, il virus, con la sua alta mutabilità, sviluppa presto forme resistenti, per cui
è necessario ricorrere a molecole differenti; capitavano inoltre resistenze incrociate.
Nonostante ciò la terapia segnò indiscutibili successi: i numeri di decessi e i casi di
AIDS conclamato crollarono, generando però un pericoloso riflusso. Il messaggio che
prendeva piede nell'opinione pubblica era infatti che l'AIDS fosse battuto e l'epidemia
arrestata, confondendo il dato del decrescere della mortalità con quello dei nuovi
contagi, che invece restò stabile, anzi in aumento[15].
Inoltre si accrebbe il divario tra Nord e Sud del mondo: per ridurre le diseguaglianze
l’International Aids Society (Ias) organizzò a Roma nel 1999 la State-of-the Art
Conference on Treatment of Hiv Infection lancia il progetto "Share" per una chiamata a
una mobilitazione collettiva mondiale. La situazione in Africa era infatti più che mai
drammatica: stime parlavano dell'8% della popolazione sudafricana infetta, con 3,6
milioni di persone ammalate di Aids. Tali dati facevano del Sudafrica la nazione più
colpita al mondo, con circa un quinto della popolazione infetta.
Persone sieropositive sudafricane durante un'azione di protesta
Nel 1999 molti nuovi farmaci videro la luce: l’Abacavir (inibitore della trascrittasi
inversa), il Nelfinavir (contro la proteasi), la Delaviridina e il Efavirenz (inibitori non
nucleosidici della trascrittasi inversa); inoltre negli Stati Uniti l'Fda garantì una
procedura d'approvazione accelerata per l'inibitore della proteasi Amprenavir e molte
nuove molecole erano in procinto di registrazione[15]. Nel settembre del 2000 fu messo
in commercio il Lopinavir, potentissimo inibitore della proteasi.
Nel 2000, a vent'anni dalla scoperta dell'epidemia, si calcolavano 16,3 milioni di
decessi[15]. L'epidemia aveva ormai una dimensione geopolitica, e stimolava la
solidarietà tra paesi ricchi e paesi poveri: a chi sosteneva che i brevetti dei farmaci
dovessero essere sempre e comunque rispettati rispondeva chi sostiene che, davanti alla
catastrofe sanitaria, fosse legittimo da parte dei paesi più poveri di accedere a diverse
forme di approvvigionamento, compresi i cosiddetti farmaci generici prima dell'esauristi
dei diritti. Alcune aziende farmaceutiche accettarono di ridurre significativamente il
prezzo dei farmaci per il sud del mondo. Nel frattempo il presidente Bill Clinton
riconobbe l'emergenza africana e varò una sorta di nuovo piano Marshall.
La nuova conferenza internazionale si tenne a Durban, con 12.700 delegati di cui 1.459
erano giornalisti. Dei 36,1 milioni di sieropositivi nel 2000 (di cui 1,4 di bambini sotto i
15 anni di età), oltre il 70% viveva nell'Africa sub-sahariana e il 16% nel Sud-Est
Asiatico.
Ricadute positive sulla virologia e l'assistenza sanitaria
Clinica per l'AIDS a McLeod Ganj, Himachal Pradesh, India, 2010
La pandemia dell'AIDS ha sollevato tutta una serie di problematiche, stimolando la
popolazione mondiale a trovare soluzioni, non del tutto prive di ricadute positive in
generale. I migliori centri di ricerca del mondo si sono impegnati subito in approfondite
ricerche sui virus e in particolare sui retrovirus, facendo nuove scoperte in campo
epidemiologico, virologico, immunologico e clinico, con un'intensità senza precedenti
nella storia della medicina. Di tali scoperte hanno beneficiato tutti i soggetti
immunocompromessi in generale. Le conoscenze sui virus, sul loro aggancio alle cellule
dell'ospite e sulla loro replicazione hanno subito un'impennata, dalle quali sono nati
nuovi farmaci antivirali.
L'assistenza ai malati ha stimolato la nascita e la regolamentazione dei day-hospital e
dell'assistenza domiciliare, utilizzati anche per altre forme di patologie croniche. Forme
di volontariato organizzato sono sorte ovunque.
Nei paesi poveri l'epidemia di AIDS ha rivelato all'opinione pubblica lo stato di
abbandono di interi sub-continenti, spingendo l'intervento di molte associazioni nonprofit impegnate nella lotta all’AIDS, con risultati incoraggianti. In paesi dove ancora
oggi si muore di malaria, tubercolosi, polmoniti e diarree, tutte malattie curabili con
costi enormemente inferiori a quelli delle cure per l’AIDS, la diffusione di una cultura
della salute, legata all'educazione, l'informazione, la prevenzione e la cura, può portare
ricadute positive su tutte le patologie che affliggono i paesi poveri.
L'epidemia oggi
Oggi la situazione dell'epidemia nel mondo è complessa e articolata. Nel mondo
occidentale categorie un tempo ad altissimo rischio, come eroinomani e omosessuali
maschi, sono oggi interessate in maniera più limitata dal contagio. I primi si sono ormai
circoscritti in limitate sacche di consumatori cronici, mentre i secondi hanno
progressivamente preso atto dei rischi, utilizzando maggiormente il preservativo.
Sebbene il consumo di eroina sia in crescita in paesi dal recente benessere, come l’Est
europeo, l’Eurasia e il lontano Oriente, oggi la trasmissione eterosessuale è nettamente la
prevalente causa di contagio nel mondo, quasi esclusiva in numerosi paesi. UNAIDS,
organizzazione internazionale per il controllo dell'epidemia, stima le persone
sieropositive in circa 39,5 milioni (2007), con 4.3 milioni di nuove infezioni nel 2006. I
morti per l'epidemia quasi 3 milioni. Nella sola Africa subsahariana sono stimati 24,7
milioni di persone HIV+ viventi, 460.000 nell’Africa settentrionale, 7,8 milioni nel SudEst asiatico, 740.000 in Europa, 1,7 milioni nell’Europa dell’Est e in Asia centrale, 1,7
milioni in America Latina, 1,4 milioni in America Settentrionale, 250.000 nei Caraibi e
81.000 in Australia[38]. Le nuove infezioni erano stimate nel 2006 a 2,8 milioni per
l’Africa sub-sahariana, 860.000 per il Sud-Est e del Sud asiatici, 270.000 per l’Europa
dell’Est e l’Asia centrale, 140.000 per l’America Latina, 43.000 per l’America
Settentrionale e 22.000 per l'Europa occidentale.
Il problema legato all'HIV/AIDS nei paesi sviluppati è oggi rappresentato soprattutto da
una pericolosa attenuazione progressiva della percezione del rischio nella collettività:
l'AIDS non è più sentito come un'emergenza e l'attenzione di media, istituzioni e della
stessa comunità scientifica è progressivamente crollata. La morte per AIDS viene vista
come un evento eccezionale, e il rischio di contagio è sistematicamente sottostimato,
soprattutto nei giovani, che arrivano all’appuntamento con le prime esperienze sessuali
privi delle adeguate conoscenze, e nella popolazione ultraquarantenne, soprattutto
immigrata. Le conseguenze di questo stato si leggono nel numero costante dei contagi,
che si è stabilizzato e non accenna a diminuire (soprattutto per le trasmissioni di tipo
sessuale), e nella fase ormai avanzata della malattia a cui arriva una fetta sempre più
larga di persone ignare del proprio contagio. Tra il 40 e il 50% di HIV+ scoprono di
esserlo solo alla prima infezione opportunistica, dopo essere stati per mesi o anni
possibili fonti di contagio e quando non possono ormai più godere i benefici di una
diagnosi precoce, richiedendo un più difficile trattamento terapeutico
L'ultima conferenza mondiale a Washington (23-26 luglio 2012) ha evidenziato
soprattutto il problema dell'accesso ai farmaci nei paesi meno ricchi, dimostrando
progressi incoraggianti in questo senso: oggi sono circa 8 milioni le persone HIV+ in
Africa subsahariana che possono accedere a una terapia antiretrovirale.
La prossima conferenza mondiale si terrà a Melbourne a luglio 2014 e presenterà, in
particolare, le caratteristiche peculiari del virus HIV nell'area asiatico-pacifica.
In Italia
In Italia, come nel resto del mondo occidentale, il contagio da HIV si è trasformato da
epidemia (col picco endemico raggiunto all'inizio degli anni '80 con circa 18.000 nuove
infezioni all'anno) a endemia. Le nuove infezioni all'anno si sono stabilizzate in circa
3500-4000[38], un numero che mostra una leggera riduzione solo tra i consumatori di
sostanze per via iniettiva, mentre resta costante tra eterosessuali e omosessuali maschi.
Nel 2010 i nuovi casi sono stati 5,5 ogni 100.000 residenti, con un'incidenza maggiore
nel centro nord e minore al sud e nelle isole.
In particolare il contagio riguarda in percentuale maggiore gli stranieri residenti (un
contagio su tre, 20 nuovi casi su 100.000 stranieri residenti). I rapporti sessuali non
protetti sono all'origine dell'80,7% di tutte le segnalazioni (eterosessuali 49,8%,
omosessuali 30,9%), l'età media di persone che scoprono il contagio è 39 anni per i
maschi e 35 per le femmine, tra i quali oltre un terzo si accorge della malattia solo in una
fase avanzata. A quest'ultima fascia appartengono soprattutto persone di età sopra i 40
anni, prevalentemente eterossessuali e più spesso stranieri. Stime europee parlano di un
sieropositivo su quattro che non sa di esserlo.
Le tendenza degli ultimi dieci anni riguardano essenzialmente:
l'aumento delle infezioni contratte attraverso rapporti sessuali
la diminuzione di nuovi contagi attraverso il consumo di sostanze per via iniettiva
l'aumento di casi tra i residenti stranieri
la diminuzione delle infezioni tra le donne
l'aumento dell'età media e delle nuove infezioni in persone con oltre 50 anni di età. È
aumentata anche la percentuale di nuovi contagi sotto i 25 anni
Tra i sintomi che hanno portato alla diagnosi dell'Aids sono diminuite la candidosi
polmonare o esofagea, mentre sono aumentati i linfomi.
Dal 1982 in Italia sono stati segnalati circa 64.000 casi di Aids, con quasi 40.000 decessi
(2010)[41], i sieropositivi sono stimati in circa 130-140.000 (2006): non è obbligatoria la
loro segnalazione da parte di provincie e regioni (le stime si basano sui modelli di
UNAIDS), mentre è obbligatoria quella di casi di Aids conclamato.
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gio
04
set
2014
Per non dimenticare Gli orrori di una guerra, di tutte le
guerre
A Sant’Anna di Stazzema, la mattina del 12 agosto 1944, si consumò uno dei più atroci crimini
commessi ai danni delle popolazioni civili nel secondo dopoguerra in Italia.
La furia omicida dei nazi-fascisti si abbattè, improvvisa e implacabile, su tutto e su tutti. Nel giro di
poche ore, nei borghi del piccolo paese, alla Vaccareccia, alle Case, al Moco, al Pero, ai Coletti,
centinaia e centinaia di corpi rimasero a terra, senza vita, trucidati, bruciati, straziati.
Quel mattino di agosto a Sant’Anna uccisero i nonni, le madri, uccisero i figli e i nipoti. Uccisero i
paesani ed uccisero gli sfollati, i tanti saliti, quassù, in cerca di un rifugio dalla guerra. Uccisero
Anna, l’ultima nata nel paese di appena 20 giorni, uccisero Evelina, che quel mattino aveva le
doglie del parto, uccisero Genny, la giovane madre che, prima di morire, per difendere il suo
piccolo Mario, scagliò il suo zoccolo in faccia al nazista che stava per spararle, uccisero il prete
Innocenzo, che implorava i soldati nazisti perché risparmiassero la sua gente, uccisero gli otto
fratellini Tucci, con la loro mamma. 560 ne uccisero, senza pietà in preda ad una cieca furia
omicida. Indifesi, senza responsabilità, senza colpe. E poi il fuoco, a distruggere i corpi, le case, le
stalle, gli animali, le masserizie. A Sant’Anna, quel giorno, uccisero l’umanità intera.
La strage di Sant’Anna di Stazzema desta ancora oggi un senso di sgomento e di profonda
desolazione civile e morale, poiché rappresenta una delle pagine più brutali della barbarie
nazifascista, il cancro che aveva colpito l’Europa e che devastò i valori della democrazia e della
tolleranza. Rappresentò un odioso oltraggio compiuto ai danni della dignità umana. Quel giorno
l’uomo decise di negare se stesso, di rinunciare alla difesa ed al rispetto della persona e dei diritti in
essa radicati.
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sab
01
mar
2014
Olio di palma prima causa deforestazione in Indonesia.
Certificazione RSPO una farsa
La principale causa della deforestazione in Indonesia tra il 2009 e il 2011 continua a essere la
produzione di olio di palma. È quanto rivela il rapporto pubblicato oggi da Greenpeace
International dal titolo "Certificando la distruzione", che denuncia come dall'olio di palma
dipenda ben un quarto della perdita di superficie forestale del Paese.
La ricerca, condotta sul campo dagli attivisti, dimostra come la maggior parte della deforestazione
avvenga in concessioni controllate da membri della RSPO (Tavola Rotonda per l'Olio di Palma
Sostenibile) un'organizzazione nata per garantire la sostenibilità della produzione dell'olio di palma
in Indonesia. Tra queste la multinazionale Wilmar International con sede a Singapore.
Il dato più allarmante contenuto nel rapporto è proprio che il 39 per cento degli incendi forestali che
hanno coinvolto la Provincia di Riau nel primo semestre del 2013 si sono verificati in concessioni
certificate come "sostenibili" dalla stessa RSPO. La RSPO si vanta di annoverare tra i propri
membri i leader della sostenibilità nel settore dell'olio di palma ma gli standard della propria
certificazione lasciano gli stessi membri liberi di distruggere le foreste, drenare le torbiere e
appiccare incendi dolosi.
"Anno dopo anno gli incendi forestali creano il caos, rendendo irrespirabile l'aria dall'Indonesia a
Singapore e producendo migliaia di sfollati dalle aree forestali in fiamme - denuncia Chiara
Campione, responsabile della campagna Foreste di Greenpeace Italia -. I membri della RSPO
dicono di avere delle precise politiche che vietano l'uso del fuoco per preparare il terreno alle nuove
piantagioni ma non si rendono conto che le torbiere, una volta distrutta la foresta e drenata l'acqua
diventano delle polveriere. Basta una scintilla per scatenare l'inferno".
Dal mese di giugno, Greenpeace ha contattato più di 250 aziende internazionali che consumano olio
di palma per i propri prodotti chiedendo come fanno a garantire che le loro filiere non siano
contaminate da fenomeni come la deforestazione e l'incendio delle ultime torbiere indonesiane.
Dalle risposte ricevute finora sembra che la maggior parte di queste si basi solo ed esclusivamente
sulla certificazione RSPO per garantire la sostenibilità dei propri prodotti.
L'unica soluzione per le aziende che acquistano olio di palma indonesiano è andare oltre la
certificazione RSPO. Alcuni lo stanno già facendo. Questa è la sfida che Greenpeace lancia oggi
all'industria dell'olio di palma. "Sapone, cioccolata, sughi pronti, biscotti, shampoo e persino
prodotti per la pulizia della casa sono tutti fatti con olio di palma. Le aziende che producono questi
comunissimi beni di consumo devono poter garantire a noi consumatori che acquistando questi
prodotti non stiamo inconsapevolmente accelerando la distruzione di uno degli ultimi polmoni del
Pianeta e i cambiamenti climatici" - conclude Campione.
Il rapporto "Certificando la distruzione" è disponibile in inglese al seguente link:
www.greenpeace.org/international/certifying-destruction
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mer
26
feb
2014
Bretagna: la protesta di Notre-Dame-des-Landes arriva a
Nantes
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ven
07
feb
2014
COSA ARRIVA A FARE L'UOMO? la crudeltà dell'uomo
rappresentata in un cartone animato
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gio
06
feb
2014
4 consigli per non sprecare il cibo
Ieri è stata la Giornata Mondiale dell’Alimentazione e siamo certi che per molti è stata un’occasione
per interrogarsi e ripensare le proprie scelte in fatto di alimentazione e, perchè no, anche gli sprechi
ad essa correlati. Secondo i dati di Waste Watcher, l’Osservatorio internazionale dell’Università di
Bologna, in Italia ogni anno si buttano 76 chili di cibo per ogni cittadino. Ciò significa che il 25%
della spesa in prodotti alimentari per un motivo o per un altro finisce nella spazzatura. Dal mio
punto di vista sprecare cibo è eticamente inaccettabile. Non voglio fare la morale a nessuno ma
trovo la cosa molto irritante. Opulenza e consumismo potrebbero essere le cause che ci hanno
portato a tanto, che hanno cioè creato individui inclini a gettare alimenti ancora commestibili. Ed
anche se siamo in piena crisi, per molte persone sprecare alimenti è ormai un’abitudine, qualcosa di
inevitabile e di ineluttabile.
Nel Regno Unito ormai da anni si sono resi conto che al di là della questione etica, lo spreco di cibo
non fa altro che nuocere all’ambiente creando una grossa quantità di rifiuti da smaltire che mette in
difficoltà le amministrazioni. Per questo il governo tramite il WRAP (Waste & Resources Action
Programme) dal 2007 porta avanti “Love food hate waste”, una grande campagna di comunicazione
pubblica e permanente rivolta a tutti i cittadini per sensibilizzarli ed educarli alla questione.
Nel corso del tempo sono state intraprese molteplici azioni e si sono susseguite svariate iniziative.
Fra le ultime, il rilascio di un’utile applicazione disponibile sia per iPhone che per dispositivi
Android, che permette di pianificare la propria spesa, di riutilizzare gli avanzi attraverso alcune
ricette e di ridurre gli scarti. Numerosi i destinatari dell’azione comunicativa di questo imponente
programma. Io stessa che anni fa ne avevo parlato in qualche articolo sono stata omaggiata di alcuni
utili gadget, tra cui un misuratore di spaghetti.
Ecco a voi alcuni utili consigli che spero vi aiuteranno a minimizzare lo spreco alimentare.
Sono azioni di buon senso che spesso dimentichiamo o semplicemente sottovalutiamo:
Comperare le giuste quantità.
Conservare gli alimenti in modo corretto.
Consumare i cibi che scadono prima.
Riciclare gli avanzi, come facevano i nostri nonni.
http://www.econote.it
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mar
14
gen
2014
Piccoli e scuri, puzzano e rubano: pregiudizio contro gli
italiani
Pregiudizio contro gli italiani
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Piccoli e scuri, puzzano e rubano
«Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Molti puzzano perché tengono lo
stesso vestito per settimane. Si costruiscono baracche nelle periferie. Quando riescono ad
avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano in 2 e
cercano una stanza con uso cucina. Dopo pochi giorni diventano 4, 6, 10. Parlano lingue
incomprensibili, forse dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l'elemosina;
spesso davanti alle chiese donne e uomini anziani invocano pietà, con toni lamentosi e
petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono
che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano sia perché
poco attraenti e selvatici, sia perché è voce diffusa di stupri consumati quando le donne
tornano dal lavoro. I governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma,
soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel paese per lavorare e
quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, di attività criminali».
«Non amano l'acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte
settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove
vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro
prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con
uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi
incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere
l'elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre
anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a
mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati,
violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici, ma perché si
è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le
donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere
ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per
lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali».
«Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma
disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano pur che
le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran
parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell'Italia. Vi invito a controllare i
documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima
preoccupazione».
Il fenomeno dell'italofobia è riferito soprattutto ai paesi del Nordamerica e dell'Europa
centro-settentrionale (Germania, Svizzera, Belgio, Francia ecc.) e dell'est europeo
(relegato principalmente alla Slovenia e ad una parte della Croazia). Nel caso del Nord
America e dell'Europa centro-settentrionale si pensa che la causa fu l'emigrazione italiana
di massa giunta a coprire settori occupazionali considerati disagevoli, che gli abitanti locali
rifiutavano di svolgere per ragioni sanitarie o di convenienza sociale (come ad esempio il
settore minerario)[senza fonte]. Nel caso della Slovenia e Croazia (ed anche dell'Austria)
la causa principale va imputata alle quattro guerre d'indipendenza italiane e relative ostilità
nazionalistiche ed etniche.
Nel linciaggio di New Orleans accaduto nel 1891 furono linciati 9 italiani, tutti siciliani,
accusati ingiustamente di aver ucciso il capo della polizia urbana.
Nell'agosto del 1893 la cittadina francese di Aigues-Mortes fu teatro di un conflitto tra
operai francesi ed italiani (soprattutto piemontesi, ma anche lombardi, liguri, toscani)
impiegati nelle saline di Peccais, che si trasformò in un vero e proprio eccidio con nove
morti e un centinaio di feriti tra i lavoratori italiani. La tensione che ne seguì fece sfiorare la
guerra tra i due Paesi.
In un tribunale dell'Alabama, nel 1922 (processo Rollins versus Alabama), una donna
italiana venne dichiarata "non appartenente alla razza bianca" — criterio sul quale si
fondava il giudizio della corte.
Durante il processo agli anarchici italiani Sacco e Vanzetti, avvenuto a Boston nel 1927, il
pregiudizio contro gli immigrati (italiani) emerse con chiarezza e contribuì, pur non
essendo il pregiudizio decisivo, alla loro condanna a morte.
In Australia, gli italiani del centro e del sud dal 1891 agli anni sessanta del XX secolo
erano schedati dagli uffici dell'immigrazione come Coloured, Semi-White oppure Olive —
per via della pelle olivastra.
A Kalgoorlie, in Australia Occidentale, nel 1934 provenienti dal Sud Europa vennero
incendiate, e gli Italiani, gli Yugoslavi e i Greci dovettero scappare dalla città.
Il sentimento anti-italiano in Svizzera si manifestò nel 1971 con un fatto di violenza:
l'uccisione dell'immigrato italiano Alfredo Zardini.
Il presidente statunitense Richard Nixon, durante la sua visita in Italia all'inizio degli anni
settanta, dichiarò che non soltanto gli italiani si comportavano in un modo diverso dagli
altri europei, ma avevano anche un "odore" diverso.
La copertina della rivista tedesca Der Spiegel nel 1977, il periodo più acuto degli anni di
piombo, mostrava la foto di un piatto di spaghetti conditi con sopra una pistola, in
riferimento alla presenza del terrorismo in Italia. Fu replicata nel 2006, in occasione dei
mondiali di calcio: l'intento era ironico, ma con sfumature razziste, vista la
decontestualizzazione dell'immagine (originariamente riferita a fatti di violenza).
Nel 1990 all'appassionato di golf John A. Segalla, ricco imprenditore dello Stato del
Connecticut, venne negata l'iscrizione ad un prestigioso ed esclusivo circolo del golf a
causa del cognome italiano. Egli rispose all'oltraggio costruendo un proprio golf nel 1993.
In una rivista giapponese del 2006 è apparsa una classifica intitolata Itaria-jin no ya-na
tokoro besto ten (Le dieci cose peggiori degli italiani), che descrive gli italiani come
bugiardi, ritardatari e irrispettosi delle regole (questo è un esempio di anti-italianismo
"leggero", in quanto l'avversione per un gruppo va di pari passo con l'individuazione di
luoghi comuni negativi che lo caratterizzano).
Nel 2006 il quotidiano tedesco Die Zeit pubblica sulla versione on-line un articolo sulla
qualificazione dell'Italia (a spese della Germania) alla finale dei Mondiali di calcio del 2006
titolandolo "Mafia in Finale";l'intento è satirico ma viene considerato offensivo e di cattivo
gusto.[9]
Il 10 ottobre 2007, in Germania, il Tribunale di Bückeburg ha ridotto da 8 a 6 anni di
carcere la pena di un cameriere italiano riconosciuto colpevole di stupro, sequestro di
persona e violenza di gruppo verso la sua ragazza. Nel formulare tale giudizio si tenne
anche in considerazione la sua origine sarda. Nella sentenza di condanna, la riduzione di
pena è stata così giustificata dal giudice tedesco: "Si deve tenere conto delle particolari
impronte culturali ed etniche dell'imputato. È sardo. Il quadro del ruolo dell'uomo e della
donna, esistente nella sua patria, non può certo valere come scusante, ma deve essere
tenuto in considerazione come attenuante".
Nel 2008, in Germania, la catena di negozi Media Markt ha commissionato una serie di
spot pubblicitari che hanno per protagonista un italiano vestito come un buzzurro
(canottiera con stemma tricolore, occhiali da sole sulla fronte, catena d'oro al collo, baffetti
neri e parlata maccheronica) che si comportava come un truffatore sempre pronto a
turlupinare il prossimo compiacendosi dei suoi biechi sotterfugi. La macchietta appare
assai simile al personaggio di Alberto Bertorelli, protagonista di una vecchia sit-com della
BBC.
Nel 2012, a proposito del naufragio della Costa Concordia, il settimanale tedesco Der
Spiegel attacca in modo duro il comportamento degli italiani, esemplificato, secondo la
rivista, da quello del comandante Francesco Schettino; questo provoca una piccata replica
di un giornalista italiano.
Tipologia di termini dispregiativi
Termini riferiti all'alimentazione tipica
Garlics (dall'inglese garlic, aglio);
Pepperoni (utilizzato negli Stati Uniti);
Maccaronì (utilizzato negli anni cinquanta e sessanta in Belgio contro i minatori italiani,
anche in Francia);
Maiser (in Svizzera, uomo del mais, polentone);
Los Polpettoes;
Pizzagang;
Spaghetti;
Spaghettifresser (mangiaspaghetti, nei paesi di lingua tedesca);
Pastar (da pronunciare "pashtar", parola croata che significa Colui che mangia la pasta);
Mangiarane (Žabar in croato/sloveno) in Paesi dell'ex Jugoslavia e dai tempi di Tito,
nonostante questo termine oggi sia riferito più che altro ai francesi;
Makaroniarz ("un appassionato della pasta"; makaron=la pasta) in Polonia.
Makaronarji/Makaroni (tra gli Sloveni).
Broccoli (storpiatura dall'americano "Brooklyn", così pronunciato dagli emigranti italiani che
arrivavano nel porto di New York tra la fine del secolo XIX e l'inizio del XX);
Termini riferiti all'onomastica[modifica | modifica sorgente]
Dago; Negli USA è usato per tutti i popoli "latini". Deriva dal nome proprio Diego; forse
dalla parola Dago - coltello;[senza fonte]
Black dago (dago nero);
Gino (femminile: Gina), usato in Canada;
Guido (femminile: Guidette), usato negli USA;
Tony;
Alfonso (in Lituania, un Alfonso è un racconta bugie — il raccontare frottole può essere
espresso con l'espressione "makaronų kabinti");
Tano (deriva da "napolitano", usato in Argentina e Uruguay)
Termini riferiti alle abitudini linguistiche[modifica | modifica sorgente]
Digic (termine croato derivato dall'italiano dire attraverso la parola giuliano-veneta digo);
Digó (termine del gergo ungherese derivato dall'italiano dico attraverso la pronuncia —
anche meridionale — digo);
Goombah (nell'area di New York, dall'italiano compare, derivante dal dialettale cumpà);
Minghiaweisch (dall'esclamazione italiana minchia e "weisch?", cioè capisci? in svizzero
tedesco, usata in Ticino per definire gli italiani di seconda generazione presenti in Svizzera
tedesca - evidenzia le difficoltà a parlare in italiano senza influenze dialettali e senza
influenze tedesche);
Paisà (nell'area di New York con riferimento all'espressione italiana paesano, la cui
deformazione dialettale suona letteralmente "paisà");
Rital (in francese, da franco-italien: evidenziava la difficoltà degli immigrati a pronunciare
la R francese);
Walsche e Sentas (in Alto Adige: dalla diffusa abitudine di rivolgersi al prossimo con
l'espressione "senta" — percepita come uno sgradito imperativo);
Wop (assonanza col termine napoletano guappo: significa without papers/passport,
persone senza documenti). È uno dei più usati negli USA[17];
Zabar (dal croato "zaba", che significa rana: fa riferimento alla pronuncia degli italiani del
settentrione, che viene accostata ai suoni emessi dalle rane).
Termini riferiti a pregiudizi etnici[modifica | modifica sorgente]
Guinea (viene dalla falsa credenza che gli italiani siano in parte africani a causa della
carnagione scura presente in alcuni di essi. È diminutivo di Guinea Negro, usato negli anni
'50/'60 negli Stati Uniti;
Mozzarellanigger (suona all'incirca come negro-mozzarella, da nigger: il pregiudizio
assimila italiani ed africani, con l'aggiunta di "mozzarella", che gioca sul vasto consumo di
questo alimento da parte degli italiani e sul colore della pelle più chiaro);
Wog (utilizzato, soprattutto in Australia, contro le popolazioni dell'Europa meridionale e del
Mediterraneo);
Mafiamann e Mafiosi (singolare) o mafioso: usato in Germania.
Termini riferiti alla Storia
Katzelmacher, Katzener (deriva dall'accusa di tradimento della 1ª guerra mondiale,
lanciata dall'Austria e dall'incorporazione di terre, con riferimento a quelle abitate
prevalentemente da popolazioni di lingua di ceppo germanico. Secondo le varie fonti
"Katzelmacher" deriva da "facitori di gattini" nel senso della prolificità familiare oppure
"venditori di cucchiai", derivante dalle attività dei commercianti ambulanti transfrontalieri, i
termini sono diffusi in tutti i paesi di lingua tedesca ed in tutte le aree appartenenti alla
Repubblica italiana, che in passato erano austriache. Il termine si diffuse rapidamente
nell'Impero grazie all'opera satirica del disegnatore Arpad, che aveva predisposto un
libello intitolato "Maledetto Katzelmacher" e che raffigurava la caricatura di un bandito
meridionale. Ampiamente citato in quasi tutte le opere storiche sulla 1ª GM);
Verräter (dal tedesco "traditori", generalizzazione attribuita agli italiani già nella prima
guerra mondiale ma ancora di più dopo l'8 settembre del 1943; diffusa in Germania ed in
alcune zone dell'Austria);
(taliani, talijani, 'talianat (diffusi nelle "provincie irredente", in particolare nel Litorale
Adriatico di lingua friulana e slovena e nel trentino);
taliani de legno (diffuso nel Litorale Adriatico ed in particolare a Trieste, ma anche in Istria
e nell'ex Friuli austriaco. Deriva dal commento dell'ammiraglio austriaco vincitore (dubbio
di fonti sulla correzion ricevuta; non esistono documenti ufficiali scritti da Wilhelm von
Tegethoff con quella frase, chi conosce la Storia della Marina Austriaca dubita che un
Contrammiraglio potesse rivolgersi in quel modo all'Imperatore, che leggeva tutti i dispacci
importanti al Comando Supremo. Il motto fa parte della tradizione orale delle genti nord ed
est adriatiche, ma la sua origine è tutt'altro che certa) della battaglia di Lissa "Omini de
fero su barche de legno ga batù omini de legno su barche de fero". A Trieste in particolare
si usa anche "lianta de gnole", da un gergo locale che inverte le sillabe delle parole "lian-ta
de gno-le", si usa verso tutti gli italiani quando accentuano determinate caratteristiche a
loro attribuite dall'immaginario collettivo, come ad esempio pretendere spaghetti in
Scandinavia, invocare la mamma, dire "lei non sa chi sono io" eccetera);
regnicoli (diffuso in tutte le "terre irredente" e derivante dal nome degli immigrati con
residenza in Austria ma senza cittadinanza, provenienti dal Regno d'Italia. Il termine
veniva usato anche sulla stampa italiana, è "spregiativo" solo in minima parte.
Ampiamente citato da molte fonti, compreso L'Italia dei cent'anni del Comandini);
cifarielli abbreviato CIF (usato a Trieste, era un sinonimo di "cabibo" e derivava da un fatto
di cronaca famoso agli inizi del secolo, e cioè dell'omicidio d'onore commesso dal cantante
Cifariello a Napoli, i delitti d'onore erano una relativa novità per l'ambiente mitteleuropeo
triestino, il termine si rivolge in prevalenza agli italiani meridionali. Il termine fu usato anche
dall'Irredentista Attilio Tamaro nel 1919 e dalla polizia in un rapporto prefettizio, per
manifestare quanto fosse diffuso in città dopo l'arrivo degli italiani e di come alcuni loro
costumi fossero poco accetti dalla popolazione. Citato anche in Filosofia Quotidiana di
Manlio Cecovini ed in alcuni dizionari vernacolari);
cabibi (usato nel Litorale Adriatico, sembra che derivi dal film "le notti di Cabiria", serve per
indicare gli italiani meridionali ed alcune volte per estensione, tutti gli italiani. Citato nei
dizionari vernacolai);
marinielli (usato a Trieste ed in particolar modo sul Carso e nella comunità slovena, si
riferisce al cognome di un soldato italiano che per primo, si dice impalmò una donna di
lingua madre slovena. Si riferisce al fascino mediterraneo che si dice farebbe presa sulle
donne nordiche, poco abituate dai loro uomini alle attenzioni ed alle galanterie meridionali.
Il termine nasconde un doppio senso "el mariniel ve frega", riferito alla presunta abitudine
alla fuga dei conquistatori mediterranei, dopo che avrebbero raggiunto il loro scopi. Citato
dal prof. Luccio in una conferenza, facente parte della tradizione orale locale);
pigne per estensione pignate (pentole) (usato a Trieste, era un riferimento allo stemma
d'Italia che assomigliava ad una pigna[non chiaro]);
scafuri (usato a Trieste ed in Istria, deriva dallo sloveno "cefurj", termine spregiatico con il
quale si indicano i popoli del meridione della ex Jugoslavia, per estensione applicato
anche agli italiani);
Altri termini
Greaseball (USA: significa palla di unto. Usato per la moda della brillantina e per un
pregiudizio legato alle condizioni igieniche);
Itaker (in Germania, gioco di parole tra Italia e Itaca, che rimanda a giramondo,
vagabondi);
Carcamano (in Brasile, significa furbone, truffatore: dall'atto di calcare la mano sul piatto
della bilancia barando sul peso, persona morta di fame, zampe di vacca - persona che non
compra niente, persona con le mani chiuse che non spende dei denaro);
Pedofilo (In brasile, quando si dice pedofilo o straniero viene in mente l´italiano. Ciò è
dovuto al turismo sessuale con i minorenni nel nord-est dal Brasile. La polizia brasiliana ha
scoperto che molti di loro erano turisti sessuali italiani. Questo è successo qualche anno fa
e ed stato molto discusso nella TV brasiliana. E ancora dopo lo scandalo dell'exPresidente del Consiglio italiano con la supposta giovane straniera minorenne, per cui il
cattivo soprannome si è ancora più diffuso in Brasile.
Tschinggali (Svizzera, fine Ottocento: dalla trascrizione del suono cinq!, usato nel gioco
della morra, diffusissima tra gli italiani). Nello spettacolo teatrale "Italiani Cìncali" si
specula sul fatto che Tschinggali possa essere una storpiatura di Zingari, cioè vagabondi.
In Svizzera erano così definiti gli italiani lavoratori, con intento chiaramente dispregiativo e
allusivo alla loro condizione di "vagabondi, ladri e poco igienici". La popolazione Romanì è
vittima dello stesso pregiudizio);
Magnaramina (in Ticino, significa rosicchia-reticolato. Usato in pariticolare nei confronti dei
lavoratori frontalieri);
Shitalian (parola macedonia che fonde Italian — italiano — e shit — termine dispregiativo
che indica gli escrementi);
Italiashka (in Russia significa "italianaccio").
Tanos (in Argentina detto per le navi che arrivavano nel porto di Buenos Aires, in
maggioranza da Napoli, per questo Napoli-tanos").
Bibliografia
Jennifer Guglielmo, Salvatore Salerno, Gli italiani sono bianchi? Come l' America ha
costruito la razza, Saggiatore, 2006;
Direttiva razza (Direttiva 2000/43/CE del Consiglio d'Europa, 29 giugno 2000);
L'orda (quando gli albanesi eravamo noi) di Gian Antonio Stella, Rizzoli (2002);
(EN) Mamma Mia! : Good Italian Girls Talk Back raccolta di testimonianze fatta da Maria
Coletta McLean;
(EN) WOP! A Documentary History Of Anti-Italianism di Salvatore LaGumina J. (1998);
L'identità italiana? Cultura migrante di Nicola Guerra.
Filmografia
(EN) Linciati: Lynchings of Italians in America
(EN) Our Contributions: The Italians in America [3], Film-TV del 1999 per History Channel
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mer
08
gen
2014
Notte di san Bartolomeo: la strage ugonotta
La notte di San Bartolomeo è il nome con il quale è passata alla storia la strage compiuta nella notte
tra il 23 ed il 24 agosto 1572 dalla fazione cattolica ai danni degli ugonotti a Parigi in un clima di
rivincita indotto dalla battaglia di Lepanto e dal crescente prestigio della Spagna. La vicenda è nota
anche come Strage di san Bartolomeo o Massacro di san Bartolomeo.
Il massacro ebbe luogo a partire dall'ordine di Carlo IX di uccidere sistematicamente i maggiori
esponenti dei protestanti, fra i quali il capo militare e politico degli ugonotti, l'ammiraglio Gaspard
de Coligny, che sei giorni prima si erano radunati a Parigi, una città fortemente cattolica, in
occasione delle nozze fra la sorella del re, Margherita di Valois e il protestante Enrico III di
Borbone, re di Navarra e futuro re di Francia. Due giorni dopo l'attentato a Coligny gli organizzatori
persero il controllo della situazione e, in un eccidio indiscriminato durato diverse settimane e
destinato ad estendersi in altri centri urbani e in campagna provocò l'uccisione di un numero di
persone compreso, secondo le stime moderne, fra 5.000 e 30.000. A nulla valse l'ordine, giunto dal
re il 24 agosto, di cessare immediatamente gli omicidi: la strage proseguì, diventando - secondo una
definizione diffusa - «il peggiore dei massacri religiosi del secolo» e macchiando il matrimonio
reale con il nome di «nozze vermiglie».
A lungo la tradizione storiografica ha ritenuto che la strage sia stata organizzata da Caterina de'
Medici e Carlo IX per evitare che una controffensiva dei protestanti colpisse la famiglia reale dopo
il tentato omicidio di Coligny. Ad ogni modo, la strage, colpendo gli ugonotti con l'uccisione di
molti nobili influenti e numerosi soldati, segnò una svolta nelle guerre di religione francesi,
contribuendo a diffondere fra i protestanti l'idea che «il cattolicesimo [fosse] una religione
sanguinaria e traditrice».
Il contesto
Tra il 1560 e il 1569, furono chiamati ugonotti i protestanti francesi di tendenza calvinista. Il
protestantesimo si diffuse tra la nobiltà e la borghesia francesi nella prima metà del XVI secolo. Il
calvinismo, eccetto che in piccole zone, si diffuse meno nelle campagne ma ebbe una certa
diffusione presso alcuni ceti popolari delle città, in particolar modo i lavoranti di professioni nuove
e innovative per l'epoca (tipografi, vetrai, stampatori, barbieri...).
Tale diffusione suscitò l'allarme dei cattolici, aggiungendo l'elemento religioso ai motivi di scontro
politico-dinastico che opponevano la casa regnante dei Valois a quella di Guisa. Caterina de'
Medici, reggente dal 1559, aveva più volte utilizzato la presenza e l'appoggio degli ugonotti per
evitare di essere soffocata dalle pretese della grande nobiltà cattolica, rappresentata soprattutto dai
Guisa.
Storia
L'attentato a Coligny in una stampa dell'epoca.
Il massacro di San Bartolomeo è la conseguenza dei seguenti fatti:
la Pace di Saint-Germain che pone fine alla terza guerra di religione, l'8 agosto 1570
il matrimonio tra Enrico di Navarra e Margherita di Valois, il 18 agosto 1572
il mancato assassinio dell'ammiraglio de Coligny, il 23 agosto 1572
Una pace e un matrimonio impopolare[modifica | modifica sorgente]
La pace di Saint-Germain mise fine a tre anni di terribili guerre civili tra cattolici e protestanti, ma
fu precaria, perché i cattolici intransigenti non l'accettarono. Il ritorno dei protestanti a corte li
scandalizzava ma la regina madre Caterina de' Medici e il figlio Carlo IX, coscienti delle difficoltà
finanziarie del regno, erano decisi a impedire la ripresa delle ostilità. Per concretizzare il
mantenimento della pace tra i due partiti religiosi, Caterina progettò il matrimonio tra la figlia
Margherita di Valois e il principe protestante Enrico di Navarra, pretendente alla corona dopo i Fils
de France ed erede di una grande proprietà nella Francia sud-occidentale.
Alla notizia del matrimonio, Margherita accettò l'ordine della madre (secondo una parte della
tradizione storiografica pur dopo aver rifiutato, forse convinta successivamente dall'ambizione di
salire al trono e dall'ottimismo che si stava diffondendo sulle nozze), ribadendo però la sua adesione
convinta al Cattolicesimo. Il suo attaccamento alla fede fu contrapposto alle richieste della madre di
Enrico, Giovanna d'Albret, regina di Navarra e convintamente ugonotta, che durante le trattative
matrimoniali iniziate nel 1572 pose come condizione la conversione al Calvinismo della sposa:
Margherita rifiutò e Giovanna, spinta dal partito protestante, accettò di ritirare la condizione dando
il suo assenso poco prima di morire e cedere il trono proprio a Enrico.
Lo sposo arrivò a Parigi, accompagnato da 800 gentiluomini vestiti a lutto per la morte della regina,
nel luglio 1572. Le nozze furono celebrate il 18 agosto 1572 dal cardinale Carlo di BorboneVendôme, zio di Enrico, davanti alla Cattedrale di Notre Dame. Per il matrimonio non fu attesa la
dispensa papale, che si era resa necessaria perché il rito riguardava fedeli di due religioni differenti,
fra l'altro cugini di secondo grado fra loro. Alle nozze, definite "unione esecrabile dai gesuiti e
seguite da tre giorni di festeggiamenti, non presero parte ambasciatori provenienti da nazioni
cattoliche né componenti del Parlamento di Parigi.
Il tentato assassinio di Coligny
Nel 1572 il clima di rivincita cattolica introdotto dalla battaglia di Lepanto (1571 - Golfo di Corinto
- contro l'impero ottomano) e il crescente prestigio della Spagna, sostenitrice dei Guisa,
provocarono un clima di rinnovata fiducia per le posizioni cattoliche più intransigenti, favorendo il
diffondersi di congiure e parole d'ordine che avrebbero portato alla strage.
Il 22 agosto 1572, l'ammiraglio comandante delle forze protestanti Gaspard II de Coligny subisce
un attentato, operato da Charles de Louviers, seigneur de Maurevert, dal quale esce soltanto ferito a
un braccio. La storiografia non è riuscita a individuare con certezza i mandanti del tentato omicidio
e risultano tre tesi:
i Guisa: Carlo di Guisa, cardinale di Lorena, Enrico di Guisa e Claudio II d'Aumale sono i maggiori
sospettati. Capi del partito cattolico, avrebbero voluto vendicare Francesco I di Guisa, assassinato, a
loro parere, su ordine del Coligny dieci anni prima e il colpo di pistola contro l'ammiraglio
protestante fu esploso da una casa appartenente ai Guisa
Il duca d'Alba governatore dei Paesi Bassi in nome di Filippo II: Coligny progettava di appoggiare i
ribelli fiamminghi per liberarli dal dominio spagnolo d'accordo con i Nassau. Nel mese di giugno
aveva inviato clandestinamente delle truppe in aiuto della cittadinanza di Mons, assediati dal duca
d'Alba e sperava, dopo il matrimonio, di portare una guerra a fondo contro la Spagna.
Caterina de' Medici: secondo la tradizione, Coligny avrebbe acquisito troppa influenza sul re e
Caterina avrebbe avuto il timore che il figlio trascinasse la Francia in una guerra nelle Fiandre
contro i potenti spagnoli. Considerando i suoi sforzi per ristabilire la pace interna, sembra difficile
credere che volesse provocare la nuova guerra interna che si sarebbe certamente scatenata dopo
l'omicidio. Caterina de' Medici, in quanto donna, straniera e fiorentina (città che nel rinascimento
veniva spesso associata a Machiavelli e alle congiure) fu immediata protagonista di una sorta di
"leggenda nera", che la vorrebbe dietro ogni malefatta della strage di San Bartolomeo.
La strage
Gli aristocratici escono dal Louvre: da Intolerance (1916)
Il mancato assassinio del Coligny è l'evento che scatena la crisi: gli ugonotti chiedono vendetta e la
capitale è al limite di un regolamento di conti fra i partigiani dei Guisa e quelli dei Montmorency;
per rassicurare i protestanti, il re Carlo IX si presenta al capezzale del ferito, promettendogli
giustizia, mentre i Guisa minacciano di lasciare la famiglia reale senza la loro protezione e Caterina,
che non ha dimenticato il rischio corso in occasione del tentativo di sequestro - la sorpresa di
Meaux - nel 1567, avrebbe deciso la strage.
La sera del 22 agosto tiene una riunione alle Tuileries con il Maresciallo di Tavannes, il Barone de
Retz, René de Birague e Ludovico Gonzaga-Nevers. La sera dopo Caterina avrebbe informato il
figlio - un debole di mente come il fratello suo predecessore - che i protestanti stavano
complottando contro di loro.
A questo punto secondo una tradizione corrente Carlo IX, gridando di collera: «Ebbene, sia! Li si
uccida! Ma tutti! Che non ne resti uno che me ne si possa rimproverare!», decise l'eliminazione dei
capi protestanti, con l'esclusione dei principi di Navarra e di Condé. Poco tempo dopo, le autorità
municipali di Parigi furono convocate ed ebbero ordine di chiudere le porte della città e di armare
anche i borghesi.
La fazione cattolica facente capo ai duchi di Guisa e appoggiata dal re, dal fratello Enrico (poi
Enrico III) e dalla regina madre Caterina de' Medici, nella notte tra il 23 e 24 agosto scatenò la
caccia agli ugonotti convenuti in città per il matrimonio tra l'ugonotto Enrico di Navarra e
Margherita di Valois.
Sembra che il segnale d'inizio della strage fosse fissato dallo scoccare di un'ora imprecisata della
notte delle campane della chiesa di Saint-Germain-l'Auxerrois, vicina al Louvre, dove molti dei
nobili protestanti abitavano. L'ammiraglio de Coligny fu ucciso nel suo letto e scaraventato dalla
finestra; i corpi degli uccisi, trascinati per le strade, furono ammassati nel cortile del Louvre. Parte
della popolazione, scoperta la strage al mattino, partecipò ai massacri che durarono diversi giorni,
incoraggiati dai preti che incitarono a sterminare anche gli studenti stranieri e i librai, considerati
tutti protestanti. Molti cadaveri furono gettati nella Senna, come quello del de Coligny, poi
ripescato, evirato e impiccato. Il re di Navarra e suo cugino Enrico di Condé, sorpresi al Louvre,
furono obbligati ad abiurare la loro fede e graziati perché principi del sangue.
Secondo Castelot, Elisabetta d'Austria fu svegliata dalle urla e chiese se suo marito fosse informato,
ottenendo in risposta la notizia che l'ordine proveniva da lui. Dopo questa conversazione, la regina
consorte chiese perdono a Dio per il marito.
La strage nel resto della Francia
Il lit de justice di Carlo IX
Il 26 agosto il re tenne un lit de justice dove si assunse la responsabilità del massacro, dichiarando
di aver voluto «prevenire l'esecuzione di una disgraziata e detestabile congiura fatta
dall'ammiraglio, capo e autore, e dai suoi aderenti e complici, contro la persona del re e il suo Stato,
la regina madre, i fratelli, il re di Navarra e i principi e i signori che erano presso di loro».
Ma il massacro di San Bartolomeo fu seguito da molti altri: dura tutta una stagione, secondo
l'espressione di Michelet. Avvertiti da testimoni, da commercianti di passaggio, incoraggiati da
agitatori come il conte di Montsoreau nella Valle della Loira, le città di provincia scatenarono i loro
massacri: il 25 agosto è la volta di Orléans, dove fece un migliaio di vittime, e Meaux; il 26 La
Charité-sur-Loire, il 28 e il 29 Angers e Saumur, il 31 agosto Lione, l'11 settembre Bourges, il 3
ottobre Bordeaux, il 4 ottobre Troyes, Rouen, Tolosa, il 5 ottobre Albi, Gaillac, Bourges, Romans,
Valence, Orange e altre ancora.
La reazione delle autorità fu varia: a volte incoraggiarono il massacro, come a Meaux dove il
procuratore del re diede il segnale o anche a Bordeaux, dove fu organizzato dal Parlamento, a
Tolosa il governatore duca di Joyeuse, si mostrò favorevole alla strage A volte i protestanti vengono
protetti chiudendoli in prigione, come Le Mans o a Tours, ma a volte le prigioni sono assaltate e i
reclusi uccisi, come a Lione, Rouen, Albi. I governatori si oppongono a coloro che sostengono che
la strage sia ordinata dal re stesso ma questo non sempre impedisce gli omicidi.
I sovrani europei, papa Gregorio XIII compreso, appresero la notizia del massacro, «presentata
come una vittoria del re contro la congiura ordinata dagli ugonotti contro di lui»: il pontefice fece
cantare un Te Deum di ringraziamento, coniare una medaglia con la propria effigie per ricordare
l'evento e commissionò al pittore Giorgio Vasari una serie di affreschi raffiguranti il massacro,
tuttora presenti nella Sala Regia dei Palazzi vaticani. Filippo II di Spagna espresse la sua
soddisfazione dichiarando che quello era il più bel giorno della sua vita; invece la regina Elisabetta I
d'Inghilterra prese il lutto e fece stare l'ambasciatore francese in piedi per molte ore prima di fingere
di credere, per ragioni diplomatiche, alla tesi del complotto ugonotto e del massacro preventivo.
Quella strage provocò in Francia l'inizio della quarta guerra di religione.
Interpretazione tradizionale
Il massacro di San Bartolomeo divenne presto un tema di studio storiografico. Di fronte alle
contraddizioni della politica reale, ciascuno ha cercato di darne la propria interpretazione. Secondo i
protestanti, il re e la regina-madre sono responsabili di aver progettato il massacro o almeno di non
aver saputo proteggere i protestanti. Scrittori come Aubigné non hanno esitato a esagerare le cifre e
a trasformare l'evento come il risultato del solo conflitto religioso. I cattolici cercano di scolparsi
gettando la responsabilità su altri, il maresciallo de Saulx-Tavannes, o su Margherita di Valois, che
disse di non aver mai saputo nulla. In realtà, la complessità e la rapidità della tragedia fu tale che
nessuno ha mai saputo veramente cogliere le differenti fasi del suo sviluppo.
Rivendicando alcuni giorni dopo la paternità della strage, Carlo IX ne divenne, di fronte alla
posterità, il principale responsabile. Un'altra interpretazione schematica del massacro consiste nel
considerarne solo l'aspetto religioso. Al tempo della Rivoluzione, in un'epoca di tentativo di
scristianizzazione, il fanatismo cattolico fu stigmatizzato e il dramma teatrale di Marie-Joseph
Chénier, Charles IX ou la Saint Barthélemy (1790), ebbe un grande successo.
Ancora nel XIX secolo Alexandre Dumas continuò la tradizione nel suo romanzo La Regina
Margot.
Nuovo orientamento storiografico
Se oggi gli storici separano l'esecuzione dei capi protestanti dal massacro popolare propriamente
detto, essi dibattono ancora sulle responsabilità della famiglia reale. Il problema è di trovare il grado
del loro coinvolgimento nell'organizzazione del massacro.
L'interpretazione tradizionale, sostenuta da Janine Garrisson, fa di Caterina de' Medici e dei suoi
consiglieri i maggiori responsabili. Essi avrebbero forzato la mano di un re esitante e velleitario per
decidere l'esecuzione dei principali capi militari.
Denis Crouzet pone il massacro nel contesto ideologico dell'epoca. Carlo IX e Caterina non
avrebbero potuto avere il disegno di assassinare Coligny, perché questo sarebbe andato contro il
loro desiderio di mantenere l'armonia della persona reale. Una volta che il tentativo di uccidere
l'ammiraglio è stato compiuto e che viene minacciata la riapertura di una nuova guerra a causa
dell'indignazione protestante, Caterina avrebbe deciso di sopprimere tutti i capi protestanti.
Per Jean-Louis Bourgeon furono i parigini, i Guisa e gli agenti di Filippo II i veri responsabili e il re
e la regina madre del tutto estranei. Egli sottolinea lo stato quasi insurrezionale della città in quei
giorni: già nel dicembre 1571 molte case ugonotte erano state saccheggiate e i Guisa, molto
popolari nella capitale, avrebbero approfittato per fare pressione sul re e la madre ed essi sarebbero
stati costretti a precedere la prossima sommossa.
Per Thierry Wanegffelen, uno dei principali responsabili sarebbe il duca d'Anjou, il futuro re Enrico
III. Dopo il fallito attentato al Coligny, che sarebbe stato organizzato dai Guisa e dagli spagnoli, i
consiglieri italiani di Caterina de' Medici avrebbero suggerito l'eliminazione di una cinquantina di
capi protestanti per profittare dell'occasione di eliminare il pericolo ugonotto, ma il re e la madre si
sarebbero opposti. Tuttavia, Enrico d'Anjou, luogotenente generale del regno e presente al
Consiglio reale, vide nel delitto l'occasione di imporsi al governo, accordandosi con Enrico di
Guisa. La notte di San Bartolomeo sarebbe nata da questa unità d'interessi e gli uomini del duca
d'Anjou avrebbero agito, secondo la mentalità dell'epoca, in nome del re. Si comprenderebbe così
perché, l'indomani della strage, Caterina abbia fatto condannare attraverso una dichiarazione di
Carlo IX i delitti, minacciando il Guisa: ma quando seppero del coinvolgimento di Enrico d'Anjou,
si sentirono legati alla sua iniziativa e Carlo IX fu costretto ad assumersi pubblicamente la
responsabilità della strage, giustificandola come un atto preventivo. Caterina de' Medici avrebbe da
allora cercato di eliminare il figlio Enrico dalla successione reale, mandandolo a comandare
l'assedio de La Rochelle e facendolo poi eleggere re di Polonia.
Letteratura
La Regina Margot di Alexandre Dumas
Die Jugend des Königs Henri Quatre di Heinrich Mann. (1935)
La regina maledetta di Jeanne Kalogridis. (2009)
Le confessioni di Caterina De' Medici di C. W. Gortner. (2011)
Il libraio notturno di Foll Francois. (2010)
The Twelve Children Of Paris di Tim Willocks. (2013)
Teatro[modifica | modifica sorgente]
The Massacre at Paris (Il massacro di Parigi, 1593 circa) di Christopher Marlowe
Musica[modifica | modifica sorgente]
Gli Ugonotti, opera composta da Giacomo Meyerbeer nel 1836.
Cinema
Intolerance (1916) di David Wark Griffith
La Regina Margot (1954) di Jean Dréville.
La Regina Margot (1994) di Patrice Chéreau.
Televisione
The Massacre of St Bartholomew's Eve, serial della terza stagione di Doctor Who (1966)
via wikipedia
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sab
04
gen
2014
COSA SUCCEDE NEL CORPO QUANDO SI BEVE COCACOLA E AFFINI?
Grazie ad Ambientebio, vediamo gli effetti minuto per minuto di quella bevanda e sue affini nel
nostro corpo: Dopo 10 minuti I dieci cucchiai di zucchero contenuti in un bicchiere di cola
rappresentano un colpo devastante per il corpo. Tuttavia questo bilancia l’effetto devastante che
l’acido fosforico produrrebbe sull’organismo se assunto da solo. Dopo 20 minuti Si verfica un
aumento dei livelli di insulina nel sangue. Il fegato converte tutto lo zucchero in grassi. Dopo 40
minuti L’ingestione di caffeina è stata completata; le pupille si dilatano . Aumenta la pressione
sanguigna non appena il fegato rilascia altro zucchero nel sangue . I recettori dell’adenosina
vengono bloccati e viene così inibita la sonnolenza. Dopo 45 minuti Il corpo aumenta la produzione
di dopamina , un ormone che stimola il centro del piacere del cervello che ha lo stesso principio di
funzionamento delle droghe pesanti . Dopo 1 ora L’ acido fosforico lega il calcio , il magnesio e lo
zinco nel tratto gastrointestinale , sovralimentando così il metabolismo . Viene aumentata
l’escrezione di calcio attraverso le urine. Dopo più di 1 ora Senti l’effetto diuretico della bevanda .
Il corpo elimina calcio, magnesio e zinco , componenti ossee , così come il sodio . A questo punto
la persona si sente irritabile o debole . In questo contesto ci dobbiamo chiedere se i consumatori
sono consapevoli del ‘ cocktail ‘ che stanno ingerendo quando bevono una bottiglia di Coca-Cola e
godere il suo effetto indubbiamente “rinfrescante” Bisogna ricordare che il principio attivo di questa
bevanda è l’acido fosforico . A causa della sua elevata acidità , le cisterne in cui il concentrato viene
trasportato devono essere resistenti a materiali altamente corrosivi . In generale , la composizione di
uno dei prodotti più pubblicizzati dalla Coca -Cola, la Diet Coke , senza caffeina, ci lascia davvero
a bocca aperta . Questa bevanda contiene acqua gassata , E150d , E952 , E950 , E951 , E338 , E330
, E211 ed aromi . L’acqua gassata è l’acqua con gas (anidride carbonica). Provoca la secrezione
gastrica , aumenta l’acidità del succo gastrico e può causare flatulenza . E150d : è un colorante
alimentare ottenuto dalla lavorazione di zucchero a determinate temperature , con o senza aggiunta
di reagenti chimici . In questo caso , si aggiunge solfato di ammonio . E952 : è ciclamato di sodio ,
un sostituto dello zucchero . Il ciclamato è un prodotto chimico sintetico con 200 volte più dolce
dello zucchero ed è usato come un sapore dolcificante artificiale . Nel 1969 fu bandito dalla Food
and Drug Administration ( FDA ), perché questa sostanza come saccarina e aspartame , ha causato
il cancro della vescica nei ratti . Nel 1975 ha iniziato ad essere bandito anche in Giappone , Corea
del Sud e Singapore. Nel 1979 l’OMS ( Organizzazione Mondiale della Sanità ) di nuovo permesso
l’uso del ciclamato . E950 : è acesulfame potassio , estremamente dolce e colpevole di alterare il
funzionamento del sistema cardiovascolare . Esso contiene anche acido aspartico , una sostanza che
può anche eccitare il sistema nervoso e nel tempo può portare alla dipendenza . L’acesulfame
scioglie male e non è consigliabile che bambini e donne incinte consumano. E951 : aspartame è
utilizzato come sostituto dello zucchero per i diabetici . È chimicamente instabile a temperature
elevate perché si decompone come metanolo e fenilalanina . Il metanolo è molto pericoloso : da 5 a
10 ml sono sufficienti a distruggere il nervo ottico , causando cecità irreversibile . Quando viene
riscaldato (come possibile nelle bibite mal stoccate ) l’aspartame diventa formaldeide , un potente
agente cancerogeno. E338 : è l’acido fosforico . Può causare irritazione alla pelle e agli occhi .
Viene utilizzato per la produzione di sali di acido fosforico di ammoniaca , sodio, calcio , alluminio
, e anche nella sintesi organica per la produzione di carbone e nastri cinematografici, materiali
refrattari , ceramiche, vetro , fertilizzanti , detergenti sintetici. E’ inoltre usato nel settore
metallurgico e tessile e nell’industria medica . Acido citrico E330 . È diffuso in natura ed è
utilizzato nell’industria alimentare e farmaceutica . Sali di acido citrico ( citrato ) sono utilizzati
nell’industria alimentare e in medicina , per la conservazione del sangue . E211 : benzoato di sodio
è usato come agente antisettico e antimicotico in prodotti alimentari come marmellate, succhi di
frutta e yogurt agente . Non è consigliabile che vegna consumato da asmatici e le persone che sono
sensibili all’aspirina . Uno studio condotto da Peter Piper , dell’Università britannica di Sheffield ,
ha rivelato che questo composto provoca cambiamenti signbificiativi e danni al DNA . Questo può
portare a cirrosi e malattie degenerative come il Parkinson . Gli “aromi naturali” sono additivi
aromatici sconosciuti . La Diet Coke quindi è ancora peggio , perché con l’ aspartame , che
sostituisce lo zucchero in questa bevanda , la bevanda diventa un veleno neurotossico puro .
Istituzione Culturale ICP Pachayachachiq FONTE: Ambientebio.it
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gio
12
dic
2013
Il buono che avanza: ristoranti contro lo spreco-tuttogreen.it
Lo spreco di cibo è uno dei segni più tangibili di uno stile di vita ‘usa-e-getta’ in cui si adotta il
consumismo come filosofia imperante.
Ma se in una Paese simbolo di consumismo come gli U.S.A. è diffusa l’abitudine di richiedere ai
ristoratori una ‘doggy-bag’ per portar via le porzioni di cibo o le bottiglie di vino non consumate,
anche l’Italia dovrebbe seguire questa buona pratica.
Un’iniziativa interessante che va in questa direzione è quella dell’associazione Onlus Cena
dell’Amicizia che a Milano sta portando avanti il progetto “Il buono che avanza”.
Grazie all’impegno di quest’associazione, che opera da decenni a favore delle persone senza fissa
dimora, è stato possibile istituire una rete di ristoranti che si sono schierati contro lo spreco offrendo
ai loro avventori la possibilità di portare a casa i propri avanzi con le doggy bags appositamente
fornite.
In questo modo Cena dell’Amicizia intende sensibilizzare la popolazione ad evitare sia gli eccessi
alimentari, responsabili della diffusione dell’obesità e delle malattie ad essa associate, sia gli
sprechi di cibo, che rappresentano una vera e propria beffa nei confronti di chi ha difficoltà ad
assicurarsi i normali pasti quotidiani. Viene, pertanto, sdoganato il gesto del portar via gli avanzi
liberandolo del senso di imbarazzo da cui spesso è accompagnato nella nostra cultura.
In prospettiva, l’idea della Cena dell’Amicizia è quella di estendere la rete anti-spreco ad un numero
sempre maggiore di ristoranti e servizi di catering così da consentire un riciclo dei prodotti
alimentari non consumati da mettere a disposizione dei bisognosi. Per ora i ristoranti aderenti sono
37 (trovate a questo link la lista) e la cosa buona è che si cominciano a vedere ristoranti aderenti
anche fuori da Milano e Lombardia.
Per informarsi sull’associazione, aderire all’iniziativa come ristoratori o diventare volontari si
consiglia di visitare il sito ufficiale Cenadellamicizia.it
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mer
11
dic
2013
Cibo: i prezzi aumentano per il riscaldamento globale? di
Carlo Magni-tuttogreen.it
Secondo uno studio svolto da alcuni ricercatori, il riscaldamento
globale ha influenzato i prezzi del cibo nel mondo, poiché la
coltivazione di cereali e frumento ha subìto delle modifiche a
causa della disidratazione delle piante stesse, anticipato i tempi
dell’impollinazione e rallentato la fotosintesi.
Lester Brown, presidente dell’Earth Policy Institute di
Washington, ha affermato che gli accertamenti effettuati
consigliano una svolta nel sistema agricolo mondiale, visto il
difficile adattamento delle piante al clima instabile degli ultimi
decenni, adattando l’agricoltura a un mondo più caldo, affinché
l’aumento della popolazione globale sia supportata da una
maggiore disponibilità di cibo. “Continuando a coltivare sempre
le stesse varietà di semi con le temperature che continuano ad
aumentare, i prezzi saranno destinati a salire in continuazione”,
afferma Wolfram Schlenker, uno dei ricercatori del team che ha
effettuato lo studio sugli effetti del riscaldamento globale sui
prezzi del cibo.
Tra l’altro, gli effetti del riscaldamento stanno già
abbondantemente influenzando la Terra: gli scienziati, infatti,
hanno mostrato che la forte ondata di caldo che uccise migliaia di
persone in Europa, nel 2003, fu causata dal riscaldamento
globale, così come le inondazioni che causarono danni per 3.5
miliardi di sterline in Inghilterra, tre anni prima.
I prezzi del cibo, quest’anno, sono aumentati in maniera
spropositata, causando il malcontento dei paesi del Medio Oriente
e dell’Africa e generando emergenze sociali e politiche.
Attualmente, infatti, la quantità di cibo è sufficiente ad alimentare
la popolazione mondiale. I problemi si manifestano quando cresce
la domanda di carne, visto che quest’ultima non è sufficiente per
sfamare tutti: per produrre un chilogrammo di carne serve la
stessa quantità di grano e quindi i paesi che possono permettersi
più grano sono quelli che si assicurano una maggiore quantità di
carne, a sfavore dei paesi più poveri, estromessi dal mercato per
via delle scarse risorse economiche di cui dispongono.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Science, ha evidenziato come
l’aumento delle temperature abbia influenzato – tra il 1980 e il
2008 – la produzione agricola dei paesi tra i maggiori
produttori di cereali. I modelli informatici, usati per mostrare
quanto grano sarebbe stato raccolto senza il riscaldamento globale,
hanno rivelato che le tonnellate di grano non raccolto per via
dei cambiamenti climatici ammontano a circa 33 milioni. In
particolare, paesi come la Russia e l’Italia hanno registrato una
diminuzione della produzione di grano e mais ben oltre la media.
Nello studio non compaiono gli Stati Uniti, il maggior produttore
di cereali al mondo. Questo perché sembra che la produzione a
stelle e strisce non abbia subìto bruschi rallentamenti, visto che
l’aumento delle temperature è stato abbastanza contenuto rispetto
ad altre zone del mondo.
Secondo Schlenker “gli agricoltori americani stanno avendo
fortuna, nel senso che le loro colture non hanno subito danni per
via del clima e i prezzi sono rimasti alti, ricavando maggior
profitto. Ma diversi modelli climatici indicano che anche gli USA
sono destinati a subire gli effetti del riscaldamento globale.”
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lun
09
dic
2013
Domande frequenti sugli OGM-Greenpeace.it
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gio
05
dic
2013
6 frutti dimenticati da riscoprire-tuttogreen-erika facciolla
Dimenticati, snobbati, sottovalutati, disprezzati o perfino sconosciuti: quanti aggettivi negativi
hanno collezionato col passare del tempo alcuni prodotti della terra e quanta ‘memoria’, quante
‘tradizioni’, quanti valori e quanti sapori di una volta sono spariti con loro?
La domanda a cui cercheremo di rispondere in questo breve viaggio alla ricerca dei ‘frutti perduti’ è
proprio questa. Già, perché i tempi cambiano e con essi gli stili di vita e le abitudini alimentari delle
persone, sempre più condizionate dalle mode culinarie del momento, dal consumo di massa e da
una scarsa conoscenza delle antiche tradizioni contadine.
Spariti sia dalle nostre memorie che dalle tavole, alcuni frutti oggi considerati ‘minori’ in un tempo
non lontanissimo erano preziosi perché garantivano un’ottima riserva (gratuita) di cibo e perché
crescevano spontaneamente nelle campagne, nelle radure boschive e nei prati, regalando raccolti
floridi e abbondanti
Senza neanche saperlo, molti di voi potrebbero abitare nei pressi di un bell’alberello di pere o mele
cotogne, o di azzeruole, oppure di corniole o ancora di giuggiole o corbezzoli. Ancora oggi queste
piante antiche rappresentano un patrimonio inestimabile per la biodiversità che vale la pena tutelarle
e ricominciare ad apprezzare, quando si vanno a scovare frutti esotici provenienti da paesi lontani,
estranei alla nostra tradizione, magari pagandole a caro prezzo.
Pensate che nel piccolo comune di Casola Valsenio (RA) ogni anno, in ottobre, si celebra la Festa
dei frutti dimenticati, una manifestazione unica nel suo genere che è valsa a questo paesino sperduto
tra gli Appennini del ravennate il titolo di ‘Paese delle erbe e dei frutti dimenticati’. Il contributo
che iniziative di questo genere possono apportare al recupero delle antiche piante da frutto, e con
esse di tutte quelle tradizioni che rischiano di sparire per sempre, è enorme: basti pensare che ogni
anno l’evento di Casola è salutato da oltre 10.000 visitatori provenienti da tutta Italia.
Ma torniamo ai nostri frutti dimenticati e cerchiamo di conoscere meglio alcuni di quelli ad oggi più
ignoti o comunque spariti dai banchi della frutta dei supermercati e dei mercati ortofrutticoli.
Il sorbo. E’ uno dei frutti antichi più ricco di proprietà benefiche, ottimo per confezionare
marmellate o per la preparazione di un sidro molto apprezzato in alcune regioni della Francia e della
Germania. L’albero della sorba (sorbus domestica) è originario dell’Europa Meridionale ed è facile
trovarlo selvatico nei boschi di latifoglie sotto gli 800 metri. La bellezza della pianta, del suo
fogliame e dei fiori, ha fatto sì che con gli anni venisse usata nei giardini come pianta ornamentale
ma la bontà dei frutti giunti a maturazione meriterebbe altre glorie… magari le stesse che gli
riservavano gli antichi romani che già nel 400 a.c. ne esaltavano le proprietà benefiche sull’intestino
derivate dall’alta concentrazione di tannino, flavonoidi e vitamina C; ancora oggi le sorbe si
utilizzano in erboristeria come rimedio per la dissenteria e per la cura di varie patologie a carico del
sistema circolatorio.
La leggenda: nella cultura europea il sorbo serviva a tenere lontani gli spiriti maligni dalle case. In
dialetto bolognese, poi, l’esclamazione ‘sorbole!’ indica stupore e meraviglia.
Le giuggiole. Chi di noi non ricorda il detto ‘andare in un brodo di giu ggiole‘? Dette anche ‘datteri
cinesi’, derivano dalla pianta che ha il curiosissimo nome botoanico di Ziziphus zizyphus. La
provenienza è ancora incerta ma qualunque sia la sua origine, il giuggiolo può essere coltivato sia in
pianura che in montagna, per via della sua spiccata resistenza al freddo. Le giuggiole si raccolgono
in tarda estate, meglio quando il colore della buccia diventa rosso intenso poiché la polpa raggiunge
la completa maturazione, che gli conferisce il caratteristico sapore dolciastro e zuccherino. Oltre al
più famoso brodo di giuggiole, questi frutti possono essere utilizzati per preparare sciroppi,
marmellate e liquori
La leggenda: si pensa che una specie affine al giuggiolo sia una delle due piante che servirono a
preparare la corona di spine di Gesù. Per i Romani, invece, il giuggiolo simboleggiava il silenzio e
per questo motivo era utilizzato per adornare i templi della dea Prudenza. In Romagna e in generale
nelle case coloniche la pianta del giuggiolo veniva piantata vicino l’uscio, nella zona più esposta al
sole, poiché ritenuta un portafortuna.
Il corbezzolo. Molti di voi forse non l’avranno mai assaggiato, ma il corbezzolo (Arbutus Unedo) è
il frutto di uno splendido arbusto sempre verde che durante la fioritura offre una cascata di fiorellini
bianchi a campanella che sbocciano durante l’autunno e che nell’anno successivo si trasformano in
coloratissimi frutti a bacca rosso vivo dalla polpa fresca e dolcissima. Originario del Mediterraneo
Occidentale e delle coste meridionali dell’Irlanda, un tempo il corbezzolo era utilizzato per
preparare un ottimo aceto aromatizzato che serviva per condire insalate e pietanze. Un altro impiego
possibile è farne marmellate, decotti e infusi utili a disintossicare reni, fegato e vie urinarie e a
combattere stati febbrili e diarree per le proprietà antisettiche e astringenti.
La leggenda: i Latini erano attribuivano al corbezzolo poteri magici e secondo la testimonianza di
Virgilio riportata nell’Eneide, sulle tombe dei defunti venivano lasciati dei ramoscelli di corbezzolo
a simbolo della stima nutrita nei confronti del defunto.
mele e pere cotogne . Sono frutti appartenenti all’omonima pianta, il cotogno (Cydonia oblonga),
forse la più antica fra quelle conosciute. Già nel 2.000 a.C., infatti, i Babilonesi si dedicavano alla
sua coltivazione, mentre greci e romani la consideravano una pianta sacra. I meli e i peri cotogni, di
forma più allungata, sono utilizzati per la preparazione di marmellate, gelatine, mostarde, distillati e
liquori e per la famosa ‘cotognata’, una gelatina semisolida in pezzi tipica del ragusano. Vista la
loro aromaticità, i frutti del cotogno venivano utilizzati anche come profuma biancheria per armadi.
Fino agli anni Sessanta la produzione del cotogno in Italia era florida e abbondante ma la minor
richiesta del mercato ha indotto una netta contrazione della lavorazione a livello industriale tanto
che il suo seme è oggetto di salvaguardia da parte dei SeedSaver.
La leggenda: nell’antica città di Cydon (Creta), i meli e peri cotogni erano soprannominati ‘pomi
d’oro’ e offerti in dono agli Dei. Fino al XVII secolo, questi frutti furono considerati un toccasana
per l’azione astringente e come antidoto contro i veleni. Veniva inoltre somministrato per la cura
dei mal di stomaco, in caso di inappetenze e per migliorare il funzionamento delle vie biliari.
Le corniole. Sono simili ad olive he durante la maturazione cambiano frequentemente colore
passando dal verde al giallo, dall’arancio al rosso accesso fino ad acquisire una colorazione
‘vinaccia’ quando è il momento di raccoglierle. Il corniolo (Cornus Mas) deve il suo nome alla
durezza del legno che caratterizza la corteccia (= Cornus, corno) ed è molto diffuso nei boschi a
latifoglie e nelle radure pianeggianti. Caduta in disuso come pianta da frutto, oggi è molto diffuso
nei giardini come specie ornamentale. Nonostante questo la corniola è un frutto leggermente acidulo
ma zuccherino al punto giusto, estremamente dissetante e ottimo per preparare delle marmellate e
salse. Nella campagna emiliana e romagnola, i frutti del corniolo venivano utilizzati per produrre
aceti, liquori, gelatine e dolci. L’azione tonico-astringente rende il frutto un ottimo rimedio per
curare dermatiti, dolori articolari e disturbi del metabolismo.
La leggenda: la tradizione narra che il Cavallo di Troia fu costruito proprio con il legno di corniolo,
così come il giavellotto con il quale Romolo tracciò i confini di Roma.
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mer
27
nov
2013
Case di Paglia: come autocostruire una casa naturale e
autosufficiente con 45mila euro -Sara Bartolini
Casa di paglia autocostruita. I cereali oltre che il pane, ci possono dare anche
una casa. La paglia, materiale di risulta della produzione dei cereali, è infatti un
ottimo materiale da costruzione ed il suo utilizzo si sta sviluppando velocemente
anche in Italia.
La paglia viene utilizzata nelle costruzioni sotto forma di balle o ballette
pressate, che sostituiscono il tradizionale mattone in terra cotta, andando a
costituire il materiale per il tamponamento e l'isolamento dei muri e delle
coperture; la struttura solitamente è in legno, un materiale naturale e con ottime
prestazioni anti sismiche.
Dall'idea di sperimentare questo materiale e tutte le sue potenzialità nasce il
progetto Filo di Paglia, un gruppo di giovani architetti e designer, che dopo
essersi formati sul tema in Italia ed all'estero, mette in pratica le proprie
esperienze, progettando e realizzando edifici in balle di paglia.
Lo studio si occupa di progettazione, formazione e di assistenza
all'autocostruzione.
La realizzazione di murature in balle di paglia infatti è molto semplice, e questa
semplicità permette ai proprietari di realizzare parte dell'abitazione direttamente
con le proprie mani, abbattendo notevolmente i costi di costruzione.
Si può decidere di realizzare da soli le murature in paglia; gli intonaci,
solitamente in terra cruda e calce; o di spingersi ancora oltre e di realizzare
completamente in autocostruzione la propria casa. L'autocostruzione non è uno
scherzo, ed è importante che chi decide di avvicinarsi al lavoro del cantiere sia
ben formato e sappia come muoversi e lavorare con gli altri "per questo
organizziamo corsi di formazione, perché le persone possano provare cosa vuol
dire lavorare in un cantiere e riescano a capire i propri limiti e potenzialità, prima
di instradarsi in un viaggio che a volte può essere anche molto lungo. Inoltre i
corsi di formazioni sono utili anche per aiutare le persone a capire che una casa
in paglia è solida e duratura, che non parliamo della casa dei tre porcellini, ma di
un edificio confortevole, isolato e sano", spiegano i ragazzi di Filo d'Oro.
La paglia è un materiale totalmente naturale, che ha un ciclo di vita breve (ogni
anno si rigenera), e che non richiede grosso impiego di energia grigia (le piante
già si coltivano per la produzione dei cereali). La paglia non rilascia
nell'ambiente sostanze inquinanti, ha un'elevata traspirabilità e permette alle
pareti di respirare, garantendo sempre un elevato confort termo igrometrico
interno agli edifici.
La buona progettazione e realizzazione per un edificio in paglia è molto
importante, è fondamentale proteggere il materiale in maniera adeguata da
acqua e umidità, "si dice che un edificio in paglia deve avere buoni stivali ed un
buon cappello!" e seguire alcuni accorgimenti in fase di realizzazione
dell'edificio.
Filo di Paglia ha progettato e realizzato alcuni edifici in Italia, sia aiutando i
proprietari nell'autocostruzione che organizzando il lavoro di ditte specializzate.
L'autocostruzione della casa 45k
In particolare la casa 45K , casa di Andrea e Francesca e una delle sedi dello
studio, è stato un primo banco di prova per sperimentare l'utilizzo della paglia e
altre tecnologie naturali, oltre alla progettazione di arredi interni che utilizzano
materiali riciclati e di scarto.
La casa è stata realizzata da Andrea e Francesca completamente in
autocostruzione, con un budget totale di 45.000 Euro (da qui il nome) e 3000 ore
di lavoro. Le murature riprendono ed adattano al contesto italiano la tecnica
canadese GREB, ma rispetto a questa propongono alcune interessanti
innovazioni: il cemento che è previsto nella realizzazione della malta GREB non
è stato utilizzato ed è stato sostituito con argilla e calce naturale; inoltre per dare
ancora maggior stabilità e resistenza alle murature le balle di paglia sono state
ulteriormente pressate e bloccate alla struttura portante in legno, andando a
costituire con questa un unico corpo, così che la paglia possa contribuire alla
riduzione delle eventuali azioni sismiche; inoltre, per rispondere in maniera più
efficiente alle esigenze di isolamento estivo, è stata aumentata la massa del
muro attraverso l'utilizzo di uno spessore maggiore di malta e di intonaco.
Al centro dell'edificio si trova una stufa in terra cruda, che attraverso un sistema
di ricircolo dei fumi, contribuisce al riscaldamento di tutti gli ambienti. L'impianto
di riscaldamento a parete è alimentato da una pompa di calore e tutta l'energia
che serve alla casa è fornita da pannelli fotovoltaici e da mini pale eoliche. La
casa è un'isola, completamente autosufficiente! Si tratta di una delle prime
abitazioni off – grid realizzate in Italia.
Anche le finiture interne ed esterne sono realizzate con materiali naturali; il
particolare colore bianco dell'intonaco esterno è dato dalla calce naturale,
utilizzata per la finitura dei muri; i pavimenti sono stati realizzati in argilla,
sperimentando la tecnica giapponese del Tataki, ed il particolare colore di
finitura è dato dall'utilizzo di pigmenti di terra di Siena rossa e gialla; gli intonaci
interni in grassello sono stati realizzati con la tecnica dell'affresco e quelli di
bagno e cucina con la tecnica marocchina del Tadelakt, che attraverso l'utilizzo
di una finitura realizzata con il sapone rende impermeabili e lavabili le superfici.
Il costo di costruzione della casa è veramente minimo, ma anche realizzando un
edificio in paglia non in autocostruzione si può arrivare ad un importante
risparmio, sia nei costi di costruzione, dovuti all'utilizzo di un materiale povero,
che ai costi di gestione, una casa in paglia riesce a far risparmiare il 75% su
costi energetici per riscaldamento e raffrescamento.
L'utilizzo di un materiale naturale a basso impatto ambientale, la facilità di
costruzione, l'abbattimento dei costi per l'isolamento e per la gestione della casa
rappresentano le maggiori innovazioni e potenzialità della paglia nelle
costruzioni, senza considerare che a "fine vita" quasi la totalità dell'edificio può
essere riciclata o biodegradata, abbattendo costi ed esternalità negative anche
per le generazioni future.
Potete leggere e seguire la storia della costruzione della casa sul sito
www.filodipaglia.com , dove un blog ripercorre le fasi della costruzione,
raccontando esperienze, difficoltà e tante soddisfazioni.
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mar
19
nov
2013
RICETTA SEADAS O SEBADAS
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sab
16
nov
2013
TERRA PROMESSA
Terra-Promessa-Lampedusa.pps
Presentazione Microsoft Power Point [1.3 MB]
Download
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ven
15
nov
2013
ANGELI DEL FANGO, L'ALLUVIONE DI FIRENZE DEL
'66
http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntate/lalluvione-di-firenze/543/default.aspx
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lun
11
nov
2013
LA CAMPANA DELLA CHIESA-TRILUSSA
Che sôno a fa’? – diceva una Campana. Da un po’ de tempo in qua, c’è tanta gente
che invece d’entrà drento s’allontana.
Anticamente, appena davo un tocco
la Chiesa era già piena;
ma adesso ho voja a fa’ la canoffiena
pe’ chiamà li cristiani cór patocco!
Se l’omo che me sente nun me crede
che diavolo dirà Dommineddio?
Dirà ch’er sôno mio
nun è più bono a risvejà la fede. No, la raggione te la spiego io:
je disse un angeletto
che stava in pizzo ar tetto nun dipenne da te che nun sei bona,
ma dipenne dall’anima cristiana
che nun se fida più de la Campana
perchè conosce quello che la sona…
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lun
28
ott
2013
Società biblica, verso una nuova traduzione della Bibbia
ROMA - La Società biblica britannica e forestiera e la Società biblica in Italia prevedono per
il 31 ottobre 2017, cinquecentesimo anniversario della Riforma protestante, la pubblicazione
del "nuovo Testamento e Salmi" e per il 2023 la pubblicazione dell'intera Bibbia in una nuova
traduzione in italiano. Lo annuncia Eric Noffke, presidente della Società biblica in Italia in
una lettera rivolta alle comunità evangeliche in vista della prossima ricorrenza della
"Domenica della Riforma (27 ottobre 2013). Eric Noffke scrive: «Il metodo che vorremmo
seguire [per la nuova traduzione, ndr], già illustrato agli esecutivi delle chiese evangeliche, è il
più corale fin dalla partenza, perché vede coinvolto un gruppo di traduttori, consulenti e
revisori scelti nel mondo dell'evangelismo italiano per fare una traduzione fedele alla lettera
dei testi biblici e in una lingua moderna, sotto la guida della Società biblica britannica e
forestiera e dei suoi esperti». Nella stessa lettera Eric Noffke ricorda che «il grande merito dei
Riformatori, a cominciare da Martin Lutero, fu quello di richiamare la cristianità alla sua
fonte, a Cristo, alla Parola di Dio fatta carne, la cui unica testimonianza autorevole si trova
nelle Sacre Scritture e nel Nuovo Testamento. [gp] Per maggiori informazioni: tel.
06/69941416; fax 06/69941702; email: [email protected] - See more at:
http://www.evangelici.net/notizie/1382533980.html#sthash.u1ELDHOn.dpuf
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gio
22
ago
2013
DEL BUON USO DEL TELEFONO MOBILE, ovvero: “IL
PARLATOR CORTESE”
La buona educazione è il risultato di secoli di sedimenti culturali. Buon garbo ed educazione sono
oggi spesso negletti ed il ritmo della vita induce a volte a trascurarne l’importanza. Buone maniere e
garbo, invece, non sono formalità vuote di contenuto, bensì un modo codificato – quindi
intelligibile a tutte/i- per mostrare rispetto alle persone ed il presupposto per pretenderne. Il telefono
mobile o portatile, il telefonino o telefono cellulare ha un’età storica insignificante ed è largamente
diffuso da molto meno; per questo non si è ancora formato un codice di comportamento nel suo
utilizzo generalmente condiviso ed universalmente adottato. Molte persone si sforzano
lodevolmente di adattare i canoni della buona educazione tradizionale all’uso del cellulare, ma
ciascuno lo fa a suo modo e per questo spesso con poco successo o incomprensioni a dispetto delle
buone intenzioni. Queste regolette sono la sintesi dei modi garbati adottati e/o suggeriti da persone
diverse nell’uso del loro cellulare; esse possono costituire un aggiornamento della buona creanza in
rapporto a questo aspetto della modernità.
1. Non chiedere il numero di telefono cellulare; non rivelare il tuo con leggerezza ne quello altrui
senza aver prima ottenuto il consenso dell’interessata/o. 2. Non spegnere mai il telefono portatile. 3.
Silenzia il telefonino se non vuoi essere disturbato; avrai comunque traccia di chi Ti ha telefonato.
4. Ricontatta sempre chi ti ha cercato al telefono cellulare. 5. Silenzia sempre il telefonino nei
luoghi di culto e di intrattenimento, mentre assisiti ad un evento sportivo, durante un appuntamento
di lavoro o di piacere, ad un convegno, in una riunione, a casa d’altri, ecc.. 6. Nelle riunioni e/o
nelle occasioni pubbliche non esitare a chiedere a tutte/i di silenziare il rispettivo telefono portatile,
se il tuo ruolo lo consente. 7. Usa prevalentemente la sola vibrazione come segnale per le telefonate
in arrivo. 8. Attiva la suoneria solo quando il telefono cellulare è lontano da te e tienila bassa q.b. 9.
Non giocherellare col telefonino e non esporlo in vista di chi è con te; questi potrebbe pensare che
attendi una telefonata più di quanto tu non sia interessato/a alla conversazione e dispiacersene. 10.
Dai la precedenza a chi ti è accanto, evitando di rispondere a telefonate mentre sei in compagnia; se
non puoi farne a meno, chiedendo scusa a chi è con te, allontanati e limita all’essenziale la
conversazione. 11. Se decidi di rispondere comunque ad un telefonata mentre sei in compagnia (es:
se sei un passeggero in un automobile altrui, ecc.) annuncia a chi è con te che non puoi astenerti
dalla risposta e scusati per questo, chiedi subito a chi ti telefona se la comunicazione è urgente e se
può essere eventualmente differita accordandoti su chi ritelefonerà e quando; se concordi che sia Tu
a ritelefonare, a tempo debito ricordati di farlo. 12. Non poggiare il telefono portatile sul tavolo del
ristorante, il banco o il tavolino del bar e se sei solo resisti alla tentazione di usarlo mentre consumi.
13. In vacanza (al mare, durante una passeggiata in montagna, in campagna, sulle rive di un lago od
un fiume, ecc.), specialmente se sei in gruppo, tieni silenziato il telefono cellulare e ritelefona a chi
ti ha cercato solo in un secondo tempo. 14. Se chi è con te decide di rispondere ad una telefonata,
allontanati per discrezione. 15. Se non ottieni risposta al quarto squillo, rinvia la telefonata. 16. Se
telefoni mentre sei in compagnia allontanati per non disturbare il lavoro o lo svago di chi è con te
(es: se fai o ricevi una telefonata mentre guardi la TV con qualcun altro). 17. Se telefoni in strada o
in un luogo pubblico controlla il tono di voce, non trattare argomenti riservati (anche, ad es: “Rossi,
quello che abita sul mio pianerottolo, è in vacanza per due settimane e mi ha chiesto di dar l’acqua
ai suoi fiori”) o “piccanti”, non fare nomi di persone, usa un linguaggio decoroso, non gesticolare e
non gironzolare. 18. Non telefonare quando sei in coda o ti stanno servendo alla posta o in banca, in
biglietteria, al check-in in aeroporto, al supermercato, in un negozio o mentre un cameriere sta
prendendo le ordinazioni al tuo tavolo, ecc. 19. Riduci al minimo le telefonate sui mezzi pubblici
(treni, bus, taxi, ecc.). 20. A meno di rapporti confidenziali e/o di emergenze è bene telefonare ai
telefoni portatili solo tra le 9 e le ore 19, evitando le ore dei pasti ed i giorni festivi; se telefoni
all’estero tieni conto del fuso orario. 21. Quando telefoni entri nella privacy di qualcuna/o e ne
interrompi l’attività; esordisci salutando, chiedendo per prima cosa se disturbi o se sia opportuno
ritelefonare in un altro momento; non dimenticare di chiedere al/la intercolutore/rice come sta prima
di avviare la conversazione. 22. Non trascurare di fare una sola breve telefonata di cortesia ai tuoi
colleghi più stretti quando sono in vacanza, ma solo se pensi che gradiscano il tuo interessamento;
ricordati però che se sono all’estero, una buona parte della chiamata è a loro carico; in questo caso
uno SMS può forse bastare. 23. Se telefoni ad una persona con la quale non sei in confidenza,
preannunciati con un SMS e chiedi quando potrai telefonare senza disturbare; chi è bene educata/o
ti risponderà senz’altro. 24. Non leggere o scrivere SMS mentre stai colloquiando con qualcuna/o.
25. Usa gli SMS solo per comunicazioni informali e di rilievo minore; evita l’uso delle
abbreviazioni e/o delle parole sincopate; usa la punteggiatura e le maiuscole. 26. Non usare SMS
per comunicazioni che richiedono una risposta immediata; telefona! 27. Verifica il tono dello SMS
prima di spedirlo; potresti inavvertitamente averne usato uno inappropriato. 28. Se ricevi un SMS (o
una email) è buona educazione rispondere sempre compatibilmente con le circostanze; comunque,
quanto prima è cortese dare all’interlocutore almeno un segnale di riscontro; a volte un semplice
“grazie”, un “si” o un “no” o la promessa di rispondere/richiamare successivamente sono più che
sufficienti, anche inviati dopo qualche ora,. 29. Non chiedere in prestito il telefono cellulare, a meno
di un’assoluta necessità; in questo caso la conversazione dovrà essere estremamente essenziale,
breve e concisa. 30. Non scrivere SMS mentre conduci un automobile. Non telefonare mentre guidi,
anche se hai il viva voce
o l’auricolare; la tua attenzione sarà comunque distratta dalla conversazione.
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sab
03
ago
2013
Il riscaldamento globale e gli oceani (quimeteo.it)
Non è solo l’atmosfera ad essere riscaldata dall’effetto serra, ma un contenitore di calore
molto più influente per il clima globale La crescente concentrazione di gas ad effetto
serra nell’atmosfera, come tutti ormai sappiamo, sta intrappolando sempre più radiazione
infrarossa nelle vicinanze della superficie terrestre. Ci si attende che questa radiazione in
eccesso riscaldi la superficie e i primi strati atmosferici, ma recenti osservazioni indicano
che la maggior parte del calore è trasportata all’interno degli oceani. Nuovi lavori
scientifici hanno sostanzialmente rafforzato l’evidenza che le attività umane stanno
riscaldando queste immense masse d’acqua. Le osservazioni hanno mostrato che l’84%
del calore in eccesso dal 1950 si trova attualmente negli oceani. Questo aumentato
contenuto di calore degli oceani ha portato ad un’espansione termica delle acque,
contribuendo almeno al 25% dell’innalzamento del livello globale dei mari relativo agli
ultimi 50 anni. In figura possiamo osservare l’anomalia di temperatura della superficie
oceanica, con differenze anche di 5 gradi centigradi.
Il riscaldamento dell’oceano può anche portare ad una maggiore stratificazione delle
acque, causando un indebolimento della circolazione globale oceanica, così come molti
modelli di previsione numerica climatica confermano; inoltre, gli oceani sono un
elemento chiave nel ciclo globale del carbonio, in quanto si stima che la metà del
carbonio prodotto da attività umane dall’inizio dell’era industriale sia appunto contenuta
in essi. Per tutte queste ragioni, gli oceani sono un posto importante dove cercare i
cambiamenti climatici attesi a causa dell’effetto serra, una sorta di “impronte digitali”
(fingerprints) per dirla nel linguaggio scientifico.
Molti dei cambiamenti osservati alla superficie terrestre e nella libera atmosfera nel
ventesimo secolo possono essere riprodotti dai modelli climatici che tengono conto
dell’incremento dei gas ad effetto serra, degli aerosol associati all’inquinamento, dei
cambiamenti nella radiazione solare e della riflessione di questa da parte degli aerosol
vulcanici. I metodi “ad impronte digitali” usano informazioni dettagliate riguardo la
risposta climatica a queste influenze esterne, allo scopo di separarle una dall’altra e dalla
variabilità naturale del sistema climatico. Gli studi che usano questi metodi hanno
mostrato, con ottima approssimazione, che la principale causa dell’aumento di
temperatura negli ultimi 50 anni è stato causato dai gas ad effetto serra.
T.P Barnett e i suoi collaboratori hanno applicato questi metodi relativamente agli storici
della temperatura dei primi 700 metri di profondità oceanica dal 1960. E’ proprio in
questo strato che sono stati registrati i maggiori cambiamenti di temperatura, sebbene ci
sia da dire che questo strato è quello che meglio si conosce proprio perché più studiato
dalla comunità scientifica. Gli autori hanno comparato i migliori dati osservativi
disponibili con le simulazioni di due diversi modelli numerici. I risultati mostrano che i
cambiamenti nella radiazione solare e la forzante relativa agli aerosols vulcanici non
riesce a spiegare la situazione osservata di cambiamento oceanico. Il fatto che entrambi i
modelli convergano a questa conclusione indica che i risultati non sono affetti in modo
significativo da errori nella formulazione dei modelli.
Quindi la situazione attuale, come in molti altri campi della fisica atmosferica e
oceanica, è ancora in fase di studio e nuovi metodi devono ancora essere sviluppati per
consentire un’indagine scientifica adeguata. Il riscaldamento degli oceani rimane
comunque un argomento di primaria importanza, sia per effetti a breve termine come ad
esempio gli ormai tristemente famosi uragani che colpiscono l’America del centro-nord
o El Nino, sia soprattutto per effetti a lungo termine. La capacità termica dell’acqua è
infatti così elevata da far sentire gli effetti di un riscaldamento anche a distanza di secoli.
Bibliografia
1. T. P. Barnett et al., Science 309, 284 (2005)
2. S. Levitus, J. I. Antonov, T. P. Boyer, Geophys. Res. Lett. 32, L02604 (2005)
3. J. I. Antonov, S. Levitus, T. P. Boyer, Geophys. Res. Lett. 32, L12602 (2005)
4. U. Cubasch et al., in Climate Change 2001: The Scientific Basis. Contribution of
Working Group I to the Third Assessment Report of the Intergovernmental Panel on
Climate Change, J. T. Houghton et al., Eds. (Cambridge Univ. Press, New York, 2001),
pp. 525-582
5. C. L. Sabine et al., Science
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gio
01
ago
2013
il-dilemma-dell-australia-miniere-carbone-o-paradisonaturale-e-scontro-tra-ambientalisti-e-colossi
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lun
22
lug
2013
La preghiera secondo Barth
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lun
15
lug
2013
La Bibbia è prima in classifica… in Norvegia
A maggio le vendite hanno bissato il successo
del 2012 grazie a una performance teatrale del
National Theatre Company che ha portato in
scena episodi tratti dal Vecchio e Nuovo
Testamento.
La nuova traduzione della Bibbia pubblicata
dalla Norwegian Bible Society nell’ottobre
2011 è andata a prendere il posto di una
vecchia edizione datata 1978 con lo scopo di
migliorarne al contempo la leggibilità e la
correttezza filologica. Termini troppo lontani
dal linguaggio comune e la patina un po’
desueta nella sintassi sono stati rivisti in chiave
moderna. Ma non è solo una questione di
traduzione. La Norwegian Bible Society ha
sostenuto il lancio della nuova Bibbia con una
campagna marketing degna di un bestseller,
con teaser delle storie bibliche fatti uscire
prima del lancio ufficiale e scelte grafiche
pensate per attrarre specifici target di lettori:
il rosa e il denim per i teenager piuttosto che
sofisticate copertine elaborate per i lettori
adulti. Così, il libro dei libri ha conquistato
uno dei popoli più laici d’Europa (solo l’1%
dei 5 milioni di residenti frequentano
abitualmente la Chiesa anche se la base
evangelica e protestante è molto forte). Ma il
fenomeno non è nuovo: dall’uscita al dicembre
2012, infatti, la Bibbia è stata in classifica per
ben 54 settimane su 56, superando in
permanenza Cinquanta sfumature di grigio e
l’autobiografia di Justin Bieber e diventando –
con le sue 160.000 copie – il libro più venduto
del 2012!
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mer
10
lug
2013
Disciplina domestica cristiana”. La violenza sulle donne
giustificata dalla fede
Si chiama DDC ed è un modo di intendere la fede cristiana che sta rapidamente prendendo
piede in Italia. Le donne accettano di essere picchiate, abusate e sottomesse dai propri
compagni, i quali hanno il compito di "disciplinarle" per "volere di Dio".
-Redazione- -20 giugno 2013-A poche ore
dall'approvazione in Senato della Convenzione di Istanbul, contro la violenza sulle donne, e in un
momento in cui si parla molto di femminicidio, diventa impossibile non indignarsi di fronte a quel
fenomeno che, ultimamente, sta spopolando negli Stati Uniti, trovando terreno purtroppo fertile
anche in Europa e in Italia.
Si chiama DDC, Disciplina Domestica Cristiana. E' una maniera aberrante di intendere e praticare
la fede religiosa, basata sul sessismo e sull'abusoall'interno del matrimonio. Secondo le migliaia e
migliaia di persone che vi credono, attraverso questa è possibile tornare alle origini, a prima, cioè,
che Eva compisse il peccato originale offrendo la mela ad Adamo. La prima donna che sbagliò
condannò, secondo quanto queste persone credono, tutte le donne a errare e soltanto l'intervento
dell'uomo può aiutarle a ritrovare la giusta strada. Attraverso le punizioni corporali e la
dominazione.
Non si trattano neanche di tecniche sadomaso, sebbene i manuali di DDC spesso e volentieri citino
pratiche a sfondo chiaramente erotico: il piacere, infatti, è secondario rispetto alla necessità di
“riportare all'ordine la donna” e insegnarle a comportarsi. Dunque, se alcuni volumi insegnano al
marito come picchiare la moglie, impartiscono anche lezioni su come costringerla a soddisfarlo
sessualmente con l'unico intento di umiliarla e sottometterla.
A ogni errore della femmina, scattano le punizioni, scelte dall'uomo, a proprio piacimento, e non vi
è possibilità di ribellarsi in quanto la violenza non scaturisce, secondo loro, dal proprio compagno,
bensì dalla mano stessa delSignore che intende salvarle e renderle degne del Paradiso. Inoltre,
coloro che ne siano sottomesse, ringraziano per ciò che subiscono e arrivano a richiedere maggiore
severità per potersi migliorare.
Navigando su internet, è possibile trovare centinaia di forum e testimonianze di persone che
credono nella Disciplina Domestica come adempimento della volontà di Dio. Consigli e
suggerimenti, ma anche resoconti e descrizioni dettagliate delle pratiche di punizione. Qualcuno
arriva anche a richiedere un ritorno dello “ius corrigendi”, il diritto cioè di punire la propria
moglie, che rimase in vigore fino al 1963. La sua abolizione, secondo una blogger dedita alla DDC,
per esempio, è “un peccato” per tutte coloro che “credono fermamente nel diritto del marito di
correggerle, e nel proprio dovere di essere disciplinate dall'uomo che amano e di cui si
fidano.”
http://www.articolotre.com
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sab
06
lug
2013
Dalla Francia un’idea ruspante, per ridurre i rifiuti ed avere
uova freschissime!!!
Barsac è un paesino di 2.100 abitanti della Gironda e il suo sindaco ha avuto un’idea geniale per la
riduzione dei rifiuti organici. Invece di dotare i suoi cittadini di compostiere, il sindaco, Philippe
Meynard, ha donato una coppia di galline a circa 150 famiglie. Questa scelta, che a prima vista
sembrerebbe alquanto bizzarra, nasce da un calcolo sulla riduzione dei rifiuti organici: in un anno
ogni coppia di volatili mangia circa 300 kg di rifiuti alimentari domestici (pane secco, scarti di
frutta e verdura, etc…), produce 400 uova e una discreta quantità di pollina, ottimo concime per gli
orti familiari.
Le famiglie che hanno ricevuto in regalo la coppia di galline si sono impegnate a tenerle per due
anni, a curarle e a non mettere galli nel loro pollaio. In cambio hanno ricevuto il permesso per
vendere le uova in eccedenza al mercato locale.
L’idea è stata già copiata da diversi sindaci della zona e di altre aree rurali francesi.
L’amministrazione comunale di Podensac, un altro paese della Gironda, ha calcolato che
distribuendo 1.000 galline eviterebbe lo smaltimento di 150 tonnellate di rifiuti alimentari con un
risparmio per le casse comunali di 15.000€…
http://unpodimondo.wordpress.com
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ven
05
lug
2013
Per voi che andate a fare il bagno alle spiagge bianche...
La Procura di Livorno ha accettato la richiesta di patteggiamento dello
stabilimento Solvay di Rosignano. L’inchiesta riguarda gli scarichi a
mare dello stabilimento chimico. Il reparto operativo aeronavale della
Guardia di finanza di Livorno aveva scoperto che gli scarichi a mare
della Solvay venivano diluiti con acque di raffreddamento; in questo
modo venivano fatte rientrare nei limiti di legge le quantita’ di sostanze
inquinanti sversate. Ora, la richiesta di patteggiamento verra’ inoltrata al
giudice.
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mer
26
giu
2013
CANDID CAMERA?