Custine – Lettere XXXV e XXXVI

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Custine – Lettere XXXV e XXXVI
associazione culturale Larici – http://www.larici.it
Astolphe de Custine
La Russia nel 1839
Lettere XXXV e XXXVI
La Russie en 1839
18431
1 Traduzione dal francese e note siglate (N.d.T.): © associazione culturale Larici, 2013. Il
testo di base è la prima edizione, ma si dà conto delle variazioni operate nella seconda
edizione riveduta da Custine stesso, entrambe pubblicate a Parigi nel 1843. L’immagine
mostra il percorso del viaggio.
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Lettera XXXV2
Mosca, 8 settembre 1839
[…] Qui finisce la corrispondenza del viaggiatore, il racconto che si
leggerà completa i suoi ricordi: fu scritto in vari luoghi, prima a Pietroburgo
nel 1839, poi in Germania e più tardi a Parigi.
Racconto
Berlino, primi giorni di ottobre 1839
[…] La vicinanza del polo è contrario alle arti, tranne alla poesia, cui
talvolta basta l’anima umana; allora è il vulcano sotto il ghiaccio. Ma per gli
abitanti di quegli aspri climi, la musica, la pittura, la danza, tutti i piaceri
delle sensazioni che, fino a un certo grado, sono indipendenti dal pensiero,
perdono fascino perdendo il loro strumento. Che cosa farebbero la notte
Rembrandt, e Correggio, e Michelangelo, e Raffaello in una camera senza
luce? Il Nord ha senza dubbio delle bellezze, ma è una struttura che manca
di giorno. L’amore più libero dai sensi nasce in noi meno dai desideri fisici
che dai bisogni del cuore; ma, non trovandosi nel vano lusso del potere e
dell’opulenza, tutto il seducente corteo della gioventù, coi suoi giochi, le sue
grazie, le sue risate, le sue danze, si ferma nelle regioni benedette in cui i
raggi del sole, non accontentandosi di scivolare a malapena sulla terra, la
riscaldano e la fecondano illuminandola dall’altezza del cielo.
In Russia ogni cosa risente di una doppia tristezza: la paura del potere,
l’assenza del sole!!… Le danze nazionali assomigliano a volte a una ronda
guidata da ombre, che sfila tristemente al chiarore di un crepuscolo che non
finisce mai; a volte, quando sono vivaci, a un esercizio che incute paura di
addormentarsi e di gelare dormendo. Mademoiselle Taglioni lei stessa…
ahimè!… mademoiselle Taglioni non è diventata a San Pietroburgo una
ballerina perfetta? Che crollo per la Silfide3!!!… è la storia di Ondina
2 La traduzione della Lettera XXXV è parziale in quanto nella prima parte Custine continua
la cronaca del viaggio, da Nižnij Novgorod a Mosca. Al contrario, la traduzione della
Lettera XXXVI è integrale. (N.d.T.)
3 La danzatrice Maria Taglioni (1804-1884) fu, tra il 1837 e il 1839 l’étoile fissa del Teatro di
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diventata una semplice donna4… Ma quando cammina per strada… perché
cammina ora… è seguita dai lacchè in gran livrea con belle coccarde sui loro
cappelli e galloni d’oro, e la si copre tutte le mattine sui giornali di articoli
pieni delle lodi più ridicole che io abbia letto. Ecco che cosa i Russi, con tutto
il loro spirito, sanno fare per le arti e per gli artisti. Ciò che occorre agli
artisti, è un cielo che li faccia nascere, un pubblico che li comprenda, una
società che li ispiri… Ecco il necessario: le ricompense sono un sovrappiù; le
si dia loro in aggiunta, come dice il Vangelo5. Non è in un impero in cui il
popolo è stato represso con la forza non lontano dalla terra dei Lapponi, ed
educato con la forza da Pietro I, che bisogna andare a cercare queste cose.
[…] Quando il sole della divulgazione sorgerà sulla Russia, ciò che
illuminerà le ingiustizie, non solo antiche ma di ogni giorno, farà fremere il
resto del mondo. Non se ne rabbrividirà abbastanza, perché tale è la sorte
della verità sulla terra: finché i popoli hanno il massimo interesse a
conoscerla l’ignorano, e quando l’imparano non importa loro più molto. Gli
abusi di un potere alla rovescia non eccitano che fredde esclamazioni;
coloro che li riferiscono passano per degli accaniti che picchiano il nemico a
terra, mentre da un altro lato gli eccessi di questo potere iniquo rimangono
accuratamente nascosti finché è in piedi, perché innanzitutto esso adopera
la propria forza per soffocare i lamenti delle sue vittime; stermina,
annienta, si guarda dall’irritare, e poi applaude se stesso della sua
mansuetudine perché non si permette che le crudeltà indispensabili.
Tuttavia, si vanta a torto della propria dolcezza: quando la prigione è muta
e chiusa come la tomba, si passa facilmente dal patibolo!!…
L’idea che respiravo la stessa aria che tanti uomini ingiustamente
oppressi, separati dal mondo, mi privava del riposo di giorno e di notte. Ero
partito dalla Francia spaventato dagli abusi di una libertà bugiarda, torno
nel mio paese persuaso che se il governo rappresentativo non è il più
morale, logicamente parlando, è saggio e moderato nella pratica; quando si
vede che esso preserva i popoli da un lato dalla licenza democratica e
dall’altro dagli abusi più palesi del dispotismo, abusi orrendi tanto più che le
società che li tollerano sono le più avanzate nella civiltà materiale, ci si
domanda se non bisogna imporre il silenzio alle sue antipatie e subire senza
lamentarsi una necessità politica che, dopo tutto, porta alle nazioni
preparate più del bene che del male.
In verità, finora questa nuova e saggia forma di governo non ha potuto
consolidarsi che con l’usurpazione. Forse queste usurpazioni definitive erano
state rese inevitabili per tutti gli errori precedenti; è una questione di
San Pietroburgo e in seguito, fino al 1842, vi lavorò saltuariamente. Debuttò con La
Silfide, capostipite del balletto romantico e suo cavallo di battaglia, ottenendo uno
strepitoso successo, ma nel tempo il pubblico perse interesse al suo repertorio che alla
fine fu eliminato dalla programmazione. (N.d.T.)
4 Protagonista di una storia germanica, Ondina era una ninfa acquatica e come tale
immortale finché non si fosse sposata con un mortale e avesse partorito un figlio. Quando
ciò successe, Ondina cominciò a perdere la propria bellezza e il marito la tradì. (N.d.T.)
5 Mt 6,1-6;16-18. (N.d.T.)
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politica religiosa che il tempo, il più saggio dei ministri di Dio sulla terra,
risolverà per i nostri nipoti. Ciò mi ricorda un pensiero profondo espresso da
una delle menti più illuminate e più colte della Germania, Varnhagen von
Ense6: «Ho molto cercato – mi scriveva un giorno – per chi si fanno, in
ultima analisi, le rivoluzioni e, dopo trent’anni di riflessioni, ho trovato ciò
che avevo pensato fin dalla mia giovinezza: si fanno per coloro contro cui
sono dirette».
Mai dimenticherò ciò che ho sentito passando il Niemen per entrare a
Tilsit7; è soprattutto in quel periodo che ho dato ragione all’albergatore di
Lubecca8. Un uccello, fuggito dalla gabbia, o uscendo da sotto la campana di
una macchina pneumatica sarebbe meno felice. Posso dire, posso scrivere
quello che penso, sono libero!… esclamai. La prima lettera autentica
indirizzata a Parigi è partita da questa frontiera: farà effetto nella piccola
cerchia dei miei amici, che, finora senza dubbio, erano stati ingannati dalla
mia corrispondenza ufficiale. Ecco la copia della lettera:
Tilsit, giovedì 26 settembre 1839
«Questa data vi farà, spero, altrettanto piacere leggerla quanto me ne ha
fatto scriverla; eccomi fuori dall’impero dell’uniformità, delle minuziosità e
delle difficoltà. Si parla liberamente e lo si crede in un vortice di piacere e in
un mondo trascinato dalle idee nuove verso una libertà disordinata. È
tuttavia in Prussia che si è; ma uscire dalla Russia è ritrovare delle case il
cui piano non è stato comandato a un schiavo da un padrone inflessibile,
case povere ancora, ma liberamente costruite; è vedere una campagna
allegra e liberamente coltivata (non dimenticate che è della Prussia che
parlo), e questo cambiamento apre il cuore. In Russia l’assenza della libertà
si risente nelle pietre tutte tagliate ad angolo retto, nelle travi tutte
squadrate regolarmente, si risente anche negli uomini…
«Finalmente respiro!… posso scrivervi senza le precauzioni oratorie
imposte dalla polizia: precauzioni quasi sempre insufficienti, perché c’è
tanta suscettibilità di amor proprio quanta prudenza politica nello
spionaggio dei Russi. La Russia è il paese più triste della terra abitato dagli
6 Karl August Varnhagen von Ense (1785-1858), diplomatico prussiano e scrittore tedesco.
(N.d.T.)
7 Niemen è il nome polacco del fiume Nemunas. Tilsit fu una città tedesca fino al 1945, poi
è diventata russa col nome di Sovetsk. (N.d.T)
8 Nella Lettera IV (Travemünde, 4 luglio 1839), tomo I, un albergatore di Lubecca cerca di
convincere Custine a non andare in Russia. Costui non vi è mai stato ma sostiene di
conoscere le persone dal loro aspetto: «[i Russi] hanno due fisionomie; non parlo dei
valletti che non ne hanno che una, parlo dei signori: quando questi sbarcano in Europa,
hanno l’aria allegra, libera, contenta; sono dei cavalli scappati, degli uccelli ai quali si apre
la gabbia; uomini, donne, giovani, vecchi, tutti sono felici come scolari in vacanza: le
stesse persone al loro ritorno hanno figure lunghe, ombrose, tormentate; il loro
linguaggio è breve, la loro parola irregolare; hanno la fronte preoccupata: ho concluso, da
questa differenza, che un paese che si lascia con tanta gioia e dove si torna con tanto
dispiacere è un cattivo paese». (N.d.T.)
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uomini più belli che abbia visto; un paese dove a malapena si vedono le
donne non può essere allegro… Finalmente eccomi fuori, e senza il minimo
incidente! Ho percorso duecentocinquanta leghe in quattro giorni, su strade
spesso detestabili, spesso magnifiche, perché lo spirito russo, per quanto
ami l’uniformità, non può raggiungere l’ordine vero; il carattere di questa
amministrazione è la pignoleria, la negligenza e la corruzione. Ci si rivolta
all’idea di abituarsi a tutto ciò, e tuttavia ci si abitua. Un uomo sincero in
quel paese passerebbe per pazzo.
«Ora mi riposerò viaggiando con piacere. Ho duecento leghe da fare da
qui a Berlino; ma dei letti dove ci si può coricare, delle buone locande
dappertutto e una grande strada liscia e regolare rendono questo viaggio
una vera passeggiata.»
La pulizia dei letti, delle camere, l’ordine delle case dirette dalle donne:
tutto mi sembrava affascinante e nuovo… Ero colpito soprattutto del disegno
variato delle case, dall’aria di libertà dei contadini e della gaiezza delle
contadine: il loro buonumore mi causava quasi spavento: era
un’indipendenza di cui temevo per essi le conseguenze; ne avevo perso il
ricordo. Si vedono là delle città che sono nate spontaneamente e si
riconosceva che erano costruite prima che qualche governo ne avesse
tracciato il piano. Certamente, la Prussia ducale9 non passa per il paese
della licenza, ebbene, attraversando le vie di Tilsit e più tardi quelle di
Königsberg credevo di assistere al carnevale di Venezia. Mi sono ricordato
allora che un tedesco di mia conoscenza, dopo aver passato, per i suoi
affari, parecchi anni in Russia, alla fine riuscì a lasciare quel paese per
sempre; egli era in compagnia di uno dei suoi amici; appena essi ebbero
messo piede sulla nave inglese che stava sollevando l’ancora, li si vide
cadere nelle braccia uno dell’altro dicendo: «Dio sia lodato, possiamo
respirare liberamente e possiamo pensare ad alta voce!…»
Molte persone, senza dubbio, hanno provato la stessa sensazione: perché
nessun viaggiatore l’ha espresso? È qui che ammiro senza comprenderlo il
prestigio che il governo russo esercita sugli spiriti. Ottiene il silenzio, non
solamente dei suoi sudditi, questo è poco, ma si fa rispettare anche da
lontano dagli stranieri sfuggiti alla sua disciplina di ferro. Lo si loda, o
almeno lo si tace: ecco un mistero che non posso spiegarmi. Se un giorno la
pubblicazione di questo viaggio mi aiuterà a comprenderlo, avrò un motivo
di più per applaudirmi per la mia sincerità.
Da Pietroburgo dovevo tornare in Germania attraverso Wilna10 e Varsavia.
Ho cambiato programma.
Delle disgrazie come quelle della Polonia non dovrebbero essere attribuite
unicamente alla fatalità: nelle sventure prolungate, bisogna sempre valutare
bene sia gli errori che le circostanze. Fino a un certo punto le nazioni, come
9 L’aggettivo «ducale» è stato tolto nella seconda edizione del libro curata da Custine
stesso. La “Prussia ducale” fu annessa alla “Prussia reale” nel 1772, ma tali espressioni
rimasero nel linguaggio parlato per distinguere, rispettivamente, la Prussia orientale da
quella occidentale. (N.d.T.)
10 Wilna è il nome tedesco di Vilnius, ora capitale della Lituania. (N.d.T.)
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gli individui, diventano complici della sorte che li persegue; essi paiono
complici dei rovesci che li raggiungono colpo su colpo, perché a occhi attenti
i destini non sono che lo sviluppo dei caratteri. Vedendo il risultato degli
errori di un popolo punito con tanta severità, non potrei astenermi da
alcune riflessioni di cui mi pentirei; dire i loro fatti agli oppressori è un
incarico che si impone con una sorta di gioia, sostenuto dalla comparsa in
apparenza di un coraggio e una generosità che si attribuiscono al
compimento di un dovere pericoloso, o perlomeno penoso; ma contrastare
la vittima, opprimere l’oppresso, anche a colpi di verità, è un’esecuzione alla
quale non si abbasserà mai lo scrittore che non vuole disprezzare la propria
penna.
Ecco perché ho rinunciato a vedere la Polonia.
Lettera XXXVI
Dalle acque di Ems11, 22 ottobre 1839.
Ho preso l’abitudine di non lasciare passare mai molto tempo senza
obbligarvi a ricordarvi di me; un uomo come voi diventa necessario a coloro
che l’hanno potuto apprezzare una volta e che sanno approfittare dei suoi
lumi senza temerli. C’è ancora più paura che invidia nell’odio che ispira il
talento ai piccoli spiriti: che cosa ne farebbero se l’avessero? Ma essi sono
sempre pronti a temere la sua influenza e la sua penetrazione. Non vedono
che la superiorità dell’intelligenza che serve a conoscere l’essenza delle cose
e a riconoscere la loro necessità, promette l’indulgenza: l’indulgenza
illuminata, è adorabile come la Provvidenza; ma i piccoli spiriti non adorano.
Partito da Ems per la Russia, cinque mesi fa, torno in questo elegante
villaggio, dopo un giro di mille leghe. Il soggiorno termale mi era spiacevole
in primavera, a causa della folla inevitabile di bagnanti e bevitori; lo trovo
delizioso ora che sono letteralmente solo, impegnato a gioire dell’avanzare
di un bell’autunno in montagna, in mezzo a montagne di cui ammiro la
tristezza, mentre raccolgo i miei ricordi e cerco il riposo di cui ho bisogno
dopo il rapido viaggio che ho appena fatto.
Che contrasto! in Russia, ero privato dello spettacolo della natura: là non
c’è natura, perché non voglio dare questo nome a delle solitudini senza
irregolarità pittoresche, a dei mari dalle rive piatte, a dei laghi, a dei fiumi la
cui acqua si ferma quasi al livello della terra, a delle paludi senza limiti, a
delle steppe senza vegetazione sotto un cielo senza luce. Queste vedute di
pianure, denudate di paesaggi pittoreschi, hanno anche il loro genere di
bellezza: ma una grandezza senza fascino stanca rapidamente: che piacere
c’è a viaggiare attraverso immensi spazi nudi, a perdita d’occhio, dove non
si scopre che una vasta superficie tutta vuota? questa monotonia aggrava la
fatica dello spostamento, perché la rende infruttuosa. La sorpresa entra per
11 Oggi Bad Ems, in Germania, nota stazione termale. (N.d.T.)
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qualche cosa in tutti i piaceri del viaggio e nello zelo del viaggiatore12.
È con piacere che mi ritrovo, alla fine della stagione, in un paese vario e
le cui bellezze colpiscono subito gli sguardi. Non saprei dirvi quale fascino
provavo, non c’era che un istante per perdersi nei grandi boschi la cui neve
di foglie morte aveva cosparso il terreno e coperto i sentieri smorti.
Riandavo alle descrizioni di René13; il cuore mi batteva come aveva battuto
una volta leggendo quel doloroso e sublime colloquio di un’anima con la
natura.
Quella prosa religiosa e lirica non aveva perduto nulla del suo potere su di
me e io ero sorpreso dalla mia intenerimento: la gioventù non finisce
dunque mai!
Vedevo talvolta, attraverso il fogliame schiarito dalle prime bianche gelate
bianche, le lontananze vaporose del vallone del Lahn, vicino del più bel
fiume dell’Europa14, e ammiravo la calma e la grazia del paesaggio.
I punti di vista formati dalle gole che servono di smaltimento agli affluenti
del Reno, sono variati; quelli dei dintorni del Volga si somigliano tutti: ma
l’aspetto degli altipiani, che lì si chiamano montagne, perché fanno dei
pianori separati da profonde valli, è generalmente freddo e monotono.
Tuttavia, questo freddo e questa monotonia sono del fuoco, della vita, del
movimento in confronto alle paludi della Moscovia15; stamattina, la luce
scintillante del sole degli ultimi bei giorni si spargeva su tutta la natura e
dava uno splendore meridionale a questi paesaggi del Nord che, grazie ai
vapori dell’autunno, avevano perso la loro secchezza di contorni e la
rigidezza delle loro linee spezzate.
Il riposo dei boschi in questa stagione è sorprendente; contrasta con
l’attività dei campi dove l’uomo, avvertito dalla calma precorritrice
dell’inverno, accelera la fine dei lavori.
Tale spettacolo istruttivo e solenne, perché deve durare tanto quanto il
mondo, mi interessa come se fossi appena nato nascere, o come se stessi
per morire; è che la vita intellettuale non è che una successione di scoperte.
L’anima, quando non ha dissipato del tutto le sue forze nelle affettazioni,
troppo abituali alle persone del mondo, conserva un’inesauribile facoltà di
sorpresa e di curiosità; delle forze sempre nuove l’eccitano a nuovi sforzi;
questo universo non gli basta più: essa chiama, comprende l’infinito; il suo
pensiero matura, non invecchia, ed ecco ciò che ci promette qualcosa al di
là di ciò che vediamo.
12 Nella seconda edizione la frase è accorciata: «Che contrasto! in Russia, ero privato dello
spettacolo della natura: là non c’è natura; sebbene anche quelle vedute di pianure, prive
di paesaggi pittoreschi, abbiano il loro genere di bellezza: ma una grandezza senza
fascino stanca presto: che piacere c’è a viaggiare attraverso immensi spazi nudi, a perdita
d’occhio, dove non si scopre che una vasta superficie tutta vuota? questa monotonia
aggrava il fatica dello spostamento, perché la rende infruttuosa. La sorpresa entra per
qualche cosa in tutti i piaceri del viaggio e nello zelo del viaggiatore.» (N.d.T.)
13 René Descartes o, in italiano, Cartesio (1596-1650). (N.d.T.)
14 Il Reno, di cui il Lahn è un affluente. (N.d.T.)
15 Nella secondo edizione è: «…del movimento in confronto alle paludi senza limiti e alle
steppe senza vegetazione della Moscovia». (N.d.T.)
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È l’intensità della nostra vita che fa la varietà; ciò che si sente
profondamente sembra sempre nuovo, il linguaggio risente di questa eterna
freschezza di impressioni; ogni affetto nuovo presta la sua armonia
particolare alle parole destinate a esprimerlo: ecco perché la tinta dello stile
è la misura più certa della novità, voglio dire della sincerità dei sentimenti.
Le idee si chiedono in prestito, si nasconde la loro fonte, lo spirito mente
allo spirito, ma l’armonia del discorso non inganna mai; prova sicura della
sensibilità dell’anima è una rivelazione involontaria; esce immediatamente
dal cuore e va diritto al cuore, l’arte la sostituisce solo imperfettamente,
nasce dall’emozione; infine questa musica della parola porta più lontano
dell’idea; è ciò che c’è di più involontario, di più vero, di più fecondo
nell’espressione del pensiero: ecco perché Madame Sand16 ha ottenuto così
rapidamente da noi la reputazione che merita.
Santo amore della solitudine, non sei che un vivo bisogno di realtà!… il
mondo è così bugiardo che un carattere appassionato per il vero deve
essere disposto a fuggire le società. La misantropia è un sentimento
calunniato: è l’odio della menzogna. Cioè, non ci sono misantropi, ci sono
delle anime che amano fuggire piuttosto di fingere.
Solo con Dio, l’uomo nel suo ritiro diventa umile a forza di sincerità; là
espia, per il silenzio e la meditazione, tutte le felice frodi degli spiriti
mondani; le loro doppiezze trionfanti, le loro vanità, i loro tradimenti
ignorati e troppo spesso ricompensati; non potendo essere abbindolato, non
volendo essere ingannato, si fa vittima volontaria e nasconde la sua
esistenza con altrettanta cura di quella che i cortigiani della moda mettono
per esporsi alla luce; tale è, senza alcun dubbio, il segreto della vita dei
santi, segreto facile da penetrare, vita difficile da imitare. Se fossi un santo,
non avrei più la curiosità di viaggiare, avrei ancora meno la voglia di
raccontare i miei viaggi; i santi hanno trovato: io cerco.
Sempre cercando, ho percorso la Russia; volevo vedere un paese dove
regna la calma di un potere assicurato della sua forza; ma arrivato là, ho
riconosciuto che non vi regna che il silenzio della paura, e ho tratto da
questo spettacolo un insegnamento tutto differente da quello che ero
venuto a chiedere. È un mondo quasi ignorato dagli stranieri: i Russi che
viaggiano per fuggire pagano da lontano, in elogi astuti, il loro tributo alla
patria, e la maggior parte dei viaggiatori che ce l’hanno descritta non hanno
voluto scoprirvi ciò che cercavano. Se si difendono le proprie prevenzioni
contro l’evidenza, a che serve viaggiare? Quando si è deciso di vedere le
nazioni come le si vuole, non si ha più bisogno di uscire di casa.
Vi mando un riassunto del mio viaggio, scritto dopo il mio ritorno a Ems,
eravate presente nei miei pensieri mentre stavo facendo questo lavoro,
quindi mi sono permesso di indirizzarvelo.
16 George Sand, pseudonimo di Amantine Aurore Lucile Dupin (1804-1876), i cui primi
romanzi, pubblicati su “Le Figaro”, ebbero molto successo. (N.d.T.)
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Riassunto del viaggio
In Russia, tutto ciò che vi colpisce lo sguardo, tutto ciò che accade
intorno a voi è di una regolarità spaventosa, e il primo pensiero che viene
alla mente del viaggiatore mentre contempla questa simmetria è che una
così completa uniformità, una regolarità così contraria alle inclinazioni
naturali dell’uomo, non si è potuta ottenere e non può esistere senza
violenza. L’immaginazione implora inutilmente un po’ di varietà, come un
uccello spiega le ali in una gabbia. Sotto un tale regime, l’uomo può sapere
e sa, il primo giorno della sua vita, quello che vedrà, quello che farà fino
all’ultimo. Una così dura tirannia si chiama, nel linguaggio ufficiale, amore
per l’ordine; e questo aspro frutto del dispotismo sembra così prezioso alle
menti metodiche, che non si può acquistare a caro prezzo.
In Francia mi credevo d’accordo con questi spiriti rigorosi; dopo che ho
vissuto sotto la disciplina terribile che sottomette la popolazione di un intero
impero alla disciplina militare, ve lo confesso, preferisco ancora un po’ di
disordine che annuncia la forza che un ordine perfetto che costa la vita.
In Russia, il governo domina tutto e non vivifica nulla. In questo immenso
impero, il popolo, se non è tranquillo, è muto; la morte incombe su tutte le
teste e le colpisce capricciosamente; cosa che mette in dubbio la giustizia
suprema; dove l’uomo ha due sepolcri: la culla e la tomba. Le madri devono
piangere la nascita più che la morte dei loro figli.
Non credo che il suicidio sia là comune; vi si soffre troppo per uccidersi.
Singolare disposizione dell’uomo!!! quando il terrore presiede alla sua vita,
non cerca la morte, la conosce già17.
D’altronde, anche se il numero di uomini che si uccidono fosse grande in
Russia, nessuno lo saprebbe; la conoscenza dei numeri è un privilegio della
polizia russa, io ignoro se pervengano esatte allo stesso imperatore, ciò che
so è che nessuna disgrazia viene pubblicata sotto il suo regno senza che egli
abbia acconsentito all’umiliante ammissione della superiorità della
Provvidenza. L’orgoglio del dispotismo è così grande che rivaleggia con la
potenza di Dio. Mostruosa gelosia!!!… In quelle aberrazioni hai fatto cadere i
re e i sudditi? Affinché il principe sia più di un uomo che cosa occorre che
sia il popolo?
17 L’ha detto Dickens: «Il suicidio è raro tra i prigionieri, anzi è quasi sconosciuto; ma
nessun argomento in favore del sistema [la prigione solitaria] può essere dedotto
ragionevolmente da questa circostanza, sebbene lo si usi spesso. Tutti gli uomini che
hanno fatto i loro studi sulle malattie dello spirito sanno perfettamente che un
abbattimento, che una disperazione abbastanza profonda per cambiare interamente il
carattere e per annientare ogni forza di elasticità, ogni resistenza propria, possono
lavorare l’intimo di un uomo, ed eppure si fermano davanti all’idea della distruzione
volontaria, che è un caso frequente» (Charles Dickens, American Notes for General
Circulation, cap. VII: Philadelphia, and its Solitary Prison). Il grande scrittore, il profondo
moralista, il filosofo cristiano al quale chiedo in prestito queste righe, non ha solamente
l’autorità del talento e uno stile che incide i suoi pensieri nel bronzo, ma la sua opinione fa
legge in questa materia. ― Accanto alla traduzione francese del brano, Custine riporta
l’originale inglese. (N.d.T.)
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Amate dunque la verità, difendetela in un paese in cui l’idolatria è il
principio della costituzione! Un uomo che può tutto, è la menzogna
incoronata.
Voi capite che non è dell’imperatore Nicola che mi sto occupando in
questo momento, ma dell’imperatore di Russia. Vi si parla molto dei costumi
che limitano il suo potere; io sono stato colpito dall’abuso e non ne ho visto
il rimedio.
Agli occhi del vero uomo di Stato e di tutti gli spiriti pratici, le leggi, ne
convengo, sono meno importanti di quanto credono i nostri logici rigorosi, i
nostri filosofi politici, perché, in ultima analisi, è il modo in cui sono applicati
che decide della vita dei popoli. Sì, ma la vita dei Russi è più triste di quella
di qualunque altro popolo d’Europa e, quando dico popolo, non comprendo
soltanto i servi della terra ma tutti coloro che costituiscono l’impero.
Un governo cosiddetto forte e che si fa spietatamente rispettare in ogni
momento deve necessariamente rendere gli uomini miserabili. Nelle società,
tutto può servire al dispotismo, qualunque sia la finzione, monarchica o
democratica, che si fa dominare. Ovunque il gioco della macchina pubblica
sia rigorosamente esatta, c’è dispotismo. Il miglior governo è quello che non
si fa sentire, ma non si arriva a questo oblio del giogo che per un genio e un
saggezza superiori, o per un certo rilassamento della disciplina sociale. I
governi che furono benefici nella gioventù dei popoli, quando gli uomini
mezzo selvaggi onoravano tutto ciò che li strappava al disordine, lo
ridiventano nella vecchiaia delle nazioni. In quest’epoca, si vedono nascere
le costituzioni miste. Ma questi governi, fondati su un patto tra l’esperienza
e la passione, sono adatti solamente a popolazioni già provate, a società le
cui energie sono consumate dalle rivoluzioni. Da lì si deve concludere che
esse non sono le più solide, sono le più dolci; dunque, i popoli che le hanno
una volta ottenute non saprebbero come prolungarne la durata. La vecchiaia
degli Stati, come quella degli uomini, è l’età più tranquilla quando essa
incorona una vita gloriosa, ma la mezza età di una nazione è sempre
difficile da superare: la Russia lo prova.
In questo paese, a differenza di ogni altro, la natura stessa è diventata
complice dei capricci dell’uomo che ha ucciso la libertà per divinizzare
l’unità; anch’essa è ovunque la stessa: due tipi di alberi mal cresciuti e
disseminati a perdita d’occhio nelle pianure paludose o sabbiose, la betulla e
il pino, ecco tutta la vegetazione naturale della Russia settentrionale, cioè
dei dintorni di Pietroburgo e delle province circonvicine, che comprende
un’immensa estensione di paese.
Dove trovare un rifugio contro gli inconvenienti della società in un clima
che permette di godere la campagna per soli tre mesi all’anno? e che
campagna! Aggiungete che durante i sei mesi più rigorosi dell’inverno, non
si osa respirare all’aria aperta che per due ore al giorno, a meno di essere
un contadino russo. Ecco ciò che Dio aveva fatto per l’uomo in queste
regioni.
Vediamo ciò che l’uomo ha fatto per se stesso: una delle meraviglie del
mondo, senza dubbio, è San Pietroburgo; Mosca è anch’essa una città molto
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pittoresca, ma che cosa dire dell’aspetto delle province?
Vedrete nelle mie lettere l’eccesso di uniformità causato dall’abuso di
unità. Un solo uomo in tutto l’impero ha il diritto di volere, ne consegue che
lui solo ha vita propria.
L’assenza di anima si tradisce in tutte le cose: a ogni passo che fate,
sentite che siete in mezzo a un popolo privato dell’indipendenza. Da venti a
trenta leghe su tutte le strade, una sola città vi aspetta, sempre la stessa.
La tirannia non inventa che i mezzi per rafforzarsi; e poco si preoccupa del
buon gusto nelle arti.
La passione dei principi russi e degli uomini d’affari in Russia per
l’architettura pagana, per la linea retta, per le costruzioni basse e per le
strade diradate, è in contraddizione con le leggi della natura e con i bisogni
della vita in un paese freddo, nebbioso e continuamente esposto a grandi
tempeste di vento che vi congelano il viso. Durante tutto il mio viaggio, mi
sono invano sforzato di capire come questa mania si sia potuta
impossessare degli abitanti di una regione così differente dai paesi dove
nacque l’architettura che si trapianta in Russia: probabilmente i Russi non lo
comprendono più di me, perché essi non sono più padroni dei loro gusti che
delle loro azioni. Si è loro imposto ciò che si chiamano belle arti come si
comanda loro l’esercizio. Il reggimento e il suo spirito minuzioso, tale è il
modello di questa società.
Gli elevati bastioni, gli alti edifici molto vicini gli uni agli altri, le vie
tortuose delle città medioevali converrebbero meglio che delle caricature
dell’antico, nel clima e alle abitudini della Russia; ma il paese al quale i
Russi influenti pensano di meno, quello in cui consultano di meno il genio e i
bisogni, è il paese che governano.
Quando Pietro il Grande emise, dalla Tartaria alla Lapponia, i suoi editti di
civiltà, le creazioni medioevali era da tempo passate di moda in Europa, ma
i Russi, anche coloro che si sono qualificati con l’attributo di grandi, mai
hanno saputo seguire la moda.
Questa disposizione all’imitazione non si accorda affatto con l’ambizione
che noi attribuiamo loro, perché non domina ciò che viene copiato; ma tutto
è contraddittorio nel carattere di questo popolo superficiale: del resto ciò
che lo distingue particolarmente, è la mancanza di invenzione. Per inventare
occorrerebbe dell’indipendenza; c’è della scimmiottatura fino nelle sue
passioni: se vuole avere il suo turno sulla scena del mondo, non è per
impiegare delle facoltà che ha e che lo tormentano nella sua inoperosità, è
unicamente per ricominciare la storia delle società illustri; la sua ambizione
non è una forza, è una pretesa: non ha alcuna forza creatrice; il paragone,
ecco il suo talento; contraffare, ecco il suo genio; se tuttavia sembra dotato
di una sorta di originalità, è perché nessun popolo sulla terra ha mai avuto
un tale bisogno di modelli; portato naturalmente ad osservare, non ridiventa
se stesso che quando scimmiotta le creazioni degli altri. Ciò che ha di
originale è il dono di contraffare che possiede più di ogni altro popolo. La
sua sola facoltà originale è l’attitudine a riprodurre le invenzioni degli
stranieri. Sarà nella storia ciò che è, nella letteratura, un traduttore abile. I
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Russi sono incaricati di tradurre la civiltà europea agli asiatici.
La capacità di imitare può diventare utile e persino ammirevole nelle
nazioni, a condizione che si sviluppi tardi, ma uccide tutti gli altri talenti
quando li precede. La Russia è una società di imitatori: ora, ogni uomo che
sa soltanto copiare cade necessariamente nella caricatura.
Esitando da quattro secoli fra l’Europa e l’Asia, la Russia non è ancora
riuscita a lasciare una propria impronta nella storia dello spirito umano,
perché il suo carattere nazionale si è cancellato sotto i prestiti.
Separata dall’Occidente a causa della sua adesione allo scisma greco, è
ritornata dopo molti secoli, con l’incoerenza dell’amor proprio deluso, a
chiedere a delle nazioni formatesi nel cattolicesimo la civiltà di cui l’aveva
privata una religione tutta politica. Questa religione bizantina, uscita da un
palazzo per andare a mantenere l’ordine in un campo, non soddisfa i bisogni
più sublimi dell’anima umana, essa aiuta la polizia a ingannare la nazione:
ecco tutto.
Essa ha arreso in anticipo questo popolo indegno del grado di cultura al
quale aspira.
L’indipendenza della Chiesa è necessaria per il movimento della linfa
religiosa; perché lo sviluppo della più nobile facoltà dei popoli, della capacità
di credere, dipende dalla dignità del sacerdozio. L’uomo incaricato di
comunicare all’uomo le rivelazioni divine deve godere di una libertà
sconosciuta a ogni prete ribellatosi contro il proprio capo spirituale. Così
l’umiliazione dei ministri del culto è la prima punizione dell’eresia, ecco
perché, in tutti i paesi scismatici, si vedono i preti disprezzati dal popolo,
nonostante o per meglio dire a causa della protezione dei re, e proprio
perché essi si sono posti alle dipendenze del principe anche in ciò che
concerne la loro missione divina.
I popoli che si conoscono in libertà non obbediranno mai con il cuore a un
clero dipendente.
Il tempo non è lontano in cui si riconoscerà che, in materia di religione,
ciò che è essenziale non è di ottenere la libertà del gregge, ma è di
assicurare quella del pastore.
Quando il mondo lo capirà, avrà fatto un gran passo.
La folla obbedirà sempre; essa sarà sempre guidata da degli uomini:
chiamateli preti, dottori, poeti, saggi, tiranni, lo spirito del popolo è nelle
loro mani; la libertà religiosa per le masse è dunque una chimera, ma ciò
che è importante per il destino delle anime è la libertà dell’uomo incaricato
di fare tra loro l’ufficio di prete: ora non c’è al mondo prete libero che il
prete cattolico.
Dei pastori schiavi non possono guidare che degli spiriti sterili: un pope
non istruirà mai le nazioni che si prostrano davanti alla forza!… Non
domandatemi dunque più da dove viene che i Russi non immaginano niente;
e perché i Russi sanno solamente copiare senza perfezionare…
Quando in Occidente i discendenti dei barbari studiavano gli antichi con
una venerazione che tendeva all’idolatria, li modificavano per
appropriarsene, chi può riconoscere Virgilio in Dante? Omero nel Tasso?
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Giustiniano stesso e le leggi romane nei codici del feudalesimo? L’imitazione
dei maestri, del tutto estranei ai costumi moderni, poteva affinare gli spiriti
formando la lingua; non poteva ridurli a una riproduzione servile. Il rispetto
appassionato che professavano per il passato, lungi dal soffocare il loro
genio, lo risvegliava, ma non è così che i Russi si sono serviti di noi.
Quando si contraffà la forma di una società senza impregnarsi dello
spirito che l’anima, quando si va a chiedere delle lezioni di civiltà, non agli
antichi maestri del genere umano, ma a degli stranieri di cui si invidiano le
ricchezze senza rispettare il loro carattere, quando l’imitazione è ostile e al
tempo stesso cade nella puerilità, quando si va a prendere da un vicino, che
ostenta di disdegnare, perfino il modo di abitare la sua casa, di vestirsi, di
parlare, si diventa un calco, un’eco, un riflesso; non si esiste più per se
stessi.
Le società del Medioevo, viventi delle loro credenze rinnovate, forti dei
loro propri bisogni, potevano adorare l’antichità senza rischiare di
parodiarla; perché la forza di creazione, quando esiste, non si perde mai in
qualunque uso l’uomo la applichi… che immaginazione nell’erudizione del XV
secolo!!…
Il rispetto per i modelli è il segno distintivo di uno spirito creatore.
Questo è il motivo per cui lo studio dei classici in Occidente all’epoca del
Rinascimento, non ha molto influito che sulle belle lettere e sulle belle arti:
lo sviluppo dell’industria, del commercio, delle scienze naturali e delle
scienze esatte è unicamente l’opera dell’Europa moderna, che per queste
cose ha fatto quasi tutto da sola. L’ammirazione superstiziosa che essa
professa da molto tempo per la letteratura pagana non ha impedito che la
sua politica, la sua religione, la sua filosofia, la forma dei suoi governi, il suo
modo di fare la guerra, il suo punto di onore, i suoi costumi, il suo spirito, le
abitudini sociali non siano suoi.
Solo la Russia, civilizzata tardi, s’è vista, per l’impazienza dei suoi capi,
privata di una fermentazione profonda e del beneficio di una cultura lenta e
naturale. Il lavorio interiore che forma i grandi popoli e preparano una
nazione a dominare, cioè a illuminare gli altri, è mancato in Russia; l’ho
notato spesso in questo paese: la società, come i suoi sovrani l’hanno fatta,
non è che un’immensa serra calda piena di belle piante esotiche. Là, ogni
fiore ricorda la sua terra natale, ma ci si chiede dove sia la vita, dove sia la
natura, dove siano le produzioni indigene in questa collezione di souvenir
che denota la scelta più o meno felice di alcuni viaggiatori curiosi, ma che
non è l’opera seria di una nazione libera.
La nazione russa risentirà per sempre questa assenza di vita propria nel
momento del suo risveglio politico. L’adolescenza, quest’età laboriosa in cui
lo spirito dell’uomo assume tutta la responsabilità della propria
indipendenza, è stata perduta per essa. Non tenendo conto del tempo, i suoi
principi, e soprattutto Pietro il Grande, l’hanno fatta violentemente passare
dall’infanzia alla virilità. Appena sfuggita al giogo straniero, tutto ciò che
non era dominio mongolo le sembrava la libertà, è così che nella gioia della
sua inesperienza accettò come una liberazione la stessa servitù, perché era
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imposta dai suoi legittimi sovrani. Questo popolo, avvilito sotto la conquista,
era abbastanza felice, abbastanza indipendente purché il suo tiranno si
chiamasse con un nome russo invece che con un nome tataro.
L’effetto di una tale illusione dura ancora; l’originalità dello spirito è
fuggita da questa terra i cui figli, abituati alla schiavitù, non hanno preso sul
serio fino a oggi che il terrore e l’ambizione. Che cos’è la moda per essi, se
non una catena elegante e che si porta solamente in pubblico?…
L’educazione russa, per quanto ben fatta ci sembri, è più cerimoniosa che
naturale, tanto è vero che l’urbanità è un fiore che sboccia solamente in
cima all’albero sociale; questa pianta non si innesta, si radica, e il gambo
che deve sopportarla, come quello dell’aloe, ci mette dei secoli a crescere;
occorre che molte generazioni semibarbare siano morte in un paese prima
che gli strati superiori della terra sociale vi facciano nascere degli uomini
realmente educati: parecchie età di memorie sono necessarie per
l’educazione di un popolo civilizzato; lo spirito di un bambino nato da
genitori educati può solo maturare abbastanza rapidamente per
comprendere ciò che c’è di reale in fondo all’educazione. C’è uno scambio
segreto di sacrifici volontari. Niente di più delicato, si può dire di più
veramente morale, che i principi che costituiscono l’eleganza perfetta dei
modi. Una tale educazione, per resistere alla prova delle passioni, non può
essere interamente distinta dalla nobiltà dei sentimenti, che nessun uomo
acquista da sé, perché è soprattutto sull’anima che influisce la prima
educazione: in una parola, la vera urbanità è un’eredità; il nostro secolo ha
un bel conteggiare il tempo per niente, la natura, nelle sue opere, lo
conteggia per molto.
Un tempo, una certa raffinatezza di gusto caratterizzava i Russi del
Mezzogiorno: e, grazie ai rapporti intrattenuti, fin dall’antichità e durante i
secoli più barbari, con Costantinopoli attraverso i sovrani di Kiev18, l’amore
delle arti regnava in questa parte dell’impero slavo nello stesso tempo che
le tradizioni dell’Oriente vi avevano mantenuto il sentimento più grande e
perpetuato una certa maestria tra gli artisti e gli operai; ma questi vantaggi,
frutti di antiche relazioni con popoli progrediti in una civiltà ereditata
dall’antico, andarono perduti con l’invasione dei Mongoli.
Questa crisi ha costretto, per così dire, la Russia primitiva a dimenticare
la propria storia: la schiavitù produce la bassezza, che esclude la vera
cortesia; quest’ultima non ha nulla di servile in quanto è l’espressione dei
sentimenti più elevati e delicati. Ma, solo quando la cortesia diventa in
qualche modo una moneta corrente presso tutto un popolo, si può dire che
questo popolo è civile; allora la rozzezza primitiva, la bestialità della natura
umana si trovano cancellate fin dalla culla dalle lezioni che ogni individuo
riceve nella sua famiglia; da qualunque parte nasca, il bambino non ha
18 Tranne brevi pause, la Rus’ di Kiev e l’impero bizantino, con capitale Costantinopoli,
furono in guerra fino al 988 quando Vladimir I e Basilio II suggellarono un accordo politico
con il matrimonio di Vladimir con Anna, figlia di Basilio II, e con l’accettazione del
cristianesimo come religione ufficiale della Rus’. Da quel momento in Rus’ si diffuse l’arte
bizantina. (N.d.T.)
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sentimenti di pietà, e se, fin dalla tenera età, non è allontanato dalle sue
crudeli inclinazioni, non sarà mai veramente cortese. La cortesia non è che il
codice della pietà applicato alle relazioni giornaliere della società; questo
codice insegna soprattutto la pietà per le sofferenze dell’amor proprio: è
così il rimedio più universale, il più applicabile, il più pratico che sia stato
trovato finora contro l’egoismo.
Si dica ciò che si vuole, tutte queste raffinatezze, risultato naturale
dell’opera del tempo, sono sconosciute ai Russi attuali, che ricordano molto
più Saraj19 che Bisanzio, e qui, con poche eccezioni, non sono che dei
barbari ben vestiti. Essi mi sembrano dei ritratti mal dipinti, ma verniciati
molto bene. Affinché la vostra cortesia fosse autentica, bisognerebbe essere
stati per molto tempo umani prima di essere cortesi.
È Pietro il Grande che, con tutta l’incoscienza di un genio incolto, tutta la
temerarietà di un uomo tanto più impaziente quanto sia supposto
onnipotente, con la perseveranza di un carattere di ferro, si recò in fretta a
rubare i frutti dell’Europa di ogni civiltà, invece di rassegnarsi a gettarne
lentamente i semi nel suo campo: quest’uomo troppo vantato non ha
prodotto che un’opera finta: è sorprendente; ma il bene che ha fatto questo
genio barbaro fu passeggero, il male è irreparabile.
Che cosa importa alla Russia di sentirsi pesare sull’Europa? di influire
sulla politica dell’Europa? Interessi finti! passioni vanitose! Ciò che le
importava, era di avere in se stessa il principio della vita e di svilupparlo:
una nazione che non ha niente altro che la propria obbedienza, non è
vivente. Si è messa alla finestra: guarda, ascolta, agisce come agisce un
uomo seduto a uno spettacolo; quando farà cessare questo gioco?
Bisognerebbe fermarsi e ricominciare: un tale sforzo è possibile? si può
rifare dalle fondamenta un così vasto edificio? La troppo recente
civilizzazione dell’impero russo, che è tutta finta, ha prodotto già dei risultati
reali, e che nessun potere umano saprebbe annullare: mi sembra
impossibile dirigere l’avvenire di un popolo non contando affatto il presente.
Ma il presente, quando viene separato violentemente dal passato, promette
solamente della sventura: evitare queste sventure alla Russia,
costringendola a tenere conto della sua storia antica che non era che il
risultato del suo carattere primitivo: tale sarà ormai l’ingrato compito, e più
utile che brillante, degli uomini chiamati a governare questo paese.
Il genio sovranamente pratico e tutto nazionale dell’imperatore Nicola ha
compreso questo problema: lo potrà risolvere? non lo credo; non lascia
abbastanza fare, si fida troppo di sé e troppo poco degli altri per riuscire.
Del resto, in Russia, la volontà più assoluta non basta a fare bene.
Non è contro un tiranno, è contro la tirannia che gli amici degli uomini
hanno da lottare qui. Sarebbe ingiusto accusare l’imperatore delle disgrazie
dell’impero e dei vizi del governo: la forza di un uomo non è uguale al
compito imposto al sovrano che improvvisamente vorrebbe regnare con
umanità su un popolo disumano.
19 Capitale dell’Orda d’Oro, rasa al suolo da Ivan IV nel 1556. (N.d.T.)
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Bisogna andare in Russia, bisogna vedere da vicino ciò che succede per
imparare tutto ciò che non può fare l’uomo che può tutto, soprattutto
quando è il bene quello che vuol fare.
Le conseguenze negative dell’opera di Pietro I sono state ancor più
aggravate dal grande o, per meglio dire, dal lungo regno di una donna che
non ha governato il suo popolo che per divertirsi a sorprendere l’Europa…
L’Europa, sempre l’Europa!… mai la Russia!
Pietro I e Caterina II hanno dato al mondo una grande e utile lezione che
la Russia ha pagato; ci hanno mostrato che il dispotismo non è mai più
pericoloso di quando pretende di fare del bene, perché allora ritiene di
scusare i propri atti più rivoltanti mediante le sue intenzioni: e il male che si
presenta come un rimedio non ha più limiti. Il crimine manifesto non trionfa
che un giorno; ma le false virtù sono quelle che sviano per sempre lo spirito
delle nazioni. I popoli abbagliati dai brillanti accessori del crimine, dalla
grandezza di certi misfatti che il successo ha giustificato, finiscono per
credere che ci siano due scelleratezze, due morali, e che la necessità, la
ragion di Stato, come si diceva una volta, discolpi i criminali di alto
lignaggio, a condizione che siano stati in grado di mettere d’accordo i loro
eccessi con le passioni del paese.
La tirannia confessata mi spaventerebbe meno al confronto di
un’opposizione mascherata da amore dell’ordine. La forza del dispotismo è
unicamente nella maschera del despota. Quando il sovrano è costretto a
non mentire più, il popolo è libero; ma in questo mondo non ho conosciuto
altro male che la menzogna. Se voi non temete che l’arbitrario violento e
confessato, andate in Russia, imparerete a temere soprattutto la tirannia
ipocrita20.
Non posso negarlo, riporto dal mio viaggio delle idee che non erano le
mie quando l’ho intrapreso. Perciò non rinuncerei per nulla al mondo alla
pena che mi è costato; se ne farò stampare la relazione, sarà proprio
perché ha modificato le mie opinioni su molti punti. Esse erano note a coloro
che mi leggeranno; la mia delusione non lo è: è un dovere renderla
pubblica.
Partendo, contavo di dispensarmi di scrivere quest’ultimo viaggio; il mio
metodo è faticoso, perché consiste nel descrivere ai miei amici, durante la
notte, i miei ricordi della giornata. Durante questo lavoro, che somiglia a
una confidenza, il pubblico appare al mio pensiero, ma in una lontananza
vaporosa… così vaporosa che mi ostino a dubitare della sua presenza; ed
ecco perché il tono di familiarità che si prende di malavoglia in una
corrispondenza intima viene conservato nelle mie lettere stampate.
Per quanto leggero possa sembrarvi questo compito, non sono più
abbastanza giovane per impormelo impunemente; una volta cominciata
l’impresa, ci tengo a completarla, non mi permetto né pigrizia né
20 «E son d’avviso che non errassero i Persiani stimando secondo vizio il mentire, primo il far
debiti. Poiché debiti e menzogne vanno ordinariamente insieme» (F. Rabelais, Gargantua
e Pantagruel, libro III, cap. V, p. 909.)
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negligenza: è una dura fatica. Perciò mi piaceva pensare che questa volta
avrei potuto viaggiare per me solo; era il mezzo di vedere con tranquillità.
Ma la preoccupazione in cui ho trovato i Russi a mio riguardo, dai più grandi
personaggi fino ai più piccoli individui, mi ha dato la misura della mia
importanza, almeno di quella che ho potuto acquisire a Pietroburgo. «Che
cosa pensate, o piuttosto cosa direte di noi?» ecco il fondo di tutti i discorsi
che mi si indirizzavano: essi mi hanno tratto dalla mia inazione; facevo il
modesto per apatia, forse per vigliaccheria; del resto, Parigi rende umili
coloro che non rende eccessivamente presuntuosi; così ho voluto sfidare me
stesso; ma l’inquieto amor proprio dei Russi ha rassicurato il mio.
Sono stato sostenuto nel mio nuovo proposito da un disincanto sempre
crescente. Certo, bisogna che la causa del disinganno sia profonda e attiva
perché il disgusto mi raggiunga in mezzo alle feste più brillanti che abbia
mai visto in vita mia, e nonostante l’abbagliante ospitalità russa. Ma ho
riconosciuto a prima vista che, nelle dimostrazioni d’interesse di cui sono
prodighi, c’è più desiderio di apparire premurosi che non vera cordialità. La
cordialità è sconosciuta ai Russi; non è ciò che hanno imparato dai Tedeschi.
Essi occupano tutti i vostri momenti, vi distraggono, vi assorbono, vi
tiranneggiano a forza di attenzioni, si interessano di come impiegate le
vostre giornate, vi chiedono pareri su questioni che riguardano solo loro e,
di festa in festa vi impediscono di vedere il loro paese. Hanno creato una
parola francese per esprimere il risultato di questa tattica che si crede
obbligante: la chiamano inghirlandare21 gli stranieri. Purtroppo tutte queste
attenzioni sono cadute su un uomo che le feste hanno sempre più stancato
che distratto. Ma se si rendono conto di non aver prodotto l’effetto che
volevano sullo spirito dello straniero, ricorrono a mezzi indiretti per
screditare le sue informazioni presso dei lettori illuminati: essi lo ingannano
con una destrezza meravigliosa. Così, per mostrargli le cose sotto una falsa
luce, mentono nel male come mentivano nel bene fin quando credevano di
poter contare su una benevola credulità. Spesso nella stessa conversazione
ho sorpreso la stessa persona cambiare tattica due o tre volte a mio
riguardo. Non mi illudo di essere sempre stato in grado di discernere il vero,
malgrado gli sforzi combinati con tanta arte da persone il cui compito è
quello di mascherarlo, ma è già molto sapere di essere ingannati; se io non
vedo la verità, vedo che me la nascondono22, e se non sono illuminato, sono
armato.
La gaiezza manca in tutte le corti; ma in quella di Pietroburgo non si ha
neanche il permesso di annoiarsi. L’imperatore che vede tutto, prende
21 Cfr. Lettera XV, tomo II, p. 132. ― La lettera menzionata è datata Peterhof, 23 luglio
1839 e vi si legge: «I Russi hanno adattato una parola francese eccellente per designare
la loro ospitalità politica: parlando degli stranieri, che accecano a forza di feste, dicono:
occorre inghirlandarli». Il verbo enguirlander è qui inteso come decorare con ghirlande,
infiocchettare, ma il suo primo significato è rimproverare, sgridare. (N.d.T.)
22 Cfr. la relazione della corsa a Schlüsselburg, tomo II. ― Nella Lettera XX Custine racconta
l’ostilità percepita nel visitare la fortezza-prigione di Šlissel’burg (Schlüsselburg è il nome
in tedesco), tanto da aver paura di essere arrestato e deportato. (N.d.T.)
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l’affettazione del piacere per un omaggio, cosa che ricorda le parole di
Talleyrand su Napoleone: «L’imperatore non scherza; vuole che ci si
diverta»23.
Ferirò degli amor propri, la mia incorruttibile buona fede mi attirerà dei
rimproveri: ma è questo il mio errore, per me, se andando a chiedere a un
governo assoluto degli argomenti nuovi contro il despota di casa nostra,
contro il disordine battezzato con il nome di libertà, sono stato colpito
solamente dagli abusi dell’autocrazia, cioè dalla tirannia qualificata da buon
ordine? Il dispotismo russo è un falso ordine come il nostro
repubblicanesimo è una falsa libertà. Faccio la guerra alla menzogna
ovunque la riconosca; ma c’è più di un tipo di menzogne: avevo dimenticato
quelle del potere assoluto; le racconto in dettaglio oggi, perché descrivendo
i miei viaggi, dico sempre ingenuamente ciò che vedo.
Odio i pretesti: ho visto che in Russia l’ordine serve da pretesto
all’oppressione, come in Francia la libertà all’invidia. In una parola, amo la
vera libertà, la libertà possibile in una società dove ogni eleganza non è
esclusa; non sono dunque né un demagogo né un despota; sono
aristocratico nell’accezione più larga della parola. L’eleganza che desidero
conservare alle società non è frivola; non è affatto crudele, è regolata dal
gusto; il gusto esclude gli abusi; ne è il più sicuro preservativo, perché teme
ogni esagerazione. Una certa eleganza è necessaria alle arti, e le arti
salvano il mondo, poiché è soprattutto per esse che i popoli si volgono alla
civiltà di cui sono l’ultima e la più preziosa ricompensa. Per un privilegio
unico fra tutto ciò che può spargere dello splendore su una nazione, la loro
gloria piace e giova al tempo stesso a tutte le classi della società.
L’aristocrazia come l’intendo io, lontano dall’allearsi con la tirannia in
favore dell’ordine, come glielo rimproverano i demagoghi che l’ignorano,
non può rimanere con l’arbitrio. Ha per missione di difendere, da un lato, il
popolo contro il despota, e dell’altro, la civiltà contro la rivoluzione, il più
temibile dei tiranni. La barbarie prende più di una forma: voi la colpite nel
dispotismo, rinasce nell’anarchia; ma la vera libertà, sotto la guardia della
vera aristocrazia, non è né violenta né disordinata.
Oggi purtroppo i sostenitori dell’aristocrazia moderatrice in Europa si
accecano e prestano delle armi ai loro avversari; nella loro falsa prudenza,
essi vanno a soccorrere i nemici di ogni libertà politica e religiosa, come se il
pericolo potesse venire soltanto dalla parte dei nuovi rivoluzionari; tuttavia i
sovrani arbitrari erano degli antichi usurpatori come lo sono i giacobini
moderni.
L’aristocrazia feudale è finita, meno lo splendore indelebile di cui
brilleranno sempre i grandi nomi storici; ma nelle società che vogliono
vivere, la nobiltà del Medioevo sarà sostituita, come è da molto tempo
23 Charles-Maurice principe di Talleyrand-Périgord (1754-1838) fu vescovo e diplomatico che
ebbe parte attiva in numerosi governi francesi. La frase sembra sia stata detta durante la
sanguinosa battaglia di Eylau (1807), tra Francesi e Russi, nel momento in cui l’esercito di
Napoleone Bonaparte rischiava la sconfitta. (N.d.T.)
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presso gli Inglesi, con una magistratura ereditaria; e questa nuova
aristocrazia, erede di tutte le antiche aristocrazie, composta di parecchi
elementi diversi, poiché il titolo, la nascita e la ricchezza ne sono le basi,
non ritroverà il proprio credito che quando si appoggerà su una religione
libera; tuttavia, l’ho detto e lo ripeto molto spesso che lo credo necessario,
la sola religione libera è quella insegnata dalla Chiesa cattolica, la più libera
di tutte le Chiese, poiché è l’unica che non dipende da alcuna sovranità
temporale, essendo oggi quella del papa destinata a difendere
l’indipendenza sacerdotale. L’aristocrazia è il governo degli spiriti
indipendenti, e non lo si ripete troppo: il cattolicesimo è la religione dei preti
liberi.
Voi lo sapete: appena una verità mi appare, la dico senza calcolarne le
conseguenze, persuaso che il male non viene dalle verità che si pubblicano,
ma dalle verità che si travestono; perciò ho sempre guardato come
pernicioso il proverbio dei nostri padri: Non tutte le verità vanno dette.
Questo è perché ciascuno sceglie nella verità ciò che serve alle sue
passioni, alla sua paura, alla sua servilità, al suo interesse, che la si rende
più nociva dell’errore; così, quando viaggio, non scelgo nei fatti che
raccolgo, non respingo quelli che combattono le mie credenze più care.
Quando racconto, non ho altra religione che il culto del vero; mi sforzo di
non essere giudice, non ne sono neanche il pittore, perché i pittori
compongono; cerco di essere uno specchio; infine voglio essere innanzitutto
imparziale, e in questo l’intenzione è sufficiente, almeno agli occhi dei lettori
spirituali; non posso né voglio confessarmi che ne esistano altri, questa
scoperta renderebbe il compito dello scrittore troppo fastidioso.
Ogni volta che ho avuto l’opportunità di comunicare con gli uomini, il
primo pensiero, che mi hanno ispirato i loro procedimenti verso di me, è che
avevano più spirito di me, che sapevano meglio difendersi, meglio dire e
meglio fare. Tale è stato fino a oggi il risultato delle mie esperienze; non
disprezzo quindi nessuno, a maggior ragione sono lontano dal disprezzare i
miei lettori. Ecco perché non li adulo mai.
Se ci sono uomini per i quali mi è difficile essere giusto, sono coloro che
mi annoiano; ma non ne conosco molti, perché evito gli oziosi.
Vi ho detto che non c’era che una città in Russia: a Pietroburgo non c’è
che un salone; sempre; e sempre e ovunque c’è la corte o delle frazioni
della corte. Cambiate casa, non cambiate circolo, e in questo unico circolo si
vieta ogni soggetto di conversazione interessante; ma qui trovo che esista
compensazione, grazie all’acuto spirito delle donne che riescono
meravigliosamente a farci pensare ciò che non dicono.
Le donne sono dappertutto meno servili degli schiavi, perché, usando
abilmente la loro debolezza, di cui si fanno forza, sanno meglio di noi
sfuggire alle cattive leggi; perciò sono destinate a salvare la libertà
individuale dovunque manchi la libertà pubblica.
Che cos’è la libertà, se non la garanzia del diritto del più debole, che le
donne sono incaricate per natura a rappresentare nella società? In Francia,
oggi, ci si inorgoglisce di decidere tutto a maggioranza;… bella meraviglia!!!
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… quando vedrò che si ha un qualche rispetto dei reclami della minoranza,
griderò a mia volta: Viva la libertà!
Bisogna dire tutto, i più deboli di adesso erano i più forti di una volta, e
allora essi hanno dato solo troppo l’esempio dell’abuso della forza di cui mi
lamento oggi! Ma un errore non ne scusa un altro.
Malgrado la segreta influenza delle donne, la Russia è ancora più lontana
dalla libertà che non la maggior parte dei paesi della terra; non della parola,
ma della cosa. Domani in una sommossa, in un massacro, al bagliore di un
incendio, si può gridare viva la libertà fino sulle frontiere della Siberia; un
popolo cieco e crudele può sventrare i suoi padroni, può rivoltarsi contro gli
oscuri tiranni e fare arrossare di sangue le acque del Volga, ma non sarà più
libero: la barbarie è un giogo.
Inoltre, il migliore mezzo di emancipare gli uomini non è quello di
proclamare il loro affrancamento con pompa, è di rendere la schiavitù
impossibile sviluppando nel cuore delle nazioni il sentimento dell’umanità:
esso manca in Russia. Parlare di liberalità oggi ai Russi, di qualunque
condizione siano, sarebbe un crimine; predicare loro l’umanità a tutti, senza
eccezione, è un dovere.
La nazione russa, bisogna ben dirlo, non ha ancora giustizia24; così mi
hanno citato un giorno, a lode dell’imperatore Nicola, la vittoria di un
processo, di un individuo sconosciuto, contro i grandi signori. In questo
caso, l’ammirazione per il carattere del sovrano mi sembrava una satira
contro la società. Questo fatto troppo vantato mi ha provato positivamente
che l’equità non è che un’eccezione in Russia.
Tutto considerato, non consiglierei a tutti gli uomini da poco, come si
diceva un tempo in Francia, di fidarsi del successo di quella persona,
favorita forse dall’eccezione per assicurare l’impunità alle ingiustizie
correnti: una specie di mulino di Sanssouci25, esemplare di equità di cui i
regolatori della legge amano fare mostra per rispondere ai rimproveri di
corruzione e di servilismo.
Un altro fatto da cui dobbiamo tirare una deduzione poco favorevole alla
magistratura russa è che non ci si difende in Russia: ciascuno sa dove ciò
condurrebbe; si ricorrerebbe più spesso alla giustizia, se i giudici fossero più
equi. È così che non si litiga, che non si lotta nelle vie, per paura della
prigione e dei ferri, indistintamente riservati, la maggior parte del tempo,
alle due parti.
Malgrado i tristi quadri che vi traccio, due cose e una persona valgono la
24 Cfr. l’opuscolo di Tolstoj, citata nel corso del viaggio. ― Si tratta di Colpo d’occhio sulla
legislazione russa di Jakov Nikolaevič Tolstoj, pubblicato in Francia nel 1839. È citato nel
tomo II, Lettera XV, a proposito della pena di morte che ufficialmente in Russia non
esiste, ma in realtà è mascherata da un colpo ben assestato di knut. (N.d.T.)
25 Federico II, re di Prussia, amava trascorrere dei periodi senza preoccupazioni (sans souci,
in francese) nel suo palazzo di Potsdam, vicino a Berlino. Una leggenda racconta che,
disturbato dal rumore delle pale di un mulino poco distante, Federico volesse distruggerlo,
ma il mugnaio si oppose invocando i propri diritti e minacciando di ricorrere ai giudici della
Corte Suprema, che aveva più potere del re. (N.d.T.)
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pena del viaggio. La Neva di Pietroburgo, durante i giorni senza notti, il
Cremlino di Mosca, al chiaro di luna, e l’imperatore della Russia: sono la
Russia pittoresca, storica e politica; fuori di là tutto non è che fatica e noia
senza compensazione: lo giudicherete leggendo le mie lettere.
Molti miei amici mi hanno già scritto che sono dell’avviso di non farle
pubblicare.
Quando stavo per lasciare Pietroburgo, un russo mi chiese, come tutti i
russi, cosa avrei detto del suo paese: «Sono stato troppo ben ricevuto per
parlarne,» gli risposi.
Si fa un’arma contro di me di questa confessione nella quale avevo
creduto di nascondere appena educatamente un epigramma. «Trattato
come siete stato trattato, – mi si scrive, – è certo che voi non potete dire la
verità; ma, dato che voi sapete scrivere solo quella, fareste meglio a
tacere». Questo è il parere di una parte delle persone che ho l’abitudine di
ascoltare. In ogni caso, esso non è lusinghiero per i Russi.
La mia opinione è che senza ferire la delicatezza, senza mancare della
riconoscenza che si deve alle persone, quando se ne deve loro, né del
rispetto che si deve sempre a se stessi, c’è un modo adatto di parlare
sinceramente delle cose e degli uomini pubblici e spero di averlo trovato Si
sostiene che la verità offende; è possibile, ma, in Francia per lo meno,
nessuno ha il diritto né la forza di chiudere la bocca a chi la dice. Le mie
grida di indignazione non potranno passare per l’espressione mascherata
della vanità ferita. Se non avessi ascoltato il mio amor proprio, esso mi
avrebbe detto di essere incantato di tutto: il mio cuore non è stato
soddisfatto di nulla.
Tanto peggio per i Russi se tutto ciò che si racconta del loro paese e dei
suoi abitanti degenera in personalità: è una disgrazia inevitabile; perché a
dire il vero, le cose non esistono in Russia, poiché è il buon piacere di un
uomo che le fa e le disfa; ma ciò non è colpa dei viaggiatori.
L’imperatore mi sembra poco disposto a rinunciare a una parte della
propria autorità: che subisca quindi la responsabilità dell’onnipotenza; è una
prima espiazione della menzogna politica per la quale un solo uomo è
dichiarato padrone assoluto di un paese, sovrano onnipotente del pensiero
di un popolo.
Le mitigazioni nella pratica non scusano l’empietà di una tale dottrina. Ho
trovato dai Russi che il principio della monarchia assoluta, applicato con una
conseguenza inflessibile, conduce a risultati mostruosi. E questa volta, il mio
quietismo politico non mi impedisce di riconoscere e di proclamare che esso
è tra i governi che i popoli non dovrebbero mai subire.
L’imperatore Alessandro parlando confidenzialmente con Madame de
Staël sui miglioramenti che progettava, le dice: «Voi lodate le mie intenzioni
filantropiche, vi ringrazio; tuttavia nella storia della Russia, io non sono che
un felice incidente»26. Questo principe diceva il vero; i Russi vantano invano
la prudenza e le cautele degli uomini che dirigono i loro affari, il potere
26 Cfr. la traduzione italiana dei diari di Madame de Staël in www.larici.it. (N.d.T.)
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arbitrario non ne è da loro la base fondamentale dello Stato, e questo
principio funziona in modo tale che l’imperatore fa o fa fare, o lascia fare, o
lascia sussistere delle leggi – perdonatemi se do questo nome sacro a degli
arresti empi, ma mi servo della parola usata in Russia –; l’imperatore lascia
sussistere delle leggi che, per esempio, permettono all’imperatore di
dichiarare che i bambini legittimi di un uomo legittimamente sposato non
hanno affatto un padre, non un nome, infine, che essi sono dei numeri e
non degli uomini27. E voi volete impedirmi di tradurre alla sbarra del
tribunale dell’Europa un principe che, tutto distinto, tutto superiore qual è,
consente di regnare senza abolire una tale legge!
Il suo risentimento è implacabile: con degli odi così vivi, si può essere
ancora un gran sovrano, ma non saprebbe più essere un grand’uomo: il
grand’uomo è clemente, il politico è vendicativo; si regna per la vendetta, si
converte per il perdono.
Vi ho appena detto la mia ultima parola su un principe che si esita a
giudicare quando si conosce il paese dove è condannato a regnare: perché
gli uomini sono talmente dipendenti dalle cose, che non si sa a chi risalire,
né fin dove scendere a chiedere conto dei fatti. E questi sono i gran signori
di un tale paese che pretendono di somigliare ai Francesi!!…
I re di Francia, nei tempi di barbarie, hanno spesso fatto tagliare la testa
ai loro grandi vassalli; uno di loro, di tirannica memoria, ha voluto, per una
raffinatezza di crudeltà, che il sangue del padre fosse versato sui bambini
posti sotto il patibolo: tuttavia, qualunque fosse il rigore di questi principi
assoluti, quando uccidevano il loro nemico, quando lo spogliavano dei suoi
beni, quando lo massacravano, essi si guardavano dall’avvilire con una
decisione denigratoria lui, la sua casta, la sua famiglia, il suo paese: una
tale dimenticanza di ogni dignità avrebbe rivoltato i popoli di Francia, anche
quelli del Medioevo. Ma il popolo russo soffre ben altra cosa. Diciamo
meglio, non c’è ancora un popolo russo… ci sono degli imperatori che hanno
dei servi e dei cortigiani che hanno anch’essi dei servi: tutto ciò non fa un
popolo.
La classe media, a tutt’oggi poco numerosa in proporzione agli altri, si
compone quasi unicamente di stranieri; alcuni contadini liberati dalla loro
ricchezza e i più meschini impiegati, saliti di alcuni gradi, cominciano a
ingrossarla: l’avvenire della Russia dipende da questi nuovi borghesi, di
origini talmente diverse che non possono accordarsi nelle loro vedute28.
27 Cfr. la storia della principessa Trubeckoj. ― È nella Lettera XXI, tomo II (I ed.) o III (II
ed.). Quando il principe Sergej Trubeckoj fu condannato a quindici anni di lavori forzati e
all’esilio in Siberia per aver guidato la rivolta dei Decabristi (1825), sua moglie Ekaterina
lo seguì e dettero al mondo cinque figli. Appena il maggiore di essi compì sette anni, la
principessa chiese allo zar di concedergli di studiare in città, ma lo zar le rispose che i figli
di un carcerato erano carcerati essi stessi e come tali erano sempre troppo istruiti. Dopo
quindici anni la principessa inviò una nuova supplica per ottenere il permesso di trasferirsi
a Irkutsk, o altra città siberiana, per curare i figli e lo zar Nicola le scrisse «Sono sorpreso
che osi ancora parlarmi… di una famiglia il cui capo ha cospirato contro di me» e non
dette seguito ad alcuna richiesta. (N.d.T.)
28 Nella seconda edizione Custine ha aggiunto «…vedute; le società segrete lavorano per
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Ci si sforza oggi di creare una nazione russa; ma il compito è duro per un
uomo. Il male è veloce, si ripara lentamente; i disgusti del dispotismo
devono illuminare spesso il despota sugli abusi del potere assoluto: io lo
credo. Ma gli imbarazzi dell’oppressore non scusano l’oppressione; e se i
suoi crimini mi ispirano qualche pietà – il male è sempre da compiangere –
essi me ne ispirano molto meno delle sofferenze dell’oppresso. In Russia,
qualunque sia l’apparenza delle cose, c’è in fondo a tutto la violenza e
l’arbitrio. Si è resa la tirannia calma a forza di terrore: ecco, a tutt’oggi, la
sola specie di felicità che questo governo abbia saputo procurare ai suoi
popoli.
E, quando il caso mi rende testimone dei mali inauditi che si soffre sotto
una costituzione di principio esagerato, il timore di ferire non so quale
delicatezza, mi impedirebbe di dire ciò che ho visto? Ma sarei indegno di
avere avuto degli occhi se cedessi a questa parzialità pusillanime, che mi si
traveste questa volta sotto il nome di rispetto per le convenzioni sociali;
come se la mia coscienza non avesse il primo diritto al mio rispetto… Come!
Mi si sarà lasciato penetrare in una prigione, avrò capito il silenzio delle
vittime terrorizzate, e non oserò dirne il martirio, per paura di essere
accusato di ingratitudine, a causa della compiacenza dei carcerieri nel farmi
gli onori del carcere? Una tale prudenza è ben lungi dall’essere una virtù; vi
dichiaro dunque che dopo aver ben osservato intorno a me per vedere
quello che mi si nascondeva, ben ascoltato per intendere quello che non mi
si voleva dire, ben cercato di valutare il falso in ciò che mi si diceva, non
credo di esagerare assicurandovi che l’impero russo è il paese della terra
dove gli uomini sono più infelici, perché vi si soffrono gli inconvenienti della
barbarie e quelli della civiltà. Quanto a me, mi considererei un traditore e un
vigliacco, se dopo aver già tracciato in tutta libertà di spirito il quadro di una
gran parte dell’Europa, mi rifiutassi di completarla per paura di modificare
alcune opinioni che erano le mie, e di offendere alcune persone per il
quadro veritiero di un paese che non è mai stato dipinto com’è. Su che cosa
si baserebbe, vi prego, il mio rispetto per le cattive cose? Sono legato da
qualche altra catena oltre a quella dell’amore della verità?
In generale, i Russi mi sono sembrati degli uomini dotati di molto tatto;
degli uomini molto fini, ma poco sensibili: l’ho detto, un’estrema
suscettibilità unita a molta durezza, ecco, credo, il fondo del loro carattere.
L’ho detto; una vanità chiaroveggente, una perspicacia da schiavo, una
finezza sarcastica: tali sono i tratti dominanti del loro spirito; l’ho detto e
ripetuto, perché questo sarebbe puro inganno come risparmiare l’amor
proprio delle persone quando sono loro stessi così poco misericordiosi; la
suscettibilità non è delicatezza. È tempo che questi uomini che sbrogliano
con tanta sagacia i vizi e le ridicolaggini delle nostre società, si abituino a
sopportare la sincerità degli altri: il silenzio ufficiale che si fa regnare
intorno a essi li inganna, innervosisce la loro intelligenza; se vogliono farsi
riconoscere dalle nazioni dell’Europa e trattare con noi da pari a pari,
riunirle». (N.d.T.)
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occorre che comincino con il rassegnarsi a sentirsi giudicare. Questo tipo di
processo, tutte le nazioni lo sostengono senza farne un caso di Stato. Da
quando i Tedeschi non ricevono gli Inglesi se non a condizione che questi
parlino bene della Germania? Le nazioni hanno sempre delle buone ragioni
per essere come sono: e le migliori di tutte sono quelle che non possono
essere diversamente.
Per la verità questa scusa non va ai Russi, almeno non a coloro che
leggono. Siccome scimmiottano tutto, potrebbero essere diversamente, ed è
proprio questa possibilità che rende il loro governo ombroso fino alla
ferocia!… questo governo sa troppo che non si è sicuri di niente con dei
caratteri solo riflessi.
Un motivo più potente mi avrebbe potuto fermare; è la paura di essere
accusato di apostasia. «Ha protestato a lungo, si dirà, contro le
declamazioni liberali; adesso eccolo che cede alla corrente e cerca la falsa
popolarità dopo averla disdegnata».
Non so se mi sbaglio, ma più rifletto e meno credo che questa critica
possa raggiungermi, né che qualcuno pensi di indirizzarmela.
Non è da oggi che il timore di essere biasimato dagli stranieri preoccupa
lo spirito dei Russi. Questo popolo bizzarro unisce un’estrema arroganza a
un’eccessiva diffidenza di sé; all’esterno sufficienza, in fondo umiltà
inquieta: ecco ciò che ho visto nella maggior parte dei Russi. La loro vanità,
che non si riposa mai, è sempre in sofferenza come lo è l’orgoglio inglese;
anche i Russi mancano di semplicità. La naïveté29, questa parola francese
che nessun’altra lingua diversa dalla nostra può rendere nel senso esatto
perché la cosa ci è propria, la naïveté, questa semplicità che potrebbe
diventare maliziosa, questo dono dello spirito che fa ridere senza mai ferire
il cuore, questo oblio delle precauzioni oratorie che va fino ad armarsi
contro coloro ai quali si parla, questa equità di giudizio, questa verità di
espressione tutta involontaria, questo abbandono della personalità
nell’interesse della verità; la semplicità gallica, in una parola, essi non la
conoscono. Un popolo di imitatori non sarà mai naïf; presso di lui il calcolo
ucciderà sempre la sincerità.
Ho trovato nel testamento di Monomach dei consigli saggi e curiosi
indirizzati ai suoi figli, eccone un passaggio che mi ha particolarmente
colpito; perciò l’ho messo come epigrafe in capo al mio libro, perché è una
confessione preziosa da raccogliere: «Rispettate soprattutto gli stranieri, di
qualunque qualità, di qualunque rango siano, e se voi non siete in grado di
riempirli di doni, prodigate loro almeno dei segni di benevolenza, poiché da
come vengono trattati in un paese dipende il bene e il male che ne diranno
tornando in patria» (Tratto dai consigli di Vladimir Monomach ai suoi figli nel
1126)30. Questo principe era stato battezzato con il nome di Basilio. (Storia
29 Naïveté = ingenuità. Naïf = ingenuo. (N.d.T.)
30 L’opera è tramandata col titolo Insegnamento di Vladimir Monomach (Poučenie Vladimira
Monomacha) e ci è pervenuta in un unico esemplare sotto forma di inserto del Codice
laurenziano della Cronaca degli anni passati, primo testo scritto della Rus’ di Kiev. (N.d.T.)
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dell’Impero russo di Karamzin, tradotto da Saint-Thomas e Jauffret, tomo II,
pag. 205, Parigi, 1820)31.
Una tale raffinatezza di amor proprio, ne converrete, toglie molto del suo
valore all’ospitalità. Perciò questa carità calcolata mi è ritornata più di una
volta alla memoria, a dispetto di me stesso, durante il viaggio. Non è che si
debba privare gli uomini della ricompensa delle loro buone azioni; ma è
immorale dare questa ricompensa per primo motivo alla virtù32.
Ecco qualche altro passaggio dello stesso autore, e che servono a
sostenere le mie osservazioni.
Karamzin stesso racconta gli esiti sfortunati dell’invasione di Mongoli sul
carattere del popolo russo: se mi si trova severo nei miei giudizi, si vedrà
che essi sono autorizzati da un autore serio e piuttosto incline
all’indulgenza.
«L’orgoglio nazionale, dice, si annientò tra i Russi; essi fecero ricorso agli
artifici che suppliscono alla forza presso gli uomini condannati a
un’obbedienza servile: abili a ingannare i Tatari, essi diventarono molto più
sapienti nell’arte di ingannarsi reciprocamente; acquistando dai barbari la
loro sicurezza personale, essi furono più avidi di denaro e meno sensibili alle
ingiurie, alla vergogna, esposti senza tregua all’insolenza di tiranni
stranieri!» (Estratto dalla stessa opera, tomo V, capitolo IV, pag. 447 e
seguenti).
Più oltre:
«È probabile che il carattere attuale dei Russi conservi qualcuna delle
macchie con cui l’ha sporcato la barbarie dei Mongoli…»
«Notiamo che con più sentimenti elevati si vide indebolirsi in noi il
coraggio, alimentato soprattutto dall’orgoglio nazionale…»
«L’autorità del popolo favoriva anche quella dei bojardi che a loro volta
potevano, con l’aiuto dei cittadini, avere influenza sul principe, o
reciprocamente del principe sui cittadini. Essendo sparito questo sostegno,
bisognò ubbidire al sovrano, sotto pena di essere guardato come traditore o
come ribelle; e non esiste più alcuna via legittima di opporsi alle sue
volontà; in una parola, si vide nascere l’autocrazia.»
Concluderò questi estratti copiando due passaggi sul regno di Ivan III; si
trovano ugualmente in Karamzin, tomo VI, pag. 351.
Dopo aver raccontato come lo zar Ivan III diviso tra suo figlio e suo
nipote nel designare l’erede al trono, lo storico continua in questi termini:
«È deplorevole che invece di sviluppare tutte le circostanze di questo
curioso avvenimento (parla qui del pentimento del sovrano che restituisce la
tenerezza alla sua donna e a suo figlio, e che abbandona suo nipote dopo
averlo incoronato) gli annalisti si accontentino di dire che dopo un più
attento esame delle accuse intentate contro la sua sposa, Ivan le restituì
31 Sull’originale: Karamsin. Nikolaj Michajlovič Karamzin (1766-1826) scrisse la Storia dello
Stato russo in 12 volumi, pubblicati dal 1816 al 1826 e comprendenti la storia russa dalle
origini fino al 1612. (N.d.T.)
32 Nella seconda edizione è: «…è immorale, è ignobile dare questa ricompensa…». (N.d.T.)
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tutta la sua tenerezza così come a suo figlio: aggiungono che istruì infine
delle trame ordite contro i loro nemici e, persuaso che era stato ingannato,
si risolse a prendere provvedimenti e a dare un esempio ai signori più
distinti. Il principe Ivan Patrikeev, i suoi due figli e suo genero il principe
Semën Rjapolovskij, furono condannati a morte COME INTRIGANTI!!..»33.
Questo Ivan III che faceva torturare gli intriganti, è annoverato in Russia
fra gli uomini più grandi.
Delle cose simili o analoghe accadono ancora oggi in Russia. Grazie
all’onnipotenza autocratica, il rispetto per la cosa giudicata non esiste; e
l’imperatore, ben informato, può sempre disfare ciò che ha fatto
l’imperatore malinformato34.
Infine, a pag. 433, Karamzin fa in questi termini il riassunto del glorioso
regno di questo grande e buon principe (Ivan III). Io non sono responsabile
dello stile del traduttore né in questo passaggio né nel precedente.
«Tutto diventò, da allora, rango o favore del principe: fra i bambini
bojardi della corte, specie di paggi, si vedevano dei figli di principi e di gran
signori. Presiedendo i concili ecclesiastici, Ivan appariva solennemente come
capo del clero. Fiero delle sue relazioni con gli altri sovrani, amava
dispiegare una gran pompa davanti ai loro ambasciatori; introdusse l’uso di
baciare la mano del monarca in segno di insigne favore: volle, con tutti i
mezzi esteriori possibili, alzarsi sopra gli uomini per colpire fortemente
l’immaginazione; avendo infine penetrato il segreto dell’autocrazia, diventò
come un Dio terreno agli occhi dei Russi che cominciarono DA ALLORA a
stupire tutti gli altri popoli con una cieca sottomissione alla volontà del loro
sovrano!»35.
Queste confessioni mi sono apparse doppiamente significative sulla bocca
di uno storico così cortigiano, così timido com’era Karamzin. Potrei
33 Sull’originale i nomi sono Patrikeieff e Siméon Riapolwski. Il principe Ivan Jur’evič
Patrikeev (1419-1499) fu governatore di Mosca durante i regni di Vasilij II e Ivan III di cui
fu stretto collaboratore, oltreché parente essendo pronipote di Dmitrij Donskoj e quindi
cugino di Ivan III. Quando nel 1490 morì Ivan Molodoj (il Giovane), il primogenito di Ivan
III che doveva succedergli, nacquero due fazioni: una voleva che erede al trono fosse
Dmitrij, figlio di Ivan Molodoj (quindi nipote di Ivan III) e l’altra che fosse Vasilij, figlio di
Ivan III e della sua seconda moglie. Patrikeev si schierò per Dmitrij e, per ragioni ancora
oggi non chiare ma sembra per aver ordito un complotto, il 31 gennaio 1499 fu arrestato
insieme ai figli Vasilij e Ivan e al principe Semën Ivanovič Rjapolovskij. Patrikeev padre e
Rjapolocskij furono giustiziati dopo pochi giorni, mentre i giovani Vasilij e Ivan vennero
costretti a farsi monaci. (N.d.T.)
34 Cfr. più in alto la storia di Paulow e molti altri fatti simili. ― In una nota della Lettera XXI,
tomo II (I ed.) o III (II ed.), in cui si parla della pena di morte, Custine scrive: «Nel 1836,
la sorella di un signor Pawlof, impiegato in non so quale amministrazione, era stata
sedotta da un giovane che rifiutava di sposarla, malgrado le ingiunzioni del fratello.
Costui, apprendendo che il seduttore si sposava con un’altra donna, aspetta il fidanzato
sulla porta della sua casa nel momento in cui il corteo ritorna dalla messa e pugnala lo
sposo. L’indomani, Pawlof fu degradato, stava per subire la pena legale dell’esilio, quando
l’imperatore, meglio informato, annullò l’arresto dell’imperatore malinformato!… Due
giorni dopo, l’assassino è riabilitato». (N.d.T.)
35 Nella seconda edizione gli ultimi due capoversi («Tutto diventò … del loro sovrano») sono
stati omessi. (N.d.T.)
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moltiplicare le citazioni, ma credo di averne fatte abbastanza per stabilire il
diritto che credo di avere di dire ingenuamente il mio modo di pensare che
si trova giustificata dall’opinione di uno scrittore accusato di parzialità.
In un paese dove fin dalla culla gli spiriti sono formati alla dissimulazione
e alle finezze della politica orientale, la naturalezza deve essere più rara che
altrove: così quando la si incontra ha un fascino particolare. Ho visto in
Russia alcuni uomini che arrossiscono nel sentirsi oppressi dal duro regime
sotto il quale sono costretti a vivere senza osare lamentarsi; questi uomini
non sono liberi che di fronte al nemico; vanno a fare la guerra in fondo al
Caucaso per riposarsi del giogo che si impone loro; la tristezza di questa
vita imprime prematuramente sulla loro fronte un sigillo di malinconia che
contrasta con le loro abitudini militari e con la spensieratezza della loro età;
le rughe in gioventù rivelano dei profondi dispiaceri e ispirano una gran
pietà; questi giovani uomini hanno preso in prestito dall’Oriente la sua
gravità, dalle immaginazioni del Nord il vago e la fantasticheria: sono molto
infelici e molto amabili; nessun abitante degli altri paesi assomiglia a loro.
Poiché i Russi hanno della grazia, occorre anche che abbiano un genere di
naturalezza che non ho potuto discernere; la naturalezza di questo popolo è
forse inafferrabile per uno straniero che passa per il paese tanto
velocemente quanto sono passato io. Nessun carattere è così difficile da
definire come quello del popolo.
Senza Medioevo, senza ricordi antichi, senza cattolicesimo, senza
cavalleria dietro di sé, senza rispetto per la parola data36, sempre Greci del
Basso Impero, formalmente cortesi come Cinesi, rozzi o per lo meno
indelicati come Calmucchi, sporchi come Lapponi, belli come angeli,
ignoranti come selvaggi (fatta eccezione per le donne e alcuni diplomatici),
sagaci come giudei, intriganti come liberti, dolci e gravi nei modi come
Orientali, crudeli nei loro sentimenti come barbari, sarcastici e sprezzanti
per disperazione, doppiamente beffardi per natura e per senso di inferiorità,
leggeri, ma solo in apparenza: i Russi sono essenzialmente adatti agli affari
seri; tutti hanno lo spirito necessario per acquisire un tatto
straordinariamente acuto, ma nessuno è abbastanza magnanimo per
elevarsi al di sopra dell’astuzia; così mi hanno disgustato di quella facoltà
indispensabile per vivere in mezzo a loro. Con quel loro continuo sorvegliarsi
mi sembrano gli uomini più sfortunati sulla terra. Il tatto delle convenienze,
questa polizia dell’immaginazione, è una qualità triste, per mezzo della
quale si sacrifica continuamente il proprio sentimento a quello degli altri,
una qualità negativa che ne esclude di positive molto superiori, è il mezzo di
sostentamento dei cortigiani ambiziosi che sono là per ubbidire alla volontà
di un altro, per seguire, per indovinare l’impulso, ma che si farebbero
cacciare il giorno in cui pretenderebbero di darla. È che, per dare l’impulso,
occorre del genio; il genio è il tatto della forza, il tatto non è che il genio
della debolezza. I Russi sono tutto tatto. Il genio agisce, il tatto osserva, e
36 Nonostante quanto detto in precedenza, può forse essere utile dire che ciò è indirizzato
solo alle masse, che in Russia non sono guidate che dalla paura e dalla forza.
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l’abuso dell’osservazione conduce alla diffidenza, cioè all’inazione; il genio
può allearsi con molta arte, mai con un tatto molto raffinato, perché il tatto,
questa adulazione a fuoco coperto, questa suprema virtù dei subalterni che
rispettano il nemico, cioè il padrone, finché non osano colpirlo, è sempre
unito a un poco di artificio. Grazie a questa superiorità di serraglio, i Russi
sono impenetrabili; è vero che si vede sempre che nascondono qualche
cosa, ma non si sa cosa nascondono, e ciò basta loro. Saranno degli uomini
molto temibili e molto fini quando riusciranno a mascherare anche la loro
finezza.
Già alcuni di loro sono arrivati fin là; sono i più avanzati del paese, tanto
per il posto che occupano che per la superiorità di spirito con la quale
riempiono il loro carico. Costoro non li ho potuto giudicare che con la
memoria; la loro presenza ha un prestigio che mi affascinava.
Ma, buon Dio! a cosa può servire tutto questo maneggio? Quale motivo
sufficiente assegneremo a tanta finzione? Quale dovere, quale ricompensa
può far sopportare così lungamente a dei volti umani la fatica della
maschera?
L’uso di tante batterie sarebbe destinato a difendere soltanto un potere
reale e legittimo?… Un tale potere non ne ha bisogno, la verità si difende da
sé. Si vogliono proteggere miserabili interessi di vanità? forse. Tuttavia,
darsi tante pene per arrivare a un risultato così misero sarebbe una cura
indegna degli uomini seri che se la impongono; io attribuisco loro un
pensiero più profondo; uno scopo più grande mi appare e mi spiego i loro
prodigi di dissimulazione e di longanimità.
Un’ambizione disordinata, immensa, una di quelle ambizioni che non
possono germinare che nell’anima degli oppressi e nutrirsi della sventura di
un’intera nazione fermenta nel cuore del popolo russo. Questa nazione,
essenzialmente conquistatrice, avida a forza di privazioni, espia in anticipo
nel proprio paese, con una sottomissione avvilente, la speranza di esercitare
la tirannia negli altrui paesi; la gloria, la ricchezza che attende la
distraggono dal disonore che subisce e, per lavarsi dell’empio sacrificio di
tutta la libertà pubblica e personale, lo schiavo, in ginocchio, sogna il
dominio del mondo.
Non è l’uomo che si adora nell’imperatore Nicola, bensì il padrone
ambizioso di una nazione più ambiziosa di lui. Le passioni dei Russi sono
tagliate sul modello di quelle degli antichi popoli, in cui tutto ricorda l’Antico
Testamento; le loro speranze, le loro torture sono grandi come il loro
impero.
Lì nulla ha confini, né dolori, né ricompense, né sacrifici, né speranze: il
loro potere può diventare enorme, ma l’avranno conquistato al prezzo col
quale le nazioni asiatiche pagano la saldezza dei loro governi: al prezzo
della felicità.
La Russia vede nell’Europa una preda che prima o poi finirà in suo potere
a causa delle nostre discordie; essa fomenta l’anarchia in mezzo a noi
sperando di trarre profitto dalla corruzione che essa favorisce perché è
favorevole alle sue mire: è la storia della Polonia ripetuta in grande. Da
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molti anni Parigi legge giornali rivoluzionari pagati dalla Russia. «L’Europa –
si dice a Pietroburgo – segue le orme della Polonia; si snerva in un vano
liberismo, mentre noi rimaniamo potenti, proprio perché non siamo liberi:
pazientiamo sotto il giogo, faremo pagare agli altri la nostra vergogna».
Il piano che vi rivelo qui può sembrare chimerico a occhi distratti; sarà
riconosciuto vero da ogni uomo iniziato alle questioni europee e ai segreti di
gabinetto durante gli ultimi vent’anni. Esso dà la chiave di molti misteri,
spiega in una parola l’estrema importanza che le persone serie per carattere
e per posizione attribuiscono a non essere viste dagli stranieri che dal lato
bello. Se i Russi erano, come essi dicono, i sostegni dell’ordine e della
legittimità, si servirebbero di uomini e, ciò che è peggio, di mezzi
rivoluzionari?
Il mostruoso credito della Russia verso Roma, è uno degli effetti del
prestigio contro il quale vorrei ci premunissimo37. Roma e tutta la cattolicità
non hanno più grande, più pericoloso nemico dell’imperatore della Russia.
Presto o tardi, sotto gli auspici dell’autocrazia greca, lo scisma regnerà solo
a Costantinopoli; allora il mondo cristiano, diviso in due campi, riconoscerà
il torto fatto alla Chiesa romana per l’accecamento politico del suo capo.
Questo principe, spaventato del disordine in cui cadevano le società
all’epoca del suo avvento al trono pontificale, spaventato del male morale
causato all’Europa per le nostre rivoluzioni, senza sostegno, sconvolto nel
mezzo di un mondo indifferente o beffardo, non temeva niente fino ai
sollevamenti popolari di cui aveva sofferto e visto soffrire i suoi
contemporanei; allora, cedendo alla funesta influenza di certi spiriti ristretti,
ha preso consiglio dalla prudenza umana, si è mostrato saggio, secondo il
mondo, abile come gli uomini: cioè cieco e debole secondo Dio; ed ecco
come la causa del cattolicesimo, in Polonia, fu disertata dal suo avvocato
naturale, per il capo visibile della Chiesa ortodossa. Ci sono oggi molte
nazioni che sacrificherebbero i loro soldati per Roma? E quando nella sua
indigenza il papa trova ancora un popolo pronto a farsi sgozzare per lui… lo
scomunica!!… lui, il solo principe della terra che doveva assisterlo fino alla
morte, lo scomunica per compiacere al sovrano di una nazione scismatica! I
fedeli si domandano con spavento che cosa è diventata l’infaticabile
previdenza della Santa Sede; i martiri, colpiti da interdizione, vedono la
fede cattolica sacrificata da Roma alla politica greca: e la Polonia,
scoraggiata nella sua santa resistenza, subisce la sua sorte senza
comprenderla38.
Il rappresentante di Dio sulla terra non ha ancora riconosciuto che dopo il
trattato della Vestfalia39, tutte le guerre dell’Europa sono delle guerre di
religione? Quale prudenza carnale ha potuto turbare il suo sguardo al punto
di fargli applicare alla direzione delle cose del cielo dei modi, abbastanza
37 Scritto nel 1839.
38 Queste rimostranze, che non oltrepassavano, a questo sembra, i limiti del rispetto, sono
state giustificate dagli ultimi editti della corte di Roma.
39 Del 1648. ― Il papa cui ci si riferisce è Pio VII, pontefice dal 1800 al 1823. (N.d.T.)
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buoni per i re, ma indegni del Re dei re? Il loro trono non ha che una durata
passeggera, il suo è eterno; sì, eterno, perché il prete assiso su questo
trono sarebbe più grande e più chiaroveggente nelle catacombe di quanto
sia in Vaticano. Ingannato dalla finezza dei figli del secolo, non ha visto
affatto il fondo delle cose, e nelle aberrazioni in cui l’ha gettato la sua
politica di paura, ha dimenticato di attingere la sua forza dov’è: nella
politica di fede40.
Ma pazienza, i tempi maturano, presto ogni domanda sarà posta
nettamente, e la verità difesa dai suoi campioni legittimi riprenderà il suo
impero sullo spirito delle nazioni. Forse la lotta che si prepara le servirà a
far comprendere ai protestanti una verità essenziale, che ho già espresso
più di una volta, ma sulla quale insisto perché mi sembra l’unica verità
necessaria per affrettare la riunione di tutte le comunioni cristiane: è che il
solo prete realmente libero che esiste al mondo, è il prete cattolico.
Dovunque, tranne che nella Chiesa cattolica, il prete è assoggettato ad altre
leggi, ad altri lumi che a quelli della sua coscienza e della sua dottrina. Si
rabbrividisce vedendo le incongruenze della Chiesa anglicana, e si trema
vedendo l’avvilimento della Chiesa greca a Pietroburgo; se l’ipocrisia cessa
di trionfare in Inghilterra, la maggior parte del regno ridiventa cattolica. La
sola Chiesa romana ha salvato la purezza della fede, difendendo su tutta la
terra con una generosità sublime, con una pazienza eroica, con
un’inflessibile convinzione, l’indipendenza del sacerdozio contro la
usurpazione delle sovranità temporali qualunque fossero. Dov’è la Chiesa
che non si sia lasciata abbassare dai diversi governi della terra al rango di
una polizia pia? non ce n’è che una, una sola, è la Chiesa cattolica; e questa
libertà che essa ha conservato al prezzo del sangue dei suoi martiri, è un
principio eterno di vita e di potere. L’avvenire del mondo è suo, perché ha
saputo restare di lega pura. Che il protestantesimo si agiti, è nella sua
natura; che le sette si preoccupino e discutano, è il loro gioco: la Chiesa
cattolica aspetta!!…
Il clero greco russo non è mai stato, non sarà mai che una milizia
rivestita di un’uniforme un poco differente dall’abito delle truppe secolari
dell’impero. Sotto la direzione dell’imperatore, i pope e i loro vescovi sono
un reggimento di chierici: ecco tutto.
40 L’ignoranza delle cose religiose è tale oggi che un cattolico, uomo di molto spirito a cui
leggevo questo passaggio, mi interruppe: «Voi non siete più cattolici, mi disse, voi
biasimate il papa!!!» Come se il papa fosse impeccabile tanto quanto è infallibile in
materia di fede. Ancora questa infallibilità stessa è essa stessa sottomessa a certe
restrizioni per i gallicani che credono però di essere cattolici. Dante è mai stato accusato
di eresia? tuttavia quel linguaggio non lo parla a quei papi che colloca nel suo inferno? I
migliori spiriti del nostro tempo cadono in una confusione di idee che avrebbe fatto ridere
gli scolari dei secoli passati. Io risposi al mio critico rimandandolo a Bossuet. La sua
esposizione della dottrina cattolica, confermata, approvata, lodata in ogni tempo e
adottata dalla corte di Roma, giustifica sufficientemente i miei principi. ― Jacques Bénigne
Bossuet (1627-1704) fu un vescovo cattolico, teologo e predicatore francese che lottò
contro il quietismo (citato più avanti), una dottrina mistica nata nel XVII secolo e
condannata dalla Chiesa. (N.d.T.)
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La distanza che separa la Russia dall’Occidente è meravigliosamente
servita fino ai nostri giorni a velarci tutte queste cose. Se l’astuta politica
greca teme tanto la verità, è perché sa meravigliosamente approfittare della
menzogna; ma ciò che mi sorprende, è che riesca a perpetuarne il regno.
Comprendete ora l’importanza di un’opinione, di una parola sarcastica, di
una lettera, di uno scherzo, di un sorriso, a maggior ragione di un libro, agli
occhi di questo governo favorito dalla credulità dei suoi popoli e dal
compiacimento di tutti gli stranieri?… Una parola di verità lanciata in Russia
è la scintilla che cade su un barile di polvere.
Che cosa importa agli uomini che guidano la Russia della miseria, del
pallore dei soldati dell’imperatore? Questi spettri viventi hanno le più belle
uniformi d’Europa: che cosa importano le bluse di ruvido panno sotto le
quali si nascondono all’interno dei loro acquartieramenti questi fantasmi
dorati?… Purché siano poveri e luridi in segreto e brillino quando si
mostrano, non gli si chiede né si dà loro nulla. Una miseria ammantata: tale
è la ricchezza dei Russi: per loro l’apparenza è tutto, e l’apparenza in essi
mente più che in altri. Così, chiunque sollevi un angolo del velo ha perduto
per sempre la sua reputazione a Pietroburgo.
La vita sociale in quel paese è una cospirazione permanente contro la
verità.
Là, chiunque non si lasci ingannare passa per traditore: là, ridere di una
fanfaronata, confutare una menzogna, contraddire una vanteria politica,
motivare l’obbedienza è un attentato contro la sicurezza dello Stato e del
principe; è incorrere nel destino di un rivoluzionario, di un cospiratore, di un
nemico dell’ordine, di un criminale di lesa maestà… di un polacco, e voi
sapete quanto questo destino sia crudele! Occorre ammettere che una
SUSCETTIBILITÀ che si manifesta in questo modo è più temibile che risibile:
la sorveglianza minuziosa di un tale governo d’accordo con la vanità astuta
di un tale popolo diventa spaventosa; non fa più ridere.
Si può e si deve applicare ogni tipo di precauzione sotto un padrone che
non fa grazia ad alcun nemico, che non disprezza alcuna resistenza che gli
si opponga, e che quindi si impone la vendetta come un dovere.
Quest’uomo, o piuttosto questo governo personificato, prende il perdono per
apostasia, la clemenza per l’oblio di se stesso, la pietà per mancanza di
rispetto verso la propria maestà… cosa dico? Verso la propria divinità!… Egli
non è padrone di rinunciare a farsi adorare.
La civiltà russa è ancora così vicina alle proprie origini che assomiglia alla
barbarie. La Russia non è che una società conquistatrice, la sua forza non è
nel pensiero, è in guerra, ossia nell’astuzia e nella ferocia.
La Polonia, per la sua ultima insurrezione, ha ritardato l’esplosione: ha
costretto le batterie a restare mascherate; non si perdonerà mai alla Polonia
la dissimulazione di cui si è forzata a usare, non con essa, poiché la si
immola impunemente, ma con degli amici di cui bisogna continuare a fare
delle vittime, risparmiando la loro ombrosa filantropia. Si interessa a questo
risentimento magnanimo e appassionato, notate questi due punti, la
sentinella avanzata del nuovo Impero romano che si chiamerà Impero
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greco, e il più circospetto, ma più cieco dei re dell’Europa 41, per piacere al
suo vicino, che è il suo padrone, comincia una guerra di religione… non è sul
punto di fermarsi sulla strada dove lo si spinge; se si è potuto smarrire lui,
se ne sedurranno molti altri…
Vi prego di considerare che se mai i Russi riuscissero a dominare
l’Occidente, essi non lo governerebbero rimanendo nella loro terra, alla
maniera degli antichi Mongoli; al contrario, si affretterebbero a uscire dalle
loro pianure ghiacciate, e senza imitare i loro antichi padroni, i Tatari, che
opprimevano da lontano gli Slavi, loro tributari – il clima della Moscovia
spaventava anche i Mongoli, – i Moscoviti uscirebbero dal loro paese non
appena fossero loro aperte le strade degli altri paesi.
In questo momento parlano di moderazione, protestano contro la
conquista di Costantinopoli, temono, essi dicono, tutto ciò che possa
ingrandire un impero dove le distanze sono già una calamità, temono
anche… giudicate voi fin dove arriva la loro prudenza!… temono i climi caldi!
… Aspettate un poco, vedrete a che cosa porteranno tutti questi timori.
E non dovrei segnalare tante menzogne, tanti pericoli, tanti flagelli?… No,
no, preferisco sbagliarmi e parlare piuttosto che aver visto giusto e tacere.
Se è temerario dire ciò che ho osservato, sarebbe un crimine nasconderlo.
I Russi non mi risponderanno; diranno: «Quattro mesi di viaggio, ha visto
male».
È vero, ho visto male, ma ho indovinato bene.
O se mi faranno l’onore di confutarmi, negheranno i fatti; i fatti, materia
inerte di ogni narrazione e di cui non si fa conto per nulla a Pietroburgo,
dove il passato come l’avvenire, come il presente, è a disposizione del
padrone; perché, ancora una volta, i Russi non hanno altro di proprio che
l’obbedienza e l’imitazione; l’inclinazione del loro spirito, il loro giudizio, il
loro libero arbitrio appartengono al sovrano. In Russia, la storia fa parte del
dominio della corona; è la proprietà morale del principe come gli uomini e la
terra ne sono la proprietà materiale; la si conserva nella stanza dei tesori
imperiali, e se ne mostra solo ciò che si vuole far conoscere. Il ricordo di
quanto si è fatto il giorno prima appartiene all’imperatore, egli modifica a
suo piacere gli annali del paese, e dispensa ogni giorno al suo popolo le
verità storiche che si accordano con la finzione del momento. Ecco come
sono stati esumati Minin e Požarskij, eroi dimenticati per due secoli42, e
improvvisamente diventati di moda al momento dell’invasione napoleonica.
In quel tempo il governo permetteva l’entusiasmo patriottico.
Tuttavia, questo potere esorbitante nuoce a se stesso; la Russia non lo
subirà in eterno: uno spirito di rivolta cova nell’esercito. Dico con
l’imperatore che i Russi hanno troppo viaggiato; la nazione è diventata
avida di insegnamenti: la dogana non ha presa sul pensiero, gli eserciti non
41 Scritto durante la vita del defunto re di Prussia nel 1839. ― Il re di Prussia era Federico
Guglielmo III, morto nel 1840. (N.d.T.)
42 Kuz’ma Minin (?-1616) e Dmitrij Požarskij (1577-1642) furono i due eroi russi che
liberarono Mosca dagli invasori polacchi nel 1612. (N.d.T.)
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lo annientano, le fortezze non lo fermano, esso passa sottoterra: le idee
sono nell’aria, sono ovunque, e le idee cambiano il mondo43.
Da quanto detto sopra, ne consegue che l’avvenire, questo avvenire così
brillante, sognato dai Russi, non dipende da loro; che essi non hanno affatto
idee; e che il destino di questo popolo di imitatori si deciderà tra i popoli che
hanno idee proprie: se le passioni si calmano in Occidente, se si stabilisce
l’unione tra governi e sudditi, l’avida speranza degli Slavi conquistatori
diventa una chimera.
È il caso di ripetere che io parlo senza animosità, che ho descritto le cose
senza accusare le persone, e che nelle deduzioni che ho ricavato da alcuni
fatti che mi spaventano, ho cercato di tener conto della necessità? Accuso
meno di quanto non racconti.
Ero partito da Parigi con l’opinione che la stretta alleanza tra la Francia e
la Russia poteva accomodare soltanto gli affari dell’Europa, ma, dopo aver
visto da vicino la nazione russa e riconosciuto il vero spirito del suo
governo, ho sentito che essa è isolata dal resto del mondo civile da un
potente interesse politico, appoggiato sul fanatismo religioso, e sono del
parere che la Francia dovrebbe cercare il suo sostegno fra le nazioni i cui
interessi sono in linea con i suoi. Non si basano delle alleanze su delle
opinioni contro i bisogni. Dove sono in Europa i bisogni che si accordano?
sono presso i Francesi e i Tedeschi e presso i popoli naturalmente destinati a
servire da satelliti a queste due grandi nazioni. I destini di una civiltà
progressiva, sincera e ragionevole, si decideranno nel cuore dell’Europa,
tutto ciò che contribuisce ad affrettare il perfetto accordo della politica
tedesca con la politica francese è benefico; tutto ciò che ritarda questa
unione, qualunque sia il motivo, è pernicioso.
La guerra esploderà tra la filosofia e la fede, la politica e la religione: tra il
protestantesimo e la Chiesa cattolica: e dalla bandiera che inalbererà la
Francia in questa lotta colossale dipenderà la sorte dal mondo, della Chiesa,
e prima di tutto della Francia.
La prova che il sistema di alleanza al quale aspiro è buono, è che verrà
un tempo in cui non avremo la libertà di sceglierne un altro.
Come straniero, soprattutto come straniero che scrive, sono stato
soffocato da proteste di cortesia da parte dei Russi, ma la loro gentilezza si
è limitata a delle promesse; nessuno mi ha reso facile guardare alla
sostanza delle cose. Una folla di misteri sono restati impenetrabili al mio
intelletto.
Un anno passato nel paese mi avrebbe permesso di conoscere ben poco
di più; gli inconvenienti dell’inverno mi sono sembrati più temibili di quanto
gli abitanti assicurassero che non se ne soffre. Essi non tengono per nulla in
conto gli arti paralizzati, i tratti del viso congelati; potrei citarvi più di un
43 Dopo quanto scritto, l’imperatore permette il soggiorno a Parigi a una folla di russi. Crede
forse di guarire gli innovatori dai loro sogni mostrando loro da vicino la Francia che gli è
rappresentata come un vulcano di rivoluzioni, come un paese in cui il soggiorno deve
disgustare per sempre i Russi dalle riforme politiche: si sbaglia.
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esempio di questo genere di accidenti arrivati anche alle donne di società,
sia straniere che russe, e, una volta giunto, si risente per tutta la vita del
colpo che si è ricevuto; quando si rischiassero delle incurabili nevralgie, il
pericolo sarebbe grande, non ho voluto sfidare inutilmente quei mali e la
noia delle precauzioni che bisogna imporsi per evitarli. D’altronde, in questo
impero del profondo silenzio, dei grandi spazi vuoti, delle campagna nude,
delle città solitarie, delle fisionomie prudenti la cui espressione è così poco
franca da far trovare vuota la società stessa, la tristezza mi opprimeva:
sono fuggito allo spleen44 come davanti al freddo. Si può ben dire che chi
vuole trascorrere l’inverno a Pietroburgo si deve rassegnare per sei mesi a
dimenticare la natura per vivere imprigionati fra uomini privi di
naturalezza45.
Confesso ingenuamente che ho passato in Russia un’estate terribile
perché non ho potuto comprendere a fondo che una piccolissima parte di
quello che ho visto. Speravo di trovare soluzioni, vi porto dei problemi.
C’è soprattutto un mistero che mi dispiace non aver potuto penetrare, è
la scarsa influenza della religione. Nonostante l’asservimento politico della
Chiesa greca, non potrebbe conservare almeno qualche autorità morale sui
popoli? essa non ne ha alcuna. A cosa è dovuta la nullità di una Chiesa che
tutto sembra favorire nella sua opera? Questo è il problema. È proprio della
religione greca di rimanere così stazionaria contentandosi di segni esteriori
di rispetto? Un tale risultato è inevitabile dovunque un potere spirituale cada
nella dipendenza assoluta del temporale? io lo credo, ma è ciò che avrei
volevo dimostrare con la forza di documenti e avvenimenti. Tuttavia, dirò in
poche parole il risultato delle osservazioni che ho fatto sui rapporti del clero
russo con i fedeli.
Ho visto in Russia una Chiesa cristiana, che nessuno attacca, che tutti
rispettano, almeno in apparenza: una Chiesa che tutto favorisce
nell’esercizio della sua autorità morale, e che pure questa Chiesa non ha
alcun potere sulle coscienze; essa non sa fare che ipocriti o superstiziosi.
Nei paesi in cui la religione non è rispettata, essa non è responsabile; ma
qui, dove tutto il prestigio del potere assoluto appoggia il prete nello
svolgimento della sua opera, dove la dottrina non è attaccata né da scritti,
né da discorsi; dove le pratiche religiose sono diventate, per così dire, leggi
dello Stato; dove i costumi servono la fede, come la contraddicono da noi;
si ha il diritto di rimproverare alla Chiesa la sua sterilità. Questa Chiesa è
morta, e pur tuttavia, a giudicare da ciò che sta accadendo in Polonia, può
diventare persecutrice, mentre non possiede a sufficienza alte virtù, né
grandi talenti per conquistare con il pensiero; in una parola, manca alla
Chiesa russa ciò che in questo paese manca a ogni cosa: la libertà, senza la
44 In inglese nel testo. (N.d.T.)
45 Trovo nelle lettere di Lady Montagu, di recente pubblicate, una massima dei cortigiani
turchi, applicabile a tutti i cortigiani, ma soprattutto ai cortigiani russi, che vuol dire a tutti
i Russi; essa può servire a contrassegnare i rapporti di più di un tipo che esistono tra la
Turchia e la Moscovia: «Accarezzate i favoriti, evitate gli infelici e non vi fidate di
nessuno» (Lady Mary Wortley Montagu, Lettere, t. II, p. 159).
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quale lo spirito di vita si ritira e la luce si spegne.
L’Europa occidentale ignora quanto di intolleranza religiosa entri nella
politica russa. Il culto dei Greci riuniti è stato recentemente abolito in
seguito a lunghe e sorde persecuzioni: l’Europa cattolica sa che non ci sono
più uniati in Russia, sa, pur abbagliata dai lumi della filosofia, chi sono gli
uniati46?
Ecco un fatto che vi proverà il pericolo che si corre in Russia a dire ciò
che si pensa della religione greca e della sua poca influenza morale.
Alcuni anni fa un uomo di spirito, ben visto da tutti a Mosca, nobile di
nascita e di carattere, ma, purtroppo per lui, consumato dall’amore della
verità, passione ovunque pericolosa, e mortale in quel paese, osò stampare
che la religione cattolica è più favorevole allo sviluppo degli spiriti, al
progresso delle arti, che non la religione bizantina russa; pensava ciò che
penso io e ha osato dirlo, delitto imperdonabile per un russo. La vita del
prete cattolico, dice nel suo libro, vita tutta soprannaturale o che almeno
dovrebbe esserlo, è un sacrificio volontario e quotidiano dei bassi istinti
naturali; sacrificio continuamente rinnovato sull’altare della fede, per
mostrare ai più empi che l’uomo non è sottomesso ad alcuna forza
materiale, e che può ricevere da una potenza superiore il mezzo di sfuggire
alle leggi del mondo fisico; poi aggiunge: «Grazie alle riforme operate dal
tempo, la religione cattolica non può più impiegare la sua virtualità che a
fare del bene», in una parola, egli sosteneva che il cattolicesimo era
mancato ai grandi destini della razza slava, perché solo in esso vi si trovano
insieme l’entusiasmo attivo, la carità perfetta e il discernimento puro;
confortava la sua opinione con un gran numero di prove, e cercava di
dimostrare i vantaggi di una religione indipendente, cioè universale, sulle
religioni locali, ossia limitate dalla politica; in breve, professava un’opinione
che non ho mai smesso di difendere con tutte le mie forze.
Anche per i difetti del carattere delle donne russe questo scrittore accusa
la religione greca. Egli pretende che se sono leggere, se non hanno saputo
conservare sulla loro famiglia l’autorità che è un dovere esercitarla per una
sposa cristiana e una madre, è perché non hanno mai ricevuto un vero
insegnamento religioso.
Quel libro sfuggito, non so per quale miracolo o per quale sotterfugio, alla
sorveglianza della censura, mise a fuoco la Russia: Pietroburgo e Mosca la
santa gettarono grida di rabbia e di allarme, infine la coscienza dei fedeli fu
turbata a tal punto che da un capo all’altro dell’impero si reclamò la
punizione di quell’imprudente avvocato della madre delle Chiese cristiane,
cosa che non ha impedito al temerario scrittore di essere schernito come
innovatore, e ciò non è una delle minori incongruenze dello spirito umano
46 Dopo aver scritto ciò, molti giornali hanno pubblicato un’allocuzione del papa ai cardinali
circa il fatto che ho appena citato. Questo discorso, ispirato dalla più alta saggezza,
dimostra che il Santo Padre è finalmente illuminato sui pericoli che ho riportato, e che i
veri interessi della fede prevalgono oggi a Roma sulle considerazioni di una politica
mondana. Bisogna leggere, su questo interessante argomento, l’opera intitolata:
Persecuzioni e sofferenze della Chiesa cattolica in Russia. ― Cfr. nota 24. (N.d.T.)
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quasi sempre in contraddizione con se stesso nelle commedie che si recitano
in questo mondo, la parola d’ordine di tutti i settari e scismatici è che
bisogna rispettare la religione sotto la quale si è nati, verità troppo
dimenticata di Lutero e di Calvino che hanno fatto in religione ciò che molti
degli eroi repubblicani vorrebbero fare in politica: hanno piegato l’autorità al
loro profitto; insomma, non c’era abbastanza knut, non abbastanza Siberia,
galere, miniere, fortezze, solitudini in tutte le Russie per rassicurare Mosca e
la sua ortodossia bizantina contro l’ambizione di Roma, servita dall’empia
dottrina di uomo traditore di Dio e del suo paese!
Si attendeva con ansia la sentenza che deciderà il destino di un così gran
criminale; ma questa sentenza tardava ad apparire e già si disperava della
suprema
giustizia,
quando
l’imperatore,
nella
sua
impassibilità
misericordiosa, dichiara che non c’è motivo di punire, non c’è alcun
colpevole da punire; ma che c’è un pazzo da rinchiudere: si aggiunge che il
malato sarà affidato alle cure dei medici.
Questa sentenza fu immediatamente eseguita47, ma in un modo così
severo che il supposto pazzo pensò di giustificare l’arresto ridicolo del capo
assoluto della Chiesa e dello Stato. Il martire della verità fu vicino a perdere
la ragione a lui negata per una decisione dall’alto. Oggi, dopo tre anni di un
trattamento rigorosamente osservato, trattamento avvilente quanto crudele,
lo sfortunato teologo del gran mondo comincia solo ora a godere di un poco
di libertà, ma non si tratta di un miracolo!… ora egli dubita della propria
ragione, e sulla fede della parola imperiale ammette di essere pazzo!… Oh,
profondità delle miserie umane!… In Russia la parola sovrana, quando
disapprova un uomo, equivale alla scomunica papale del Medioevo!!…
Ora, il supposto pazzo può, si dice, comunicare con alcuni amici: mi è
stato proposto durante il mio soggiorno a Mosca di condurmi a vederlo nel
suo ritiro; mi ha trattenuto la paura e anche la pietà, perché la mia curiosità
gli sarebbe sembrata un insulto. Non mi si è mai detto quale pena abbiano
subito i censori del libro da lui pubblicato.
È un esempio molto recente del modo di cui gli affari di coscienza si
trattano oggi in Russia. Ve lo chiedo un’ultima volta, il viaggiatore
abbastanza infelice o abbastanza felice per avere raccolto tali fatti ha il
diritto di lasciarli ignorare? In genere, ciò che sapete positivamente vi
illumina su ciò che supponete, e, da tutte queste cose, risulta una
convinzione che avete l’obbligo di condividere con il mondo se lo potete.
Parlo senza odio personale, ma anche senza paura né restrizione; perché
sfido pure il pericolo di annoiare.
Il paese che ho appena percorso è ombroso e monotono, tanto quanto
quello che ho dipinto una volta era brillante e vario48. Nel fare un quadro
esatto si è rinunciato a piacere. In Russia, la vita è tanto smorta quanto
47 Nella seconda edizione è: «Questa tortura di nuovo genere fu immediatamente
applicata». (N.d.T.)
48 Nel 1838 Custine pubblicò, in quattro volumi, L’Espagne sous Ferdinand VII (La Spagna
sotto Ferdinando VII). (N.d.T.)
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essa è allegra in Andalusia; il popolo russo è cupo, il popolo spagnolo pieno
di brio. In Spagna l’assenza della libertà politica era compensata da
un’indipendenza personale, che non esiste forse allo stesso grado da
nessuna parte e i cui effetti sono sorprendenti, mentre in Russia l’una è
sconosciuta tanto quanto l’altra. Uno spagnolo vive di amore, un russo vive
di calcolo; uno spagnolo racconta tutto, e se non ha niente da raccontare,
inventa; un russo nasconde tutto, e se non ha niente da nascondere, tace
per avere l’aria discreta, tace anche senza calcolo, per abitudine; la Spagna
è infestata di briganti, ma si ruba solo sui grandi percorsi; le strade della
Russia sono sicure, ma si è immancabilmente derubati nelle case; la Spagna
è piena di ricordi e di rovine che datano di tutti i secoli; la Russia data da
ieri, la sua storia è ricca solamente di promesse; la Spagna è irta di
montagne che variano i luoghi a ogni passo del viaggiatore, la Russia non
ha che un paesaggio da un’estremità della pianura all’altra; il sole illumina
Siviglia, vivifica tutto nella penisola; la nebbia vela le lontananze dei
paesaggi di Pietroburgo che restano smorti anche durante le serate più belle
dell’estate: insomma i due paesi sono in ogni punto l’opposto l’uno
dell’altro, c’è la differenza dal giorno alla notte, dal fuoco al ghiaccio, dal
sud al nord.
Bisogna aver vissuto in quella solitudine senza riposo, in quella prigione
senza ozio che si chiama Russia, per sentire tutta la libertà di cui si gode
negli altri paesi europei, qualunque forma di governo vi sia adottata. Non
sarà eccessivo ripeterlo; in Russia la libertà manca del tutto se questa non
c’è, mi si è detto, nel commercio di Odessa. Perciò l’imperatore, grazie al
tatto profetico di cui è dotato, non ama molto lo spirito di indipendenza che
regna in quella città la cui prosperità è dovuta all’intelligenza e all’integrità
di un francese49; è tuttavia l’unica di tutto il suo vasto impero dove si possa
in buona fede benedire il suo regno.
Quando vostro figlio sarà malcontento in Francia, fate uso della mia
ricetta, ditegli: «Andate in Russia». È un viaggio utile a ogni straniero;
chiunque avrà ben visitato questo paese, si troverà contento di vivere
altrove. È sempre bene sapere che esiste una società in cui la felicità non è
possibile perché, per una legge di natura, l’uomo non può essere felice
senza libertà.
Un tale ricordo rende indulgente, e il viaggiatore rientrato nel suo
focolare può dire del suo paese ciò che un uomo di spirito diceva di sé:
«Quando mi apprezzo sono modesto; ma sono fiero quando mi confronto».
49 Il Duca di Richelieu, ministro di Luigi XVIII. ― Nel 1803 lo zar Alessandro I nominò
governatore di Odessa il generale e diplomatico francese Armand Emmanuel de Vignerot
du Plessis, duca di Richelieu (1766-1822), che mantenne la carica fino al 1814. In questo
periodo il duca trasformò il villaggio di Odessa in un’importante città cosmopolita, centro
di scambi commerciali e zona di transito tra Europa e Asia. (N.d.T.)
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