Bulletin européen Ottobre 2013 it (761) r
Transcript
Bulletin européen Ottobre 2013 it (761) r
ED. ITALIANA ISSN 2283-3013 OTTOBRE 2013 ANNO 64 n. 761 TRIBUNA LIBERA FONDATA NEL 1950 DA J. CONSTANTIN DRAGAN Opportunità e pericoli della rete Dagli effetti di psicologia di massa alle rilevanze geopolitiche e di sicurezza nazionale prof. Antonio Teti Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti e Pescara Il comune denominatore degli eventi che sconvolgono i Paesi arabi del Mediterraneo Nel cyber-spazio la mente dell’uomo è una componente di un sistema pensante virtuale. Si provi ad immaginare quello che può produrre il pensiero di una serie di persone, concentrati in un cyber-spazio. Se vogliamo la risposta a questa domanda è possibile darla anche citando i recenti episodi che hanno colpito e che sono ancora in corso nei Paesi arabi che si affacciano sul Mediterraneo, a partire dall’Algeria, Tunisia, Egitto ecc. Un gruppo di persone che opera in rete può creare un movimento. Può attivare un pensiero, un moto, che poi può trasformarsi da un movimento virtuale in un movimento reale. C’è un comune denominatore in tutti gli eventi che da qualche tempo stanno sconvolgendo i Paesi arabi che si affacciano nel Mediterraneo. Il comune denominatore di questi eventi, di queste insurrezioni, in alcuni casi vere e proprie guerre civili, è proprio la rete. Questo nuovo termine, la cyber-psicologia deriva proprio dallo cyber-spazio. Focalizza la sua attenzione sulla psiche dell’uomo, sulle modificazioni comportamentali prodotte dall’utilizzo di Internet. C’è un aspetto anche sulle modificazioni comportamentali. Al “Policlinico Gemelli” di Roma è stato attivato proprio un reparto dove si cura la retomania o, in altri termini, la dipendenza dalla rete. È una patologia vera e propria. E sembra che in questo centro ricevano dalle 30-40 chiamate al giorno. Hanno addirittura identificato diverse tipologie di patologie. Dall’utilizzo dei giochi in rete al sesso virtuale. Sono quattro o cinque le patologie verificate in questo contesto. La rete può condizionare enormemente la psicologia umana. La rete come strumento di attacco Barack Obama è molto sensibile a questi aspetti, anche per l’uso della rete da parete dei terroristi. Il presidente degli Stati Uniti è ben consapevole del fatto che bisogna in qualche modo cominciare a mettere degli accertamenti in rete, non certo per controllare Internet, anche perché si sono resi conto che è impossibile farlo, ma almeno cominciare a progettare e realizzare un sistema di reale protezione dei propri sistemi informativi. Se venissero attaccati alcuni sistemi informativi nevralgici a cui si affida l’intero Paese – mi riferisco agli Stati Uniti ma lo stesso discorso vale per altri Paesi del mondo – si potrebbero creare delle conseguenze imprevedibili. I siti nevralgici potrebbero essere, per esempio, quelli riconducibili all’erogazione dell’energia elettrica che, se penetrati e manipolati, porterebbero ad un collasso del sistema. Già a partire dal maggio del 2010, lo stesso Obama aveva riconosciuto che gli Stati Uniti “non sono preparati come dovrebbero” ad affrontare minacce che pos2 sono venire dalla rete, così pericolose per la sicurezza nazionale. In caso di emergenza nazionale, il presidente degli Stati Uniti potrebbe avere il potere di controllare Internet, scollegando i computer privati dalla rete. È quanto prevede la legge approvata dalla Commissione per la Sicurezza nazionale e gli Affari governativi del Senato americano. Nelle 55 pagine del testo, redatto da Jay Rockefeller, senatore democratico della West Virginia, anticipato dal sito Cnet, si legge che l’inquilino della Casa Bianca, dopo aver dichiarato “lo stato d’emergenza nazionale sul fronte della cyber-sicurezza”, è autorizzato a “prendere il controllo temporaneo” dei computer “non governativi”. Il provvedimento prende il nome di Protecting Cyberspace as a National Asset Act (Pcnaa), ma è anche conosciuto come Internet Kill Switch, e coinvolge un certo numero di aziende del settore individuate dagli esperti del governo americano, motori di ricerca e società produttrici di softwares. Il Pentagono, costantemente sotto attacco da parte di hackers ubicati nei più sperduti angoli del pianeta, ha capito che bisogna specializzarsi e cambiare modo di pensare: in poche parole, per questa guerra non serve un esercito di militari, ma un esercito di hackers. Dal marzo del 2010 il Pentagono ha attivato dei corsi per diventare hacker, per diventare sostanzialmente dei pirati informatici. Per fare cosa? Proprio per contrastare gli attacchi informatici. In effetti per combattere un pirata informatico devi opporgli un altro pirata, possibilmente più scaltro. “Per battere un hacker devi imparare a ragionare come lui”, con questa affermazione Sanjay Bavisi, indiano e cofondatore e presidente della EC-Council, sintetizza le motivazioni che hanno portato il Pen- tagono a scegliere la sua organizzazione per formare i dipendenti del Dipartimento della Difesa che si occupano di sicurezza informatica. Di certo, il problema della sicurezza dei sistemi informatici, soprattutto in funzione della escalation di attacchi subìti dal governo statunitense negli ultimi tempi, rappresenta per le strutture governative un colossale incubo. Nuovi fronti di guerra. Il caso degli Usa La guerra si combatte ora su questi fronti. Se consideriamo che nel primo semestre del 2009 sono stati condotti quasi 45 mila attacchi informatici contro il sistema del Dipartimento della Difesa statunitense e nell’intero anno si è registrato un incremento degli attacchi pari al 60%, rispetto al 2008, tutto ciò può fornire un’indicazione inquietante. I costi sostenuti dal Dipartimento della Difesa per fronteggiare gli attacchi subìti nel solo 2009 ha superato la cifra di 100 milioni di dollari. Il generale Keith Alexander è colui che guida il recente Cyber Command, la divisione del Pentagono destinata a garantire la sicurezza delle reti informatiche. Ai suoi ordini ha circa 90 mila uomini, dopo la decisione del Ministero della Difesa di assegnare alla cyber-sicurezza 30 mila uomini in più di quanto avesse stabilito l’amministrazione Bush. Nonostante le critiche, secondo le quali la decisione segna un ulteriore passo verso una sempre più stretta militarizzazione del cyber-spazio come conseguenza dell’incapacità del governo di risolvere la questione in altro modo, per il presidente Obama la sicurezza informatica rappresenta senz’altro “una delle sfide più importanti che gli Usa dovranno affrontare sia in termini economici che di sicurezza nazionale”. I “nemici” da battere, inoltre, non sono più solo gli hackers, che attaccavano le reti informatiche per farsi pubblicità e farsi assumere in qualche importante azienda, ma le agenzie di intelligence straniere e i gruppi terroristici che, secondo il sottosegretario alla Difesa James Miller, sono responsabili della miriade di attacchi diretti quotidianamente verso i sistemi informatici americani. Emblematico, in questo senso, lo scontro tra Google e il governo di Pechino: la società americana ha deciso di dirottare le sue operazioni sui servers di Hong Kong come conseguenza di una serie di attacchi di cui è stata accusata la Cina e che avrebbero colpito una ventina tra le maggiori compagnie Usa. Un altro caso fu quello battezzato “Titan Rain”: nel 2003 le reti americane furono bersaglio di un attacco coordinato dietro cui si nascondevano hackers “pilotati” da Russia e Corea del Nord. E ancora a Mosca è stata addebitata la matrice di un attacco informatico all’Estonia nel 2007, definita “la seconda più grande operazione di guerra informatica mai condotta”. Un chiaro esempio di cyberwar: Stuxnet Un chiaro esempio di cyberwar, di guerra cibernetica, è senz’altro rappresentato da Stuxnet che merita una considerazione particolare. Stuxnet è il nome di un virus informatico, un worm particolare realizzato per attaccare i siti in cui si stanno sviluppando tecnologie per gli impianti nucleari iraniani. Questo worm, che è stato studiato per bloccare le centrali nucleari iraniane, si è rilevato molto più funzionale di un attacco effettuato dai bombardieri perché è già riuscito a bloccare, momentaneamente, queste centrali nucleari. Si tratta pertanto non solo di un mal3 “Trattiamo bene la terra su cui viviamo: essa non ci è stata donata dai nostri padri, ma ci è stata prestata dai nostri figli” è un proverbio che esprime bene la filosofia della Veroniki Holding, la quale si inserisce, innovandolo, nel lascito imprenditoriale, culturale ed etico di Giuseppe Costantino Dragan. È un lascito per il soddisfacimento del fabbisogno di energia, nel rispetto dell’ambiente, per una economia al servizio dell’uomo e per la promozione della sua cultura e dignità. Questo perché per noi la “cultura dell’energia” e “l’energia della cultura” non sono soltanto uno slogan, ma un principio e un criterio, al contempo, imprenditoriale ed etico: in pratica una filosofia di vita. 4 ware, ma di un vero e proprio attacco organizzato contro il programma nucleare iraniano. Il worm infetta le chiavette Usb, gli hard disks, ma è soprattutto progettato per instillare un vero e proprio rootkit nelle macchine di controllo dei processi industriali come quelle presenti nei comparti di produzione, nelle centrali energetiche/ atomiche o sulle catene di montaggio. Dotato di un meccanismo di comando e controllo centralizzato che può sopravvivere allo shutdown dei servers, Stuxnet è talmente complesso che security companies ed esperti indipendenti sono sostanzialmente unanimi nell’assegnarne la paternità a uno Stato organizzato dotato di fondi illimitati e forti motivazioni politicomilitari. L’obiettivo ultimo di Stuxnet appare il cyber-sabotaggio – suggerisce la security enterprise moscovita Kaspersky – un sabotaggio che potrebbe potenzialmente prendere la forma di turbine mandante fuori giri, o di esplosioni negli impianti industriali e malfunzionamenti più o meno disastrosi nelle centrali energetiche dotate di macchinari sviluppati dalla tedesca Siemens. La paternità generalmente accettata del codice di Stuxnet è di matrice israeliana, perché il Paese dove si è registrato il maggior numero di infezioni è proprio l’Iran. Il Mossad avrebbe, in sostanza, sviluppato il worm come un’arma “sporca” capace di sabotare il programma nucleare del Paese. L’agenzia di stampa ufficiale (controllata dallo Stato) ha confermato l’individuazione di 30 mila indirizzi IP infetti, ma in accordo con i responsabili della centrale nucleare di Bushehr (l’obiettivo finale di Stuxnet?) tende a sottostimare l’impatto dell’attacco e rassicura: non c’è stato nessun danno rilevante e i sistemi che gestiscono il reattore sono al sicuro. La “Primavera araba” e il potere della rete Un accenno conclusivo lo vorrei dedicare ancora agli eventi recenti che hanno caratterizzato il Nord Africa, che hanno preso il nome anche di “primavera araba”. Senza entrare nel merito dei singoli scenari, in Tunisia, Algeria, Egitto, Libia o Siria, vorrei ribadire, come ho anticiparo all’inizio del mio articolo, che la matrice comune di tutti questi eventi verificatisi in quei Paesi è sicuramente la rete. L’aspetto più inquietante è che questo aspetto è stato ripetutamente sottovalutato da molti governi, in varie parti del mondo, i quali non hanno capito l’importanza e la rilevanza della rete, non solo per la situazione locale, ma a livello globale. Attraverso la rete è possibile veramente coinvolgere masse, formare dei gruppi, avviare dei filoni di pensiero, istituire delle correnti che poi possono anche trasformarsi in eventi come quelli verificatisi nei Paesi arabi. Faccio alcuni esempi: “La prima rivoluzione di WikiLeaks” è il titolo che il “Daily Mail” usa per definire i tumulti ed i disordini che si sono abbattuti a partire dal dicembre del 2010 in Tunisia, causando la morte di civili e la fuga del presidente Ben Alì. Ad innescare la “bomba” della crisi istituzionale sarebbero stati i cablogrammi dell’Ambasciata Usa contenenti informazioni sul sistema di corruzione ed eccessi compiuti dalla famiglia presidenziale. Ancora una volta c’è di mezzo WikiLeaks che, rendendo noti i files in questione, ha scatenato un fenomeno ad effetto domino. Infatti, alla pubblicazione dei cablogrammi, è seguita un’ondata di manifestazioni di protesta contro il governo, diffuse su blogs e social networks. Risulta che risalga proprio al dicembre 2010 la pubblicazione dei cablogrammi dell’ambasciata Usa a Tunisi, rilasciati 5 dall’ambasciatore Robert Godec tempo prima (27 luglio 2009). Secondo quanto emerge dai documenti, il presidente Ben Alì e la sua famiglia sarebbero coinvolti in attività illecite. La famiglia del presidente viene infatti definita “un’élite mafiosa che gestisce l’economia tunisina”. Inoltre, lo stesso Godec denuncia che “La corruzione interna sta crescendo” ed aggiunge che “i cablogrammi sollevano il velo sulla corruzione dell’élite del Paese e malgrado vi sia stata a lungo un’opposizione al regime corrotto di Ben Ali, le proteste sono cresciute di intensità quando i cablogrammi dell’Ambasciata statunitense sono stati pubblicati da WikiLeaks”. Gli altri attori delle vicende in Tunisia sono bloggers ed hackers che hanno dato il loro contributo diffondendo immagini, notizie, posts, foto e video attraverso i social networks. Ciò ha scatenato un’immediata reazione da parte delle istituzioni che, temendo l’aggravarsi dei disordini, hanno attuato un piano di censura. Il “sistema Ammar”, questo il nome in codice dato all’operazione del Ministero degli Interni, ha impedito di scaricare foto o video e di pubblicarli e condividerli sulle piattaforme Internet. Tale provvedimento non sembra aver intimorito gli attivisti del web. Il blog collettivo dissidente nawaat.org, ha infatti messo on line un video intitolato “morti e feriti all`ospedale di Thala” e un audio in cui si ascolterebbe il momento dell`arresto del blogger Hamadi Kaloutcha, prelevato dalla sua abitazione, da poliziotti in borghese. Nella stessa direzione si muove Anonymous, un gruppo di attivisti digitali “hacktivist” diffuso in molti Paesi del mondo. Esso ha lanciato, attraverso un video su YouTube, l’operazione Tunisia contro la censura ed in favore del libero accesso alle informazioni. Dal canto loro, Google e Twitter hanno consentito di spezzare la “cyber-censura” 6 dell’Egitto. Google ha annunciato, attraverso il suo blog ufficiale, di aver attivato, con la collaborazione di Twitter, un servizio che consente di postare tweets a tutti coloro che si trovano in Egitto, scavalcando di fatto il blocco della rete imposto dal regime. Nello specifico, chiunque risieda nel Paese arabo potrà digitare un numero telefonico speciale e lasciare un messaggio vocale, il quale verrà trasformato in file audio e in seguito pubblicato sul famoso sito di microblogging, usando il tag #egypt. I numeri di telefono internazionali messi a disposizione da Google sono tre e uno è italiano: 06-62207294. Google si è dimostrato molto attento alla crisi che è scoppiata nel Paese arabo e ha dichiarato che “come molte persone siamo incollati alle notizie che arrivano dall’Egitto e pensiamo che questo è ciò che possiamo fare per aiutare la gente sul posto”. Il fattore comune a tutti i moti di rivolta recentemente verificatisi nei Paesi arabi è l’utilizzo di Internet (soprattutto social networks) per la comunicazione e la diffusione di informazioni e il coordinamento delle proteste. Vorrei segnalare un testo particolarmente interessante che tratta proprio di cyber-criminalità, di criminalità informatica, ma legata ad ambienti di criminalità organizzata. Si tratta di un libro di Kevin Poulsen, Kingpin. How One Hacker Took Over the Billion-Dollar Cybercrime Underground, New York, Crown Publisher, 2011. Attraverso una storia di un crimine informatico, il volume mette a nudo i meccanismi di un’ondata di criminalità, ancora silenziosa, ma che affligge milioni di americani e non solo. Nel volume si descrive una nuova generazione di hackers che, per fini di lucro, ha attivato una rete criminale che attualmente si estende da Seattle a San Pietroburgo a Shanghai. Vengono altresì descritte dettagliatamente tutte le tipologie di frodi telematiche: dalla produzione di carte di credito ad assegni contraffatti, all’attivazione di conti bancari falsi, dagli hack-browser exploits agli attacchi di phishing, cavalli di Troia, e molto di più. Viene inoltre evidenziata la crescente difficoltà delle Forze dell’ordine dei maggiori Paesi più informatizzati di contrastare il fenomeno della cybercriminalità. Qui ne faccio solo accenno, ma rimando e segnalo il libro per chi volesse approfondire questo fondamentale argomento, la cui importanza è destinata a diventare via via maggiore. 7 La botte della Danaidi (Roma, Aracne ed., 2013) è l’ultimo volume del Ministro Plenipotenziario Giorgio Bosco, ove narra 43 anni di carriera diplomatica svolta in varie sedi di cinque continenti 8 Il caso emblematico di Iqbal Masih Trent’anni fa nasceva un bambino destinato a diventare un’icona mondiale della lotta contro la schiavitù del lavoro minorile Laura Baldassarre Responsabile dei programmi per i Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’UNICEF Italia “Nessun bambino dovrebbe mai essere costretto ad impugnare uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite”. Se Iqbal Masih fosse ancora vivo oggi avrebbe 30 anni. Iqbal Masih era infatti nato nel 1983 e oggi avrebbe potuto essere un giovane uomo se la sua vita non fosse stata volutamente spezzata quando era solo un dodicenne. Iqbal Masih (o Mashi, nato a Muridke nel 1983 e ucciso a Lahore il 16 aprile 1995) era un bambino lavoratore, vittima di sfruttamento, diventato simbolo della lotta contro il lavoro infantile nell’industria tessile del tappeto in Pakistan. Iqbal Masih fu costretto a lavorare già a cinque anni in condizioni di schiavitù, dopo essere stato praticamente venduto dal padre che aveva contratto dei debiti. Iqbal era costretto a lavorare letteralmente incatenato ad un telaio, per circa 14 ore Iqbal Masih al giorno, al salario di una rupia al giorno, l’equivalente di tre centesimi di euro attuali. Il direttore della fabbrica, se non era soddisfatto del lavoro, lo puniva gettandolo in una sorta di pozzo nero quasi senza aria, che Iqbal chiamava “la tomba”. Un giorno, nel 1992, uscì di nascosto dalla fabbrica-prigione e partecipò, insieme ad altri bambini, ad una manifestazione del Fronte di Liberazione dal Lavoro Schiavizzato (in inglese Bonded Labour Liberation Front - Bllf). In quella manifestazione, che celebrava la “Giornata della Libertà”, Iqbal decise spontaneamente di raccontare la sua storia e la condizione di sofferenza degli altri bambini nella fabbrica di tappeti in cui lavorava. 9 Gli avvocati del Bonded Labour Liberation Front contribuirono a liberarlo dal lavoro minorile e il segretario del Bllf, Eshan Ullah Khan, che un giorno aveva trovato il bambino rinchiuso nella cavità sotterranea e per questo era intervenuto, lo indirizzò allo studio e all’attività in difesa dei diritti dei bambini. Dal 1993 Iqbal iniziò a svolgere, con il Bllf, una serie di conferenze internazionali sensibilizzando l’opinione pubblica mondiale sui diritti negati ai bambini nel suo Paese e contribuendo al dibattito sulla schiavitù mondiale e sui diritti dell’infanzia. In una conferenza, a Stoccolma, Iqbal affermò: “Nessun bambino dovrebbe mai essere costretto ad impugnare uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite”. Ricevette una borsa di studio dall’Università Brandeis di Waltham, negli Stati Uniti, ma la rifiutò: aveva deciso di rimanere in Pakistan nella speranza di aiutare ancora i bambini del suo Paese e rendere utile la propria esperienza. Continuò quindi a sfidare le continue intimidazioni dei fabbricanti di tappeti, che vedevano in lui una minaccia. Nel gennaio del 1995, partecipò a Lahore ad una conferenza contro la schiavitù dei bambini. Grazie a lui, circa 3 mila piccoli schiavi poterono uscire dal loro inferno: infatti, sotto la pressione internazionale, il governo pakistano chiuse decine di fabbriche di tappeti. A causa del duro lavoro, delle condizioni inumane e dell’insufficienza di cibo, Iqbal non era cresciuto correttamente: all’età di dieci anni aveva già il volto di un vecchio e le mani rovinate per il lavoro ininterrotto cominciato dall’infanzia; a 12 anni pesava ed era alto come un bambino di sei. Il 16 aprile del 1995, il giorno di Pasqua, Iqbal Masih venne assassinato a colpi di arma da fuoco sparati da un’auto in fuga 10 mentre, nella sua città natale Muridke, nella zona di Chapa Kana, vicino a Lahore, si stava recando in bicicletta in chiesa (era cattolico caldeo). Al momento dell’uccisione aveva 12 anni. Il processo che vide imputati gli esecutori materiali dell’omicidio non chiarì del tutto i dettagli della vicenda, sebbene apparve certo che il suo assassinio fosse opera di sicari della locale “mafia dei tappeti”. La sua morte ebbe una forte eco in tutto il mondo. Nel 1998 la regista Cinzia Torrini realizzò il film Iqbal, girandolo in Marocco e Sri Lanka, nel 2001 Francesco D’Adamo si ispirò alla vicenda del piccolo pakistano per scrivere il romanzo Storia di Iqbal, nel 2006 Andrew Crofts scrive la storia di Iqbal nel libro Il fabbricante di sogni. Iqbal Masih ricevette importanti riconoscimenti per la sua attività di sensibilizzazione al problema del lavoro infantile. Nel 1994 fu premiato con il Reebok Human Rights Award, nel 2000 fu il primo a ricevere anche alla memoria il premio The World’s Children’s Prize, premio per i diritti dei bambini. Numerose sono le scuole intitolate a suo nome in Italia e nel mondo. Nel novembre 2007 gli è stato intitolato il parco di via Gaffaree a San Stino di Livenza. All’entrata del parco è stato collocato un totem dove campeggia l’immagine di Iqbal e la lettera scritta ai suoi genitori, diventata il suo testamento spirituale. Anche a Campi Bisenzio esiste un parco intitolato a Iqbal. Inaugurato nel luglio del 2000, occupa 17 mila metri quadrati ed è sede nel corso di tutto l’anno di manifestazioni ed attività ludico-didattiche per l’infanzia. A Porto Sant’Elpidio il Comune, che organizza il Festival del Teatro per Ragazzi “I teatri del Mondo”, ha istituito nel 2002 un premio alla memoria di Iqbal Masih, il “Premio Città di Porto Sant’Elpidio Infanzia e solidarietà globale: Iqbal Masih”. Questo bambino pakistano, praticamente venduto dal padre all’età di cinque anni, è quindi diventato, attraverso l’associazione Bonded Labour Liberation Front, un simbolo di liberazione dalla schiavitù dello sfruttamento infantile. Egli è stato in grado di dimostrare agli altri ragazzini la possibilità di uscire da processi di sfruttamento che sconfinano con la schiavitù e di dimostrare, a tutti noi, quale può essere il nostro ruolo nel sostenere le organizzazioni che, a diverso titolo, lavorano per contrastare questo tipo di fenomeni. Questo ragazzino è stato ucciso da una vera e propria organizzazione criminale che trae profitto dallo sfruttamento del lavoro minorile, dalla cosiddetta mafia dei tappeti. E se la mafia dell’industria dei tappeti l’ha assassinato è perché sapeva che lui stava andando nella direzione giusta. Filmografia e Bibliografia dei testi citati - Iqbal, Regia di Cinzia Th Torrini, 1998. - Francesco D’Adamo, Storia di Iqbal, S. Dorligo della Valle, EL, 2001, poi Firenze, F. Le Monnier, 2002; Einaudi Ragazzi, 2008; Mondadori education-Salani narrativa, 2009. - Andrew Crofts, Il fabbricante di sogni, Milano, Piemme, 2009. 11 Per orientarmi in quel vasto “deposito di merci” che era l’Italia, ero obbligato a viaggiare, a leggere, a documentarmi senza posa, e ad ascoltare centinaia di lezioni riguardanti la magnificenza o la decadenza dei prodotti sul mercato interno ed internazionale. P our m’orienter dans ce vaste “dépôt de marchandises” qui était l’Italie, j’étais obligé de voyager, de lire, de me documenter sans cesse et d’écouter des centaines de leçons sur la valeur ou la dépréciation des produits sur le marché interne et international. To get my bearings in the huge “goods warehouse” that Italy was then, I had to travel, read, gather continuous information and listen to hundreds of lessons on how great or bad goods were on both the national and international markets. Pentru a mă orienta in acel vast “depozit de mărfuri” care era Italia, eram obligat să călătoresc, să citesc, să mă documentez neintrerupt şi să ascult sute de lecţii privind valoarea sau deprecierea produselor pe piaţa internă şi internaţională. Tratto dal volume: Iosif Constantin Dragan, Călătorie În timp, Viaggio nel tempo, Journey through time, Milano, 2008. 12 Giuseppe Costantino Dragan in età giovanile 13 Difficoltà di jointness e lacune nella riforma del sistema di intelligence degli Stati Uniti A 12 anni dall’attacco alle Torri Gemelle a che punto siamo nel coordinamento degli apparati di sicurezza contro il terrorismo internazionale? Stefano Silvresti Presidente IAI A 12 anni dall’attacco alle Torri Gemelle e dopo l’ultimo e discusso attentato alla maratona di Boston a che punto siamo nel coordinamento degli apparati di sicurezza negli Usa contro il terrorismo internazionale? La rispopsta è che la jointness delle Forze armate americane è ancora piuttosto limitata. Per fare un paragone, pur con ordini di grandezze molto differenti, si può dire che è inferiore a quella che esiste in Italia. Il capo di Stato Maggiore americano ha poteri inferiori a quelli del capo di Stato Maggiore della Difesa italiano nei confronti delle singole Forze armate e in Italia non è che il capo di Stato Maggiore italiano abbia poteri eccezionali, però alcuni ce li ha. Vi è una giustificazione operativa. È evidente che questi servizi dovrebbero avere una funzione più tattico-operativa che una funzione strategica in senso generale, salvo forse per quel che riguarda il monitoraggio dell’evoluzione tecnologica e delle dottrine, però per il resto dovrebbero avere essenzialmente una funzione tattica e quella è più strettamente legata alle ca14 ratteristiche operative delle singole Forze armate. Indubbiamente, sarebbe possibile mettere tutto questo assieme, tanto più adesso che parliamo sempre più di missioni integrate, di gestione del campo di battaglia unificato, pluridimensionale e così via. Ma tra le parole e i fatti ho l’impressione che ci passi ancora una forte gelosia dei singoli servizi, i quali hanno tutti una lunga storia di tradimenti dal servizio confratello nei loro confronti. È la vecchia storia dei Marines americani che sostenevano che il loro maggior nemico era l’aeronautica statunitense, che regolarmente li bombardava molto più di quanto non facessero le aeronautiche nemiche. Vi è un elemento di sfiducia reciproca che rende tutta la situazione molto più complessa di quanto già non sia. A mio avviso, non si è avuto molto coraggio nella riforma dei servizi americani. Se si avesse avuto coraggio si sarebbe potenziato il ruolo della Cia, non diminuito. Si sarebbe dovuto fare in modo che la Cia assorbisse buona parte delle altre agenzie e diventasse così la vera agenzia naziona- le di riferimento. Poi ci sarebbero state o sarebbero rimaste altre agenzie specializzate, ma che avrebbero tutte fatto riferimento alla Cia. Questo non è avvenuto, sia perché esistevano fortissime resistenze dei vari dicasteri, sia perché la Cia aveva una cattiva stampa. Dare tutti i poteri alla Cia dava l’impressione di creare una sorta di Grande Fratello, che poi avrebbe controllato tutti gli altri. E quindi nell’incertezza su chi fa cosa, chi è deviato di più o di meno, chi dà le effettive informazioni e chi non le dà, come al solito la classe politica ha preferito il divide et impera alla centraliz- zazione. Perché se io ho più punti di riferimento, ho più facilità di pensare che ognuno spia anche l’altro e quindi io, in qualche maniera, posso avere informazioni che altrimenti non avrei mai. Quindi posso avere una capacità di intervento, di controllo, di influenza, superiore. E questo a mio avviso ha spiegato le mancanze della riforma. Per quanto la riforma abbia creato il nuovo ufficio del direttore nazionale dell’intelligence, in realtà poi non lo si è dotato delle necessarie capacità operative e tecniche, quindi il suo funzionamento è sostanzialmente dipendente dalla buona volontà dei vari attori. 15 Il rapporto uomo-donna: a che punto siamo oggi Dopo i ripetuti casi di “femminicidio” è opportuno interrogarsi sui rapporti di genere Giuseppe Dal Ferro Il rapporto uomo-donna: a che punto siamo oggi Uomini e donne camminano a fianco nella vita quotidiana e, nei Paesi democratici, godono di libertà ed uguaglianza. Le donne negli ultimi decenni hanno ottenuto forme di emancipazione significative, anche se permane radicata ancora la differenziazione nella cultura e in molte istituzioni sociali, che favoriscono la predominanza maschile. Le relazioni fra uomini e donne si intrecciano in forme di collaborazione serena, talvolta in rapporti di conflittualità e di accomodamento: si istaura frequentemente una “cooperazione conflittuale” come scrive Amartya Sen o una “orchestrazione” come propone Erving Goffman1. Più drammatici sono gli epigoni estremi del conflitto, nei quali è la donna che soccombe. Essi si consumano, non di rado, nella violenza o in forme di strumentalizzazione in cui la donna consenziente diventa oggetto. Ci proponiamo, in una serie di interventi, di approfondire il problema utilizzando la categoria di “genere”, con tutti i suoi limiti e le sue utilità. 16 Partiamo dalla situazione che vede la sopravvivenza dell’antica idea di “patriarcato”, ossia di dominio dell’uomo sulla donna, per ripercorrere sommariamente lo sviluppo del pensiero femminista ed affrontare il nodo del problema rappresentato dal concetto di “genere”. In precedenza su queste stesse colonne abbiamo visto la donna nelle concezioni tradizionali delle religioni ed infine alcuni orientamenti formativi finalizzati a modificare la cultura e i modelli di vita presenti nella nostra società. La concezione della presunta inferiorità femminile nella storia La donna da sempre soffre di una posizione di inferiorità rispetto all’uomo. Per questo i diversi movimenti di emancipazione dell’ultimo secolo partono dal presupposto di superare la condizione sociale di “patriarcato”, in forza dei diritti umani che non tollerano alcuna discriminazione di razza, colore, sesso, lingua e religione2. Non-discriminazione significa rispetto della personalità, significa uguaglianza di opportunità, significa accettazione delle diversità3. Le donne invece nella storia “hanno sempre fatto quello che gli uomini non ritenevano degno di loro e di cui si disinteressavano, cioè hanno lavorato, quando lavorare era indice di inferiorità, e ceduto il posto agli uomini man mano che questo diventava ambìto e rispettato”4. Compito della donna era soprattutto la riproduzione della specie, di cui l’uomo si serviva. Alcuni studiosi si sono chiesti quale sia l’origine storica del “patriarcato” che, tranne alcuni casi, ha dominato il passato. Tentativi di spiegazione: teorie antropologiche, sociologiche e femministe Come mai le diversità esteriori di conformazione corporea hanno generato l’esercizio del potere dell’uomo sulla donna? L’antropologo Martin Harris a risalire alla guerra la discriminazione la quale richiedeva una diversa socializzazione dell’uomo5. Altri autori si rifanno al rapporto sessuale visto come forma di violenza da parte dell’uomo: l’uomo “possiede” la donna e, di conseguenza, ricerca, con suo godimento, la oggettivazione di essa6. L’ipotesi più organica è che l’origine e lo sviluppo del patriarcato ruotino attorno alla delicata questione della riproduzione, momento in cui donne e uomini si ritrovano ad entrare necessariamente in rapporto, in una assimetria del loro apporto alla specie 7. La mitologia greca registra i passaggi del processo che portò allo stabilirsi dell’ordine patriarcale8. Al di là dell’origine del concetto di patriarcato, perché si è conservato nel tempo tale sopraffazione? La teoria femminista introduce qui il concetto di “contratto sessuale”9, assai diverso dal “contratto sociale”, il quale non è conseguenza di un atto libero, essendo i contraenti in posizione diseguale: la servitù della donna è ricambiata dall’uomo con la protezione. Le donne perdono così il controllo di se stesse e la libertà in forza della presunta protezione maschile. Forme attuali di violenza e di controllo sulle donne Oggi indubbiamente la donna in Occidente non è più oggetto di scambio, anche se non mancano forme di vera e propria violenza fisica sulle donne10. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la prima causa di uccisione delle donne tra i 16 e i 44 anni nel mondo e in Europa è l’omicidio perpetrato da persone conosciute. Nel nostro Paese non trascorre settimana senza che i mass-media diano notizie di donne assassinate da congiunti o nell’ambito familiare. Dall’inizio del 2012 al novembre dello stesso anno, 73 risultano essere le vittime. Nel 2011 le donne assassinate in Italia sono state 120 (58 al Nord, 21 al Centro, 30 al Sud e 11 nelle isole). Nel 2010 se ne sono contate 127 e 119 nel 2009. Nel 2008 sono state 112 e 107 nel 2007. In media, dunque, più di due femminicidi alla settimana. Scorrendo le storie delle donne assassinate c’è proprio da rimanere sbigottiti, anche solo nel prendere atto delle modalità con le quali il delitto è stato perpetrato: accoltellata, strangolata, soffocata, uccisa a pugni, picchiata a morte, bruciata viva, sgozzata, buttata dal balcone, presa a martellate, colpita con un’arma da fuoco ecc. I nomi, le età, le città cambiano. Le storie invece si ripetono: per lo più, sono proprio gli uomini più vicini alle donne a ucciderle. Al di là dei casi di femminicidio, va detto che certi “modelli corporali” (e quindi di violenza) continuamente si trasmettono 17 tramite i mezzi di comunicazione, la pubblicità, il cinema, la musica, la pornografia11. Le conseguenze sono drammatiche sulle donne fragili e insicure. L’esasperazione del mito della bellezza è divenuto uno degli strumenti più attuali di controllo sulle donne; una sorta di reazione contro la libertà sessuale e la riappropriazione del corpo raggiunta dalle donne dopo secoli. Il concetto di patriarcato ha generato la divisione fra sfera pubblica e sfera privata, la prima riservata agli uomini, la seconda alle donne12. Una dicotomia radicata è quella che assegna agli uomini la razionalità, l’attività politica e i saperi, alle donne il sentimento, l’attività domestica, l’educazione dei figli, la cura della casa. Anche quando la donna entra nel lavoro o nella sfera pubblica non viene meno tale pregiudizio, che si traduce nella minore retribuzione, nella distribuzione degli incarichi, nel doppio lavoro richiesto alla donna13. Nella lavoratrice permane l’accettazione della ineguaglianza, con la giustificazione di aver scelto liberamente quella carriera o di far piacere all’altro al meglio delle proprie capacità, anche se con la consapevolezza della violazione del diritto e con un senso di tristezza, delusione, offesa morale14. Dimensione del pubblico e del privato Da tale situazione nasce uno dei temi più cari al femminismo: superare a distinzione pubblico e privato considerando complementari “l’etica della giustizia” e “l’etica della cura”, non potendosi reggere il pubblico sul disprezzo del privato. Se nel privato ci vuole un senso della giustizia prima valido solo nella sfera pubblica, nel pubblico compare un’etica della 18 cura tipica del privato15. Di riflesso è maturata una certa considerazione del femminile e dell’educazione delle bambine. L’identificazione del corpo della donna con la riproduzione ha portato a far coincidere la donna con la sua sessualità16. Si prova ribrezzo per il sangue e si parla di emanazioni pericolose durante la gravidanza. La puerpera deve rimanere in casa altrimenti “contamina gli altri”. Eventuali donne morte di parto sono state sepolte in un angolo del cimitero o addirittura fuori dalle mura17. Tale visione della donna radica l’idea della sua fragilità, della sua debolezza e del suo bisogno di protezione. Ad essa non può essere riconosciuto il potere perché possibile portatrice di male, rappresentandone sessualmente un pericolo18. L’uomo e i suoi interessi-valori diventano l’archetipo umano e la donna un essere privo di qualcosa. Jean-Jacques Rousseau scriveva: “non v’è alcuna parità tra i sessi quanto alle conseguenze derivanti dalla loro diversità. Il maschio è maschio solo in determinati momenti, la femmina è femmina per tutta la vita, o almeno per tutta la giovinezza”19. Nasce così la doverosa vocazione delle donne al privato e le loro doti specifiche sono ritenute di minor valore rispetto a quelle dell’uomo. Per Immanuel Kant le donne hanno una maggior dose di sentimento, di compassione, di bontà e la tendenza ad anteporre il bello all’utile20. Fin da bambina la donna è allora educata al suo ruolo: non è per lei la scuola, avendo come mèta una vita a servizio dell’uomo, cioè non essendo autonoma. L’assorbimento dei modelli femminili avviene così fin dalla primissima infanzia. Nel celebre libro Dalla parte delle bambine, Elena Giannini Belotti fa osservare che non occorre risalire a istintualità naturali per spiegare il comportamento femminile: “La bambina che a quattro anni contempla estatica la propria immagine allo specchio – scrive l’autrice – è già condizionata a questa contemplazione dai quattro anni precedenti, più nove mesi in cui è stata attesa [...] e dai piccoli gesti quotidiani che ci sono tanto abituali da passare inosservati”21. Si può concludere con l’antropologa Margaret Mead, che ritiene le bambine vittime di un condizionamento negativo in funzione del loro sesso: “tutte le discussioni sullo stato delle donne, sul carattere, il temperamento, sulla sottomissione e l’emancipazione delle donne fanno perdere di vista il fatto fondamentale e cioè che le parti dei due sessi sono concepite secondo la trama culturale che sta alla base dei rapporti umani e che il bambino che cresce è modellato altrettanto inesorabilmente come la bambina secondo un canone particolare e ben definito”22. Ciò che maggiormente viene a pesare sulla condizione femminile è il pregiudizio sulla sua intelligenza, definita da Giulio Preti “pre-logica”23. La donna finisce per interiorizzare tali stereotipi, a considerarsi inferiore e ad affidarsi alla protezione maschile. I movimenti femminili ritengono di conseguenza necessario che le donne ritrovino l’autostima e una identità personale, distinta dal corpo e dal sesso, per una autentica emancipazione e liberazione. Purtroppo il percorso intrapreso talvolta dal femminismo ha portato ad una sospensione nel vuoto, conseguente a scelte personali estranee alla realtà oggettiva e quindi causa di disorientamento24 (continua). 1 Cit. in Sassatelli R., Presentazione. Uno sguardo di genere, in Connell R., Questioni di genere, il Mulino, Bologna, 2011, p. 11. 2 Cfr. Pibia S., Itinerari del femminismo filosofico. Il dibattito spagnolo ed oltre, Tesi di laurea in Filosofia e Storia delle idee filosofiche, Università di Cagliari, A.A. 2006-2007, pp. 31 seg. 3 Cerne M., I diritti della donna nei documenti internazionali, in Concetti G. (ed.), I diritti umani. Dottrina e prassi, AVE, Roma, 1982, p. 346. 4 Cocever E. - Gresleri M.G., Donna: destino o costruzione sociale, in “Regno – attualità”, a. XIX (1974), n. 281 (n. 4), p. 105. 5 Cfr. Harris M., Personalità e sesso, in Harris M. (ed.), Antropologia culturale, Zanichelli, Bologna, 1990. 6 Cfr. Galeotti A. E., Teorie politiche femministe , in Maffettone S. - Veca S. (eds.), Manuale di filosofia politica, Donzelli, Roma, 1996. 7 Cfr. Boccia M.L. - Zuffa G., L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche, fantasie e norme, Pratiche, Laris (Trento), 1998, pp. 8889; 163 sg. 8 Dagli studi di mitologia si evince che gli uomini hanno tentato di annichilire totalmente la concezione della creazione da parte della donna. Inizialmente si credeva che la Grande Dea avesse fatto tutto (e da sola); col tempo la si vede invece affiancarsi ad uno sposo fecondan19 te. L’ultimo passo sarà quello che vedrà il mondo come opera dell’unico. potere di una divinità maschile (Pibia S., Itinerari del femminismo filosofico, Il dibattito spagnolo ed oltre, cit., p. 35) . 9 Cfr. Rateman C., Il contratto sessuale, in Biasimi C. (ed.), Editori riuniti, Roma, 1997. 10 Lebra A., Femminicidio, questione maschile e Chiesa, in “Settimana”, 2 settembre 2012, n. 31, p. 2. 11 Cfr. Viscidi F., Modelli femminili della cultura di massa, in AA.VV., Donna e società, Rezzara, Vicenza, 1976, pp. 130-l40. 12 Cfr. Cavarero A., Il pensiero femminista. Un approccio teoretico, in Restaino F. - Cavarero A. (eds.), Le filosofie femministe, Paravia Scriptorium, Torino, 1999, pp. 115-116. 13 Cfr. ivi, pp. 126-127. 14 Cfr. Major B., Il genere, i diritti e la distribuzione del lavoro in genere, in Stella P. - Saraceno C. (eds.), La costruzione sociale del femminile e del maschile, Il Mulino, Bologna, 1996. 15 Cfr. Kymlicka W., Il femminismo, in Introduzione alla filosofia politica contemporanea, Feltrinelli, Milano, 1996. 16 Cfr. Stuart Mill, La soggezione delle donne, Partisan, Roma, 1971, p. 47. 17 Cfr. Shorter E., Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano, 1984, p. 339. 18 Cfr. ivi, p. 335. 19 Rousseau J.J., Emilio (1762), ed. it., Armando, Roma, 1981, p. 544. 20 20 Cit. Pibia S., Itinerari del femminismo filosofico. Il dibattito spagnolo ed oltre, cit., p. 56. 21 Giannini Belotti E., Dalla parte delle bambine. L’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita, Feltrinelli, Milano, 197720, pp. 6-7. Sono molto significative alcune pagine del volume, del quale ci limitiamo a riferire soltanto un passo: “II quotidiano ‘II Giorno’ ha pubblicato un’inchiesta sui libri di testo in uso nelle nostre scuole elementari e sul modo in cui viene presentata la figura femminile e maschile. [...]. Nei libri di testo esaminati, la famiglia tipo segue certi schemi: padre, madre, due bambini dei quali il maggiore è sempre un maschio [...]. Se due bambini giocano, il maschio sta sdraiato per terra, le scarpe buttate una qua e una là, le maniche rimboccate, un berretto ribaldamente piantato in testa, decisamente a suo agio tra le costruzioni, un pallone, un grosso camion; la bambina non partecipa a questi giochi eccitanti, si apparta composta, ben pettinata, irreprensibile, con la sua eterna bambola tra le braccia. Evidentemente medita sul suo futuro di moglie e di madre” (ivi, pp. 108-109). 22 Mead M., Sesso e temperamento, Il Saggiatore, Milano, 1967, p. 22. 23 Cfr. Preti G., Retorica e logica, Einaudi, Torino, 1968, p. 12. 24 Cfr. Libreria delle Donne di Milano, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg e Seller, Torino, 1987, pp. 156 sg. Per una migliore qualità della vita Al via, nel “cuore” di Milano, il nuovo Anno Accademico della Dragan University Golden Age Guido Ravasi La Dragan University Golden Age è ormai da venticinque anni una rinomata Università per persone adulte che si è saldamente installata nel “cuore” di Milano. E “cuore” sta ad indicare non soltanto l’ubicazione centrale e facilmente raggiungibile della Dragan University (in Via Larga 11, quasi di fronte agli uffici comunali) ma anche e soprattutto l’apprezzamento e l’affetto suscitato nelle persone che hanno avuto l’opportunità di conoscerla e di frequentarla. La Dragan University riapre i suoi corsi per l’anno 2013-2014 (le iscrizioni sono già in fase avanzata), con diverse novità e forte della sua struttura di docenti autorevoli in grado di suscitare passione per aspetti diversi della cultura, ma anche di fornire ai partecipanti gli strumenti per attivare potenzialità inespresse, utilizzare al meglio il proprio tempo e innalzare la qualità della propria vita. Il fondatore – il dott. Giuseppe Costantino Dragan, imprenditore internazionale e uomo di cultura – ha sempre tenuto fer- mo il principio dell’educazione permanente estesa per tutto l’arco della vita, in modo tale da poter cogliere la possibilità di sentirsi sempre protagonisti e partecipi in un mondo in continuo cambiamento. Tutto questo assume oggi ancora maggiore importanza: in un tempo di incertezza diffusa è più che mai opportuno investire su se stessi e sulle proprie risorse, per liberare energie e per vivere meglio o anche per trascorrere insieme il proprio tempo in modo appassionante e intelligente. Nelle pagine seguenti riportiamo un elenco sommario dei corsi principali attivati per l’anno accademico 2013-14, ma per ogni chiarimento e dettaglio si può contattare la segreteria o visitare il sito Internet www.fondazionedragan.org nella sezione appositamante dedicata. Per informazioni e iscrizioni: Dragan University Golden Age. Milano - Via Larga, 11 – Orario della Segreteria: da lunedì a venerdì ore 9.30-12.00 / 14.3017.30. Tel. 02.58.37.12.38/48 - E-mail: [email protected] 21 ELENCO DEI CORSI Anno Accademico 2013/14 CORSI AD INDIRIZZO UMANISTICO E LETTERARIO - Classici della lettura italiana - Filosofia - Letteratura Greca - Letteratura Italiana - Letteratura Tedesca* - Protagonisti del Pensiero occidentale* - Storia della Letteratura milanese CORSI DI STORIA DELLE CIVILTÀ - Geografia - Storia contemporanea - Storia delle Religioni - Storia di Milano 22 CORSI AD INDIRIZZO SCIENTIFICO - Psicologia Analitica - Psicologia Cognitiva - Psicologia Dinamica* - Scienze Naturali* - Grafologia - Medicina CORSI AD INDIRIZZO ARTISTICO - Architettura dei Giardini e del Paesaggio - Arte Contemporanea* - Arte del Medioevo in Europa - Cinema - Come si guarda un'opera d’arte - Comporre il giardino con le piante* - Storia del Balletto - Storia dell’Arte - Storia della Musica CORSI DI LINGUE - Lingua Inglese: livelli elementary, pre-intermediate e intermediate - Lingua Spagnola - Lingua Tedesca - Conversazione Inglese CORSI PRATICI - Biodanza - Ginnastica Dolce - Recitazione - Yoga Pratico - Balli di gruppo Il Bulletin européen è una tribuna libera fondata nel 1950 da J. Constantin Dragan per lo sviluppo del dibattito sull’Europa. Le opinioni, liberamente espresse dagli autori, non necessariamente corrispondono a quelle del giornale. Bulletin européen Tribuna libera per l’Europa fondata nel marzo del 1950 da Giuseppe Costantino Dragan ISSN 2283-3013 già 0407-8438 (cartaceo) Direttore Responsabile: Guido Ravasi Direzione e Redazione: Via Larga 9/11 - 20122 Milano Tel. 02 58371405 - Fax 02 58304790 e-mail: [email protected] Registrazione Tribunale Milano n. 390 del 3-6-1998 Chiuso in redazione: 27 settembre 2013 ... si la Communauté économique européenne est la base de l’unification de l’Europe, la Communauté culturelle en permettra sa réalisation durable. SOMMARIO Antonio Teti: Opportunità e pericoli della rete. Dagli effetti di psicologia di massa alle rilevanze geopolitiche e di sicurezza nazionale............................. 1 Laura Baldassare: Il caso emblematico di Iqbal Masih................................... 9 Stefano Silvestri: Difficoltà di jointness e lacune nella riforma del sistema di intelligence degli Stati Uniti........................................................ 14 Giuseppe Dal Ferro: Il rapporto uomo-donna: a che punto siamo oggi.......... 16 Guido Ravasi: Per una migliore qualità della vita ......................................... 21