Bulletin européen Ottobre 2013 it (761) r

Transcript

Bulletin européen Ottobre 2013 it (761) r
ED. ITALIANA ISSN 2283-3013
OTTOBRE 2013 ANNO 64 n. 761
TRIBUNA LIBERA FONDATA NEL 1950 DA J. CONSTANTIN DRAGAN
Opportunità e pericoli della rete
Dagli effetti di psicologia di massa
alle rilevanze geopolitiche e di sicurezza nazionale
prof. Antonio Teti
Università degli Studi “G. D’Annunzio”
di Chieti e Pescara
Il comune denominatore
degli eventi che sconvolgono i Paesi
arabi del Mediterraneo
Nel cyber-spazio la mente dell’uomo è
una componente di un sistema pensante
virtuale.
Si provi ad immaginare quello che può
produrre il pensiero di una serie di persone, concentrati in un cyber-spazio. Se
vogliamo la risposta a questa domanda è
possibile darla anche citando i recenti episodi che hanno colpito e che sono ancora in
corso nei Paesi arabi che si affacciano sul
Mediterraneo, a partire dall’Algeria, Tunisia, Egitto ecc.
Un gruppo di persone che opera in rete
può creare un movimento. Può attivare un
pensiero, un moto, che poi può trasformarsi da un movimento virtuale in un movimento reale.
C’è un comune denominatore in tutti gli
eventi che da qualche tempo stanno sconvolgendo i Paesi arabi che si affacciano nel
Mediterraneo.
Il comune denominatore di questi eventi, di queste insurrezioni, in alcuni casi
vere e proprie guerre civili, è proprio la
rete.
Questo nuovo termine, la cyber-psicologia deriva proprio dallo cyber-spazio.
Focalizza la sua attenzione sulla psiche
dell’uomo, sulle modificazioni comportamentali prodotte dall’utilizzo di Internet.
C’è un aspetto anche sulle modificazioni
comportamentali.
Al “Policlinico Gemelli” di Roma è stato
attivato proprio un reparto dove si cura la
retomania o, in altri termini, la dipendenza dalla rete. È una patologia vera e propria. E sembra che in questo centro ricevano dalle 30-40 chiamate al giorno. Hanno
addirittura identificato diverse tipologie
di patologie.
Dall’utilizzo dei giochi in rete al sesso
virtuale. Sono quattro o cinque le patologie
verificate in questo contesto.
La rete può condizionare enormemente
la psicologia umana.
La rete come strumento di attacco
Barack Obama è molto sensibile a questi aspetti, anche per l’uso della rete da parete dei terroristi.
Il presidente degli Stati Uniti è ben consapevole del fatto che bisogna in qualche
modo cominciare a mettere degli accertamenti in rete, non certo per controllare
Internet, anche perché si sono resi conto
che è impossibile farlo, ma almeno cominciare a progettare e realizzare un sistema
di reale protezione dei propri sistemi informativi.
Se venissero attaccati alcuni sistemi
informativi nevralgici a cui si affida l’intero Paese – mi riferisco agli Stati Uniti ma
lo stesso discorso vale per altri Paesi del
mondo – si potrebbero creare delle conseguenze imprevedibili.
I siti nevralgici potrebbero essere, per
esempio, quelli riconducibili all’erogazione dell’energia elettrica che, se penetrati
e manipolati, porterebbero ad un collasso
del sistema.
Già a partire dal maggio del 2010, lo
stesso Obama aveva riconosciuto che gli
Stati Uniti “non sono preparati come dovrebbero” ad affrontare minacce che pos2
sono venire dalla rete, così pericolose per
la sicurezza nazionale.
In caso di emergenza nazionale, il presidente degli Stati Uniti potrebbe avere il
potere di controllare Internet, scollegando
i computer privati dalla rete. È quanto prevede la legge approvata dalla Commissione per la Sicurezza nazionale e gli Affari
governativi del Senato americano.
Nelle 55 pagine del testo, redatto da
Jay Rockefeller, senatore democratico della West Virginia, anticipato dal sito Cnet,
si legge che l’inquilino della Casa Bianca,
dopo aver dichiarato “lo stato d’emergenza
nazionale sul fronte della cyber-sicurezza”, è autorizzato a “prendere il controllo
temporaneo” dei computer “non governativi”.
Il provvedimento prende il nome di
Protecting Cyberspace as a National Asset
Act (Pcnaa), ma è anche conosciuto come
Internet Kill Switch, e coinvolge un certo
numero di aziende del settore individuate
dagli esperti del governo americano, motori di ricerca e società produttrici di softwares.
Il Pentagono, costantemente sotto attacco da parte di hackers ubicati nei più
sperduti angoli del pianeta, ha capito che
bisogna specializzarsi e cambiare modo di
pensare: in poche parole, per questa guerra non serve un esercito di militari, ma un
esercito di hackers.
Dal marzo del 2010 il Pentagono ha attivato dei corsi per diventare hacker, per
diventare sostanzialmente dei pirati informatici.
Per fare cosa?
Proprio per contrastare gli attacchi
informatici. In effetti per combattere un
pirata informatico devi opporgli un altro
pirata, possibilmente più scaltro.
“Per battere un hacker devi imparare a
ragionare come lui”, con questa affermazione Sanjay Bavisi, indiano e cofondatore
e presidente della EC-Council, sintetizza
le motivazioni che hanno portato il Pen-
tagono a scegliere la sua organizzazione
per formare i dipendenti del Dipartimento
della Difesa che si occupano di sicurezza
informatica.
Di certo, il problema della sicurezza dei
sistemi informatici, soprattutto in funzione della escalation di attacchi subìti dal
governo statunitense negli ultimi tempi,
rappresenta per le strutture governative
un colossale incubo.
Nuovi fronti di guerra.
Il caso degli Usa
La guerra si combatte ora su questi fronti. Se consideriamo che nel primo semestre
del 2009 sono stati condotti quasi 45 mila
attacchi informatici contro il sistema del
Dipartimento della Difesa statunitense e
nell’intero anno si è registrato un incremento degli attacchi pari al 60%, rispetto
al 2008, tutto ciò può fornire un’indicazione inquietante.
I costi sostenuti dal Dipartimento della
Difesa per fronteggiare gli attacchi subìti
nel solo 2009 ha superato la cifra di 100
milioni di dollari.
Il generale Keith Alexander è colui che
guida il recente Cyber Command, la divisione del Pentagono destinata a garantire
la sicurezza delle reti informatiche.
Ai suoi ordini ha circa 90 mila uomini,
dopo la decisione del Ministero della Difesa di assegnare alla cyber-sicurezza 30
mila uomini in più di quanto avesse stabilito l’amministrazione Bush.
Nonostante le critiche, secondo le quali la decisione segna un ulteriore passo
verso una sempre più stretta militarizzazione del cyber-spazio come conseguenza
dell’incapacità del governo di risolvere la
questione in altro modo, per il presidente
Obama la sicurezza informatica rappresenta senz’altro “una delle sfide più importanti che gli Usa dovranno affrontare
sia in termini economici che di sicurezza
nazionale”.
I “nemici” da battere, inoltre, non sono
più solo gli hackers, che attaccavano le reti
informatiche per farsi pubblicità e farsi
assumere in qualche importante azienda,
ma le agenzie di intelligence straniere e i
gruppi terroristici che, secondo il sottosegretario alla Difesa James Miller, sono responsabili della miriade di attacchi diretti
quotidianamente verso i sistemi informatici americani.
Emblematico, in questo senso, lo scontro tra Google e il governo di Pechino: la
società americana ha deciso di dirottare le
sue operazioni sui servers di Hong Kong
come conseguenza di una serie di attacchi
di cui è stata accusata la Cina e che avrebbero colpito una ventina tra le maggiori
compagnie Usa.
Un altro caso fu quello battezzato “Titan
Rain”: nel 2003 le reti americane furono
bersaglio di un attacco coordinato dietro
cui si nascondevano hackers “pilotati” da
Russia e Corea del Nord. E ancora a Mosca
è stata addebitata la matrice di un attacco
informatico all’Estonia nel 2007, definita
“la seconda più grande operazione di guerra informatica mai condotta”.
Un chiaro esempio di cyberwar:
Stuxnet
Un chiaro esempio di cyberwar, di guerra cibernetica, è senz’altro rappresentato
da Stuxnet che merita una considerazione
particolare.
Stuxnet è il nome di un virus informatico, un worm particolare realizzato per attaccare i siti in cui si stanno sviluppando
tecnologie per gli impianti nucleari iraniani.
Questo worm, che è stato studiato per
bloccare le centrali nucleari iraniane, si è
rilevato molto più funzionale di un attacco
effettuato dai bombardieri perché è già riuscito a bloccare, momentaneamente, queste centrali nucleari.
Si tratta pertanto non solo di un mal3
“Trattiamo bene la terra su cui viviamo: essa non ci è stata donata dai nostri padri, ma
ci è stata prestata dai nostri figli” è un proverbio che esprime bene la filosofia della Veroniki Holding, la quale si inserisce, innovandolo, nel lascito imprenditoriale, culturale ed
etico di Giuseppe Costantino Dragan. È un lascito per il soddisfacimento del fabbisogno
di energia, nel rispetto dell’ambiente, per una economia al servizio dell’uomo e per la
promozione della sua cultura e dignità. Questo perché per noi la “cultura dell’energia” e
“l’energia della cultura” non sono soltanto uno slogan, ma un principio e un criterio, al
contempo, imprenditoriale ed etico: in pratica una filosofia di vita.
4
ware, ma di un vero e proprio attacco organizzato contro il programma nucleare
iraniano.
Il worm infetta le chiavette Usb, gli
hard disks, ma è soprattutto progettato
per instillare un vero e proprio rootkit nelle macchine di controllo dei processi industriali come quelle presenti nei comparti
di produzione, nelle centrali energetiche/
atomiche o sulle catene di montaggio.
Dotato di un meccanismo di comando e
controllo centralizzato che può sopravvivere allo shutdown dei servers, Stuxnet è
talmente complesso che security companies ed esperti indipendenti sono sostanzialmente unanimi nell’assegnarne la paternità a uno Stato organizzato dotato di
fondi illimitati e forti motivazioni politicomilitari.
L’obiettivo ultimo di Stuxnet appare il
cyber-sabotaggio – suggerisce la security enterprise moscovita Kaspersky – un
sabotaggio che potrebbe potenzialmente
prendere la forma di turbine mandante
fuori giri, o di esplosioni negli impianti industriali e malfunzionamenti più o meno
disastrosi nelle centrali energetiche dotate di macchinari sviluppati dalla tedesca
Siemens.
La paternità generalmente accettata
del codice di Stuxnet è di matrice israeliana, perché il Paese dove si è registrato
il maggior numero di infezioni è proprio
l’Iran.
Il Mossad avrebbe, in sostanza, sviluppato il worm come un’arma “sporca” capace di sabotare il programma nucleare del
Paese.
L’agenzia di stampa ufficiale (controllata dallo Stato) ha confermato l’individuazione di 30 mila indirizzi IP infetti, ma in
accordo con i responsabili della centrale
nucleare di Bushehr (l’obiettivo finale di
Stuxnet?) tende a sottostimare l’impatto
dell’attacco e rassicura: non c’è stato nessun danno rilevante e i sistemi che gestiscono il reattore sono al sicuro.
La “Primavera araba”
e il potere della rete
Un accenno conclusivo lo vorrei dedicare ancora agli eventi recenti che hanno
caratterizzato il Nord Africa, che hanno
preso il nome anche di “primavera araba”.
Senza entrare nel merito dei singoli scenari, in Tunisia, Algeria, Egitto, Libia o Siria,
vorrei ribadire, come ho anticiparo all’inizio del mio articolo, che la matrice comune
di tutti questi eventi verificatisi in quei
Paesi è sicuramente la rete.
L’aspetto più inquietante è che questo
aspetto è stato ripetutamente sottovalutato da molti governi, in varie parti del mondo, i quali non hanno capito l’importanza
e la rilevanza della rete, non solo per la situazione locale, ma a livello globale.
Attraverso la rete è possibile veramente coinvolgere masse, formare dei gruppi,
avviare dei filoni di pensiero, istituire delle correnti che poi possono anche trasformarsi in eventi come quelli verificatisi nei
Paesi arabi.
Faccio alcuni esempi: “La prima rivoluzione di WikiLeaks” è il titolo che il “Daily
Mail” usa per definire i tumulti ed i disordini che si sono abbattuti a partire dal dicembre del 2010 in Tunisia, causando la
morte di civili e la fuga del presidente Ben
Alì.
Ad innescare la “bomba” della crisi istituzionale sarebbero stati i cablogrammi
dell’Ambasciata Usa contenenti informazioni sul sistema di corruzione ed eccessi
compiuti dalla famiglia presidenziale.
Ancora una volta c’è di mezzo WikiLeaks che, rendendo noti i files in questione,
ha scatenato un fenomeno ad effetto domino. Infatti, alla pubblicazione dei cablogrammi, è seguita un’ondata di manifestazioni di protesta contro il governo, diffuse
su blogs e social networks.
Risulta che risalga proprio al dicembre
2010 la pubblicazione dei cablogrammi
dell’ambasciata Usa a Tunisi, rilasciati
5
dall’ambasciatore Robert Godec tempo
prima (27 luglio 2009). Secondo quanto
emerge dai documenti, il presidente Ben
Alì e la sua famiglia sarebbero coinvolti in
attività illecite.
La famiglia del presidente viene infatti definita “un’élite mafiosa che gestisce
l’economia tunisina”. Inoltre, lo stesso Godec denuncia che “La corruzione interna
sta crescendo” ed aggiunge che “i cablogrammi sollevano il velo sulla corruzione
dell’élite del Paese e malgrado vi sia stata
a lungo un’opposizione al regime corrotto
di Ben Ali, le proteste sono cresciute di intensità quando i cablogrammi dell’Ambasciata statunitense sono stati pubblicati
da WikiLeaks”.
Gli altri attori delle vicende in Tunisia
sono bloggers ed hackers che hanno dato il
loro contributo diffondendo immagini, notizie, posts, foto e video attraverso i social
networks. Ciò ha scatenato un’immediata
reazione da parte delle istituzioni che, temendo l’aggravarsi dei disordini, hanno
attuato un piano di censura.
Il “sistema Ammar”, questo il nome in
codice dato all’operazione del Ministero
degli Interni, ha impedito di scaricare foto
o video e di pubblicarli e condividerli sulle
piattaforme Internet. Tale provvedimento
non sembra aver intimorito gli attivisti del
web.
Il blog collettivo dissidente nawaat.org,
ha infatti messo on line un video intitolato “morti e feriti all`ospedale di Thala” e
un audio in cui si ascolterebbe il momento dell`arresto del blogger Hamadi Kaloutcha, prelevato dalla sua abitazione, da
poliziotti in borghese. Nella stessa direzione si muove Anonymous, un gruppo di attivisti digitali “hacktivist” diffuso in molti
Paesi del mondo. Esso ha lanciato, attraverso un video su YouTube, l’operazione
Tunisia contro la censura ed in favore del
libero accesso alle informazioni.
Dal canto loro, Google e Twitter hanno
consentito di spezzare la “cyber-censura”
6
dell’Egitto. Google ha annunciato, attraverso il suo blog ufficiale, di aver attivato,
con la collaborazione di Twitter, un servizio che consente di postare tweets a tutti
coloro che si trovano in Egitto, scavalcando di fatto il blocco della rete imposto dal
regime.
Nello specifico, chiunque risieda nel
Paese arabo potrà digitare un numero telefonico speciale e lasciare un messaggio
vocale, il quale verrà trasformato in file
audio e in seguito pubblicato sul famoso
sito di microblogging, usando il tag #egypt.
I numeri di telefono internazionali messi
a disposizione da Google sono tre e uno è
italiano: 06-62207294.
Google si è dimostrato molto attento
alla crisi che è scoppiata nel Paese arabo
e ha dichiarato che “come molte persone
siamo incollati alle notizie che arrivano
dall’Egitto e pensiamo che questo è ciò che
possiamo fare per aiutare la gente sul posto”.
Il fattore comune a tutti i moti di rivolta
recentemente verificatisi nei Paesi arabi
è l’utilizzo di Internet (soprattutto social
networks) per la comunicazione e la diffusione di informazioni e il coordinamento
delle proteste.
Vorrei segnalare un testo particolarmente interessante che tratta proprio di
cyber-criminalità, di criminalità informatica, ma legata ad ambienti di criminalità
organizzata.
Si tratta di un libro di Kevin Poulsen,
Kingpin. How One Hacker Took Over the
Billion-Dollar Cybercrime Underground,
New York, Crown Publisher, 2011. Attraverso una storia di un crimine informatico, il volume mette a nudo i meccanismi di
un’ondata di criminalità, ancora silenziosa, ma che affligge milioni di americani e
non solo. Nel volume si descrive una nuova generazione di hackers che, per fini di
lucro, ha attivato una rete criminale che
attualmente si estende da Seattle a San
Pietroburgo a Shanghai.
Vengono altresì descritte dettagliatamente tutte le tipologie di frodi telematiche: dalla produzione di carte di credito ad
assegni contraffatti, all’attivazione di conti bancari falsi, dagli hack-browser exploits
agli attacchi di phishing, cavalli di Troia, e
molto di più.
Viene inoltre evidenziata la crescente
difficoltà delle Forze dell’ordine dei maggiori Paesi più informatizzati di contrastare il fenomeno della cybercriminalità.
Qui ne faccio solo accenno, ma rimando e
segnalo il libro per chi volesse approfondire questo fondamentale argomento, la cui
importanza è destinata a diventare via via
maggiore.
7
La botte della Danaidi (Roma, Aracne ed., 2013)
è l’ultimo volume del Ministro Plenipotenziario Giorgio Bosco,
ove narra 43 anni di carriera diplomatica
svolta in varie sedi di cinque continenti
8
Il caso emblematico
di Iqbal Masih
Trent’anni fa nasceva un bambino
destinato a diventare un’icona mondiale della lotta
contro la schiavitù del lavoro minorile
Laura Baldassarre
Responsabile dei programmi per i Diritti dell’Infanzia
e dell’Adolescenza dell’UNICEF Italia
“Nessun bambino dovrebbe mai essere costretto
ad impugnare uno strumento di lavoro. Gli unici
strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere
in mano sono penne e matite”.
Se Iqbal Masih fosse ancora vivo oggi
avrebbe 30 anni. Iqbal Masih era infatti
nato nel 1983 e oggi avrebbe potuto essere
un giovane uomo se la sua vita non fosse
stata volutamente spezzata quando era
solo un dodicenne.
Iqbal Masih (o Mashi, nato a Muridke nel 1983 e ucciso a Lahore il 16 aprile
1995) era un bambino lavoratore, vittima
di sfruttamento, diventato simbolo della
lotta contro il lavoro infantile nell’industria tessile del tappeto in Pakistan.
Iqbal Masih fu costretto a lavorare già
a cinque anni in condizioni di schiavitù,
dopo essere stato praticamente venduto
dal padre che aveva contratto dei debiti.
Iqbal era costretto a lavorare letteralmente incatenato ad un telaio, per circa 14 ore
Iqbal Masih
al giorno, al salario di una rupia al giorno, l’equivalente di tre centesimi di euro
attuali.
Il direttore della fabbrica, se non era
soddisfatto del lavoro, lo puniva gettandolo in una sorta di pozzo nero quasi senza
aria, che Iqbal chiamava “la tomba”.
Un giorno, nel 1992, uscì di nascosto
dalla fabbrica-prigione e partecipò, insieme ad altri bambini, ad una manifestazione del Fronte di Liberazione dal Lavoro
Schiavizzato (in inglese Bonded Labour
Liberation Front - Bllf). In quella manifestazione, che celebrava la “Giornata della
Libertà”, Iqbal decise spontaneamente di
raccontare la sua storia e la condizione di
sofferenza degli altri bambini nella fabbrica di tappeti in cui lavorava.
9
Gli avvocati del Bonded Labour Liberation Front contribuirono a liberarlo dal lavoro minorile e il segretario del Bllf, Eshan
Ullah Khan, che un giorno aveva trovato
il bambino rinchiuso nella cavità sotterranea e per questo era intervenuto, lo indirizzò allo studio e all’attività in difesa dei
diritti dei bambini.
Dal 1993 Iqbal iniziò a svolgere, con il
Bllf, una serie di conferenze internazionali sensibilizzando l’opinione pubblica
mondiale sui diritti negati ai bambini nel
suo Paese e contribuendo al dibattito sulla
schiavitù mondiale e sui diritti dell’infanzia.
In una conferenza, a Stoccolma, Iqbal
affermò: “Nessun bambino dovrebbe mai
essere costretto ad impugnare uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di
lavoro che un bambino dovrebbe tenere in
mano sono penne e matite”.
Ricevette una borsa di studio dall’Università Brandeis di Waltham, negli Stati
Uniti, ma la rifiutò: aveva deciso di rimanere in Pakistan nella speranza di aiutare
ancora i bambini del suo Paese e rendere
utile la propria esperienza.
Continuò quindi a sfidare le continue
intimidazioni dei fabbricanti di tappeti,
che vedevano in lui una minaccia. Nel gennaio del 1995, partecipò a Lahore ad una
conferenza contro la schiavitù dei bambini. Grazie a lui, circa 3 mila piccoli schiavi
poterono uscire dal loro inferno: infatti,
sotto la pressione internazionale, il governo pakistano chiuse decine di fabbriche di
tappeti.
A causa del duro lavoro, delle condizioni
inumane e dell’insufficienza di cibo, Iqbal
non era cresciuto correttamente: all’età di
dieci anni aveva già il volto di un vecchio e
le mani rovinate per il lavoro ininterrotto
cominciato dall’infanzia; a 12 anni pesava
ed era alto come un bambino di sei.
Il 16 aprile del 1995, il giorno di Pasqua,
Iqbal Masih venne assassinato a colpi di
arma da fuoco sparati da un’auto in fuga
10
mentre, nella sua città natale Muridke,
nella zona di Chapa Kana, vicino a Lahore,
si stava recando in bicicletta in chiesa (era
cattolico caldeo).
Al momento dell’uccisione aveva 12
anni. Il processo che vide imputati gli esecutori materiali dell’omicidio non chiarì
del tutto i dettagli della vicenda, sebbene
apparve certo che il suo assassinio fosse
opera di sicari della locale “mafia dei tappeti”.
La sua morte ebbe una forte eco in tutto
il mondo. Nel 1998 la regista Cinzia Torrini
realizzò il film Iqbal, girandolo in Marocco
e Sri Lanka, nel 2001 Francesco D’Adamo
si ispirò alla vicenda del piccolo pakistano
per scrivere il romanzo Storia di Iqbal, nel
2006 Andrew Crofts scrive la storia di Iqbal nel libro Il fabbricante di sogni.
Iqbal Masih ricevette importanti riconoscimenti per la sua attività di sensibilizzazione al problema del lavoro infantile.
Nel 1994 fu premiato con il Reebok Human Rights Award, nel 2000 fu il primo a
ricevere anche alla memoria il premio The
World’s Children’s Prize, premio per i diritti dei bambini.
Numerose sono le scuole intitolate a suo
nome in Italia e nel mondo.
Nel novembre 2007 gli è stato intitolato il parco di via Gaffaree a San Stino di
Livenza. All’entrata del parco è stato collocato un totem dove campeggia l’immagine
di Iqbal e la lettera scritta ai suoi genitori,
diventata il suo testamento spirituale.
Anche a Campi Bisenzio esiste un parco intitolato a Iqbal. Inaugurato nel luglio
del 2000, occupa 17 mila metri quadrati ed
è sede nel corso di tutto l’anno di manifestazioni ed attività ludico-didattiche per
l’infanzia.
A Porto Sant’Elpidio il Comune, che organizza il Festival del Teatro per Ragazzi
“I teatri del Mondo”, ha istituito nel 2002
un premio alla memoria di Iqbal Masih, il
“Premio Città di Porto Sant’Elpidio Infanzia e solidarietà globale: Iqbal Masih”.
Questo bambino pakistano, praticamente venduto dal padre all’età di cinque
anni, è quindi diventato, attraverso l’associazione Bonded Labour Liberation Front,
un simbolo di liberazione dalla schiavitù
dello sfruttamento infantile.
Egli è stato in grado di dimostrare agli
altri ragazzini la possibilità di uscire da
processi di sfruttamento che sconfinano
con la schiavitù e di dimostrare, a tutti noi,
quale può essere il nostro ruolo nel sostenere le organizzazioni che, a diverso titolo,
lavorano per contrastare questo tipo di fenomeni.
Questo ragazzino è stato ucciso da una
vera e propria organizzazione criminale
che trae profitto dallo sfruttamento del
lavoro minorile, dalla cosiddetta mafia dei
tappeti. E se la mafia dell’industria dei
tappeti l’ha assassinato è perché sapeva
che lui stava andando nella direzione giusta.
Filmografia
e Bibliografia dei testi citati
- Iqbal, Regia di Cinzia Th Torrini, 1998.
- Francesco D’Adamo, Storia di Iqbal, S.
Dorligo della Valle, EL, 2001, poi Firenze, F. Le Monnier, 2002; Einaudi Ragazzi,
2008; Mondadori education-Salani narrativa, 2009.
- Andrew Crofts, Il fabbricante di sogni,
Milano, Piemme, 2009.
11
Per orientarmi in quel vasto “deposito di merci” che era l’Italia, ero obbligato
a viaggiare, a leggere, a documentarmi senza posa, e ad ascoltare centinaia di lezioni
riguardanti la magnificenza o la decadenza dei prodotti sul mercato interno ed
internazionale.
P
our m’orienter dans ce vaste “dépôt de marchandises” qui était l’Italie, j’étais obligé
de voyager, de lire, de me documenter sans cesse et d’écouter des centaines de leçons sur la
valeur ou la dépréciation des produits sur le marché interne et international.
To get my bearings in the huge “goods warehouse” that Italy was then, I had
to travel, read, gather continuous information and listen to hundreds of lessons on
how great or bad goods were on both the national and international markets.
Pentru a mă orienta in acel vast “depozit de mărfuri” care era Italia, eram obligat
să călătoresc, să citesc, să mă documentez neintrerupt şi să ascult sute de lecţii privind
valoarea sau deprecierea produselor pe piaţa internă şi internaţională.
Tratto dal volume: Iosif Constantin Dragan,
Călătorie În timp, Viaggio nel tempo, Journey through time, Milano, 2008.
12
Giuseppe Costantino Dragan in età giovanile
13
Difficoltà di jointness e lacune
nella riforma del sistema di
intelligence degli Stati Uniti
A 12 anni dall’attacco alle Torri Gemelle
a che punto siamo nel coordinamento degli apparati di
sicurezza contro il terrorismo internazionale?
Stefano Silvresti
Presidente IAI
A 12 anni dall’attacco alle Torri Gemelle e dopo l’ultimo e discusso attentato alla
maratona di Boston a che punto siamo nel
coordinamento degli apparati di sicurezza
negli Usa contro il terrorismo internazionale?
La rispopsta è che la jointness delle Forze armate americane è ancora piuttosto
limitata.
Per fare un paragone, pur con ordini di
grandezze molto differenti, si può dire che
è inferiore a quella che esiste in Italia. Il
capo di Stato Maggiore americano ha poteri inferiori a quelli del capo di Stato Maggiore della Difesa italiano nei confronti
delle singole Forze armate e in Italia non
è che il capo di Stato Maggiore italiano abbia poteri eccezionali, però alcuni ce li ha.
Vi è una giustificazione operativa.
È evidente che questi servizi dovrebbero avere una funzione più tattico-operativa che una funzione strategica in senso generale, salvo forse per quel che riguarda il
monitoraggio dell’evoluzione tecnologica e
delle dottrine, però per il resto dovrebbero
avere essenzialmente una funzione tattica
e quella è più strettamente legata alle ca14
ratteristiche operative delle singole Forze
armate.
Indubbiamente, sarebbe possibile mettere tutto questo assieme, tanto più adesso
che parliamo sempre più di missioni integrate, di gestione del campo di battaglia
unificato, pluridimensionale e così via. Ma
tra le parole e i fatti ho l’impressione che
ci passi ancora una forte gelosia dei singoli
servizi, i quali hanno tutti una lunga storia di tradimenti dal servizio confratello
nei loro confronti. È la vecchia storia dei
Marines americani che sostenevano che
il loro maggior nemico era l’aeronautica
statunitense, che regolarmente li bombardava molto più di quanto non facessero le
aeronautiche nemiche. Vi è un elemento di
sfiducia reciproca che rende tutta la situazione molto più complessa di quanto già
non sia.
A mio avviso, non si è avuto molto coraggio nella riforma dei servizi americani.
Se si avesse avuto coraggio si sarebbe potenziato il ruolo della Cia, non diminuito.
Si sarebbe dovuto fare in modo che la Cia
assorbisse buona parte delle altre agenzie
e diventasse così la vera agenzia naziona-
le di riferimento. Poi ci sarebbero state o
sarebbero rimaste altre agenzie specializzate, ma che avrebbero tutte fatto riferimento alla Cia.
Questo non è avvenuto, sia perché esistevano fortissime resistenze dei vari dicasteri, sia perché la Cia aveva una cattiva
stampa. Dare tutti i poteri alla Cia dava
l’impressione di creare una sorta di Grande Fratello, che poi avrebbe controllato
tutti gli altri. E quindi nell’incertezza su
chi fa cosa, chi è deviato di più o di meno,
chi dà le effettive informazioni e chi non
le dà, come al solito la classe politica ha
preferito il divide et impera alla centraliz-
zazione. Perché se io ho più punti di riferimento, ho più facilità di pensare che ognuno spia anche l’altro e quindi io, in qualche
maniera, posso avere informazioni che altrimenti non avrei mai. Quindi posso avere
una capacità di intervento, di controllo, di
influenza, superiore. E questo a mio avviso
ha spiegato le mancanze della riforma.
Per quanto la riforma abbia creato
il nuovo ufficio del direttore nazionale
dell’intelligence, in realtà poi non lo si è
dotato delle necessarie capacità operative
e tecniche, quindi il suo funzionamento è
sostanzialmente dipendente dalla buona
volontà dei vari attori.
15
Il rapporto uomo-donna:
a che punto siamo oggi
Dopo i ripetuti casi di “femminicidio”
è opportuno interrogarsi sui rapporti di genere
Giuseppe Dal Ferro
Il rapporto uomo-donna:
a che punto siamo oggi
Uomini e donne camminano a fianco
nella vita quotidiana e, nei Paesi democratici, godono di libertà ed uguaglianza.
Le donne negli ultimi decenni hanno
ottenuto forme di emancipazione significative, anche se permane radicata ancora
la differenziazione nella cultura e in molte
istituzioni sociali, che favoriscono la predominanza maschile.
Le relazioni fra uomini e donne si intrecciano in forme di collaborazione serena, talvolta in rapporti di conflittualità e di
accomodamento: si istaura frequentemente una “cooperazione conflittuale” come
scrive Amartya Sen o una “orchestrazione”
come propone Erving Goffman1.
Più drammatici sono gli epigoni estremi
del conflitto, nei quali è la donna che soccombe.
Essi si consumano, non di rado, nella
violenza o in forme di strumentalizzazione in cui la donna consenziente diventa
oggetto.
Ci proponiamo, in una serie di interventi, di approfondire il problema utilizzando
la categoria di “genere”, con tutti i suoi limiti e le sue utilità.
16
Partiamo dalla situazione che vede la
sopravvivenza dell’antica idea di “patriarcato”, ossia di dominio dell’uomo sulla
donna, per ripercorrere sommariamente
lo sviluppo del pensiero femminista ed affrontare il nodo del problema rappresentato dal concetto di “genere”.
In precedenza su queste stesse colonne
abbiamo visto la donna nelle concezioni
tradizionali delle religioni ed infine alcuni
orientamenti formativi finalizzati a modificare la cultura e i modelli di vita presenti
nella nostra società.
La concezione
della presunta inferiorità
femminile nella storia
La donna da sempre soffre di una posizione di inferiorità rispetto all’uomo.
Per questo i diversi movimenti di emancipazione dell’ultimo secolo partono dal
presupposto di superare la condizione
sociale di “patriarcato”, in forza dei diritti umani che non tollerano alcuna discriminazione di razza, colore, sesso, lingua e
religione2. Non-discriminazione significa
rispetto della personalità, significa uguaglianza di opportunità, significa accettazione delle diversità3.
Le donne invece nella storia “hanno
sempre fatto quello che gli uomini non
ritenevano degno di loro e di cui si disinteressavano, cioè hanno lavorato, quando
lavorare era indice di inferiorità, e ceduto
il posto agli uomini man mano che questo
diventava ambìto e rispettato”4.
Compito della donna era soprattutto
la riproduzione della specie, di cui l’uomo
si serviva. Alcuni studiosi si sono chiesti
quale sia l’origine storica del “patriarcato”
che, tranne alcuni casi, ha dominato il passato.
Tentativi di spiegazione:
teorie antropologiche,
sociologiche e femministe
Come mai le diversità esteriori di conformazione corporea hanno generato
l’esercizio del potere dell’uomo sulla donna?
L’antropologo Martin Harris a risalire alla guerra la discriminazione la quale richiedeva una diversa socializzazione
dell’uomo5.
Altri autori si rifanno al rapporto sessuale visto come forma di violenza da parte dell’uomo: l’uomo “possiede” la donna e,
di conseguenza, ricerca, con suo godimento, la oggettivazione di essa6.
L’ipotesi più organica è che l’origine e lo
sviluppo del patriarcato ruotino attorno
alla delicata questione della riproduzione,
momento in cui donne e uomini si ritrovano ad entrare necessariamente in rapporto, in una assimetria del loro apporto alla
specie 7.
La mitologia greca registra i passaggi del processo che portò allo stabilirsi
dell’ordine patriarcale8.
Al di là dell’origine del concetto di patriarcato, perché si è conservato nel tempo
tale sopraffazione?
La teoria femminista introduce qui il
concetto di “contratto sessuale”9, assai diverso dal “contratto sociale”, il quale non
è conseguenza di un atto libero, essendo i
contraenti in posizione diseguale: la servitù della donna è ricambiata dall’uomo con
la protezione.
Le donne perdono così il controllo di se
stesse e la libertà in forza della presunta
protezione maschile.
Forme attuali di violenza
e di controllo sulle donne
Oggi indubbiamente la donna in Occidente non è più oggetto di scambio, anche
se non mancano forme di vera e propria
violenza fisica sulle donne10.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la prima causa di uccisione delle
donne tra i 16 e i 44 anni nel mondo e in
Europa è l’omicidio perpetrato da persone
conosciute.
Nel nostro Paese non trascorre settimana senza che i mass-media diano notizie di
donne assassinate da congiunti o nell’ambito familiare.
Dall’inizio del 2012 al novembre dello
stesso anno, 73 risultano essere le vittime.
Nel 2011 le donne assassinate in Italia
sono state 120 (58 al Nord, 21 al Centro, 30
al Sud e 11 nelle isole).
Nel 2010 se ne sono contate 127 e 119
nel 2009. Nel 2008 sono state 112 e 107 nel
2007. In media, dunque, più di due femminicidi alla settimana.
Scorrendo le storie delle donne assassinate c’è proprio da rimanere sbigottiti,
anche solo nel prendere atto delle modalità con le quali il delitto è stato perpetrato:
accoltellata, strangolata, soffocata, uccisa
a pugni, picchiata a morte, bruciata viva,
sgozzata, buttata dal balcone, presa a martellate, colpita con un’arma da fuoco ecc.
I nomi, le età, le città cambiano. Le storie
invece si ripetono: per lo più, sono proprio
gli uomini più vicini alle donne a ucciderle.
Al di là dei casi di femminicidio, va detto che certi “modelli corporali” (e quindi di
violenza) continuamente si trasmettono
17
tramite i mezzi di comunicazione, la pubblicità, il cinema, la musica, la pornografia11.
Le conseguenze sono drammatiche sulle donne fragili e insicure.
L’esasperazione del mito della bellezza
è divenuto uno degli strumenti più attuali
di controllo sulle donne; una sorta di reazione contro la libertà sessuale e la riappropriazione del corpo raggiunta dalle
donne dopo secoli.
Il concetto di patriarcato ha generato la
divisione fra sfera pubblica e sfera privata,
la prima riservata agli uomini, la seconda
alle donne12.
Una dicotomia radicata è quella che assegna agli uomini la razionalità, l’attività
politica e i saperi, alle donne il sentimento,
l’attività domestica, l’educazione dei figli,
la cura della casa.
Anche quando la donna entra nel lavoro o nella sfera pubblica non viene meno
tale pregiudizio, che si traduce nella minore retribuzione, nella distribuzione degli
incarichi, nel doppio lavoro richiesto alla
donna13.
Nella lavoratrice permane l’accettazione della ineguaglianza, con la giustificazione di aver scelto liberamente quella
carriera o di far piacere all’altro al meglio
delle proprie capacità, anche se con la consapevolezza della violazione del diritto e
con un senso di tristezza, delusione, offesa
morale14.
Dimensione del pubblico
e del privato
Da tale situazione nasce uno dei temi
più cari al femminismo: superare a distinzione pubblico e privato considerando
complementari “l’etica della giustizia” e
“l’etica della cura”, non potendosi reggere
il pubblico sul disprezzo del privato.
Se nel privato ci vuole un senso della
giustizia prima valido solo nella sfera pubblica, nel pubblico compare un’etica della
18
cura tipica del privato15. Di riflesso è maturata una certa considerazione del femminile e dell’educazione delle bambine.
L’identificazione del corpo della donna
con la riproduzione ha portato a far coincidere la donna con la sua sessualità16.
Si prova ribrezzo per il sangue e si parla
di emanazioni pericolose durante la gravidanza.
La puerpera deve rimanere in casa altrimenti “contamina gli altri”.
Eventuali donne morte di parto sono
state sepolte in un angolo del cimitero o
addirittura fuori dalle mura17.
Tale visione della donna radica l’idea
della sua fragilità, della sua debolezza e
del suo bisogno di protezione.
Ad essa non può essere riconosciuto il
potere perché possibile portatrice di male,
rappresentandone sessualmente un pericolo18.
L’uomo e i suoi interessi-valori diventano l’archetipo umano e la donna un essere
privo di qualcosa.
Jean-Jacques Rousseau scriveva: “non
v’è alcuna parità tra i sessi quanto alle
conseguenze derivanti dalla loro diversità.
Il maschio è maschio solo in determinati
momenti, la femmina è femmina per tutta
la vita, o almeno per tutta la giovinezza”19.
Nasce così la doverosa vocazione delle
donne al privato e le loro doti specifiche
sono ritenute di minor valore rispetto a
quelle dell’uomo.
Per Immanuel Kant le donne hanno una
maggior dose di sentimento, di compassione, di bontà e la tendenza ad anteporre il
bello all’utile20.
Fin da bambina la donna è allora educata al suo ruolo: non è per lei la scuola, avendo come mèta una vita a servizio dell’uomo, cioè non essendo autonoma.
L’assorbimento dei modelli femminili
avviene così fin dalla primissima infanzia.
Nel celebre libro Dalla parte delle bambine, Elena Giannini Belotti fa osservare che
non occorre risalire a istintualità naturali
per spiegare il comportamento femminile:
“La bambina che a quattro anni contempla estatica la propria immagine allo specchio – scrive l’autrice – è già condizionata
a questa contemplazione dai quattro anni
precedenti, più nove mesi in cui è stata attesa [...] e dai piccoli gesti quotidiani che
ci sono tanto abituali da passare inosservati”21.
Si può concludere con l’antropologa
Margaret Mead, che ritiene le bambine
vittime di un condizionamento negativo
in funzione del loro sesso: “tutte le discussioni sullo stato delle donne, sul carattere, il temperamento, sulla sottomissione e
l’emancipazione delle donne fanno perdere di vista il fatto fondamentale e cioè che
le parti dei due sessi sono concepite secondo la trama culturale che sta alla base dei
rapporti umani e che il bambino che cresce
è modellato altrettanto inesorabilmente
come la bambina secondo un canone particolare e ben definito”22.
Ciò che maggiormente viene a pesare
sulla condizione femminile è il pregiudizio
sulla sua intelligenza, definita da Giulio
Preti “pre-logica”23.
La donna finisce per interiorizzare tali
stereotipi, a considerarsi inferiore e ad affidarsi alla protezione maschile.
I movimenti femminili ritengono di conseguenza necessario che le donne ritrovino l’autostima e una identità personale,
distinta dal corpo e dal sesso, per una autentica emancipazione e liberazione. Purtroppo il percorso intrapreso talvolta dal
femminismo ha portato ad una sospensione nel vuoto, conseguente a scelte personali estranee alla realtà oggettiva e quindi
causa di disorientamento24 (continua).
1
Cit. in Sassatelli R., Presentazione. Uno
sguardo di genere, in Connell R., Questioni di
genere, il Mulino, Bologna, 2011, p. 11.
2
Cfr. Pibia S., Itinerari del femminismo filosofico. Il dibattito spagnolo ed oltre, Tesi di laurea
in Filosofia e Storia delle idee filosofiche, Università di Cagliari, A.A. 2006-2007, pp. 31 seg.
3
Cerne M., I diritti della donna nei documenti internazionali, in Concetti G. (ed.), I diritti
umani. Dottrina e prassi, AVE, Roma, 1982, p.
346.
4
Cocever E. - Gresleri M.G., Donna: destino
o costruzione sociale, in “Regno – attualità”, a.
XIX (1974), n. 281 (n. 4), p. 105.
5
Cfr. Harris M., Personalità e sesso, in Harris
M. (ed.), Antropologia culturale, Zanichelli, Bologna, 1990.
6
Cfr. Galeotti A. E., Teorie politiche femministe , in Maffettone S. - Veca S. (eds.), Manuale di
filosofia politica, Donzelli, Roma, 1996.
7
Cfr. Boccia M.L. - Zuffa G., L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche, fantasie
e norme, Pratiche, Laris (Trento), 1998, pp. 8889; 163 sg.
8
Dagli studi di mitologia si evince che gli uomini hanno tentato di annichilire totalmente
la concezione della creazione da parte della
donna. Inizialmente si credeva che la Grande
Dea avesse fatto tutto (e da sola); col tempo la si
vede invece affiancarsi ad uno sposo fecondan19
te. L’ultimo passo sarà quello che vedrà il mondo come opera dell’unico. potere di una divinità
maschile (Pibia S., Itinerari del femminismo
filosofico, Il dibattito spagnolo ed oltre, cit., p.
35) .
9
Cfr. Rateman C., Il contratto sessuale, in Biasimi C. (ed.), Editori riuniti, Roma, 1997.
10
Lebra A., Femminicidio, questione maschile
e Chiesa, in “Settimana”, 2 settembre 2012, n.
31, p. 2.
11
Cfr. Viscidi F., Modelli femminili della cultura di massa, in AA.VV., Donna e società, Rezzara, Vicenza, 1976, pp. 130-l40.
12
Cfr. Cavarero A., Il pensiero femminista. Un
approccio teoretico, in Restaino F. - Cavarero A.
(eds.), Le filosofie femministe, Paravia Scriptorium, Torino, 1999, pp. 115-116.
13
Cfr. ivi, pp. 126-127.
14
Cfr. Major B., Il genere, i diritti e la distribuzione del lavoro in genere, in Stella P. - Saraceno
C. (eds.), La costruzione sociale del femminile e
del maschile, Il Mulino, Bologna, 1996.
15
Cfr. Kymlicka W., Il femminismo, in Introduzione alla filosofia politica contemporanea,
Feltrinelli, Milano, 1996.
16
Cfr. Stuart Mill, La soggezione delle donne,
Partisan, Roma, 1971, p. 47.
17
Cfr. Shorter E., Storia del corpo femminile,
Feltrinelli, Milano, 1984, p. 339.
18
Cfr. ivi, p. 335.
19
Rousseau J.J., Emilio (1762), ed. it., Armando, Roma, 1981, p. 544.
20
20
Cit. Pibia S., Itinerari del femminismo filosofico. Il dibattito spagnolo ed oltre, cit., p. 56.
21
Giannini Belotti E., Dalla parte delle bambine. L’influenza dei condizionamenti sociali
nella formazione del ruolo femminile nei primi
anni di vita, Feltrinelli, Milano, 197720, pp. 6-7.
Sono molto significative alcune pagine del volume, del quale ci limitiamo a riferire soltanto
un passo: “II quotidiano ‘II Giorno’ ha pubblicato un’inchiesta sui libri di testo in uso nelle
nostre scuole elementari e sul modo in cui viene presentata la figura femminile e maschile.
[...]. Nei libri di testo esaminati, la famiglia tipo
segue certi schemi: padre, madre, due bambini
dei quali il maggiore è sempre un maschio [...].
Se due bambini giocano, il maschio sta sdraiato per terra, le scarpe buttate una qua e una
là, le maniche rimboccate, un berretto ribaldamente piantato in testa, decisamente a suo
agio tra le costruzioni, un pallone, un grosso camion; la bambina non partecipa a questi giochi
eccitanti, si apparta composta, ben pettinata,
irreprensibile, con la sua eterna bambola tra le
braccia. Evidentemente medita sul suo futuro
di moglie e di madre” (ivi, pp. 108-109).
22
Mead M., Sesso e temperamento, Il Saggiatore, Milano, 1967, p. 22.
23
Cfr. Preti G., Retorica e logica, Einaudi, Torino, 1968, p. 12.
24
Cfr. Libreria delle Donne di Milano, Non
credere di avere dei diritti, Rosenberg e Seller,
Torino, 1987, pp. 156 sg.
Per una migliore
qualità della vita
Al via, nel “cuore” di Milano,
il nuovo Anno Accademico
della Dragan University Golden Age
Guido Ravasi
La Dragan University Golden Age è
ormai da venticinque anni una rinomata Università per persone adulte che si è
saldamente installata nel “cuore” di Milano. E “cuore” sta ad indicare non soltanto
l’ubicazione centrale e facilmente raggiungibile della Dragan University (in Via Larga 11, quasi di fronte agli uffici comunali)
ma anche e soprattutto l’apprezzamento e
l’affetto suscitato nelle persone che hanno
avuto l’opportunità di conoscerla e di frequentarla.
La Dragan University riapre i suoi corsi
per l’anno 2013-2014 (le iscrizioni sono già
in fase avanzata), con diverse novità e forte della sua struttura di docenti autorevoli
in grado di suscitare passione per aspetti
diversi della cultura, ma anche di fornire
ai partecipanti gli strumenti per attivare
potenzialità inespresse, utilizzare al meglio il proprio tempo e innalzare la qualità
della propria vita.
Il fondatore – il dott. Giuseppe Costantino Dragan, imprenditore internazionale
e uomo di cultura – ha sempre tenuto fer-
mo il principio dell’educazione permanente estesa per tutto l’arco della vita, in modo
tale da poter cogliere la possibilità di sentirsi sempre protagonisti e partecipi in un
mondo in continuo cambiamento.
Tutto questo assume oggi ancora maggiore importanza: in un tempo di incertezza diffusa è più che mai opportuno investire su se stessi e sulle proprie risorse, per
liberare energie e per vivere meglio o anche per trascorrere insieme il proprio tempo in modo appassionante e intelligente.
Nelle pagine seguenti riportiamo un
elenco sommario dei corsi principali attivati per l’anno accademico 2013-14, ma
per ogni chiarimento e dettaglio si può
contattare la segreteria o visitare il sito
Internet www.fondazionedragan.org nella
sezione appositamante dedicata.
Per informazioni e iscrizioni:
Dragan University Golden Age. Milano
- Via Larga, 11 – Orario della Segreteria:
da lunedì a venerdì ore 9.30-12.00 / 14.3017.30. Tel. 02.58.37.12.38/48 - E-mail: [email protected]
21
ELENCO DEI CORSI
Anno Accademico 2013/14
CORSI AD INDIRIZZO UMANISTICO E LETTERARIO
- Classici della lettura italiana
- Filosofia
- Letteratura Greca
- Letteratura Italiana
- Letteratura Tedesca*
- Protagonisti del Pensiero occidentale*
- Storia della Letteratura milanese
CORSI DI STORIA DELLE CIVILTÀ
- Geografia
- Storia contemporanea
- Storia delle Religioni
- Storia di Milano
22
CORSI AD INDIRIZZO SCIENTIFICO
- Psicologia Analitica
- Psicologia Cognitiva
- Psicologia Dinamica*
- Scienze Naturali*
- Grafologia
- Medicina
CORSI AD INDIRIZZO ARTISTICO
- Architettura dei Giardini e del Paesaggio
- Arte Contemporanea*
- Arte del Medioevo in Europa
- Cinema
- Come si guarda un'opera d’arte
- Comporre il giardino con le piante*
- Storia del Balletto
- Storia dell’Arte
- Storia della Musica
CORSI DI LINGUE
- Lingua Inglese: livelli elementary, pre-intermediate e intermediate
- Lingua Spagnola
- Lingua Tedesca
- Conversazione Inglese
CORSI PRATICI
- Biodanza
- Ginnastica Dolce
- Recitazione
- Yoga Pratico
- Balli di gruppo
Il Bulletin européen è una tribuna libera fondata nel 1950
da J. Constantin Dragan per lo sviluppo del dibattito sull’Europa.
Le opinioni, liberamente espresse dagli autori,
non necessariamente corrispondono a quelle del giornale.
Bulletin européen
Tribuna libera per l’Europa fondata nel marzo del 1950
da Giuseppe Costantino Dragan
ISSN 2283-3013
già 0407-8438 (cartaceo)
Direttore Responsabile: Guido Ravasi
Direzione e Redazione: Via Larga 9/11 - 20122 Milano
Tel. 02 58371405 - Fax 02 58304790 e-mail: [email protected]
Registrazione Tribunale Milano n. 390 del 3-6-1998
Chiuso in redazione:
27 settembre 2013
... si la Communauté économique européenne est la base de l’unification de l’Europe,
la Communauté culturelle en permettra sa réalisation durable.
SOMMARIO
Antonio Teti: Opportunità e pericoli della rete. Dagli effetti di psicologia
di massa alle rilevanze geopolitiche e di sicurezza nazionale............................. 1
Laura Baldassare: Il caso emblematico di Iqbal Masih................................... 9
Stefano Silvestri: Difficoltà di jointness e lacune nella riforma
del sistema di intelligence degli Stati Uniti........................................................ 14
Giuseppe Dal Ferro: Il rapporto uomo-donna: a che punto siamo oggi.......... 16
Guido Ravasi: Per una migliore qualità della vita ......................................... 21