1 RICERCA SULL`ASSOCIAZIONE CALCIO

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1 RICERCA SULL`ASSOCIAZIONE CALCIO
RICERCA SULL’ASSOCIAZIONE CALCIO-SLA: UN'INCREDIBILE OCCASIONE
SPRECATA TUTTA ITALIANA
Intervista a Nicola Vanacore, uno degli autori dello studio epidemiologico commissionato dal
procuratore Guariniello
a cura di Simonetta Tortora
Esiste un rapporto tra calcio e SLA? La grande disinformazione di questi anni rischia di banalizzare
la reale portata dei risultati di una ricerca tutta italiana che vuole rispondere a questo interrogativo.
E poi: che apporto possono dare questi studi nel comprendere i meccanismi che sottendono la
ricerca delle cause, tuttora ignote, che provocano la SLA? Che evoluzioni hanno avuto questi studi?
Viva la Vita Onlus, associazione di familiari e malati di SLA, ha voluto fare chiarezza su questi
interrogativi intervistando Nicola Vanacore, ricercatore neuro epidemiologo del Centro Nazionale
di Epidemiologia e Sorveglianza della Salute dell’Istituto Superiore di Sanità ed autore, con altri, di
uno dei due studi epidemiologici sul tema commissionati dal procuratore aggiunto di Torino
Raffaele Guariniello.
Dottor Vanacore, cominciamo ripercorrendo le tappe che hanno portato alcuni ricercatori
italiani ad interessarsi dell'insorgenza della SLA tra i calciatori professionisti.
Nel 1998 il procuratore Guariniello aprì un'indagine giudiziaria sul mondo del calcio e
commissionò due perizie di tipo epidemiologico per verificare se tra i calciatori professionisti il
doping potesse aver causato un rischio maggiore di contrarre qualche patologia.
La prima perizia1 venne eseguita dal gruppo di ricercatori guidata da Adriano Chiò, neurologo ed
epidemiologo dell'Università di Torino, mentre la seconda2 da Stefano Belli, epidemiologo dell'ISS,
che affiancai per la discussione dei dati nell'ambito neurologico. Entrambi gli studi mostrarono un
maggior rischio di SLA nei calciatori professionisti italiani rispetto alla popolazione generale.
Che tipo di perizie vennero eseguite?
La perizia di Chiò è stata condotta su un cluster di 7.325 calciatori professionisti italiani che hanno
giocato in serie A e B negli anni 1970-2001. In questo studio sono stati analizzati i casi incidenti,
cioè vivi al momento in cui è stata fatta la diagnosi.
Lo studio invece dell’ISS è stato condotto su un campione molto più ampio, 24.000 giocatori dal
1960 al 1996, ed includeva anche i giocatori della serie C oltre a quelli della A e B. In questo caso
l'indicatore considerato non è stato l'incidenza ma la mortalità.
Entrambi gli studi sono stati pubblicati nel 2005 in seguito al benestare del procuratore Guariniello.
Uno studio complesso e difficile immagino...
Molto complesso, estremamente difficile, ed effettuato su tutto il territorio nazionale. Si pensi solo
che per avere a disposizione l'elenco completo dei giocatori sono stati acquisiti gli album delle
figurine Panini poiché la FIGC non ha mai collaborato con la Procura della Repubblica. Per
verificare quanti giocatori del cluster fossero deceduti, sono stati creati dei link rispetto a quelli che
pagavano le tasse; quando hanno smesso di pagarle, i carabinieri sono andati presso i comuni di
nascita dei calciatori per verificarne il decesso ed acquisire quindi i certificati di morte.
Dal cluster di 24.000 calciatori sono stati poi individuati i deceduti con causa di morte accertata.
Incrociando i dati acquisiti con l'andamento medio di causa di morte rispetto alla popolazione
generale, ci siamo trovati davanti ad un fulmine a ciel sereno... Nessuno poteva immaginare che
potessero uscire risultati di questo tipo.
Viva la Vita Onlus -­‐ Associazione di familiari e malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica Ufficio stampa a cura di Simonetta Tortora | Cell. 338 5906833 | Mail [email protected] | Web www.wlavita.org 1
Che genere di risultati?
Dallo studio di Chiò, il rischio di SLA nei calciatori delle serie A e B registrato è di circa 7 volte
maggiore rispetto alla popolazione generale, dai dati dell'ISS il valore sale a 11 volte.
È interessante analizzare anche tutte le altre cause di morte e si è riscontrato, ad esempio, che c’è un
eccesso di alcuni tumori all'apparato digerente di circa 2 volte in più rispetto alla popolazione
generale.
Le fasce di età colpite sono spostate verso quelle giovanili - quindi c'è una precoce insorgenza della
malattia -, sono prevalentemente di forma bulbare e tutte di forma sporadica: fattori peggiorativi e
non in linea con l'andamento della SLA nella popolazione generale.
Bisogna sottolineare che i cluster sono di circa 7.500 delle serie A e B e di 24.000 delle serie A, B e
C: la loro numerosità è statisticamente affidabile rispetto al fenomeno.
Per comprendere l'entità di questi numeri, qual è la soglia minima per la quale in medicina si
genera allarme?
Quando si parla di 11 volte in più, o anche di 7 volte in più, in medicina sono fenomeni notevoli e
bisogna un po’ entrare in questa dimensione di quante volte in più per comprenderne l'entità.
Per la medicina il 2, 3 volte in più del normale è soglia di allarme. Ad esempio, chi è iperteso ha
una probabilità doppia di andare incontro all’ictus rispetto a chi non lo è, ed è questo il motivo
principale per cui si prescrivono antiipertensivi a questi soggetti, proprio per abbattere la probabilità
di incorrere nell'ictus.
Quando si parla di 7 o 11 volte in più stiamo oltre ogni soglia di allarme.
Mi permetta una digressione sul tema del doping. L'inchiesta di Guariniello è iniziata
soprattutto per verificare se il doping abbia avuto un ruolo...
Non c'è nessuna evidenza al momento disponibile che associ l'uso di sostanze dopanti nel calcio
all'aumento del rischio di contrarre la SLA tra i calciatori professionisti. L’impossibilità di dare
delle risposte deriva anche da alcune difficoltà nell’acquisizione di dati fondamentali, prima tra
tutte quella sulle sostanze realmente usate dagli atleti, la modalità di somministrazione e la
posologia precisa.
In realtà sono state formulate delle ipotesi sulle cause che, però, rimangono tali fintanto non si
approfondiscono gli studi. Sembra che molti giocatori abbiano assunto elevate dosi di
antiinfiammatori, amminoacidi ramificati per endovena, antidolorifici, anche sostanze dopanti, ed è
come se i sistemi biologici fossero stati spinti al massimo e le persone più fragili e predisposte si
fossero ammalate. La causa potrebbe quindi essere dovuta da questa combinazione di eventi. È una
matassa che va districata e solo la ricerca può dare una risposta.
Allora esiste in qualche modo una relazione tra calcio e SLA?
I due lavori sono stati pubblicati nel 2005, stiamo nel 2010 ed in 5 anni nessuno studio ne ha
confutato i risultati. La regola che si dà la comunità scientifica è che se si alza qualcuno e dice
“guardate, avete sbagliato tutto, ci sono degli errori e ve lo dimostro”, il lavoro decade; questo
invece non è accaduto e i due lavori restano, dal punto di vista scientifico, validi.
Si può pertanto affermare che una relazione tra calcio e SLA esiste.
Un dato di fatto è che i calciatori italiani si ammalano e muoiono più di SLA rispetto al resto della
popolazione generale e non sappiamo ancora il perché. Il calcio non causa assolutamente la SLA,
ma si può dire che probabilmente nel calcio convivono tutta una serie di fenomeni che, messi
insieme, costituiscono un grande rischio per i soggetti predisposti e più fragili.
Può apparire come una minaccia per chi si avvicina al calcio, tuttavia anche se una relazione sembra
emergere non si può criminalizzare questo sport.
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Ultimamente però sono stati espressi pareri difformi, partendo dai risultati di un importante
studio di ricerca di base che ha in parte finanziato la FIGC...
La FIGC ha finanziato un gruppo autorevole del Policlinico Gemelli di Roma il quale ha pubblicato
un lavoro sul polimorfismo del recettore dell’acetilcolina. Uno studio importante che, però, non ha
nulla a che vedere con il rapporto tra calcio e SLA. Una cosa è finanziare la ricerca sulle cause della
SLA in generale, sulle possibili terapie, sul miglioramento dell’assistenza, tutte ricerche nobilissime
che andrebbero incentivate sempre di più; un'altra è finanziare la ricerca sul cluster dei calciatori
affetti da SLA. Sono due cose diverse.
Si può dire che la SLA è una malattia professionale?
La domanda è più che lecita visto che il rischio di contrarla è di circa 11 volte in più rispetto alla
popolazione generale.
Dalla pubblicazione del 2005, ci sono stati altri aggiornamenti?
Guariniello ha richiesto a Chiò un altro aggiornamento del cluster, fermo al 2001, sino al 20053. Il
risultato è che la stima del rischio è invariata, 7 volte in più rispetto alla popolazione generale. Per il
cluster dell'ISS di 24.000 calciatori, invece, la Procura della Repubblica di Torino ha ritenuto
opportuno non aggiornarla.
Perché?
Credo perché l'attenzione è stata concentrata prevalentemente sul doping, e quindi sulle serie A e B;
ma se si vuol capire qualcosa di questo fenomeno è necessario approfondire gli studi sulla serie C e
concentrarsi, in egual misura, su tutti i possibili fattori di rischio.
Dallo studio dell'ISS, è possibile identificare quanti giocatori sono deceduti a seguito della
SLA?
Nello studio, ripeto, effettuato su un cluster di 24.000 giocatori delle serie A, B e C dal 1960 al
1996, sono emersi 8 casi di decesso per SLA con un aumento del rischio di 11 volte maggiore
rispetto alla popolazione generale.
Abbiamo richiesto a Guariniello il numero di decessi dal 1996 al 2004, dato inserito nella
discussione dell'articolo, ed incredibilmente risultavano altri 16 casi.
Non è stato possibile stimare l'aumento del rischio a partire dal 1996 per mancanza di ulteriori
informazioni, ma è altamente probabile che abbiamo intercettato l'inizio di una curva epidemica.
Il che significa che in 36 anni l'ISS ha rilevato 8 decessi per SLA, mentre in soli 8 anni
addirittura 16?
Sì, in totale 24 casi. Ora, quello che stride in tutta questa vicenda è che l'aggiornamento dello studio
di Chiò, di ottima qualità e assolutamente attendibile, rileva un rischio invariato pari a 7 volte di
più, mentre l'ISS ha intercettato un aumento imprevisto.
È quindi intuibile che una quota rilevante di calciatori affetti da SLA provenga dalla serie C.
Concentrare l’attenzione solamente sulle serie A e B può essere un grave errore.
Questo aumento degli ultimi anni non potrebbe dipendere da una migliore capacità
diagnostica?
No poiché i decessi attesi per SLA, negli anni, tengono conto anche di questo fattore.
È difficile da credere che questo sia un fenomeno tutto italiano. Cosa accade per esempio nel
resto dell'Europa?
Questi italiani sono gli unici studi condotti al mondo sui calciatori professionisti.
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L'interrogativo che ha sollevato Guariniello, tant’è che voleva coinvolgere Michel Platini, è perché
in altre parti di Europa non si fanno studi analoghi. Il fatto è che sono studi costosi e molto
complicati in cui devono convivere due figure che molto difficilmente si mettono intorno ad un
tavolo, e cioè l'epidemiologo ed il neurologo.
In definitiva viene ancora considerato un fenomeno italiano, però sarebbe estremamente importante
capire se è un fenomeno specifico o se invece questa tendenza si riscontra anche in altri paesi.
A parte il cluster dei calciatori professionisti, esistono studi analoghi in altre categorie
sportive?
Da alcuni studi americani si è riscontrato che probabilmente nel football c’è un rischio analogo a
quello riscontrato nel calcio in Italia.
Ritornando in Italia, invece, su mandato della Procura della Repubblica di Torino il gruppo di Chiò
ha eseguito altri due studi epidemiologici di cluster, rispettivamente su 1.700 ciclisti tra il 1945 e il
2001 e su 1.971 giocatori di basket tra il 1980 e il 2003. Entrambi gli studi non hanno evidenziato
alcun caso incidente di SLA ed i risultati sono riportati nella discussione dell'articolo di
aggiornamento dello studio di Chiò3. I dati però sono suggestivi ma non particolarmente attendibili
in quanto il campione è troppo esiguo. Per poter affermare che realmente non c'è associazione tra
basket, ciclismo e SLA era necessario arruolare nello studio almeno 7.000, 8.000 sportivi per
categoria, ma ciò non è stato possibile. Si può affermare che non esiste un rischio probabilmente
della stessa entità dei calciatori, ma nulla di più.
Lo studio portato avanti dall'ISS ha poi avuto altri aggiornamenti? Cosa è accaduto negli
ultimi 5 anni, cioè dalla pubblicazione dell'articolo del 2005?
Tutta la comunità scientifica italiana, in 5 anni, non ha prodotto più nulla.
In Italia non c’è un bando di ricerca destinato alla comprensione del fenomeno dell’eccesso di SLA
tra i calciatori. Non c’è. È questo il problema.
Un gruppo di ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Istituto Superiore per la Sicurezza e
la Prevenzione del Lavoro, del quale faccio parte, ha deciso di ripartire da zero ricostituendo il
cluster con gli album delle figurine Panini e mettendo da parte, quindi, il lavoro fin qui svolto
poiché condotto nell’ambito di un’inchiesta giudiziaria i cui dati sono coperti da segreto istruttorio.
Ma il problema vero è il finanziamento della ricerca sul cluster dei calciatori, per la quale ad oggi
non c'è interesse e quindi non vi sono risorse.
Si può affermare che questa vicenda è stata ampiamente sottovalutata?
Abbiamo per le mani uno dei più grandi cluster della storia della medicina, con un fenomeno molto
probabilmente in aumento, una sorta di esperimento naturale che è avvenuto o sta ancora avvenendo
e nessuno muove un dito.
Sono passati troppi anni e c’è un silenzio mostruoso.
Quale sarebbe dovuto essere, secondo lei, il corretto approccio della comunità scientifica, della
magistratura, del mondo dello sport e soprattutto delle persone nei ruoli di comando nel
momento in cui sono stati resi noti questi risultati?
In un Paese civile sarebbero stati stanziati dei finanziamenti ai quali tutta la comunità scientifica,
nazionale ed internazionale, avrebbe dovuto concorrere con le idee per capire l’origine di questo
fenomeno mettendo a disposizione di tutti i ricercatori i campioni biologici, le storie cliniche dei
calciatori e quant'altro. I magistrati avrebbero dovuto mettere in condizioni i ricercatori di lavorare
e soprattutto si sarebbe dovuto creare un vero lavoro di squadra con il clinico, l'epidemiologo, il
ricercatore di base, l'istologo e tutte quelle figure che possono dare il loro contributo, ognuno nel
proprio settore. Tra giocatori incidenti e deceduti per SLA, in totale sono stati analizzati 43 casi: è
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fondamentale conoscere nel dettaglio la loro storia clinica, i loro trascorsi ed il loro stile di vita,
soffermandosi in particolar modo sul Como calcio, la squadra che ha registrato 6 casi, la stessa
squadra in cui ha militato Stefano Borgonovo.
La malattia è complessa e con predisposizione genetica e, probabilmente, per scoprire le origini di
questo fenomeno non ce la farà mai un solo ricercatore competente in un solo ambito, ma è
necessario condividere gli studi e unire le forze.
Tutto questo non è stato fatto. Al di là di Chiò e dei farmacologi periti di Guariniello, tutta la
comunità scientifica è estromessa da questo. Non si può tenere la comunità scientifica in silenzio
per 10 anni. È inaccettabile.
La maggior parte dei malati di SLA non ha mai giocato a calcio. Quanto è comunque
importante questa ricerca per l'intera comunità dei malati?
Dal punto di vista della semplificazione giornalistica, molti pensano che la SLA sia la malattia dei
calciatori. In realtà i calciatori che hanno contratto la SLA sono circa l'1% sul totale dei pazienti, il
che significa che la maggior parte degli ammalati non ha mai giocato a calcio ma ha la SLA. Non si
può banalizzare dicendo che il calcio fa venire la SLA, bisogna però ragionare al contrario: vi è un
esperimento naturale che non sappiamo se è ancora in corso, le cause non le abbiamo identificate ed
è vitale approfittare di questo momento per indagare con tutti gli strumenti a disposizione.
Se si riesce a comprendere il perché questi calciatori si ammalano di SLA, probabilmente si riesce a
comprendere perché gli altri 99% si ammalano di SLA.
In medicina c’è una regola molto semplice: se si studiano i fenomeni rari si comprende l’origine dei
fenomeni più frequenti. Quindi, riprendendo questa legge e riconducendola ad una malattia rara
come è la SLA, se si studia un fenomeno raro ma molto frequente in un sottogruppo della
popolazione, queste informazioni possono essere utili per il resto della popolazione. Se riusciamo a
comprendere quei motivi, o ci avviciniamo a comprendere l’origine di questo fenomeno,
probabilmente ci avviciniamo alle cause della SLA.
Questo è il messaggio più importante che pochissimi hanno compreso.
Nelle ultime cronache ha fatto molto scalpore un numero: un rischio pari a 24 volte superiore
rispetto alla popolazione generale...
È lecito affermare che i calciatori professionisti italiani si ammalano e muoiono di SLA 24 volte in
più rispetto alla popolazione generale.
In conclusione, cosa sogna in un prossimo futuro?
La grande disinformazione di questi anni è di aver banalizzato questi dati.
Mi piacerebbe chiudere gli occhi, riaprirli e pensare che ci siano almeno trenta ricercatori in Italia
che contemporaneamente stiano studiando questo fenomeno, che avessero finanziamenti e persone
a sufficienza per portare avanti una ricerca seria su questo fenomeno. Perché veramente abbiamo
davanti un’occasione d’oro e ci sta passando sotto il naso, e più passa il tempo e peggio è.
1. Chiò A, Benzi G, Dossena M, Mutani R, Mora G. Severely increased risk of amyotrophic lateral sclerosis among Italian professional football players. Brain 2005; 128: 472-­‐6. 2. Belli S, Vanacore N. Proportionate mortality of Italian soccer players: is amyotrophic lateral sclerosis an occupational disease? Eur J Epidemiol 2005; 20: 237-­‐42. 3. Chio A, Calvo A, Dossena M, Ghiglione P, Mutani R, Mora G. ALS in Italian professional soccer players: the risk is still present and could be soccer-­‐specific. Amyotroph Lateral Scler. 2009; 10:205-­‐9. Viva la Vita Onlus -­‐ Associazione di familiari e malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica Ufficio stampa a cura di Simonetta Tortora | Cell. 338 5906833 | Mail [email protected] | Web www.wlavita.org 5