UN RAGGUAGLIO SUL SIMBOLICO "Andar dietro a un segno

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UN RAGGUAGLIO SUL SIMBOLICO "Andar dietro a un segno
U N R A G G U A G L I O SUL S I M B O L I C O
"Andar dietro a un segno...scambiandolo per la cosa a
significare la quale è stato stabilità, è servitù della carne».
L'ammonimento di Agostino, tratto dal De dottrina Christiana sulla possibile confusione fra res e sìgnum riprende
un luogo ben noto della riflessione platonica che, mediata
attraverso Plotino, percorre costantemente, riaffiorando
in modo non sistematico, t u t t o il percorso del M e d i o
Evo, incrociandosi con un sentire anti-idolatra caratteristico del m o n d o orientale, nella sua versione sia araba, sia
greco-bizantina. M a sul problema, in particolar m o d o legato alle arti figurative, alla pittura e alla scultura, si può
fare riferimento al saggio di Maurizio Bettini «Tra Plinio
e sant'Agostino: Francesco Petrarca sulle arti figurative»
in Memorie deWantico nell'arte italiana, I . che offre anche
due significativi passi del De remediis ( I 40, 4 l ) in cui viene
contrapposto l'amore per la pittura e per le «statue d i p i n te» o di materiale prezioso all'unica attenzione nobile, che
è quella della salvezza. E accenti non dissimili, incentrati
sull'ammonimento a non lasciarsi fuorviare dalle apparenze, dalla fisicità o dalla bellezza del simulacro per rivolgere l'attenzione al soggetto vero sarà celata i n una immagine lignea senese della fine del X I V secolo d i Landò di
Pietro (Carli, 1954).
La condanna agostiniana delle arti imitative, instìtuta
«superflui e dettati dal lusso», giunge al termine d i una r i cognizione sull'attività comunicativa dell'uomo svolta
nel già citato De dottrina Christiana e ha alle spalle la teoria
dell'imitazione platonica e nel presente un uso sociale del
simulacrum i n ambito politico e religioso che la nuova sensibilità deve assolutamente respingere e che viene estesamente frequentata dalla letteratura apologistica. N e può
essere un significativo esempio il Discorso a Diogneto, composta da autore ignoto alla metà del secondo secolo. La
contrapposizione fra la nuova e la vecchia fede riprende
temi e accenti centrati sulla «fisicità» degli idoli: «Non sono forse pietra, come quelle che calpestiamo, o bronzo,
non più fine di quello dei nostri utensili, o legno, forse
già marcio? N o n sono forse argento che bisogna custodire dai ladri, o ferro consunto dalla ruggine, o argilla, non
migliore di quella destinata ad usi vili? ...Che altro sono
essi se non cose cieche, sorde, inanimate, insensibili, i m mobili? N o n finiscono tutte in putrefazione o distruzio-
ne? Queste cose v o i chiamate dei, a queste servite, queste
adorate e finite per farvi simili a esse» (Discorso a D i o gneto, 2).
La fisicità dell'oggetto di culto, la sua corruttibilità,
ancora la sua dipendenza dall'abile lavoro dell'artigiano
che può, come ha realizzato la statua dell'idolo, creare dal
medesimo materiale una nuova immagine, un nuovo
strumento: sono questi aspetti materiali e la dichiarata
sudditanza dell'uomo a essi che l'apologista rinfaccia e
mette a confronto con la superiorità «spirituale» del nuovo D i o . A conclusioni non dissimili giunge Ottavio, protagonista d e l l ' o m o n i m o dialogo di M i n u c i o Felice in contraddittorio con il pagano Cecilio e l'arbitro Marco, lo
stesso autore; g l i idoli e i simulacri degli dei sono abitati
da spiriti i m p u r i che possono suggestionare e distrarre
l'animo del vero credente, «allontanandolo dal vero D i o
verso g l i dei fatti di Materia» (cit., cap. X X V I I ) . M a accanto a influssi del maligno possono esservi altre attrattive che aspingono all'idolatria: «Chi può allora dubitare
che se i l volgo prega e rende un pubblico culto alle immag i n i consacrate di quegli dei, è perché l'opinione e lo spirito della gente incolta sono sedotti dalla bellezza artistica
e, abbagliati dal luccichio dell'oro, si lasciano affascinare
dal brillare dell'argento e dalla bianchezza dell'avorio»
(cit., cap. X X I V ) . Come è noto g l i argomenti sulla attrattiva che la bella forma e i l materiale prezioso possono
esercitare sull'animo del fedele che M i n u c i o Felice espone
agli esordi del I I I secolo, avranno successivamente, direttamente o indirettamente una fortuna significativa, quando una vena pauperistica di Bernardo riediterà i l verso pagano dello scandalo dell'«oro nel tempio», o quando, nel
già citato passo del De remediis, Petrarca si sentirà rimproverare analoghi apprezzamenti.
M a l'atteggiamento polemico di O t t a v i o si rivolge
non solo al lusso; con felice consonanza con quanto già
affermato dal Discorso a Diogneto è la schiavitù dell'adorazione di una immagine materiale - in questo non importa
ricordare i diffìcili modelli di virtù costituiti dal Pantheon
pagano altrove ricordati nel dialogo - che si presenta agli
occhi dell'oratore come scandalosa: «Un dio di legno, i n fatti, forse avanzo d i un rogo o d i un tronco maledetto, è
drizzato, tagliato, squadrato, piallato. 11 dio di stagno o di
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argento, tratto sovente da un i m m o n d o vaso, come fece
un re egizio, è fuso, battuto coi martelli e levigato da un
uomo dissoluto, ed è insensibile all'oltraggio che g l i proviene dalla nascita, come poi al culto resogli dalla vostra
venerazione» (cit., cap. X X I V ) .
L'insistenza con cui il lavoro artigianale viene seguito
nelle sue diverse fasi, la contaminazione che la materia
può aver conosciuto prima di essere manipolata dall'artigiano, schiacciano l'immagine e la materia con cui è composta nell'universo inferiore delle cose.
Il riferimento essenziale è l'ammonimento biblico
espresso in Levitico 26,1-2 che contraddistingue una sensibilità antidolatra comune nell'esperienza orientale:
«Non v i farete idoli, né v i erigerete i m m a g i n i scolpite o
stele, né permetterete che nel vostro paese v i sia pietra ornata di figure, per prostrarvi davanti a essa; poiché io sono i l Signore vostro Dio». E l'ammonimento può giungere alla distruzione dei luoghi di culto e delle immagini sa¬
cre delle altre nazioni ( D e u t e r o n o m i o 12,2-3) o può leggere, come nelle visioni di Ezechiele (8,10-11), la pratica
idolatra adottata dagli anziani della casa d'Israele segnale
fra i più infami della corruzione.
I l problema dell'immagine sacra, della sua disciplina
avvenuta nel I I concilio di Nicea, la diversa sorte che i l
problema potrà conoscere in Occidente e in Oriente sono
temi t r o p p o ampi per essere affrontati in questa sede: alcuni spunti saranno svolti nel successivo ragionamento
tipologico; in questa fase era utile ricordare il diffìcile
esordio dell'immagine cristiana delle origini, la presenza
di una corrente antidolatra che ricorre, mai sconfìtta definitivamente, anche quando una esperienza plastica cristiana si sarà definitivamente affermata.
Può esservi, d'altra parte, un uso «pio e discreto»
dell'immagine dipinta e scolpita; sia pure in m o d o cauto
è Io stesso Agostino a affermarlo, quando l'apprezzamento dell'oggetto non faccia dimenticare la sua convenzionale natura di «segno», di strumento per una intelligenza.
E, col mutare dei tempi e l'inoltrarsi nei p r i m i segnali della rinascita, la stessa abilità tecnica conoscerà una significativa rivalutazione: L'affermazione di Gregorio Magno
sull'equivalenza fra «fìngere» e «comporre» rinnova un i n teresse per l'artificiale, la tecné greca divenuta ars, altrettanto radicato nel pensiero antico: «Fingere namque componere dicimus; unde et compositores l u t i fìgulos vocamus» (Leclercq, p. 170): i l vasaio è un compositore, un
manipolatore della realtà naturale, i n sintonia con i l suo
creatore.
In una descrizione delle terre dissodate dai monaci d i
Thornay, G u g l i e l m o di Malmesbury così registra i cambiamenti avvenuti per i l lavoro umano, completamento
di quello della creazione: «Un'immagine del paradiso, che
nella sua bellezza fa già pensare al cielo. Proprio i n mezzo
alle paludi, una terra piana come i l mare, feconda di alberi
che coi tronchi lisci si slanciano superbi verso i l cielo, attira g l i sguardi per la verde china delle sue erbe; chi cammina per i campi non trova ostacoli... Natura e coltura ga
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reggiano; ciò che quella dimentica, questa produce... Si
può dire in verità che quell'isola è dimora della castità,
abitazione dell'onestà, scuola di chi ama la sapienza divina» (cit., p. 172).
I piani del discorso, dal letterale al simbolico, all'anagogico, sono volutamente mischiati in quanto i sensi di
interpretazione della realtà, mutuata da quella delle «scritture» «concatenati sunt ad invicem» ( D e Lubac, p. 1167).
E questo nocciolo interpretativo del mondo che cerchiam o sinteticamente di richiamare in quanto la divinità che
sarà oggetto della scultura medioevale è al vertice di questa riflessione, punta più alta e nello stesso tempo apice
«diverso» rispetto al resto del creato. «Le creature d i questo m o n d o sensibile significano g l i attributi invisibili d i
D i o ; perché D i o è l'origine, il modello e il fine di ogni
creatura, e ogni effetto designa la sua causa, ogni immagine il suo modello, ogni via i l termine dove conduce».
Così Bonaventura di Bagnoregio accentua il particolare
«realismo» che i l m o n d o medioevale esprime.
«L'osservazione degli animali e dei loro costumi denota a volte un certo senso dell'osservazione e le allegorie
del Bestiario si sovrappongono spesso alle cose viste. N e l la natura, t u t t o è simbolico. I simboli derivano dalla tradizione biblica e patristica, sia dalla tradizione classica. M a
t u t t i hanno una risonanza morale. Questo è particolarmente evidente nell'ammirabile toponimia cistercense: i
nomi simbolici di quasi t u t t i i monasteri antichi evocano
la luce, la pace, la gioia. N o m i di luogo che erano talvolta,
all'origine, solo n o m i d i un fiume o d i un proprietario
della terra, sono trasformati per esprimere una realtà spirituale... N o n si ammira un paesaggio al chiaro di luna;
ma si vede i n questa il simbolo dei misteri più profondi.
Così pure i n opere come l ' H o r t u s deliciarum... tutte le
virtù sono insegnate attraverso i fiori che abbelliscono un
giardino spirituale. M a i l significato dei fiori e dei frutti
deriva, più che dalla loro bellezza, dalla loro composizione organica e dalle loro proprietà. Senza dubbio m o l t i
monaci occidentali non avevano grandi occasioni d i vedere la mandragora, i l nardo o i l melograno; ma anche le
piante che potevano vedere, essi le guardavano attraverso
le descrizioni che g l i autori ne avevano fatto» (Leclercq,
pp.
172-173).
L'ingombrante e rassicurante presenza nella cella del
monaco delle Auctoritates, eredità o l t r e t u t t o di un passato
che viene alternativamente amorevolmente riletto o abbandonato per una più radicale ascesi, e l'osservazione diretta, anche empirica che porterà alla fioritura del X I I I secolo, alla sistemazione originale di una logica d i un Roberto Grossatesta, di Duns Scoto e di Tommaso d ' A q u i no, si sposano nell'omogeneizzante attenzione al simbolico, alle qualità «figurali» della realtà. M a la svolta appena
accennata, i l c o n f l i t t o cioè fra «res» e concetti sarà successivamente discussa. A l presente è più o p p o r t u n o ritornare ai quattro sensi delle scritture e al loro intreccio. I n una
riflessione relativa a una scena guerresca di assedio di una
città presente nel Salterio di Sant'Albano (Hildesheim) il
passaggio dal letterale al piano morale, di una prima tropologia, viene espresso attraverso la contrapposizione fra
gli avverbi corporaliter e spiritualiter, fra ciò che è immediatamente comprensibile dai sensi e quanto invece attiene
alla riflessione guidata dalla carità: «Quel che l'immagine
vi mostra corporalità', deve essere preso spiritaci'l'iter; le lotte a cui v i fa assistere i l disegno, richiamano la lotta che
voi dovete combattere contro il male» ( D e Lubac, p.
993). La contrapposizione dei due avverbi corrisponde al
rapporto fra letterale e tropologico: l'elemento interessante è costituito dalla capacità dell'immagine a «richiamare», partendo dal dato narrativo elementare, il senso
profondo; questo «richiamo», questa catena di senso che
oggi p o t r e m m o laicamente definire «associativo», risulta
invece agli occhi dell'esegeta un passo necessario i n uno
«speculare» rapporto fra ciò che accade, ciò che è accaduto
e ciò che accadrà; si v u o l dire in altri termini che ciò che
viene rimesso in discussione dalla riflessione simbolica
dei quattro sensi è i l concetto stesso di tempo e i l nesso d i
causalità, risultando i l piano della storia mondana intersecato e condizionato da quello ben più ingombrante del
divino, i n una paradossale concatenazione che ha i l suo significato u l t i m o nella radicalità del giudizio finale, della
continuità dopo la discontinuità. Alla contrapposizione
della coppia «corporaliter-spiritualiter» si può aggiungere
una seconda coppia, «generaliter-specialiter» che designa
la rispondenza fra una azione o una qualità che si può
adattare, o è stata adattata, a un episodio o a un soggetto
contingente, e può essere estesa appunto alla generalità,
di tempo e di i n d i v i d u i . I I processo può essere variamente
adattato alle diverse circostanze: può essere la persona
«speciale» che è al posto della collettività come affermato
da Tommaso a proposito del Fiat d i Maria all'angelo annunziarne (Gilson, p. 425) ma può contrapporre il singolo all'istituzione: «Quod generalìter de cuncta Ecclesia d i ximus, nunc speciali'ter de unaquaque anima sentiamus» afferma Gregorio; e analogamente si esprime Letberto di
Saint-Ruf: «Haec quae de Ecclesia dieta sunt, unusquisque nostrum ad se referre potest». Alla rottura della temporalità prima indicata si aggiunge la mescolanza dei soggetti; così Maria può essere, i n una successione cronologica legata al culto in Occidente di rilevante interesse, identificata con la «Sposa» del Cantico dei Cantici, diventare
successivamente «Sedes sapientiae», "figura" della Chiesa
e, associata infine al Figlio, in posizione superiore rispetto
alla Chiesa stessa. M a sul caso particolare, o meglio «Nostro speciale decoro, fiore speciale di tutte le donne, trapiantato nella curia celeste! LInica regina, Vergine speciali" come predicano dei cantici medioevali anonimi, occorre ricordare come «i tre sensi figurati della Scrittura,
l'allegoria che si riferisce alla Chiesa, la tropologia che
concerne l'anima e l'anagogia che ci trasporta nei cieli,
convengono in un vertice che li sorpassa t u t t i per disegnare quella meraviglia unica che è Maria» come predica
Bonaventura in una sua meditazione ( D e Lubac, p. 436).
Il meccanismo simbolico appena individuato si racco-
glie i n una delle figure vertice dell'immaginario medioevale, come d'altra parte avverrà anche per Cristo; in questo frangente comunque è importante riferirsi brevemente al sistema simbolico i n atto. A l c u n i esempi possono essere sufficienti. Commentando i l passo biblico della creazione del M o n d o , Tommaso d ' A q u i n o , che cronologicamente costituisce i l regolatore di una intensa e complessa
attività riflessiva espressa dalla teologia dei padri della
Chiesa e dalla cosiddetta «teologia monastica» a cui abbiam o fatto costante riferimento in queste pagine, afferma
ordinatamente. «Per h o c e n i m quod dico, -fiat lux», ad litteram de luce corporali, pertinet ad sensum litteralem. Si i n telligatur, "fìat lux», id est, nascatur Christus in Ecclesia,
pertinet ad sensum allegoricum. Si vero dicatur, «fiat lux-, id
est, ut per Christum introducamur ad gloriam, pertinet
ad sensum anagogicum. Si autem dicatur «fiat lux», id est,
per Christum i l l u m i n e m u r in intellectu et inflammetur in
affectu, pertinet ad sensum moralem» ( D e Lubac. pp. 1159¬
60). L'esposizione di Tommaso giunge piana e elementare, ma la «selva» e la ramificazione dei simboli nella riflessione teologica conosce complicazioni e ricchezze cui
possiamo solo di sfuggita fare riferimento. E i l caso
dell'interpretazione di un passo dell'Ecclesiastico: «Qui
creavit me requievit i n tabernaculo meo», compiuta da
Bonaventura: i l passo «secundum intellectum litteralem
convenit virgini Mariae, in cuius tabernaculo requievit
D o m i n u s corporaliter. Secundum allegoricum convenit
m i l i t a n t i Ecclesiae, in cuius tabernaculo requiescit D o m i nus sacramentaliter. Secundum moralem convenit fideli
animae i n cuius tabernaculo requiescit D o m i n u s spiritualiter. Secundum anagogicum convenit cadesti curiae, i n
cuius tabernaculo requiescit sempiternaliter» ( D e Lubac.
p. 1160). La «concretezza» del letterale, la presenza «sacramentale», la presenza «spirituale» ( i due concetti sono evidentemente distinti) e infine il carattere «eterno», capace
cioè d i superare le soglie del tempo e del contrasto materia/spirito nell'anagogico. I n questo m o d o si saldano altre
contrapposizioni e distinzioni cui abbiamo fatto riferimento. Come nota H e n r i De Lubac nel suo Esegesi medioevale cui si rimanda per una appassionata indagine sull'affermazione dei «Quattro sensi della scrittura», il simbolo
che conoscerà nella patristica e nella teologia monastica
fino a Tommaso, la fortuna più estesa sarà quella di Gerusalemme, la nuova «Urbs-mondo» i n contrapposizione e
in continuità singolare con la Roma fracta, rinnovando in
questo m o d o un sentimento d i contiguità con la vecchia
Civitas d i indubbia suggestione. M a questi sono problemi
per cosi dire laterali rispetto ai caratteri generali del sistema simbolico cui v o g l i a m o succintamente fare riferim e n t o come p r e - c o n d i z i o n i d i una attività simbolica e
ideologica legata alla «finzione» e al simulacro. D'altra
parte p r o p r i o questo sistema interpretativo caratteristico della riflessione teologica sembra legittimare incursioni nel campo d e l l ' i m m a g i n a r i o verbale, senza con
questo giungere ad una identità, una miracolosa rispondenza fra arte d e l l ' A l t o Medioevo e ideologia cristiana
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t o m e invece afferma in modo inequivocabile i l grande
'•ari ha >I< >g< > del m i >nd< > r< «manico e g» •fico, I [enri Focillon quando afferma, nel suo L'ari des sculpteurs romans che
«la plastica monumentale nei secoli X I e X I I non è né un
aspetto lontano e come provinciale delle arti dell'Oriente; né una degenerazione dell'arte ellenistica. L'arte romanica crea l'umanità di cui ha bisogno. Ma questa non è per
lei né servile né grossolana. Se ne compiace come di un
aspetto del pensiero di D i o . L ' u o m o romanico non è né la
discendenza né la scoperta, dopo secoli di oblio, dell'uom o a n t i c o - . Evidenti in Focillon le preoccupazioni di affermare perentoriamente una originalità del m o n d o medioevale rispetto a una critica romantica, amante del favolistico o a un «pregiudizio» classicistico, capace d i cancellare il laboratorio medioevale come «intervallo» del «bestiale» fra la nascita e la rinascita del bello.
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