Azioni - Update Magazine

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Azioni
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Update II/2014
Azioni:
la “nuova opzione sicura”
In un orizzonte d’investimento di lungo periodo le azioni
sono più “sicure” rispetto alle obbligazioni governative con
rating elevati. Tutto dipende dal punto di vista.
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AZIONI
AUTORI: HANS-JÖRG NAUMER & DENNIS NACKEN
L’azione: storia di una crescita
La lunga storia di successo delle azioni non ci sorprende negli
ultimi 200 anni il benessere soprattutto nei paesi sviluppati è
cresciuto enormemente. E con la crescita di lungo periodo si
ha per lo più una crescita degli utili a vantaggio l’azionista.
Uno sguardo al passato degli USA – che dispone di una storicità
maggiore rispetto agli altri paesi e dal quale si possono trarre
numerosi insegnamenti – mostra i seguenti fatti. Il valore nominale
degli utili d’impresa dal 1871 è cresciuto di ca. il 4 % annuo
nonostante profonde crisi e recessioni.
La crescita degli utili negli Usa è stata accompagnata dall’aumento
dei corsi azionari sui mercati americani. Il valore dell’indice S&P
500 (Standard & Poor’s) nel periodo compreso tra il 01.01.1871 e il
31.12.2013 è passato da 4.44 a 1.843 punti, registrando una
crescita del valore nominale circa del 4,3 % p. a.. Il contributo
derivante dal reinvestimento dei dividendi che hanno guadagnato
in media il 4,4 % circa, è stato significativo per poter ottenere un
total return di oltre 800.000 punti, con un aumento di S&P 500
dell’8,7 % annuo. Con un deposito storico in azioni del valore allora
di 10 dollari USA gli eredi sarebbero oggi milionari con un valore
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patrimoniale circa 1,5 milioni di dollari USA (Grafico 01).
Ma: Le azioni sono più sicure delle obbligazioni?
Questa affermazione effettivamente può sembrare provocatoria,
ma in realtà tutto dipende dalla definizione di sicurezza, o di rischio
adottata dagli investitori, nonchè dall’orizzonte d’investimento
considerato. Generalmente il rischio associato ad un’asset class
è misurato in termini di volatilità.
Se è proprio la volatilità ad essere presa come riferimento per
la quantificazione del rischio, allora le azioni in passato sono
state certamente più rischiose rispetto ad altri investimenti. Le
oscillazioni annuali partivano dal –38 % (del 1932) fino al +66 %
(1862). Al contrario, la massima perdita registrata dai titoli di stato
è stata del –22 % (1864), ma d’altra parte non hanno mai registrato
risultati così brillanti come quelli azionari, raggiungendo nell’anno
migliore un rendimento di “soltanto” +35 % (1982). Il timing
dell’investimento non era irrilevante. Sorprendentemente, anche i
possessori di titoli legati al mercato aureo hanno subito predite
consistenti. I divari delle rendite si sono portati da ca. il –16 % (1948)
a ca. il +24 % nel 1801 (Grafico 02).
Update II/2014
01 AZIONI – UNA „STORIA DI CRESCITA“
Andamento dell‘indice S&P 500 dal 1871
Rendita media (incl. dividendi): 8,7 % p. a.
1.000.000
100.000
10.000
1.000
100
S&P 500 (Tasso di cambio)
10
S&P 500 (Indice della performance)
1
1870
1890
1910
1930
1950
1970
1990
2010
Fonte: Robert J. Shiller Database, calcoli propri, AllianzGI Capital Markets & Thematic Research; 31.12.2013.
I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri e possono risentire negativamente dellle fluttuazioni del tasso di cambio.
“Il valore nominale degli utili
aziendali è cresciuto dal 1871
di ca. il 4 % annuo nonostante
profonde crisi e recessioni.”
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AZIONI
02 RANGE DELLE OSCILLAZIONI DELLE DIFFERENTI ASSET CLASS DAL 1800
Ampiezza delle oscillazioni di S&P 500 dal 1800 (reale p. a.)
un anno
5 anni
10 anni
30 anni
– 40,00 %
Titoli obbligazionari
– 20,00 %
0%
Mercato monetario
20,00 %
40,00 %
Azioni
Fonte: Jeremy Siegel database 1801 – 1900 & Elroy Dimson, Paul Marsh and Mike Staunton 1900 – 2009, Datastream, AllianzGI Capital Markets & Thematic Research; 31.12.2013.
I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri.
10
60,00 %
Update II/2014
“Il rischio: eliminare no,
gestire si!”
Con l’allungarsi dell’orizzonte d’investimento sembra diminuire
l’importanza del timing per gli investimenti azionari. Gli investitori
che negli ultimi 213 anni avessero lasciato i propri risparmi investiti
in azioni per un periodo di cinque anni, per esempio, avrebbero
subito una perdita in 36 casi, e solo in 16 casi considerando invece
un periodo rolling a 10 anni. Per un periodo susseguente di dieci
anni questo si è verificato solo sedici volte. Un calcolo effettuato su
un campione di titoli USA compresi nell’indice S&P 500 illustra
chiaramente questo risultato. La performance è stata misurata a
partire dal 1800 per un periodo rolling di 5 anni (cfr. Grafico 3). Nel
peggiore dei casi, dal 1916 al 1921, è stata realizzata una perdita
media annua di poco superiore all’11 %, mentre nel migliore dei casi
il guadagno ha sfiorato il 27 % (1924 – 1929). È interessante notare
come i titoli governativi a 10 anni abbiano sofferto maggiori periodi
di perdita sui cinque anni. La perdita annua media in questo caso ha
addirittura superato il 10 % dal 1976 al 1981 e dal 1914 al 1919.
Se gli investitori definissero la sicurezza in termini di conservazione
del potere d’acquisto (anche in presenza di tassi di inflazione in
aumento), piuttosto che in base alle oscillazioni delle quotazioni,
storicamente le azioni si rivelerebbero effettivamente “più sicure”
delle obbligazioni lungo un orizzonte di investimento superiore a
10 anni (cfr. Grafico 3). Da un’analisi dei rendimenti rolling medi a
dieci anni emerge infatti che, negli ultimi 213 anni, i valori massimi
negativi registrati dalle azioni sono stati di minore entità rispetto a
quelli riferibili ai titoli governativi sia a breve che a lungo termine.
Nel periodo di picco tra il 1949 e il 1959, un azionista avrebbe
potuto guadagnare mediamente circa il 17 % p. a. in termini reali,
mentre avrebbe perso circa il 4 % p. a. negli anni della Prima Guerra
Mondiale (dal 1911 al 1921) e durante la prima crisi petrolifera (dal
1965 al 1975).
Per contro, i detentori di obbligazioni statunitensi avrebbero
sofferto perdite maggiori, superiori al 5 % p. a. in termini reali, dal
1971 al 1981, periodo di notevole aumento dell’inflazione. In
confronto, la performance negativa del mercato azionario dal 2000
al 2009, legata alla bolla tecnologica ed alla crisi finanziaria, è stata
più moderata (–3 % p. a.).
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AZIONI
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Update II/2014
“Anche la fase più
recente del mercato
azionario trentennale è
stata in grado di reggere
il confronto storico
nonostante le ripetute
turbolenze dei mercati
finanziari.”
Se estendiamo ulteriormente l’orizzonte di investimento,
analizzando periodi rolling trentennali negli ultimi 213 anni
possiamo osservare che i rendimenti reali generati dalle azioni
sono sempre stati positivi. In media, i valori degli asset sono
cresciuti del 6,94 % p. a. al netto dell’inflazione (cfr. Grafico 4).
Il rendimento minimo a 30 anni – generato tra il 1903 e il 1933
– è stato del 2,81 % p. a., mentre il più elevato è stato del 10,6 % p. a.
nel periodo tra il 1857 e il 1887 (per quanto entrambi i periodi
risalgano effettivamente a molto tempo fa). Comunque,
nonostante le forti turbolenze che hanno ripetutamente colpito i
mercati finanziari, l’andamento del mercato azionario negli ultimi
30 anni regge il confronto con i dati storici: se un investitore avesse
comprato azioni USA nel 1983, avrebbe guadagnato intorno al
7,5 % p. a. in termini reali.
Per contro, investendo negli Stati Uniti in titoli del mercato
monetario (T-Bill a 3 mesi) e titoli governativi (Treasury USA
decennali) si poteva correre il rischio di registrare perdite in termini
reali. Per esempio, gli investitori che avessero optato per i depositi
a tasso fisso tra il 1923 e il 1953, e nei successivi periodi trentennali
fino al 1980, avrebbero sofferto una perdita del potere d’acquisto;
lo stesso sarebbe accaduto ai detentori di titoli governativi USA, in
riferimento però al periodo dal 1934 al 1965 e ai successivi periodi
fino al 1985 – l’era della “financial repression”. I depositi a tasso
fisso al massimo avrebbero perso l’1,75 % p. a. (1933 – 1963) e i
Treasury decennali il 2 % p. a. (1950 – 1980).
Affermare che le azioni siano più “sicure” delle obbligazioni
governative è una questione di punti di vista. Una cosa è certa:
sono presenti in quasi tutti i portafogli.
Hans-Jörg Naumer è entrato in Allianz Global Investors nel 2000
come Global Head di Capital Markets & Thematic Research. Le
analisi dell’allocazione strategica e tattica nonché di specifiche
opportunità di investimento e l’elaborazione di trend di lungo
periodo degli investimenti di capitali rappresentano l’aspetto
fondamentale del suo lavoro. Hans-Jörg Naumer è anche
il referente europeo del “Center of Behavioral Finance” di
AllianzGI, con sede negli USA, che si dedica all’applicazione
pratica dell’economia comportamentale. Prima di Allianz Global
Investors, in Société Générale in Germania, ha fatto parte del
team di ricerca francese a supporto degli investimenti della banca
e successivamente è divenuto responsabile della ricerca per la
Germania.
Dennis Nacken è entrato in Allianz Global Investors nell’ottobre
del 2006 e riveste il ruolo di Vice President per i “Family Office”
dove assiste le realtà imprenditoriali dei Family Office. Il settore
“Family Office” fornisce consulenza generale dalla gestione
patrimoniale, alla gestione del rischio nonché nelle asset class più
tradizionali (azioni e obbligazioni) e in tutte le asset class meno
liquide e più di nicchia. Dal 2003 al 2006 Dennis Nacken ha
ricoperto il ruoli di strategist in AllianzGI per Capital Markets &
Thematic Research. Si è occupato non solo delle attuali prospettive
dei mercati internazionali, ma ha redatto diversi studi approfonditi
che sono stati tradotti in diverse lingue. Prima di AllianzGI è stato
analista responsabile del settore chimico e petrolifico in Helaba
Trust. Dennis Nacken ha studiato presso l’Università di Amburgo
VWL e alla Wirtschaftsakademie Hamburg BWL ed è laureato in
Economia aziendale. Ha conseguito il Chartered Financial Analyst
(CFA).
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