LUOGHI E NON LUOGHI DELLE VACANZE È ormai celebre la

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LUOGHI E NON LUOGHI DELLE VACANZE È ormai celebre la
LUOGHI E NON LUOGHI DELLE VACANZE
È ormai celebre la distinzione fra luoghi e non luoghi proposta oltre dieci anni fa dall'antropologo
francese Marc Augé: "Se un luogo può definirsi come identitario, relazionale, storico, uno spazio che
non può definirsi né identitario, né relazionale, né storico si definirà un non-luogo"1.
Sono non luoghi gli spazi relativi al transito e alla circolazione di persone, merci, denaro, informazioni:
le stazioni ferroviarie, gli autogrill, i sotterranei della metropolitana, le sale d'attesa degli aeroporti, ma
anche i supermercati, le banche, le grandi catene alberghiere e ristorative, i campi nomadi e profughi
nelle periferie delle città.
Laddove i luoghi esprimono una storia e un'identità precisa, un genius loci, i non luoghi sono privi di
storia, anonimi, simili gli uni agli altri.
Laddove i luoghi invogliano le persone a stabilire relazioni sociali, i non luoghi si affollano di individui
che non comunicano: la vocazione dei non luoghi non è infatti quella di "creare identità individuali,
relazioni simboliche e patrimoni comuni, ma piuttosto di facilitare la circolazione (e quindi il consumo)
in un mondo di dimensioni planetarie"2.
Laddove i luoghi impongono i loro significati e la loro identità ad abitanti e visitatori, i non luoghi
hanno senso solo per la loro funzione immediata (ristorazione, trasporto, sosta, ecc.) e sembrano per
questo lasciare spazio alla personalità e inventiva di ciascun individuo, mentre invece dettano le stesse
condizioni a tutti.
I non luoghi però non sono una semplice negazione dei luoghi, qualcosa che esiste per sottrazione:
sempre più spesso, infatti, luoghi e non luoghi si compenetrano. Da un lato spiagge, montagne,
monumenti si trasformano inevitabilmente, se troppo frequentati e visti, in non luoghi:
nell'affollamento e nella reiterazione perdono unicità e spessore storico, diventano piatte cartoline.
Dall'altro autostazioni, metropolitane, aeroporti ecc. possono acquisire nel tempo un'identità storica, o
diventare luoghi d'incontro e relazioni umane, con una loro individualità e densità simbolica.
Nella seconda metà del Novecento il turismo ha progressivamente aumentato il numero di spostamenti
di persone nel mondo. Gli statunitensi sono stati i primi a permettersi il viaggio all'estero; negli anni
Sessanta è stata la volta degli europei, poi dei canadesi, giapponesi, australiani, finché negli anni
Ottanta è esploso il turismo di massa nei paesi ricchi dell'Occidente e Nord del mondo. Secondo le
stime dell'Organizzazione Mondiale del Turismo (OMT), oggi si muovono fuori dai confini nazionali
oltre 600 milioni di persone all'anno, ai quali vanno aggiunti spostamenti interni quasi 10 volte
superiori a quelli internazionali, per cui le persone che ogni anno viaggiano per turismo sarebbero circa
5 miliardi.
Gli spostamenti di massa hanno moltiplicato a dismisura i non luoghi del mondo, perché da un lato
hanno trasformato in non luoghi molti di quelli che un tempo erano luoghi (dal Colosseo alla spiaggia
caraibica, dalle Piramidi d'Egitto alle cascate del Niagara), dall'altro hanno indotto l'industria del
turismo a costruire nuovi non luoghi: villaggi vacanze, complessi alberghieri e residenziali, campeggi.
Da vent'anni gli operatori del turismo internazionale moltiplicano sistematicamente l'offerta di non
luoghi, e lo fanno per una ragione molto semplice: i non luoghi dei viaggi e delle vacanze hanno
un'attrattiva particolare, piacciono, sono desiderati dai più. Vediamo perché.
Il non luogo non è mai del tutto nuovo. Lo si è già visto rappresentato in cartolina, sui cataloghi delle
agenzie viaggi, sui media, sui souvenir portati a casa da amici e parenti che ci sono già stati. Così,
vedere con i propri occhi un monumento celebre, visitare una città d'arte invasa dal turismo è
soprattutto un atto di riconoscimento visivo. La gratificazione viene proprio da questo: non occorre
sforzarsi troppo, non occorre neanche leggere o ascoltare le spiegazioni della guida turistica, perché
riconoscendo dal vero ciò che abbiamo visto in foto ci sembra di sapere già quanto basta.
Il non luogo ci fa girare il mondo senza metterci mai a confronto con le diversità che ci sono nel
mondo, il che è molto rassicurante: possiamo dirci gran viaggiatori senza aver mai messo in
discussione le nostre abitudini e i nostri pregiudizi, sempre più forti nella convinzione che "tutto il
mondo è paese".
I villaggi turistici e i grandi alberghi sono tutti simili fra loro, ovunque si trovino, anche quando gli
operatori ne promuovono l'originalità, addirittura l'unicità, con lo stereotipo del "luogo esclusivo". In
questi non luoghi si parla lo stesso esperanto (un inglese piatto e semplificato), si fanno le stesse cose
(spiaggia, bar, un po' di sport, animazione), si mangiano gli stessi cibi (la cucina internazionale), si
incontrano le stesse maschere (l'animatore, l'istruttore sportivo, l'addetta al baby club), si guardano gli
stessi paesaggi (riquadri di spiagge fra palme e bungalow, sfondi di natura immancabilmente
"incontaminata" e "rigogliosa", come dicono i cataloghi). Le varianti locali sono ridotte al minimo: un
piatto più o meno speziato, una musica in sottofondo invece di un'altra, un verde più o meno brillante.
Gli incontri con le popolazioni locali, con le loro storie e vite, sono sporadici e filtrati dalle gite
organizzate, dalle escursioni fuori dal non luogo: andata e ritorno in giornata, dietro una guida locale
ben ammaestrata a trattare con i turisti, a dare e dire ciò che vogliono. Non una parola sulle condizioni
politiche, sociali ed economiche del paese in cui ci si trova, su dittature, persecuzioni, fame, malattie,
così frequenti nel Sud del mondo. E così nei Caraibi si incontrano indigeni sempre "calienti", "poveri
ma dignitosi", con "il ritmo nel sangue", in Oriente le persone sono sempre "sorridenti", in Africa i neri
sempre "ospitali" e "contenti di vederci"3.
In sintesi, il non luogo è particolarmente adatto all'idea di vacanza, intesa come vuoto, come buco nel
pieno della vita ordinaria: vuoto di esperienza, vuoto di differenze, vuoto di storia, di identità, di
relazioni. Non a caso le persone che tornano da un non luogo di vacanza lamentano tutte che, una volta
riprese le solite cose, i vissuti della vacanza svaporano in poche ore. Per forza: erano vissuti sotto
vuoto.
Eppure milioni di persone, nei paesi ricchi del mondo, lavorano tutto l'anno per concedersi qualche
settimana di questi vuoti, e i non luoghi delle vacanze sono fra i più ambiti oggetti dei loro desideri e
sogni: sono, appunto, vacanze "da sogno".
(ARTICOLO di Giovanni Cosenza nel sito http://www.golemindispensabile.it )
Golem L’Indispensabile a cura di Motta On Line s.r.l.
società del Gruppo Editoriale Motta
comitato direttivo:
Gherardo Colombo, Carlo Bertelli, Umberto Eco, Renato Mannheimer, Danco Singer
I PARCHI TEMATICI COME NON LUOGHI
(materiale Università di Chieti)
A questa tipologia di risorsa turistica appartengono i cosiddetti “ parchi tematici”, ovvero complessi
ricreativi e per il tempo libero, spazialmente delimita e creati ad hoc per soddisfare specifici bisogni
ludici (ad esempio un parco giochi) o pseudo-cultura li (uno zoo-safari o un parco acquatico). Tra
questi un cenno merita il Disneyland Paris Resort (un tempo denominato EuroDisney), il più grande
parco divertimenti d’Europa. Esso è frutto di un’importante operazione di marketing e di un
investimento di oltre sette miliardi di dollari compiuti dalla Disney, una delle principali aziende al
mondo nel campo dei media, della produzione cinematografica e dello spettacolo e leader assoluta del
mercato dell’intrattenimento per l’infanzia
. L’azienda statunitense, che già vantava all’epoca altri grandi parchi a tema (in California, Florida e
Giappone), intendeva sbarcare in Europa e conquistare così nuove fette di mercato. La scelta di
localizzare il parco a Marne le Valleè è legata alla vicinanza a Parigi ed alla possibilità, perciò, di
intercettare i flussi di turisti che annualmente si recano nella capitale francese. Nel corso degli anni,
all’originario parco divertimenti, l’attuale Disneyland Park, ed al Disney Village, con i suoi locali
notturni, cinema e ristoranti, si è affiancato un secondo parco a tema, i Walt Disney Studios, dove
attrazioni e spettacoli ispirati ai celeri personaggi dei cartoon si sviluppano in un’ambientazione da set
cinematografico. Oggi il Resort conta oltre quindici milioni di visitatori all’anno e può essere perciò
considerata una delle destinazioni turistiche più frequentate del Vecchio Continente.
I parchi tematici, come del resto gran parte delle risorse turistiche che appartengono alla categoria
“offerta ricreativa e di svago”, appaiono, dunque, come dei microcosmi turistici, come luoghi
artificiali, certo assai suggestivi e spettacolari, ma sostanzialmente avulsi dal territorio che li ospita.
Augè li definì “nonluoghi” (I nonluoghi, introduzione ad un’antropologia della surmodernità, 1993),
spazi cioè in cui milioni di individui, sospinti dal desiderio frenetico di divertirsi e di consumare, si
incrociano senza però entrare in relazione, luoghi senza storia ed anzi al di fuori del tempo,
infinitamente ripetibili e riproducibili e perciò di fatto ubiquitari. Se per “McDonaldizzazione” si
intende, in senso stretto, la diffusione di ristoranti economici concepiti come catene di montaggio,
facili da esportare e che vendono gli stessi prodotti in ogni parte del mondo, con il termine
“disneificazione” (Minca, Spazi effimeri, Cedam, 1996) si fa riferimento ai grandi spazi artificiali
del turismo di massa ed ai processi di omologazione che li caratterizza. Sia l’uno sia l’altro concetto
rinviano, in senso più ampio, a quei processi profondi e di ampia portata che coinvolgono la società
ed il nostro stesso modo di vivere che vanno sotto il nome di globalizzazione, di cui i non luoghi
rappresentano una possibile manifestazione nel settore turistico.