Saint Vincent, i boss al tavolo verde

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Saint Vincent, i boss al tavolo verde
PALERMO - I boss mafiosi di Villabate avrebbero riciclato denaro
proveniente dalle estorsioni e da traffici illeciti nel casinò di Saint Vincent.
È quanto emerge dall'inchiesta della Dda di Palermo che stamani ha
portato all'arresto di 13 persone con l'accusa di riciclaggio e usura. Le
manette sono scattate per Giuseppe Morreale, 59 anni, Angela Correra, 46
anni, Veronica Morreale, 26 anni, Antonino Carra, 47 anni, Giuseppe
Citarda, 39 anni, Antonino Di Maio, 62 anni, Carlo Fallucca, 47 anni,
Maurizio Tafuri, 47 anni, Giuseppe Vassallo, 63 anni, Rosario Napoli, 36
anni, tutti di Palermo. Ed ancora, Michele Maiorana, 59 anni, nato a
Trapani, Salvatore Ala, 75 anni, originario di Roma, Pietro Anzalone 46
anni, di Ventimiglia di Sicilia, nel palermitano.
L'indagine è coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone e dai
sostituti Maurizio De Lucia e Gino Cartosio. Dagli accertamenti svolti,
risulta che un gruppo, vicino al boss Nicola Mandalà, già detenuto per
mafia e accusato di avere gestito negli ultimi anni la latitanza di
Provenzano fra cui anche il viaggio a Marsiglia del padrino, negli ultimi anni
avrebbe riciclato denaro sporco nella sala da gioco con la complicità di
alcuni dipendenti del casinò che sono indagati.
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L'inchiesta della Dda di Palermo si basa su intercettazioni telefoniche e
sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Campanella, l'ex
presidente del consiglio comunale di Villabate, affiliato alla cosca dei
Mandalà, che falsificò la carta di identità a Bernardo Provenzano prima del
viaggio a Marsiglia. Il pentito fornisce notizie sulla frequentazione del
casinò di Saint Vincent da parte del boss Nicola Mandalà, ed in particolare,
sul grado di infiltrazione mafiosa che era riuscito a realizzarvi.
Campanella riferisce di aver conosciuto un "account" palermitano, che
lavorava per conto del Casinò, il quale gli è stato presentato da Mandalà. Il
collaboratore indica che si tratta di Michele Maiorana, arrestato stamani
con l'accusa di riciclaggio, con l'aggravante d'aver commesso il fatto al fine
di agevolare l'attività di Cosa nostra, avvalendosi delle condizioni previste
dall'associazione mafiosa.
L'account arrestato, secondo il collaboratore, "gestiva tutti quei signori che
giocano dalla Sicilia". Le intercettazioni telefoniche dimostrano come
Maiorana gestiva un nutrito gruppo di giocatori provenienti dalla Sicilia.
Campanella ricorda gli ottimi rapporti di Mandalà e Maiorana con la
Direzione del casinò e, in particolare, con un funzionario che il
collaboratore indica come uno dei direttori della casa da gioco.
Attraverso questa persona Mandalà, secondo il racconto del pentito,
riceveva un trattamento estremamente privilegiato ("Eravamo trattati come
se fossimo i padroni del Casinò"). Il boss di Villabate disponeva di "carte
d'oro", documenti che consentono ai clienti più graditi di avere una serie di
agevolazioni (ristorante gratis, suite e altro); ma, soprattutto, ottiene delle
deroghe non solo alle regole della casa da gioco, ma perfino alle leggi
dello Stato, in particolare quelle in materia di antiriciclaggio.
Campanella descrive il meccanismo che utilizzavano i boss: Mandalà
otteneva dall'ufficio del Casinò ("grazie ai buoni uffici del compiacente
Direttore") un fido di 100.000 euro, superiore a quanto le regole della casa
da gioco consentirebbero. Secondo i magistrati significa che Mandalà
poteva depositare assegni per lo stesso importo, ricevendone, in cambio,
fiches. In caso di vincita avrebbe ritirato i suoi assegni. Invece, raggirando
le norme antiriciclaggio, ed elargendo laute mance ai cassieri, il boss
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convertiva le fiches esclusivamente in contanti.
"In questo modo - sostengono gli inquirenti - Mandalà risultava,
formalmente, sempre un giocatore perdente (anche quando ha vinto,
perchè, non avendo ritirato i propri assegni, risulta aver perduto, ai tavoli
da gioco, l'intera somma portata dai titoli) e questo comportava una
maggiore provvigione al porteur che lo aveva accreditato, e cioè a
Maiorana". L'attività di giocatore al casinò consente, inoltre, a Mandalà di
giustificare gli enormi importi movimentati sul suo conto corrente.
Il boss aveva spiegato a Campanella, che, in caso di indagini sulla
provenienza di queste somme, poteva sempre dire che giocava al Casinò
e si trattava di vincite. In realtà, come riferisce il pentito, si trattava di
somme provenienti dalle estorsioni e dal traffico di droga.
Dall'inchiesta della Direzione investigativa antimafia di Palermo emerge
che sono una decina i milioni di euro riciclati tra il 2001 e il 2005 dai boss
mafiosi nel casinò di Saint Vincent, attraverso disoccupati o piccoli gruppi
familiari che venivano "spediti" periodicamente nella sala da gioco. Gli
investigatori hanno scoperto che una coppia, marito e moglie, dal reddito
quasi inesistente, da soli hanno movimentato due milioni di euro fino al
2002, altrettanti fino al 2004. Un disoccupato, un milione 195 mila euro nel
2003 e 955 mila l'anno dopo.
Il gip, Vincenzina Massa, ha respinto la richiesta di arresto per due
dipendenti del Casinò: Leo Duroux, capo dell'Ufficio fidi, e Renato Pan,
addetto all'ufficio assegni. Entrambi restano indagati a piede libero. Il
giudice non ha ritenuto che nei loro confronti vi fossero gravi indizi.
Nell'ambito dell'operazione, il giudice ha inoltre ordinato il sequestro di
numerosi conti correnti e automobili di grossa cilindrata. Riciclaggio
aggravato, concorso esterno in associazione mafiosa, usura, violazione
delle normative antiriciclaggio i reati contestati a vario titolo agli indagati.
Dagli accertamenti emerge che alcuni dirigenti del Casinò avevano notato
che "gli uomini" di Mandalà facevano spesso cambi di fisches "non
autorizzati" e in molte occasioni avevano presentato delle apposite
relazioni. Il Casinò, infatti, è risultato estraneo al riciclaggio. Dei tredici
arrestati, ad uno solo sono stati concessi gli arresti domiciliari per via del
fatto che è anziano. Gli investigatori stanno effettuando in queste ore
diverse perquisizioni.
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