Il DNA è il materiale ereditario ed ogni essere umano conserva

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Il DNA è il materiale ereditario ed ogni essere umano conserva
Genetica forense e identificazione personale
Dott. Ugo Ricci
Associazione Identificazioni Forensi (A.I.Fo)
Pontassieve (Firenze), c/o Studio Legale Ponti & Lo Re, via F.lli Cervi n. 61
www.aifo-italia.it
e-mail: [email protected]
Riassunto
La genetica forense sta contribuendo ad una sempre più precisa affermazione del concetto di identità
personale, intesa non come concetto filosofico, ma come valore biologico. L’impatto nella vita
quotidiana delle applicazioni della materia è straordinario. In ambito giudiziario la possibilità di
caratterizzare campioni biologici sulla scena del crimine o, retrospettivamente, riesaminare oggetti
sequestrati, permette di ricostruire dinamiche delittuose, individuare colpevoli, scagionare
innocenti, riconoscere persone scomparse. Una banca dati giudiziaria, con l’archiviazione di profili
di soggetti condannati, sarà presto attiva anche in l’Italia. Nel settore civilistico le richieste di
accertamenti per la determinazione del legame di filiazione sono numerose, per test di paternità ed
anche di maternità. La possibilità di effettuare esami su persone decedute, anche da molti anni, offre
la possibilità di una piena applicazione del diritto per eredi di coloro che hanno dovuto scontrarsi
con la lentezza del nostro sistema giudiziario. Gli eventi recenti degli attentati dinamitardi in vari
Paesi, pongono poi il risalto su un’altra delle numerose possibilità analitiche della genetica forense:
l’analisi dei disastri di massa. Accanto a queste effettive potenzialità e con le già aperte prospettive
di sviluppo, la genetica forense resta una materia estremamente complessa, sia in fase analitica, per
le eccezionalità che lo studio del DNA comporta, sia nella fase sussidiaria alle analisi, spesso
importante per una completa accettazione in fase dibattimentale.
In questo lavoro verrà offerta una visione d’insieme riguardo al tema dell’identificazione personale
attraverso il DNA, con l’indicazione dei limiti che rendono la genetica forense scienza e non
fantascienza.
Introduzione
Il DNA umano è una lunga molecola, circa 3 miliardi di paia di basi, nella quale è raccolta una
enorme quantità di informazioni, necessarie per lo sviluppo dell’individuo, per il mantenimento dei
processi vitali e per la costruzione di un’ampia varietà di strutture biologiche indispensabili per la
vita. Esso è inoltre custode della storia stessa dell’uomo, portatore nel corso delle generazioni di
un’enorme quantità di variabilità, costante per ciascun soggetto durante e dopo la vita, trasmissibile
nel corso delle generazioni così che la propria individualità biologica è il frutto dell’incrocio di due
patrimoni genetici amalgamatisi strettamente in un matrimonio indissolubile. Ogni essere vivente
conserva infatti nel DNA la memoria biologica dei propri genitori, impressa come un timbro a
livello molecolare. I cromosomi sono equamente ereditati dalla madre e dal padre, così che la
corretta attribuzione della discendenza biologica, viene oggi stabilita attraverso lo studio del DNA.
Alcuni tratti al di fuori delle sequenze codificanti per i geni costituiscono una fonte preziosa di
variabilità, essendo estremamente diversi tra individui, all’interno ed all’esterno di una popolazione.
I genetisti forensi sono dunque dei fotografi che non fanno altro che acquisire istantanee di
particolari zone del menoma per descriverne le caratteristiche genotipiche. E lo fanno in un modo
relativamente semplice. Dalle prime analisi con il cosiddetto metodo fingerprint [1], in cui un
profilo genetico era complesso con un aspetto simile alle barre di un prodotto commerciale, si è
rapidamente evoluti agli attuali profili del DNA che vengono descritti semplicemente con numeri.
Ca
mp
ion
e
T
P
O
X
A
B
8, 9
8, 8
D3
S1
33
8
F
G
A
CS
F1
P0
D5
S8
18
D7
S8
20
D8
S1
17
9
16, 19 21, 24 9, 10 11, 12 9, 10 11, 14
14, 15 23, 25 11, 12 11, 11 10, 12 10, 14
T
H0
1
6, 8
6, 9
V
W
A
D1
3S
31
7
D1
6S
39
5
D1
8S
51
D2
1S
11
16, 16 10, 12 9, 10 16, 16 29, 30
17, 18 10, 12 10, 12 12, 17 28, 29
Am
elo
gen
ina
X-X
X-Y
Figura 1. Esempio di due profili genetico del DNA per i sistemi usati dal CODIS (FBI).
Il campione A risulta essere femminile; quello B maschile.
Questo balzo tecnologico, avvenuto alla fine degli anni ‘80, è dovuto in larga parte all’ideazione di
un metodo analitico prodigioso che si deve all’americano Mullis, la cosiddetta Reazione a Catena
della Polimerasi (PCR) [2], attraverso la quale il frammento di DNA da studiare viene riprodotto
diverse milioni di volte, così da poterlo studiare con metodi macroscopici.
Sono così possibili le applicazioni più ardite in tema di identificazione, visto che in un piccolo tubo
di plastica si possono ricreare in vitro milioni di copie del tratto genetico di interesse, con la
possibilità teoria di analizzare anche una singola cellula. Nella pratica tuttavia, le analisi forensi del
DNA hanno dei limiti oggettivi, legati sia alla natura chimico fisica della molecola del DNA, sia a
problemi occorrenti nel lungo percorso che conduce dalla raccolta del campione alla sua analisi,
all’elaborazione del dato analitico. Inoltre, accanto al rapidissimo sviluppo delle biotecnologie in
tema forense, non vi è stato un equo progredire della disciplina del diritto, chiamata sostanzialmente
per ora ad arginare più che a regolamentare la genetica forense.
I settori di applicazione –
Fu nel 1985 in Inghilterra che si registra ad opera di Alec Jeffreys la prima applicazione di un test di
paternità in un caso di immigrazione, risolto grazie ad un’analisi del DNA[1]. Da sempre è esistita
la necessità di risolvere problemi di filiazione da parte del cittadino, specialmente qualora in
discussione fosse la paternità di un padre presunto. Oltre ad un antropologico bisogno della certezza
dell’attribuzione della propria prole, per l’innata paura maschile di “crescere figli non propri”, vi è
sempre stato il bisogno, più prosaico, di veder riconosciuti propri diritti nel caso della suddivisione
di patrimoni, lasciti o eredità. Negli anni si è quindi assistito ad un’implementazione delle richieste
di questi test in concomitanza con l’invenzione di nuovi metodi analitici, che ventilassero la
possibilità di acquisire maggiore certezza nell’esecuzione dell’esame e nella certezza dei risultati.
Ciò avvenne già negli anni ’60 con l’introduzione di nuovi sistemi elettroforetici per lo studio di
polimorfismi proteici (e la concomitante pubblicità su riviste e quotidiani) fino all’enorme richiesta
dagli anni ’90 in poi, a seguito dell’eco suscitato dalla introduzione del DNA ricombinante nelle
scienze forensi. Seppure molto più rare ed in genere confinate ad esigenze da parte di giudici, sono
progressivamente in aumento anche le richieste per i test di maternità. Tra le più intriganti
applicazioni di questi test vi è la possibilità di stabilire legami di filiazione anche di soggetti defunti,
esaminandone i resti o studiando parenti correlati ancora in vita.
Fig. 2 – Esempio di test di paternità. A: padre presunto; B: figlio; C: madre.
In questo caso il padre presunto non corrisponde a quello biologico per tutti e quattro
i marcatori del DNA esaminati.
L’apparente semplicità dell’esecuzione di questo esame, accanto alla mancanza di una
regolamentazione specifica, ha fatto sì che le offerte via internet di test genetici relativi soprattutto
all'accertamento di paternità, ma anche alla predisposizione a diverse malattie si stia moltiplicando;
in alcuni Paesi tal offerta compare in popolari catene di negozi, nelle stazioni di servizio, negli
autogrill lungo le autostrade, in televisione. I test vengono eseguiti dopo la raccolta di campioni
biologici acquisiti dai richiedenti tramite spedizione via posta di kit fai da te. In Italia i dati
personali sono tutelati dalla legge sulla Privacy (675/96), alla quale sono state apportate alcune
modifiche dal DL 196 del 30/6/2003. Entrambe queste leggi, tuttavia, non sembrano contemplare
con precisione il trattamento dei dati genetici acquisiti a fini forensi. Il Gruppo Europeo sull'Etica
nelle Scienze e nelle Nuove Tecnologie, che conta tra i suoi membri il Presidente del Garante per la
privacy, Stefano Rodotà, ha pubblicato diverse raccomandazioni, tra cui un documento specifico
nel 2003 richiamando il rischio che i test genetici possono avere conseguenze negative se non
vengono accompagnati da un'adeguata consulenza e che queste procedure mettano seriamente in
pericolo sia la salute delle persone sia la riservatezza dei dati sanitari. Raccomandazione analoga è
stata ribadita dalla Società Italiana di Genetica Umana a più riprese [3]. E portano la data
dell’agosto 2004 le “Linee guida per i test di genetica medica” pubblicate dalla conferenza StatoRegioni e che hanno posto un freno allo scriteriato impiego di test genetici senza opportune regole,
in attesa di leggi specifiche ancora inesistenti [4].
L’identificazione in ambito criminalistico ha beneficiato largamente delle applicazioni del DNA
ricombinante [5]. Poter individuare l’appartenenza di un campione ad un soggetto in maniera certa
ha un’enorme valenza per una investigazione. Tutte le cellule dotate di nucleo contengono DNA,
identico per uno stesso individuo, per cui la quasi totalità dei materiali biologici lasciati dal nostro
corpo o per il nostro contatto con oggetti, sono utili per le analisi consentendo di risalire alla ídentità
personale e di ricostruire dinamiche delittuose. Fino a pochi anni orsono le possibilità di riscontro
dell’appartenenza di una traccia di sangue, di liquido seminale, erano confinate alla necessità di
disporre di una grande quantità di sostanza, in buono stato di conservazione ed in ogni caso la
capacità individualizzante era limitata. Oggi basta un capello, una microscopica traccia di sangue,
la saliva su un mozzicone o addirittura le cellule che inconsapevolmente vengono lasciate su un
oggetto quando lo impugniamo, per poter stabilire il profilo del DNA di colui che “è passato di lì” e
che ha lasciando il segno del suo passaggio.
Fig. 3 – Esempi di profili genetici nel formato “a bande”
L’acquisizione di questi profili genetici pone poi il problema della comparazione, cioè con chi
effettuare gli esami di confronto. In uno scenario tipico di un crimine il primo confronto viene
effettuato con la vittima del fatto, poi con coloro che sono coinvolti a vario titolo nell’episodio
(testimoni, investigatori ect.) e quindi con i sospettati, se disponibili. A questo proposito si registra
un’evoluzione importante in Italia dal punto di vista dell’obbligatorietà di sottoporsi ad un prelievo
per un test del DNA in un caso criminale. Il “pacchetto sicurezza“ recentemente adottato dal
Ministero dell’Interno (23 luglio 2005) prevede tra l’altro il prelievo coattivo ad indagati per reati di
terrorismo, sia pure su autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria. E’ la prima volta che in questo
senso l’Italia si muove dall’impasse legislativo nel quale era caduta a seguito della sentenza della
Corte Costituzionale che rendeva illegittimo parte dell’art. 224 del codice di procedura penale e di
fatto ancora impedisce la coattività del prelievo biologico. Nel contempo il Comitato Nazionale per
la Biosicurezza e le Biotecnologie, ha emesso nell’aprile di quest’anno un documento che
costituisce la base per la costituzione nel nostro Paese di un’apposita regolamentazione per la
costruzione di una banca dati del DNA per i casi giudiziari e che prevede anche il prelievo coattivo
per individui indagati per reati di una certa gravità. Interessante rilevare che nella sola Europa sono
già una ventina le nazioni dotate di un proprio database forense [6].
Tra le altre numerose applicazioni dei test del DNA come non ricordare i, purtroppo, numerosi
esempi di ricostruzione dell’identità dei resti umani a seguito di disastri naturali o provocati dalle
mani dell’uomo, nella più incontrollabile follia distruttiva che nel corso della sua storia mai sembra
abbandonarlo. L’opportunità di avere certezza sulla morte di un congiunto e di poter avere spoglie
su cui piangere, rappresenta una necessità per i parenti delle vittime di questi episodi terribili, per
dare certezza al destino di un proprio caro e porre la parola “fine” ad un’esistenza e ad un ricordo.
La tragedia delle Torri gemelle a New York, lo Tzunami ed i recenti episodi terroristici di Londra
rappresentano soltanto alcuni esempi, per i quali gli scienziati sono ancora impegnati nella
ricostruzione dell’identità delle vittime, data l’enorme mole di reperti da esaminare.
I limiti oggettivi –
Dal punto di vista biochimico la molecola del DNA subisce processi degradativi fin dai primi
momenti della morte cellulare, allorquando le condizioni fisiologiche dell’organismo vengono
alterate. Il danneggiamento chimico-fisico deriva solamente in parte dalla datazione del campione,
mentre ruolo prevalente sarebbe svolto dalle condizioni ambientali alle quali il reperto biologico
stesso è stato esposto [7]. Per esempio la luce solare, l’umidità, il tipo di terreno, rappresentano
fattori importanti. Ne deriva che anche un campione relativamente recente, conservato in maniera
errata, può aver subito danneggiamenti tali da renderne l’analisi difficoltosa e/o prona ad errori. Per
esempio, una macchia di sangue repertata durante un sopralluogo su un crimine e custodita senza le
dovute precauzioni, può degradarsi anche dopo 24-48 ore, inducendo processi di degradazione e la
formazione di muffe che rendono impossibile la determinazione del profilo genetico. Per contro,
campioni derivanti da un’esumazione possono consentire di stabilire profili riproducibili anche a
distanza di anni. Ecco allora che la riproducibilità del risultato di un’analisi deve essere ritenuto il
parametro fondamentale sulla cui esattezza deve basarsi necessariamente un test del DNA []. In
alcuni casi è possibile confermare un test attraverso l’esecuzione di un test in duplicato compiuto
dallo stesso laboratorio; in altri casi la necessità di una second opinion a seguito di un test effettuato
a distanza da un altro gruppo è quantomai necessaria.
Altro fattore limitante dei test del DNA è quello quantitativo. Se è vero che anche una singola
cellula può essere caratterizzata, minore è la quantità di materiale di partenza, minore è la
probabilità di successo nella riproducibilità del risultato. Per esempio, i test effettuati su oggetti
toccati, che contengono un basso numero di cellule e che si riflettono in un basso contenuto di DNA
(definito in condizioni di low copy number), necessitano dell’esecuzione di esami riproducibili, per
consentire di stabilire correttamente un assetto genetico. In pratica, ottenere profili per molti
marcatori in queste condizioni è piuttosto difficoltoso e comunque la possibilità di introdurre errori
è alta [8].
Fig. 4 – Esame di uno stesso campione con numero variabile di cicli di PCR. In alto 28 cicli, in
basso 34 cicli. Si vede bene come quest’ultima condizione, usata talvolta per analizzare oggetti in
condizioni di low copy number, produca numerose forme alleliche aspecifiche, con conseguente
difficoltà nell’interpretazione dei profili genetici ottenuti.
Le contaminazioni sono poi un altro fattore limitante molto importante che inficia i risultati delle
analisi genetiche e si ripercuote sull’affidabilità dei risultati conseguiti a seguito di questi test. La
presenza di DNA esogeno (derivante da batteri, funghi, ecc.) è costante nell’esame di campioni
vecchi e/o degradati, esposti a condizioni ambientali sfavorevoli. L’effetto di questo tipo di
inquinamento può condurre a vari tipi di fenomeni (comparsa o scomparsa di forme alleliche, bande
accessorie, sbilanciamento dei picchi, artefatti ect.), che rendono i profili genetici difficilmente
interpretabili. Un’altra fonte di contaminazione è quella derivante dall’introduzione nel campione
da esaminare di materiale biologico di diversa provenienza, che può portare ad errori clamorosi
nella formulazione di un risultato. Quando più di uno di questi eventi si va a sommare
contemporaneamente nel corso di una stessa analisi, può accadere che il genetista forense fornisca,
in piena buona fede, risultati completamente errati.
Il DNA ha poi la caratteristica di essere facilmente trasportato, a differenza per esempio delle
impronte digitali. Cosĭ, oggetti che lo contengono potrebbero essere facilmente abbandonati sul
luogo di un crimine, per sviare le indagini ed incolpare persone completamente estranee al fatto
delittuoso.
Altro limite oggettivo del test del DNA resta la presenza di individui che hanno identico DNA, i
gemelli monozigoti. Essi condividono lo stesso patrimonio genetico e non possono quindi essere
discriminati dal test del DNA, né per esami criminalistici, né per i test di paternità/maternità.
Le eccezionalità –
Uno dei meccanismi alla base della variabilità genetica è certamente l’insorgere di mutazioni a
carico della linea germinale. A seguito di tale evento si crea, in un qualsiasi punto del DNA di un
qualsiasi gamete, una sequenza differente rispetto a quella parentale; tale sequenza potrà, quindi,
essere trasmessa alla progenie e, per esempio, originare una incompatibilità genetica, se analizzata
nel contesto di un indagine di paternità. La presenza di questi eventi non è poi tanto rara per i
sistemi oggi impiegati in genetica forense ed essa dovrebbe essere tenuta presente nei test di
paternità. La stima del tasso di mutazione varia a seconda del sistema usato, ma una stima di 2 x
10E-3 può rappresentare una valutazione media corretta [9]. Essa è comunque senza dubbio
sottostimata, perché dal punto di vista tecnico certe mutazioni risultano mascherate dal casuale
assetto genetico familiare. L’occorrenza di questi eventi è facilmente verificata dall’analista, nei casi
ordinari di test di paternità/maternità e può essere dimostrata con l’estensione del numero di
marcatori utilizzati per risolvere il quesito iniziale. Nel caso di identificazione di reperti, invece,
l’occorrenza di mutazioni somatiche è estremamente rara, per i sistemi autosomali e l’occorrenza di
una falsa esclusione dovuta ad un’incompatibilità somatica può essere considerata estremamente
poco frequente (intorno ad 1 x 10E-8). Essa diviene importante, invece, nello studio del DNA
mitocondriale. La presenza di popolazioni diverse di DNA mitocondriale nello stesso individuo è
stata più volte dimostrata, per esempio nell’esame di formazioni pilifere e quindi identificazioni
basate unicamente su questo tipo di analisi dovrebbero essere utilizzate con estrema attenzione.
La presenza di relativi è un altro fattore che dovrebbe essere debitamente considerato nelle indagini
di paternità. E’ ben noto che soggetti biologici correlati hanno un elevata proporzione di DNA a
comune, direttamente proporzionale al loro grado di parentela. Nella pratica, quindi, test di paternità
effettuati con protocolli analitici che prevedano un numero troppo esiguo di marcatori, non sono a
priori in grado di discriminare il padre presunto se il padre vero (non disponibile per l’analisi) è
imparentato con il soggetto da testare. Fenomeno simile si verifica anche nei casi di identificazione
criminale, qualora la caratterizzazione di una traccia evidenzi un profilo genetico ed il sospetto sia
imparentato con l’effettivo donatore (sconosciuto) della traccia.
La presenza di fenomeni particolari nello studio del DNA meriterebbe una trattazione molto
dettagliata. Profili a tre bande, presenza di alleli nulli, disomie uniparentali sono solo alcuni dei
fenomeni biologici che possono presentarsi nella risoluzione di un caso forense e l’eventualità che
questi eventi possano occorrere deve essere tenuta in debita considerazione da coloro che si
assumono l’onere di affrontare un’indagine sul DNA.
Uno sguardo al futuro –
Nonostante i limiti e le particolarità a cui si è fatto riferimento, che sottolineano la necessità di un
estremo professionismo da parte di coloro che operano nel settore della genetica forense, il
potenziale probatorio di questa materia è così grande che non è difficile prevederne un ulteriore
sviluppo anche nel nostro Paese. Dal punto di vista metodologico la genetica forense indica già la
direzione del suo futuro sviluppo verso sistemi di determinazione dell’impronta genetica dotati di
sempre maggiore sensibilità e quindi in grado di ottenere teoricamente risultati affidabili da quantità
di materiale biologico sempre più ridotte. L’accreditamento e certificazione dei laboratori che
eseguono questi delicati test, secondo le norme ISO 9000 e la specifica norma per i laboratori di
prova ISO 17025, diverranno presto condizione imprescindibile alle quali chi vorrà continuare ad
utilizzare questi test dovrà soggiacere. A parere di chi scrive, però, la vera innovazione riguarderà
non tanto le metodologie, quanto la corretta comprensione dell’evidenza biologica, soprattutto nel
giusto inquadramento della valutazione statistica della “prova del DNA”. Ciò si pone in un più
generale contesto giuridico dell’accettazione dell’evidenza nelle aule di giustizia, settore nel quale
la genetica forense ha aperto una pista segnando un percorso che gradatamente è destinato ad
interessare tutti i settori delle indagini criminalistico-forensi. Non più valutazioni basate sul giudizio
dell’esperto fondato sull’esperienza o sulla conoscenza empirica della materia, ma ponderate in un
più preciso inquadramento statistico e probabilistico, in modo da fornire una valutazione di ordine
eminentemente tecnico dell’evidenza. Questo atteggiamento di “scuola positiva” si sposa
esattamente con le esigenze delle due parti processuali, tradizionalmente la pubblica accusa e la
difesa, ponendo finalmente la scienza al servizio della giustizia e l’interpretazione dei fenomeni
biologici quale descrizione esatta di eventi naturali, che l’esperto è chiamato ad interpretare nella
maniera più rigorosa ed obiettiva possibile. Se questo modo di considerare la scienza sara’
tenacemente perseguito, allora si potrà sperare che i giuristi riconoscano la validità di materie come
la genetica forense, attribuendo ad essa la giusta collocazione tra le discipline per l’dentificazione
forense.
Nel contempo si deve sottolineare l’attività di organizzazioni che hanno cercato di arginare il
dilagare della cosiddetta junk science, la “scienza spazzatura”, attraverso la quale persone sono state
condannate e talvolta giustiziate sulla scorta di prove tecniche assurde. La più famosa
organizzazione che si occupa di tutelare i diritti di imputati è l’Innocence Project, un progetto nonprofit di pratica forense per studenti di giurisprudenza, creato nel 1992 da due professori
universitari, Barry C. Scheck e Peter J. Neufeld, presso la Benjamin N. Cardozo School of Law di
New York. Questo programma si occupa a titolo gratuito unicamente di casi giudiziari già passati in
giudicato relativamente ai quali, l’eventuale effettuazione del test del DNA potrebbe fornire una
prova certa e conclusiva dell’innocenza di soggetti già condannati ed attualmente detenuti in
carcere. La maggior parte delle persone che si rivolge all’Innocence Project è composta da individui
indigenti, privi della possibilità economica di avere assistenza legale qualificata, che dichiarano di
essere stati ingiustamente accusati di avere commesso reati gravi, principalmente a sfondo sessuale.
Questi soggetti sono già stati condannati definitivamente a pene severe ed alcuni sono addirittura in
attesa dell’esecuzione capitale nel braccio della morte. Gli esperti dell’Innocence Project analizzano
attentamente le carte processuali e cercano di scoprire se esistono reperti biologici relativi al
procedimento penale, ancora utilizzabili per effettuare un test del DNA. Qualora vengano raccolti
elementi probatori sufficienti per riaprire il caso e siano ancora disponibili i reperti biologici, la
richiesta di nuovi accertamenti può essere sottoposta alla Corte competente che può disporre il test
del DNA. Dall’inizio della sua costituzione ad oggi ben 151, all’ottobre 2004, sono stati i soggetti
completamente scagionati grazie al test del DNA condotto su reperti relativi a differenti casi
giudiziari, fortunatamente ancora conservati negli archivi delle forze di polizia. Il numero di casi
risolti dagli esperti dell’Innocent Project è impressionante, così come agghiacciante è la
constatazione che esperti incompetenti possono clamorosamente travisare la realtà, portando a
condannare persone assolutamente estranee al reato [10]. In una simile direzione e con medesimi
intenti si sta muovendo l’Associazione Identificazioni Forensi (AIFo), recentemente costituitasi a
Firenze, della quale lo scrivente è l’attuale presidente. L’AIFo si pone l’obiettivo primario di
favorire il progresso nella conoscenza delle prove tecniche e del loro uso corretto in campo
giudiziario per l’identificazione personale, con applicazioni nei settori penale, civile e sociale, in
ambito nazionale ed internazionale. Specifico obiettivo é l’effettivo riconoscimento della prova
genetica forense, cioè dell'identificazione individuale e dell’accertamento dei legami di filiazione
tramite il DNA. Lo scopo dell'associazione è inoltre quello di contribuire specificamente, attraverso
le proprie attività scientifiche e di ricerca, all'integrazione tra le varie materie della criminalistica,
in ogni sua articolazione, con il fine di ottenere risultati scientifici inopinabili sulle prove tecniche e
sulla portata della loro utilizzazione. Perseguire, inoltre, con mezzi, conoscenze e tecnologie
scientifiche sempre più evolute, la valutazione obiettiva della prova tecnica in ogni sua più ampia
accezione in tutti i settori del diritto. Tra i suoi scopi costitutivi più ambiziosi l’associazione si pone
infine l’obiettivo di offrire assistenza per la revisione di processi giudiziari relativi ad individui le
cui accuse sono basate su prove tecniche di ogni tipo, in particolare sul DNA e sostenere nei limiti
del possibile tali controprove anche per i meno abbienti, con uno specifico supporto di natura
tecnica.
Bibliografia
1.
Jeffreys AJ, Wilson V, Thein SL (1985), Individuals specific fingerprints of human DNA.
Nature 316;76-79.
2.
Mullis KB (1990), La scoperta della reazione a catena della polimerasi. Le Scienze
262;XXIII:32-39.
3.
http://sigu.univr.it/
4. http://sigu.univr.it/sigu/gruppi_lavoro/sanita/LG_gen_med_lug_2004.pdf
5. Ricci U (2004), DNA e crimine: dalla traccia biologica all’identificazione genetica. Laurus
Robuffo, Roma II Edizione.
6. Martin PD, Schmitter H, Schneider PM (2001), A brief history of the formation of DNA
databases in forensic science within in Europe. Forensic Sci Int 119;225-231.
7. Fattorini P, Cossutta F, Giulianini P, Edomi P, Previdere C (2000), DNA damage promotes
mistyping in the allele specific oligonucleotide probing analysis of forensic samples.
Electrophoresis Aug;21(14):2969-72.
8. Gill P (2001), Application of low copy number DNA profiling. Croat Med J 2001;42(3):229-232.
9.
Standards for Parentage Testing Laboratories (2001), American Association of Blood Banks,
Behtesda, Maryland, USA 5th ed..
10. www.innocenceproject.org