Stage4^B-2011-2012
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Stage4^B-2011-2012
STAGE 2011/2012 CLASSE IV Sez. B Liceo delle Scienze Sociali ISTITUTO “G. DORSO” “IL TURISMO RELIGIOSO NEL TEMPO: UN CAMMINO TRA I LUOGHI DELLA SPIRITUALITA’ DELLA NOSTRA TERRA”. CLASSE IV SEZIONE B - LICEO DELLE SCIENZE SOCIALI ANNO SCOLASTICO 2011/2012 REFERENTE STAGE: PROF.SSA SECRETI ISABELLA DIRIGENTE SCOLASTICO: PROF. CALOIA FRANCESCO 1 INDICE SCIENZE SOCIALI a cura della Prof.ssa Secreti Isabella PREMESSA DEL DIRIGENTE SCOLASTICO: ……………………………………3 INTRODUZIONE: ........................................................................................................ 5 I° CONFERENZA: Presentazione del progetto “Stage” ............................................ 6 II° CONFERENZA: Le antiche vie del pellegrinaggio ............................................... 7 I CAPITOLO: Documentazione teorica...................................................................... 9 II CAPITOLO: Documentazione: Uscite sul territorio.............................................. 13 III CAPITOLO: Questionario: .................................................................................... 33 IV CAPITOLO: CONCLUSIONI:.............................................................................. 43 RELIGIONE: . ………………………………………………………………………45 ITALIANO - STORIA: …………………………………………………………….65 INGLESE: …………………………………………………………………………..95 FRANCESE: ……………………………………………………………………….104 FILOSOFIA: ……………………………………………………………………….109 STORIA DELL’ARTE: ……………………………………………………………113 BIOLOGIA: ………………………………………………………………………..120 EDUCAZIONE FISICA: …………………………………………………………..122 2 PREMESSA DEL DIRIGENTE SCOLASTICO Lo stage è un’esperienza formativa che caratterizza l’indirizzo de Liceo delle Scienze Sociali, esso trova la sua significativa motivazione nelle finalità generali dell’indirizzo stesso e deve coniugare sapere e saper fare attraverso un’esperienza sul campo stimolante e arricchente. L’attività stagistica è finalizzata ad orientare gli studenti a cogliere e decodificare l’odierna società complessa; è organizzato in modo da consentire contatti diretti con il mondo esterno alla scuola e coniugare insegnamento e apprendimento, saperi ed esperienza. Gli studenti, guidati dai docenti, effettuano una ricerca teorica e pratica, attuata mediante “l’esame dei documenti” ed una ricerca sul campo,“in situ”, cosa che offre una visione storica, geografica, artistica, senza astrattezze. Il metodo adottato consiste nell’osservare dal di dentro un pezzo di realtà della nostra società e si conclude con l’elaborazione/interpretazione dei dati raccolti. Quest’anno scolastico l’esperienza è stata particolarmente arricchente in quanto si è analizzato un fenomeno che tocca anche l’aspetto spirituale e di crescita interiore dell’essere umano, la pratica religiosa, la ricerca di senso ed il benessere psicofisico. Il tema di indagine che ha coinvolto gli studenti delle classi IV e tutti gli insegnanti del Consiglio di classe ha riguardato una ricerca su: “IL TURISMO RELIGIOSO NEL TEMPO. Un cammino tra i luoghi della spiritualità della nostra terra”. Un’indagine che ha avuto l’obiettivo di studiare il fenomeno religioso dal punto di vista antropologico e sociale, partendo da un’analisi storica del viaggio religioso e del pellegrinaggio, inteso come percorso ascetico e mistico dell’uomo, fonte di riscoperta della dimensione umana, culturale e ambientale. Un fenomeno complesso, che ha inciso profondamente nello sviluppo storico-sociale nell’Europa medievale. Un’esperienza di condivisione di ciascuno con gli altri, che genera pace e gioia profonda per un ritrovato equilibrio, che riconsegna la persona al sacro, al rispetto e all’amore per l’ambiente, per la natura e per la cultura religiosa. L’attività ha permesso agli alunni di incontrare vari esperti a cui esprimo riconoscenza e ringraziamento; essi hanno approfondito la tematica e pubblicato articoli e testi. Ci hanno affiancato in questo cammino, l’ing. Gerardo Troncone, che ha effettuato ricerche su: “La Via Santa della cristianità ed il turismo religioso”; il prof. Salvatore Forgione, che ha parlato delle testimonianze archeologiche che hanno visto l’Irpinia meta di pellegrinaggio religioso già da tempi remoti in quanto tra Villamaina e Rocca San Felice vi era il santuario della dea Mefite, il cui culto era diffuso in tutta l'Italia meridionale sin dal VI secolo a.C. (ad esso si sovrappose in seguito la devozione per Santa Felicita, ancora oggi venerata in una chiesetta vicina al sito mefitico); il dott. Antonio Alterio, storico arianese che ha illustrato i percorsi dei pellegrini sul territorio passando per gli antichi tratturi e per Aequum Tuticum, l’importante centro osco posto all’incrocio tra la via Traiana e la via Herculea; il dott. Pasquale Mannetta studioso di tradizioni che sembrano richiamare i culti pagani legati alla madre terra, nel segno di quella cristianizzazione che ha contraddistinto molte feste liturgiche della nostra società; la dott.ssa Vilma Tarantino, organizzatrice del Cammino dell’Angelo, un percorso sugli antichi itinerari della “Via Francigena del Sud” (La Via Francigena, infatti, era il crocevia delle peregrinationes majores ossia dei tre grandi itinerari dell'epoca medievale: uno diretto ai sepolcri di Pietro e Paolo a Roma, l'altro a quello dell’apostolo Giacomo a Santiago de Compostela e l'ultimo, con imbarco a Otranto o Brindisi, diretto al sepolcro di Cristo a Gerusalemme). Oggi come nel passato il viaggio religioso può essere un itinerario considerato, un’avventura spirituale, che viene intrapresa da molti per dare un valore aggiunto alla propria esperienza di vita. Quando quest’avventura si concretizza in un “Cammino”, diviene quasi una metafora dell’esistenza terrena, con l’alternanza di momenti facili e difficili, di esaltazione e di crisi, di riflessioni e meditazioni. Viverla intensamente, superare le difficoltà raggiungendo la meta, produce appagamento, serenità interiore, autostima, che contribuiscono spesso a dare una svolta alla propria esistenza. Gli studenti con le visite sul campo di alcuni luoghi sacri, chiese, santuari, basiliche, come San Leonardo di Siponto, San Michele di Monte Sant’Angelo, San Pio a San Giovanni Rotondo, 3 l’abbazia del Goleto, San Michele di Monticchio, luoghi dove tra l’altro hanno incontrato guide e personalità civili e religiose competenti, hanno preso più consapevolezza del patrimonio storico artistico e delle straordinarie risorse della nostra terra, hanno avuto modo di confrontarsi con la storia, con la storia dell’arte e percepire quel senso del sacro che molti di questi luoghi fortunatamente ancora conservano, quali attrattori spirituali e turistici che possono continuare ad essere fattori di sviluppo economico e sociale del territorio. prof. Francesco Caloia - Dirigente Scolastico 4 INTRODUZIONE Gli alunni della classe IV sezione A e della classe IV sezione B del Liceo delle Scienze Sociali sono impegnati nello svolgimento di una delle tante attività curriculari. Un’attività particolare e impegnativa: particolare, perché, nonostante faccia parte del curriculum, viene svolta solo durante il quarto anno del corso di studi; impegnativa, in quanto essendo un’indagine su una tematica, viene ampiamente articolata, coinvolge, infatti, tutte le discipline dell’indirizzo e adotta diversi metodi della ricerca sociale: ”Esame dei documenti” - “Interviste” - “Osservazione diretta” “Questionario”. Svolgono un’indagine sul territorio che privilegia il “momento” dell’”esperienza sul campo”, motivo per cui si parla di stage. Il tema su cui indagare è: “Il turismo religioso nel tempo. “Un cammino tra i luoghi della spiritualità della nostra terra”. La finalità della ricerca è di conoscere: la storia, le motivazioni, le antiche vie del pellegrinaggio, le differenze tra pellegrinaggio e turismo religioso, oltre ad alcune tappe tra le più attraenti e significative della cristianità. I settori d’indagine sono: religioso-letterario-storico-sociale-filosofico-giuridico-economico-scientifico-artistico. L’indagine è costituita da due momenti: teorico e pratico. La ricerca teorica attuata con l’utilizzo del metodo: “Esame dei Documenti”, è affiancata dall’esperienza in situazione o “Stage” e dall’elaborazione-interpretazione dei dati raccolti. Il momento teorico si realizza nella ricerca di contenuti attraverso l’utilizzo di: riviste, opuscoli, articoli di giornali, internet, ecc. Il momento pratico o dell’esperienza in situazione si concretizza nella somministrazione di un questionario, stilato per rilevare dati utili all’indagine, e in alcune uscite sul territorio. Le uscite sono: - Il giorno 16 del mese di Marzo 2012 - Itinerario: San Leonardo di Siponto-Monte Sant’Angelo-San Giovanni Rotondo. - Il giorno 26 del mese di Aprile 2012 - Itinerario: Abbazia del Goleto-Santuario di San Michele a Monticchio. - Il giorno 9 del mese di Maggio 2012 – Itinerario: percorso di un breve tratto a piedi dell’antico itinerario del pellegrino che porta al Santuario della Madonna di Montevergine. Le uscite sono documentate dalle relazioni elaborate dagli alunni con il supporto dell’insegnante Secreti Isabella. Gli esiti del questionario sono riportati in stile grafico. Le considerazioni sono riportate nelle conclusioni. 5 Conferenza: presentazione del progetto “Stage” 01 Dicembre 2011 L’Istituto “G. Dorso” di Ariano Irpino organizza, per il primo Dicembre 2011, un incontro destinato alla conclusione dei lavori relativi allo “Stage” svoltosi lo scorso anno scolastico, dal tema: “Il Welfare State tra storia e realtà locale”, e alla presentazione del “Progetto-Stage”, che coinvolge le due classi quarte (IV A e IV B) del Liceo delle Scienze Sociali, da realizzare durante l’anno scolastico in corso, dal titolo: “Il turismo religioso nel tempo. “Un cammino tra i luoghi della spiritualità della nostra terra”, finalizzato a “compiere” un viaggio nel tempo e nella storia, … nella religiosità e nel misticismo cristiani, …nel silenzio e nello spirito, …nella cultura attraverso prestigiosi monumenti del passato e del presente. Partecipano alla conferenza il Dirigente Scolastico Francesco Caloia, la Dottoressa Patrizia Savino, l’Assessore alle “Politiche Sociali” del Comune di Ariano Irpino Carmine Peluso, il Professore Pasquale Pannetta e il Sociologo Nicola Savino, Sono presenti gli alunni delle classi quinte e quarte del Liceo delle Scienze Sociali. Il Dirigente Scolastico porge i saluti di “benvenuto” agli ospiti, introduce l’argomento, poi passa la parola ad alcuni alunni delle classi quinte, i quali presentano il lavoro svolto durante la loro esperienza stagistica. Unanime è l’apprezzamento mostrato dagli ospiti invitati a partecipare all’interessante conferenza. In particolare, il sociologo Nicola Savino esprime sentiti complimenti per tutte le attività didattiche svolte nell’Istituto “G. Dorso” e per il lavoro prodotto dagli alunni delle classi quinte che hanno saputo codificare e decodificare la realtà sociale del nostro territorio. Terminata la prima parte della manifestazione destinata alla “celebrazione” dello Stage 2010/2011, si dà inizio alla seconda, riservata alla presentazione del tema che caratterizza la ricerca dell’anno scolastico in corso e all’articolato programma, che ogni classe quarta intende svolgere. Il lavoro sarà articolato come segue: l’attività teorica l’attività pratica. L’attività pratica o “esperienza in situazione” prevede le visite guidate presso alcuni Santuari e la somministrazione di un questionario. L’attività teorica prevede un’ampia ed articolata documentazione attraverso libri, riviste, internet, ecc. In relazione alla classe IV B le varie discipline si occuperanno: Religione: “I battenti” di Guardia Sanframondi. Italiano e Storia: La storia del pellegrinaggio…... Lingua e Letteratura inglese: From the Canterbury tales to the Franciscans in Ireland Lingua e letteratura francese: Mont Saint Michael. Filosofia: Filosofi e pellegrini: viaggio dentro e fuori di sé. Diritto: Normativa di riferimento legata al fenomeno del turismo religioso. Matematica: Rappresentazione grafica dei dati raccolti con i questionari. Scienze Sociali: Il cammino del pellegrino. Le dimensioni del pellegrinaggio. Il turismo religioso come settore economico. Documentazione delle uscite. Ricerca sul territorio attraverso l’utilizzo di un questionario. Scienze: L’alimentazione durante il pellegrinaggio. Arte: Descrizione delle chiese e dei luoghi di riferimento con particolare attenzione all’aspetto artistico. Ed.Fisica: Camminata, marcia ed equipaggiamento. A questo punto prende la parola l’Assessore, il quale parlando del territorio arianese ne mette in evidenza la ricchezza di antichi reperti archeologici e ne sottolinea la particolarità legata al fatto che il territorio di Ariano Irpino sia stato nel passato importante via di passaggio per il pellegrinaggio, in quanto attraversato dalla famosa “via Francigena”; rileva, inoltre, un dato importante: i giovani non conoscono il proprio territorio come dovrebbero e di conseguenza non sanno apprezzarlo per quanto 6 merita. La scuola può fare molto in questa direzione: promuovendo la conoscenza della realtà a cui si appartiene può contribuire allo sviluppo culturale, sociale, nonché economico della stessa. Il Sociologo Nicola Savino sviluppa un impegnativo discorso incentrato sull’uomo e la sua spiritualità. La spiritualità, presente fin dalle origini, spinge l’uomo a rivolgersi a una divinità, dalla quale avere protezione… Terminata l’interessante disquisizione del sociologo, prende la parola il Professore Pasquale Pannetta, bibliotecario, grande collezionista di “Santini”, ben documentato sul tema riguardante il turismo religioso… L’intervento della Dottoressa Patrizia Savino riguarda la più importante e antica via del pellegrinaggio: la “via Francigena”, che collega Santiago de Compostela a Gerusalemme, passando anche per i territori campani, in particolare per la zona di Mirabella Eclano. Giunti alla conclusione dell’incontro, il Dirigente porge sentiti ringraziamenti ai relatori intervenuti, e li invita a prendere parte al “buffet”, allestito, per l’occasione, dagli alunni delle classi quinte e quarte del Liceo delle Scienze Sociali. Conferenza: le antiche vie del pellegrinaggio 08 Marzo 2012 L’8 Marzo 2012 nell’Istituto “Guido Dorso” si svolge una conferenza il cui tema è attinente all’attività stagistica, in corso di svolgimento. Sono presenti gli alunni delle classi III e IV A, III e IV B del Liceo delle Scienze Sociali. Prendono parte alla conferenza: il Dirigente Scolastico Francesco Caloia, l’Ingegnere Gerardo Troncone, il Professore Salvatore Forgione e la Dottoressa Wilma Tarantino. Si dà inizio alla conferenza alle ore 10,15. Ad aprire il dibattito e a dare il benvenuto a relatori e studenti è il Dirigente Scolastico, il quale coglie l’occasione per porgere a tutte le donne presenti gli auguri per la “festa della donna”. Passa quindi la parola all’ingegnere Troncone, appassionato studioso del fenomeno del “Turismo religioso”. Troviamo riscontro di questa passione nei tanti interessanti e ben documentati articoli scritti e pubblicati da “Il Corriere dell’Irpinia”. Articoli quali “Quando la via santa passava per Avellino”, “La via santa della cristianità”, “Il pellegrinaggio sacro in territorio irpino”, che abbiamo letto e commentato in classe, durante la fase della documentazione teorica. L’ingegnere, cattura la nostra attenzione, presentando un video sull’età della pietra in Irpinia: siamo circa tra i 10-15 mila anni addietro. Sul video appaiono i nostri antenati cacciatori e raccoglitori di frutti spontanei. Sembra che all’epoca, nel comune di Lioni vivessero elefanti e leoni; a Frigento viveva l’Equus hydruntinus, un piccolo pony. Comincia così la storia dell’uomo in Irpinia. Testimonianze della vita dell’uomo in questo territorio si trovano, anche, in contrada Starza di Ariano Irpino. Il nostro territorio era attraversato dalla via del “Grand Tour” il caratteristico viaggio svolto dagli aristocratici nel XVIII secolo. Poi passa ad illustrarci i percorsi di due strade praticate dai pellegrini: la via Appia e la via Traiana. Terminato l’intervento, prende la parola il Professore di Scienze Salvatore Forgione, da alcuni anni in pensione. Da quello che dice e dal tono della voce si coglie un grande amore per la ricerca, non a caso verso la metà degli anni ’90, istituisce, ad Avellino, il “Centro Documentazione Ambientale”. Ci informa che dalle ricerche svolte è emerso che l’Irpinia è quel luogo dell‘Europa dove è nata la storia dell’uomo occidentale. La popolazione europea, infatti, è composta dai due terzi da individui provenienti dall’area medio-orientale e per il resto dai paleolitici dell’Irpinia, dove nel Paleolitico medio viveva l’uomo di Neanderthal. Tante sono le informazioni…, tra l’altro una notizia riguardante il “Grand Tour”: nel 1717 George Berkeley, passando da queste parti, dormì ad Ariano Irpino e nel 1777 vi soggiornò Henry Swinburne. 7 Inizia l’intervento la Dottoressa Wilma Tarantino, medico, organizzatore “del cammino degli Angeli”; nel 2005 ha percorso, con un gruppo di pellegrini, ben 1000 km a piedi. La dottoressa, appassionata intenditrice di pellegrinaggi di oggi e di ieri, ci informa che nel corso del Medioevo, il territorio irpino si trovasse sulla direttrice principale non solo dei viaggi commerciali, ma anche di quelli spirituali. Il nostro territorio è stato battuto da mercanti, crociati e pellegrini... “Noi viviamo in un territorio bellissimo e ricchissimo…” Tra le tante parole, rivolteci dalla dottoressa, le più accorate riguardano l’esortazione rivolta a noi alunni di amare il sapere… “Si può celebrare la vita anche attraverso la conoscenza… Il benessere è legato al sapere!” Al termine della conferenza, il Dirigente ringrazia tutti i presenti e li invita a gustare le delizie preparate, per l’occasione, dalle alunne delle classi quarte, protagoniste dello “Stage”. 8 I CAPITOLO DOCUMENTAZIONE TEORICA IL PELLEGRINO SI METTE IN CAMMINO Il pellegrinaggio, inteso come visita a un luogo sacro, è tra le più antiche forme di viaggio. Per alcune religioni esso si fonda sulla convinzione che la divinità risieda in alcune sedi privilegiate, presso le quali possono avvenire fenomeni soprannaturali; per altre, come il Cristianesimo, il pellegrinaggio si fonda sulla sacralità di luoghi nei quali vi è stata l’apparizione di creatura divine o si è svolta la vita terrena di profeti, Santi e perfino dello stesso Dio, incarnato in Cristo. Molteplici possono essere le motivazioni che muovono il pellegrino: esprimere riconoscenza per una grazia ricevuta, espiare delle colpe, ottenere indulgenze o miracoli. Le origini del pellegrinaggio: In Europa il pellegrinaggio si diffonde fin dalle origini del Cristianesimo, nelle forme più diverse e non sempre pacifiche. In età medievale, per esempio, anche le crociate, spedizioni armate organizzate al fine di conquistare Gerusalemme, allora sotto il dominio arabo, in quanto sede del Santo Sepolcro, erano considerate forme di pellegrinaggio, al punto che a chi vi partecipava era promessa la remissione dei peccati. Nel 1300 papa Bonifacio VIII istituì l’”anno santo”, più noto col nome di giubileo: in tale occasione indulgenze eccezionali vennero promesse ai pellegrini che si recavano in visita alle quattro basiliche maggiori di Roma. La tradizione è giunta fino a oggi: l’ultimo giubileo è stato celebrato, con enorme afflusso di fedeli, nell’anno 2000. La lunga storia del pellegrinaggio: Nel corso dei secoli i pellegrini hanno percorso le strade dell’Europa, seguendo tracciati spesso lunghi e ardui, segnati dalle croci che indicano la direzione da seguire. I loro viaggi hanno favorito la circolazione di idee, di novità e di tradizioni differenti, anche in epoche in cui le comunicazioni non erano agevoli, contribuendo a costruire un senso comune del continente. Per sottolineare questa fondamentale funzione culturale dei viaggi della fede, il poeta tedesco Johann Wolfgang Goethe, nell’Ottocento, arrivò a dire che “l’Europa è nata dai pellegrinaggi a Santiago”. Ancora nel XXI secolo, nell’epoca della modernità e della tecnologia, moltitudini di persone percorrono, con nuovi mezzi, gli antichi cammini. Alle motivazioni religiose originali se ne sono aggiunte altre: il turismo culturale, la curiosità, la voglia di avventura. Alla base c’è sempre il desiderio di compiere un’esperienza interiore che vada al di là del semplice viaggiare e sia in grado di lasciare un segno profondo nell’esistenza di chi la vive. Il valore simbolico: La figura del pellegrino è il simbolo di un’esperienza fondamentale dell’essere umano: mettersi in viaggio significa dedicarsi alla ricerca di valori significativi e di certezze, di cui la vita contemporanea sembra sempre più avara. Si può dire che il pellegrinaggio sia una grande metafora della vita: un cammino attraverso il tempo e lo spazio, in cerca di mete capaci di dare un senso autentico all’esistenza. E la meta più importante è proprio la risposta alle domande che prima o poi tutti si pongono: “Dove vado?” “Perché cammino?” Per chi ha fede, a questi interrogativi vengono date risposte certe, anche se non scontate, come nel caso dei Magi che si recarono a Betlemme a visitare il bambino Gesù, questo antichissimo viaggio narrato dal Vangelo di Matteo è ripercorso da Thomas Stearns Eliot, poeta nato negli Stati Uniti, ma europeo per esperienza biografica e formazione culturale, che ne fa il simbolo della ricerca del divino a cui ogni uomo è chiamato. Il desiderio, tipico del pellegrino, di cambiamento e di acquisizione dei valori assoluti, al di là del contingente, è alla base della poesia “Altrove” del portoghese Fernando Pessoa che sogna un mondo diverso e lontano dagli affanni del mondo reale. 9 IL PELLEGRINAGGIO COME LUOGO E TEMPO DELLA “MEMORIA” Turismo e pellegrinaggio: agenzie di viaggi, giornali, televisione si sono impossessati di questo binomio moderno e abbastanza male abbinato. Turismo è parola che deriva dall’inglese, è di recente conio. Il dizionario Larousse dà questa definizione: “Azione di viaggiare per il proprio piacere”. Pellegrinaggio è un’antica parola latina, ma la realtà che essa designa appartiene, ancor prima del mondo romano, al mondo greco e al mondo semitico: “Peregrinare significa viaggiare per recarsi in un luogo sacro o, nel linguaggio cristiano, in un luogo santo”. È vero che i luoghi santi sono invasi dai turisti, Gerusalemme, Roma, Assisi, Lourdes, ecc., ma a questi sfugge la sacralità di quei luoghi. L’approccio del turista e quello del pellegrino non sono gli stessi. Il turista non vive ciò che il pellegrino è chiamato a vivere. Il pellegrino, va in cerca del luogo sacro. Ma, a differenza del turista, anche se si serve degli stessi mezzi di trasporto, soggiorna negli stessi alberghi e calca le stesse strade, egli si muove in un altro spazio, entra in un nuovo tempo, risveglia in sé un altro uomo. Il pellegrino è un uomo in cammino. Ha lasciato un luogo per andare in un altro. È di passaggio. Dove sosta non ha radici, né patria, né famiglia. È povero e non gli interessa possedere. Egli se ne va in cerca di qualcosa che è più dell’avere. Il turista si ferma da qualche parte, guarda, fotografa, compra e riparte. Il pellegrino percorrere un altro spazio. L’itinerario di Compostela è iscritto nel cielo e nel cuore delle soste, un tempo chiese e monasteri, ospizi nei quali il pellegrino riceveva un alloggio e un pasto, il perdono di Dio e il Corpo di Cristo. Vi è una tensione dinamica che spinge il pellegrino verso un luogo sacro. L’attesa cresce con il ricordo del luogo sacro, non vi è pellegrinaggio senza questa “memoria”. Ecco perché il tempo del pellegrino non è quello del turista. Il tempo del pellegrino è in realtà il tempo della memoria, il tempo della liturgia. Il turista si muove nel tempo cosmico o nel tempo profano del calendario civile. Il pellegrino si muove nel tempo della liturgia, quello della fede. Il tempo turistico è neutro, semplicemente cosmico o economico, perché il turista deve tener conto del clima, delle stagioni, dei ritmi economici del lavoro e delle ferie. Il tempo del pellegrino è quello della storia sacra, che è memoria. Perciò non deve stupire che a Gerusalemme, il Natale e soprattutto la Pasqua attirino tanti pellegrini. Anche fuori del tempo pasquale, i pellegrini si preoccupano di celebrare la liturgia pasquale che è per eccellenza quella del tempo della memoria del Mistero cristiano. Meno legato del turista alla dimensione spazio-temporale, il pellegrino cerca un’esperienza che supera l’ordine del visibile. Nel luogo sacro, la preghiera del cuore, la liturgia comunitaria, il silenzio, introducono il pellegrino in quel ricordo che rende sacro il luogo. Di fatto, il pellegrino raccoglie in quel luogo le tracce ancor vive del passaggio di Dio sulla terra. In quel luogo, il sacro è oggetto di esperienza; se ne è serbato il ricordo e, attraverso il luogo, esso si dona in qualche modo all’uomo che lo va cercando. Il pellegrino è toccato, fisicamente toccato nel più profondo della sua umanità, in quell’abisso che nulla di puramente terreno, neppure la bellezza o l’amore, può raggiungere. Oggi il pellegrinaggio cristiano sta acquistando una nuova vitalità. Dio ha rivolto la Parola al popolo, in particolare, in determinati luoghi. Dio ha vissuto la vita e la morte da uomo, a Gerusalemme. È dunque là, più che in qualunque altro posto, che il pellegrino, che voglia ravvivare la sua fede e fondarla in Lui, può sentire vivo e ardente il ricordo di Dio. Ancora oggi come nel passato i pellegrini si recano a Gerusalemme per baciare la pietra del sepolcro vuoto e scendono al Giordano con il lenzuolo nel quale vogliono essere sepolti. Da questo momento il pellegrinaggio impronta tutta la loro vita. Nella morte ha compimento il sacramento della comunione col Cristo, il Battesimo e l’Eucarestia: il cristiano si abbandona interamente e realmente al Cristo 10 morto e risuscitato, si identifica in Lui. È allora che il pellegrino raggiunge la sua meta. (Vinzenz Mora) LE DIVERSE DIMENSIONI DEL PELLEGRINAGGIO Il pellegrinaggio, esperienza religiosa universale, è un’espressione tipica della pietà popolare, strettamente connessa con il santuario, della cui vita costituisce una componente indispensabile. Nonostante i mutamenti subiti nel corso dei secoli, il pellegrinaggio mantiene, anche nel nostro tempo, i tratti essenziali che ne determinarono la spiritualità. Diverse sono le dimensioni del pellegrinaggio: La dimensione escatologica, essenziale ed originaria: il pellegrinaggio, “cammino verso il santuario”, è momento e parabola del cammino verso il Regno; il pellegrinaggio, infatti, aiuta a prendere coscienza della prospettiva escatologica in cui si muove il cristiano. La dimensione penitenziale: il pellegrinaggio si configura come un “cammino di conversione”: camminando verso il santuario, il pellegrino compie un percorso che va dalla presa di coscienza del proprio peccato e dei peccati che lo vincolano a cose effimere e inutili al raggiungimento della libertà interiore e alla comprensione del significato profondo della vita. La dimensione festiva: la gioia del pellegrinaggio cristiano è prolungamento della letizia del pio pellegrino di Israele, è sollievo per la rottura della monotonia quotidiana nella prospettiva di un momento diverso, è alleggerimento del peso della vita, che per molti, soprattutto per i poveri, è fardello pesante; è occasione per esprimere la fraternità cristiana, per dare spazio a momenti di convivenza e di amicizia, per liberare manifestazioni di spontaneità spesso represse. La dimensione culturale: il pellegrino cammina verso il santuario per andare incontro a Dio, per stare alla sua presenza rendendogli l’ossequio della sua adorazione e aprendogli il cuore. Nel santuario il pellegrino compie numerosi atti di culto appartenenti alla sfera sia della Liturgia sia della pietà popolare. La dimensione apostolica: l’itineranza del pellegrino ripropone, in un certo senso, quella di Gesù e dei suoi discepoli, che percorrono le strade della Palestina per annunciare il Vangelo di salvezza. Sotto questo profilo il pellegrinaggio è un annuncio di fede e i pellegrini divengono “araldi itineranti di Cristo”. La dimensione comunionale: il pellegrino che si reca al santuario è in comunione di fede e carità non solo con i compagni, con i quali compie il “santo viaggio”, ma con il Signore stesso, che cammina con lui, come camminò al fianco dei discepoli di Emmaus; con la sua comunità di provenienza; con la Chiesa dimorante nel cielo e pellegrinante sulla terra; con i fedeli che, lungo i secoli, hanno pregato nel santuario; con la natura, che circonda il santuario, di cui ammira la bellezza e che si sente portato a rispettare; con l’umanità, la cui sofferenza e la cui speranza si manifestano variamente nel santuario, e il cui ingegno e la cui arte hanno lasciato in esso molteplici segni. IL TURISMO RELIGIOSO: UN SETTORE IN ESPANSIONE. Il turismo religioso, legato fondamentalmente a motivazioni di carattere spirituale, costituisce un mercato che muove più di 300 milioni di persone l’anno, con un giro di affari di oltre 18 miliardi di dollari, di cui 4 miliardi e mezzo solo in Italia. E’ un settore in espansione che, negli ultimi due anni, ha fatto registrare nel nostro Paese un vero e proprio record, superando l’annata del Giubileo del 2000, caratterizzata da più di 40 milioni di pellegrini in movimento. All’inizio fu il Cammino di Santiago de Compostela in Galizia, il lungo percorso che i pellegrini, fin dal Medioevo, compivano attraverso la Francia e la Spagna, per giungere al santuario di Santiago de Compostela, presso cui si trova la tomba di San Giacomo. 11 Da quando il 23 ottobre 1987 il Consiglio d’Europa ha riconosciuto l’importanza dei percorsi religiosi quali veicoli culturali e spirituali di primaria importanza, Santiago de Compostela ha avuto un’impennata che ha portato il Santuario ad aggiudicarsi il primato europeo (41,2%) del turismo religioso, seguito da Lourdes (35,6%) e da Fatima (29,8%). I pellegrinaggi rappresentano uno degli esempi più antichi di “turismo”. Già nelle culture precristiane, come testimoniano i fedeli di diverse confessioni, tra cui i pellegrini, che nell’antico Egitto si recavano al tempio di Menfi, era praticata la consuetudine di recarsi verso ben specifici luoghi di spiritualità. Nel corso dei secoli tale pratica si diffuse acquistando un più alto significato spirituale, unito a una valenza storico-artistica di grande rilievo. Ancora oggi il movente spirituale è la ragione fondamentale per compiere pellegrinaggi a Santiago, Lourdes, Fatima, Lisieux, Loreto, Montserrat e Medjugorje. I dati delle indagini più recenti dimostrano quanto la conoscenza e il recupero degli itinerari religiosi costituiscano oggi una straordinaria opportunità di valorizzazione e di promozione del territorio in termini culturali e turistici.. I percorsi verso i siti devozionali come San Giovanni Rotondo, dove si trova il santuario di Padre Pio da Pietrelcina, Loreto, dove è sito il santuario della Madonna, Assisi, dove troviamo la basilica di San Francesco…, percorsi lunghi, come ad esempio la Via Franchigena e percorsi brevi, come le Vie Crucis, acquisiscono sempre più importanza, quasi quanto gli stessi siti. Sono 35 milioni gli italiani che ogni anno viaggiano alla scoperta dei tanti santuari, monasteri ed eremi, disseminati nel nostro Paese: si tratta di circa 100 mila chiese e oltre 1700 santuari. Accanto ai 14 milioni di pellegrini vi sono altri 21 milioni di turisti, che scelgono, per le loro vacanze, di soggiornare in monasteri, eremi, case d’accoglienza e di visitare musei, santuari e conventi. Non bisogna pensare a un microambiente costituito solo da persone appartenenti alla terza età, anzi… Chi è il turista religioso? Il profilo varia a seconda degli interessi e dell’età. Mediamente si rivolgono al turismo religioso le generazioni adulte e anziane, con scolarizzazione medio-bassa, appartenenti a ceti non abbienti. L’alta percentuale dei fruitori è rappresentata da donne. I giovani si muovono in massa attratti dai grandi eventi della fede. Negli ultimi anni la partecipazione è più consapevole del valore in sé del turismo religioso. Alla motivazione di ordine spirituale se ne affiancano altre: ricerca di emozioni forti, sensazione di appartenenza ideologica, desiderio di stare insieme, intenzione d’incontrare un leader religioso carismatico. Per quanto riguarda la provenienza si nota una partecipazione maggiore da parte degli abitanti del Sud Italia rispetto a quelli del Centro-Nord. Il bene religioso è una risorsa per lo sviluppo? L’attenzione ai santuari e ai luoghi di culto costituisce una valida occasione di interesse per le opere d’arte in essi presenti e rappresenta anche la possibilità di conoscenza del territorio, che diventa la destinazione di un turismo colto e di qualità. Il bene religioso si presenta, dunque, come potenziale risorsa dello sviluppo sostenibile della realtà di cui fa parte. Non a caso nel 2000 è nata la Borsa Internazionale del Turismo e delle Aree Protette a San Giovanni Rotondo, che si fa promotrice della “Fiera del Turismo Religioso”: un evento che si conferma come il più atteso appuntamento internazionale specializzato nel campo del turismo religioso, coniugabile con fede, arte, storia, natura. AUREA è il nome della manifestazione, che si avvale della collaborazione dello SPI (Segretariato Pellegrinaggi Italiani), è l’unica manifestazione specializzata a livello nazionale e internazionale per la promozione di destinazioni, itinerari, luoghi di culto, strutture, eventi e servizi, e rappresenta una preziosa opportunità per far conoscere la propria offerta ai principali operatori del settore. 12 II CAPITOLO DOCUMENTAZIONE: Uscite sul territorio Prima uscita Il giorno 16 Marzo 2012 viene effettuata la prima uscita sul territorio. Ecco l’itinerario: San Leonardo di Siponto - San Michele Arcangelo di Monte Sant’Angelo-San Giovanni Rotondo. Si parte, con il pullman della ditta “Lepore Trasporti”, alle ore 07,00 da Ariano Irpino. Siamo accompagnati dalle professoresse Ciccarelli Maria Pia, Ciccarelli Anna, Moscatelli Giuseppina. Una fermata a Grottaminarda consente ad altri alunni e alle professoresse De Falco Marta, Secreti Isabella, Spera Marilena e al Dirigente Scolastico Caloia Francesco, in compagnia della propria moglie, di salire a “bordo”… e via! Una breve sosta all’area di servizio… Poi si riparte… Lungo la strada che da Foggia porta al Gargano, a poca distanza da Manfredonia, in Puglia, troviamo una chiesa con annesso convento, costruiti tra l’XI e il XII secolo, per accogliere i pellegrini diretti in Terrasanta. E’ il Santuario di San Leonardo! Ci fermiamo, scendiamo dal pullman, ci avviciniamo alla chiesa, dove troviamo ad attenderci un giovane “volontario” che ci accoglie e ci fa da guida. Sono tante le notizie che ci passa… Facciamo fatica a seguirlo…, ma quello che dice è talmente interessante! Cerchiamo di prendere appunti… La notizia che ci colpisce di più è sapere che per 140 anni la chiesa è stata utilizzata come se fosse una stalla, dai contadini della zona, e solo nel 1948 sono stati avviati i lavori di restauro, dopo di che è stata riconsacrata. Il complesso monastico è un luogo di culto dedicato a San Leonardo. Chi è San Leonardo? Il Santo, nato in Gallia intorno al 510, grazie alla benevolenza del re Clodoveo, riuscì a fondare un monastero, attorno al quale si raccolse una comunità di fedeli, venuti da ogni parte, che diede vita al villaggio di Saint-Leonard de Noblat. Egli godeva fama di uomo pio e di benefattore dei carcerati, si racconta, infatti, che quando i prigionieri lo invocavano, le loro catene si spezzavano miracolosamente. Ben presto la devozione a San Siponto - Abbazia di San Leonardo: Facciata laterale della Chiesa. Leonardo si estese oltre i confini della Francia. Tra i suoi devoti è da ricordare il principe Boemondo d’Antiochia, condottiero della Prima Crociata, fatto prigioniero dai Musulmani nel 1100. Le preghiere che questi rivolse al Santo gli ottennero la liberazione ed egli donò al Santuario di SaintLeonard de Noblat alcune catene d’argento come ex voto. San Leonardo divenne così il protettore dei carcerati e dei fabbri, in quanto costruttori di catene; pertanto nei luoghi di culto a lui dedicati vengono deposti ceppi e catene, in segno di riconoscenza per la liberazione ottenuta con la sua intercessione. L’Abbazia di San Leonardo di Siponto, nel 1261 fu affidata da papa Alessandro IV all’ordine religioso-militare dei Cavalieri Teutonici, che lo amministrarono sino alla fine del XV secolo. Sono, 13 tuttora, visibili, affrescati all’interno della chiesa, i loro scudi crociati. Questo è il periodo di massimo splendore. La chiesa è un bell’esempio di romanico pugliese, singolarmente sormontata da due cupole di forma e altezza diverse. All’interno è suddivisa in tre navate con volte a botte, che si scaricano su semipilastri e pilastri cruciformi. All’apice di una volta centrale della navata di destra, presumibilmente verso la metà del Cinquecento, è stato realizzato lo gnomone di una meridiana a camera oscura, a un’altezza di oltre dieci metri: il 21 giugno, solstizio d’estate, a mezzogiorno, ora solare, un raggio di sole, attraversando il foro nella volta, cade esattamente a metà tra i due pilastri di fronte all’ingresso laterale. In occasione degli equinozi di primavera e Abbazia di San Leonardo - Fori gnonomici d’autunno, il 21 marzo e il 21 settembre, verso le ore 16.00, il raggio proietta invece una macchia di luce nell’abside di sinistra. La guida ci spiega che il fascio di luce che entra attraverso i fori gnonomici, rappresenta la “luce eterna”, cioè Cristo che scende sulla terra. Sui semipilastri compositi ai lati dell’abside sono appese decine di piccole catene, simbolo della devozione dei carcerati; sull’adiacente fiancata della navata laterale, si intravedono gli scudi crociati dei Cavalieri Teutonici. Sulla facciata laterale rivolta a nord, verso la strada statale, c’è uno splendido portale con arco a tutto sesto, fittamente decorato in tutte le sue parti da motivi vegetali, zoomorfi e antropomorfi in alto rilievo. Nella lunetta è rappresentato un Gesù benedicente. Nel frontone, tra il portale ed il baldacchino, sono scolpite in rilievo due figure Abbazia di San Leonardo - Facciata laterale: Portale della Chiesa maschili. Quella di sinistra, secondo autori diversi rappresenta Sant’Agostino o San Giacomo, ma potrebbe invece trattarsi di un laico perché è priva di aureola. Quella di destra, con cappuccio sulla testa, un libro in mano ed una catena, raffigura San Leonardo. Nella parte più estrema del portale due leoni sorreggono due colonne, a loro volta sormontate da due animali alati che sostengo l’archivolto. Il leone di destra addenta una figura umana, il peccatore, che gli afferra una zampa; il leone di sinistra, mutilo, presumibilmente addenta un serpente, simbolo del Peccato Originale. I capitelli delle colonne rappresentano episodi biblici. Intorno alle ore 10,30, dopo aver cordialmente ringraziato il gentile ospite, risaliamo sul pullman e riprendiamo il nostro cammino. Dai finestrini osserviamo il territorio che stiamo attraversando: terreni fertili si alternano a terreni brulli… Percorriamo la salita. Da lassù possiamo ammirare un paesaggio davvero suggestivo…, in fondo si intravede il mare… e una varietà di colori di una bellezza tale che ti mette in contatto con Dio! 14 Arriviamo a MONTE SANT’ANGELO all’incirca alle ore 11,30. Scesi dal pullman ci avviamo verso il Santuario di San Michele Arcangelo. Siamo attratti dalla vista del campanile, sito di fronte alla Basilica. L’inizio della costruzione del Campanile, eretto da Carlo I d'Angiò come ringraziamento a San Michele per la conquista dell'Italia meridionale risale al 27 Marzo 1274. La torre, progettata dall'architetto Giordano, di Monte Sant'Angelo, direttore dei lavori insieme a suo fratello Maraldo, è a forma ottagonale e viene completata nel 1282, con un'altezza originaria di quaranta metri. Ridotta agli attuali ventisette metri, probabilmente a causa di un fulmine o per collocarvi più agevolmente le campane. Il campanile è diviso in quattro piani con arcate cieche a tutto sesto, con cornici variamente ornate. All'interno sono state ricavate tre celle a cupola e un'ultima cella con costoloni ad arco acuto. All'ultimo piano cinque campane si affacciano da quattro aperture ad arco. La campana più grande, la sesta, occupa il centro dell'ottagono e risale all'anno 1666. Monte Sant’Angelo - Santuario di San Michele Arcangelo: Campanile INGRESSO SANTUARIO Passando accanto al campanile, ci si immette in un ampio piazzale, denominato "Atrio superiore", delineato a sinistra e di fronte da un colonnato con inferriate. Il prospetto dell'ingresso risale al 1865 ed è costituito da due arcate a sesto acuto, sormontate da un frontone triangolare ornato di fregi. Al centro, in alto, tra due piccoli rosoni, è collocata un'edicola con la statua di San Michele Arcangelo. L'ingresso di sinistra è impreziosito da una porta di bronzo istoriata con pannelli che riportano tutta la storia del Santuario, dalle origini fino al pellegrinaggio di Giovanni Paolo II, avvenuto nel 1987. In alto, in corrispondenza delle porte, sono collocate due lapidi rettangolari. A destra si legge la seguente epigrafe: Terribile è questo luogo. Qui è la casa di Dio e la porta del cielo. La lapide di sinistra porta incisa un'altra iscrizione. Sono le parole pronunciate dall'Arcangelo nella terza apparizione: NON EST VOBIS OPUS HANC QUAM AEDIFICAVI BASILICAM DEDICARE IPSE ENIM QUI Santuario di San Michele Arcangelo: Parte superiore dell’ingresso CONDIDI ETIAM CONSECRAVI: "Non è necessario che voi dedichiate questa Basilica che ho edificato, poiché io stesso, che ne ho posto le fondamenta, l'ho anche consacrata". Sotto ogni lapide si apre un portale ad arco acuto, il più prezioso dei quali, a destra, risale al XIV secolo. I due portali superiori immettono in un vestibolo dal quale ha inizio la scalinata che porta verso la mistica Grotta. La costruzione di questa magnifica opera risale al XIII secolo: epoca angioina. E' costituita da 86 gradini e suddivisa in cinque rampe, interrotte da quattro ripiani; le gallerie sono 15 sostenute da grandi arcate gotiche e da volte ogivali; le pareti laterali sono illuminate da piccole finestre a strombo. Le arcate che corrono lungo le pareti a destra e a sinistra delimitano le sepolture delle antiche famiglie del luogo. La scalinata termina con un portale inquadrato da colonne tortili poggianti su leoni e plinti chiamato tradizionalmente "Porta del toro", dal grande affresco che lo sovrasta, raffigurante, appunto, l'episodio del toro della prima apparizione. Sotto l'affresco è murata una lapide marmorea in una ricca cornice contenente la seguente iscrizione: HAEC EST TOTO ORBE TERRARUM DIVI MICHAELIS Santuario di San Michele Arcangelo: Scalinata ARCHANGELI CELEBERRIMA CRIPTA UBI MORTALIBUS APPARERE DIGNATUS EST HOSPES HUMI PROCUM - BENS SAXA VENERARE LOCUS ENIM IN QUO STAS TERRA SANCTA EST: “E' questa la Cripta di San Michele Arcangelo, celeberrima in tutto il mondo, dove egli si degnò di apparire agli uomini. O pellegrino, prostrandoti a terra, venera questi sassi perché il luogo in cui ti trovi è santo”. Ci incontriamo con la guida, la quale ci conduce nella Cappella Penitenziale o della Riconciliazione, inaugurata nel 2000, realizzata per offrire a tutti i pellegrini un luogo dove, in silenzio e raccoglimento, possano accostarsi al Sacramento della Riconciliazione e sperimentare il perdono di Dio per i propri peccati. La guida ci invita a prendere posto tra i banchi e ad osservare ciò che ci circonda… Poi inizia a narrare la storia recente e quella remota di questo luogo “misterioso”: Ci invita a guardare con attenzione l’elemento roccioso della grotta, costituita da più cavità. La Cappella, ricavata dalle grotte, utilizzate, nel passato, come cortile di servizio, è stata pontificata in occasione del Giubileo del III millennio. Queste grotte, oltre a richiamare l’essenza prima del Santuario: la “presenza” dell’Arcangelo Michele, rendono visivamente l’immagine del Sepolcro vuoto e della vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte. La Cappella appare grandiosa, con la copertura che poggia su una struttura di legno, sorretta dalle pareti rivestite di pietra. Nove sono le travi che la sostengono, come i “nove cerchi angelici”. In questa cappella vi sono l’incisione: “Questa è la cripta di San Michele, dove Michele si è fatto vedere da noi mortali. Oh pellegrino Santuario di San Michele Arcangelo: Cappella (Battesimo di Gesù) questo è un luogo sacro, inginocchiati e qui dove i sassi si aprono, i tuoi peccati sono cancellati, questa è la casa speciale dove qualsiasi colpa hai avuto ti sarà cancellata”. 16 Il portale della Cappella rappresenta ventiquattro episodi biblici: dodici del primo testamento e dodici del secondo. Un significativo elemento simbolico e decorativo è costituito dall’inserimento di quaranta piccole mensole nelle pareti. Quaranta, infatti, è il numero biblico della tribolazione, della prova e della penitenza. E’ evidente che nella Basilica è ricorrente la numerologia. E’ presente anche il numero otto, che rappresenta l’infinito La Cappella si apre ad accogliere anche le celebrazioni comunitarie penitenziali, per preparare meglio i pellegrini alle confessioni individuali che avvengono in apposite salette, inserite sulla muratura del lato sinistro. Su di essa un grande Crocifisso si erge a braccia aperte da uno spuntone di roccia; il viso, stroncato dal dolore e privo di vita è di una rara espressività. Inoltre vi sono otto cabine e otto fasci di luce. La Basilica di S. Michele Arcangelo è uno dei più antichi e conosciuti Santuari del mondo cristiano. Qui Dio si è manifestato all’uomo come Padre di misericordia e di perdono, servendosi di uno dei suoi più potenti messaggeri: l’Arcangelo Michele, vincitore di Satana. Quindici secoli addietro, nel 490 d.C., l’Arcangelo, principe di tutti gli angeli, apparì quattro volte a Siponto; apparendo a San Lorenzo Maiorano, vescovo di Siponto, San Michele disse: “Là dove si spalanca la roccia verranno perdonati i peccati degli uomini”… e ancora: “tutto ciò che qui sarà chiesto con la preghiera sarà esaudito”. Attraverso il suo Messaggero, Dio ha Santuario di San Michele Arcangelo: Crocifisso rivelato agli uomini la sua volontà: fare di questa caverna, un tempo misteriosa e solitaria, un luogo privilegiato di incontro con Lui, mediante l’esperienza del suo perdono. L’Arcangelo Michele già considerato dagli Ebrei come il principe degli angeli, protettore del popolo, simbolo della potente assistenza divina nei confronti di Israele. Il suo nome “Mi Ka-El” significa “fatto di Dio”, “chi è come Dio”. Usciti dalla Cappella della Riconciliazione, dopo aver osservato sulla destra, lungo un corridoio, la rappresentazione della Madonna con il Bambino, la guida ci conduce alla Grotta, ove al suo interno troviamo la statua dell’Arcangelo, che rappresenta l’Arcangelo Michele con: la corona, simbolo del potere conferitogli da Dio; le ali, simbolo della dimensione di Dio; la spada e lo scudo, simboli di forza, grazie alla quale schiaccia il diavolo sotto i piedi. È proprio l’Arcangelo che, in terza persona protegge, in quanto messaggero di Dio, ha scelto e ha consacrato questo luogo, infatti, Lui ne è il custode; oltre alla statua troviamo la cattedra episcopale e la statua di San Sebastiano. Di questo luogo sacro manca la documentazione fotografica, in quanto non è consentito fare foto. Da qui ci spostiamo nel “Museo devozionale”, costruito nel 1989 e poi completamente rifatto nel 2008. 17 Negli ampi locali, realizzati per accogliere la nuova esposizione museale degli interessanti reperti che sono espressione viva della devozione a San Michele Arcangelo, si accede direttamente dall’ atrio della cappella della riconciliazione. Sulle pareti dell’ atrio e lungo il corridoio di collegamento con il museo sono stati collocati gli “ex voto” in forma di dipinti che parlano visivamente delle grazie e dei miracoli ottenuti per intercessione dell’ Arcangelo. Il museo raccoglie le testimonianze che pellegrini illustri e gente comune, nel corso dei secoli, hanno lasciato come rendimento di grazie per i benefici ricevuti e come pegno di devozione. Le suppellettili liturgiche, gli argenti, i paramenti costituiscono un sontuoso “tesoro” di cui imperatori, papi, vescovi hanno dotato la Santuario di San Michele Arcangelo - Museo devozionale: Basilica. L’altra parte del patrimonio, suppellettili liturgiche il “tesoro votivo”, è costituita da doni di gran valore simbolico e storico per il santuario: ex voto in lamina d’argento, icone, ceri, oggetti d’oro, oggetti d’uso quotidiano offerti per grazie ricevute. Nel tempo, a questi oggetti si sono aggiunte collezioni di singoli privati: la collezione archeologica, la collezione numismatica, la raccolta dei vasi di maiolica. Le numerose statue di San Michele sono per la gran parte quelle scolpite “in loco”, in pietra locale o alabastro, da statuari artisti di Monte Sant’Angelo, che ricevettero il riconoscimento nel 1475 dal re Ferdinando d’Aragona. Posto centrale, per significato e valore, è riservato alla più antica icona di San Michele Arcangelo venerata nel santuario. Originariamente, e fino all’anno 1891, si trovava nella cosiddetta Cava delle pietre; poi fu custodita nella Cappella delle reliquie, finché non trovò collocazione nel Museo devozionale. Quest’opera di grande valore è realizzata in rame dorato ed è conosciuta come Icona bizantina del secolo VI-VII. Studi recenti, però, assegnano la sua origine all’epoca longobarda (secolo VIII-IX). Tutti questi doni offerti al Santuario di Monte Sant’Angelo testimoniano il culto, l’amore, la devozione a San Michele attraverso i secoli ed attestano la validità e l’importanza di questo luogo sacro per i pellegrini che qui giungono da tutto il mondo. Dal museo devozionale ci spostiamo nel “Museo lapideo”. Esso trova collocazione negli ambienti di epoca longobarda, ritornati alla luce in seguito agli scavi promossi dall’Arcidiacono del Capitolo mons. Nicola Quitadamo negli anni 1949-1960. Queste cripte fungevano da entrata alla Grotta fino al secolo XIII, fino cioè all’ epoca delle costruzioni angioine, sono composte da due Santuario di San Michele Arcangelo - Museo ambienti le cui strutture, sono state realizzate, devozionale: Icona di San Michele Arcangelo probabilmente, in due fasi immediatamente successive l’una dall’altra. Alcune iscrizioni murarie hanno reso possibile datare le costruzioni tra la fine del VII e l’inizio del secolo VIII. Lunghe circa 18 60 metri, si sviluppano fin sotto il pavimento della Basilica,giungono fino al possente muro di sostegno sul quale, nella parte superiore, sono poggiate le famose Porte di bronzo. La prima parte appare come una galleria porticata, coperta da volte a botte. Qui sono esposte diverse sculture provenienti dagli scavi del santuario, dell’ex chiesa di San Pietro e dalle rovine dell’Abbazia benedettina di Santa Maria di Pulsano. Tra queste: lo stemma della città Monte Sant’Angelo dell’anno 1401; una statua di San Michele della prima metà del secolo XIV; una statua del Redentore del secolo XV; una Madonna con Bambino del secolo XV; Santuario di San Michele Arcangelo - Museo lapideo: Galleria porticata una croce funeraria del secolo VIII; un angelo con vessillo del X-XI secolo; un Cristo orante del secolo XI-XII e, dello stesso periodo, una Madonna acefala; un lavabo decorato con scene bibliche; frammenti di ambone fra i quali un’aquila con leggìo della bottega di Acceptus del secolo XI. Passando attraverso l’apertura scavata nel muro di sostegno delle porte di bronzo si passa nell’altro ambiente di epoca longobarda, diviso in due ampie navate. La copertura doveva essere costituita da una volta a botte, sostenuta da arconi trasversali. Le navate erano occupate da due scale: quella a destra, ad andamento curvilineo, è conservata integralmente nel suo percorso; quella di sinistra, ad andamento rettilineo, è andata distrutta. Le due scale terminavano su una piccola platea, delimitata ad est da un’abside, con un altare a blocco in conci squadrati. Alla sinistra dell’altare è stato ritrovato, protetto da lastra di pietra, un affresco chiamato il “Custos Ecclesiae”, risalente al X secolo, oggi esposto nella Sala Convegni. Questi ambienti furono chiusi definitivamente verso gli anni 1270-1275, quando gli Angioini, con le nuove costruzioni, diedero al Santuario l’assetto attuale, sacrificando le precedenti opere. Una lunga galleria porta alle scale e poi alla statua di Michele, qui si rileva l’impronta del suo piede. All’entrata vi sono iscrizioni ludiche scoperte nel 1958. LA STORIA: Il santuario fa parte del sito seriale "Longobardi in Italia: i luoghi del potere", comprendente sette luoghi densi di Santuario di San Michele Arcangelo - Museo lapideo: Madonna con Bambino del secolo XV 19 testimonianze architettoniche, pittoriche e scultoree dell'arte longobarda, inscritto alla Lista dei patrimoni dell'umanità dell'Unesco nel giugno 2011. Secondo la tradizione, il santuario ha origine nel 490, anno della prima apparizione dell'Arcangelo Michele sul Gargano. A partire dal 650 l'area garganica, nella quale sorge il santuario, entrò a far parte dei domini longobardi, direttamente soggetta al Ducato di Benevento. Il popolo germanico nutriva una particolare venerazione per l'arcangelo Michele, nel quale ritrovava le virtù guerriere un tempo adorate nel dio germanico Odino. Già a partire dal VII secolo, i germanici considerarono il santuario garganico il santuario nazionale dei Longobardi, che divenne, ben presto, il principale centro di culto dell'Arcangelo dell'intero Occidente, modello tipologico per tutti gli altri. Il santuario fu oggetto del mecenatismo monumentale sia dei duchi di Benevento, sia dei re installati a Pavia, che promossero numerosi interventi di ristrutturazione per facilitare l'accesso alla grotta della prima apparizione e per alloggiare i pellegrini. San Michele Arcangelo divenne così una delle principali mete di pellegrinaggio della cristianità, tappa di quella variante della Via Francigena oggi chiamata “Via Sacra Langobardorum” che conduceva in Terra Santa.. Il Santuario infatti è uno dei tre maggiori luoghi di culto europei intitolati a San Michele, insieme alla Sacra di San Michele in val di Susa, e a Mont Saint-Michel in Normandia. I tre luoghi sacri si trovano a mille chilometri di distanza l'uno dall'altro, allineati lungo una retta che, prolungata in linea d'aria, conduce a Gerusalemme. Dopo la caduta del Regno longobardo (774) il santuario conservò la propria importante funzione all'interno della Langobardia Minor, sempre nell'ambito del Ducato di Benevento che in quello stesso anno, il 774, si elevò, per iniziativa di Arechi II, al rango di principato. Quando anche Benevento cadde nel corso dell'XI secolo, del santuario di San Michele Arcangelo si presero cura prima i Normanni, poi gli Svevi e gli Angioini, che si legarono a loro volta al culto micaelico e intervennero ulteriormente sulla struttura del santuario stesso, modificandone la parte superiore e arricchendolo di nuovi apparati decorativi. LE APPARIZIONI: Le apparizioni tradizionalmente legate al santuario sono quattro. Prima apparizione: l’episodio del toro. Datata 490, narra di un certo Elvio Emanuele, un ricco signore del Gargano, che aveva smarrito il più bel toro della sua mandria; lo ritrovò casualmente dentro una caverna inaccessibile. Già tale situazione lo aveva incuriosito e nell'impossibilità di accedere nell'antro per recuperarlo, decise di ucciderlo scagliandogli una freccia con il suo arco; ma la freccia inspiegabilmente invertì la traiettoria e colpì il signorotto ferendolo. Meravigliato e intuendo una situazione sovrumana, Elvio si recò da Lorenzo Maiorano santo vescovo di Siponto, all'epoca importante centro della pianura, oggi località nel comune di Manfredonia, per raccontare l'accaduto. Dopo averlo ascoltato, il vescovo indisse tre giorni di preghiera e di penitenza al termine dei quali san Michele Arcangelo gli apparve in sogno dicendo: "Io sono l'Arcangelo Michele e sto sempre alla presenza di Dio. La caverna è a me sacra, è una mia scelta, io stesso ne sono vigile custode. Là dove si spalanca la roccia, possono essere perdonati i peccati degli uomini. Quel che sarà chiesto nella preghiera, sarà esaudito. Quindi dedica la Grotta al culto cristiano". Il vescovo non diede però seguito alla richiesta dell'Arcangelo perché sul monte persisteva il culto pagano. Seconda apparizione: l’episodio della vittoria: Due anni dopo, nel 492, Siponto si trovava sotto assedio da parte delle orde del re barbaro Odoacre (434-493). Allo stremo delle forze, il vescovo di Siponto ottenne dal nemico una tregua di tre giorni, durante i quali si riunì insieme al popolo in preghiera. Qui riapparve l'Arcangelo promettendo loro la vittoria. Rincuorati dal messaggio, gli assediati uscirono dalla città dando inizio ad una furiosa battaglia accompagnata da una tempesta di sabbia e grandine che si rovesciò sugli invasori. Questi, spaventati, fuggirono. In segno di riconoscenza tutta la popolazione di Siponto salì sul monte in processione. Ancora una volta, però, il vescovo non osò entrare nella grotta. Terza apparizione: l’episodio della dedicazione: Nell'anno 493, in seguito alla vittoria, il vescovo Lorenzo Maiorano, intenzionato ad eseguire l'ordine dell'Arcangelo di consacrare la spelonca a San Michele in segno di riconoscenza, si recò a Roma da Papa Gelasio I il quale espresse parere positivo sulla vicenda ordinandogli di entrare nella grotta e consacrarla insieme ai vescovi 20 della Puglia dopo un digiuno di penitenza. Confortato da ciò, il vescovo eseguì l'ordine. Ma l'Arcangelo apparve per la terza volta al santo vescovo annunciando che la cerimonia di consacrazione non sarebbe stata necessaria poiché egli stesso aveva consacrato la grotta con la sua presenza. Il vescovo ordinò allora la costruzione di una chiesa dinnanzi all'ingresso della grotta che venne dedicata all'Arcangelo Michele il 29 settembre 493. La sacra grotta rimane fino ai giorni nostri come un luogo di culto mai consacrato da mano umana e ricevette nel corso dei secoli il titolo di "Celeste Basilica". Quarta apparizione: Nel 1656 tutta l'Italia meridionale era infestata dalla peste. L'Arcivescovo Alfonso Puccinelli decise allora, non trovando altra soluzione per contrastare l'epidemia, di rivolgersi a san Michele con preghiere e digiuni. All'alba del 22 settembre, assorto in preghiera in una stanza del palazzo vescovile di Monte Sant'Angelo, avvertì come un terremoto e subito dopo San Michele gli apparve ordinandogli di benedire i sassi della sua grotta scolpendo su di essi il segno della croce e le lettere M. A. (Michele Arcangelo). Chiunque avesse devotamente tenuto con sé quelle pietre sarebbe stato immune dalla peste. L'Arcivescovo eseguì l'ordine dell'Arcangelo e la città fu subito libera dalla peste. A ricordo e per eterna gratitudine del miracolo, l'Arcivescovo fece innalzare un monumento al santo nella piazza della città, dove ancora oggi si trova, di fronte al balcone della stanza dove tradizione vuole sia avvenuta l'apparizione. L'iscrizione recita: "AL PRINCIPE DEGLI ANGELI VINCITORE DELLA PESTE - PATRONO E CUSTODE - MONUMENTO DI ETERNA GRATITUDINE - ALFONSO PUCCINELLI - 1656". I PELLEGRINAGGI: Nel corso dei secoli, milioni di pellegrini si sono recati in visita a questo luogo di culto così antico. Tra di essi numerosi papi (Gelasio I, Leone IX, Urbano II, Alessandro III, Gregorio X, Celestino V, Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II) e sovrani (Ludovico II, Ottone III, Enrico II, Matilde di Canossa, Carlo d'Angiò, Alfonso d'Aragona, Ferdinando il Cattolico). Anche San Francesco d'Assisi si è recato in visita a san Michele Arcangelo, ma non sentendosi degno di entrare nella grotta, si è fermato in preghiera e raccoglimento all'ingresso, baciando la terra e incidendo su una pietra il segno di croce in forma di "T" (Tau). L’ARCHITETTURA: La struttura del Santuario risulta essere costituita da un livello superiore e da uno inferiore. Al livello superiore sono presenti il portale romanico e il campanile. Il campanile è chiamato anche torre angioina, in quanto fu eretta da Carlo d'Angiò come ringraziamento a san Michele per la conquista dell'Italia meridionale, ed è modellato secondo lo schema delle torri di Castel del Monte. Il livello inferiore comprende la grotta, alla quale si accede direttamente dalla scalinata angioina, il museo devozionale e le cripte. La statua del Santo in marmo di Carrara fu scolpita da Andrea Sansovino ed è datata 1507. In quel periodo era vescovo della diocesi di Manfredonia, di cui faceva parte Monte Sant'Angelo, il cardinale Antonio del Monte, compaesano dello scultore e probabile committente dell'opera che rappresenta uno dei primi capolavori del Rinascimento nel sud dell'Italia. La grotta presenta al suo interno, oltre la statua del Santo, la cattedra episcopale e la statua di San Sebastiano. Le cripte si trovano in ambienti di età longobarda e servivano da entrata alla grotta. Vengono definitivamente abbandonate nel XIII secolo. Le iscrizioni lungo le pareti delle cripte, in alcuni casi a caratteri runici, testimoniano il notevole afflusso dei pellegrini provenienti da tutta l'Europa fin dall'epoca longobarda. Le cripte si sviluppano in due ambienti e in due fasi che fanno datare le costruzioni tra la fine del VII e l'inizio dell'VIII secolo. La prima parte delle cripte ha la forma di una galleria porticata, articolata in otto campate rettangolari. In questo ambiente sono state esposte sculture provenienti principalmente dagli scavi del santuario. La seconda parte delle cripte è di epoca longobarda e presentava due scale, una delle quali è andata distrutta, che terminavano con una piccola platea con un'abside e un altare con numerose iscrizioni. Oggi il Santuario è costituito da: Campanile - Atrio superiore - Scalinata - Atrio interno - Coro Cappella della Croce - Altare del Santissimo Sacramento - Navata Angioina - Grotta di San Michele - Cattedra Episcopale - Altare della Madonna del Perpetuo Soccorso – Cripte - Museo Devozionale - Cava delle Pietre. 21 Terminata la visita dei vari luoghi, dopo aver ringraziato e salutato la guida, riprendiamo il nostro viaggio alla volta di San Giovanni Rotondo. Arriviamo intorno alle ore 13,30. Ci rechiamo presso il ristorante prenotato per il pranzo, sito a poca distanza dal Santuario, per cui terminato il pranzo ci rechiamo a piedi verso la nostra meta. E’ qui uno dei Santuari più conosciuti e visitati della cristianità. Il suo nome e la sua storia sono legati alla vita di un uomo straordinario del nostro tempo. Sono tante le persone anziane a noi vicine che hanno avuto il piacere di conoscerlo. E’ Francesco Forgione nato a Pietrelcina il 25 Maggio 1887. Entrato nel noviziato cappuccino di Morcone il 12 Gennaio 1903, prende il nome di fra Pio. Ordinato sacerdote il 10 Agosto 1910 a Benevento, ritorna dai genitori a Pietrelcina per motivi di salute e vi resta fino al 1916. Nel settembre dello stesso anno entra nel convento di San Giovanni Rotondo e vi rimane fino alla morte. I carismi, in particolar modo le stimmate, di cui Dio arricchisce la vita di Padre Pio, richiamano l’attenzione delle autorità ecclesiastiche e provocano una serie di interventi da parte del “Santo Offizio”… Fin da giovane il frate comprende che è chiamato a colmare, insieme a Gesù, lo spazio che separa gli uomini da Dio. Realizza questo progetto mediante tre modalità: la direzione delle anime, la confessione sacramentale, la celebrazione della Santa Messa. Centinaia di migliaia di fedeli si recano, provenienti da varie parti, a San Giovanni Rotondo per ascoltare la Santa Messa, per poter partecipare in Essa alla pienezza della sua spiritualità. L’intenso ministero sacerdotale richiama intorno al primo sacerdote stigmatizzato, al “Frate dei miracoli”, una “clientela mondiale” che si muove da tutti gli angoli della terra per avvicinarlo, oppure affidare a innumerevoli lettere il proprio carico di problemi materiali e spirituali. E’ molto intenso non solo il ministero sacerdotale, ma anche l’impegno sul piano sociale. Padre Pio si impegna per sollevare dolori e miserie di molte famiglie. Grande testimonianza del suo incensante impegno è la “Casa Sollievo della Sofferenza”, inaugurata il 5 Maggio 1956… Il sereno transito di Padre Pio avviene il 23 Settembre 1968. Beatificato il 2 Maggio 1999, viene canonizzato il 16 Giugno 2002. Sul sagrato della “nuova chiesa” riceviamo accoglienza dalla guida, la quale dopo pochi “convenevoli”, inizia a passarci una infinità di notizie relative alla magnifica struttura. La chiesa è stata commissionata dall’Ordine dei Frati Minori Cappuccini della provincia di Foggia e realizzata dall’architetto Renzo Piano per contenere le migliaia di pellegrini che ogni anno giungono ad onorare la memoria del Frate Cappuccino da Pietrelcina. L’opera è stata quasi completamente finanziata dalle offerte dei pellegrini. Con i San Giovanni Rotondo - Santuario di San Pio: Sagrato della “nuova chiesa” suoi 6.000 quadrati è una delle chiese più grandi in Italia per dimensione ed è in grado di contenere 7.000 persone, considerando un ampio margine di sicurezza. 22 La novità principale apportata da questo progetto nel campo dell’architettura è l’utilizzo della pietra di Apricena che costituisce gran parte dell’opera. La pietra oltre ad essere utilizzata come semplice elemento decorativo è usata anche come struttura resistente. Per accogliere i fedeli, che accorrono alla chiesa di Padre Pio, è stato costruito un enorme sagrato triangolare, intitolato a papa Giovanni Paolo II, pavimentato con pietra di Apricena e in leggera pendenza, quasi ad invitare i fedeli ad avvicinarsi alla chiesa. La sua superficie è di 8.000 metri quadrati ed è caratterizzato da uno spazio delimitato a sud dal particolare campanile orizzontale, dalla monumentale croce in pietra e da otto aquilotti anch'essi in pietra, ad ovest dalla vetrata della chiesa; a nord vi sono il boschetto con ventiquattro ulivi secolari e dodici vasche trapezoidali, che portano l'acqua alla fonte battesimale ottagonale. Per garantire il rispetto dell'ambiente sono stati piantati nei pressi della costruzione duemila cipressi, cinquecento pini, trenta ulivi, quattrocento corbezzoli, cinquecentocinquanta mirti, duemilatrecento lavande, cinquantamila edere. Per evitare sprechi, sono innaffiati tramite un sistema di irrigazione a goccia. La prima cosa che giunge all'occhio attraversando il sagrato è la copertura della chiesa, realizzata con rame preossidato, regala alla struttura un colore verde-rame. E’più bassa nella parte in cui è posta la sagrestia, nel lato corto della struttura, per poi innalzarsi progressivamente fino a giungere nel punto più alto della vetrata di collegamento della chiesa con il sagrato. La copertura è sorretta da travi tangenziali e radiali in legno lamellare, a cui sono connessi due ordini di tavolati in legno listellare; alla parte superiore è innestata la copertura vera e propria in rame, nella parte inferiore, al soffitto della struttura, è stato applicato un intonaco dal colore tra il beige ed il color tabacco. A sua volta questa struttura è sostenuta dagli archi interni, a cui sono collegate delle staffe in acciaio. Nello spazio interno ci sono ventidue archi che rappresentano la novità assoluta di quest’opera, infatti, essi, sono costruiti interamente in pietra di Apricena, varietà “bronzetto”, al cui interno sono stati inseriti dei cavi che determinano la precompressione che evita il cedimento della struttura. Il collegamento tra i diversi blocchi di pietra è stato effettuato tramite una speciale malta con all’interno fibre di acciaio che in caso di evento sismico assorbe l’eccesso di energia. Gli archi sono disposti secondo un andamento radiale, partendo dal centro della struttura, e sono disposti lungo due file: una interna, in cui tutti gli archi hanno in comune il pilastro centrale, ed una esterna. Essi sono sfasati di 10° e si riducono progressivamente in luce ed altezza dal lato comunicante con il sagrato verso la sagrestia. Presentano una graduale riduzione della sezione partendo dalle basi fino alla chiave dell'arco, donando così un senso di leggerezza alla struttura. L'arco più ampio è quello di comunicazione con il sagrato, ed è il più ampio al mondo, realizzato utilizzando la pietra come materiale portante: è largo quasi 50 metri ed è alto più di 15. L'aula liturgica, divisa in tre navate, presenta una pavimentazione uguale a quella del sagrato, si coglie, così, una continuità tra lo spazio interno della chiesa e l'esterno. Presenta una leggera pendenza verso l'altare centrale formando una struttura idealmente speculare a quella della copertura, ed al tempo stesso permettendo una disposizione dei banchi simile ai teatri greci. L'altare è leggermente rialzato per mezzo di alcuni gradini. Particolare attenzione è stata posta anche nella disposizione delle aperture per l'illuminazione naturale: l'intera aula liturgica è in perenne penombra per favorire la concentrazione dei fedeli, mentre lame di luce scendono verso l'altare e la croce in bronzo sopra di essa, per mantenere l'attenzione sempre sul fulcro della cerimonia religiosa. Immediatamente adiacente all'aula liturgica è la cappella dell'eucaristia. Al suo interno è posto il tabernacolo realizzato da Floriano Bodini, scolpito da un unico masso di 40 quintali di roccia lavica dell'Etna con formelle argentee trattanti il tema dell'eucaristia. La particolarità di questo tabernacolo è il modo con cui si apre: invece di due ante, è stato realizzato un sistema di apertura scorrevole, che sposta lateralmente due formelle laterali. Con la comparsa di questi due bracci laterali, la struttura assume una forma di croce, al cui centro è posta l'eucaristia. La cappella è collegata con l'esterno per mezzo di una vetrata, che sarà possibile oscurare per mezzo di una tenda. Sfruttando l’altimetria del sito è stato possibile costruire una chiesa inferiore. È di dimensioni più raccolte, dal momento che le sue 23 dimensioni sono pari all'area presbiteriale sovrastante, ed è divisa in vari ambiti: la cripta dove è stata traslatata la salma del Santo, di forma semicircolare e coperta da una serie di volte coniche che si dipartono dal centro; tre sale conferenze; sale di accoglienza dei pellegrini con relativi servizi e zone per i gruppi di preghiera; la penitenzieria, interamente insonorizzata, al cui interno sono posti trentuno confessionali; non è presente, contrariamente a quanto voleva il Santo, alcun genere di inginocchiatoio. Per decorare la chiesa i frati hanno commissionato molte opere a diversi artisti famosi nel loro campo. Tra le decorazioni troviamo la vetrata, che separa l'aula liturgica dal sagrato, la chiesa di oltre 40 metri e il campanile orizzontale che decorano un lato del sagrato e le varie opere scultoree che decorano l'interno della struttura. La vetrata, composta da più di cento infissi, è decorata con una scena dell'apocalisse. Tuttavia gli infissi sono mobili e, quando sono in posizione orizzontale, permettono la visione dell'interno a chi si trova sul sagrato, che rappresenta così un'estensione della chiesa nei momenti Santuario di San Pio: Campanile orizzontale e croce di maggiore affluenza di fedeli. L'autore della vetrata, ha utilizzato un tessuto Trevira, usato anche nelle missioni spaziali. Le scene dell'apocalisse sono riprodotte su cinquecento tende motorizzate e sincronizzate che ne permettono l'apertura o la chiusura. Le file orizzontali possono essere movimentate indipendentemente, per dosare la luce nell'aula, in base alla posizione del sole. Il caratteristico campanile orizzontale è costituito da otto campane, della Pontificia Fonderia Marinelli di Agnone (Molise), offerte da altrettanti devoti, interposte a nove colonne. Le campane sono dedicate a vari santi francescani. La terza a partire dalla campana più lontana dalla croce è dedicata allo stesso Padre Pio. La croce, dono della Regione Puglia, progettata dallo stesso Renzo Piano, è alta più di 40 metri, domina l'intera area e, opportunamente illuminata, sarebbe visibile anche da Canosa di Puglia e Candela. L’ambone e le sculture che decorano l'interno sono state realizzate da Giuliano Vangi. La croce e l'altare sottostante sono opera di Arnaldo Pomodoro. Il portone di ingresso, in bronzo, raffigurante nelle due ante il buon pastore e Abramo, è stata opera di Mimmo Paladino. Gli otto aquilotti in pietra, rappresentanti la rigenerazione operata dalla divinità, e posti in un lato del sagrato sono opera di Mario Rossello. Queste sono state le ultime opere dell'artista prima della sua scomparsa. L'organo a canne presente nella chiesa, ideato e costruito dalla Santuario di San Pio: Croce e altare opera di Arnaldo Pomodoro 24 ditta Pinchi di Foligno, è il più grande di tipo meccanico mai costruito in Italia. Dall’esterno all’interno abbiamo avuto modo di guardare, vedere, osservare, apprezzare, riflettere, ma soprattutto abbiamo avuto l’occasione di provare una forte emozione davanti al “sarcofago” del Santo. Non poteva mancare la visita alla “vecchia chiesa” e a quella che è stata la stanza di Padre Pio. E’ qui che abbiamo provato l’emozione più forte, nel pensare che quel pavimento da noi calpestato in quel momento è stato migliaia di volte calpestato dal Santo. Questa sicuramente è stata la meta più suggestiva dell’intero percorso, compiuto in straordinaria giornata. una Santuario di San Pio: “Chiesa Vecchia” Alle ore 18,30 circa riprendiamo la strada del rientro. Seconda uscita Il 26 Aprile 2012 si compie la nostra seconda uscita sul territorio, l’itinerario da percorrere è: Abbazia del Goleto-Badia di San Michele di Monticchio. Si parte da Ariano Irpino, piazzale Pasteni, con il pullman “Lepore Trasporti”, intorno alle ore 07,30. Siamo accompagnati dalle professoresse Ciccarelli Maria Pia, Ciccarelli Maria Antonietta, Di Franza Maria. Come di consueto ci fermiamo a Grottaminarda, dove si aggiungono al gruppo alcuni alunni e la professoressa Secreti Isabella. Ci si avvia verso Sant’Angelo dei Lombardi, precisamente all’Abbazia del Goleto, dove arriviamo alle ore 8,30 circa. Scendiamo dal pullman. Ci guardiamo attorno… E’ un posto di una straordinaria tranquillità! E’ un luogo sacro! … Si sente nell’aria che si respira, che porta in fondo all’anima tanta serenità! Dopo circa mezz’ora varchiamo il grande cancello… Troviamo ad attenderci frate Roberto, il quale ci accoglie con un cordiale e compiaciuto sorriso, e ci conduce nel chiostro… Diamo dettagliate spiegazioni circa il motivo della nostra visita, per cui con sapiente disponibilità inizia a passarci una notevole quantità di informazioni… Inizia a spiegarci l’origine del nome: “Goleto”, che Sant’Angelo Dei Lombardi – Abbazia del Goleto: Statua di San Guglielmo sembra derivi da “gullitto”, il nome di una pianta largamente diffusa nella zona, bisognosa di molta 25 acqua, oppure dal fatto che la zona è molto ricca di acqua. E’ infatti una zona paludosa, bonificata dai monaci. Continua con la vita del fondatore, cioè San Guglielmo da Vercelli. Guglielmo nasce a Vercelli intorno al 1085. All’età di 15 anni sente la chiamata del Signore e decide di intraprendere un lungo pellegrinaggio: recarsi a Santiago de Compostela in Spagna, e poi arrivare in Terra Santa. Lungo il cammino verso Gerusalemme nei pressi di Brindisi incontra il futuro San Giovanni da Matera che lo esorta a fermarsi. Guglielmo intende continuare il suo cammino, durante il quale però viene assalito da una banda di predoni, a questo punto decide di recarsi sui monti dell’avellinese, dove vive per alcuni anni una vita da eremita fino al 1114, anno in cui avvia la costruzione del Santuario di Montevergine. Dopo dieci anni sente la chiamata alla vita solitaria, si sposta nella zona del “Lago Laceno”. Trascorsi due anni arriva al Goleto, dove nel 1133, dopo aver vissuto nella cavità di un grosso albero, inizia la costruzione del monastero femminile, poi la costruzione del monastero maschile. Fa costruire una chiesa dedicata al Salvatore. Al Goleto passa gli ultimi anni della sua vita, anche se, di tanto in tanto, se ne allontana per la realizzazione di altre fondazioni. Muore il 24 giugno del 1142. Il Papa Pio XII, nel 1942, lo proclama patrono dell’Irpinia. Il frate ci spiega che la lunga storia dell’Abbazia, importante non solo per la vita religiosa, ma anche per quella culturale ed economica del Meridione, si può sintetizzare in due periodi. Epoca delle monache (1135-1515): La struttura primitiva comprende la chiesa, posta al centro e con la facciata volta ad occidente, il monastero grande delle monache viene costruito a fianco dell’abside, e quello più piccolo dei monaci, davanti alla facciata. I monaci hanno il compito della guida spirituale e dell’assistenza economica delle monache, che vivono in stretta clausura. Sotto la guida di celebri abbadesse: Febronia, Marina I e II, Agnese e Scolastica, la comunità cresce e diventa potente e famosa. Il monastero si arricchisce di terreni e di opere d’arte. Da sottolineare un’importante particolarità, data l’epoca, legata al fatto che il vastissimo patrimonio, che comprende terreni la cui estensione arriva fino alla Puglia e alla Basilicata, viene amministrato dalla madre Badessa. Il periodo d’oro abbraccia circa due secoli. Nel 1348, anno della peste nera, inizia la lenta inesorabile decadenza. Papa Giulio II il 24 gennaio 1506, ne decreta la soppressione che, di fatto, avviene con la morte dell’ultima abbadessa nel 1515. Epoca dei monaci (1515-1807): Con la fine della comunità femminile goletana, il monastero viene unito a quello di Montevergine, che provvede ad assicurare la presenza di alcuni monaci. Inizia così una lenta ripresa, che riceve un impulso determinante da Papa Sisto V, già superiore del convento francescano di Sant’Angelo dei Lombardi. Il periodo migliore si registra tra la metà del ‘600 e la metà del ‘700 e culmina con il restauro completo del monastero e la costruzione, al posto di quella antica, della Chiesa grande, in stile barocco, opera di Domenico Antonio Vaccaro. Ma nel 1807 il sovrano di Napoli, Giuseppe Bonaparte, sopprime l’Abbazia. Il corpo di San Guglielmo viene traslato a Montevergine; tante opere artistiche e beni ecclesiastici vengono trafugati. Dal 1807 al 1973 il monastero è abbandonato e gli appelli di alcuni per il recupero del venerato monumento risultano vani. Così chiunque può trafugare portali e pietre, i tetti e le mura crollano, i rovi diventano padroni incontrastati insieme ad animali di ogni tipo. Solo il casale dei contadini continua la sua vita secolare. Frate Roberto ci informa che nonostante l’usura del tempo, il vandalismo degli uomini ed il susseguirsi dei Abbazia del Goleto: Torre Febronia 26 terremoti, ancora oggi possiamo ammirare alcuni tesori artistici che hanno reso famoso il Goleto. Ci invita ad osservare la Torre Febronia, che vediamo di fronte a noi, nel chiostro. Ci spiega che questa prende il nome dall’Abbadessa che nel 1152 ne dispone la costruzione per la difesa del convento. Vero capolavoro di arte romanica, presenta incastonati numerosi blocchi con bassorilievi provenienti da un mausoleo romano dedicato a Marco Paccio Marcello. La torre è a due piani e il secondo è arricchito da alcune sculture simboliche, caratteristiche dell’arte romanica. Visitiamo la cappella funeraria o chiesa inferiore: Oggi, al centro del complesso monastico, si conservano le due piccole chiese sovrapposte, che stanno a segnare il passaggio tra l’arte romanica della chiesa inferiore, costruita nel 1200 circa, e quella gotica della chiesa superiore, terminata nel 1255. La chiesa inferiore, costruita come cappella funeraria presenta una pianta a due navate, separate da due colonnine monolitiche che terminano con capitelli bassi dai quali partono gli archi che sorreggono la crociera e raggiungono le semicolonne emergenti dalle pareti laterali. E’ netto il richiamo al gusto romanico-pugliese, accentuato dalle absidi oggi scomparse. All’interno si conserva un’arca sepolcrale finemente intagliata su pietra rossa. Da una porta laterale, in pietra ben lavorata, si raggiungono i resti dell’antica basilica Abbazia del Goleto: Cappella Funeraria del Salvatore. Dopo, salendo una scala esterna di trentadue gradini, il cui parapetto termina con un corrimano a forma di serpente, simbolo del male, con un pomo in bocca, ci introduciamo nella chiesa superiore ossia la cappella di San Luca. E’ il gioiello dell’Abbazia. Il portale di accesso è sormontato da un arco a sesto acuto e da un piccolo rosone a sei luci. Sul fronte dell’arco alcune scritte ricordano che la chiesa fu fatta costruire da Marina II per accogliere la reliquia di San Luca. L’interno è costituito da una sala piccola a due navate coperte da crociere ogivali, che poggiano su due colonne centrali e su dieci mezze colonne immerse nei muri perimetrali. Le basi ottagonali delle colonne e i capitelli decorati di foglie ricurve, su due ordini asimmetrici, richiamano, secondo molti studiosi, la residenza fatta costruire da Federico II a Castel del Monte, in Puglia. Il pavimento è quello originale. All’esterno completano la struttura due piccole absidi sorrette da mensole e, tutt’intorno alle pareti, barbacani con teste di animali e motivi ornamentali. Dei numerosi affreschi cinquecenteschi che arricchivano la chiesa non restano che due medaglioni, raffiguranti le abbadesse Scolastica e Marina, e qualche episodio della vita di San Guglielmo. Pregevoli gli altari, soprattutto quello costituito da una lastra di marmo sostenuta da quattro colonnine munite di eleganti capitelli e di basamenti tutti Abbazia del Goleto: Cappella di San Luca diversi tra loro. Nell’angolo della parete sinistra, entrando, vi è la statua di San Guglielmo con il lupo. La pluralità ben amalgamata di forme artistiche diverse, le forme cistercensi, la scultura irpino-sannitica, l’armonia cromatica fanno della cappella di San Luca uno dei monumenti più preziosi dell’Italia Meridionale. 27 Ci spostiamo verso la Chiesa grande o del Vaccaro, costruita al posto della vecchia chiesa dedicata da San Guglielmo al Salvatore. Essa prende il nome dal grande architetto, napoletano Domenico Antonio Vaccaro, che la edificò tra il 1735 e il 1745. Pur priva, oggi, della copertura e di altre parti importanti, conserva tuttavia un fascino incredibile. La pianta è a croce greca, sormontata, in origine, da una cupola centrale. All’interno si sono salvati solo alcuni stucchi, mentre si può ammirare in tutta la sua bellezza il disegno del pavimento, recentemente restaurato. Le sculture decorative: Oltre ai blocchi con bassorilievi incorporati alla Torre Febronia, al Goleto si possono ammirare altre pietre scolpite. Pregevoli le figure di animali e le decorazioni del portale principale (sec. XII), anche se alcune sono molto rovinate. Due figure romane ornano le facce visibili di un grosso blocco di pietra, oggi inserito nel muro che fa angolo con il recinto del giardino. Altra bella scultura, che si fa risalire al periodo augusteo, è posta sul campanile, a fianco dell’ingresso alla chiesa inferiore. Si tratta di un’opera funeraria e questo spiega la sua attuale ubicazione. Merita di essere segnalato, all’interno dell’attuale cappella posta all’inizio della scala esterna, il sarcofago policromo che nel Sei-Settecento Abbazia del Goleto: Chiesa grande o del Vaccaro custodì il corpo di San Guglielmo. Da ricordare: Padre Lucio M. De Marino (1912-1992): Monaco virginiano, ottiene nel 1973 di poter risiedere al Goleto. Uomo di profonda spiritualità e di squisita accoglienza, riesce a riportare all’attenzione di tutti il recupero materiale e spirituale della venerata abbazia. Nemmeno il sisma del 1980 interrompe la sua opera e quando, per ragioni di salute, deve ritirarsi a Montevergine, lo splendido restauro si trova a buon punto. I Piccoli fratelli di Jesus Caritas (1989): “Piccoli fratelli di Jesus Caritas”, discepoli di Charles de Foucauld (1858-1916) vivono oggi al Goleto, il loro ideale contemplativo missionario con un impegno di preghiera, di accoglienza e di condivisione con tutti, in piena comunione con la Chiesa locale. Dopo aver ringraziato e salutato frate Roberto, riprendiamo il nostro cammino. Ci dirigiamo verso Monticchio per visitare la Badia di San Michele. Arriviamo intorno alle ore 12,00. Godiamo la bellezza del paesaggio…, un bel giro in battello sul lago piccolo…, poi il pranzo… Ci incamminiamo verso la Badia…, una lunga stradina in salita ci conduce al luogo sacro, dove ad attenderci troviamo il signor Domenico, il quale ci conduce direttamente nella grotta dell’Angelo. Egli ci spiega che l’Arcangelo Michele ha scelto la “grotta” per manifestarsi agli uomini, in quanto essa rappresenta la ferita nel cuore della Terra: è la ferita del peccato. L’Arcangelo è apparso per liberare gli uomini dal peccato. La grotta è molto suggestiva! Vi sono collocati un altare, la statua lignea dell’Arcangelo. Monticchio - Badia di San Michele: la scalinata 28 Il signor Domenico ci invita ad osservare, sulla volta della grotta, una strana immagine composta dal chiaro-scuro delle macchie di umidità: sembra l’Arcangelo, si distingue l’ala destra, il braccio destro in su, con le dita della mano in segno di trinità, il braccio sinistro regge il diavolo a testa in giù. L'Abbazia di S. Michele sorge in un paesaggio di straordinaria bellezza, dove il verde di una fitta vegetazione si alterna a due specchi d'acqua creando un incantevole effetto scenografico. L'abbazia, fondata dai Benedettini nel X sec., ha una tradizione molto antica. Fu, infatti, costruita su una grotta scavata nel tufo, nei pressi della quale sono stati ritrovati depositi votivi risalenti al IV-III sec. a.C. La Grotta dell'Angelo dedicata a S. Michele era il luogo dove si riunivano in preghiera i monaci italo-greci che anticamente abitavano la zona. Successivamente vi si insediarono i Benedettini, che fecero edificare l'abbazia, abbandonandola poi nel 1456. Dopo molte Badia di San Michele vicissitudini passò ai Cappuccini, che fondarono una biblioteca e un lanificio. L'intero complesso è costituito da un convento a più piani, una chiesa settecentesca e la cappella di S. Michele. Un caratteristico sentiero attraversa i fitti boschi e conduce all'abbazia che, arroccata su una falda del monte Vulture, si affaccia sul lago Piccolo creando un gradevole contrasto con la natura circostante. Per lo sviluppo del convento non vi è mai stato un progetto generale dei lavori da eseguire, in quanto la struttura è sempre stata soggetta a modifiche. Molti interventi sono stati dettati dalla disagevole natura del luogo, e dall’urgenza di restauri resi necessari dalle rovine causate dai massi che spesso cadevano. Breve cronistoria: VIII secolo : arrivo dei monaci basiliani che trovano rifugio nelle “laure” sparse nella roccia vulcanica, e nella grotta rupestre. Con essi si ha l’inizio della venerazione dell’arcangelo S. Michele, sulla scia del santuario del Gargano intorno alla badia sull’istmo dei due laghi. X-XI secolo: i benedettini della badia di Sant’Ippolito, che sono a servizio del cenobio, allestiscono “un tenue comodo per uso di ospizio di qualche ammalato” a causa dell’aria malsana che stagnava intorno alla badia sull’istmo dei due laghi. 13 agosto 1059: il papa Nicola II si porta nel santuario rupestre per consacrare l’edicola costruita all’interno della grotta ad opera di maestranze bizantine. XI-XII secolo: La fase di massima espansione del monastero di San’Ippolito, e il grande afflusso di pellegrini richiedono una ristrutturazione dei pochi ambienti del santuario, e la risistemazione per l’aumento dell’area dell’ufficiatura, e il miglioramento dell’accessibilità. XIII secolo: Sistemazione della “Scala Santa”, posta all’inizio dell’accesso dal bosco alla grotta, come è registrato dalla lapide murata al lato del portale ad opera dell’abate di Sant’Ippolito, che aveva incrementato la devozione verso l’arcangelo S. Michele. XIII-XIV secolo: Il complesso di fase XI-XII secolo edificato nella grotta ha un graduale sviluppo longitudinale fino a circa la metà dell’attuale chiesa, e si provvede alla muratura parallela al pendio, sviluppata in altezza fino a sostenere il piano di calpestio della chiesa. 29 XV secolo: Il terremoto del 1456 provoca ingenti rovine alle strutture, e l’abbandono dei benedettini, ai quali subentrano i frati agostiniani. Segue un periodo di declino. XV-XVI secolo: Si accentua il declino con l’affidamento della badia in commenda a cardinali e principi, che non mettono mai piedi a Monticchio, e ne consegue la perdita di numerosi beni immobili usurpati da principi e baroni viciniori. La presenza dei frati agostiniani assicura il servizio del santuario. 1608: Arrivo dei padri cappuccini, e, con padre Felice da Marsico, cercano di “accomodare qualche parte del convento, che stava tutto rovinato, e non aveva forma di convento”. 1610: Padre Felice da Marsico comincia a “ristorare le prime fabbriche e formare nel primo piano otto piccole celle” 1620: Padre Felice da Marsico “colla sua industria, e colle fatighe de’ frati adornò la chiesa con farvi quattro bellissime cappelle” 1669: “A li 10 di gennaio verso le 9 ore cascò dal monte un grossissimo masso di pietra, e diede sopra la chiesa e la fracassò tutta”, e l’anno successivo padre Serafino da Ferrandina “cominciò a ristorare la chiesa”. 1773: Padre Michelangelo da Rionero inizia a dirigere i lavori di ricostruzione del monastero per l’urgenza di provvedere a “scarpe e contrafforti di fabbrica” per il manifestarsi di cedimenti e di gravi lesioni. XVIII secolo: L’ampliamento settecentesco del santuario utilizza le stesse strutture fondali dell’edificio medievali, e si ha il completamento della chiesa classica settecentesca. 1782: Il complesso conventuale viene dichiarato di Patronato Regio e affidato al Real Ordine Costantiniano. 1790-1800: Padre Michelangelo da Rionero, dopo il suo allontanamento per i noti fatti, viene richiamato a Monticchio “per assistere e viggilare alla fabbrica non solo, ma anche all’architettura, e disegno, essendo egli fornito di talento atto a tali faccende”. 1808: 17 agosto, Don Nicola Rosario Incaricato, don Francesco Pierri prosindaco di Rionero, coll’intervento dei notai Carmine Giannattasio e Vincenzo Tedeschi si presentano nel convento di S. Michele per fare l’inventario dei beni che la comunità francescana è costretta a lasciare in seguito alle leggi eversive napoleoniche, guardiano fra Nicola da Ferrandina. 1812: Il convento passa alla direzione di Casa Reale come credito particolare di Gioacchino Murat. 1824: In seguito alla restaurazione del 1815, il convento torna all’Ordine Costantiniano e ritornano i frati cappuccini. 1866: 13 luglio definitiva soppressione del convento di Monticchio in seguito alle leggi eversive del nuovo governo dopo l’unità d’Italia, erano presenti quel giorno dodici padri e cinque fratelli laici, guardiano padre Isidoro da Calitri. 1888: Gli ambienti della badia vengono dati come dimora alle guardie forestali. 1890: I beni della badia di Monticchio vengono venduti all’asta. 1892: Il tenimento viene acquistato da una società in accomandita semplice, costituita dall’ingegnere Annibale Lanari di Ancona e da un consorzio di banche. 1902: Il fondo di Monticchio viene diviso in due parti: il lago piccolo con il convento, i ruderi di Sant’Ippolito e il castello vengono iscritti nel territorio di Atella, il lago grande nel territorio di Rionero, e il complesso viene affidato al Corpo Forestale dello Stato. 1930-1940 : Vari tentativi da parte del vescovo di Melfi per il ritorno dei frati francescani. 1934: Il vescovo di Melfi Mons. Petroni ottiene la retrocessione all’Autorità ecclesiastica della badia di Monticchio, e nel 1936 gli viene concessa la chiesa e cinque vani per la rettoria. 1948: Il vescovo di Melfi ottiene in uso tutto il complesso della badia da parte dell’Azienda forestale. 1960: Affidamento da parte del vescovo del servizio della chiesa di San Michele, nella persona del ministro provinciale padre Bonaventura Mansi, ai frati minori conventuali, che operavano in Rionero alla direzione dell’Istituto “Il Misericordioso” per minori abbandonati. 1962: Si ottiene di adibire i locali della badia, per “l’assistenza dei minori abbandonati”, a scuola nel periodo invernale e a colonia nel periodo estivo. 30 2000: L’ampliamento settecentesco del santuario ha utilizzato le stesse strutture fondali dell’edificio medievale, e la nuova imponente struttura muraria realizzata in aderenza all’antica ha consentito il prolungamento della chiesa. I cappuccini hanno ristrutturato prima la parte inferiore, cioè il primo e secondo piano, partendo dal bosco, e poi il terzo e quarto piano, vale a dire il pianterreno e il primo piano, partendo dall’attuale ingresso al convento e alla chiesa. Dopo un periodo di chiusura per i lavori eseguiti, sono stati chiamati, dal vescovo padre Gianfranco Todisco, i frati minori conventuali residenti nel convento di Sant’Antonio in Melfi, ai quali è stata affidata l’Abbazia. Intorno alle ore 18,30 riprendiamo il cammino per il rientro. Si conclude, così, una giornata interessante, emozionante, in breve stupenda!!! Terza uscita Destinata alla visita del Santuario della Madonna di Montevergine. Come al solito si parte da piazza dei Pasteni di Ariano Irpino. Saliamo sul pullman “Lepore trasporti” alle ore 8,15; la professoressa Ciccarelli Maria Pia controlla che tutto sia “a posto”, quindi si parte. Ci fermiamo, per pochi minuti, a Grottaminarda, dove si aggiungono al gruppo le professoresse Scaperrotta Alda e Secreti Isabella, e alcune compagne. A Mercogliano ci raggiunge il professore Renzulli Pasquale. La parte più interessante del programma della giornata riguarda il percorso da fare a Ospedaletto d’Alpinolo – Abbazia della Madonna di piedi, per entrare, anche se per un brevissimo Montevergine tratto di via, nei “panni” del pellegrino. Durante il cammino ci fermiamo di tanto in tanto per riposarci, ma soprattutto per ammirare il paesaggio sottostante, che si presenta in tutta la sua bellezza. Questo ci fa comprender meglio la concezione “panteistica” di quei filosofi che vedono Dio nella natura o di alcuni che identificano Dio con la Natura… Si presenta davanti agli occhi uno scenario davvero meraviglioso!!! Giungiamo davanti al Santuario un po’ stanchi, ma molto soddisfatti. Osserviamo e ammiriamo la struttura architettonica esterna. Foto ricordo degli alunni di IV B davanti alla Cappella di San Guglielmo Entriamo nella chiesa, osserviamo e ammiriamo la struttura architettonica interna. Alcuni di noi partecipano alla Santa Messa. Osserviamo la cappella di San Guglielmo, il fondatore del monastero; prendiamo posto sui gradini della cappella per fissare nel tempo questo momento interessante e particolarmente emozionante. 31 Dopo il pranzo a sacco e una breve escursione nel luogo, ripartiamo. Una lunga passeggiata per la città di Avellino conclude un’altra intensa ed emozionante giornata. Intorno alle ore 19,00 si riparte per il rientro. 32 III CAPITOLO INDAGINE SUL TERRITORIO: “il questionario” Per raccogliere informazioni utili e significative relative a: - quanto sia praticato il viaggio religioso; - quale sia la motivazione più diffusa, che spinge a recarsi a un luogo sacro; - quali siano i santuari maggiormente visitati, sia a livello locale, regionale, nazionale, internazionale; - la differenza, nella pratica devozionale, tra donne e uomini; è stato somministrato un questionario a un campione di 100 donne e a un campione di 100 uomini. Le persone interpellate sono residenti nei comuni di Ariano Irpino, Montecalvo, Villanova del Battista. QUESTIONARIO Realizzato dalla classe IV B del Liceo delle Scienze Sociali dell’Istituto “G. Dorso” di Ariano Irpino (AV), nell’ambito della ricerca relativa allo stage, il cui tema è: “IL TURISMO RELIGIOSO NEL TEMPO: un cammino tra i luoghi della spiritualità della nostra terra”. Il presente questionario anonimo è stato predisposto al fine di raccogliere informazioni relative al fenomeno del turismo religioso praticato dai fedeli del nostro territorio. Si richiede che l’interpellato risponda alle domande poste con chiarezza, senza tralasciarne alcuna. 1. Hai mai partecipato a un viaggio religioso? a. Si b. No 2. Quali sono state le motivazioni? a. per rafforzare la fede b. per chiedere una grazia c. per grazia ricevuta d. per tradizione e. per fare una nuova esperienza 3. Che tipo di viaggio? a. Individuale b. Con la famiglia c. Con gli amici parrocchia e. Organizzato da un privato 4. Quanti viaggi hai compiuto? a. 1 b. Da 2 a 4 c. Da 5 a 10 d. Organizzato dalla d. Più di 10 5. Pratichi la devozione di recarti, ogni anno, allo stesso santuario? a. Si b. No Quale? __________________________________ 6. Quanti viaggi hai compiuto in Campania? a. 0 b. 1 c. Da 2 a 5 d. Da 6 a 10 e. Più di 10 7. Presso quali Santuari? (si può dare più di una risposta) a. Montevergine b. San Gerardo c. Sant’ Antonio di Apice Boleto e. Madonna del Rosario di Pompei f. Altro 8. Quanti viaggi hai compiuto in Italia? a. 0 b. 1 c. Da 2 a 5 d. Da 6 a 10 d. Abbazia del e. Più di 10 33 9. Presso quali Santuari? (si può dare più di una risposta) a. Chiesa di Padre Pio ( San Giovanni Rotondo) b. Basilica di San Francesco (Assisi) c. Madonna di Loreto ( Loreto) d. Basilica di Santa Rita (Cascia) e. Basilica di San Pietro (Roma) f. Altro 10. Quanti viaggi hai compiuto all’estero? a. 0 b. 1 c. Da 2 a 5 d. Da 6 a 10 f. Più di 10 11. Presso quali santuari? (si può dare più di una risposta) a. Lourdes (Francia) b. Fatima (Portogallo) c. Medjugorje (Bosnia) d. Santiago de Compostela (Spagna) f. Altro 12. Quale santuario desideri tanto visitare? ------------------------------------ Dati elaborati Campione donne: 1. Hai mai partecipato a un viaggio religioso? si 80% no 20% no si 2. Quali sono state le motivazioni? Per rafforzare la fede 36% per chiedere una grazia 14% per grazia ricevuta 6% per tradizione 14% per fare una nuova esperienza 30% fare una nuova esperienza rafforzare la fede tradizione grazia ricevuta chiedere una grazia 34 individuale 6% 3. Che tipo di viaggio? con la famiglia 30% con gli amici 14% organizzato dalla parrocchia 40% organizzato da un privato 10% organizzato dalla parrocchia individuale con la fam iglia con gli am ici organizzato da un privato 4. Quanti viaggi hai compiuto? v=1 9% 2≤v≤4 39% 5≤v≤10 32% v>10 20% v=1 v>10 2≤v≤4 5≤v≤10 5. Pratichi la devozione di recarti, ogni anno, allo stesso santuario? si 36% no 64% si no 35 6. Quanti viaggi hai compiuto in Campania? v=0 4% v=1 16% 2≤v≤5 59% 6≤v≤10 14% v>10 7% v>10 v=0 v=1 6≤v≤10 2≤v≤5 Montevergine 61 7. Presso quali santuari? San Gerardo 39 S. Antonio di Apice 7 Abbazia del Goleto 17 del Rosario 33 Altro 23 70 M ontevergine 60 S. Gerardo Madonna 50 40 S. Antonio di Apice 30 Abbazia del Goleto 20 M adonna del Rosario 10 Altro 0 8. Quanti viaggi hai compiuto in Italia? v=0 2% v=1 5% 2≤v≤5 56% 6≤v≤10 19% v>10 18% v>10 v=0 v=1 6≤v≤10 2≤v≤5 36 9. Presso quali santuari? S. Giovanni Rotondo 65 Assisi 37 Loreto 15 S. Rita da Cascia 16 S. Pietro 42 70 S. Giovanni Rotondo 60 Assisi Altro 17 50 Loreto 40 30 S. Rita da Cascia 20 San Pietro 10 Altro 0 10. Quanti viaggi hai compiuto all’estero? v=0 54% v=1 30% 2≤v≤5 16% 6≤v≤10 0% v>10 0% 2≤v≤5 v=o v=1 Lourdes 19 Fatima 7 20 18 16 14 12 10 8 6 4 2 0 11. Presso quali santuari? Medjugorie 16 Santiago de Compostela 2 Altro 4 Lourdes Fatima Medjugorie Santiago de Compostela Altro 37 12. Quale santuario desideri tanto visitare? Nessuno 7% Fatima 24% Medjugorie 17% Lourdes 34% Assisi 1% Abbazia del Goleto 1% San Gerardo 1% S. Giovanni Rotondo 1% Santiago de Compostela 11% Terra Santa 1% Loreto 1% Gesù Bambino 1% Nessuno 35% Fatim a 30% 25% Medjugorie 20% Lourdes 15% Assisi 10% Abbazia del Goleto 5% 0% San Gerardo S. Giovanni Rotondo Campione uomini: 1.Hai mai partecipato a un viaggio religioso? si 69% no 31% no 2. Quali sono state le motivazioni? si 38 2. Quali sono state le motivazioni? Per rafforzare la fede 30% per chiedere una grazia 7% per grazia ricevuta 15% per tradizione 16% per fare una nuova esperienza 32% fare una nuova esperienza rafforzare la fede chiedere una grazia tradizione individuale 9% grazia ricevuta 3. Che tipo di viaggio? con la famiglia 49% con gli amici 10% organizzato dalla parrocchia 28% organizzato da un privato 4% organizzato dalla parrocchia individuale organizzato da un privato con gli am ici con la fam iglia 4. Quanti viaggi hai compiuto? v=1 12% 2≤v≤4 61% 5≤v≤10 20% v>10 7% v>10 v=1 5≤v≤10 2 ≤v≤4 39 5. Pratichi la devozione di recarti, ogni anno, allo stesso santuario? si 23% no 77% si no 6. Quanti viaggi hai compiuto in Campania? v=0 6% v=1 20% 2≤v≤5 52% 6≤v≤10 12% v>10 10% v=0 v>10 6≤v≤10 v=1 2≤v≤5 Montevergine 45 7. Presso quali santuari? San Gerardo 33 S. Antonio di Apice 4 Abbazia del Goleto 18 Rosario 25 Altro 23 45 Madonna del Montevergine 40 35 30 25 20 15 10 5 0 S. Gerardo S. Antonio di Apice Abbazia del Goleto Madonna del Rosario Altro 40 8. Quanti viaggi hai compiuto in Italia? v=0 5% v=1 17% 2≤v≤5 52% 6≤v≤10 16% v>10 10% v=0 v>10 v=1 6≤v≤10 2≤v≤5 9. Presso quali santuari? S. Giovanni Rotondo 55 Assisi 29 Loreto 16 S. Rita da Cascia 15 S. Pietro 30 60 S. Giovanni Rotondo 50 Assisi 40 Loreto 30 Altro 15 S. Rita da Cascia 20 San Pietro 10 Altro 0 10. Quanti viaggi hai compiuto all’estero? v=0 62% v=1 19% 2≤v≤5 14% 6≤v≤10 3% v>10 2% 6≤v≤10v>10 2≤v≤5 v=1 v=o 41 Lourdes 16 Fatima 4 11. Presso quali santuari? Medjugorie 10 Santiago de Compostela 1 Altro 5 16 Lourdes 14 12 Fatima 10 Medjugorie 8 6 Santiago de Compostela Altro 4 2 0 12. Quale santuario desideri tanto visitare? Fatima 22% Medjugorie 12% Lourdes 28% Assisi 1% Abbazia del Goleto 1% San Pietro 1% S. Antonio d’Apice 1% Santiago de Compostela 13% Terra Santa 1% Loreto 1% Fatim a 30% Medjugorie 25% 20% Lourdes 15% Assisi 10% Abbazia del Goleto 5% San Pietro 0% S. Antonio d'Apice Santiago de Com postela 42 CONCLUSIONI Siamo giunti al termine del lungo e faticoso lavoro che ci ha tenuti impegnati l’intero anno scolastico. L’esperienza compiuta, ricca, non solo perché ampiamente articolata, ma soprattutto perché relativa a un tema vasto e complesso, ci ha coinvolti e impegnati, stimolando la nostra curiosità, grazie alla quale abbiamo partecipato, alle varie iniziative didattiche, con interesse. Inizialmente, durante la fase della documentazione teorica siamo andati alla “caccia” di contenuti che potessero interessarci; libri, riviste, ma soprattutto internet sono state le nostre fonti di maggior consulto. Abbiamo, così, avuto modo di constatare l’enorme ricchezza di “materiale”. Abbiamo messo da parte tanti contenuti, attinenti al tema da sviluppare… Dopo ci siamo trovati alle prese con il faticoso impegno di dover selezionare… Scegliere ciò che si ritiene possa essere più consono non è stato facile. L’attività di selezione, però, ci ha dato la possibilità di apprendere tantissime notizie… e di affinare la nostra capacità di saper scegliere a rigor di logica. Abbiamo appreso che ai nostri giorni è cambiata la dimensione del pellegrinaggio non solo sul piano sociale, economico, e culturale, ma anche su quello spirituale. Tuttavia la differenza tra pellegrinaggio e turismo religioso permane. Il viaggio del pellegrino è un viaggio dell’anima che si manifesta quasi sempre come un appuntamento tradizionale, organizzato da gruppi parrocchiali; è un viaggio semplice, senza grandi pretese e distrazioni, espressione di una fede autentica; è la risposta ad una chiamata spirituale, ad un desiderio profondo di un contatto con il proprio Dio che nella preghiera e nella meditazione si sente più vicino. Nel pellegrinaggio a piedi, forma antica del viaggio dell’anima, acquista uno straordinario significato il legame tra la dimensione spirituale e il cammino: la ricerca della propria spiritualità attraverso il viaggio a piedi. Camminare, infatti, non è semplicemente un esercizio fisico che conduce da un luogo di partenza ad uno di arrivo, immersi in un habitat naturalistico; il cammino, il peregrinare è un gesto profondo che affonda le radici nell’essenza spirituale dell’uomo. Il pellegrinaggio è un fenomeno universale, non è legato solo alle religioni istituzionali. E’ un fenomeno onnipresente nel tempo e nello spazio. E’ un itinerario che conduce ad un progresso interiore, ad un’ascesi. Non è un semplice partire, ma è un cambiare la propria vita esplorando altre frontiere del possibile. Trova la sua forte motivazione nei più profondi bisogni dell’animo umano. E’ il viaggio di tutti gli uomini verso la terra promessa. E’ stato molto interessante apprendere la differenza tra pellegrino e turista religioso. L’approccio del turista e quello del pellegrino è diverso. Il turista non vive ciò che il pellegrino è chiamato a vivere. Il pellegrino percorrere un altro “spazio”. Egli va in cerca del luogo sacro. A differenza del turista, anche se si serve degli stessi mezzi di trasporto, soggiorna negli stessi alberghi e percorre le stesse strade, egli si muove in un’ altra “dimensione”, entra in un nuovo tempo, risveglia in sé un altro uomo. Il pellegrino è un uomo in cammino…, cerca un’esperienza che supera l’ordine del visibile. Il turista si ferma da qualche parte, guarda, fotografa, compra e riparte. E’ evidente che, con il passare dei secoli e con l’avvento del “progresso”, la finalità iniziale del pellegrinaggio è andata sempre più affievolendosi, lasciando spazio all’aspetto più materiale e consumistico: centri di culto si attrezzano in senso logistico, commerciale e sociale: da qui il passaggio dal puro e mistico pellegrinaggio a quello che oggi si definisce turismo religioso. Nel turismo religioso troviamo diversi fattori eterogenei: bisogni di spiritualità, di conforto, di cultura, di socializzazione, di svago. Il risultato di tale mescolanza comporta la nascita di nuove forme di religiosità, quindi di nuove nicchie di mercato, nuove tipologie di domanda e di offerta, nuovi circuiti, nuovi soggetti imprenditoriali, nuova ricchezza. In tale contesto, il fenomeno del turismo religioso, connotato dalla componente religiosa a da quella culturale, diviene, spesso, il volano di sviluppo economico di un’area. Ma, va sottolineato che, il turismo religioso è importante soprattutto per lo sviluppo dell’uomo, per l’incontro tra popoli diversi, per la crescita della comunità internazionale oltre ogni frontiera, lingua, 43 nazionalità. Attraverso il turismo religioso si possono scoprire non solo le tracce preziose dell’arte e della complessità storica, ma anche le comuni radici spirituali dei popoli e delle nazioni. Abbiamo appreso che nel nostro Paese, tra i luoghi più visitati al primo posto troviamo il Santuario di San Pio a San Giovanni Rotondo, assieme a San Pietro in Roma, con circa sette milioni di pellegrini; segue la Basilica di San Francesco ad Assisi, con circa sei milioni di pellegrini, poi Loreto con quattro milioni e mezzo, La Basilica di Sant’Antonio di Padova e il Santuario di Pompei con più di quattro milioni; non è da trascurare Pietrelcina, il paese natale di Padre Pio, che negli ultimi anni ha registrato un notevole flusso di pellegrini. Abbiamo scoperto il “culto micaelico”, di cui poco si parla, ma è antichissimo e diffusissimo...! La somministrazione del questionario è stata l’attività che ci ha coinvolti tutti non solo responsabilmente, ma anche piacevolmente… Uscire, autonomamente sul territorio, per svolgere questo compito è stato davvero gratificante! Ci siamo sentiti dei veri e propri “ricercatori” alle prese con un “pezzettino di realtà” da scoprire in maniera diretta. L“esperienza sul campo” è stata davvero formativa. Alla somministrazione del questionario è seguito il lavoro di tabulazione dei dati e da questo siamo passati alla rappresentazione grafica, eseguita sotto l’attenta direzione della nostra insegnante di matematica, la professoressa Ciccarelli Maria Antonietta. Riportiamo in sintesi i risultati della ricerca. Per quanto riguarda le donne risulta quanto segue: l’80% delle donne interpellate hanno partecipato a un viaggio religioso Tra le diverse motivazioni, quella maggiormente condivisa è “Rafforzare la fede”, seguita da “Fare una nuova esperienza”. Il maggior numero dei viaggi è “organizzato dalla parrocchia”, segue il “viaggio con la famiglia”. La maggior parte ha compiuto tra i due e i quattro viaggi. Il Santuario di Padre Pio a San Giovanni Rotondo è il più visitato Per quanto riguarda i santuari esteri, il più visitato è quello di Lourdes in Francia seguito dal Santuario di Medjugorje in Bosnia. La maggior parte ha risposto che il santuario che desidera tanto visitare è quello di Lourdes. Non molto differenti sono i risultati che riguardano gli uomini: il 69% degli interpellati hanno partecipato a un viaggio religioso. Tra le diverse motivazioni quella più diffusa è “Fare una nuova esperienza”, seguita da “Rafforzare la fede”. Il maggior numero dei viaggi è “organizzato con la famiglia”, segue il “viaggio con la parrocchia”. La maggior parte ha compiuto tra i due i quattro viaggi. Il Santuario di Padre Pio è il più visitato Per quanto riguarda i santuari esteri il più visitato è quello di Medjugorje in Bosnia. 28 su 69 hanno risposto che il santuario che desiderano tanto visitare è quello di Lourdes. La differenza da sottolineare: il numero delle donne, che hanno partecipato a un viaggio religioso, è superiore a quello degli uomini, per il resto possiamo dire che le differenze sono davvero lievi. Possiamo affermare che il risultato ci ha sorpreso, in quanto avevamo ipotizzato che tra uomini e donne ci fosse una maggiore differenza sul piano devozionale. Sicuramente la parte più interessante di tutta l’attività è costituita dalle uscite sul territorio… La visita ai Santuari è stata non solo fonte di conoscenza, ma soprattutto occasione per vivere dei momenti di vero misticismo da condividere con i compagni e gli insegnanti, che hanno saputo coinvolgerci in questa particolare avventura culturale!!! 44 RELIGIONE a cura della professoressa Italia De Feo Il Rito Il sacro, il potere divino è forza e vita ma appartiene ad una dimensione che non è quella dell’uomo. Il rito del sacrificio [fare sacro ciò che non lo è] 1 è la modalità con cui gli uomini di tutti i tempi cercano di portare il sacro nel loro mondo, per salvarlo dal nonsenso, dal caos e dalla sparizione, stabiliscono una comunicazione con il divino per realizzare l’unione con esso. Il mondo degli uomini non appartiene all’autenticità, è mutevole, erroneo, corruttibile, provvisorio; il Sacro appartiene alla verità, alla realtà, all’eterno. Nel rito del sacrificio gli uomini si comportano con gli dèi come con i potenti della terra. Quando è necessario il potere di un Re per avere qualcosa che si ritiene vitale, indispensabile, allora si chiede udienza. Ci si presenta ben vestiti, ci si comporta con devozione e deferenza, si portano doni e si fanno suppliche. Tutto ciò avviene ritualmente, in modo ordinato, seguendo un cerimoniale simbolico che prepara alla grazia, al favore, passando attraverso un percorso ricco di significati ed emozioni. Oggi i riti di sacrificio sono percepiti come solennità in cui gli uomini si spogliano dei loro beni per offrirli agli dèi perché vengano consacrati cioè entrino nella sfera del sacro. Il rito del sacrificio avviene normalmente in tre fasi: - l’elevazione delle offerte (con la supplica e/o la lode) - la consacrazione delle offerte da parte degli dèi e l’ottenimento del sacrificio [= l’offerta carica di Sacro] - la comunione [= comunicazione del Sacro e unione agli dèi] con gli dèi - se avviene - compie i miracoli. L’offerta o oblazione è ciò che l’uomo prende dalla natura ed eleva offrendolo alla divinità perché questa lo accolga e lo rivesta della sua Potenza, del Sacro (nel linguaggio biblico del suo Spirito). Quando la divinità accetta l’offerta, la consacra2, viene rivestita di Sacro. L’offerta consacrata, carica di sacro, è il sacrificio. Tipologie di sacrificio - il sacrificio spirituale: preghiera, digiuno, elemosina, penitenza (= atti volontari di osservanza religiosa), il pellegrinaggio, etc. 1 Con il termine rito (o rituale) si intende ogni atto, o insieme di atti, che viene eseguito secondo norme codificate. Tramite il rituale, soprattutto all'interno della celebrazione di una festa, le varie componenti religiose come i miti, le prescrizioni, le formule, divengono reali e normative per tutti i partecipanti. 2 L’offerta cioè diventa sacra. 45 - il sacrificio di comunione: un’offerta animale, vegetale, come simbolo della lode, del rispetto, della sottomissione, come simbolo di pentimento dei peccati e richiesta di perdono, per placare l’”ira degli dèi”, o per purificare una persona, una comunità, una cosa, un luogo, etc. (sacrificio di omaggio, sacrificio di propiziazione, di espiazione, etc.) viene consacrata dagli dèi e poi mangiata dagli offerenti affinché il sacro li raggiunga e compi il miracolo. - l’olocausto (significa tutto bruciato): il fuoco trasformava l’offerta in cibo adatto agli dèi. Il fuoco è il simbolo del sacro che interviene a rendere l’offerta sacrificio. Bruciare l’offerta significa farla passare dalla dimensione della terra ad una dimensione più sottile, più vicina a quella spirituale, così da essere accolta dagli dèi. L’olocausto era considerato il sacrificio totale, completo. Il sacrificio cruento Il sangue era considerato da tutti i popoli antichi come il fluido dell’essenza vitale: perdere il sangue significava perdere la vita. In qualche modo il sangue contiene la vita, porta a tutto il corpo umano le essenze vitali. Il sacrificio cruento, con spargimento di sangue, corrisponde alla credenza nelle proprietà vitalizzanti, vivificanti, rigeneranti del sangue. Funzione espiatoria e di riscatto aveva il sangue dell’agnello pasquale immolato, con cui venivano cosparsi gli stipiti delle porte, per tenere lontano l’angelo sterminatore come nella notte dell’esodo dall’Egitto3. Come nell’Antico Testamento l’alleanza fra Dio e il suo popolo era fondata sul sangue degli animali immolati, così la nuova alleanza cristiana lo è sul sangue di Gesù; poiché «senza spargimento di sangue non c’è perdono» (Eb 9,22). Gli uomini sono stati riscattati dai loro peccati «con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia» (1Pt 1,18s). Soltanto una condotta pura, vicina alle origini, può rinnovare la vita contaminata dal peccato. Predicendo l’imminente sacrificio di espiazione, nell’istituzione dell’eucaristia Gesù dice: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me» (1Cor 11,25). Il sangue di Cristo diviene simbolo della redenzione dal peccato causa di ogni male e della morte. (Mt 26,28). Coloro che «hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello» stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario (Ap 7,14s). Nella celebrazione della Messa, che rinnova la cena del Signore, i fedeli fanno memoria dello spargimento di sangue del Figlio di Dio. I Vattienti di Nocera4 ripetono ogni anno un rito di sangue che ricorda la simbologia dei primitivi sacrifici umani, i riti misterici precristiani che si svolgevano in Medio Oriente e da qui importati in Grecia e a Roma ma anche all’esercizio penitenziale (e spettacolare) dei battenti o flagellanti che si è sviluppato nel medioevo cristiano.5 3 Es 12,7.13.23 Anche quelli di altre zone come Verbicaro, Guardia Sanframondi, … 5 In Nepal nelle cerimonie di culto più elaborate, vengono di norma sacrificati animali: polli, piccioni, capre, persino bufali possono essere decapitati o sgozzati. Mentre avviene il sacrificio, il loro sangue viene usato per consacrare l’immagine di quella divinità che si sta venerando, o per consacrare un oggetto che i fedeli chiedono alla divinità di benedire o proteggere. 4 46 STORIA DEI FLAGELLANTI I flagellanti furono un movimento religioso caratterizzato dalla pratica dell’autoflagellazione in pubblico, in segno di penitenza. L’origine di questo movimento risale alla metà del XIII secolo, in Italia centrale. A Perugia, Raniero Fasani (m. 1281)6, eremita francescano, influenzato dalle dottrine di Gioacchino da Fiore, fondò il primo gruppo di flagellanti, la «compagnia dei disciplinati di Cristo». Il movimento si diffuse rapidamente nell'Italia centrale e settentrionale, organizzando processioni che arrivavano a coinvolgere fino a 10.000 persone, di ogni strato sociale, che attraversavano le città mentre i penitenti si percuotevano a sangue con una frusta, per espiare i peccati del secolo e preparare l’avvento del regno dello spirito. I flagellanti si riunivano in compagnie, guidate da un «maestro», si lasciavano tutto alle spalle, e percorrevano il paese esercitando in pubblico la propria penitenza. L’eredità che ci proviene dai Flagellanti va però oltre le manifestazioni locali gradite ai nostalgici del passato. Ad iniziare da Raniero Fasani e giù giù, fino all’ultimo penitente, migliaia di credenti hanno voluto testimoniare per secoli, sulla loro pelle, la passione di Cristo. Nel Medio Evo l’indigenza, le epidemie, le guerre, avevano abituato la gente a soffrire, mentre l’esempio dei monaci e dei frati esercitava sui fedeli una suggestione oggi difficilmente immaginabile. Ciò non toglie che la vocazione di tanti uomini e donne grondanti di sangue, amanti del prossimo, attenti ai fermenti culturali del loro tempo, abbia rappresentato una delle espressioni più nobili della fede cristiana, che pure è sempre stata ricca di esempi edificanti. I riti di flagellazione I riti di flagellazione possono essere ricollegati sia a pratiche devozionali per la mortificazione della carne e il temperamento dello spirito, sia alla cultura medica e scientifica della società pretecnologica che riteneva il salasso salutare per la rigenerazione del sangue, della virilità e della vitalità fisica, in particolare a primavera. 6 Del fondatore della Confraternita dei Battuti, si hanno solamente poche, sporadiche e spesso imprecise informazioni, a cominciare dall’incertezza sul nome proprio. Le scarse fonti disponibili, per lo più tarde (XVI secolo), ne riportano almeno due versioni: «Raynerius» e «Raiinerio». Proveniente dalla media borghesia perugina, ancora ragazzino rimase certamente molto turbato dalla predicazione e dal modello di vita che San Francesco d’Assisi, vissuto poco prima di lui, aveva divulgato. Prese la decisione di passare alcuni anni da penitente, e si rinchiuse in una stanza della sua abitazione trasformata in cella. In seguito pronunciò i voti di terziario francescano, rinunciando completamente al bel mondo e si diede alla vita eremitica fino al 1258, sull’esempio dell’anacoreta San Bevignate, vissuto nel V secolo d.C. Secondo la leggenda, il Santo sarebbe apparso a Raniero mentre era in preghiera e gli avrebbe indicato una duplice missione: predicare il Vangelo e diffondere la Disciplina. Questa pratica consisteva nell’autoflagellazione, allo scopo di espiare i propri peccati partecipando alla sofferenza di Cristo crocifisso. Non sentendosi ancora pronto, Raniero rimase ancora a lungo ritirato in preghiera, cominciando però a fustigarsi. Secondo La lezenda di fra’ Raniero Fasani, scritta verso la fine del XIV secolo, durante la sua vita eremitica il Beato avrebbe avuto la visione della Madonna in trionfo, con le lacrime agli occhi. Preso da inquietudine prese allora a battersi più forte di quanto avesse fatto fino a quel momento e decise di recarsi alla chiesa di San Fiorenzo. Sulla strada incontrò alcuni Santi che lo accompagnarono fino all’Altare; lì si inginocchiarono, cominciando a battersi. La Vergine riapparve allora tra gli Arcangeli Michele e Gabriele e consegnò a Raniero una missiva celeste, dicendogli che avrebbe dovuto portarla, al Vescovo di Perugia dopo averla letta. In questa lettera la Madonna avrebbe sottolineato il bisogno estremo di redenzione nella vita dei cristiani, che avevano perso lo spirito di carità e di obbedienza al Vangelo. La Vergine suggeriva come mezzi per l’espiazione dei peccati, la preghiera, il digiuno, l’astinenza e la partecipazione alla sofferenza di Cristo Crocifisso tramite la Disciplina. Questo incontro ultraterreno diede nuovo impulso alla vita penitenziale e spirituale di Raniero. Egli prese a predicare dapprima nelle campagne perugine e poi nelle città, la necessità della conversione, della carità verso il prossimo e della espiazione dei propri peccati tramite atti pubblici penitenziali. Per commuovere gli ascoltatori, il Beato ricorreva spesso al racconto della Passione di Cristo, figura di riferimento da imitare, “Uomo dei Dolori” alle cui sofferenze occorreva avvicinarsi tramite la pratica della flagellazione. 47 Questi riti esistono tuttora a Verbicaro (Cosenza)7, a Nocera Terinese (Catanzaro)8, a S. Anastasia (Napoli)9 e a Guardia Sanframondi (Benevento). VERBICARO Alla mezzanotte del giovedì santo in Verbicaro, si tiene la processione dei Battenti. Degli uomini vestiti in rosso, i cosiddetti “Battenti”, a piedi nudi e gambe scoperte percuotono i loro arti inferiori con il cardillo o “u cardiddu” (uno stretto cilindro di sughero sul quale sono infisse 5 acuminate punte di vetro) fino a farli sanguinare e percorrono le strade del paese sostando dinanzi ai luoghi sacri, con le mani incrociate al petto o verso il basso, circondati da un assoluto silenzio della folla. Ad ogni tappa i Battenti macchiano il terreno che li circonda con il loro sangue, si inginocchiano sulle scalinate della chiesa ripetendo l’atto della percussione e battendo col palmo della mano sulla coscia fan sì che scorra più sangue dalle piccole ferite infertesi. Questo antichissimo rito, che da alcune documentazioni sembra risalga al 1473, viene effettuato per “imitatio Christi” (imitazione di Cristo) dai penitenti che tramite ciò rinnovano su se stessi il martirio della Passione. 7 Verbicaro è un comune della provincia di Cosenza, a 428 m. s.l.m, sul versante occidentale degli Appennini calabresi alle cui spalle si apre il Parco del Pollino. 8 Nocera Terinese è un comune di 4.817 abitanti della provincia di Catanzaro a 240 m s.l.m. 9 Nel comune di Sant'Anastasia, a pochi chilometri da Napoli, sorge un santuario che è oggetto di uno dei più noti pellegrinaggi d'Italia. È la Madonna dell'Arco, la cui immagine è venerata da oltre 550 anni. 48 NOCERA TERINESE Il rito, simile a quello di Verbicaro, si svolge ogni anno durante il sabato che precede la Pasqua ed avviene contemporaneamente alla processione della Madonna Addolorata, un corteo a capo di cui è posto il gruppo ligneo raffigurante la madre di Cristo. I flagellanti, che negli ultimi anni sono aumentati, sono coloro che hanno teoricamente qualcosa da espiare per sé stessi o per altri o che intendono con il loro sacrificio ottenere un voto. Ai vattienti vengono fatti indossare dei pantaloncini rigorosamente scuri e corti per lasciare nude le gambe e le cosce, che saranno le parti flagellate, e viene loro posta sul capo una corona di spine. Intanto, viene fatto scaldare un infuso di rosmarino che successivamente viene energicamente massaggiato sulle gambe dei vattienti per facilitare il riassorbimento del sangue. Gli strumenti con cui il vattiente dà luogo al rito sono il cardo e la rosa. Si tratta di dischi di sughero con i quali si percuote. Uno ha inseriti sulla sua superficie tredici pezzi di vetro che simboleggiano i dodici apostoli e Cristo, l’altro è, invece, ben levigato e viene usato sia per preparare prima con i colpi la pelle a ricevere le ferite procurate dalle schegge di vetro sia, secondo alcuni, per macchiare con il sangue le mura e le porte delle case attraversate dalla processione. Il vattiente esce dalla propria casa con le braccia incrociate e impugnando il cardo e la rosa. Ma nella processione non è solo. Legato a lui con una corda c’è, infatti, l’ecce homo. Si tratta in genere di un ragazzino che indossa soltanto un panno rosso che gli lascia scoperte le spalle e una corona di spine. L’ecce homo, nel dialetto locale acciomu, trascina per tutta la processione una croce rivestita di rosso e rappresenta la figura e il sacrificio di Cristo. I vattienti camminano per il paese battendosi prima davanti alla propria casa e poi davanti alle case di amici e parenti, ai sagrati delle chiese e davanti alle icone votive. Nel loro percorso di espiazione sono accompagnati da parenti e amici che bagnano loro le gambe con infusi di vino e aceto. In questo modo, prevengono sia possibili infezioni che la formazione di coaguli e croste che oltre a provocare dolore renderebbero meno scenico il rito. Così il sangue continua a sgorgare in forma liquida fino a che, giunti alla statua della Madonna dell’Addolorata, il vattiente, dopo aver pregato, ritorna nelle propria casa. Dopo essersi rivestito si ricongiunge subito alla folla e segue, a sua volta, il percorso degli altri flagellanti. Non si è mai sentito parlare di alcun tipo di infezione e il rito da oltre quattrocento anni continua a compiersi regolarmente portando nel borgo curiosi e turisti attirati dal sacrificio di sangue. Un 49 sacrificio di sangue ambito, perché ogni anno aumentano i giovani che ne vogliono diventare protagonisti. Vattiente & Ecce Homo 50 I BATTENTI-FUJENTI DI MADONNA DELL’ARCO Corrono, piangono, pregano, gridano, strisciano, implorano, imprecano, si gettano in ginocchio e avanzano fino all’altare. Lì, al cospetto della pietosa Madre dell’Arco culmina il concitato e drammatico pellegrinaggio che porta ogni anno, il lunedì di Pasqua, una fitta, interminabile schiera di devoti scalzi a ripercorrere un antico itinerario di dolore fino al santuario di Maria Santissima dell’Arco, a Sant’Anastasia, dodici chilometri ad est di Napoli. Sono i “fujenti”, detti anche “battenti”, i devoti dell’icona dolente, della Vergine dal volto ferito: forse la più antica fra le Madonne che sanguinano. E’ proprio la ferita, simbolo di un dolore antico, all’origine del primo miracolo di questa prodigiosa immagine. I fujenti10 sono scalzi per voto e, sempre per voto, devono compiere di corsa almeno l’ultimo tratto del pellegrinaggio, forse in ricordo della corsa frenetica dello scellerato giocatore ed in espiazione del suo peccato11. I pellegrini vestono ritualmente di bianco, simbolo di purezza, e portano sull’abito una fascia azzurra, il colore della Madonna, chiamata spesso proprio “Mamma Celeste”. 10 Il termine in napoletano indica appunto coloro che corrono. L’inizio del culto è legato ad un episodio avvenuto verso la metà del XV secolo; era un lunedì di Pasqua, il giorno della cosiddetta ‘Pasquetta’, cioè la famosa gita fuori porta di una volta e nei pressi di Pomigliano d’Arco, alcuni giovani stavano giocando in un campetto a “palla a maglio”, oggi diremmo a bocce; ai margini del campetto sorgeva un’edicola sulla quale era dipinta una immagine della Madonna con il Bambino Gesù, ma più propriamente era dipinta sotto un arco di acquedotto; da questi archi vengono i nomi di Madonna dell’Arco e Pomigliano d’Arco. Nello svolgersi del gioco, la palla finiva contro un vecchio tiglio, i cui rami ricoprivano in parte il muro affrescato, il giocatore che aveva sbagliato il colpo, in pratica perse la gara; al colmo dell’ira il giovane riprese la palla e bestemmiando la scagliava violentemente contro l’immagine sacra, colpendola sulla guancia che prese a sanguinare. La notizia del miracolo si diffuse nella zona, arrivando fino al conte di Sarno, un nobile del luogo, con il compito di ‘giustiziere’; dietro il furore del popolo, il conte imbastì un processo contro il giovane bestemmiatore, condannandolo all’impiccagione. La sentenza fu subito eseguita e il giovane venne impiccato al tiglio vicino all’edicola, che però due ore dopo ancora con il corpo penzolante, rinsecchì sotto lo sguardo della folla sbigottita. Un secolo dopo il 2 aprile 1589, avvenne un secondo episodio prodigioso, era anche questa volta un lunedì dopo Pasqua, ormai consacrato alla festa della Madonna dell’Arco e una donna certa Aurelia Del Prete, che dalla vicina S. Anastasia, oggi Comune a cui appartiene la zona di Madonna dell’Arco, si stava recando alla cappella per ringraziare la Madonna, sciogliendo così un voto fatto dal marito, guarito da una grave malattia agli occhi. Mentre avanzava lentamente nella folla dei fedeli, le scappò di mano un porcellino che aveva acquistato alla fiera, nel cercare di prenderlo, sfuggente fra le gambe della gente, ebbe una reazione inconsulta, giunta davanti alla chiesetta, gettò a terra l’ex voto del marito, lo calpestò maledicendo la sacra immagine, chi l’aveva dipinta e chi la venerava. La folla inorridì, il marito cercò invano di fermarla, minacciandole la caduta dei piedi, con i quali aveva profanato il voto alla Madonna; le sue parole furono profetiche, la sventurata cominciò ad avere dolori atroci ai piedi che si gonfiavano e annerivano a vista d’occhio. Nella notte tra il 20 e 21 aprile 1590, notte di venerdì santo, ‘senza più dolore e senza una goccia di sangue’ si staccò di netto un piede e durante il giorno anche l’altro. I piedi furono esposti in una gabbietta di ferro e ancora oggi sono visibili nel Santuario, perché la grande risonanza dell’avvenimento, fece affluire una grande folla di pellegrini, devoti, curiosi, che volevano vederli; con loro arrivarono le offerte, si rese necessario costruire una grande chiesa, di cui fu nominato rettore s. Giovanni Leonardi da parte del papa Clemente VIII. 11 51 Davanti alla chiesa i volti si fanno improvvisamente tesi. Il pellegrinaggio assume toni di intensa e dolente drammaticità. E’ l’oltrepassamento della soglia del tempio che, come in un rito antico, immette il fedele nello spazio sacro e fa precipitare le sue emozioni nei gesti da sempre ripetuti di una arcaica ritualità. Finalmente, in forme altamente teatrali, ha luogo l’abbandono al sacro, la crisi in cui culmina la lunga corsa dei fujenti. Da fuori giunge il battito ossessivo dei tamburelli che accompagnano le “tammurriate”12, dentro, la musica si fa grido. Il rito si avvia così alla sua conclusione e i pellegrini, prima di riprendere la strada del ritorno, affollano la grande fiera che si svolge nelle vie circostanti, sciogliendo la tensione devota nell’animazione della sagra. In queste forme estremamente teatrali ma, al tempo stesso, di intensissima religiosità, la figura della Madonna ferita, della madre amorosa e dolente, sembra assurgere a simbolo di protezione delle offese di una sorte e di una società ugualmente ingiuste. E’ una sorta di sacralizzazione della maternità che conduce da secoli i battenti a chiedere protezione e grazia a quella che essi chiamano la Mamma dell’Arco, o la “Mamma di tutte le mamme”, rispecchiando nel dolore dell’antica ferita della Vergine, la ferita del loro antico dolore. Pellegrini scalzi, in ginocchio all'ingresso del santuario (foto: Diego Zanetti). 12 Danze rituali che si svolgono all’esterno del santuario. 52 I RITI SETTENNALI DI GUARDIA SANFRAMONDI Ogni sette anni, da secoli, a Guardia Sanframondi13, un paese arrampicato sulle alture dell’Appennino beneventano, ai confini con il Molise l’intera comunità smette la sua veste tipicamente artigianale ed agricola per rievocare e vivere fatti ed avvenimenti rituali, “assurdi” e anzi “alienanti” per una società civile e recita un’impressionante mea culpa in nome dell’Assunta, che coinvolge migliaia di persone. Fenomeno cultuale tra i più noti e più interessanti d’Europa per complessità cerimoniale e per ricchezza di motivazioni religiose, storiche e culturali, la festa dell’Assunta di Guardia viene per lo più identificata con il suo momento più spettacolare: quello che ha luogo la domenica conclusiva dei riti - che si svolgono la prima settimana dopo Ferragosto ed è caratterizzato dalla processione dei “battenti”. L’origine del rito risale ai tempi di Carlo Magno quando, una statua dell’Assunta sarebbe affiorata prodigiosamente dalla terra. Una leggenda sull’origine del culto narra che mentre alcuni contadini erano intenti ad arare un terreno poco lontano dal paese, i buoi smisero improvvisamente di tirare l’aratro e si piegarono, quasi in una genuflessione. Tra la meraviglia di tutti, si vide affiorare una mano proprio nel punto in cui gli animali si erano arrestati. Si cominciò a scavare finché venne alla luce una Madonna benedicente che offrì subito un segno della sua potenza miracolosa guarendo un cieco. Si tentò di portare il simulacro in paese ma la statua si fece prodigiosamente pesante, quasi a manifestare una volontà. Alcuni contadini presero allora a battersi il petto fino a sanguinare e la Madonna si fece improvvisamente leggera. E’ il mito di fondazione di una devozione che giunge fino ai nostri giorni. Una devozione comunitaria che, al di là delle insondabili motivazioni dei singoli fedeli, stringe l’intero paese in un voto collettivo che fa dell’Assunta la grande protettrice della comunità dai colpi della natura e degli uomini stessi: siccità, epidemie, guerre e così via. Si può dire che la storia di questa devozione mariana si identifichi con la storia stessa di Guardia al punto da riflettersi perfino nel disegno e nella forma dello spazio urbano. Non a caso i riti settennali hanno per protagonisti i quattro quartieri e le loro chiese che articolano il territorio: e precisamente i rioni Croce, Fontanella, Piazza e Portella14. 13 Guardia Sanframondi, 5283 abitanti, dista dal suo capoluogo di provincia circa 28 km. Si presenta come un caratteristico borgo medievale dominante l'intera Valle Telesina. Il suo territorio è quasi esclusivamente collinare per cui offre un ottimo clima e suggestivi panorami; solo la parte meridionale, che protende verso il corso del Fiume Calore, è pianeggiante. Le aree in quota sono caratterizzate da boschi di conifere e querce, per il resto il territorio guardiese è dominato da vaste distese di vigneti e oliveti. Diverse sono le opinioni degli studiosi circa le origini della cittadina, che alcuni fanno risalire ad epoca romana o sannita, altri ad epoca longobarda, altri ancora al periodo normanno. È certo che questo territorio è stato abitato fin da tempi antichissimi. Vi sono diverse e pregevoli chiese barocche anche se l'abbandono degli anni passati ha recato qualche danno all'enorme patrimonio artistico del paese, che per il suo aspetto tipicamente medievale rimane uno dei più suggestivi centri della cultura sannitica. 14 ▪ Rione Croce - Chiesa di San Rocco; 53 Per l’intera settimana, fino allo scenografico e commovente epilogo domenicale, l’intera cittadina compresi i numerosissimi emigrati che tornano per osservare il voto, anche da paesi lontani come l’Australia - è impegnata, come vuole la tradizione, in una serie ininterrotta di funzioni quotidiane. Per alcuni giorni i quartieri, a turno, compiono ciascuno una doppia sfilata, una di penitenza e l’altra di comunione15, ripercorrendo ogni volta per intero il tracciato viario della cittadina, in una sorta di rifondazione sacra dello spazio. Infine, il sabato, a scendere in processione è il solo clero. Bisogna immaginare alcune migliaia di persone che agiscono contemporaneamente dando vita ad una rappresentazione collettiva di una coralità impressionante dove tutto funziona con precisione infallibile, ed apparentemente senza regia. In realtà il legame sociale riattivato dalla festa, la forza della tradizione e una profondissima devozione sono i veri “registi” di questo emozionante incontro tra appartenenza civica, prova iniziatica e sentimento religioso. La domenica conclusiva, il giorno del sangue, è l’attesissimo climax dei riti di Guardia16. Già dal pomeriggio del giorno precedente, la chiesa dove è custodita la statua dell’Assunta è gremita di fedeli ansiosi di assistere all’apertura della lastra che serra la Madonna risplendente di gioielli nella sua teca di cristallo, e che viene dissigillata ogni sette anni in occasione dei riti. Questo è un momento molto toccante, un momento che avvicina il cuore dei fedeli al cuore di Maria, è l’apertura di ogni cuore a un momento di grazia speciale. Dietro quella statua, si sente il calore di una “Mamma” che avvolge col suo Amore. Come una Persefone che riaffiora dalle tenebre, la Vergine esce dall’oscurità per tornare alla luce del sole nella stagione dei raccolti, quasi a propiziare la vendemmia ormai alle porte. ▪ Rione Fontanella - Chiesa di San Leonardo; ▪ Rione Piazza - Chiesa dell'Annunciata - Ave Gratia Plena; ▪ Rione Portella - Chiesa di San Sebastiano. 15 I rioni si recano processionalmente, per due volte ognuno, alla chiesa dell’Assunta, una volta per penitenza l’altra per ascoltare la messa e ricevere l’Eucaristia. La domenica è il giorno dedicato ai riti penitenziali comunitari. 16 Al suono dei due campanelli si avviano i flagellanti incappucciati, i battenti, i misteri, i cori rionali e la statua della Vergine accompagnata da una moltitudine di gente. Tutto il paese in processione, per un giorno intero, sotto il cocente sole di agosto. Figuranti che portano sul capo una corona di spine e sul petto una fune incrociata, a seguire, i penitenti incappucciati, oltre mille i flagellanti anch’essi incappucciati, che restano anonimi nel paese. Camminano in ginocchio, a ritroso, con lo sguardo rivolto al cielo: recitando litanie lauretane. Tra le fila dei battenti, si muovono gli “assistenti”, il resto degli abitanti praticamente, che provvedono a disinfettare con purissimo vino bianco (3000 litri) le ferite da cui sgorga sangue vivo, un mix che trasforma l’aria in odore acre e pungente. 54 La domenica tutto il paese è già sveglio all’alba ed i battenti, ancora in abiti quotidiani escono con discrezione e riservatezza dalle case, raggiungono la chiesa mescolandosi furtivamente alla folla. A centinaia incappucciati, anonimi, solitari, mesti, schivi, un po’ scontrosi con la spugna di spilli17 e/o con la disciplina18 in mano aspettano di entrare in chiesa, unici ammessi al cospetto dell’Assunta prima dell’uscita. Attenti a non farsi riconoscere, si radunano nella cappella del Sangue Sparso dove indossano i candidi sai della penitenza, e calatosi il cappuccio sul volto si preparano alla prova che li attende. L’ingresso in chiesa è rigorosamente interdetto a tutti coloro che hanno il volto scoperto. Dall’esterno si intravedono solo le ombre bianche degli incappucciati. Visti da lontano sembrano una pallida marea crescente: nell’ultima edizione19 i penitenti dell’Assunta erano circa mille. Nel chiostro accanto alla chiesa si dispongono intanto i figuranti degli oltre cento misteri, anche questi espressione dei quattro i rioni. 17 La ‘spugna’ è un pezzo di sughero circolare, realizzata e costruita da artigiani locali appartenenti ai rioni, nel quale sono opportunamente conficcati degli spilli, che la tradizione indica in trentatré, gli anni di Cristo. Queste punte fuoriescono dal sughero per circa due millimetri, e sono ulteriormente distanziati alla base del sughero con uno strato di cera che ha il compito di preservare la ferita dal contatto del sughero e a livellare la sua superficie circolare. Il battente, percuotendosi incessantemente provoca il sanguinamento del petto. 18 I disciplinanti sono chiamati così, perché fanno uso di un antico strumento di tortura la ‘la disciplina‘ che consiste in un gruppo di strisce metalliche, unite da una catenella con la quale si percuotono le spalle. 19 Dal 16 al 22 agosto 2010. 55 I misteri sono quadri viventi di rappresentazioni allegoriche che richiamano la vita dei santi, le sacre scritture, la storia della chiesa, ma anche fatti di cronaca sociale e religiosa recenti20, raffigurate da uomini e donne che sfilano e che interpretano la loro penitenza conservando sempre la stessa posizione, immobili come un fotogramma, fermi in una estenuante fissità e con lento incedere per tutto il paese, testimoniando i valori e la fede della chiesa cattolica. Alla base dei misteri, di ogni flagello, di ogni colpo di spugna c’è una forte devozione nella Madonna alla quale si affidano le proprie pene, i propri errori, la propria condizione umana e 20 Nell’ultima edizione del 2010 Don Peppino Diana, madre Teresa e la martire ebrea Edith Stein sono stati gli “aggiornamenti” alle storie esemplari tratte dalla Bibbia che i quattro rioni di Guardia Sanframondi hanno scelto di “sceneggiare” nei quadri plastici dei Misteri. 56 familiare. Già nei tre mesi che precedono il rito, si sente un’atmosfera misteriosa e segreta, e non si aspetta che un segnale. Il momento atteso per sette anni scocca quando il mistero intitolato “San Girolamo penitente”, considerato il patrono dei battenti, lascia il chiostro e passa davanti all’ingresso della chiesa. In quello stesso istante, si sente la voce imperiosa del capo battente che intima: “Con fede e coraggio, fratelli, in nome dell'Assunta battetevi!”. 57 I mille incappucciati rispondono colpendosi il petto all’unisono per tre volte, con una simultaneità impressionante che produce un rimbombo cupo, come quello di un enorme tamburo. Il sangue arrossa il bianco delle tonache mentre i battenti si precipitano fuori della chiesa salmodiando litanie in responsorio con una donna abbigliata a lutto e con il capo coronato di spine che intona versetti. Inizia così la salita dei battenti per le stradine tortuose dello splendido paese. Battenti e …. …..disciplinanti 58 La “spugnetta” Le spugnette cadono ritmicamente sui petti degli incappucciati che alcuni assistenti, a viso scoperto e coronati di spine, aspergono di vino bianco per alleviare il dolore con un gesto che ripete il 59 simbolismo dell’ascesa al Golgota. Dura molte ore la marcia dei penitenti che hanno raggiunto la sommità del paese quando vengono avvertiti da un colpo di cannone che la statua della Vergine ha lasciato la chiesa e si è messa sulle loro tracce. A quel punto i mille intonacati cadono in ginocchio raddoppiando la forza dei colpi per poi riprendere subito il loro cammino. Adesso i battenti cominciano la discesa verso la parte bassa del paese che li condurrà verso il tanto atteso incontro con l’Assunta. Che avviene sempre, come per effetto di una sapiente, infallibile regia, al centro del paese, tra il castello e la Fontana dell’Olmo. Sotto quest’albero tanto caro alla memoria collettiva, la lunga teoria dei penitenti giunge finalmente al cospetto della Vergine. Come sospinti da una lunga onda i “bianchi” cadono l’uno dopo l’altro in ginocchio mentre i colpi affondano con maggior vigore e il sangue riprende a scorrere. L’incontro con la grande Madre segnala la fase conclusiva del rito. I battenti, uno dopo l’altro, lasciano la schiera perdendosi nel dedalo delle viuzze. Rientreranno nella processione solo più tardi, irriconoscibili nei loro abiti civili, quando la statua ridiscende verso la chiesa per mescolarsi alla folla che porta a spalle l’immagine. E’ difficile sapere quanti battenti vi siano tra quegli uomini in lacrime che riaccompagnano l’Assunta verso l’oscurità che la custodirà per altri sette lunghi anni. In questa sequenza arcaica e luttuosa, sospesa tra il rito agrario e il dolore dei figli che danno l’addio alla madre contadina, sta forse il filo millenario che rende sempre antichi e sempre nuovi riti come questo di Guardia. Nel suo santuario, dopo la processione generale, la Statua rimane esposta dai sette ai quindici giorni ed in tutto questo periodo i fedeli si avvicendano giorno e notte sia per pregarla che per custodirla ‘a vista’. La domenica seguente a questo periodo, con una piccola, intensa e particolarissima 60 processione che si svolge sul piazzale del santuario si concludono ‘ufficialmente’ i Riti. Pochi conoscono questa ‘appendice’ processionale, infatti si può dire che la partecipazione, è ad esclusivo appannaggio della popolazione residente. Il messaggio dei riti: conversione e penitenza Il leit-motiv di questi riti è la Penitenza: la comunità guardiese si offre alla Madonna in un intenso cammino di penitenza e di conversione. E’ un grande momento di raccoglimento spirituale; ognuno interrompe la sua corsa frenetica e abitudinaria per le incombenze terrene, e cerca di ritrovare se stesso, recuperando il proprio rapporto con Dio (col pentimento e la conversione del cuore), e con il prossimo (perdonando e offrendo carità). Si fa spazio all’amore, si fa spazio a Dio. Si segue Cristo e le sue raccomandazioni evangeliche, si segue Maria che con il suo “fiat” ha reso possibile questa grande intimità, questa grande amicizia dell’uomo con Dio. Per la nostra natura finita e corrotta dal peccato originale, continuamente abbiamo bisogno di conversione a Dio. Conversione significa fare penitenza, e fare penitenza significa avere l’animo rattristato per le offese a Dio e al prossimo, e volere in qualche modo riparare le offese, ripristinando l’equilibrio e la comunione, e promettendo di non farlo più. I riti settennali rappresentano un momento vitale per la comunità poiché interpretano e promuovono questa esigenza di conversione: “motivo di fondo dei Riti è la proposta penitenziale emergente dalla Parola di Dio”.21 Come anche l’attuale parroco22 ha evidenziato, i riti sono “un tempo di grazia per la nostra comunità perché essa riprende il suo pellegrinaggio, col sostegno della grazia di Dio e del Pane Eucaristico, con maggior forza e vigore sulle orme del Redentore, chiede perdono per le mancanze d’amore a Dio ed ai fratelli nel Sacramento della Riconciliazione, rinnova la fedeltà a Cristo che l’ha redenta con il proprio Sangue e si pone sotto la protezione della Vergine Maria”.23 La dinamica della manifestazione: un insieme di fatti ed eventi su cui riflettere E’ importante saper cogliere il significato profondo dei Riti, il messaggio centrale e fondante che è la Parola di Dio, la Verità del suo disegno di salvezza, l’autentica vocazione dell’uomo che per 21 CARLESIMO FAUSTO, I riti settennali di Guardia Sanframondi: un messaggio da riscoprire,p.16 Don Filippo Di Lonardo. 23 DI LONARDO FILIPPO, Festa dell’Assunta, fede, cultura e tradizione, ed. Nuova Impronta, Cusano Mutri (BN) 2009, pp.30-31 22 61 mezzo di Cristo si apre a questo disegno. A tal fine, tutta la manifestazione così come è strutturata e articolata svolge a vari gradi e in vari momenti una funzione di: • annuncio ed evangelizzazione caratterizzata dalla preparazione spirituale che precede la festa; • profezia, connessa all’annuncio della Parola di Dio, ed evidenziata soprattutto in alcuni quadri plastici dell’Antico Testamento; • catechesi, che riguarda l’insegnamento e l’approfondimento sistematico della Parola di Dio affinché possa essere meglio tradotta in autentica testimonianza di fede; • testimonianza, che è il momento della maturità della fede, dell’autentica sequela a Cristo, ed è rappresentata all’interno dei quadri plastici dalle vite dei santi.24 Significato dei riti Dare un giudizio complessivo su tutta la manifestazione è un’impresa ardua, poiché da freddo spettatore o osservatore attento e critico, si può cogliere solo l’esteriorità e il folklore, da partecipante, invece, anche se semplice iniziato, si perde la libertà di giudizio. Il sacrificio è sequela a Cristo. Gesù ha detto: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24). Solo chi segue Cristo fino all’estremo limite, può capire la grandezza dell’amore della Croce. Nella società di oggi a carattere fortemente antropocentrico e relativista, si fa fatica a trovare una ragione a queste forme di umiliazione e mortificazione. L’uomo fine a se stesso, è massimamente esaltato, e forse gli odierni parametri culturali vedono in questa forma di penitenza cruenta, una debolezza, una precarietà che non si può accettare. Di più, si può dire che può essere vista come una forma di violenza fatta a se stessi, anche se liberamente scelta. Ma questo tipo di mortificazione corporea, se pur impressiona per la fuoriuscita del sangue, ha una violenza limitata che ogni battente dosa a seconda della propria soglia di dolore, e che dipende dalla diversa sensibilità delle terminazioni nervose. Certo si può discutere sull’opportunità di esprimere la penitenza attraverso forme così violente. Come conciliare la visione evangelica basata sulla cura e sull’amore che l’uomo deve a se stesso, oltre che al prossimo, con tale forma di violenza corporea? La Chiesa ha da sempre avuto una visione positiva del corpo che, nella sua bio-totalità unificato all’anima, è “tempio dello Spirito”. Ma dobbiamo nello stesso tempo asserire che un solo peccato mortale produce molta più violenza e dolore. Il dolore dell’anima è molto più disgregante per la persona che non quello fisico. Le pratiche penitenziali hanno la forza di allontanarci dal peso della sofferenza psicologica e spirituale e di porci in sintonia con noi stessi. L’uomo che nega la sua naturale disposizione al pentimento e alla conversione, di fatto è alienato da se stesso. La Penitenza, la preghiera, l’Eucaristia, sono le coordinate della vita di un buon cristiano, e sono anche i punti cardine dell’intera manifestazione dei riti settennali. Alla fine di questo percorso, di questo pellegrinaggio, viene fuori l’uomo nuovo e una comunità nuova, temprata dallo Spirito e saldamente ancorata all’Agape divina. Il Sacramento della Penitenza restituisce all’uomo l’equilibrio interiore rotto dal peccato; con la SS. Eucaristia lo Spirito Santo del Signore viene ad abitare in noi vivificandoci e rafforzandoci nella fede. La pace interiore è perfettamente ristabilita. Alla fine di questa toccante giornata, tutti tornano a casa riconciliati con Dio e con i fratelli, sotto lo sguardo attento e vigile di Maria, che ai piedi della Croce ci ha assunto come suoi figli, e che è determinata dal suo “Amore materno” a non 24 Cfr. CARLESIMO FAUSTO, I riti settennali di Guardia Sanframondi: un messaggio da riscoprire, pp.27-30 62 perdere neanche uno dei suoi figli, e continuamente intercede presso il Signore perché ci vuole tutti con sé in Paradiso. I Riti sono un lento crescere di emozioni e sensazioni che hanno un’unica linfa capace di alimentarle: Lei! E’ una questione di fede...di fede in Lei che ama, ascolta, protegge, illumina, guarda con quel suo dolcissimo sguardo chiedendo di affidarci senza paura al suo infinito ed eterno abbraccio! Penitenza che fa parte della cultura della vita dei cittadini di Guardia, qualcosa che, forse, niente e nessuno potrà mai cambiare, snaturare o cancellare. Da quello che si respira, tra la gente di Guardia, sarà difficile cambiare le cose, impedendo in futuro il sacrificio: versare “il proprio sangue”, tra storia e leggenda, sofferenza e speranza, dolore e gioia, fede e folklore, disciplina e penitenza. Mai a nulla serviranno screening sociologici, antropologici: la risposta al perché dei riti. “Lo facciamo e lo faremo sempre Gratis et amore Dei, i riti sono nel nostro DNA”- la risposta sincronizzata della gente del Sannio beneventano, terra di streghe, gente forte, laboriosa, per nulla decisa a cancellare la propria storia. “Questo è un luogo terribile”, la scritta in bella mostra, posta sull’altare di una chiesa locale, che non convince e inquieta molti dei turisti approdati da queste parti. “Qui, la gente viene per vedere lo spettacolo, altro che fede: vuole vedere il sangue, è inutile girarci intorno. Il sangue fa vendere più giornali, aumenta gli ascolti dei telegiornali, delle trasmissioni di cronaca. Altro che finzione, qui il sangue scorre davvero. Lo scriva… lo scriva, la gente è morbosa”, dice qualcuno rivolto al cronista, appena salito su una delle efficientissime navette messe a disposizione per non paralizzare le viuzze del piccolo centro sannita. I riti sono un canto di lode continuo per l’Assunta … un canto che sale al cielo e ne discende colmo di benedizioni… un canto che squarcia le tenebre e grida al mondo intero l’amore per la madre di tutte le madri …sono una forma di comunicazione tra umili mortali e Lei. E’ Lei che muove tutto.. è Lei il centro di tutto.. è Lei il principio e la fine …è Lei che trasforma Guardia in una sorta di monte Tabor .. e come l’esperienza della Trasfigurazione fece paura agli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni così i Riti fanno paura a chi non li capisce. I Riti spaventano.. i Riti disturbano… i Riti infastidiscono perché mettono in crisi l’animo umano… In un mondo che bada solo all’apparenza, alle cose materiali e ai soldi… In un mondo in cui non c’è più silenzio ma solo assordanti rumori… In un mondo in cui l’odio vince troppo spesso sull’amore… In un mondo in cui non c’è più tempo per la preghiera e la meditazione… …i Riti rappresentano una voce fuori dal coro! Sono tre settimane di pura e continua preghiera, di processioni, di veglie diurne e notturne e di celebrazioni.. Tre settimane in cui tutto il resto diventa secondario, passa in secondo piano e sbiadisce.. Tre settimane in cui il tempo stesso è scandito dagli incontri con Lei… si ha voglia di vederla, di parlarle, di venerarla, di lodarla… si ha voglia di farle compagnia.. anche solo un attimo… e tutto ciò che ostacola tale incontro diventa fastidioso... è troppa la voglia di andare al Santuario… di andare a casa! Tre settimane in cui il divino diventa parte della quotidianità…in cui lo Spirito Santo riscalda l’animo attimo per attimo… in cui inevitabilmente tutto diventa bello luminoso e surreale. …ma come è possibile?!.. non si può accettare una simile cosa… non si può capire!.. eh già perché oggi è lecito fare follie per i cantanti, per i calciatori, per le veline.. è lecito fare sacrifici per entrare nel mondo dello spettacolo.. non c’è nulla di male se ci si innamora di miti falsi e transitori.. se però si compie un gesto di amore estremo per l’Assunta diventa SCANDALO! Ma perché? Cosa c’è più bello dell’innamorarsi di Lei ?!… I Riti sono la più bella storia d’amore tra il popolo e l’Assunta.. un amore che non dura solo tre settimane ma si alimenta di anno in anno… da sempre e per sempre.. e se così non fosse stato la storia dei Riti Settennali sarebbe finita da tempo. Come si fa a pensare che ci si dimentichi di Lei durante i 7 anni? …Lei è sempre presente… Lei è sempre lì in quella casa.. cambia semplicemente il modo di esprimere questo amore.. un po’ come 63 una coppia di fidanzati che si separano e poi si ritrovano… nel periodo di lontananza si limitano a vivere la quotidianità conservando gelosamente le emozioni nel cuore.. ma al primo incontro tutto esplode con tanto più vigore ed immensità quanto più lungo è stato il periodo di separazione… e sette anni sono tanti! Noi siamo umani con tante debolezze …tanti limiti… con i nostri peccati ma nessuno ci può giudicare… nessuno può giudicare nessuno… ognuno vive la propria fede secondo la propria coscienza ed ognuno costruisce la propria storia d’amore come meglio crede perché amiamo in modo diverso. C’è chi per amore decide di camminare sotto il caldo per ore intere in silenzio e con un pesante costume… c’è chi per amore decide di fare la processione con un semplice rosario tra le mani ed una coroncina di spine sul capo… c’è chi decide di cantare e far salire la propria voce al cielo.. chi sceglie di pregare in chiesa nelle ore più buie delle veglie notturne quando non c’è quasi nessuno, solo le stelle sopra il Santuario… c’è chi resta chiuso nella propria casa per pregare nell’intimità delle mura domestiche… ed infine c’è chi per un atto estremo d’amore e di fede si flagella e si batte. I flagellanti ed i battenti non sono dei pazzi, sono degli innamorati pazzi dell’Assunta… e chi per amore non ha mai fatto follie! Diceva Sant’Agostino: “Intellectus enim merces est fidei. Ergo noli quaerere intelligere ut credas, sed crede ut intelligas.”25 Credo che questa sia la frase più giusta per concludere… se ci si ferma solo a giudicare e criticare non si crede in Lei non si potrà capire mai e comprendere mai la vera essenza dei Riti Settennali che continueranno a sembrare una manifestazione di esaltati e medievali… mentre sono una semplice meravigliosa ed intensa esperienza di fede voluta da Lei e che continua a vivere per Lei! Il turista che quindi nella seconda metà di agosto si troverà a transitare sulla statale 87 dirigendosi verso i colli del Sannio, nell’attraversare il centro di Guardia Sanframondi, si ritroverà in un mondo a lui sconosciuto, come talvolta accade nei sogni dove sembra di essere entrati in un mondo fantastico e irreale colorato alla maniera antica. E’ da vedere questo illustre RITO DEI BATTENTI, poiché non si possono raccontare le sensazioni che può provocare un rito come questo, nessuna descrizione o analisi può rendere la realtà. I riti settennali nel patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO L’associazione “I Coraggiosi”, in una nota indirizzata al Comune e alla Provincia, ha proposto di inserire la festa dei Riti Settennali nell’elenco del patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. E a ragione, poiché essa, che affonda le sue radici nella tradizione della religiosità popolare e fa un tutt’uno con il calendario liturgico della Chiesa, è portatrice di un indiscutibile patrimonio di valori storico-culturali e religiosi a cui gli uomini di ogni luogo e di ogni tempo possono fare riferimento. “L’Unesco – si legge nel documento - ha costituito, all’interno della sua Divisione del Patrimonio Culturale, una sezione dedicata al patrimonio immateriale e ha intrapreso una serie di azioni in questo settore che riguarda l'individuazione dei patrimoni immateriali di interesse mondiale meritevoli di venire considerati come ‘capolavori del patrimonio immateriale dell’umanità’”26. 25 La comprensione è la ricompensa della fede. Perciò non cercare di capire per credere, ma piuttosto credi per capire. (In Io. Ev. tr. 29, 6.) 26 L’Unesco include nei patrimoni immateriali dell’umanità tanto le ‘espressioni culturali’ (lingue, letteratura orale, musica, danza, giochi, mitologia, riti, costumi, artigianato, architettura, altre arti e forme tradizionali di comunicazione e di informazione), quanto gli ‘spazi culturali’, antropologicamente intesi come ‘luoghi’ in cui si concentrano le attività popolari e tradizionali e ‘tempi’ in cui ricorrono determinati eventi. Per “salvaguardia” s’intendono tutte quelle azioni importanti volte a garantire la vitalità del patrimonio culturale immateriale, compresa l’identificazione, la documentazione, la ricerca, la preservazione, la protezione, la promozione, la valorizzazione e la trasmissione. Partendo da questi presupposti l’associazione ‘I coraggiosi' ha inviato questa richiesta poiché il primo passo è nelle mani delle Amministrazioni Locali, delle Associazioni, delle Comunità e dei singoli individui che possono proporre al Ministero un elemento presente nel proprio territorio. 64 LINGUA E LETTERATURA ITALIANA - STORIA a cura della prof.ssa Marilà Di Franza PELLEGRINI O TURISTI? Un po’ di storia … e altro. Quando si pensa al turismo, inevitabilmente viene alla mente la parola “viaggio” e in un contesto del genere, si può definire turismo qualcosa che è nato con la formazione dei primi agglomerati umani, perché il viaggio nasce molto prima dall’esigenza di comunicare tra un centro e l’altro. Il viaggio come fenomeno ha radici profonde e che sicuramente risalgono ai primordi della storia: l’uomo viaggiava o per meglio dire si allontanava dal gruppo, dalla dimora abituale semplicemente per procurarsi del cibo, infatti lui non era ancora consapevole delle sue esigenze spirituali e di svago e si spostava solo per soddisfare un suo bisogno, quale la fame. La storia del turismo si intreccia, quindi, con la storia dell’uomo e del suo desidero di conoscenza. In realtà risulta difficile individuare una data di nascita del turismo. I primi viaggiatori tra le grandi civiltà esistenti prima del 1000 a.C. sono stati gli egizi che, anche se non sentivano il bisogno di spostarsi, non mancavano comunque di intraprendere viaggi soprattutto a scopo religioso. Diversa fu la storia dei fenici esperti navigatori, i loro viaggi avevano scopi più che altro commerciali. Un altro popolo che si distinse per le grandi mobilità fu quello persiano per motivi prevalentemente militari. La civiltà greca portò a una svolta anche nel modo di viaggiare, gli conferirono infatti motivazioni di tipo culturale, della ricerca del nuovo e, accanto ai viaggi con motivazioni religiosi, già presenti in altre civiltà, si diffusero i soggiorni delle località termali. Poi fu la volta delle Olimpiadi che avevano luogo ogni quattro anni a Olimpia a partire dal 776 a.C.; i giochi olimpici determinarono lo spostamento di un gran numero di persone e rappresentarono il primo esempio di turismo sportivo nella storia. Si ritiene che pernottassero e ristorassero nelle case dei nobili mentre quelli di rango inferiore utilizzassero spazi all’aria aperta. Più tardi, l’aumento del flusso dei pellegrini e degli sportivi stimolò la costruzione delle prime strutture ricettive come edifici pubblici e campeggi ecc.. Pindaro (poeta greco) fornì indizi sui tipi di capacità e strutture ricettive esistenti nell’antica Grecia, come il Leonidaion: uno stabile che procurava riparo ai visitatori di Olimpia. Già in tempi antichissimi anche gli etruschi ed i romani si spostavano come pellegrini verso i vari santuari pagani. La caduta dell’Impero Romano nel 476 d. C. divise l’Europa in un gran numero di signorie e piccoli poteri locali, ogni signoria aveva leggi proprie diverse da quelle dei confinanti e l’attraversamento dei territori, non delimitati da mura o recinzioni, era estremamente pericoloso per la presenza di predatori affamati. Bisogna attendere l’XI sec., cioè l’anno mille per assistere ai primi spostamenti importanti, a un certo rifiorire di commerci a maggiore distanza. Gli unici viaggiatori che facevano eccezione erano i pellegrini, che affrontavano lunghi e pericolosi viaggi per recarsi presso i luoghi sacri. 65 Durante il periodo medievale i pellegrini appartenevano alla borghesia e alle classi più povere e molto differente era il viaggio spirituale povero; si trattava di un viaggio molto faticoso,disagiato e ricco di pericoli che rendevano incerto l’arrivo ma anche il ritorno, già durante il viaggio, quindi, affrontando difficoltà e vivendo sofferenze, il pellegrino si preparava all’espiazione dei propri peccati che viveva appieno una volta giunto alla meta, attraverso la preghiera. Gli unici alloggi nei quali potevano trovare asilo erano i monasteri. I pellegrinaggi altomedievali si incrementarono in particolare intorno ai tre poli d’attrazione religiosa: Roma, Gerusalemme e Santiago de Compostela che potevano essere raggiunti attraverso itinerari come la Via Francigena o la Via Romea. Lungo questi itinerari verso le tre importantissime località cominciavano a nascere una insieme di santuari, ostelli, conventi che offrivano ospitalità ed assistevano i viandanti e i pellegrini. Il pellegrinaggio così si qualificava come un momento di ripensamento critico, di immersione nel tempo e nello spazio della sacralità impegnando la persona e il gruppo nella condivisione di in percorso di trasformazione interiore e si trasforma dunque in una qualificante opportunità culturale. Questo contribuiva alla conoscenza reciproca degli uomini, allo sviluppo del senso di ospitalità; riduceva inoltre la distanza tra le classi sociali e le razze umane, vinceva l’isolamento dei popoli favorendo il superamento di inutili pregiudizi mediante il diretto contatto con la civiltà. I viaggi dei pellegrini aumentarono in occasione del giubileo del 1300, si calcolò che il numero dei viaggiatori affluiti a Roma fosse superiore a 200.000, un numero enorme se si considera, tra l’altro, che gli abitanti di Roma erano meno di 40.000. L’epoca dei grandi viaggi incominciò però con le prime esplorazioni del XV secolo, le persone si spostavano prevalentemente per motivi di commercio e conquista. Il XVI sec. segnò la rinascita di alcune grandi città come Roma, Firenze, Venezia, Parigi e Londra. Pertanto nel Rinascimento un grande spirito di rinnovamento e progresso percorse tutte le forme di espressione artistica (pittura, scultura, letteratura). Sorsero i primi alberghi per la clientela più esigente e le locande per quella più modesta e si diffusero i viaggi a lunga distanza, come ad esempio il Gran Tour il più noto e il più diffuso tra i viaggi culturali del 600 che toccava tutte le maggiori città europee. Tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800, la nascita dell’industria produsse trasformazioni politiche, sociali ed economiche, ma il viaggio come lo intendiamo noi oggi, si diffuse proprio in questo periodo, all’epoca del Grand Tour. 66 Nella società pre-industriale da una parte c’era chi doveva lavorare tutto il giorno, tutti i giorni; dall’altra chi poteva disporre liberamente il proprio tempo, non era legato a nessuna attività lavorativa e aveva cospicue ricchezze a disposizione. Con la rivoluzione industriale la separazione fisica tra luogo di produzione e luogo di residenza portò anche alla distinzione tra il tempo di lavoro e quello di riposo. E’ con la nascita del tempo libero che nasce anche il turismo in senso moderno. Il Grand Tour, antenato del turismo, era una pratica dei figli della ricca aristocrazia per lo più inglese. Questi giovani iniziavano il loro viaggio dall’Inghilterra e si recavano in Francia, Spagna, Italia e Germania. Il nostro Paese era una meta obbligata per le bellezze naturali, anche se nei diari di viaggio si può leggere che i turisti avevano paura e timore di recarsi nel nostro paese. Spesso non si spingevano più a sud di Napoli fino a quando Stendhal scrisse che “per cogliere l’essenza del Bel Paese è d’obbligo visitare la Sicilia con le sue meravigliose rovine greche”. Goethe seguì il suo consiglio ed altri dietro di lui utilizzarono il suo “Viaggio in Italia”, del 1817, come una vera e propria guida turistica, ma erano ancora viaggiatori d’èlite . Non esistevano delle vere e proprie strutture ricettive, ma esistevano delle locande, osterie e taverne a volte sporche e adattate alla miglior maniera, che fungevano da punti di sosta per i viaggiatori ed i loro cavalli. Dal 1841, grazie a Thomas Cook, che sfruttò anche le possibilità offerte dal treno, il turismo, inteso come viaggio organizzato e di massa, è diventato veramente tale. Da questa data, il viaggiare è diventato sempre più "turismo" (cioè un viaggio organizzato prevalentemente da altri), e negli ultimi decenni il turismo è enormemente cresciuto grazie all'evoluzione e alla moltiplicazione dei mezzi di trasporto, all'incremento dei redditi nel mondo occidentale e, ultimamente, anche ai nuovi mass media che hanno cambiato l'accesso alle informazioni (es. internet, pubblicità ...): tutti elementi che hanno indotto nelle società industrializzate e ricche nuovi bisogni di mobilità. Oggi i motivi che spingono le persone a viaggiare sono molto diversi: vacanze, studio, pellegrinaggi, cure, formazione, affari, attività culturali. Il turismo in Italia è dovuto soprattutto al fatto che molti stranieri vengono alla ricerca di cultura, paesaggi, pellegrinaggi e, perché no, di “Indulgenze” che solo il Papa può concedere. Il nostro paese da sempre è stato meta ambita grazie al clima mite, alle bellezze paesaggistiche, alla presenza di siti archeologici e innumerevoli opere d’arte, tra cui migliaia di chiese. Il turismo a scopo religioso, grazie ai vari monasteri, abbazie e conventi, distribuiti su tutto il territorio, è estremamente gettonato: ogni struttura ha una storia, una posizione, antiche raccolte, i nomi famosi che hanno contribuito a fare la storia e che hanno lasciato in alcuni di questi posti un segno del loro passaggio. Ilenia di Gruttola 67 FEDE, CULTURA ED ARTE Cosa si intende oggi precisamente per Turismo Religioso? Quale è la correlazione tra Turismo Religioso e turismo culturale? Fede, cultura e arte possono convivere? Il turismo è un fenomeno di massa e viaggiare è un fatto abituale e alla portata di tutti, infatti storicamente i pellegrinaggi rappresentavano uno degli esempi più semplici e antichi di turismo. Il turismo religioso è comunque particolare per le motivazioni che lo muovono, che sono assolutamente di ordine spirituale e, perlopiù, si rivolgono al turismo religioso le generazioni adulte e anziane, ma anche i giovani si muovono in massa attratti dai grandi eventi della fede. Negli ultimi anni la partecipazione è più qualitativa oltre che quantitativa e più consapevole del valore in sé di tale fenomeno. Questa forma di pellegrinaggio semplice e umile, a piedi secondo un costume antico, ha ancora oggi un suo seguito e coinvolge ancora molte persone, soprattutto giovani. Il cammino accomuna la vita di ogni uomo fin dal suo esordio alla vita e si lega poi a quella spirituale: la vita stessa è un cammino. Passo dopo passo ognuno percorre la sua strada. Esistono strade più lunghe, corte, difficili, ma anche facili…: la strada e il viaggio, infatti, sono “metafora della vita”. Da qualche anno sta emergendo l’interesse per un turismo solitario più “povero” e il ritorno agli antichi cammini della fede; parliamo di percorsi come la Via Francigena, che collegava Canterbury, in Inghilterra, con Roma, un percorso di “purificazione” calcato da migliaia di pellegrini come il ben noto Santiago di Compostela. Il termine pellegrinaggio indica la condizione di colui che si trova per agros, vale a dire in campagna, fuori dalla città, lontano dal luogo della dimora abituale, fissa. Fin dai primi anni del cristianesimo questa particolare esperienza della fede ha assunto una sua caratterizzazione indicando l’azione di una persona (o gruppo di persone) che si reca ad un luogo sacro per vivere esperienze religiose. Camminare, infatti, non è semplicemente un esercizio fisico che conduce da un luogo di partenza a uno di arrivo, immersi in un habitat naturalistico; il cammino, il peregrinare è un gesto profondo che affonda radici nell’essenza ontologica dell’uomo. Il pellegrinaggio è un fenomeno quasi onnipresente nel tempo e nello spazio e la sua permanenza è attestata anche nella nostra epoca, sebbene sia in parte desacralizzata. In positivo si presenta come un movimento privilegiato in cui la persona, lasciando gli impegni quotidiani, cerca di sperimentare al di là degli orizzonti limitati della propria realtà locale, il senso universale della propria fede e la globalità della sua esperienza umana. Che significato può avere oggi il viaggio, in particolare quello religioso, in una società in cui i termini stessi di viaggio e religione hanno assunto un valore completamente diverso rispetto al passato? 68 Le motivazioni alla base del viaggio intrapreso dal pellegrino sono molteplici: può trattarsi di un viaggio come ricerca, come missione o come progresso spirituale; può essere anche il bisogno di rompere la routine, il desiderio di rinascita, la sete di assoluto, il bisogno di espiare i peccati oppure può essere la paura del futuro, della morte o il non rassegnarsi alle sofferenze e alle malattie. Il turismo religioso è comunque particolare per le motivazioni che lo muovono, che sono assolutamente di ordine spirituale. Il turismo religioso si presenta come fenomeno in continua evoluzione, complesso e frammentario nello sviluppo, dominato da tendenze che esprimono bisogni di spiritualità, di consolazione, di cultura delle radici e di calda socializzazione. In concreto esso è generato dalla concorrenza di diversi fattori ed è caratterizzato da motivazioni nelle quali prevale un'esigenza esistenziale a sfondo rigorosamente religioso. Certamente respira la cultura e la forma del turismo sociale ma non si riduce semplicemente ad esserne una piccola parte. Oggigiorno, non esiste esclusivamente il tempio della preghiera, il santuario; il luogo di culto infatti, si arricchisce dal punto di vista commerciale, fino a fondare la propria economia sul Turismo Religioso. Basti pensare alle migliaia di giovani che si spostano periodicamente in occasione delle giornate mondiali della gioventù: Parigi, Roma, Colonia, località gremite di migliaia di giovani accomunati da un forte desiderio di condivisione degli stessi valori religiosi, etici e morali. Testimonianza di ciò è stato il grande Giubileo del 2000 che ha infatti, contribuito alla nascita di due novità: da un lato l’incremento dei pellegrinaggi, che a partire da allora, si stanno sempre più affermando come tipologia di viaggio; dall’altro, l’estensione di tale forma di viaggio a destinatari sempre più giovani. Nel nuovo millennio è cambiata perciò la dimensione sociale, culturale ed economica e, quindi, anche quella spirituale del pellegrinaggio. E’ indubbio, quindi, che il “viaggio peregrinante” viene avvertito come un bisogno dell’anima verso un desiderio di conversione, un cambiamento nella vita e nei comportamenti, in profonda condivisione e comunione con gli altri. Il decidere quindi di intraprendere un pellegrinaggio permette di rivivere una tradizione antica e fondamentale della fede cristiana con una “coscienza moderna”. Turismo è parola che deriva dall'inglese, di recente conio che sta per "Azione di viaggiare per il proprio piacere". Pellegrinaggio è un'antica parola latina e peregrinare significa viaggiare per recarsi in un luogo sacro o nel linguaggio cristiano, “in un luogo santo". E' vero che i luoghi santi sono invasi dai turisti: Gerusalemme, Lourdes, Roma, Assisi, San Givanni Rotondo, ma a questi sfugge la sacralità di quei luoghi. L'approccio del turista e quello del pellegrino non sono gli stessi: il turista non vive ciò che il pellegrino è chiamato a vivere... Il pellegrino, a differenza del turista, anche se si serve degli stessi mezzi di trasporto, soggiorna negli stessi alberghi e calca le stesse strade, si muove in un altro spazio, entra in un nuovo tempo, risveglia in sé un altro uomo. Angela La Canfora 69 I PELLEGRINI E LE CATEGORIE DEI PELLEGRINAGGI “Le persone viaggiano per stupirsi delle montagne, dei mari, dei fiumi, delle stelle; e passano accanto a se stessi senza meravigliarsi” (Sant'Agostino). Il tema del “viaggio”, come metafora della vita umana e dell’incontro dell’uomo con Dio, è presente in tutte le religioni, nei miti, nella letteratura e nelle leggende di tutti i popoli. Il pellegrinaggio, simbolo della ricerca spirituale ed immagine particolare del viaggio, è una pratica devozionale diffusa in ogni epoca e presso molte religioni, ma costituisce senza dubbio uno degli aspetti più significativi del cristianesimo medievale. Esso è quindi la rappresentazione della vita in cui l'uomo, povero e privo di ogni bene materiale, si dirige verso una meta sacra affidandosi solamente alla protezione divina. E’ un andare con un fine ben preciso, un tempo che l’individuo sottrae alla continuità ordinaria della sua esistenza terrena (luoghi, rapporti umani, ricchezza, …) per unirsi al sacro, per comprendere che la vita è precaria ed è solo una forma di passaggio, per cui l'obiettivo fondamentale di ogni uomo deve essere quello della dimensione dello spirito. Il pellegrino, dal latino tardo “peregrinus” (per ager), è quindi colui che va per i campi, quindi lo straniero che si allontana dal suo luogo natale e si reca a Roma con un preciso scopo religioso. Oggi, con questo termine, si intende colui che fa una scelta, che non si trova ad essere, ma si fa straniero, assumendosi le fatiche, i rischi, sia materiali che spirituali, per incontrare il soprannaturale in un luogo lontano, dove offrire i sacrifici ed i pericoli subiti, in cambio della salvezza dell’anima. Nell'Età di mezzo si diventa pellegrini per molti motivi: per sciogliere un voto, per chiedere una grazia, per ordine del confessore e perfino per imposizione di un giudice civile, ma vi sono anche fedeli che s'incamminano spinti soltanto dalla fede, o persone che, dietro compenso, partono pellegrini al posto di altri. Questo movimento di esseri umani diventa un fenomeno vastissimo, favorendo scambi e contatti fra persone di diversa provenienza; ne segue un'influenza profonda sulla società dell'epoca, sotto il profilo economico, religioso e culturale. Esistono all’epoca due tipi di pellegrinaggio quello devozionale e quello penitenziale. Il primo nasce fin dall'epoca paleocristiana e faceva parte del processo di conversione: per liberarsi dalle ansie e dalle tensioni del mondo si partiva verso Gerusalemme, dove si viveva da “stranieri”, da “esuli” magari fino al resto della propria vita. Il pellegrinaggio penitenziale o espiatorio, invece, ha origini più tarde, legate alle tradizioni insulari degli Anglosassoni e soprattutto degli Irlandesi, luoghi in cui si diffonde maggiormente nel periodo dell’Alto Medioevo per essere stato esportato nel continente europeo da alcuni missionari, nel VI e VII secolo. Esso era originariamente una forma di dura condanna verso una colpa molto grave, dall’omicidio all’incesto, nella quale incorrevano specialmente gli ecclesiastici, non essendo essi sottomessi al diritto dei laici. Il colpevole era condannato a vagabondare in continuazione, vivendo nella povertà grazie solo alle 70 elemosine e, inoltre, doveva portare ben visibili i segni del suo peccato: girava nudo, scalzo e con ferri intorno ai polsi e alle caviglie. Una categoria speciale di pellegrinaggi sono quelli detti giudiziali: in questi la pena era sentenziata dai giudici. Importante a questo proposito la prassi introdotta dai tribunali dell'Inquisizione: bisogna però notare che il pellegrinaggio era considerato una pena molto mite. Il mitico Bernard Gui, inquisitore a Tolosa (1323 ca.), su 636 processi, prescrive il pellegrinaggio solo in 16 sentenze. Nei Paesi Bassi anche i tribunali civili per reati minori talvolta prescrivono come pena un pellegrinaggio. Tuttavia, tranne che nelle sentenze dell'Inquisizione, la pena spesso poteva essere commutata in un versamento di denaro: in poche parole il pellegrinaggio se lo faceva chi non riusciva a racimolare la somma sufficiente. A seconda della meta prescelta, il viaggio di un pellegrino poteva durare pochi giorni o prolungarsi per mesi o addirittura anni, attraversando contrade inospitali e percorrendo strade impervie, spesso rese pericolose dalla presenza di animali feroci e banditi. I mezzi di comunicazione erano scarsi, lenti, pericolosi: spesso il pellegrino doveva fidarsi delle proprie gambe, al massimo di un asino o di un cavallo, a volte poteva avere dei passaggi su una barca o su una nave, a seconda della lunghezza del viaggio. Per questo, la partenza del pellegrino era un atto ufficiale e solenne, che avveniva alla presenza dell'intera comunità; i pastori della chiesa locale come vescovi, parroci, abati diventavano custodi e protettori dei beni di coloro che avevano intrapreso la grande avventura. Già nell’anno 990, il primate d’Inghilterra Sigerico, arcivescovo di Canterbury che aveva intrapreso un pellegrinaggio a Roma dal Papa per ricevere l’investitura, durante il viaggio di ritorno aveva lasciato uno scritto sul quale aveva registrato le settantanove “submansiones” (luoghi di tappa) da Roma alla Manica. Si tratta di un documento di testimonianza documentaria sulla cosiddetta “Via Francigena”. Questa via attesta infatti l’importanza del pellegrinaggio in epoca medioevale: esso doveva compiersi prevalentemente a piedi (per ragioni penitenziali) con un percorso di 20-25 kilometri al giorno e portava in sé un fondamentale aspetto devozionale: il pellegrinaggio ai Luoghi Santi della religione cristiana. E i principali poli di attrazione per i fedeli dell’epoca erano tre: innanzitutto Roma, luogo del martirio dei Santi Pietro e Paolo; Santiago de Compostela, dove c’era la tomba dell'apostolo San Giacomo e naturalmente Gerusalemme, in Terra Santa. Pasqualina Colella e Chiara Grasso 71 COME SI DIVENTA PELLEGRINO: lo spirito …, l’abbigliamento …, le mete e i simboli …, l’ospitalità…, le donne… All’inizio del secondo millennio si ebbe in Europa una rinascita spirituale che fece assumere un notevole rilievo alla pratica religiosa del pellegrinaggio che interessò cristiani di ogni età e condizione sociale, facendo avventurare schiere di pellegrini verso le grandi mete del cristianesimo medievale. Nella “Vita Nova”, infatti, Dante definisce i tratti salienti dei pellegrini e traccia un quadro d’insieme delle cosiddette “pregrinationes maiores”: « Peregrini si possono intendere in due modi, in uno largo e in uno stretto: in largo, in quanto è peregrino chiunque è fuori della sua patria; in modo stretto non s'intende peregrino se non chi va verso la casa di Sa' Jacopo o riede. È però da sapere che in tre modi si chiamano propriamente le genti che vanno al servigio de l’Altissimo: chiamasi palmieri in quanto vanno oltremare, la onde molte volte recano la palma; chiamansi peregrini in quanto vanno a la casa di Galizia, però che la sepoltura di Sa' Iacopo fue più lontana della sua patria che d'alcuno altro apostolo; chiamansi romei quanti vanno a Roma » (Dante, Vita Nova, XL) Lo spirito Nel Medioevo, quindi, i pellegrini intesi in modo largo hanno come mete del pellegrinaggio i luoghi santi, ma anche i grandi santuari, dove sono conservate le reliquie più preziose della cristianità. A volte si partiva per raggiungere il paese del Santo al quale si era devoti, alla cui protezione ci si era affidati. Si andava in pellegrinaggio anche per testimoniare una grazia ricevuta, spesso lasciando un segno tangibile del miracolo che si attribuisce all’intercessione del Santo: le stampelle, le bende, una raffigurazione miniaturistica dell’arto sanato o dell’organo guarito. Ci si mette in strada anche per avere uno sconto sulle pene del purgatorio o per assistere ad un evento miracoloso. Spesso la penitenza era un vero e proprio obbligo imposto dalla giustizia canonica; di frequente, per espiare la loro colpa, gli eretici erano costretti al pellegrinaggio. In diversi casi si poteva far eseguire il viaggio da altri, invece che affrontarlo in prima persona. Verso la fine del Medioevo vi furono veri e propri professionisti del pellegrinaggio che si chiamavano “cercatori di perdono”. In altri casi l’obbligo non assolto fu demandato, con volontà testamentaria, agli eredi. Tra la folla dei pellegrini c’erano gli storpi, i ciechi, i malati alla ricerca di un miracolo, i peccatori che cercavano il perdono, a volte portando pesanti croci sulle spalle o catene al collo come ulteriore segno di pentimento; ad essi si univano i mendicanti, i ladri, i venditori di false reliquie. 72 In senso stretto, i pellegrini veri e propri erano soltanto coloro che andavano a Santiago de Compostela (chiamati jacquets), in seguito a Roma (i romei), o coloro che andavano in Terra Santa (i palmieri). Questi simboli, insieme alla lettera di accoglienza, servivano anche a esentare il pellegrino dal pagamento dei pedaggi e a difenderlo in una certa misura dalle aggressioni di ladri e banditi. Il problema della sicurezza riguardava tutti: mercanti, viaggiatori e pellegrini. Vaste regioni d'Europa erano infestate da briganti che vivevano assaltando e derubando i viandanti, ma che, in una certa misura, rispettavano l'attestato di pellegrino (lettera di accoglienza) o addirittura rilasciavano un loro lasciapassare da esibire ad altri banditi, a scopo protettivo. La Chiesa si preoccupava di salvaguardare la sicurezza dei pellegrini: nel concilio Laterano del 1123 si arrivò a sancire la scomunica per chi molestava i pellegrini o esigeva ingiusti pedaggi. E se non bastava il pericolo dei banditi c'erano poi i lupi da affrontare, e le piene sui fiumi, tanto che spesso i ponti erano affiancati da simboli religiosi in funzione tutelare e la manutenzione dei ponti affidata a istituzioni religiose. In mancanza di ponti si attraversava con traghetti oppure con l'aiuto piuttosto incerto di una corda stesa tra le due sponde. L’abbigliamento I pellegrini erano in genere facilmente riconoscibili dall'abbigliamento e dagli oggetti che avevano con sé, ma mentre gli antichi pellegrini penitenziali camminavano scalzi o addirittura con catene, i semplici pellegrini indossavano abiti un po’ più particolari che li differenziavano dai semplici viaggiatori. Elementi essenziali erano: il petaso, un cappellaccio rotondo a larghe tese, dritte o ripiegate, che serviva da riparo sia per il sole sia per la pioggia; la pellegrina o la schiavina, una veste che arrivava fino alle ginocchia, un pesante mantello che facilmente poteva trasformarsi in coperta durante le freddi notti della Galizia; una bisaccia, allo stesso tempo povera valigia da viaggio e cassaforte dei pochi denari a disposizione. Importate più di tutto, il bordone, un bastone ricurvo spesso munito di una punta di ferro, utile nel cammino ma anche per difendersi dagli attacchi delle vipere, dei lupi, dei cani selvatici, dei briganti e dei malintenzionati di turno. Ai piedi scarpe robuste, perché le strade erano aspre e accidentate e al bastone che serviva come appoggio, come terzo piede del pellegrino affaticato, veniva legata una zucca vuota che serviva da borraccia lungo il duro cammino. Le mete e i simboli Lungo la Strada Francigena, il labirinto era immagine ricorrente del cammino verso la Gerusalemme Celeste, simbolo della meta in Terrasanta e legame ideale per l'homo viator con le grandi vie di pellegrinaggio. 73 Percorrendolo, il pellegrino poteva cogliere il senso del cammino come itinerario verso la salvezza nell'aldilà e acquisire la garanzia che il suo andare conteneva già in sé le credenziali per la grazia. Moltissime erano le mete verso cui un pellegrino poteva decidere di dirigersi; santuari, monasteri, cattedrali, tombe di santi e così via, ma chi si recava a Santiago de Compostela portava, come segno di riconoscimento, una conchiglia sul cappello o sulla veste; chi si dirigeva in Terra Santa, invece, aveva come segno distintivo la palma, mentre le chiavi indicavano i romei. Perché la conchiglia? Perché quando poi arrivava a Santiago, il pellegrino normalmente proseguiva il suo viaggio fino a Capo Finisterre, sulla costa Atlantica, il punto più occidentale d’Europa, per andare a vedere il luogo dove si pensava finisse il mondo. La conchiglia era di quelle che l’Oceano depone sulle spiagge della Galizia, quelle che i naturalisti chiamano Pecten Jacobeus, i francesi conquille Saint Jacques, e che nel Veneto si chiamano comunemente Cape Sante. Ben presto a Santiago sorsero delle botteghe per vendere queste conchiglie come souvenirs, così che la strada principale di accesso a Santiago si chiamava Calle de los Concheros (da concha, conchiglia). Con il tempo alla conchiglia di San Giacomo vennero attribuiti poteri taumaturgici, era come un portafortuna cui nessuno si sentiva di poter fare a meno: divenne così il Signum Peregrinationis per eccellenza. Ecco allora che, come non fosse stato un martire romano, lo stesso San Giacomo veniva rappresentato come u n uomo del Medio Evo, con il mantello, bordone, cappello, zucca e conchiglia; ci sono, infatti, due immagini di santi quasi sempre rappresentati nelle vesti del pellegrino, San Giacomo e San Rocco, e da loro possiamo capire com’era il vestiario. I riti della partenza “Partire è un po' morire” non è solo un vecchio detto arrivato fino a noi dai secoli lontani; la morte per il pellegrino è un'eventualità tutt'altro che remota, tanto che sopra la tomba, il disegno del bastone e del cappello del pellegrino indica viaggi mai terminati, di anonimi viaggiatori morti lungo la strada. Molti si ammalano lungo il cammino, specialmente nel pellegrinaggio a Gerusalemme, tanti non giungono alla meta. Ci sono luoghi mitici di guarigione e oggetti terapeutici speciali - ad esempio l'agnus dei (costituito da cera e polvere delle ossa dei santi) - usati come vere e proprie reliquie (medicina magica). A Roma si sviluppa il commercio di varie pomate e unguenti, dai nomi di santi e apostoli, e si allarga l’affare dell'importazione di spezie dall'Oriente. Sono gli stessi pellegrini a farsi promotori della diffusione di questi preparati medicinali, sperimentati nel loro pellegrinaggio e dimostratisi più o meno efficaci. Le guide di tutti i tempi sono generosissime di consigli o ricette per prevenire o curare i mali tipici del pellegrino: vesciche, insolazioni, raffreddamenti, congelamenti, orticarie, screpolature, disidratazione, dissenteria, distorsioni, … 74 A volte il pellegrino si ferma a lungo nell'ospizio per rimettersi in salute e la guarigione è verosimilmente dovuta alla regolarità dell'alimentazione. Dunque dopo varie cure (utili o no) il paziente si rimette in viaggio. Sembra che la percentuale più alta di guarigioni (oltre il 40%) si registri per malati di paralisi, inattività e contratture (tra l'altro tutti malanni che possono contenere un'importante componente psicosomatica). Ritornando alla ritualità della partenza, vediamo quali sono i momenti salienti di questo evento: il pellegrino prima di intraprendere il cammino viene benedetto durante una messa appositamente celebrata, chiede perdono a tutti coloro che ha offeso, fa confessione e testamento fissando un termine oltre il quale può essere considerato morto; in mancanza di diverse disposizioni il clero locale è considerato custode dei suoi beni. Non di rado i ricchi fanno donazioni di beni alla Chiesa con condizione di ricevere un usufrutto in caso di ritorno (la chiesa si impegnava anche a dare una sorta di pensione alla vedova e agli orfani del pellegrino morto in viaggio). La partenza avveniva dopo aver ricevuto, oltre a un salvacondotto dalle autorità ecclesiastiche, la benedizione episcopale. Al momento della partenza, salutava i familiari, visitava la chiesa della parrocchia, si raccomandava con Dio chiedendo protezione dai molti pericoli che avrebbe incontrato nel viaggio. Idealmente però il pellegrino si muove accompagnato dal potere protettivo di numerosi santi (ognuno 'specializzato' per così dire in determinati settori), appellandosi ai quali si ottiene un aiutino per superare innumerevoli difficoltà: per difendersi dalle malattie, per attraversare fiumi, scalare montagne, percorrere strade solitarie infestate da briganti. Angeli e Arcangeli sono potenti protettori del cammino, in particolare, Raffaele, Gabriele e soprattutto Michele cui si dedicano vari importanti santuari in Italia e in Francia. Poi iniziava il viaggio e, durante il cammino, capita di unirsi ad altri per formare un gruppo. Insieme ci si sente più sicuri, meno soli e la strada sembrava meno lunga specialmente se, nello stesso tempo, si prega e si canta. Tipico saluto del pellegrino era, infatti, “UTREYA! SUSEYA!”, un misto di gioia e incoraggiamento espresso in idioma medioevale permeato di latino, il cui significato era un invito a proseguire nel cammino, di “ANDARE OLTRE E PIU’ IN ALTO”. I pellegrini usano partire all' alba; "la pioggia del mattino non ferma il pellegrino" dice un proverbio dell'epoca ed un altro altrettanto meteorologico afferma "rosso alla sera, bianco al mattino è la giornata del pellegrino"; quest’ ultimo, in una parodia dei detrattori dei pellegrinaggi recitava anche "rosso alla sera e bianco al mattino ravvivano il pellegrino" … ci si riferiva, ovviamente, al … colore del vino. 75 L’ospitalità: monasteri, ospizi e locande L’assistenza dei pellegrini era compito dei monaci; questa pratica veniva messa in atto specialmente dai Benedettini e già dal IX secolo i monasteri devono destinare a questo scopo somme notevoli. Il pellegrino ha diritto all’ospitalità gratuita, ma è uso che i viandanti ricchi facciano cospicui lasciti ed elemosine. Con lo sviluppo sempre maggiore del pellegrinaggio, è necessario costruire appositi ospizi per la loro accoglienza ed i primi sono quelli irlandesi, da cui la pratica del pellegrinaggio, nelle sue varie forme, ha inizio. Già verso il XII secolo esisteva una vasta rete di ospizi ben organizzati, gestiti da vari ordini religiosi, a non più di una giornata di cammino, l’uno dall’altro: alcuni noti, altri piccolissimi e sconosciuti anche sui passi di montagna. Tra i più famosi ordini ospitalieri, congregazioni religiose che si assumono l’onere dell’assistenza a pellegrini e viandanti, ci sono i Templari, i Gerosolimitani e i frati dell’Ordine del Tau di Altopascio. Dal XII secolo, col fiorire del commercio internazionale, i servizi offerti erano diversi e variavano da un luogo all’altro; naturalmente c’era anche un tipo di ospitalità a pagamento presso le locande, ma solo per i pochi che potevano permetterselo. L’ospizio offriva un posto per dormire a volte sulla terra battuta o a volte condividendo un letto con altre persone. Il cibo di solito era costituito da una pagnotta e da una minestra di verdure, ma dipendeva anche dal livello sociale del pellegrino: la carne era riservata ai ricchi che potevano permettersela. D’altronde le regole monastiche impongono di offrire ai poveri cibi rustici e misurati per non incoraggiare il peccato di gola o far rischiare un’indigestione che rallentasse il cammino, un rischio che nobili e prelati non corrono…,per loro si premerono cibi diversi, più sostanziosi. Il pellegrino non è altri che l’uomo, e gli uomini non sono tutti uguali, così almeno andavano le cose nel Medioevo, direbbe Manzoni. Non ci sono “uomini” astratti, ma signori, contadini, monaci, ricchi e poveri, potenti e deboli. E non tutti mangiano allo stesso modo. “Il monaco Giovanni, abituato a mangiare bene, abituato a profumi e sapori raffinati, non può sopportare il fetore di aglio e cipolla che promana dal sacco dell’occasionale compagno di viaggio”. Il “pellegrino” in realtà non esiste: esiste il pellegrino contadino, esiste il pellegrino monaco, esiste il pellegrino signore e ciascuno di essi mangia quello che il suo ceto sociale suggerisce o impone, in un mondo in cui l’alimentazione era il primo strumento per manifestare le differenze di classe, il prestigio, la ricchezza, il potere. Con il passare del tempo, visto l’aumento dei pellegrini, l’accoglienza presso i monasteri diventa un onere insostenibile, per cui si stabiliscono delle limitazioni al numero di pellegrini che possono essere ospitati e la durata del soggiorno. Donne in pellegrinaggio. Se è vero che il tema del viaggio non appartiene al territorio simbolico femminile, tuttavia quel particolare tipo di viaggio che è il pellegrinaggio, è stato uno spazio di relativa libertà femminile. La cultura dominante in generale ha disapprovato il pellegrinaggio femminile in quanto frutto della 'insana' curiosità femminile e apertura verso una pericolosa promiscuità. 76 D'altra parte la donna ha sempre avuto un più stretto contatto col corpo e il desiderio di toccare le sacre reliquie è stata una molla importante del pellegrinare. C'è l'idea forte che attraverso il contatto o la vicinanza si generi una energia guaritrice o comunque vivificante. In certi casi alle donne viene vietato di avvicinarsi alle reliquie. Ci sono tante donne semplici, non sante, non monache, non aristocratiche, che magari anche con bambini si mettono in cammino, ma è difficile quantificare dati certi. Pare che secondo le poche fonti il totale delle donne in cammino oscillasse tra il 15 e il 20% del totale dei pellegrini, tenendo però in considerazione le differenze sostanziali tra i paesi nordici, dove i costumi sono più aperti, e i paesi meridionali dove le donne sono costrette a una vita molto più segregata. Annunziata Biondi e Maria Grasso 77 LE STRADE MEDIOEVALI DEL PELLEGGRINAGGIO … Nei primi secoli della cristianità il pellegrinaggio è essenzialmente un’esperienza individuale e la meta prediletta è la Terra Santa, luogo della vita e della passione di Cristo, ma dove si trovano anche siti sacri ad altre religioni: la pietra del sacrificio di Abramo, la tomba di Samuele, la pietra con le tracce di sangue di Cristo. Alle acque del fiume Giordano erano riconosciute numerose proprietà taumaturgiche mentre nella zona del Mar Morto erano presenti numerose terme e sorgenti d’acque miracolose dove si vendevano preparati terapeutici e dove si recavano anche i lebbrosi nella speranza di trovare sollievo alle proprie sofferenze. In questi luoghi, credenze, leggende e storia si fondono in Panorama di Gerusalemme alla fine del XV sec. un tutto inestricabile. (Hartmann Schedel, Nürnberg 1493) Man mano che cresce il potere teocratico dei papi, Roma diventa l’altra Gerusalemme, dove ci si può recare senza correre troppi rischi, almeno senza cadere nelle mani degli infedeli. Così con il giubileo del 1300, indetto da Bonifacio VIII, s’impone il pellegrinaggio a Roma. I pellegrini arrivati nell’Urbe visitano le quattro Basiliche maggiori e il Papa accorda indulgenze eccezionali. Inizialmente previsto ogni cento anni, questi si riducono a cinquanta con Clemente VI, nel 1350, poi a trentatré e infine a venticinque con Paolo II nel 1470. Anche le crociate sono dei pellegrinaggi “armati” legati Roma: Basilica di San Pietro alle indulgenze. Con la riconquista della spagna cattolica, tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, si apre la via al grande pellegrinaggio di Santiago di Compostela in Galizia, in seguito anche al ritrovamento delle reliquie dell’apostolo Giacomo. La Basilica, distrutta dagli Arabi nel 997, viene ricostruita nell’XI secolo da Alfonso VI di Castiglia e dall’ordine di Clouny. Gli itinerari delle tre peregrinationes maiores sono determinanti per la fondazione di santuari, monasteri, strade, ospizi, mercati, ospedali e locande che tenevano aperte le loro porte, accogliendo questa comunità viaggiante. Durante il I crociati liberano il Santo Spolcro percorso si visitano le città, le chiese, si prega sulle reliquie dei santi e dei martiri. Da un percorso appena delineato, che si era venuto pian piano definendo, nasce un percorso attrezzato per cui le strade diventano grandi arterie in cui scorre una linfa vitale che nutre la crescita culturale di tutta l’Europa: il contatto, il dialogo tra persone provenienti da nazioni diverse si trasformano in fonte di apprendimento e di diffusione di culti e tradizioni, contributo essenziale per creare un quadro rappresentativo di riferimento che unifica la cultura europea. 78 LA VIA FRANCIGENA O ROMEA La Via Francigena, anticamente chiamata Via Francesca o Romea, era il percorso che da Canterbury portava a Roma, è un itinerario della storia, una via maestra percorsa in passato da migliaia di pellegrini in viaggio per Roma, ricalcando in Italia quella che era, in epoca romana, la via Cassia. L’Italia, in questo contesto, ha avuto un ruolo fondamentale in quanto molti pellegrini si fermavano a Roma, ma altri scendevano fino al porto di Brindisi, dal quale s’imbarcavano poi per la Terra Santa. Le Vie Francigene del Sud univano l’Occidente all’Oriente, il cristianesimo al paganesimo, l’Età Antica al Medio Evo: un itinerario trasversale, tra strade romane ed antichi tratturi, templi pagani, imponenti cattedrali e santuari cristiani, dolci panorami collinari e aspri passaggi montani. Molti pellegrini da Roma proseguivano verso sud, lungo la Via Appia, la Latina-Casilina e l’Appia Traiana, diretti al Sepolcro di Cristo o alla grotta dell’Arcangelo Michele, sul Gargano. le città costiere pugliesi, inoltre, furono utilizzate per alcuni secoli come porto d’imbarco verso la Terrasanta e conobbero un periodo di grande splendore grazie al transito di pellegrini, eserciti e mercanti. A partire dal XIII secolo, infatti, iniziò ad affermarsi il pellegrinaggio via mare, prima lungo le rotte tirreniche, che facevano scalo nel porto di Messina, poi lungo le rotte dell’Adriatico, che assunsero il monopolio del trasporto del pellegrini in Terrasanta fino al XV secolo. Nell’Italia Meridionale il punto di arrivo del tratto che collegava Roma con il Santuario di Monte Sant’Angelo da il nome alla Via Micaelica, detta anche Via dell’Angelo o Francigena del Sud. Nell’antichissimo santuario ipogeo di San Michele, confluivano, oltre a numerosissimi pellegrini, anche i crociati diretti in Terra Santa. Il tratto finale della Via Micaelica era chiamato Via Sacra Longobardorum o Via Francesca del Gargano; essa attraversava tutto il Gargano meridionale, congiungendo i santuari garganici con quelli del Tavoliere. I primi documenti che citano l’esistenza di questa strada risalgono al XIII secolo e si riferiscono ad un tratto di strada nel territorio di Troia, in provincia di Foggia. 79 Tra le antiche strade romane, utilizzate dai pellegrini, prevale la presenza dell'antica Via Appia, Regina viarum, costruita nel sec. IV a. C. per collegare Roma con Benevento, capitale Longobarda, e successivamente prolungata fino al porto di Brindisi. La Via Appia rimase in uso fino alla caduta dell’Impero romano e, dopo secoli di abbandono, venne recuperata nel sec. XVII per volontà di papa Pio VI. Una delle prime ipotesi che possiamo avanzare è che la via sacra fosse evidentemente non lastricata. Essa doveva apparire al viandante aspra e faticosa per l'accidentalità del terreno, sia per la presenza di boschi, pericolosi sia di animali selvatici sia per di predatori. Vi erano due strade che conducevano direttamente al Gargano. La prima passava attraverso la riva meridionale della laguna di Lesina, per giungere poi,costeggiando la laguna di Varano alla piana di Carpino; di qui, attraverso facili valichi, si giungeva a Monte S. Angelo. La seconda via era quella che immetteva direttamente nella valle di S. Marco. E' la strada che fu percorsa durante l'età classica e che collegava direttamente Roma con le regioni meridionali e specialmente con la Puglia. Nelle vicinanze di Candelaro la strada si divideva: una proseguiva verso Nord- Est attraverso la valle di Stignano, S. Marco in Lamis, S. Giovanni Rotondo e Monte S. Angelo, l'altra proseguiva verso Sud-Est per collegarsi con Siponto. Questi itinerari erano utilizzati già in età classica ma, con il diffondersi del culto di S. Michele sul Gargano e con la presenza di un vasto movimento di pellegrinaggio, la via mediana acquista una tale importanza da essere denominata la Via Sacra dei Longobardi. Queste vie di pellegrinaggio erano anche vie di intensi scambi e commerci, battute da mercanti, eserciti e imperatori. Il documento più importante prevenutici è il diario di Sigerico che nel 990 intraprese il viaggio verso Roma per ricevere il pallio dal Papa, che lo avrebbe consacrato arcivescovo di Canterbury. L’Itinerario di Sigerico descrive, appunto, il viaggio di ritorno da Roma dell’arcivescovo il quale delineò, in 79 tappe, i luoghi di passaggio e di sosta (Mansio) fino a Roma. Le informazioni contenute nella cronaca hanno un’importanza fondamentale per stabilire il tracciato originario della Francigena tra Canterbury e Roma. Questo tratto si sviluppava su un percorso di 1600 km: partiva da Canterbury, arrivava a Dover per attraversare la Manica; da Calais si passava per Reims, Losanna e si arrivava alle Alpi che venivano attraversate al colle del Gran S. Bernardo. Dalla valle d’Aosta si scendeva ad Ivrea, a Vercelli e Pavia. Si attraversano gli Appennini tra le provincie di Piacenza e Parma passando per Montebello, Segalara, Fornovo di Taro e Brecceto. Poi da Pontremoli si continuava per Lucca, Porcari, Altopascio, Galleno, Fucecchio, S. Gimignano, Siena, Viterbo per terminare a Roma. Sigerico impiegò 79 giorni a percorrere tutti i 1600 km per lo più a piedi. Gli ostacoli naturali che i pellegrini dovevano superare erano quindi oltre al canale della Manica, le Alpi, gli Appennini e il fiume Po e per fare ciò potevano optare su diverse possibilità. 80 La Francigena, infatti, non era propriamente una via, ma piuttosto un fascio di vie, un sistema vario con molte alternative; le varianti territoriali venivano usate al secondo del tipo di traffico, delle vicende politiche e delle situazioni climatiche delle varie zone. Un'altra testimonianza di pellegrinaggio sulla Via Francigena è quella dell'abate islandese Nikulás da Munkaþverá, risalente al XII secolo. Di questo personaggio si sa ben poco ed anche il nome sembra incerto: era un monaco benedettino che, nel 1154 ritornò in Islanda da un pellegrinaggio in Terra Santa e nel 1155 fu consacrato abate del monastero di Munkaþverá, in Islanda, dove rimase fino alla morte, avvenuta intorno agli anni 1159-60. Il resoconto del suo pellegrinaggio dall’Islanda in Terra Santa è contenuto nell’Itinerarium del 1160, mentre il viaggio si colloca cronologicamente tra il 1152 ed il 1153. Il viaggio iniziava dall’Islanda, attraversava un tratto di mare verso la Norvegia fino alle coste della Danimarca; passava quindi in Germania occidentale e, risalendo il corso superiore del Reno, passava per la Svizzera e l'Italia. La parte italiana non differiva sensibilmente da quella di Sigerico nella parte toscana verso Roma, ma poi prosegue sull'Appia Traiana per l'imbarco dai porti pugliesi. Dopo l'Italia, infatti, iniziava un nuovo percorso marittimo che, toccando in più punti coste ed isole della penisola balcanica e della Grecia, conduceva fino all’Asia minore in Turchia e poi a Gerusalemme. Nell’opera vengono fornite dettagliate descrizioni di strade, luoghi, chiese e monumenti di interesse religioso, e non solo, attraversate dai viaggiatori e pellegrini scandinavi che si recavano in Terra Santa. Si legge anche che ad Utrecht "gli uomini prendono il bordone e la bisaccia e la benedizione per il pellegrinaggio a Roma" e dice che, lungo il suo cammino, incontra franchi, fiamminghi, inglesi, tedeschi e scandinavi diretti a Roma. L’origine della Francigena, per alcuni studiosi, è da far risalire già al VI secolo, quando i Longobardi in lotta con i Bizantini imposero il proprio dominio a macchia di leopardo sull’Italia. Con la caduta dei Longobardi e l’ascesa dei Franchi con Carlo Magno, il percorso venne ampliato in direzione della Francia prendendo l’attuale nome di via Francigena. La denominazione Via Sacra Langobardorum è nata nel 1890, per indicare il percorso di pellegrinaggio che partiva da Mont Saint Michel in Francia e giungeva al santuario di S. Michele Arcangelo in provincia di Foggia, percorso che è lo stesso della via Francigena. Una campagna di informazione turistico culturale errata ha fatto si che per lungo tempo si pensasse ad una via di pellegrinaggio diversa da quella Francigena, mentre in verità ne è una parte. 81 LA VIA FRANCIGENA OGGI Dopo la riscoperta avvenuta negli anni settanta del cammino di Santiago, ci si rese conto che anche in Italia esisteva un simile percorso di pellegrinaggio, la via Francigena. Come per quello spagnolo, anche il percorso della Francigena giaceva in parte sotto l’asfalto delle autostrade e delle statali, che con il tempo avevano ricalcato il tracciato di quelle che erano state le strade principali del Medioevo e dell’età romana. Il desiderio di molti di arrivare a Roma a piedi e poi a Gerusalemme, ha fatto nascere gli amanti della Francigena che hanno cominciato a segnare sentieri e percorsi con vernice e pennelli. Dove possibile si è cercato di recuperarne il tracciato originario, ma a volte si è scelto di deviare il percorso storico in favore di sentieri e strade meno trafficate. Oggi è chiaro che la Francigena è un tesoro dal punto di vista turistico, e le amministrazioni pubbliche hanno preso coscienza dell’importanza del fenomeno. E’ cresciuta la necessità di avere strutture idonee per l’accoglienza dei pellegrini lungo l’intero tracciato, è nato un interesse mediatico, come una serie radiofonica di Rai Radio Tre dedicata alla Francigena, documentari e la pubblicazione di alcune guide sta avvicinando un numero di persone sempre crescente che, per motivi religiosi o meno, percorre zaino in spalla l’antico percorso. Molti amministrazioni comunali scommettono sul recupero della Francigena a piedi in Italia, i presupposti ci sono tutti e le istituzioni stanno lavorando in accordo con il Ministero dei Beni Culturali per mettere a sistema l’enorme patrimonio diffuso sulla penisola, le tradizioni e le feste popolari, l’enogastronomia. Il lavoro è lungo, oltre alla messa in sicurezza del tracciato, bisognerà affrontare il problema del reperimento, lungo il percorso, di strutture ricettive a buon prezzo dislocate a distanze regolari tra le tappe, così come sarà necessario stipulare accordi e convenzioni per i servizi e l’assistenza, che passa prima di tutto attraverso l’informazione delle popolazioni dei territori attraversati che saranno i principali attori di questa opportunità di sviluppo e d’incontro tra i popoli. Gessica Bongo 82 SANTIAGO DI COMPOSTELA Il cammino di Santiago di Compostela è il lungo percorso che i pellegrini fin dal medioevo intraprendono, attraverso la Francia e la Spagna, per giungere al santuario di Compostela. In questa remota ed oscura località della Spagna nord occidentale, nell’anno 814, l’eremita Pelagio ebbe una visione: una stella molto luminosa iniziò a risplendere, illuminando con insistenza un campo. In seguito, il Vescovo Teodomiro iniziò a scavare in quel terreno portando alla luce alcune tombe di epoca romana. Una in particolare conteneva tre corpi, uno di essi aveva la testa mozzata e portava la scritta “Qui giace Jacobus, figlio di Zebedeo e Salomè”. Il luogo fu identificato come il sepolcro dell’apostolo Giacomo il Maggiore, morto in Palestina nel 44, decapitato per ordine di Erode Agrippa, e fu subito denominato Campus Stellae, il campo della stella, da cui il moderno Compostela. La tradizione vuole che i suoi discepoli trasportassero il suo corpo, nascosto in una barca, in Galizia, per seppellirlo vicino ad Iria Flavia, un porto romano molto importante all’epoca. Nei secoli successivi si persero le tracce di questa sepoltura a causa delle persecuzione e dei divieti di visitare i luoghi sacri. Il luogo divenne celebre da subito, in quanto era l’unico centro in tutto l’Occidente, a parte Roma, a proporre le reliquie di uno dei dodici Apostoli alla venerazione dei fedeli cristiani. Alfonso II, detto il Casto, re de delle Asturie e della Galizia, vissuto tra il789 e l’893, ordinò la costruzione sul posto di una chiesa e, successivamente, nell’893, i monaci benedettini vi fissarono la loro residenza. Iniziarono così i primi pellegrinaggi alla tomba dell’apostolo, dapprima dalle Asturie e dalla Galizia e poi da tutta l’Europa. Santiago di Compostela fu distrutta nel 997 dall’esercito musulmano di Almanzor e poi ricostruita da Bermudo II. Fu però il vescovo Diego Xelmirex ad iniziare la trasformazione della città in luogo di culto e pellegrinaggio, facendo terminare la costruzione della cattedrale ed arricchendola di numerose reliquie. Storicamente, le vie di terra che conducono a Santiago sono descritte puntualmente nel Codex calixtinus ed ancora oggi sono percorse da numerosissimi pellegrini. Il tracciato è diverso, a seconda del paese di provenienza: - dall’Italia, si segue la Via Francigena, con una variante costiera che si dirama verso la la costa, attraversando Pontremoli, per poi seguire la Via Tolosana, fino ai Pirenei; - dalla Francia, le strade erano diverse; a partire dal sud si potevano percorrere: o la Via Tolosana, la più meridionale, da Arles, attraverso Tolosa, passava i Pirenei sul passo del Somport, o la Via Podense, da Lione e Le Puy-en-Velay, che passava i Pirenei a Roncisvalle, o la Via Lemovicense, da Vezèlay, per Roncisvalle, 83 o la Via Turonense, da Tours e Roncisvalle, che raccoglieva i pellegrini provenienti dall’Inghilterra, dai Paesi Bassi e dalla Germania I due passi più importanti dei Pirenei erano, dunque, Roncisvalle e Somport e il Camino francés e la via che collega Roncisvalle a Santiago, mentre il Camino Aragonés riguarda Somport. Dal punto di raccolta al Puente della Reina, le tappe del cammino erano numerose, ma quando si arrivava a Santiago, chi aveva ancora fiato, continuava fino all’estremo promontorio di Finesterre, da dove poteva ammirare la bellezza e l’estensione dell’Oceano Atlantico, oltre il quale si pensava, non ci fosse altro. Le strade degli stranieri verso Santiago furono anche marittime, soprattutto in primavera-estate quando il tempo era clemente. È diffusa l’opinione che nella Francia carolingia fosse arrivata per mare la notizia della scoperta della tomba dell’apostolo e che i primi pellegrini arrivassero proprio dal mare. Ci sono testimonianze del XIII secolo di viaggi compiuti dall’Inghilterra verso La Coruna, durati solamente quattro giorni. Il percorso marittimo era certamente il meno rischioso, in un epoca in cui le strade erano molto rischiose ed accidentate. C’è una curiosità che indica come il nome popolare spagnolo per indicare la Via Lattea è El Camino de Santiago. Secondo una leggenda medievale, infatti, la Via Lattea fu formata dalla polvere sollevata dai pellegrini. La Credenziale è un documento di viaggio che accompagna sempre il pellegrino. Serve ad attestare la sua identità, la sua condizione e le sue intenzioni. Serve a distinguere un vero pellegrino da ogni altro viaggiatore. Viene rilasciata da una autorità religiosa che si assume la responsabilità di ciò che essa afferma, pertanto ne deve essere fatto un uso responsabile e corretto. In Italia la Confraternita di San Jacopo di Compostela ha realizzato una propria Credenziale con tali caratteristiche. Essa viene rilasciata direttamente dalla Confraternita a coloro che la richiedono e che si impegnano ad accettarne il senso e lo spirito. Viene rilasciata a coloro che percorrono le vie di pellegrinaggio a piedi, in bicicletta o a cavallo. È gratuita ma per rendere possibile questo servizio è ben accetta qualsiasi offerta. La Credenziale della Confraternita è predisposta per raggiungere qualsiasi meta sacra e pertanto può essere utilizzata, come di fatto avviene, per coloro che si dirigono oltre che a Santiago de Compostela anche a Roma, Gerusalemme, Monte Sant'Angelo, Loreto, etc. Nella Credenziale vanno apposti i timbri (sellos) dei vari luoghi in cui si passa o si fa tappa; questi ultimi attestano l’avvenuto percorso. La Compostela è un documento religioso redatto in latino rilasciato dall'autorità ecclesiastica di Santiago de Compostela che certifica il compiuto pellegrinaggio alla tomba dell'Apostolo San Giacomo. Nel medioevo era un documento molto importante, perché il pellegrinaggio era una forma legata allo scioglimento di voti o alla penitenza di peccati molto gravi. In alcuni casi il pellegrinaggio era 84 anche una pena civile, cioè il condannato veniva allontanato dalla comunità nella quale aveva commesso reati e riammesso solo dopo aver compiuto un pellegrinaggio di conversione. Il certificato può essere rilasciato solo a chi abbia percorso il Cammino per motivi strettamente religiosi e spirituali e che presenti una Credenziale che riporti testimonianze scritte (di solito timbri) che attestino un percorso di almeno cento chilometri (200 se si è in bicicletta). Catia Campobello 85 LUNGO LA STRADA … CANTI, RITUALI, ABITUDINI. Il pellegrinaggio era anche un momento di incontro e di festa, per cui ogni occasione forniva lo spunto per fare musica, da sempre veicolo naturale di trasmissione della cultura sia sacra che profana. Il canto era un modo per esprimere la propria religiosità e la propria devozione nei confronti dei luoghi santi che visitava. Spostandosi da un luogo sacro ad un altro, i pellegrini imparavano e diffondevano nuovi canti e nuovi modi di cantare. Nel suo itinerario, partendo per esempio dalla Francia e diretto verso Roma, il pellegrino attraversava le regioni di lingua occitanica come la Linguadoca e la Provenza, ascoltando le musiche dei trovatori; in Italia incontrava la lingua volgare, con cui erano scritte le laudi, e il latino religioso del canto gregoriano, sia nella forma devozionale popolare che in quella più solenne della corte papale. Fu il culto di San Giacomo a favorire uno sviluppo particolare alla tradizione musicale del pellegrinaggio. Il Codex Calixtinus ed il Llibre Vermeill raccolgono, infatti, materiale differente composto in epoche e forme diverse: canti devozionali e liturgici, celebrazioni ed eventi miracolosi, canti di viaggio e danze sacre. Il Codex o Liber Sancti Jacobi è un insieme di testi in gloria di san Giacomo maggiore e del suo culto compostellano. I testi sono di varia datazione e provenienza, indicati come composti all'inizio del XII secolo, ma la redazione del codice si situa tra il 1139 e il 1173. Il Liber contiene, in 5 libri e un'appendice, testi di vario genere collegati alla figura di san Giacomo maggiore e al pellegrinaggio a Compostela, ed è praticamente la sintesi del corpus dottrinario, ideologico e liturgico su cui si fondò il culto dell'apostolo. Culto particolarmente importante se si tiene conto che il corpo dell'apostolo Giacomo era l'unico a non essere deposto a Roma, e che per questa presenza il culto apostolico faceva di Compostela, ascesa a sede arcivescovile nel 1121, una sorta di sede apostolica, nel momento in cui la presenza dei papi a Roma si faceva più vacillante. Il Codex Calixtinus è famoso anche perché contiene la prima guida del pellegrino, un testo nato per fornire suggerimenti e indicazioni indispensabili per chi si metteva in viaggio verso Compostela, ma anche per chiunque volesse raggiungere una delle tre peregrinationes maiores. Il “Llibre Vermell”, così chiamato per il colore vermiglio della sua copertina, è un manoscritto anonimo redatto alla fine del XIV secolo in Spagna, molto probabilmente dai monaci dell’abbazia di Montserrat. Il libro riporta dieci canti di carattere sacro, in lingua latina e catalana, corredati da indicazioni e suggerimenti per la danza. È un esempio di religiosità squisitamente popolare: canti devozionali, danze processionali, cori d’invocazione e preghiera intonati dai pellegrini davanti alla statua della Vergine Maria, per ringraziarla dei miracoli ricevuti. I fedeli intonavano questi canti lungo il “camin de l’angel” per raggiungere l’abbazia, accompagnandosi con ogni sorta di strumento musicale, e, giunti al monastero, danzavano in “tondo” attorno all’altare. Ed è proprio in questa veglia, accompagnata da canti alternati a preghiere e danze, che si fondono in un unico linguaggio le diverse tradizioni musicali dell’Europa cristiana, dalla monodia liturgica alle canzoni dei trovatori, dalle danze carnevalesche alla polifonia. 86 Nel Llibre Vermell sono raccolti i cosiddetti canti virtuosi che riprendono canzoni popolari provenienti da tradizioni diverse e danze ballate durante la notte prima di giungere alla meta tanto ambita. Prima che nascessero gli ostelli a Montserrat, monte famoso per il ritrovamento di un’immagine della Madonna, in seguito a visioni miracolose, i pellegrini sostavano sulla piazza del monastero, prima dell’ultima tappa verso il Santuario di San Giacomo. Con il cuore pieno di gioia per essere riusciti a raggiungere l’obiettivo del lungo e faticoso cammino, nasceva naturale il desiderio di cantare e danzare, ma potevano essere intonati solo canti virtuosi e pii. Il canto per il pellegrino medievale lungo il cammino poteva anche essere finalizzato ad ottenere altri benefici oltre a quello spirituale: mantenere il ritmo del passo, allontanare la fatica e la noia, attirare l’attenzione per ottenere ospitalità ed elemosina. “E oltre / e sopra / Dio ci aiuta”, queste le parole di uno dei tanti canti che aiutava a tenere il pas so, come pure un canto tipico dei pellegrini romei, quello che oggi viene ricordato col titolo “Ad limina apostolorum”, recita nella prima strofa, salutando la nobile Roma: “Arrossata dal vermiglio sangue dei martiri / e bianca del candore dei gigli e delle vergini…”. Seguivano altre due strofe dedicate a San Pietro e San Paolo, chiedendo loro aiuto ed intercessione presso Dio. Più tardi, nel XIV secolo, anche i pellegrini di Monserrat (Spagna) esprimevano la loro devozione per la Madonna, vista come la madre di tutti, senza distinzione di ceto o di censo: “Ricchi e poveri, grandi e piccoli, / ognuno si mette in cammino / per vedere coi propri occhi / e poi fa ritorno ricolmo di grazia”. In due canti del XVI secolo, alcune povere pellegrine “di fango sbrodolate” chiedevano “Caritate, amore Dei / che da Roma siam tornate / dalli Sancti Giubilei”; altre, invece, dirette a Roma, per chiedere “il perdon sancto e divino”, imploravano la “gente cortese / di far ben nei lo confronti”, in quanto “del ben che vui Haremo, / ce farem tra via le spese”. HIMNO A SANTIAGO Santo Adalid, Patròn de la Españas, Amigo del Señor: Defiende a tus discìpulos queridos Protege a tu naciòn Las armas victoriosas del Apostol Venimo a contemplar En el sagrado y encendido fuego De tu devoto altar. Firme y segura Como aquella Columna Que te entregò la Madre de Jesus Serà en España La santa Fe cristiana, Bien celestial que nos legaste Tù. Gloria a Santiago, Patròn insigne! Gratos tus hijos, Hoy te bendicen. A tus plantas postrados te ofrecemos La prenda màs cordial de nuestro amor. Defiende a tus discìpulos queridos! Protege a tu naciòn! Ultreja! 87 Parallelamente al canto, il pellegrino medievale era solito esercitare pratiche molto antiche e di origine pagana: il refrigerium e l'incubatio che consistevano nel consumare banchetti funebri presso le tombe o dormire nelle vicinanze di esse. Per questi rituali, che spesso facevano dimenticare il senso mistico e religioso, il desiderio di vicinanza e familiarità col santo, trasformandosi in momenti di baldoria e gozzoviglia, erano stati più volte messi dei divieti da papa Damaso, nel IV secolo, ma non erano valsi a nulla. Tali veglie erano spesso occasione per bisbocce e baldorie di vario genere, che non di rado erano alimentate dalla stessa euforia di aver raggiunto il luogo sacro tanto desiderato. Altre abitudini e comportamenti particolari si erano sviluppati in relazione a pellegrinaggi specifici. I comportamenti dei gruppi di pellegrini che si recavano a Santiago di Compostela facevano a gara, nell’ultimo tratto di strada, a chi per primo raggiungeva la sommità del “Monte del Gozzo” dal quale si vedeva la città del santo e chi per primo l’avvistava era proclamato “Re del pellegrinaggio”. Sempre legato al pellegrinaggio a San Giacomo, era l’usanza di piantare una croce sul passo di Cize pregando genuflessi in direzione della meta e quello di trasportare a spalle, da Tricastela a Santa Maria de Castanèda, una pietra utile alla fabbrica della chiesa del santo o alla manutenzione delle strutture assistenziali. Un ultimo rituale va ancora collegato al pellegrinaggio a San Giacomo: l’uso “per amore dell’Apostolo di lavarsi, in un fiume a due miglia da Compostela, le parti intime, ed ogni sporcizia del corpo”, una norma igienica necessaria prima di entrare in città e nel Santuario, dopo settimane di cammino, lungo strade polverose ed esposti ad ogni tipo di perturbazione atmosferica. L’arrivo al santuario ha anche altre esigenze di carattere spirituale, di grande significato religioso o puramente rituali: ogni santuario ha i propri riti, sebbene alcuni, come quello della Porta santa, siano comuni a Roma e a Santiago. Santiago ne presenta altri due curiosi, uno dei riti più amati è quello di un abbraccio reale all’immagine di pietra duecentesca che presiede, seduta, l’altare maggiore e a cui s’accede da una scalinata doppia laterale. Sotto quest’immagine è esposta la cripta con un’urna d’argento, in cui sono conservate le spoglie dell’apostolo e dei suoi discepoli Teodoro e Attanasio. Ricerche storiche e archeologiche svolte nell’ultimo terzo dell’Ottocento, cosi come gli studi e le analisi chimiche realizzate da tre professori ordinari delle facoltà di medicina e di Francia dell’Università di Santiago furono il fondamento della bolla “Dues Omnipotens”di Leone XIII (1879), che autenticò questi resti. 88 Gli studi anatomici avrebbero confermato anche l’autenticità della reliquia conservata a Pistoia e la sua appartenenza alle spoglie dell’apostolo. Qui, come a Roma, è frequente che il pellegrino reciti un “Credo”, simbolo della fede che San Pietro e San Giacomo ci hanno trasmesso. Un altro rito è quello di appoggiare la mano sul portale del portico della Gloria, appena sotto l’immagine dell’Apostolo, o toccare altre figure o incavi dell’imponente complesso scultoreo, dando un notevole dispiacere a tutti gli amanti dell’arte. La contemplazione dell’impressionante portico del Maestro Matteo, il più straordinario complesso scultoreo del romanico, è, allo stess o tempo, una lezione d’arte, d’estetica, di storia, di teologia, di religiosità, e perfino di saggezza e d’umore popolare, che ha dato vita a interpretazioni particolari tanto ingegnose quanto poco”classiche “. Di origine popolare, forse studentesca, è anche l’abitudine legata al cosiddetto “Santo dos Croques”, una figura orante in cui la tradizione ha voluto vedere una sorta di autoritratto del Maestro Matteo. È usanza appoggiare la propria testa su quella della figura di pietra, dando tre leggeri colpi, grazie ai quali il geniale artista trasmetterebbe al visitatore un po’ della sua memoria, intelligenza e volontà. Maria Grasso - Pasqualina Colella 89 PELLEGRINAGGI, MIRACOLI E RELIQUIE La tradizione e il culto delle SACRE SPINE ad Ariano Irpino Nel mondo occidentale il pellegrinaggio prese una funzione sacrale solo con l’avvento del Cristianesimo: il primo pellegrinaggio famoso fu quello di Sant’Elena, madre di Costantino, che avrebbe ritrovato la Croce di Gesù. Da quel momento il pellegrinaggio assunse dimensioni sempre maggiori sino a diventare uno dei momenti cardine della vita del mondo medioevale. Scopo del pellegrinaggio è anche quello di raggiungere uno spazio sacro dove la potenza divina ha scelto di manifestarsi mediante dei miracoli. Accanto al pellegrinaggio romeo alla tomba degli Apostoli, mai venuto meno, riprese vigore il pellegrinaggio in Terra Santa che si intensificò proprio a seguito delle crociate, con singolari esempi di transfert di sacralità dall'Oriente all'Occidente. Il termine crociati, per indicare coloro che andavano a combattere per liberare e poi difendere il Santo Sepolcro, fu coniato in un secondo momento, per molto tempo si parlò di pellegrini armati e non di crociati. Sant’Elena L'interesse maggiore dei fedeli era rivolto, però, verso quei luoghi dove si custodivano reliquie e ciò a motivo dei miracoli e in particolare delle guarigioni che si attendevano dai paladini di Dio. Il confine tra il pellegrinaggio e la ricerca delle reliquie, quindi, è molto sottile. L'Enciclopedia Cattolica definisce una reliquia come: «...Il corpo o qualsiasi cosa che rimanga di un Santo dopo la sua morte, così come pure gli oggetti che sono venuti effettivamente a contatto con il corpo del Santo durante la sua vita. Le reliquie reali includono la pelle e le ossa, gli abiti, gli oggetti usati per la penitenza, gli strumenti di prigionia, di martirio o di passione ». All'epoca le reliquie svolgevano, per il fedele della Chiesa d'Occidente, la stessa funzione che avevano le icone per il fedele della chiesa Orientale: erano segni vivi e visibili della presenza di Dio e adempivano alla funzione di compiere miracoli. Da qui il bisogno di un contatto fisico, per trarre beneficio dal potere soprannaturale che si sprigiona da quei corpi santi, pratica che ha come referente evangelico l'episodio dell'emorroissa. Tutto ciò favorì traslazioni e furti e la corsa al collezionismo delle reliquie creò, soprattutto nel Duecento, un vero e proprio mercato, capace di far lievitare i prezzi di quelle più rare, favorendo le falsificazioni. In realtà il senso stesso delle reliquie, nel contesto medievale, non può essere compreso senza indagare sul significato storico-religioso che esse ebbero nello scenario delle competizioni tra Chiesa di Occidente e Gesù guarisce l’emorroissa d'Oriente e delle crociate. Nel caso di Cristo, le reliquie sono quelle relative alla sua passione e morte. Si dice, infatti, che la Vera Croce di Cristo fosse stata ritrovata a Gerusalemme da Sant'Elena. Sottratta dai Persiani nel VII secolo, recuperata dall'imperatore bizantino Eraclio, fu poi portata dai Crociati sul campo di battaglia contro il Saladino. Sfortunatamente la vittoria fu del Saladino e della croce si persero le tracce per sempre, comunque ne erano già stati prelevati vari frammenti. 90 Dei chiodi, uno sarebbe stato custodito nella chiesa di Santa Croce in Gerusalemme a Roma e qualcun altro nel Duomo di Milano. La corona di spine, a lungo conservata a Costantinopoli, fu suddivisa nell'intento di donare almeno una spina a chiese e santuari diversi. La corona di spine, fino al IV secolo d.C., fu custodita e venerata a Gerusalemme. Poco dopo l’anno 1000 fu portata a Costantinopoli, perché i Turchi avevano occupato Gerusalemme. Quando i Turchi incalzavano anche su Costantinopoli, nel 1238 fu portata a Venezia e custodita nella Basilica di San Marco, dal momento che Baldovino II, conte di Edessa, a seguito della necessità di finanziamenti per il cadente impero latino di Costantinopoli (1204-1261), fu costretto ad impegnare presso i Veneziani la sacra Corona. San Luigi IX, re di Francia e fratello di Carlo d’Angiò, volle acquistarla per 160.000 lire venete e, per custodirla, fece erigere accanto al Real Palazzo, nel 1248, la Sainte Chapelle. Il Cristo coronato di spine Durante la rivoluzione francese, il prezioso reliquario fu rotto e fuso dai rivoltosi; la corona più tardi fu portata nella cattedrale di Nótre Dame. In questo lungo cammino, molte spine furono sottratte e sparse per il mondo per essere donate a chiese e santuari per ragioni meritorie particolari. Se ne contano almeno 110 solo in Italia. Tra le più conosciute sono quelle di Santa Croce in Gerusalemme a Roma, che la tradizione vuole siano state donate da Sant'Elena; le Sacre Spine di Fermo; quella venerata nella Cattedrale di Andria, dono alla città pugliese di Beatrice d'Angiò, figlia di Carlo II, alla quale furono assegnate in dote quando andò in sposa al conte di Andria, Bertrando del Balzo, nel 1308. La Sainte - Chapelle de Paris Moltissime di queste spine, specialmente il venerdì Santo, presentano fenomeni miracolosi: arrossamenti di sangue o fioriture. Le «Sacre spine» sono quindi il simbolo estremo della Passione di Gesù Cristo e due di queste sono custodite ad Ariano Irpino, nella Cattedrale, conservate in un artistico reliquiario del sec. XIII-XVI e sono dello stesso ceppo di quelle di Andria. Ma come sono giunte fino a noi? Non è stato trovato, al momento, un documento che dimostri l’avvenuta consegna delle SS. Spine da parte di Carlo d’Angiò alla città di Ariano, quale premio per la fedeltà alla causa del Papa e per la distruzione patita, ma molti sono gli indizi che confortano tale ipotesi. Secondo la Storia ecclesiastica del Racine (sec. XIII), “si argomenta che Carlo I d’Angiò, fratello del suddetto S. Ludovico nella sua venuta in Italia per impossessarsi del regno di Napoli, tra le cose più rare e preziose, che portò seco, fossero alcune SS. Spine, svelte dalla Corona, che era riferita Santa; tanto più, perché è certo che ne fece dono di alcune alla Cattedrale di Napoli, allorché con somma munificenza la edificò; nella quale sono state per molto tempo esposte alla pubblica venerazione nella Cappella del Crocifisso, juspadronato della famiglia Caracciolo; e dal Pontefice Innocenzo XIII nel 1723 fu concesso potersene recitare in essa Cattedrale l’Officio proprio, o sia particolare; la cui recita fu concessa anche alla suddetta Cattedrale di Andria, ed a questa di Ariano” (T. Vitale, ” Storia di Ariano e della sua Diocesi”). 91 Ariano tra l'altro era una vera e propria roccaforte delle truppe papali, quindi non una semplice realtà ribelle, e del terribile eccidio subito con l'inganno vi sono prove documentali certe. Si tratta di vicende storiche complesse dettate da strategie di conquista e potere. Tra le ragioni del dono delle Spine esclusivamente un senso profondo di giustizia? In realtà già all'epoca ci si faceva propaganda e si cercavano consensi, tentando di coinvolgere l'opinione pubblica; i regnanti non facevano nulla senza che ne potessero trarre benefici. Sulle Sacre spine, storia e leggenda si fondono: attraverso un manoscritto proveniente dalla famiglia Eccidio della Carnale Pisapia, donato al Museo civico di Ariano, si viene a conoscenza che “…un pellegrino proveniente dalla Terra Santa abbia fatto una sosta ad Ariano. Questi non riusciva a proseguire il suo viaggio, a causa di una forza misteriosa che lo costringeva a non riprendere il cammino in quanto portava nascosto gelosamente custodito nella bisaccia un prezioso deposito: tre S. Spine. Il pellegrino volle aprire il cuore rivelando il suo segreto al Vescovo di Ariano, ma alcuni dubbiosi non vollero credere all’autenticità delle sacre reliquie, pretesero la prova del fuoco. Due Spine rimasero intatte, mentre la terza si bruciò”. Da allora le Spine furono portate trionfalmente nella Cattedrale e custodite con venerazione dalla chiesa arianese. Esse sono conservate insieme alla reliquie del suo patrono Sant’Ottone, nato a Roma verso il 1040 e discendente dalla nobile famiglia dei Frangipane. Anche questi resti sacri sono molto venerati, in quanto la storia frammista a leggenda narra come questo santo pellegrino ad un certo punto della sua vita, dopo aver visitato devotamente vari santuari cristiani per diverse regioni del mondo, abbia deciso, verso il 1117, di fermarsi Ad Ariano, dove gestì un ospizio per viaggiatori, che egli stesso aveva fondato, dando esempi di carità, finché non decise di ritirarsi a vita Sant’Ottone Frangipane eremitica, a quasi un miglio dalla città, nella chiesa di S Pietro apostolo, oggi ancora esistente e chiamata San Pietro de’ reclusis. Accanto alla chiesa si costruì una piccola cella e vi si rinchiuse, compiendo molti miracoli. Nel suo romitaggio, il santo aumentò l’austerità, prolungò le sue vigilie di preghiere, diminuì il cibo e aumentò le penitenze. Nella piccola cella scavò una fossa a forma di sepolcro per ricordare a sé stesso la morte, come monito a vivere santamente. Nel 1127, dopo sette anni di eremitaggio e 10 anni trascorsi ad Reliquiario di Sant’Ottone Ariano, S. Ottone morì e gli arianesi, deposto il corpo del santo su un carro, lo portarono in processione in cattedrale, dove il vescovo di Ariano lo fece deporre in un posto d’onore. 92 Il culto Tornando alle Sacre Spine, quelle di Ariano sono incastonate in una meravigliosa scultura d’argento, in due ampolle di cristallo, divisa in tre parti, con decori di gigli di Francia; la struttura inferiore è ogivale sostenuta da due angeli e l’altorilievo dell’Ecce-Homo, lo stemma della città di Ariano è del XVII secolo. Sono presenti anche le immagini di due altri Santi Patroni della città: Sant’Elzeario de Sabran e la moglie, Beata Delfina de Signe. Il reliquiario mostra delle somiglianze stilistiche con le guglie della Sainte Chapelle di Parigi. È probabile che la sua realizzazione sia dovuta a maestri argentieri napoletani. Le due spine sono lunghe 6 e 5.5 cm, di colore avorio, eccetto la punta che è nera. Le Spine erano custodite già nel 1517 nella tesoreria della cattedrale arianese. Nel sec. XVII i vescovi Ottavio Ridolfi e Paolo Caiazza in diverse occasioni portarono a piedi nudi il reliquiario nella chiesa di S. Angelo per implorare la Reliquiario delle Sacre Spine divina misericordia. Solo nel 1737 fu costruita la cappella delle S. Spine, voluta dal Vescovo Mons.Tipaldi, dove troneggia una bellissima tela di Cristo coronato di spine. Nel XVIII secolo, il vescovo arianese Filippo Pirelli, durante la Santa Visita, volle prendere dalla base della seconda spina alcune frammenti, uno di questi fu donato alla famiglia Vitoli di Ariano, dove attualmente è custodita, nella cappella privata, in un piccola teca. La popolazione arianese ha sempre custodito la forte devozione, affiorano nel medioevo le processioni penitenziali che dalle contrade e specie dal santuario di S. Liberatore, "con il capo coperto da corone di edera e di biancospino, in tempo di calamità, di prolungata siccità o di abbondanti piogge, giungevano in Cattedrale, dove erano esposte le Sacre Spine, invocando la pioggia ristoratrice o il sole benefico", mentre cantavano laudi e canti religiosi. La festa in tempo pasquale era celebrata nella 2^ domenica dopo la resurrezione, con recita dell’Officio proprio. Il 25 marzo 1932 si presume il miracolo dell’arrossamento delle spine, ripetutosi, poi, il 25 marzo 2005. Gli anziani ricordano con commozione che in ogni volta che veniva esposto il reliquiario delle Sacre Spine, tutte le calamità naturali cessavano all’istante. Rievocazione storica: Consegna delle Sacre Spine nelle mani del Vescovo 93 Questo canto processionale tradizionale viene da secoli intonato in occasione della festa delle Spine Sante. Di un inno che doveva essere molto più esteso la fonte non ricorda che due strofe le quali tuttavia manifestano l’amore e la venerazione del popolo arianese verso queste miracolose reliquie: Spina pungente Spina pungente, e pungìsti lu mio Signore e pùmgeme stu core e perdona lu piccatore. Perdona, mio Dio, e perdona pe' pietà; lu donu ca ricivìsti, la Santissima Trinità… Anche il poeta - sacerdote Pietro Paolo Parzanese, onore del popolo arianese, cantore della "memoria passionis" e della "croce salvifica", volle invocare nei celebri panegirici del 1832, del 1847, e del 1849 la divina provvidenza per le “provate genti irpine”, al fine di riportare Cristo al centro della propria vita per il riscatto e la salvezza finale. "Ariano mia culla, e , se il ciel mel concede, mia sepoltura, esulta di santo gaudio, e di celeste sorriso ti allegra. Balzino per letizia, come sciolti arieti, i tuoi colli, le tue valli echeggino di festivi clamori. … Padre dei cieli, il tuo popolo invoca; egli t’offre in olocausto queste spine tinte nel sangue del tuo Figlio, e sarà lieto, se ascolterà queste voci intuonate altra volta per Osea: Soepiam vias tuas spinis, et sponsabo te mihi in sempiternum". (P.P. Parzanese, Panegirico s. Spine, 1832). Non mancò di dedicare loro anche dei versi in cui sono espressi, con forte intensità, sentimenti e fede autentica: Le Sante Spine Lasciando il trono ove sedesti eterno, Venia vestito dell’umana spoglia, E l’alte porte a debellar l’inferno provò d’acerba morte immensa doglia. Fero dal capo Santo aspro governo Acute Spine, e a lacrimar ne invoglia, Vedendole calcar sul capo a scherno, Da chi già l’alma di pietade spoglia. Ei ebbe un dì la fronte redimìta E una mortale angoscia il cor prendea Entro la Spoglia lacera ed attrita. Ma a noi fu gaudio il suo dolor atroce. Vinse soffrendo, e a noi l’alma si bea Nel poter della spina e della Croce. (Sonetto di P. P. Parzanese, in Archivio Museo Civico di Ariano). Lavoro di gruppo 94 LINGUA E LETTERATURA INGLESE a cura del professore Pasquale Renzulli FROM THE CANTERBURY TALES TO THE FRANCISCANS IN IRELAND 1. THE CANTERBURY TALES 2. THE FRIAR 3. LUKE WADDING 4. PONTIFICAL IRISH COLLEGE 5. EXPRESSION OF FRANCISCAN FAITH 6. FRANCISCAN FRIARY, KILLARNEY THE CANTERBURY TALES The Canterbury Tales is a collection of stories written in Middle English by Geoffrey Chaucer at the end of the 14th century. The tales (mostly written in verse although some are in prose) are told as part of a story-telling contest by a group of pilgrims as they travel together on a journey from Southwark to the shrine of Saint Thomas Becket at Canterbury Cathedral. The prize for this contest is a free meal at the Tabard Inn at Southwark on their return. After a long list of works written earlier in his career, including Troilus and Criseyde, House of Fame, and Parliament of Fowls, the Canterbury Tales was Chaucer's magnum opus. He uses the tales and the descriptions of its characters to paint an ironic and critical portrait of English society at the time, and particularly of the Church. Structurally, the collection resembles The Decameron, which Chaucer may have read during his first diplomatic mission to Italy in 1372. Canterbury Cathedral. View from the north west circa 1890–1900 (retouched from a black & white photograph). 95 Genre and structure Canterbury Tales is a collection of stories built around a frame narrative or frame tale, a common and already long established genre of its period. Chaucer's Tales differs from most other story "collections" in this genre chiefly in its intense variation. Most story collections focused on a theme, usually a religious one. Even in the Decameron, storytellers are encouraged to stick to the theme decided on for the day. The idea of a pilgrimage to get such a diverse collection of people together for literary purposes was also unprecedented, though "the association of pilgrims and storytelling was a familiar one". Introducing a competition among the tales encourages the reader to compare the tales in all their variety, and allows Chaucer to showcase the breadth of his skill in different genres and literary forms. While the structure of the Tales is largely linear, with one story following another, it is also much more than that. In the General Prologue, Chaucer describes, not the tales to be told, but the people who will tell them, making it clear that structure will depend on the characters rather than a general theme or moral. This idea is reinforced when the Miller interrupts to tell his tale after the Knight has finished his. Having the Knight go first, gives one the idea that all will tell their stories by class, with the Knight going first, followed by the Monk, but the Miller's interruption makes it clear that this structure will be abandoned in favor of a free and open exchange of stories among all classes present. General themes and points of view arise as tales are told which are responded to by other characters in their own tales, sometimes after a long lapse in which the theme has not been addressed. Lastly, Chaucer does not pay much attention to the progress of the trip, to the time passing as the pilgrims travel, or specific locations along the way to Canterbury. His writing of the story seems focused primarily on the stories being told, and not on the pilgrimage itself. THE FRIAR’S TALE "The Friar's Tale" is a story in The Canterbury Tales by Geoffrey Chaucer, told by Huberd the Friar. The story centers around a corrupt Summoner and his interactions with a demon. It is preceded by The Wife of Bath's Tale and followed by The Summoner's Tale. The Friar commends the Wife of Bath for her tale, and then says, in line with his promise between the Wife’s Prologue and Tale, that he will tell a tale about a summoner. He does not wish to offend the Summoner who travels with them, but insists that summoners are known for fornication and lewd behavior. The job of a summoner, to which the Friar objects, is to issue summons from the church 96 against sinners who, under penalty of excommunication, pay indulgences for their sins to the church, a sum which illicit summoners often pocket. Friar’s Tale begins. A summoner who meets a yeoman one day who asks him what he does, but rather than admit he is a summoner, an odious profession, he says he is a bailiff. The yeoman says he is also a bailiff and when the summoner asks how he makes money the yeoman admits in any underhand way he can. The summoner agrees this is also how he works and then, in the spirit of confession, the yeoman says that he is actually a demon from hell. They come upon a carter damning his stubborn horses to hell; when they do move he praises God. The summoner criticizes the demon for not capitalizing on this situation and taking the horses, but the demon explains that since the man was not sincere in cursing the horses he couldn't take them. The summoner then says that he will show the demon how it is done, by extorting money from an old widow woman even though he admits there is nothing legitimate to summon her for. They go to her house and the summoner demands a bribe from her or he will summon her to court on a spurious charge. He also demands she give him her new pan in payment for an old debt, falsely claiming he paid a fine to get her off a charge of adultery. The old woman is so incensed she damns the summoner unless the summoner repents his false charges; the summoner refuses to repent and the demon, obligingly, takes his body and soul to hell. The tale is a satirical and somewhat bitter attack on the profession of summoner—an official in ecclesiastical courts who summons people to attend—and in particular The Summoner one of the other people on the pilgrimage. The Friar is of one of the mendicant orders which traveled about preaching and making their livings by begging. Part of the animosity between the two characters may be due to these orders of friars, which had been formed relatively recently, interfering with the work of the summoners. LUKE WADDING Luke Wadding was born on 16 October 1588 into a prominent Old English merchant family in Waterford. He was particularly well connected on both sides of his family. His mother, Anastasia Lombard, belonged to another important Old English family. Members of the Wadding family supplied mayors to Waterford City, and Luke Wadding was related to a number of famous Irish bishops of the time, among them Peter Lombard, archbishop of Armagh, David Rothe, bishop of Ossary, and Patrick Comerford, bishop of Waterford. Little is known of his early education in Waterford, although it would seem that he acquired a knowledge of Latin, probably not a difficult task for someone with such linguistic flair: in his lifetime he became proficient in Hebrew, Greek, Portuguese, Spanish and Italian. After his mother’s death from the plague in 1602, Wadding accompanied his brother Matthew, a merchant, to Lisbon and soon afterwards joined the based in the 97 Spanish Franciscan church of San Pietro in Montorio, the burial-place of Hugh O’Neill and his son and of Rory and Cathbar O’Donnell, he began a prolific career in historical, philosophical and theological writings. He worked with the commission on the immaculate conception, producing four volumes on the question. He edited concordances of the Hebrew and Latin Bibles. His fame as a scholar, however, mainly rests on his commentaries on the works of the Franciscan theologian Franciscans. He was ordained in 1613. He began his studies in philosophy and theology in Portugal and was then invited to join the Spanish Franciscan province, where he became a lecturer in theology in the renowned University of Salamanca. His formation in Portugal and in Spain brought him into contact with some of the most influential Catholic teachers and intellectuals of the time, including the Jesuit Francisca Suárez. Once in Salamanca he gained a reputation as a theologian with a particular interest in the historic and spiritual tradition of the Franciscan Order. His move to Rome followed appeals from Philip III of Spain to Pope Paul V (both of whom were patrons of St Anthony’s Irish College, Louvain) concerning the definition of the doctrine of the immaculate conception of Mary. In July 1618 Bishop Antonio de Trejo who headed a royal Spanish delegation to Rome, chose Wadding as his theologian and secretary to the delegation. Established in Rome, at first Duns Scotus (d. 1308) and his masterly treatises on the history of the Franciscan Order, the Annales Minorum (the Order’s history from 1208 to 1540) and the Scriptores Ordinis Minorum (a collection of the primary sources of the Order). That he is regarded as the father of the history of the Franciscans to this day was recognised in January 2007, when the archive of the General Order in Rome was named after him. Like his fellow Irish Franciscan Florence Conry, founder of St Anthony’s in Louvain, Wadding recognised the need for the establishment of a house of studies for Irish students in Rome. With the assistance of Cardinal Ludovico Ludovis, the cardinal protector of Ireland and one of Wadding’s many influential friends in Rome, he founded St Isidore’s College# in 1625. Like St Anthony’s, the early years of St Isidore’s were precarious, with Wadding seeking financial support to keep it open and also fending off the Jesuits’ desire to educate Irish students in Rome. St Isidore’s remained an Irish Franciscan college and developed into a centre of Scottish studies, dedicated to the study of Duns Scotus. It also became a house in which novices were trained to return to Ireland to labour and preach, and to that end, again like St Anthony’s, an Irish printing press was set up there. Although Wadding spent most of his adult life on the Continent, his influence in Ireland and his interest in Irish affairs often led him into controversy. From the 1630s the Vatican often consulted him with regard to episcopal appointments and other offices in Ireland. His own wealthy Old English family background, along with the constant rivalry in the seventeenth century between the Irish and Old English for ecclesiastical and political authority, led to accusations of Old English bias. He also occasionally became embroiled in the machinations of European and Franciscan factions in Rome, mainly centred on French and Spanish jealousies. In an Irish context, his influence and also his precarious position between so many Irish factions came to a head during the Catholic Confederacy in the early 1640s. His pleas to an otherwise disinterested papacy and Spanish monarchy led to Archbishop Rinuccini being sent as papal envoy to Ireland in 1645. He also managed to obtain support for Owen Roe O’Neill and the Irish brigades on the Continent to return to Ireland. In consequence he got the reputation of being a gun-running priest. Despite that, in the maelstrom of conflicting Irish Catholic factions of the Confederacy, Wadding was at various stages criticised by all sides. It would appear that in promoting his main concerns, that of ensuring that Ireland remained Catholic and of maintaining a united Franciscan province in Ireland, he fell foul of many. He died in St Isidore’s in Rome on 18 November 1657 and is interred in the college he had founded. 98 PONTIFICAL IRISH COLLEGE Pontifical Irish College, Rome The Pontifical Irish College is a Roman Catholic seminary for the training and education of priests, in Rome. Foundation and early history Towards the close of the sixteenth century, Pope Gregory XIII had sanctioned the foundation of an Irish college in Rome, and had assigned a large sum of money as the nucleus of an endowment. But the pressing needs of the Irish chieftains made him think that, under the circumstances, the money might as well be used for religion by supplying the Irish Catholics with the sinews of war in Ireland as by founding a college for them at Rome. The project was revived in 1625 by the Irish bishops, in an address to Pope Urban VIII. Cardinal Ludovisi, who was Cardinal Protector of Ireland, resolved to realize at his own expense the desire expressed to the pope by the Irish bishops. A house was rented opposite Sant' Isodoro and six students went into residence 1 January 1628. Eugene Callanan, archdeacon of Cashel, was the first rector, Father Luke Wadding being a sort of supervisor. Cardinal Ludovisi died in 1632; he was of a princely family with a large patrimony, and he made provision in his will for the college; it was to have an income of one thousand crowns a year; a house was to be purchased for it; and he left a vineyard as Castel Gandolfo where the students might pass their villeggiatura. The cardinal's will directed that the college should be placed under the charge of the Jesuits. Both the heirs and Wadding suspected that provision and disputed it; a protracted lawsuit was finally decided in 1635 in favour of the Jesuits. Under the Jesuits On 8 February 1635, the Jesuits took charge of the college, and governed it until 1772. A permanent residence was secured, which became the home of the Irish students until 1798, and is still the property of the college; it has given its name to the street in which it stands. The Jesuits found eight students before them; one of these, Philip Cleary left for the mission in Ireland in 1640, and suffered death for his faith ten years later. The first Jesuit rector became general of the Society; he was succeeded by Father James Forde who was succeeded in 1637 by Father William Malone. 99 In September, 1772, the college was withdrawn from their control.The college now passed from the care of the Jesuits, and an Italian priest, Abbate Luigi Cuccagni, was made rector. He was a man of acknowledged ability. The rectorate of Cuccagni came to an end in 1798, when the college was closed by order of Napoleon. From 1826 Dr. Blake, who was the last student to leave the college at its dissolution in 1798, returned a quarter of a century later to arrange for its revival, which was effected by a brief of Pope Leo XII, dated 18 Feb., 1826. He became the first rector of the restored college, and among the first students who sought admission was Francis Mahoney of Cork, known to the literary world as Father Prout. Having set the college well to work, Dr. Blake returned to Ireland, and was succeeded by Dr. Boylan, of Maynooth, who soon resigned and died in 1830. He was succeeded by a young priest,later Cardinal Cullen. Dr. Cullen was succeeded by Dr. Kirby, known for his holiness of life. He governed the college for more than forty years. His successor was Michael Kelly, later coadjutor to the Archbishop of Sydney. The heart of Daniel O'Connell is currently interred in a wall mounted memorial on the south aula or portico in keeping with his wishes that his heart belonged to Rome. The altar of the main chapel, which recently underwent major refurbishment, contains relics of a number of Irish Saints. The College today The Pontifical Irish College is located in Via dei Santi Quattro, #1. It serves as a residence for clerical students from all over the world. Every year over 250 Irish couples choose the college chapel as a means to marry in Rome. It organises events for the Irish and wider international community who are currently residing in Rome and has over the years become an unofficial centre for Irish and English speaking visitors to Rome seeking advice and information. The Rector of the Irish College, as of 2010, is Mon. Liam Bergin, of the diocese of Ossory. The ViceRector is Fr. Albert McDonnell of Killaloe Diocese. Every Sunday morning there are Sacramental classes for local English speaking children preparing for their First Holy Communion and Confirmation which are conducted in English and Italian by the students of the college. Important contemporary visitors to the college include Pope John Paul II, British Prime Minister Tony Blair, and Irish President Mary McAleese.[2] The latter addressed the college on 6 November 2003, the 375th anniversary of the founding of the college. EXPRESSIONS OF FRANCISCANS FAITH Most Franciscans are members of Roman Catholic religious orders founded by Saint Francis of Assisi. The most prominent group is the Order of Friars Minor, commonly called simply the "Franciscans." They seek to follow most directly the manner of life that Saint Francis led. This Order is a mendicant religious order of men tracing their origin to Francis of Assisi. It comprises three separate groups, each considered a religious order in its own right. These are the Observants, most commonly simply called "Franciscan friars," the Capuchins, and the Conventual Franciscans. They all live according to a body of regulations known as "The Rule of St. Francis". The official Latin name of the Orders of Friars Minor is the Ordo Fratrum Minorum. St. Francis thus referred to his followers as "Fraticelli", meaning "Little Brothers". Franciscan brothers are informally called friars or the Minorites. The modern organization of the Friars Minor now comprises three separate branches: the 'Friars Minor' (OFM); the 'Friars Minor Conventual' (OFM Conv), and the 'Friars Minor Capuchin' (OFM Cap). The women who comprise the "Second" Order of the movement are most commonly called Poor Clares in English-speaking countries. The order is called the "Order of St. Clare" 100 (O.S.C.).The Third Order, or Third Order of Penance, has tens of thousands of members, as it includes both men and women, both living in religious communities under the traditional religious vows, as well as those who live regular lives in society, while trying to live the ideals of the movement in their daily lives. What does “Spirituality” mean? This may appear to be a theoretical question, but we need to look at it briefly. We use the word “spirituality” very often, but have we ever stopped to ask what it means? It is connected with our spirit or soul. There are many kinds of spirituality. It can be pagan, non-Christian, such as Hinduism, Buddhism or traditional religions that do not know Jesus Christ. In this course, we are only dealing with Christian spirituality.The word “Spirituality” comes from the word ‘spiritual’ which is described in the Oxford Dictionary as “of the spirit as opposed to matter; what is of the soul especially as acted on by God (spiritual life).” “Spirituality” is our human state of being “spiritual” or coming into relationship with a spirit; in our case, with God through Jesus Christ. What is “Franciscan Spirituality”? Franciscan Spirituality is not something static. It has been described as: “The spiritual journey sketched by St Francis and St Clare of Assisi and completed through history by their disciples which leads men and women to a living, conscious and progressive conformity with Christ the Lord.” That simply means that men and women followed the example of both Francis and Clare in conforming their lives to Christ. Faith is Central to Franciscan Life The experience of faith in God in the personal coming to know and encounter Jesus Christ is central to Franciscan life. From whatever angle we approach it – such as prayer, fraternity, poverty, presence among men, etc. – the Gospel way of life refers back constantly to faith. In our search for God, faith is absolutely first in the life of a Franciscan: in adoration and love due to Him; in following Christ and the life according to the Gospel; an openness to the Spirit and constant prayer must be first and foremost in our lives. SOME IMPLICATIONS OF FRANCISCAN BROTHER/SISTERHOOD 1) The Nature and Purpose of Franciscan Brotherhood / Sisterhood Franciscan brotherhood or Sisterhood could be described as “itinerant apostles”, that is, wandering disciples of Christ, preaching at least by example. This missionary vocation was given to Francis at San Damiano when he knelt before the crucifix and he was told to go and rebuild the Church which was falling into ruins. We know his gradual conversion experiences and the highest point of it when he exclaimed, “This is what I want, this is what I seek, this is what I want with all my heart!” This is when he came to understand his vocation. Franciscans are sent into the world to bring peace. This is a task given to them by the Church: to preach conversion to the Gospel and through the example of their lives. Francis and his followers modelled their lives on Christ’s brotherhood with his apostles and try to bring that witness to the world. 2) The Bond of Love St Francis reminded us that to love a brother (or sister) is to have a gift from God. With this gift God expresses his love and his care for us. The gift of the first brother that God gave St Francis filled him with extraordinary joy. It seemed to him that the Lord cared for him, giving him a companion and a faithful friend. Francis loved his brothers greatly with all his heart because they shared the same faith amongst themselves, the same vocation and mission. He loved them as members of his family with the same faith, united by a share in an eternal inheritance. 3) An Expression of Obedience 101 Since we are children of God who is our Father, we must be obedient to his commands. The brothers (sisters) are in true obedience and blessed by the Lord when they observe his commands which they promised to obey, that is, the gospel and our form of life. 4) An Expression of Poverty Whoever is poor will seek to work together with others to solve their problems; whoever is rich creates barriers of protection around his riches. Riches divide and set a person apart. Those attracted to riches give their heart to these and no longer love their brothers. The rich man does not give but imposes himself. He doesn’t offer his riches to help his brother in need, but stands over him. 5) An Expression of Chastity It is important that we take a positive view of chastity. Being chaste for Francis did not mean giving up something but rather embracing wholeheartedly a God who was kind enough to become a human being to show his love for his sinner-friends. 6) An Expression of Life Because one does not choose one’s brothers or sisters, but accepts them, there is no true brotherhood or sisterhood if one does not accept entering into the life of our brother or sister, and if one does not consent to allowing others to enter into ours. Without this communion of life, the brotherhood / sisterhood would only remain like a club where the members have no interest in each other. Franciscan brotherhood or sisterhood is a witness of love which comes from God and which brings us together in God, so that all may be one. This communion already in action amongst the sons of God will be fully realised in the future life. 7) As an Expression of Loyalty Loyalty and respect are interchangeable. More than being a moral duty, they are the consequence of an approach to life, created in the communion of blood bonds and spiritual bonds. One does not have love for another if one is not loyal one to the other. Loyalty is an expression of respect, and respect is an expression of consideration and esteem. God himself who loves us, respects our freedom and treats us as an equal. He does not impose love for himself on us but he teaches only what love is: Love is union and respect. 8) As an Expression of Love for Ecology The spirit of St Francis reflected on all created things because he saw in them the reflection of God’s love. This transparency allowed him to come close to all things created with the heart of a child, restoring a relationship that he expressed in his Canticle of Joy which is a prelude to freeing us from corruption and sin and death. Because all created things proclaim the glory of God, Francis wanted to sing his love to the Most High all-powerful and good Lord with all his creatures. Cf. The Canticle of the Sun. FRANCISCAN FRIARY, KILLARNEY 102 The first Franciscans came to Ireland, probably in the summer of 1226 landing near Youghal, Co. Cork. Soon there were many Franciscan foundations throughout the country. All of these, however, were suppressed during the Reformation. The formal ecclesiastical permission to make the present Franciscan foundation at Killarney dates from 1860. The building of the Church commenced in 1864 and was completed in 1867, as a stone over the Church door bears witness. The Friary proper was built in various stages between 1865 and 1878. The Church is dedicated to the Most Holy Trinity. At present, the Friary is the novitiate house of the Irish Franciscan Province. Muckross Abbey The title of the present Church links the Friary with its great predecessor, Muckross Abbey, more correctly called Irrelagh (Oir-bhealach, Eastern Way). This old Friary is situated near the shores of Lough Leane in the Killarney National Park, some three miles from the town. It was founded ca. 1448 with the help of the McCarthy Mor family and was the residence of the Friars until 1698, with some interruptions due to their expulsion under Elizabeth I in 1589 and Cromwell in 1652. The final dispersal took place as a result of the Penal Laws which came into effect on 1st May 1698. Under these laws all bishops and religious were to leave the country under pain of imprisonment or transportation. The Franciscan Provincial of the time Fr Anthony O'Kelly, decided that the law should be obeyed. In that year many, though not all, went into exile to France or Spain, only to return secretly at the first opportunity. Dedicated Friars Prior to this final trial, Muckross had been sanctified not only by the lives of those who lived there daily, but also by the martyrdom of Fr Donagh O'Muirthile and his companions, who after the flight of the community hid the sacred vessels and other church valuables on one of the islands of the lake. They were put to death by the soldiers of Elizabeth I in 1589. The Abbey had also been home to the valiant Fr Francis O'Sullivan who was born in Ardea, in the parish of Tuosist beyond Kenmare. He was Provincial of the 62 Franciscan houses in Ireland from 1650, and was put to death in 1653 on Scarriff Island off Derrynane. 103 LINGUA E LETTERATURA FRANCESE a cura del prof. Michele Monaco MONT SAINT MICHEL Situé en Normandie et plus précisément dans le département de la Manche, le Mont Saint Michel est le deuxième lieu touristique le plus visité en France. Chaque année plus de 3 millions de visiteurs venant du monde entier se rendent dans la commune du Mont Saint Michel pour admirer le spectacle qu'offre « la Merveille de l'occident ». Situé sur un îlot rocheux ne mesurant même pas 1Km², le Mont attire et passionne depuis le Moyen âge en raison de ses nombreux aspects touristiques. Que ce soit pour l'aspect religieux, pour l'architecture, pour la baie qui l'entoure ou pour sa gastronomie, tout le monde peut trouver un intérêt pour ce lieu. Le tourisme religieux: Datant de l'an 708, les premières constructions sur le Mont Saint Michel étaient religieuses et furent bâties par l'évêque Saint Aubert d'Avranche, en l'honneur de Saint Michel qui lui serait apparu en rêve. Au fur et à mesure des années, différents bâtiments religieux on fait leur apparition pour fonder une abbaye ainsi qu'une merveille. Le Mont a connu l'apogée de sa puissance religieuse au Moyen Age lorsqu'il devint un lieu de pèlerinage très connu. Aujourd'hui encore, de nombreuses personnes se rendent sur le mont pour un côté religieux dans le but de voir la merveille, l'Abbaye ou de faire une procession à travers la baie. Depuis le début du XX éme siècle un père abbé s'occupe de l'accueil des pèlerins et une communauté de moines (la Fraternité Monastique de Jérusalem) s'occupe des offices religieux. Le tourisme religieux, par l'infrastructure commerciale qu'il suppose fait partie intégrante de l'industrie du tourisme, de l'autre par sa dimension spirituelle il est inclassable car échappant aux nomenclatures habituelles, par exemple tourisme d'affaires et tourisme de loisirs. Il existe trois grands types d'approche du tourisme religieux. Dans une première approche on peut définir le tourisme religieux d'un point de vue spirituel comme "la manière d'être relié à Dieu - Créateur en étant du même coup relié à sa création au monde entier " (P.TALEC, 1993, p. 19). Dans une deuxième approche le tourisme religieux peut se définit d'un point de vue sociologique comme l'accès à la culture émanant des grandes religions. Il se caractérise par l'attrait culturel qu'exerce l'art sacré. Le tourisme religieux devient alors un phénomène de société dont l'ampleur dépasse de loin l'attachement des croyants à leur propre religion. Enfin le tourisme religieux peut se définit comme une complémentarité du culturel et du spirituel donnant lieu à une interaction valorisante pour l' Homme. Le tourisme spirituel séduit de plus en plus d'adeptes Besoin de s'aérer la tête, de revenir à l'essentiel, le tourisme spirituel fait de plus en plus d'adeptes au point d'envahir les villes-sanctuaires de France. Ni forcément croyant, ni vraiment pratiquent, le tourisme spirituel fait de nouveaux adeptes pour le plus grand bénéfice touristique des quinze villes-sanctuaires de France. Le besoin de se ressourcer n'ayant jamais été aussi prégnant dans la société, il entraîne sans cesse avec lui la recherche de nouveaux lieux. Ainsi à la Conférence des Evêques de France, Géraldine Ballot, présidente de 104 l'association "Villes-Sanctuaires en France", a souligné cet "engouement", au point que de "nouveaux sanctuaires continuent de se créer", à l'instar d'Alençon, ville où est née Sainte-Thérèse de Lisieux. Face visible de cette vague de fond : l'encombrement des Chemins de Compostelle. Parmi les principales villes sanctuaires plébiscitées figurent Lourdes, le Mont Saint-Michel, Chartres, Rocamadour, Lisieux ou Vézelay. Quant à Nevers, où est enterrée Bernadette Soubirous, elle est devenue la ville-sanctuaire complémentaire du pèlerinage à Lourdes. "Quelle que soit leur relation avec la religion, ajoute Géraldine Ballot, nos contemporains ont besoin de faire des pauses, d'arrêter de consommer bêtement, de se ressourcer, de rencontrer des lieux et des personnes essentielles". Ainsi, sur les 90 millions de touristes étrangers qui se rendent chaque année en France, 20 millions le font pour des motifs de quête spirituelle et religieuse, selon l'Organisation mondiale du tourisme. "Les touristes étrangers représentent ainsi 30 % de l'ensemble de nos villes sanctuaires", précise la présidente de l'association, également directrice de l'Office de Tourisme de Paray-le-Monial (Saône-et-Loire), haut lieu des retraites charismatiques de la Communauté de l'Emmanuel. Si l'on y ajoute les Français, le tourisme religieux représente 44% de l'ensemble du tourisme en France, selon Atout France. Et si les Britanniques sont en net recul ces dernières années dans les villes sanctuaires (15% de l'ensemble des étrangers en 2011, contre 20% en 2009), les Allemands, eux, sont en forte progression (17% en 2011 contre 13% en 2009). Aujourd'hui les villes de pèlerinages françaises voient même arriver en force des nationalités des pays émergents comme celles de Russie, Chine, Corée et Inde. Preuve d'une aspiration en passe de devenir, elle aussi, mondialisée. L’histoire : Le Mont Saint-Michel (littéralement «Monte San Michele") est un îlot rocheux situé sur la côte nord de la France, où il dirige le fleuve Couesnon. Sur l'île a été construit un sanctuaire en l'honneur de Saint Michel Archange, dont le nom original était Mons Sancti Michaeli dans les mers « periculo » (en latin) ou le Mont Saint-Michel au Péril de la Mer (en français, italien, littéralement, "Monte Saint-Michel le danger de la mer "). Actuellement, le Mont Saint-Michel est le centre naturel de la ville de Le Mont-Saint-Michel (département de la Manche, en Normandie de la Basse région administrative appartient à Pontorson). Un tableau de bord permet une différenciation entre la ville et l'île: la nomenclature officiel de l'unité administrative appelée l'INSEE (Le) Mont-SaintMichel, tandis que l'île a été appelée Mont Saint-Michel. La remarquable architecture du sanctuaire et de la baie dans laquelle se trouve l'île avec ses marées en font le site touristique le plus visité en Normandie et l'un des premiers de France, avec environ 3,2 millions de visiteurs par an. De nombreuses propriétés qui se posent sont classés individuellement en tant que monuments historiques et la totalité du site dans son ensemble est classé en tant que telle depuis 1862. Depuis 1979, s'inscrit dans le cadre de l'UNESCO du patrimoine mondial. Près de la Scissy Mont Saint-Michel Forest, qui n'avaient pas encore envahi par la mer, était à la maison à deux tribus celtiques, qui ont utilisé la roche pour les cultes druidiques. Selon le Deric abbé Gilles, un historien du dix-huitième siècle, la Bretagne, le sanctuaire a été consacrée à Beleño, le dieu gaulois du Soleil (Mons vitesse Beleni tumba, qui signifie «mont ou Beleño tombe»). L'arrivée des Romains a vu la construction de nouvelles routes que l'ensemble de l'Armorique: un d'eux, qui connecté à Fanafmers Dol (Saint-Pair) a adopté à l'ouest de Mons Belenus ("Monte Beleño"). Comme l'eau a été déplacée graduellement progresser vers l'est jusqu'à ce qu'elle fusionne avec la route qui passait par Avranches. Le christianisme a fait son apparition en Armorique autour du IVème siècle et la première chapelle dédiée à Saint-Etienne, le premier martre chrétien, a augmenté à mi-hauteur de la montagne, qui a été suivie d'une seconde en 105 l'honneur de saint Symphorien, le premier martyr des Gaules, au pied de la roche. Veillant sur les lieux d'ermites, sous la tutelle du curé de Astériac (Beauvoir), le missionnaire irlandais Colomban Monaco évangélisation de l'Europe, vers 590 serait prier dans l'oratoire de Saint-Etienne dans le chemin destiné à conduire à terme à Luxeuil et Bobbio. Selon la légende, l'archange Michel apparut en 709, l'évêque d'Avranches, Sant'Auberto, demandant qu'une église a été bâtie sur le roc. L'évêque, cependant, a ignoré la demande de deux fois plus longtemps que San Michele n'est pas brûlé son crâne avec un trou rond causé par le contact de son doigt, mais le laisser vivre. Le crâne de Sant'Auberto avec le trou est conservé dans la cathédrale d'Avranches. Il a ensuite été placé premier oratoire dans une grotte et l'ancien nom de Mont-Tombe a été remplacé par ce qui précède MontSaint-Michel-au-Péril-de-la-Mer. Les comptes de Rouen, puis des ducs de Normandie richement doté religieux que les incursions des Normands précédentes ont dû fuir. Le Mont Saint-Michel a également acquis une valeur stratégique avec l'annexion du duché de Normandie Cotentin en 933, en se trouvant à la frontière avec le duché de Bretagne. Duc Richard Ier (943-996) au cours de son pèlerinage au sanctuaire a été outré par le laxisme des canons, qui ont été déléguées aux membres du clergé du culte salariés, et obtint du pape Jean XXIII une bulle qui lui a donné le pouvoir de rétablir l'ordre et a fondé un nouveau monastère à l'abbaye bénédictine en 966, avec les moines de Saint-Wandrille (abbaye de Fontenelle). La richesse et la puissance de cette abbaye et sa réputation comme un centre de pèlerinage a duré jusqu'à ce que la période de la Réforme. Un village a grandi au pied du sanctuaire de donner l'hospitalité aux pèlerins. L'abbaye a continué à recevoir des dons des ducs de Normandie et les rois de France. Pendant la guerre de Cent Ans l'abbaye fut fortifiée contre les Britanniques avec un mur d'enceinte qui entourait nouvelle de la ville également ci-dessous. A partir de 1523, l'abbé a été nommé par le roi de France et était souvent un laïc qui jouissait des revenus de l'abbaye. Installé dans l'abbaye était une prison et le monastère fut abandonné, même après les guerres de religion. En 1622, il est passé au monastère de la Congrégation bénédictine de Saint-Mauro (mauristi) qui a fondé une école, mais a pris soin de l'entretien des bâtiments peu. En 1791, suite à la Révolution française, les derniers moines ont été expulsés de l'abbaye, qui est devenu une prison ont été incarcérés de 1793 plus de 300prêtres qui ont refusé la nouvelle Constitution civile du clergé. En 1794, un télégraphe optique (Chappe système) a été installé au-dessus du clocher et le Mont Saint Michel a été intronisé dans la ligne télégraphique entre Paris et Brest. La architecte Eugène Viollet-le-Duc a visité la prison en 1835. Suite aux protestations de la détention de socialiste Bernard Martin, Armand Barbès et Auguste Blanqui. La prison a été fermée en 1863 par décret impérial. L'abbaye a ensuite été adopté en vertu de l'évêque de Coutances. Pour marquer le millénaire de la fondation, en 1966,une petite communauté monastique a encore une fois installés dans l'abbaye. L'abbaye bénédictine a été construite au Xe siècle juxtaposés avec des pièces qui se chevauchent les uns les autres dans des styles allant de la carolingienne au roman de style gothique flamboyant. Les différents bâtiments nécessaires pour les activités du monastère bénédictin a été placé dans l'espace restreint disponible. L'ensemble des Merveille, situé immédiatement au nord de l'église abbatiale, y compris le cloître, le réfectoire, une salle de travail et aumônerie avec cellier, un exemple d'intégration fonctionnelle. De même, la construction de la Belle-Chaise et de logement d'intégrer les fonctions administratives de l'abbaye avec les fonctions de culte. L'église abbatiale d'origine, construite sur le fondement de l'abbaye bénédictine en 966, était plus tard, totalement incorporés dans élargissements ultérieurs de l'abbaye. Autres bâtiments monastiques ont été construits à l'est de l'église d'origine, et sur le dessus de la roche au niveau suivant. Cette église d'origine est venu pour être tout à fait oublié, jusqu'à sa redécouverte par les fouilles effectuées dans la fin du XXe siècle XIXe et du début. Aujourd'hui, restauré, offre un exemple de l'architecture pré-romane. En raison de l'intensification du pèlerinage a été décidé d'élargir l'abbaye construire une nouvelle église à la place de d'autres bâtiments monastiques qui ont été déplacés vers le nord de l'église primitive de NotreDame-Sous-Terre. La nouvelle église a eu trois cryptes, c'est à dire la "Chapelle des Trente Cierges" (des Trente-Cierges) vers le nord, le "voûte du chœur" (ou "crypte des gros piliers") à l'est et la «chapelle de San Martino" ( 1031-1047) au sud. La construction de la nef a été commencé en 1060 par l'abbé Ranulphe. En 1080 trois étages des bâtiments conventuels ont été construits dans le nord de 106 l'église primitive, y compris la salle du cerf-volant, qui a été utilisé pour l'accueil des pèlerins, les moines, et la promenade du dortoir. Ils ont également commencé à l'aumônerie et le futur régime de la Merveille. L'église primitive de Notre-Dame-Sous-Terre, pleinement intégré dans les nouveaux bâtiments, cependant, était encore utilisé pour le culte. Les trois baies à l'ouest de la nef de l'église nouvelle, très solidement construit, s'est effondré sur les bâtiments du monastère en 1103. Le village a été reconstruit sous l'abbé Roger II (1115-1125). L'abbé Robert de Torigni (1154-1186) avait construit à l'ouest et au sud-ouest, une nouvelle série de bâtiments monastiques, qui comprenait de nouveaux logements, une infirmerie et la chapelle de Saint-Etienne. Aussi retravaillé les allées menant à NotreDame-Sous-Terre, afin d'éviter tout contact entre les moines et les pèlerins. L'abbé Raoul-des-Iles (1212-1218) construit par Roger II avec la elsheimérienne la "chambre" (12151217) et le réfectoire (1217-1220), et au-dessus du garde-manger « Temple de la chevaliers »(12201225) et le cloître (1225-1228), constituant ladite Merveille (" Marvel "). En vertu de l'abbé Richard Turstin (1236-1264) est construite à l'est, la "salle des gardes», qui deviendra la nouvelle entrée de l'abbaye, et une nouvelle salle de la Justice (Officialité, 1257), qui constituent l'intégralité de la Belle Chaise. En vertu de l'abbé Pierre Le Roy (1386-1410), nous avons terminé les fortifications ont été construites à l'1393 les deux tours du Châtelet, puis le Tour Perrine et Bailliverie. On a également construit des appartements de l'abbé. En 1421, le choeur s'est effondré église abbatiale romane, qui a été reconstruit en deux phases (1446-1450 et 1499-1523) dans le style gothique flamboyant. Suite à un incendie en 1776, il a été décidé de démolir les trois travées occidentales de l'église abbatiale a été construite en 1780 et la façade néo-classique, dont la nouvelle fondations réduit de moitié en dessous de la première église de Notre-Dame-Sous-Terre. En 1817, en raison des nombreux changements apportés par la prison à des laboratoires internes pour les prisonniers, certains des bâtiments de grande hauteur se sont effondrées sous l'abbé Robert de Torigni de (1154-1186). Après la classification de l'abbaye comme un monument historique en 1874 ont été faites par la consolidation d'urgence Corroyer premier et travaux de restauration. En 1896, l'église a été construite au sommet d'une flèche qui atteint 170 m au-dessus du niveau des mers. Goutte En 1898, les fouilles sous le plancher menant à la redécouverte de l'église de NotreDame-Sous-Terre, qui sera rendue accessible en 1959 grâce à l'inclusion d'une superstructure en béton précontraint qui prend en charge l'église supérieure, par Froidevaux architecte. Le culte de saint Michel Archange, largement diffusé à travers l'Europe dans les temps anciens, a fait le Mont SaintMichel, l'un des principaux objectifs de pèlerinage du christianisme, une version scénique de la Via Francigena a appelé "voie sacrée Langobardorum". Le Mont Saint-Michel est l'un des trois principaux lieux de culte Européens nommées d'après l'Archange Saint Michel, le long de la Sacra di San Michele dans le Val di Susa, et le sanctuaire de l'archange saint Michel sur le Gargano. Les trois lieux saints se trouvent 1000 km les uns des autres, exactement alignés le long d'une ligne qui s'étendait à vol d'oiseau, ce qui conduit à Jérusalem. La ville construite sur les pentes de la roche sous l'abbaye est construite autour de la rue à la rue Grande, qui s'élève vers le sanctuaire le tour de la roche. On y accède par trois portes, les portes de l'Avancée, le boulevard du Port et le Port du Roi. Le Mont SaintMichel est situé à 48 ° 38'10 "de latitude nord et 1 ° 30'40" de longitude ouest, dans la baie qui tire son nom, qui s'ouvre sur l'océan Atlantique. L'île a environ 960 m de circonférence et aire d'environ 7 hectares. La roche, une formation de granit, s'élève à une hauteur de 92 m au-dessus du niveau des mers, mais avec la statue de saint Michel placée au-dessus de la flèche de l'église abbatiale, culmine à une altitude de 170 mètres. Au temps des Gaulois, le Mont Saint-Michel, ainsi que le roc de Tombelaine, se l'intérieur de la forêt et de la rive Scissy toujours étirée à plus de 48 km plus loin, englobant les îles Chausey. Du troisième siècle, le niveau du sol est progressivement abaissé, et la mer d'ingestion lentement la forêt d'après un manuscrit du XVe siècle d'une grande marée particulièrement violent en 709 a donné le coup de grâce à la forêt. La baie dans laquelle se trouve l'îlot rocheux est soumis au phénomène des sables mouvants, décrits par Victor Hugo, mais il est surtout connu pour la gamme exceptionnelle des marées (environ 14 mètres d'altitude) qui, en partie en raison plat monter très rapidement (il est dit à la vitesse d'un cheval au galop): ce qui a parfois causé des noyades et des 107 perturbations plus fréquentes de quitter les voitures garées trop longtemps dans les parties inférieures. Les marées de la baie ont grandement contribué rendre la montagne inexpugnable, le rendant accessible à un minimum de marée basse (la terre) ou des hautes eaux (par mer). Le barrage de l'accès au Mont Saint-Michel, construite en 1880, détient le sable et aggrave l'envasement de la baie, menaçant de manquer la nature de l'île de roche: il devrait permettre d'éviter une démolition partielle et le remplacement des sections avec suspendue allées. Sur la côte d'hébergement avec l'âge du barrage de la duchesse Anne de Bretagne a permis à la mer pour conquérir des terres pour l'agriculture et l'élevage. En particulier, c'est aujourd'hui que on fait de l’élevage de ovins, de moutons de Pré-Salé (pré-salé de moutons), la viande de pâturage en raison de prendre une saveur salée. Les alluvions des rivières, sans cesse déplacées par le flux et le reflux des marées, mélangé avec des coquilles broyées, donnant lieu à tangue, un engrais riche qui a été longtemps utilisé par les agriculteurs pour fertiliser le sol de la région. Économie Le Mont Saint-Michel appartient à trois grandes familles, qui se partagent les commerces de la commune, et se succèdent à l’administration de la ville. Le tourisme est en effet la principale et quasi-unique, source de revenus de la commune. On compte en effet 300 commerces pour 3 millions de touristes, alors que la commune compte une quarantaine de résidents, une cinquantaine de commerçants et une centaine d’électeurs. Si l’abbaye, les remparts et certains immeubles (dont le bâtiment dit "Les Fanils") sont propriétés de l’État (administrateur : Jean-Marc Bouré), gérés par le Centre des monuments nationaux, Éric Vannier, actuel maire et propriétaire du groupe de la Mère Poulard (détenant la moitié des restaurants, commerces et hôtels de la commune, ainsi que des musées), Jean-Yves Vételé à la tête de la Sodetour (deux hôtels, dont le Mercure La Caserne) et Patrick Gaulois, ancien édile, se partagent les principaux établissements de la commune. Le Mont-Saint-Michel est dénommé « commune touristique » depuis août 2009. . 108 FILOSOFIA a cura della professoressa Giuseppina Moscatelli FILOSOFI E PELLEGRINI NEL VIAGGIO FUORI E DENTRO DI SE’ “Soltanto solo, sperduto, muto, a piedi riesco a riconoscere le cose” Pier Paolo Pisolini Camminare è ben più dell’atto motorio che ci è necessario. Da millenni, a tale facoltà umana si sono attribuiti ben altri significati. L’incedere ha sempre espresso, e sintetizzato allegoricamente la fatica di vivere. Vivere, al pari del viaggiare27 comporta l’affrontare travaglio, il perpetuo nascere e morire di qualcosa, l’attraversare situazioni di immutabilità e repentino cambiamento. Viaggiare è muoversi in uno spazio di nuova comprensione, vivere l’energica e fragile esperienza dell’attraversamento degli eventi, la costruzione di una risposta originale alle domande esistenziali; è costruire un movimento in un orizzonte di liberazione che coinvolge tutti gli aspetti della persona: il corpo, la mente, l’anima. L’ intento di questo lavoro è considerare la relazione tra produzione del pensiero e corpo a partire da una prospettiva particolare: quella del corpo in movimento come supporto e stimolo del pensiero. Se dunque il viaggio è metafora dell’esistenza, con quale andatura intraprenderlo? Con passi lenti e meditabondi. Questa è la lezione della filosofia. Il camminar meditabondo genera sempre pensosità, voglia di conoscere, curiosità. La filosofia fece i suoi primi passi in cammino perché soltanto camminando il filosofo, che non sapeva ancora d’essere tale, poteva esercitare i sensi e il pensiero. Poteva stupirsi dinanzi al bello e all’orrore. Poteva mutare luogo ai pensieri precedenti, assecondare il divenire degli incontri inaspettati e della strada. Il cammino del filosofare, di chi intraprenda il filosofare come stile di vita, è un andare incerto e ozioso. Skolè era la parola che i greci usavano per indicare la pausa, l’ozio. Apprendere, interrogando le cose e dialogando, costituiva un piacere. Un ozio come virtù, non come vizio. Il piacere di pensare senza scopi immediati, non un dovere. Non a caso, la tensione filosofica nacque insieme alla poesia lirica, al canto e al racconto che un io narrante intonava per sentirsi “in” pensiero. 27 L’etimologia del termine viaggio ci riporta al termine latino via, cammino che implicita l’idea di un cammino lungo la via, di uno spostamento. 109 Apparve quando qualcuno, camminando nella natura dando un nome alle cose, si accorse che tutto diviene e si trasforma. Che sorte dell’uomo è il camminare inquieto alla ricerca di Dio, del mistero, dell’enigmaticità del tutto. Si perfezionò nelle strade di Atene, dove il maestro spiegava allo stuolo di allievi come camminare con la mente; nelle dispute sotto i portici della sua Accademia con Aristotele. Passeggiando nei giardini di Epicuro, conversando nelle piazze e sul lungomare di Alessandria e, in seguito, nella pace contemplativa dei chiostri monacali, nei soliloqui dei romitori Ripercorrendo le tappe del pensiero antico ci rendiamo conto che i primi filosofi legano il camminare alla meditazione e alla ricerca interiore. Con la filosofia di Socrate nasce il viaggio interiore: è la scoperta della psichè, dell’interiorità dell’anima. La sua ammonizione, “conosci te stesso”, spinge l’uomo a guardarsi dentro, a scoprire la propria coscienza, come unico rifugio dove l’uomo può bastare a se stesso. Conosciuta la sua anima, l’uomo non sarebbe mai più stato solo. Una volta scoperta la propria psichè ed arrivato all’interno della propria anima, l’uomo dovrà essere in grado di uscire e di andare alla scoperta del mondo. La filosofia di Platone è un invito in tal senso. Il mito della caverna può essere riletto anche dal punto di vista del viaggiatore. L’elemento centrale è la liberazione dell’uomo dall’immobilità: la possibilità di andare gli permette di conoscere la forma vera delle cose, la quale non dipende da come esse appaiono, e devono essere viste direttamente per essere capite. Ma per Platone il viaggio ha un senso solo se l’uomo decide di ritornare nella caverna: chi si è liberato dalle catene, ritorna con lo scopo di liberare coloro in compagnia dei quali era stato una volta schiavo nel tentativo di ricostruire altri cammini di liberazione. I viaggi dei primi filosofi erano viaggi dentro se stessi, non fisici; erano esperienze di cammino capaci di generare un cambiamento decisivo di posizione rispetto a sé, al mondo, alle cose, agli altri, in una parola alla verità. Sarà la figura di Bacone (XVI Sec.) che offrirà una concezione filosofica del viaggio come ricerca della libertà attraverso la conoscenza del mondo. Dalla rivoluzione francese in poi, dall’avvento dell’epoca dell’anima cosciente, nell’uomo le forze del pensare iniziano ad essere il faro che illumina la via della Conoscenza. L’anelito verso la conoscenza ha fatto sì che il viaggio alla scoperta di sé venga ora arricchito da tutto ciò che il mondo terreno, riflesso di quello spirituale, offre lungo il cammino. Numerosi filosofi e scrittori ammettono di dover molto a certe camminate, regolari o estemporanee, in cui hanno potuto lasciare campo libero ai ragionamenti. Jean-Jacques Rousseau lega il camminare meditabondo al pensare descrivendolo in modo efficace con queste parole: <<Non riesco a meditare se non camminando. Appena mi fermo, non penso più, e la testa se ne va in sincronia con i miei piedi>>. L’esperienza del camminare, per Rousseau, è strettamente legata al modo, alla capacità, alla qualità del pensare. La staticità sembra portare all’aridità se non intrecciata da esperienze di movimento a piedi, con il proprio corpo e il proprio spirito. Movimento del corpo e movimento dello spirito fanno del cammino un’esperienza di cura, il cammino, nella prospettiva tracciata da Rousseau, consente di recuperare una poliedricità di aspetti di sé. Questa linea di pensiero, che rappresenta un modo di vivere, di riflettere e di costruire significati, a contatto con il mondo, si incontra con un altro filosofo che vive e sviluppa un esperienza personale e culturale affine a quelle appena analizzate: costui è Søren Kierkegaard. Quest’ultimo scrive: <<io, camminando ogni giorno, raggiungo uno stato di benessere e mi lascio alle spalle ogni malanno; i miei pensieri migliori li ho avuti mentre camminavo e, non conosco pensiero cosi gravoso da non poter essere lasciato alle spalle con una camminata.>>. Anche in questo caso, benessere, cura di sé, ricerca esistenziale e scrittura trovano nel camminare cittadino di Kierkegaard, l’origine per la sua creatività. Si tratta di 110 un modo di costruire il proprio pensiero che parte dall’esperienza che egli fa del mondo, camminando. Nella contemporaneità, nonostante i voli low cost ci portino velocemente ovunque, si va riscoprendo il valore di viaggiare con lentezza, al ritmo dei propri passi. Il viaggio a piedi lento, meditabondo e contemplante è un modo di camminare con il quale ci si può finalmente concedere quello che la vita contemporanea ci permette, solo a tratti, di sentire. Quel “sentire” che normalmente è solo un vago ricordo, una sensazione che si risveglia e che, imboccando un sentiero in una valle o addentrandosi tra le fronde di un albero in un bosco, ci permette di tornare, per un attimo soltanto, in contatto con la natura, di uscire dalla quotidianità acquisendo una spiritualità nuova e rigenerata. Pellegrini e viandanti sono i rappresentanti di questo modo di camminare sia esso sospinto da motivi religiosi, spirituali, di contestazione o di osservazione; o come spesso succede, di un insieme variabile di tutte queste motivazioni. Il Cammino di Santiago e la via Francigena sono i loro percorsi preferiti. A essi possiamo associare anche una nuova categoria emergente: i viaggiatori del fitness. Si tratta di coloro che fanno trekking sulle montagne, di coloro che praticano il nordik walking, i bikers. Per tutti costoro il cammino rappresenta l’umana necessità di muoversi alla ricerca di senso, del senso da dare alla propria vita, alle proprie inquietudini, alla propria essenza umana e spirituale. In quale altro luogo, se non camminando, si pensa di poter rispondere alle domande “chi sono io, cosa faccio qua….” Recuperare il tempo lento del muoversi a piedi permette di mettersi alla ricerca di sè, dell’altro in me e dunque permette di ritrovare l’armonia non solo con se stessi, ma anche con gli altri. Questo può rendere possibile sentire nascere dentro di sé un contatto più vero con l’ambiente naturale del quale tornare a sentirsi parte: come il pastore nomade dell’inizio della storia, pur non prendendo nulla per se, il pellegrino guarda e gode nutrendosi del creato nel quale cammina, sente di farsi creatura tra le creature: torna, più o meno consapevolmente, all’idea di poter”camminare un territorio”, “attraversandolo e amandolo come se fosse suo senza possederlo in modo esclusivo”. Scrive D: Demetrio in Filosofia del camminare “Sempre più il pellegrinaggio esteriore si fonde con il cammino esteriore”. Quali sono, dunque, gli aspetti esteriori, visibili del cammino che è possibile mettere in relazione con gli aspetti interiori, spirituali? Nella preparazione del viaggio, il pellegrino dedica una cura particolare alla scelta ed alla preparazione del bagaglio. Viaggiando a piedi, non ci si può caricare del superfluo, il bagaglio deve essere ridotto al minimo, lo zaino da tenere sulle spalle può contenere poche cose, solo ciò che è assolutamente necessario. L’atteggiamento del pellegrino nei confronti degli “oggetti” induce a ipotizzare che il cammino può farsi simbolo dell’allontanamento da una condizione di vita resa frenetica dal consumismo e dal travaglio di doversi procurare sempre nuovi beni. Lasciare, cosa lasciare, portare, cosa portare. La scelta costringe alla riflessione: ogni singola cosa va soppesata: quanto pesa, che peso ha nella mia vita. “Mettersi in cammino” costringe a lasciare gli oggetti, quelli troppo pesanti come quelli evanescenti, ad interrogarci su quelli inutili e quelli necessari, su ciò che è davvero essenziale. Costringe a creare un vuoto nel quale è possibile interrogarsi sulla propria identità, lavorare sulla consapevolezza dell’essenziale, cercare priorità legate a valori più profondi, intimi fondamentali. “Mettersi in cammino” costringe, dunque, a trasformare un’attenzione prevalentemente estetica ed esasperata all’aspetto del corpo per trovarne una orientata all’ascolto dei bisogni veri e alla cura profonda. “Mettersi in cammino” restituisce al viandante, al pellegrino il senso del limite. Il corpo si fa protagonista attraverso le vesciche ai piedi stretti nella scarpe, i crampi ai muscoli, l’arsura alla bocca, il sudore sulla pelle; torna ad essere possibile ri-conoscere i bisogni primari, si riattiva la percezione di dolore, stanchezza, fame, freddo e caldo intensi…, torna la percezione del bisogno e si riaccende il desiderio autentico di piacere, riposo, sazietà, tepore, fresco. Sensazioni semplici che permettono di vivere l’unità mente-corpo, di tenere aperto il canale comunicativo che 111 passa tra corpo e spirito e viceversa, lo spirito percorre le strade del corpo. Così può compiersi il faticoso passaggio dall’avere/apparire all’essere. La persona, messa nella condizione di ricordare e pensare liberamente gli eventi passati o recenti della propria vita, si trova nella possibilità di dare avvio ad un percorso di potenziale cambiamento. In ogni modo il viaggio, sia quella fatto con le gambe, sia quello prettamente interiore, apre alla possibilità del cambiamento; con le sue innumerevoli stimolazioni e situazioni nuove apre la via alla modificazione psicologica, emozionale e spirituale ed, in alcuni casi, anche a quella fisica. Vissuta in tal senso, l’esperienza che pellegrini e viandanti sviluppano lungo il cammino diventa più importante della meta. Uno straordinario poeta greco del Novecento Costantinos Kavafis così si esprime sull’importanza dell’esperienza nel viaggio,in una struggente poesia sul senso della vita: Itaca Quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga fertile in avventure e in esperienze. I Lestrigoni e i Ciclopi o la furia di Nettuno non temere, non sarà questo il genere d'incontri se il pensiero resta alto e un sentimento fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo. In Ciclopi e Lestrigoni, no certo nè nell'irato Nettuno incapperai se non li porti dentro se l'anima non te li mette contro. Devi augurarti che la strada sia lunga. Che i mattini d'estate siano tanti quando nei porti - finalmente, e con che gioia - toccherai terra tu per la prima volta: negli empori fenici indugia e acquista madreperle coralli ebano e ambre tutta merce fina, anche profumi penetranti d'ogni sorta, più profumi inebrianti che puoi, va in molte città egizie impara una quantità di cose dai dotti. Sempre devi avere in mente Itaca - raggiungerla sia il pensiero costante. Soprattutto, non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio metta piede sull'isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada senza aspettarti ricchezze da Itaca. Itaca ti ha dato il bel viaggio, senza di lei mai ti saresti messo in viaggio: che cos'altro ti aspetti? E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso. Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare. Non bisogna, dunque, avere fretta di giungere a destinazione, alla propria “Itaca”, ma bisogna approfittare del viaggio (e quindi della vita) per esplorare il mondo , crescere intellettualmente e ampliare il proprio patrimonio di conoscenze tenendo sempre presente il sentimento forte e deciso che porterà a destinazione. Il senso di Itaca ,in ultima analisi, è proprio quello di fungere da stimolo per il viaggio, più che da meta da raggiungere fine a se stessa. E se poi Itaca sarà peggio di quanto ci si aspettava, valeva la pena raggiungerla per tutto ciò che si è vissuto per arrivarci. Pensiamo che tanti di noi si identificheranno con questa descrizione del senso del cammino! 112 STORIA DELL’ARTE a cura della Professoressa Maria Teresa Leggieri S. Giovanni Rotondo (Foggia): Il nuovo Santuario della Preghiera a S. Pio da Pietrelcina Meraviglioso Gargano, terra ricca di bellezze naturali e benedetta dalle apparizioni di San Michele a Monte Sant’Angelo, che risalgono storicamente all’anno 490, quando l’Arcangelo impresse l’orma del suo piede all’interno di una caverna a forma di tempio, non consacrata da mani di uomo. A lui fu consacrata visibilmente la Montagna da Lorenzo Maiorano, vescovo di Manfredonia, quando sulla cattedra di Pietro sedeva, in Roma, papa Gelasio I. “Via Sacra” era detto l’itinerario che i pellegrini percorrevano, passando dalla Valle di Stignano per San Marco in Lamis e San Giovanni Rotondo, per giungere alla Montagna dell’Angelo e alla Grotta prodigiosa. Come i crociati, che seguivano quella Via prima di raggiungere il porto di Brindisi per poi imbarcarsi per la Terra Santa, molti sovrani, papi, santi hanno visitato quel luogo. Anche San Francesco che, passando per San Giovanni Rotondo, in quella terra “volendo rimanervi il seme della sua monastica figliolanza designò un convento che di lì a poco sorse e lungamente visse!”. Sorse così, fuori le mura, la prima rustica casa francescana a San Giovanni Rotondo, con a fianco una minuscola chiesa, per volontà e con i mezzi dei pochi abitanti del paese. Nel 1470, per sottrarre i francescani alla costante minaccia degli avventurieri, si costruì un nuovo asilo, dentro le mura. Inizia così la meravigliosa storia che parte dal convento di Santa Maria delle Grazie e si diffonde in tutto il mondo per il tramite di San Pio da Pietrelcina, il frate stigmatizzato del Gargano: Padre Pio, figlio dell’opera grandiosa e provvidenziale di Dio in questa generazione, che vive il passaggio dell’umanità dal secondo al terzo millennio. San Pio da Pietrelcina La chiesetta antica Di semplice architettura monastica di transizione dal 1500 al 1600, la chiesetta è stata edificata dagli stessi devoti di S. Giovanni Rotondo in pietra locale di Montenero. Iniziata nel 1540, completata nel 1581, fortemente danneggiata assieme al convento dal terremoto del 1624, fu riparata ed i lavori terminarono nel 1629. Fu consacrata e dedicata a Maria Santissima delle Grazie con grande solennità il 5 luglio del 1676. la chiesetta antica ai tempi di Padre Pio La bianca facciata rettangolare è delimitata da un cornicione di tegole, con un piccolo campanile al centro. Vi è una finestra, che all’interno dà luce e aria al coro, sopra la quale è lo stemma francescano, mentre sull’architrave della porta si trova l’iscrizione latina che indica l’anno, il 1629, in cui fu 113 terminato il tempio dedicato a S. Maria delle Grazie. All’interno, la chiesa si allarga in una navata centrale, fiancheggiata da un’altra minore. La chiesa santuario La maestosa e imponente costruzione fu iniziata il 2 luglio 1956 e conclusa il 1° luglio 1959. La facciata di travertino si estende su un fronte di 35 metri ed è di estrema semplicità di linee e sviluppo volumetrico, congiunta all’antica chiesetta. Il Santuario è lungo 58 metri e largo 22, con un’altezza massima dalla cripta al tiburio pari a 32 metri. Le colonne delle tre navate sono monolitiche, di marmo rosa, offerte dai fedeli e dai gruppi di preghiera. La Statua di marmo della Madonna, alta m. 2,80 e del peso di 46 quintali è opera dello scultore Antonio Bassi di Trani ed è stata issata sulla facciata il 25 febbraio 1959. La Chiesa santuario L’ambiente è rettangolare di tipo basilicale, con due ordini di pilastri monolitici in breccia imperiale oscura, alti m. 6,20 ciascuno, 16 per parte, che creano una campata centrale di m. 57 di lunghezza e 12 di larghezza, e due navate laterali larghe m. 5 ciascuna. I pilastri in doppia fila costituiscono la struttura portante della copertura e dei pesanti matronei. Gli otto pilastri del tiburio e gli otto grandi archi sono rivestiti in onice del Messico. Il pavimento delle tre navate è di porfido e granito, i gradini dell’abside sono in porfido, i due amboni in onice. Il presbiterio è dominato dal mosaico della Madonna delle Grazie circondata da 18 angeli. Posto al centro del presbiterio, l’altare maggiore è il punto focale del tempio per la luce che lo inonda e per la preziosità dell’onice. Nelle navate centrali si trovano nove altari in marmo rosa. La pavimentazione è in granito, disposto in disegni geometrici. Il Battistero è annesso alla chiesa e comunica con la navata minore di destra; al centro una vasca battesimale su cui erge il fonte battesimale. Il desiderio espresso da Padre Pio il 12 agosto 1923 si è avverato: è la cripta, di cui fu progettista e direttore dei lavori l’architetto Ugo Iorussi. Il ferro battuto è il filo conduttore dell’unità stilistica legata al simbolismo mistico e storico. L’altare, una grande mensa marmorea, racchiude in una teca di cristallo un prezioso Cristo ligneo del 1700, di scuola veneziana. Il 22 settembre 1968, alle ore 9 fu benedetta la cripta e il giorno successivo alle ore 2.30 Padre Pio morì serenamente e lì poi fu tumulato. Il nuovo Santuario della Preghiera: S. Pio da Pietrelcina Padre Pio: già solo il nome, che andava espandendo il suo “profumo soave” in tutto il mondo in maniera prodigiosa, convocava a San Giovanni Rotondo prima migliaia di fedeli, poi centinaia di migliaia di devoti, poi milioni di pellegrini ogni anno e già dal suo sorgere la nuova chiesa appariva insufficiente a contenere il numero sempre crescente di uomini e donne che costantemente ed ininterrottamente si riversavano nella cittadina garganica per vedere, toccare, sentire la santità di Padre Pio. Nell’estate del 1959, quando il santuario era pronto per l’inaugurazione, e i frati, orgogliosi, lo presentarono agli occhi di Padre Pio, si sentirono rispondere con tono severo: “Ma che avete fatto, una scatoletta di fiammiferi! Dovevate farla più grande, molto più grande!”. Desiderava un santuario più grande, perché riusciva a vedere in anticipo, profeticamente, i “frutti della storia”. Così, i frati cappuccini cominciarono a pensare ad un’altra grande chiesa, che avrebbe segnato le tappe della santità del frate: prima Venerabile, poi Beato, ora Santo. 114 Il nuovo Santuario La grande impresa, un’opera d’arte unica al mondo, sarebbe cominciata il 19 gennaio 1996. Nel 1989 venne chiamato a Foggia, e nominato responsabile per la costruzione della Nuova Chiesa in S. Giovanni Rotondo, padre Gerardo Saldutto, laureato in Storia Ecclesiastica, capace di comporre tra loro intelligenze diverse, deciso a portare a termine l’impresa così come era stata pensata all’origine, tutta in pietra. Poi i frati si dettero alla ricerca di un grande architetto e si orientarono verso Renzo Piano, che accettò l’incarico e iniziò la progettazione della Nuova grande Chiesa, tutta in pietra. Gli uffici del Genio Civile chiesero l’intervento del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici a Roma: non si era mai visto un progetto per una costruzione del genere. Riunioni fiume, discussioni fino a tardissima ora, poi finalmente Renzo Piano accettò la sfida e il progetto della Nuova Chiesa in pietra riprese il volo. I calcoli furono affidati all’ing. Migliacci, docente al Politecnico di Torino. Un lavoro immane. L’ing. Migliacci cominciò i sopralluoghi a S. Giovanni Rotondo e le difficoltà si moltiplicarono. C’erano gli archi da sistemare e la soluzione tecnica lo tormentava, finchè non la trovò: gli archi sarebbero stati tutti collegati tra di loro alla base. E il progetto riprese nuova accelerazione. Il tema progettuale di un’aula liturgica per diecimila persone ha certamente, per un architetto, il sapore di una sfida e di una scommessa. E per Renzo Piano fu proprio una sfida e una scommessa. cantiere della nuova Chiesa L’area interessata dal progetto, per le dimensioni e il significato dell’intervento, va ben oltre i confini di proprietà dell’area, investendo, di fatto, l’intera zona nevralgica del Comune di S. Giovanni Rotondo gravitante attorno alle due emergenze costituite dal complesso conventuale dei Padri Cappuccini e della Casa Sollievo della Sofferenza. veduta aerea di S. Giovanni Rotondo (Fg) Risulta evidente come una corretta progettazione di tipo urbanistico costituisca premessa fondamentale ed indispensabile per il raggiungimento di un buon risultato finale. 115 La nuova Aula Liturgica La configurazione planimetrica della nuova chiesa è stata ipotizzata secondo un modello radiale per favorire una possibilità di differenti configurazioni e partizioni in relazione ai diversi affollamenti ipotizzabili: è perciò una struttura radiocentrica non simmetrica a settori, che grazie alla propria geometria di accrescimento potrà essere adattata alle diverse occasioni, espandendo o contraendo la disponibilità di posti a sedere. La superficie complessiva della chiesa, assimilabile ad una cavea di tipo teatrale, è di circa 9.200 mq per un totale di posti a sedere circa 6.500 persone. Come si può notare il coefficiente che ne deriva è ampiamente cautelativo in quanto tiene già conto delle normative vigenti in merito alle disposizioni dei posti a sedere, dei percorsi di fuga e di distribuzione, e degli ostacoli visivi costituiti dalle strutture di appoggio della copertura; da tutti i posti a seder saranno visibili le parti del presbiterio, in particolar modo l’altare, l’ambone e la croce. La struttura portante è costituita da una serie di archi in pietra, posti, sfalsati di 10°, sulle radiali della composizione planimetrica e tutti convergenti nel focus compositivo costituito dal presbiterio e dall’altare. Gli “spicchi” compresi tra gli archi saranno invece costituiti da una struttura secondaria in legno e acciaio che, oltre a garantire il sostegno della copertura vera e propria, avrà anche la funzione di stabilizzare globalmente l’intera struttura. L’effetto spaziale che si otterrà sarà particolarmente ricco, ma nulla sarà decorativo o non essenziale. Inoltre i materiali che si confronteranno all’interno dell’ambiente saranno sempre la pietra e il legno, essendo l’acciaio utilizzato solo come elemento teso e pertanto di bassissimo impatto visivo. Dal punto di vista della distribuzione interna, sono stati previsti dei percossi anulari di distribuzione principale in diretta relazione con gli ingressi dal sagrato; da questi si dipartono dei corselli radiali che alimentano i diversi settori destinati ai fedeli. Su tali direttrici, in senso centrifugo rispetto alla zona dell’altare, sono collocate le vie di fuga in caso si emergenza, direttamente sfocianti all’aperto. Particolare attenzione è stata posta sulla distribuzione del presbiterio e della zona direttamente connessa. Il presbiterio è costituito da un semicerchio, rialzato rispetto alla quota della chiesa, dal diametro di circa 14 metri. La posizione dell’altare, anche per motivi di visibilità oltre che per il dettato delle “Norme per l’uso del Messale Romano”, è fissa essendo costituita dalla stessa pietra della pavimentazione ed è ubicata in modo da rendere visibile il celebrante da tutti i posti a sedere della chiesa. L’altare L’ambone, invece, collocato a fianco dell’altare e come quest’ultimo sempre visibile da parte di tutti, potrà essere anche mobile in modo da garantire una maggiore flessibilità all’impianto liturgico. L’illuminazione naturale ha grande risalto in questa zona della chiesa: mentre, infatti, nei settori più lontani il livello di illuminazione è quello di una penombra, pur dovendo consentire la lettura, nella zona dell’altare e in particolare dell’ambone, l’illuminazione naturale è ovviamente controllabile, ma intenzionalmente molto forte. Questo perché la copertura opaca attorno al focus dell’origine si slabbra, si interrompe, rendendo possibile, per mezzo di vetrate, l’ingresso della luce naturale. L’aula liturgica costituisce senza dubbio la principale tra le opere del nuovo complesso a S. Giovanni 116 Rotondo e l’elemento che più la caratterizza è, senza dubbio, la struttura portante della copertura costituita da una serie di archi in pietra. veduta dell’aula liturgica La tecnologia adottata per la realizzazione degli archi è decisamente originale e tende a riproporre in chiave moderna l’uso di un materiale molto utilizzato in antichità: la pietra. La struttura portante è composta da un doppio ordine di archi di grandi dimensioni, uno esterno ed uno interno, convergenti su di un unico centro geometrico e composti rispettivamente da undici e dieci archi ciascuno. I piedi di estremità degli archi esterni definiscono il perimetro dell’Aula, che ha la forma di una spirale di Archimede. Il materiale costituente gli archi è pietra di Apricena tipo “Bronzetto”, tipologicamente un calcare, opportunamente selezionata e lavorata per essere, dopo la fase si montaggio, precompressa con trefoli di acciaio, tanto per garantire, unitamente a scocche di collegamento in c.a., la stabilità della struttura nel suo insieme, anche in presenza di sollecitazione di tipo orizzontale (sisma, vento). La tecnologia utilizzata si è resa necessaria per consentire prestazioni, mai ottenute fino ad oggi, soprattutto in zona sismica, quale è l’area in cui ricade il territorio di S. Giovanni Rotondo, tali da rendere fattibile la splendida idea progettuale dell’architetto Renzo Piano. Detta tipologia strutturale non è contemplata dalla normativa tecnica italiana, in materia ed ha richiesto, pertanto, che la stessa fosse sottoposta all’esame del Consiglio Superiore dei Lavori pubblici, così come previsto per legge in tali casi. Nell’anno giubiliare 2000, il lunedì 27 marzo a Foligno (Perugia), è stato ufficialmente presentato il nuovo organo “Opera 415” destinato alla Nuova Chiesa progettata de Renzo Piano a S. Giovanni Rotondo. Si tratta del più grande organo meccanico mai costruito in Italia. Un’opera monumentale, che è stata sistemata sul lato sinistro della Nuova Chiesa. L’organo è costruito a mano a Foligno dalla fabbrica del cav. Guido Pinchi. È stato “ideato come strumento di livello tecnico e artistico a tutt’oggi inesistente nel nostro Paese, dotato di una polivalenza che gli consentirà di assolvere mansioni di solito demandate a più di un organo”. L’imponente strumento musicale ha un’altezza di 10 metri con il prospetto in rovere, la cassa in abete armonico, intarsi ed elementi decorativi in avorio di mammuth. Il pavimento della chiesa, a forma di spirale, anch’esso costituito da piani inclinati verso l’area presbiteriale, con le pendenze necessarie ad assicurare la visibilità dell’altare, senza peraltro costituire ostacolo alla movimentazione delle persone. Anche questa pavimentazione è in pietra di Apricena. L’ingresso principale coincide felicemente con il battistero, che è una vasca a forma ottagonale per il battesimo di immersione oltre che d’infusione. Ancora nel presbiterio sono visibili l’Ambone in pietra di Apricena e la Croce dell’altare in bronzo. Retrostante all’area del presbiterio, collegati mediante un passaggio di servizio, vi è la Sacrestia e la Cappella dell’Adorazione. Nella parte sottostante l’Aula Liturgica è stata progettata la splendida Chiesa inferiore, una delle opere più significative e suggestive dell’intero complesso, nella quale è stato traslato il corpo del Santo Padre Pio da Pietrelcina. Posizionata al livello sottostante il piano della Chiesa in corrispondenza, come è tradizione, dell’area presbiteriale e comunicante direttamente con essa grazie ad una rampa di collegamento, la Chiesa inferiore ha una superficie di forma semicircolare di circa 500 mq ed una capienza di 370 persone. La struttura di copertura pensata per questo ambiente, un insieme radicale di volte coniche, ha permesso di amplificare il forte carattere spirituale di questo spazio che converge in un punto focale, il luogo dove è stata posta la tomba di S. Padre Pio. 117 La Cripta dove è custodito il corpo di San Pio Ci sono voluti tre giorni di getto continuo per la posa in opera del monumentale pilastro centrale, dal diametro di oltre 4 metri. Il pilastro centrale della Chiesa inferiore, su cui scaricano gli archi in pietra interni, ha forma circolare ed un diametro di 4.40 m circa. Esso poggia su di un plinto di fondazione cilindrico in cemento armato del diametro di circa 26 m e della profondità di m 6. il volume del pilastro è, quindi, pari a circa 3100 mc. e per gettarlo sono occorse oltre 350 autobetoniere. Il getto è stato realizzato in continuo in 74 ore. È stata studiata una particolare miscela del calcestruzzo al fine di evitare che nelle fasi di indurimento e maturazione potessero svilupparsi temperature molto elevate che avrebbero potuto danneggiare la struttura di fondazione. In posizione adiacente alla chiesa inferiore ad accessibile anche attraverso il collegamento con il Sagrato vi è la Penitenzeria. Questo ambiente, sottostante il piano della Chiesa, giace alla quota di arrivo del viale pedonale e si sviluppa su una superficie di circa 700 mq. Interamente pavimentata con pietra di Apricena bocciardata. La struttura di copertura di questo ambiente, interamente insonorizzato, è costituita dalla presenza di sei volte coniche. Nei locali della Penitenzeria sono ubicati 31 moderni confessionali. La Sacrestia dell’Aula Liturgica ha una superficie di circa 500 mq. e si sviluppa su tre livelli. Questo ambiente ha la capacità di ospitare contemporaneamente oltre trecento celebranti. I materiali utilizzati sono sempre legno e pietra. Idea guida del progetto del nuovo Santuario è quella di un nuovo sagrato che accolga e guidi all’interno dell’Aula Liturgica mediante un percorso che, senza soluzione di continuità, porti da uno spazio aperto ad uno protetto. L’elemento più rappresentativo, il segno forte nel paesaggio, l’elemento di riconoscibiltà del luogo sacro è costituito dal grande muro che rappresenta di fatto la facciata della Chiesa verso l’esterno e si configura come sostegno strutturale del Sagrato, al di sotto del quale, sfruttando il naturale avvallamento del terreno, sono ricavati gli spazi al servizio del complesso. Scandito da un ritmo regolare di contrafforti in cemento armato rivestiti in pietra, il muro è anche il supporto per un completo gioco di campane e di schermi frangisole per ombreggiare il percorso in salita del colonnato, che da quota 610 m. porta all’attuale piazzale del Rosario (quota 626 m.). La superficie del muro è visivamente cadenzata da una molteplice serie di piccole finestre strombate, mentre il colonnato si caratterizza per la presenza di voltine in legno lamellare rivestite in rame. La pavimentazione dell’intero colonnato è realizzata con pietre di Apricena bocciardata. Le prime nove colonne costituiscono il supporto di otto campane di bronzo, ciascuna di tonalità diversa e si elevano rispetto alle restanti per dare maggiore risalto al suono che le stesse campane irraggeranno verso valle. L’attuale santuario di S. Maria delle Grazie di S. Giovanni Rotondo non ha la torre campanaria. Solo da poco più di due decenni sono state fissate alcune campane sopra un terrazzo della Chiesa, azionate con un sistema meccanico a martello. La campanella della vecchia chiesina, invece, è rimasta fedele nel tempo con i suoi rintocchi, quelli uditi anche da Padre Pio. Ma la Nuova Chiesa non ha dimenticato le campane, distribuite in più torri lungo il lato sud del sagrato. La grande croce e le campane 118 La grande Croce è l’elemento caratterizzante dell’ingresso dell’intero complesso liturgico dedicato a Padre Pio. Per le sue dimensioni e per la sua posizione è destinata a divenire un vero e proprio faro per tutti i pellegrini che verranno a visitare il Santuario. Posizionata alla fine del viale pedonale di collegamento con la viabilità principale, essa rappresenta l’elemento caratterizzante l’ingresso al Santuario ed assume, peraltro, la valenza di punto di riferimento nel percorso di avvicinamento al complesso stesso da parte dei pellegrini. La grande Croce, costituita da un’asta di oltre 40 metri di altezza avente sezione variabile con una dimensione di m 2,50 x m 2,50 alla base fino a m 0,40 in sommità, è realizzata mediante la sovrapposizione di conci in pietra attraversati da cavi di acciaio che le conferiscono la precompressione necessaria a resistere al vento e alle forze sismiche. Nella parte alta sono innestati due bracci orizzontali a sbalzo della lunghezza di 4,50 m. La fondazione è in cemento armato. Realizzata secondo gli stessi principi strutturali adottati per gli archi, la grande Croce ha richiesto attenti studi preliminari di progettazione e la redazione di un manuale per garantirne la qualità di esecuzione della stessa. Particolare cura è stata posta allo studio della vegetazione che è stata piantumata nelle vicinanze del colonnato. La presenza vegetale, di specie tipicamente garganiche associate a cipressi, è molto sviluppata e ricca in modo da creare condizioni di riposo e di meditazione per favorire il raccoglimento dei pellegrini. Alla fine saranno stati posti a dimora 2.000 cipressi , 500 pini, 230 querce, 30 olivi, 400 corbezzoli, 550 mirti, 2.300 lavande, 50.000 edere. Gli artisti che hanno lavorato per l’esecuzione di tale opera sono: 1. 2. 3. 4. 5. 6. Renzo Piano: architetto (progettista). Floriano Bodini: scultore. Giuliano Vangi: scultore. Mario Rossello: scultore e pittore. Arnaldo Pomodoro: scultore. Mons Crispino Valenziano: membro della Pontificia Commissione per i beni culturali della Chiesa. Ha curato la sintassi liturgica per l’esecuzione della Nuova Chiesa. 119 BIOLOGIA a cura della professoressa Maria Amelia Intonti PELLEGRINI DI IERI E DI OGGI. COME SI AMBIENTAVANO E COSA MANGIAVANO “Tutto ciò che mangio è, a detta dei medici, veleno mortale; mentre tutto quello che non mangio è, sempre secondo loro, indispensabile per vivere”, così scriveva il drammaturgo George Bernard Shaw, ma per non avere problemi bisogna alimentarsi in modo adeguato. La caratteristica della cucina monastica è soprattutto l'attenzione fondamentale riposta nella scelta di prodotti che, per le loro caratteristiche di freschezza e naturalezza, valorizzano appieno ed esaltano il sapore dei cibi preparati. Nel contempo questa scelta obbedisce al principio della ricerca della parsimonia: nessun lusso, nessuno spreco. La cucina dei Monasteri non punta mai alla superalimentazione, tipico dei nostri tempi, proprio perché contraria alla virtù della temperanza e della sana alimentazione. Le monache e i frati quotidianamente si preparano piatti unici, forse considerati poveri, ma sicuramente sani e nutrienti. Vi sono piatti penitenziali, in armonia con i tempi liturgici di astinenza e di digiuno, e piatti ricchi per celebrare con giubilo le festività. Contrariamente a quanto succede tra i laici, dove prevalgono i cuochi, nei Monasteri sono le Monache a essere eccellenti cuoche in cucina. Le cucine monastiche sono solide e rassicuranti: arredate con massicci tavoli di legno scuro, alle pareti hanno vaste piattaie stracolme di stoviglie e di rami lucenti. Vi sono sempre una gran quantità di cibi disposti in allegra e in appetitosa confusione e che, assieme a un paiolo sempre in bollore, confortano l'appetito del visitatore occasionale. Alcune, per la loro sontuosa monumentalità, sono diventate dei musei: una per tutte, la cucina della Certosa di San Lorenzo di Padula. Il miele è da sempre la dolce leccornia, comune a tutte le comunità monastiche. Allevare api e ricavare il miele è un'attività secolare, poco costosa, legata alla natura. Proprio per questo Monaci e Suore vi si dedicano da sempre. I religiosi hanno messo a punto, nel corso dei secoli, tecniche d'avanguardia: cosicché dai loro alveari riescono a ottenere, oltre a mieli prelibati, tutta una gamma complessa di prodotti apiari che vanno dalla propoli, alla cera d'api, alla pappa reale. Dal miele si passa alle marmellate. Nei grandi pentoloni delle cucine bollono a fuoco lento i frutti appena colti dai frutteti che fanno parte delle proprietà dei Monasteri, e a poco a poco, si trasformano in marmellate, gelatine, succhi di frutta e frutta sciroppata. Dalle marmellate alla cioccolata il passo è breve. La cioccolata dei Trappisti dell'Abbazia di Nostra Signora del Santissimo Sacramento, alle Frattocchie vicino a Roma non ha nulla da invidiare ai migliori e sofisticati chocolatiers francesi e svizzeri: più di sessanta ora di concaggio e il cacao più sopraffino per il cioccolato fondente da intenditori, che oggi non è più prodotto dai Padri, i quali, purtroppo hanno dovuto cedere il loro laboratorio ai maestri pasticceri che ci lavoravano. Le Monache sono anche le depositarie di ricette secolari con cui confezionano dolci squisiti che rispecchiano tradizioni dolciarie un po' ruspanti, ma genuine. Il vino dei monaci è sinonimo di reale genuinità: prodotti secolari che ebbero inizio nei primi anni del Cristianesimo, quando le comunità monastiche di quel tempo approvvigionavano vino, grazie ai loro vigneti alle varie Chiese per la celebrazione della Messa. Vini e liquori hanno reso famosi Monaci e Frati che li hanno creati, e talvolta, hanno reso noti anche gli stessi luoghi di produzione. Fin dal Medioevo religiosi e conversi in laboratorio fumanti di vapori, tra mortai e alambicchi, hanno elaborato misteriose formule alchemiche. Molti di essi oltre a cercare nuovi medicamenti per lenire i 120 dolori del corpo, tentarono caparbiamente di scoprire la ricetta dell'elisir dell'eterna giovinezza e la pietra filosofale: una ricerca che sapeva di zolfo e che da molti è ritenuta opera del Maligno. L'antica sapienza della farmacopea naturale, unita alle ricerche che attraverso i secoli monaci, frati, suore e monache hanno elaborato, è arrivata fino ai giorni nostri attraverso vicende rocambolesche, spesso venate di mistero. Non a caso San Francesco diceva che “la natura è amica”. Solo durante il Medio Evo i religiosi hanno interrotto questa attività a causa dei pregiudizi e delle avversioni verso la scienza che regnavano in quei tempi. Allora per medici e speziali era facile essere ritenuti alchimisti demoniaci o eretici ed essere condannati al rogo. Con l'avvento del Rinascimento, i religiosi, prima ripristinarono le loro spezierie (specie di orti in cui si coltivavano erbe aromatiche e meridionali), poi ripresero a lavorare nei loro laboratori riscoprendo antiche ricette e provvedendo così a confezionare farmaci. In questo modo essi salvarono la vita a migliaia e migliaia di persone vittime di epidemie, di quegli anni. Erano disponibili medicine, sciroppi, tisane, pozioni a base di erba, pillole lassative, calmanti, ma anche prodotti di bellezza. PELLEGRINI ALLA PRESA CON L’ALIMENTAZIONE Importante, nei pellegrinaggi, è l’alimentazione che si è evoluta nel corso dei secoli, tramite gli eventi storici e le nuove scoperte tecnologiche. All’interno del Medioevo c’era una mentalità più rigida che definiva i pellegrini. I pellegrini medievali che erano in grado di pagarsi il cibo, nel momento in cui si sedevano a tavola, non erano più dei pellegrini ma illustri ospiti, e mangiavano al meglio delle disponibilità stagionali e ambientali. Se non potevano pagarsi da mangiare, non erano più pellegrini, bensì pitocchi per cui dovevano stare al buon cuore della casa ospitale che si limitava ad aggiungere un paio di tazze d’acqua a testa per ogni nuovo arrivo nel pentolone del pulmentum (intruglio di verdure). La consistenza del pulmentum poteva variare da quello di una polenta a quello di una zuppa. Proprio le zuppe energetiche dei conventi venivano usate per reintegrare i sali minerali e i liquidi persi durante il cammino. Queste zuppe erano a base di verdure e ortaggi, carne di maiale, miele e pane. Ricette diverse a seconda dei percorsi dei pellegrini, delle stagioni, delle coltivazioni e dei costumi dei popoli incontrati per la strada. La dieta diurna dei pellegrini, costituita da carne magra essiccata, formaggi e frutta secca, consentiva di avere un sufficiente apporto di proteine per il cammino a piedi, ma non forniva l’apporto idrico e salino necessario per potersi permettere una fatica che durava anche mesi. Le zuppe e i pancotti, invece, erano un ottimo rimedio contro la disidratazione. A differenza di allora, oggi tutti i pellegrini, se così li vogliamo definire, non cercano più ospitalità per mangiare, ma si recano nei ristoranti per gustare piatti prelibati e ricchi di carboidrati. Un’altra differenza che contraddistingue i pellegrini di “una volta” da quelli di “oggi” è che nei secoli passati essi potevano mangiare soltanto prodotti stagionali, inoltre, gli ingredienti dei loro piatti erano tutti prodotti precolombiani. Concludendo possiamo dire che i pellegrini di quest’epoca sono tutti illustri ospiti e che “fa parte della natura umana costruire le più compiute gabbie di regole e regolamenti in cui rinchiudere se stessi, e poi, con la stessa ingenuità e gusto, spremersi il cervello su come riuscire a sfuggirle. Il digiuno era una sfida: il gioco consisteva nel trovare le scappatoie”. Maria Grasso, Pasqualina Colella, Edyta Zuchowska 121 EDUCAZIONE FISICA a cura della professoressa Giuseppina Guarino DENTRO OGNI STORIA C’E’ UN VIAGGIO BELLISSIMO Due percorsi! Quello spirituale e quello motorio possono camminare parallelamente e li possiamo denominare pellegrinaggi. Pellegrinaggio: viaggio di devozione e penitenza oppure viaggio inteso come percorso sofferto di formazione umana che parte dalla nascita e arriva al traguardo dell’io o identità. Queste due forme di percorso hanno in comune la parola chiave “cammino”. Il camminare: la prima abilità di base è quella che permette all’uomo di entrare autonomamente nelle conoscenze, è quell’atto motorio che per gli epicurei e per gli aristotelici aiutano ad affinare il pensiero logico e permette, inoltre, di ritrovarsi, ricercarsi, ascoltarsi e raccontarsi. E’ dal camminare che inizia un viaggio inteso come prospettiva, luogo coscenziale in cui si può disegnare la persona ed i suoi aspetti concreti quali l’io, il tu ed il noi. E la persona che è un’unità psico-fisica, ponendo al suo vertice la logica, costituisce la sua coscienza religiosa ed in questa la stessa coscienza morale, intesa come relazione di fedeltà in una continuità di valori e per un incessante primato dell’essere sull’avere. La morale quindi, è la logica della persona che deve conoscersi, possedersi, per darsi e amarsi, per amare. Per essere fedele bisogna essere sé, per essere sè bisogna essere almeno in due e per essere pienamente se stessi bisogna che l’altro sia Dio. La cognizione dell’altro si da’ attraverso il vissuto analogico: “empatia”, che e’ un intreccio di esperienza di sè e dell’altro e da questo incontro si riconosce l’altro e la persona ritorna a se stessa con un’accresciuta profondità di relazione e con uno spessore dell’essere che la sua solitudine non avrebbe mai consentito raggiungere. Da qui può scaturire l’insegnamento, per ognuno, che il mondo che gli appartiene può essere diverso (per colori, forme e altro), e la crescita deve mettersi in gioco in modo totale arrivando ad individuare i migliori strumenti, risorse, e strategie per affrontare e superare le varie difficoltà. L’incontro empatico con l’altro, quando è fondamento di verità, diviene un momento costruttivo di vita personale, e nel volto degli altri si può riconoscere se siamo realmente dalla parte della verità e si potrà anche incontrare un principio interpretativo, per intendere ciò che siamo e ciò che non siamo. Poiché l’altro non è mai definitivamente raggiungibile nella sua segreta intimità, il suo volto va incontrato con cautela, senza mai essere definito, sempre aperto, sempre interrogato, secondo un modo che è conoscenza ma anche fede. Perché fino ad ora abbiamo parlato di filosofia? Perché nella sofferenza, nell’ascolto dell’io e dell’altro vi sono, in tutto e per tutto, gli obiettivi dell’attività motoria. Obiettivi comuni. Spirito di sacrificio, relazione, competizione, spirito di gruppo, empatia, tenacia, osservazione, curiosità, raggiungimento di un traguardo, aggregazione, ascolto, ricerca dell’io, del tu e del noi, crescita umana e sociale, appagamento, ricerca della felicità e della verità, mettersi in gioco, vittoria. E come dice il barone “de Coubertin”: “Comunque vada importante è partecipare”. Ma attenzione! Partecipare non solo alle gare ma anche alla danza della vita: amando, sperando e vivendo le inquietudini. 122 Sofferenza motoria Attività fisica PELLEGRINAGGIO Misurazione di un traguardo Confronto Relazione Discussione di se stesso Complicità di andatura Competizione 123 ELENCO DEGLI ALUNNI: 1. ADDORISIO GIUSEPPINA 2. BIONDI ANNUNZIATA 3. BONGO GESSICA 4. CAMPOBELLO CATIA 5. CARDINALE ALESSIA 6. CICCONE MONIA 7. COLELLA PASQUALINA 8. D’ADDONA GIUSEPPE 9. dE GRUTTOLA ILENIA 10. DOTOLI GIUSEPPINA 11. FILOMENA ANGELA 12. GAMBACORTA PASQUALE 13. GERVASIO MIRIANA 14. GRASSO CHIARA 15. GRASSO MARIA 16. LA CANFORA ANGELA 17. MICU DANIELA MIHAELA 18. SCHIAVO LUCIA 19. TULIPANI ALESSIO 20. ZUCHOWSKA EDYTA ELENCO DEI DOCENTI: 1. DI FRANZA MARIA 2. RENZULLI PASQUALE 3. MONACO MICHELE 4. CICCARELLI MARIA ANTONIETTA 5. MOSCATELLI GIUSEPPINA 6. POLISENA MAURIZIO 7. INTONTI MARIA AMELIA 8. SECRETI ISABELLA 9. LEGGIERI MARIA TERESA 10. GUARINO GIUSEPPINA 11. DE FEO ITALIA (ITALIANO – STORIA) (INGLESE) (FRANCESE) (MATEMATICA) (FILOSOFIA) (DIRITTO-ECONOMIA) (BIOLOGIA) (SCIENZE SOCIALI) (STORIA DELL’ARTE) (EDUCAZIONE FISICA) (RELIGIONE) 124 BIBLIOGRAFIA - CONFERENZE - VARI SITI INTERNET - ESPERIENZE SUL CAMPO 125