Isaia il profeta del Santo d`Israele operante nella storia

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Isaia il profeta del Santo d`Israele operante nella storia
Capitolo 23
Isaia
il profeta del Santo d’Israele operante nella storia
Contro la corruzione morale di Giuda, sotto i regni di Ozia, di Iotam, di Acaz e di Ezechia,
ha profetizzato Isaia, figlio di Amoz, chiamato al ministero profetico nel 740, nel tempio di
Gerusalemme. In ebraico il nome Isaia (Ye sa ‘yahû) significa: JHWH è salvezza.
Nel libro di Isaia troviamo la voce del profeta nei capp. 1-39, ad eccezione della grande
apocalisse (capp. 24-27)1, di quella piccola (capp. 34-35) e di alcune altre parti2.
1. Vocazione di Isaia (Is 6)
La vocazione di Isaia, cittadino di Gerusalemme, avviene nel contesto solenne del tempio
(e precisamente nell’ekal, sala che precedeva il debir o «Santo dei santi»), quindi mentre partecipa al culto, «nell’anno in cui morì Ozia» (o Azaria). Probabilmente il giovane Isaia viveva
all’ombra del tempio e frequentava una scuola di profeti ed è all’interno di questa esperienza
che il Signore prende l’iniziativa nei suoi confronti.
L’atteggiamento che Isaia prende dinanzi a Dio è quasi solo d’ascolto: un ascolto accompagnato dalla contemplazione della visione di JHWH seduto su un trono elevato e attorniato
dai serafini che cantano la trascendenza di Dio («Santo, santo, santo…»: v. 3) e insieme della
sua immanenza nella vita e nella storia di Israele («tutta la terra è piena della sua gloria»). La
sua “santità” è vita, pienezza di vita. Il popolo dell’alleanza è stato condotto attraverso le
strade di una storia ormai lunga secoli, predisposta per educare il cuore umano ad aprirsi e a
corrispondere a quella gratuita volontà d’amore. E’ questo il segreto che Dio ha voluto rivelare; per questo ha chiamato, per questo ha attirato a sé, per questo ha instaurato un rapporto
d’amore, per questo esiste il tempio.
Il terremoto («vibravano gli stipiti»)3 e il fumo4 sono i segni della presenza e potenza divina.
Di fronte a questa visione della santità di JHWH Isaia si sente atterrito per il suo peccato:
1
Il testo è tra i più recenti inseriti nel libro e la sua forma attuale va ascritta all’epoca ellenistica. Alterna annunci, lamenti, suppliche e ringraziamenti e contiene la celebre promessa del grande convito sul monte con carni
grasse e vini dolci per tutti i popoli scampati alla condanna, quando Dio asciugherà le lacrime su ogni volto
(25,6-10). La soluzione del contrasto fra condanna e salvezza nell’annuncio di una crisi definitiva, cui segue la
pace senza fine con Dio insieme alla portata cosmica delle immagini sono elementi che accostano questi capitoli
alla letteratura apocalittica, anche se mancano altri caratteri tipici quali le visioni e il simbolismo di colori, numeri e simili. Vi sono anche versetti oscuri ma preziosi (26,19) sulla risurrezione dai morti, nella quale gli ebrei
iniziarono a credere molto tardi.
2
Solo alcuni oracoli contro le nazioni, contenuti nella sezione che va dal cap. 13 al cap. 23 del libro, sono da
attribuire al profeta, altri sono posteriori. Così ad esempio il primo oracolo contro Babilonia (13,1-14,23) è certamente posteriore. Babilonia era un’entità politicamente quasi irrilevante ai tempi di Isaia, mentre meritava di
essere colpita per prima in epoca postesilica in quanto responsabile della distruzione di Gerusalemme. Solitamente si considerano autentici l’oracolo contro l’Assiria (14,24-27) e il seguente contro la Filistea (14,28-32);
quello contro Damasco (17,1-11) e il seguente contro molti popoli fino al v. 14; e infine l’invito agli ambasciatori egiziani a desistere dal promuovere alleanze antiassire, perché YHWH manderà l’Assiria fin dentro i confini
egiziani (18,1-6).
3
Cf. Es 19,16; Gdc 5,4; 1Sam 14,15; 1Re 19,11-12; Ez 38,19; Sal 17,8; 67,9; 76,19; Mt 27,54; At 4,31; 16,26;
Ap 6,12; 8,5; 11,13.19; 16,18.
4
Cf. Es 19,16.18; 40,34-35; 1Re 8,10-12; Ez 10,4.
«Ohimè! Sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono» (v. 4). Dal fuoco, che
sta acceso là dov’è l’altare, viene prelevata la brace per marcare le labbra di Isaia. E’ un segno di consacrazione. Attraverso le labbra, che così sono bruciate, si raggiunge l’interiorità,
la profondità del cuore. Alla presenza del Santo, Isia è schiacciato nell’evidenza della sua impurità. Adesso costata che la santità di Dio onnipotente trasforma la condizione umana, consacrando colui che è impuro. E’ questa l’esperienza originaria e fondamentale di Isaia profeta. Quello che egli ha sperimentato in modo così essenziale e definitivo nella sua condizione
personale, riguarda anche il suo popolo. Anzi è il disegno di tutta la storia umana. Comprendiamo bene allora come proprio adesso si spalanchi dinanzi a Isaia quello che sarà l’orizzonte
missionario della sua vita.
«Chi manderò? Chi andrà per noi?» (v. 8). YHWH lo vuole rendere corresponsabile del
progetto che gli sta a cuore, lo vuole più vicino a sé per confidargli e affidargli la missione
profetica. A partire da questa consapevolezza il profeta, ogni profeta, si consegna a Dio come
strumento nelle sue mani. Suo vanto e desiderio sarà solo quello di lasciarsi fare da Dio: di
lasciarsi istruire, di lasciarsi educare, di lasciarsi mandare sempre e dovunque. La missione
profetica è essenzialmente esperienza di totale e incondizionata obbedienza a Colui che
chiama e invia.
Isaia non tarda a rispondere: «Eccomi, manda me!». E’ la risposta d’ogni uomo e donna
che fa della sua fede un principio di vita.
«Va’ e riferisci a questo popolo: Ascoltate pure, ma senza comprendere, osservate pure,
ma senza conoscere…» (vv. 9-10). Al profeta viene affidata una missione che urterà contro il
rifiuto da parte del popolo. Il popolo è avvolto nell’impurità. Quel che vale per Isaia, ora si
ripropone per tutto il popolo. E’ il Signore che avanza. E’ lui il Santo che preme, che brucia;
ed è lui che, mentre si manifesta, mette in evidenza in misura crescente tutta l’ostilità e il fallimento di coloro che hanno rifiutato un impegno di amore5. Per Isaia non c’è da attendersi
nient’altro che questo, conoscerà giorni amari. E’ chiamato a condividere la passione che Dio
stesso soffre per il suo popolo.
La compassione è caratteristica tipica della missione profetica. Anche Gesù ce ne ha lasciato l’esempio, Lui che vedendo le folle ne sentiva compassione e donava loro il lieto annuncio del regno di Dio e la guarigione (cf. Mt 9,35-38).
E’ da qui che nasce il lamento del profeta: «Fino a quando, Signore?» (v. 11). Infatti, se da
un lato il profeta sa di essere inviato da Dio, dall’altro egli si sente indissolubilmente legato al
suo popolo. Anche se comprende i motivi per i quali Dio intende “punire” Israele per purificarlo dal suo peccato e per risuscitare in esso il desiderio della fedeltà all’alleanza, il profeta
non può non prendere le difese del suo popolo.
L’ultima parola del Signore apre una prospettiva di speranza nella vita del profeta: verrà
un tempo nel quale, purificato dal suo peccato, il popolo conoscerà di nuovo quella divina
intimità che lo ha accompagnato lungo tutto il corso della sua storia. Nell’abbandono generale «rimarrà un ceppo, una semente santa» (v. 13). A partire da essa JHWH potrà ricostruire il
rapporto d’amore con Israele. La storia riprenderà i suoi ritmi normali e conoscerà una stagione nuova e promettente.
2. Religione e giustizia a Gerusalemme
Isaia ha sempre davanti agli occhi e nel cuore il sogno di una Sion che sia «città della giustizia, città fedele» (Is 1,26). Ciò che il profeta vede sotto i suoi occhi, però, fin dagli inizi
5
Il testo parla di cuore insensibile. E’ quell’“indurimento” di fronte alla Parola come già era avvenuto per il
faraone (cf. Es 4,21; 7,3, ecc.) Questo testo di Isaia sarà citato più volte nel NT (cf. Mt 13,14-15; Gv 12,40; At
28,26-27) con un’applicazione speciale alle parabole (cf. Mt 13,13).
2
della sua vocazione (cf. Is 1-5), non corrisponde a questo sogno: una religione fatta solo di
riti esteriori: sacrifici di comunione, olocausti, offerte vegetali, noviluni, sabati, solennità annuali; un’inondazione nauseante di carne, grasso e sangue di animali immolati sugli altari e
nei crematoi del tempio, con il fumo che si mescola all’odore dell’incenso e alle preghiere di
assemblee di fedeli che protendono le mani in preghiera; tutto un sistema cultuale che tollera
il comportamento non convertito di chi agisce male e si disinteressa del diritto, opprimendo i
più deboli, gli orfani e le vedove (cf. Is 1,10-20). La requisitoria di Isaia non condanna per
principio le liturgie che si svolgono nel tempio, bensì il loro traboccante prevalere sulla «liturgia esistenziale» della giustizia e dell’amore per le persone che il Signore predilige. Egli
esorta a impegnarsi a dare la precedenza alla conversione del modo di vivere quotidiano. Il
culto rituale di chi sale al tempio a pregare e offrire sacrifici deve significare tale abituale
conversione del cuore e della vita che si conduce fuori del tempio6.
Un ambiguo sincretismo tra fede, magia e divinazione7; alterigia, latifondismo, consumismo, anarchia e lusso da parte dei potenti di Giuda e delle loro signore; corruzione
nell’amministrazione della giustizia, manipolazione del diritto e della legislazione (cf. Is
10,1-4), iniquità scatenata sempre più spietata. Infatti, nessuno ha pietà del proprio fratello:
«Dilania a destra, ma è ancora affamato;
mangia a sinistra, ma senza saziarsi
ognuno la carne del suo vicino
Manàsse contro Efraim ed Efraim contro Manàsse
tutti e due insieme contro Giuda» (9,19-20).
Ripetutamente YHWH richiama il suo popolo. In 5,8-24 troviamo una sequenza di sei
“guai”. Ci sarà più avanti un settimo “guai” (10,1). Questi “guai” sono interni alla dichiarazione d’amore che il Signore ha con il suo popolo, dal quale, deluso, attendeva – come descritto nella parabola della vigna (cf. 5,1-7)8 - dei frutti di giustizia9.
«Guai a voi che aggiungete casa a casa e unite campo a campo…» (v. 9)
- si accenna a quel fenomeno dei latifondisti che si appropriano indebitamente di terreni
altrui «Guai a coloro che si alzano presto al mattino
e vanno in cerca di bevande inebrianti
e si attardano alla sera accesi in volto dal vino…» (v. 11).
- sono i cultori del benessere, che ricercano soddisfazioni immediate e inebrianti «Guai a coloro che si tirano addosso il castigo con corde da buoi
6
Isaia riprende il tema dell’opposizione tra culto delle labbra e culto del cuore in 29,13-14 (cf. Sal 78,36-37): un
tema che sarà ben presente alla coscienza di Gesù: cf. Mc 7,1-13; Mt 15,1-9.
7
Is 1,29 parla di alberi sacri presso i quali si facevano pratiche religiose che gli ebrei avevano appreso dai cananei; Is 2,8.20 di idoli di argento e di oro; Is 2,6; 3,2-3 di indovini, maghi ed esperti in incantesimi.
8
Questa icona della «vigna del diletto» riprende un motivo di Osea (10,1). Esso diventa un tema preferito da
Geremia (2,21; 5,10; 6,9; 12,10) e da Ezechiele (15,1-8; 17,3-10; 19,10-14). Cf. pure Dt 32,32-33; Sal 80,9-19;
Sir 24,17. Gesù si muove agilmente dentro questo gioco di immagini profetiche, in Gv 15,1-11 e nella parabola
sinottica dei vignaioli omicidi (Mt 21,33-45; Mc 12,1-12; Lc 20,9-19). Il suo parlare è quello dei profeti, così
che quest’ultima parabola, lungi dal significare un rigetto definitivo di Israele dal disegno del padrone della vigna, andrà riletta non dimenticando la ripresa positiva che lo stesso Isaia fa del tema, in 27,2-5.
9
In questa parabola è dapprima un amico che prende la parola a nome di colui che qui è chiamato «il diletto», il
quale è affranto, raggomitolato nel suo dolore, perché la sua storia d’amore si è trasformata nella storia di una
delusione (cf. vv. 1-2); .poi è il diletto stesso che avanza allo scoperto, interpellando direttamente gli abitanti di
Gerusalemme: «Voi che siete spettatori, voi che ascoltate la voce dell’amico che sta cantando, voi che cosa ne
direste? Come vi comportereste?» (cf. vv. 3-4). Di fronte al rifiuto, che non è possibile superare, né addolcire
nonostante gli interventi, le correzioni e le insistenze, l’intransigente volontà d’amore del Diletto non può se non
costatare le conseguenze di tale ostinazione.
3
e il peccato con funi da carro» (v. 18)
- essi si procurano da soli le conseguenze nefaste del loro vissuto e ce la mettono proprio
tutta per attirarsi addosso questo disastro! «Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene,
che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre,
che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro» (v. 20).
«Guai a coloro che si credono sapienti e si reputano intelligenti» (v. 21).
«Guai a coloro… che assolvono per regali un colpevole
e privano del suo diritto l’innocente» (vv. 22-23).
- si allude qui a fenomeni di corruzione, che vengono gestiti tra l’altro, con la massima disinvoltura -.
«Guai a coloro che fanno decreti iniqui e scrivono in fretta sentenze oppressive,
per negare la giustizia ai miseri
e per frodare del diritto i poveri del mio popolo,
per fare delle vedove la loro preda e per spogliare gli orfani» (10,1-2).
Nonostante tutti i richiami, malgrado le percosse che ha ricevuto, le correzioni con le quali il Signore gli è andato incontro, per richiamarlo, per rieducarlo, per distrarlo dalle sue fantasie e riportarlo sulla strada della vita… Israele non si è arreso:
«Il popolo non è tornato a chi lo percuoteva; non ha ricercato il Signore degli eserciti.
Pertanto il Signore ha amputato a Israele capo e coda…» (9,12-13)
Qui troviamo l’immagine di un verme che, sebbene privato di capo e coda, continua a vivere e le sue parti amputate rispuntano; non c’è niente da fare: per quanto tu lo voglia correggere, lui si replica, si copia, si considera ancora come il modello di sé stesso!
JHWH non sopporterà questa apostasia ostinata dall’alleanza con cui la figlia di Sion lo ha
abbandonato. E Isaia annuncia il giorno del Signore, giorno di terrore (cf. Is 2,10) che sarà
«contro» (ripetuto dieci volte in 2,12-16) tutto ciò che pretende di innalzarsi o di avere potere10: «sarà piegato l’orgoglio degli uomini» (Is 2,17; cf. vv. 9.11) e anche le donne saranno
umiliate (cf. Is 3,16-24)11. La città sarà prostrata: rimarrà «sola come una capanna in una vigna, come un casotto in un campo di cocomeri, come una città assediata» (Is 1,8; cf. 1,104,1). In Is 29 Gerusalemme è chiamata con l’epiteto di Ariel (città, monte o leone di Dio) che
rievoca il tempo in cui Davide si accampò ai piedi delle mura per conquistare la città gebusea: ora è YHWH che si accampa per distruggere la Gerusalemme giudea. Il Signore devasterà
la sua vigna diletta, Gerusalemme, chiamando degli invasori che la calpestino, perché in essa
non ha trovato la «giustizia» che egli si aspettava. Ci sarà una devastazione e un esilio, fino a
che della quercia e del terebinto caduto resti solo un ceppo, che sarà una «progenie santa» (Is
6,13; cf. Esd 9,2)12. L’intervento purificatore di YHWH è quindi accompagnato ad un annun-
10
Sui manufatti realizzati con orgoglio dagli uomini (le «navi di Tarsis») ed espressione della loro autosufficienza si scatena la collera di YHWH; persino i portenti della natura sembrano essere contaminati
dall’autoesalta-zione umana e perciò essi saranno oggetto di tale ira.
11
Sulla montagna di Sion era localizzata la classe dirigente. L’apostrofe del profeta è indirizzata alle donne di
questo gruppo (le «figlie di Sion»). Isaia le considera vanitose e superficiali; l’accostamento di questo brano con
i versetti che lo precedono (cf. Is 3,13-15) le associa ai loro mariti nello sfruttamento dei poveri (cf. Am 4,1)
sulla cui indigenza si fonda la loro lussuria. Per esse ci sarà un capovolgimento di situazione (cf. Am 4,2-3). E
nella città decimata dalla guerra (cf. Is 3,25-26) esse, per cancellare la loro vergogna (quella di essere senza figli), domanderanno ad uno stesso uomo di «portare il suo nome» (Is 4,1), cioè che sia il loro signore o marito.
Le figlie orgogliose di Gerusalemme diventeranno quindi concubine.
12
La teologia del «resto d’Israele», che si afferma specialmente nel post-esilio, è quindi già presente in Isaia: cf.
4,2-3; 7,3 (il nome profetico del figlio di Isaia, «She‘ar yasub» significa: «un resto ritornerà»); 10,19-22;
4
cio di salvezza (4,2-6): «In quel giorno il germoglio del Signore crescerà in onore e gloria e il
frutto della terra sarà a magnificenza e ornamento per gli scampati di Israele» (v. 2).
3. Lo jahvismo e la grande politica mediorientale
Per Isaia, nel popolo del Signore la fede jahwista deve tradursi in saggezza e in coraggio
politico. La vocazione profetica di Isaia ha luogo cinque anni dopo la salita al trono di Assiria
di Tiglat-Pilezer III (745), un grande stratega e organizzatore militare. Questi estende il suo
impero dal Golfo Persico al Mediterraneo, con invasioni, imposizioni di imposte di vassallaggio, annessioni e deportazioni spietate.
Vero profeta di JHWH, unico vero Signore del mondo e della storia, Isaia contempla lo
scenario storico del suo tempo nella luce bruciante della più pura fede jahwista.
Con questa fede egli esorta il re Acaz, di fronte alla minaccia della guerra siro-efraimita
(734-732), di non aver paura di Rezin di Damasco e Pekach di Samaria, e a riporre solo in
JHWH la stabilità del suo regno e della sua casa (cf. Is 7,1-9b)13. Per convincere il re a non
ricorrere all’aiuto estremamente infido dell’Assiria di Tiglat-Pilezer III, in un secondo incontro Isaia offre il segno che il Signore è pronto a concedere al re (cf. Is 7,10-11). La proposta
del profeta sembra essere una sfida divina, non priva di ironia, a quella che il re avverte come
una situazione di estrema emergenza, in cui l’unico estremo rimedio gli appare il ricorso
all’impero assiro. Non sarà JHWH più potente di Tiglat-Pilezer? Ma il duplice intervento del
profeta per convincere il re fallisce e gli assiri devasteranno il paese (cf. Is 7,18-25; 5,26-30;
8,21-23).
In 8,5-10 il profeta interviene nuovamente, questa volta denunciando il popolo: «questo
popolo ha rigettato le acque di Siloe che scorrono piano». Un canale all’interno della montagna trasportava l’acqua dalla fonte di Ghicon (cf. Is 22,9-11) alla piscina di Siloe. Il popolo
disprezza quel canale, dove l’acqua si muove in modo così lento e pacato; in altre parole il
popolo, che «trema per Rezin e per il figlio di Romelia» non sa apprezzare il valore della presenza continua, fedele, pacata e vivificante di YHWH. E allora? Strariperanno le acque
dell’Eufrate (= Assiria) che penetreranno non solo sul nord ma anche in Giuda.
A varie riprese14 il profeta cerca di dissuadere il re di Giuda dal cercare alleanze militari e
intrighi politici con l’Etiopia e con l’Egitto, ma non ottenendo ascolto, si ritira nel silenzio. In
questa occasione Isaia profetizza mimando con la sua persona il messaggio che intende trasmettere: si scioglie dai fianchi il vestito di penitenza o di lutto (il sacco di tela grezza che si
portava sul corpo nudo) e per tre anni va nudo e scalzo per simboleggiare come il re di Assiria tratterà i prigionieri dell’Egitto e dell’Etiopia (Is 20,2-6)15.
Oltre che rivolgersi ai re Isaia si rivolge anche ai sacerdoti e profeti di Gerusalemme, che
per il profeta sono come degli ubriachi: questi accusano il profeta di balbettare cose insensate, mentre saranno loro fra poco a dover ascoltare la parlata incomprensibile degli assiri invasori. Si fidano di imbrogli e alleanze che non intendono mantenere, si illudono di tenere in
pugno la morte che li minaccia e di salvarsi con il doppio gioco, ma il Signore condiziona la
salvezza alla fede e alla giustizia e li abbandonerà alla rovina.
Come Osea, quindi, Isaia non si schiera per la politica filo-assira né per quella filo11,11.16; 28,5-6; 37,4.31-32. Cf. 2Re 19,4. Le nazioni, invece, non avranno un «resto»: cf. gli oracoli contro le
nazioni, in Is 13-21; 23; 30-31; 34; ecc.
13
Da notare che il profeta annuncia anche che «ancora settantacinque anni ed Efraim cesserà di essere un popolo» (7,8b). Di fatto nel giro di pochi anni il regno arameo sparirà, tutte le regioni settentrionali saranno occupate,
le tribù del nord verranno deportate; poi passerà ancora un decennio e nel 721 il regno di Israele sarà spazzato
via.
14
Una prima volta verso il 715; una seconda verso il 705-701.
15
Questo modo di profetare con il corpo diventerà frequente con Geremia ed Ezechiele.
5
egiziana. Egli ha il coraggio di prendere sul serio la fedeltà immancabile, anche se misteriosa,
di JHWH, fino in fondo. In 30,15 leggiamo la tesi fondamentale che tutti rifiutano: «Nella
conversione e nella calma sarete salvi, nella perfetta fiducia sarà la vostra forza».
Quando Sennacherib discende in Giuda e giunge fin sotto le mura di Gerusalemme, Isaia
sostiene Ezechia nel contare solamente su JHWH (cf. Is 10,24-27; 29; 30,27-33), e Gerusalemme viene miracolosamente salvata (cf. Is 17,12-14):
«Come gli uccelli proteggono i loro pulcini,
così il Signore degli eserciti proteggerà Gerusalemme;
egli la proteggerà, ed essa sarà salvata,
la risparmierà ed essa sarà liberata» (Is 31,5).
Lungi dall’essere un profeta e un teologo intrigante in politica, Isaia distingue molto chiaramente il piano su cui gli avvenimenti umani fanno liberamente il loro corso storico, il giudizio di Dio su quegli avvenimenti, e la posizione e il comportamento di fede che di fronte a
essi deve seguire un popolo che prenda sul serio il Dio che è il suo Signore (cf. Sal
33,12;144,15). Così, meditando sullo strapotere dell’impero assiro sul mondo e sulla storia
del suo tempo, di cui il Signore è Dio, Isaia vi riconosce prima di tutto un disegno provvidenziale: l’Assiria è uno strumento dell’ira di Dio, a cui JHWH fa un fischio - come a un cane perché punisca per un certo tempo il popolo infedele (Is 10,5-6; cf. 5,26-30)16: così Samaria è
caduta nel 721 (Is 28,1-6); ma pure Arpad, Calno e Damasco, prese da Tiglat-Pilezer, e Amat
e Carchemis, sottomesse da Sargon. E Gerusalemme potrà forse scampare al pericolo? Isaia,
però, non è affatto un fanatico dell’Assiria. Si rende ben conto del peccato originale di tutti
gli imperi. Essi non interpretano certo se stessi come una verga della giustizia di Dio. Ciò che
si propongono è dominare il mondo, e per questo invadono, distruggono e annientano le altre
nazioni. Il loro strapotere è molto spesso una bestemmia internazionale contro il Nome di
JHWH17. Il quadro che il profeta dà dell’alterigia e dell’orgoglio dei re assiri è impressionante18.
«Può forse vantarsi la scure con chi taglia per suo mezzo
o la sega insuperbirsi contro chi la maneggia?
Come se un bastone volesse brandire chi lo impugna
e una verga sollevare ciò che non è di legno!
Perciò il Signore, Dio degli eserciti,
manderà una peste contro le sue più valide milizie;
sotto ciò che è sua gloria arderà un bruciore come bruciore di fuoco.
La luce di Israele diventerà un fuoco, il suo santuario una fiamma;
essa divorerà e consumerà rovi e pruni in un giorno,
la magnificenza della sua selva e del suo giardino.
Essa consumerà anima e corpo
e sarà come un malato che sta spegnendosi.
Il resto degli alberi nella selva si conterà facilmente,
persino un ragazzo potrebbe farne il conto» (Is 10,15-19).
A suo tempo, il Signore spezzerà la verga del suo furore:
«Cadrà l’Assiria sotto una spada che non è di uomo;
una spada non umana la divorerà; se essa sfugge alla spada,
i suoi giovani guerrieri saranno ridotti in schiavitù.
Essa abbandonerà per lo spavento la sua rocca
16
Cf. pure Is 7,18; 8,6-10; 13,5; 14,24-27; 47,6.
Cf. i capp. 13-23 del libro di Isaia, che contengono oracoli indirizzati alle seguenti nazioni: Babilonia, Assiria,
Filistea, Moab, Damasco, Egitto, Idumea, Arabia, Tiro e Sidone.
18
Cf. Is 10,7-14; 36,13-20; 37,9-13.
17
6
e i suoi capi tremeranno per un’insegna.
Oracolo di JHWH che ha un fuoco in Sion
e una fornace in Gerusalemme» (Is 31,8-9).
Come nella notte della Pasqua egiziana, come nel giorno della terribile teofania sinaitica,
ci sarà una festa notturna sul Monte Sion, presso la Roccia di Israele, la notte dell’ira:
«Poiché alla voce del Signore tremerà l’Assiria, quando sarà percossa con la verga.
Ogni colpo del bastone punitivo, che JHWH le farà piombare addosso,
sarà accompagnato con timpani e cetre.
Egli combatterà contro di essa con battaglie tumultuose;
poiché il Tofet è preparato da tempo, esso è pronto anche per il re;
profondo e largo è il rogo, fuoco e legna abbondano,
lo accenderà, come torrente di zolfo, il soffio del Signore» (Is 30,31-33).
4. Il coinvolgimento del profeta nelle vicende del suo popolo
Isaia non rimane un profeta distaccato dalle vicende del suo popolo, non è uno spettatore
da platea, ma vi partecipa, è parte di esso. Ed è lo stesso YHWH che coinvolge il suo profeta:
4.1. Il figlio di Isaia (8,1-4)
YHWH ordina al profeta di scrivere su una tavoletta un nome: «A Mahèr-salàl-cash-baz» che vuol dire «veloce è il bottino, prossima la preda (o il saccheggio)».
Nasce un figlio a Isaia e il Signore gli ordina di chiamarlo con il nome inciso sulla tavoletta:
«poiché, prima che il bambino sappia dire babbo e mamma,
le ricchezze di Damasco e le spoglie di Samaria saranno portate davanti al re di Assiria»
Il regno di Aram, con capitale Damasco, e il regno di Israele, con capitale Samaria, saranno cancellati! E’ ciò che avviene nel corso di quegli anni. Questo significa che il vissuto personale di Isaia, attraverso l’esperienza della nascita del figlio, e quindi il suo modo di guardare verso il futuro della sua famiglia e della sua discendenza, è segnato da quel che sta avvenendo sulla scena del mondo. Isaia aderisce in forza dell’appartenenza al suo popolo, nel quale è coinvolto attraverso le sue vicissitudini familiari. Tuo figlio si chiama «Veloce bottino,
prossima la preda». Questo è il tuo futuro. Per te e per tuo figlio!
4.2. Gerusalemme miracolosamente liberata dall’invasione di Sennàcherib (Is 36-37)
Nel 701 a.C. il regno di Giuda fu invaso dagli Assiri; tutto il territorio fu occupato, tranne
Gerusalemme, capitale del regno, che fu assediata e stretta in una morsa poderosa nella prospettiva di un’inevitabile resa o conquista da parte dell’esercito assiro. Il gran coppiere del re
assiro (il comandante in capo dell’esercito assiro) incontra i tre inviati del re Ezechia (Eliakìm, Sebaà e Ioach, personaggi autorevoli della corte) presso il canale della piscina superiore.
Costui proclama solennemente che la resistenza non otterrà alcun successo e che è assolutamente fuori luogo che i difensori di Gerusalemme confidino in aiuti che non arriveranno (cf.
36,4-6). Certamente non sarà il faraone, re d’Egitto, che potrà intervenire a difesa del regno
di Giuda. Inoltre «se mi dite: “Noi confidiamo nel Signore nostro Dio”, non è forse lo stesso
a cui Ezechia distrusse le alture e gli altari, ordinando alla gente di giuda e di Gerusalemme:
Vi prostrerete solo davanti a questo altare?» (36,7). Il gran coppiere è informato: Ezechia, nel
suo impegno di riformatore ha fatto smantellare molti santuari e ha fatto di tutto perché il culto fosse concentrato unicamente a Gerusalemme. Ma dal punto di vista del gran re di Assiria,
che parla attraverso il suo ministro, questo è un comportamento offensivo: voi avete pubbli-
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camente maltrattato e banalizzato la presenza del Signore vostro Dio – come voi lo chiamate
– e come potete, adesso, pretendere che lui intervenga in vostro soccorso? Dunque è inutile
per voi confidare sia nel soccorso umano sia nel vostro Dio. Il mio re potrebbe darvi duemila
cavalli, metterveli a disposizione – facciamo pure una scommessa – e voi non avreste i cavalieri che possono montarli. Basta qualche nostro fantaccino che sarà in grado di sgominare
qualunque vostra difesa. E addirittura il gran coppiere presenta il re di Assiria come colui che
difende gli interessi del Signore: siete voi che l’avete offeso, contrariato, tradito ed ecco non
c’è sorte alternativa a questa per voi; sarete preda della potenza del nostro esercito e cadrete
senza colpo ferire. E’ il Signore vostro Dio che ha incaricato il grande re di Assiria di intervenire contro di voi per distruggervi.
I tre personaggi invano invitano il gran coppiere a parlare in aramaico (che era la lingua
internazionale del tempo, la lingua dell’Oriente, prima del greco) per non farsi sentire dalla
gente che ascoltava dalle mura. Ma è proprio questo che il gran coppiere vuol fare; scoraggiare l’esercito e il popolo d’Israele inducendolo alla resa.
«Il gran coppiere replicò: “Forse sono stato mandato al tuo signore e a te dal mio signore per dire
tali parole o non piuttosto agli uomini che stanno sulle mura [io parlo proprio a loro!], i quali presto saranno ridotti a mangiare i loro escrementi e a bere la loro urina con voi?”. Il gran coppiere allora si alzò e gridò in ebraico: “Udite le parole del gran re, del re di Assiria. Dice il re: non vi inganni Ezechia, poiché egli non potrà salvarvi. Ezechia non vi induca a confidare nel Signore dicendo: certo il Signore ci libererà; questa città non sarà messa nelle mani del re di Assiria [non state ad ascoltare queste fandonie]. Non date ascolto a Ezechia, poiché così dice il re di Assiria: Fate
la pace con me e arrendetevi; allora ognuno potrà mangiare i frutti della propria vigna e del proprio
fico e ognuno potrà bere l’acqua della sua cisterna, finché io non venga per condurvi in un paese
come il vostro, paese di frumento e di mosto, di pane di vigne”» (35,12-17)
Il discorso è chiaro: se il popolo si arrenderà ci sarà una deportazione19.
Quale è la reazione del re Ezechia?
«Quando udì, il re Ezechia si stracciò le vesti, si ricoprì di sacco e andò nel tempio del Signore [Ezechia è in preghiera]. Quindi mandò Eliakìm il maggiordomo, Sebnà lo scrivano e gli anziani, dei
sacerdoti ricoperti di sacco dal profeta Isaia, figlio di Amoz” [ecco che viene convocato Isaia],
perché gli dicessero: “Così dice Ezechia: giorno di angoscia, di castigo e di vergogna è questo,
perché i figli sono arrivati al punto di nascere, ma manca la forza di partorire...” » (37,1-3).
Ezechia, in preghiera, è addoloratissimo; ricapitola il momento tragico nel quale si trovavano gli abitanti di Gerusalemme e, tra questi, coloro che ricoprono posizioni di responsabilità, come lui stesso che deve registrare lo strazio di governare un regno che sta precipitando
nella catastrofe più irreparabile. L’immagine che Ezechia utilizza per esprimere il travaglio
suo e del popolo è quella della partoriente che è giunta al punto di generare, ma... non può
generare. Un travaglio infecondo! E, così, Ezechia manda a dire a Isaia:
«Spero che il Signore tuo Dio, udite le parole del gran coppiere che il re di Assiria suo signore ha
mandato per insultare il Dio vivente, lo voglia castigare per le parole che il Signore tuo Dio ha udito. Innalza ora una preghiera per quel resto che ancora rimane in vita» (37,4).
Isaia è interpellato perché si dedichi all’intercessione orante, perché prenda posizione nella
sua qualità di uomo di Dio, con la sua autorevolezza (il profeta è ormai anziano; son passati
quasi quarant’anni dall’inizio del suo ministero). Cosa risponde Isaia ai ministri del re Ezechia?
«Dice il Signore: non temere per le parole che hai udite e con le quali i ministri del re di Assiria mi
hanno ingiuriato. Ecco io infonderò in lui il mio spirito tale che egli, appena udrà una notizia, ritornerà nel suo paese e nel suo paese io lo farò cadere di spada» (37,6-7).
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Era questo il modo con il quale gli assiri evitavano alle popolazione conquistate di riorganizzarsi.
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Quindi Isaia invita il re a non temere e profetizza una ritirata del tutto inaspettata.
Poco tempo dopo il gran coppiere di Assiria – che nel frattempo aveva assalito Libna, invia di nuovo messaggeri a Ezechia per convincerlo ad arrendersi (cf. 37,10-13). Il re di Giuda, presa la lettera delle loro mani la legge e si ritira in preghiera davanti al Signore nel tempio.
«Spiegato lo scritto davanti al Signore, lo pregò: “Signore degli eserciti, Dio di Israele, che siedi
sui cherubini, tu solo sei Dio per tutti i regni della terra; tu hai fatto i cieli e la terra. Porgi, Signore,
l’orecchio e ascolta; apri, Signore, gli occhi e guarda; ascolta tutte le parole che Sennàcherib ha
mandato a dire per insultare il Dio vivente. E’ vero, Signore, i re di Assiria hanno devastato tutte le
nazioni e i loro territori [questa è una realtà di fatto e, quindi, per gli abitanti di Gerusalemme, assediati, la prospettiva è tragica]; hanno gettato i loro dei nel fuoco; quelli però non erano dei [così
ragiona Ezechia: gli altri dei sono inconsistenti, sono realtà fasulle; non è così per te, che sei il Signore nostro Dio; quelli sono... ] solo lavoro delle mani d’uomo, legno e pietra; perciò li hanno distrutti. Ma ora, Signore nostro Dio, liberaci dalla sua mano perché sappiano tutti i regni della terra
che tu sei il Signore, il solo Dio» (37,14b-20).
E qui, di nuovo, l’intervento di Isaia:
«Allora Isaia, figlio di Amoz, mandò a dire a Ezechia: “Così dice il Signore, Dio di Israele: ho udito quanto hai chiesto nella tua preghiera riguardo a Sennàcherib re di Assiria. Questa è la sentenza
che il Signore ha pronunciato contro di lui: Ti disprezza, ti deride la vergine figlia di Sion. Dietro a
te scuote il capo la figlia di Gerusalemme. Chi hai insultato e schernito? Contro chi hai alzato la
voce e hai elevato, superbo, gli occhi tuoi? Contro il Santo di Israele!”» (37,21-23).
Gerusalemme è descritta come una ragazza che si fa beffe del presunto conquistatore: con
chi pensi di trattare tu? Non ti sei accorto che hai di fronte a te il Santo di Israele?! Ecco come Isaia descrive la figura del re di Assiria:
«Per mezzo dei tuoi ministri hai insultato il Signore e hai detto: “Con la moltitudine dei miei carri
sono salito in cima i monti, sugli estremi gioghi del Libano, ne ho reciso i cedri più alti, i suoi cipressi migliori; sono penetrato nel suo angolo più remoto, nella sua foresta lussureggiante. Io ho
scavato e bevuto acque straniere, ho fatto inaridire con la pianta dei miei piedi tutti i torrenti
dell’Egitto» (37,24-25).
E’ da notare nel testo la ripetizione del pronome personale “io”: il re di Assiria è colui che
fa di se stesso e del suo proprio io, della sua soggettività autoreferenziale, un valore assoluto.
Isaia si rivolge al re Ezechia e gli dice: «ma chi è lui, che dice “Io”?». Vuole sostenere questo
re – che è un uomo di preghiera – dalla tentazione di cedere alle pretese del re assiro, di non
confidare in YHWH.
«Non l’hai forse sentito dire? Da tempo ho preparato questo, dai giorni antichi io l’ho progettato...
[il soggetto è il Signore; Isaia spiega che gli eventi che si stanno svolgendo in questo modo – oggettivamente così terrificante e così pericoloso – non sfuggono minimamente al protagonismo del
Signore]; ora lo pongo in atto. Era deciso che tu riducessi in mucchi di rovine le fortezze; i loro abitanti impotenti erano spaventati e confusi, erano come l’erba dei campi, come tenera verzura,
come l’erba dei tetti, bruciata dal vento d’oriente» (37,26-27).
Il re d’Assiria è semplicemente uno strumento nelle mani del Signore; anche il re d’Assiria
si inserisce all’interno di un disegno che è immensamente più grande e più lungimirante;
provvidenziale, rivelazione del Santo. E adesso Isaia, a distanza, interpella in nome del Signore direttamente il re di Assiria:
«Io so quando ti alzi e ti metti a sedere; io so di te quando tu esci e quando tu entri. Poiché tu infuri
contro di me e la tua insolenza è salita ai miei orecchi, ti metterò il mio anello nelle narici [il re di
Assiria è come una belva domata] e il mio morso alle labbra; ti farò tornare per la strada per cui sei
venuto» (37,28-29).
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Il messaggio è chiarissimo: il re di Assiria - spiega Isaia a Ezechia - che ha già suscitato
innumerevoli complici nei cuori di coloro che abitano a Gerusalemme, addirittura di quelli
che hanno ruoli di responsabilità nella città è una belva domata, costretta a sottostare alle regole imposte dal domatore.
«Questo ti serva da segno: si mangerà quest’anno ciò che nascerà dai semi caduti (qui è direttamente interpellato Ezechia: quest’anno la semina è avvenuta regolarmente), nell’anno prossimo
quanto crescerà da sé [non sarà possibile seminare] ma nel terzo anno seminerete e mieterete, pianterete vigne e ne mangerete il frutto [nel terzo anno tutta l’attività prevista nel ciclo delle coltivazioni si svolgerà regolarmente]. Ciò che scamperà della casa di Giuda continuerà a mettere radici
in basso e a fruttificare in alto. Poiché da Gerusalemme uscirà un resto, dei superstiti dal monte
Sion. Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti» (37,30-32).
Chi è protagonista? E’ lo zelo, ossia la gelosia del Signore, la fedeltà del Dio vivente alla
sua eterna volontà d’amore.
«Pertanto dice il Signore contro il re d’Assiria: non entrerà in questa città né vi lancerà una freccia, non l’affronterà con gli scudi né innalzerà contro di essi un terrapieno. Ritornerà per la strada
da cui è venuto; non entrerà in questa città. Oracolo del Signore: Io proteggerò questa città e la
salverò, per riguardo a me stesso e al mio servo Davide» (37,33-35).
Gerusalemme non cadrà, così come di fatto andranno le cose, almeno per questa volta.
4.3. Pianto di Isaia su Gerusalemme (22,1-14)
Gerusalemme è stata appena miracolosamente liberata da Sennàcherib. Eccome come Isaia
ce la descrive:
«Che hai tu dunque, che sei salita tutta sulle terrazze, città rumorosa e tumultuante, città gaudente?...[Gerusalemme è in festa e Isaia osserva)] “…I tuoi caduti non sono caduti di spada né sono
morti in battaglia…» (vv. 1-2).
Il profeta è lucidissimo nel segnalare la figura meschina che hanno fatto gli abitanti di Gerusalemme: qual è il motivo di questa festa? non sei un popolo di eroi, perché «Tutti i tuoi
capi sono fuggiti insieme, fatti prigionieri senza un tiro d’arco; …» (v. 3ab). I “caduti” sono
quelli che erano scappati. Gli altri si trovano, ora, improvvisamente liberi. I caduti di cui puoi
gloriarti … sono i traditori!
«…Tutti i tuoi prodi sono stati catturati insieme, o fuggirono lontano [che eroi!]. Per questo dico:
“Stornate lo sguardo da me, che io piango amaramente; non cercate di consolarmi per la desolazione della figlia del mio popolo”» (vv. 3-4).
Ma come? La città è in festa, e ci sono buoni motivi: l’assedio, improvvisamente, è stato
rimosso; la città è libera; la popolazione è sopravvissuta. Perché, allora Isaia dice «io piango
amaramente»? La ragione è che, a giudizio del profeta, il valore dell’evento che si è compiuto
viene intrinsecamente frainteso. Egli osserva e, a sua volta, è osservato. Tutti sono sconcertati; anzi, infastiditi dal fatto che il profeta stia piangendo sconsolatamente («distogliete da me
lo sguardo»). Ma adesso Isaia spiega: «Poiché è un giorno di panico, di distruzione e di smarrimento, voluto dal Signore, Dio degli eserciti …». Sta tornando indietro, al momento in cui
la città è stata attaccata, assediata … smarrimento! Però – vedete – tutto voluto dal Signore,
Dio degli eserciti.
«Nella valle della Visione un diroccare di mura e un invocare aiuto verso i monti. Gli Elamiti hanno preso la faretra [sono gli alleati degli Assiri]; gli Aramei montano i cavalli [cavalcano attorno le
mura della città], Kir ha tolto il fodero allo scudo. Le migliori tra le tue valli sono piene di carri; i
cavalieri si sono disposti contro la porta. Così egli toglie la protezione di Giuda. Voi guardavate in
quel giorno alle armi del palazzo della Foresta [una sorta di deposito delle armi; guardavate là come l’ultima risorsa difensiva]; le brecce della città di Davide avete visto quante fossero (le mura
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cominciavano a cedere); avete raccolto le acque della piscina inferiore [il re Ezechia aveva fatto
costruire un canale interno alla montagna, per portare l’acqua alla piscina meridionale, la famosa
piscina di Siloe], avete contato le case di Gerusalemme e demolito le case per fortificare le mura
[ulteriori lavori di Ezechia, proprio in previsione dell’assedio]; avete costruito un serbatoio fra i
due muri per le acque della piscina vecchia…» (vv. 5d-11b).
Dunque vi siete dati da fare: preparativi programmati con scrupolo ed eseguiti con il massimo dell’impegno, in vista di un evento considerato d’importanza capitale: questione di vita
o di morte! In realtà, poi, le cose sono andate in quell’altro modo: dalla sera alla mattina,
l’esercito assiro è sparito. E adesso … siete in festa?! In questo modo, avete dimenticato tutto ciò che è successo. Non avete colto il valore dell’evento e vi siete accontentati di approfittare di un colpo di fortuna. Ma non è così:
«…Ma voi non avete guardato a chi ha fatto queste cose, né avete visto chi ha preparato ciò da
tempo. Vi invitava il Signore, Dio degli eserciti, in quel giorno al pianto e al lamento, a rasarvi il
capo e a vestire il sacco. Ecco invece si gode e si sta allegri [era l’occasione buona per entrare pienamente in un cammino di conversione e invece…] si sgozzano buoi e si scannano greggi, si mangia carne e si beve vino: “ Si mangi e si beva, perché domani moriremo!”» (vv. 11c-13).
Ed ecco la conclusione del canto:
«Ma il Signore degli eserciti si è rivelato ai miei orecchi: “Certo non sarà espiato questo vostro
peccato, finché non sarete morti” dice il Signore, Dio degli eserciti» (v. 14).
5. Tre oracoli messianici
Nonostante le esperienze deludenti procurate agli israeliti dai grandi imperi totalitari circostanti dell’Egitto e della Mesopotamia, alle quali si aggiungono quelle delle proprie monarchie «moderate dai profeti» nel nord e nel sud della terra d’Israele, l’ideale di un Re e di un
Regno che lascino trasparire sulla terra la regalità di JHWH non tramonta nella coscienza del
popolo di Dio, e soprattutto in quella dei profeti di Gerusalemme. Il Sal 72 esprime
l’immagine perfetta del re israelitico ideale, sazio di giustizia proveniente dal Signore, di cui
è figlio, e sovrano di un regno esemplare traboccante di gloria e di pace.
È toccato soprattutto a Isaia elevare in Giuda, per la casa di Davide, il vessillo di una speranza regale, che superi tutti i suoi nemici e sfidi i secoli e la ruggine della storia degli uomini.
5.1. Emmanuele, il re che reca il segno che JHWH è con noi (Is 7,10-17)
Nella vicenda della minaccia della guerra siro-efraimita di fronte all’incredulità del re Acaz che si rifiuta di chiedere il segno per «non tentare il Signore», JHWH offre di sua iniziativa alla casa di Davide un segno che in sé sarà assolutamente ordinario, apparentemente irrilevante. Non un segno «dal profondo degli inferi oppure lassù in alto»20, bensì uno di quegli
eventi di quaggiù, sconvolgenti per la loro semplicità, e che la sapienza del vero Dio predilige
per realizzare i suoi disegni salvifici, lo stesso segno che otto secoli dopo verrà dato ai pastori
della regione di Betlemme: «Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia» (Lc 2,12).
«Pertanto JHWH stesso vi darà un segno. Ecco: la giovane donna (ha= almah) concepirà e darà alla luce un figlio, e lo chiamerà ‘Immanu ‘El (= Dio è con noi). Egli mangerà panna e miele21 finché
non imparerà a rigettare il male e a scegliere il bene. Poiché prima ancora che il bimbo impari a ri20
Cf. il «segno dal cielo» ripetutamente chiesto a Gesù dai suoi interlocutori: Mt 12,38; 16,1-4; Mc 8,11-13; Gv
2,18.
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Panna e miele è il nutrimento di un paese devastato che è ritornato a una vita pastorale elementare: cf. Is 7,22.
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gettare il male e a scegliere il bene, sarà abbandonato il paese di cui temi i due re. JHWH farà venire su di te, sul tuo popolo e sulla casa di tuo padre giorni quali non sono venuti da quando Efraim
si è staccato da Giuda: il re di Assiria» (Is 7,14-17).
Dal momento che questo segno viene offerto alla casa di Davide - minacciata di deposizione e di estinzione in quel momento critico -, esso sembra concernere la giovane regina,
sposa di Acaz, che difatti, in pieno tempo di guerra, attende di dare alla luce (nel 734) l’erede
reale, Ezechia, uno dei migliori re di Giuda, devoto di JHWH. Per sé, il segno di Dio non
consiste, qui in primo luogo, nella nascita del figlio, ovviamente già atteso da Acaz e dalla
sua sposa, ma nell’annuncio dell’imminenza della disfatta dei due re nemici: un annuncio,
però, legato all’apparizione del piccolo principe. Più tardi, proprio durante il regno di Ezechia, come si è visto, la sicurezza di Gerusalemme apparirà garantita dal fatto che non «il re
di Assiria» bensì «Dio è con noi» (cf. Is 36-37).
La portata, però, che il profeta assegna a tale nome, e specialmente quella della rilettura
che ne hanno fatto i suoi discepoli, lo ha aperto a significare una speranza sempre più grande,
che si è spinta molto al di là del regno di Ezechia, e anche al di là della nascita e del regno di
Giosia, di cui probabilmente si gioisce in Is 8,23b-9,622. Lo sguardo profetico, infatti tinge
questo bimbo con i colori di un’aurora messianica e della speranza escatologica. Qui la liberazione dall’incubo di Damasco e di Samaria, lungi dall’essere quella ben umiliante e costosa, dell’intervento assiro, invocato dall’incredulo Acaz, sarà quella dell’economia messianica
di un ultimo Emmanuele davidico, figlio dell’ultima ‘almah23, di cui il figlio della prima è
solo il germe, già presente, nel grembo d’Israele.
5.2. Una strada, una luce, una gioia; un bambino nato per noi (Is 9,1-6)
Una luce rifulgerà nelle tenebre. Le prime scintille erano già significate dalle trecento torce di Gedeone che si accesero in una delle più profonde notti d’Israele, tra la fonte di Charod
e il Monte More, il giorno di Madian (cf. Is 8,23b-9,6). Alla visione di questa luce l’animo
umano si accenderà di grande gioia. Per tre ragioni: perché il Signore libera Israele (come è
avvenuto a Madian), «ogni calzatura di soldato… e ogni mantello… sarà bruciato, sarà esca
del fuoco» (cioè la guerra non è solo terminerà, ma sarà “bruciata”: YHWH instaurerà un equilibrio radicalmente nuovo nella storia umana) e «un bambino è nato per noi». E’ il bambino che nasce in continuità con la promessa messianica; è il bambino che nasce per dimostrare
come il trono di Davide rimarrà stabile e il regno durerà nel tempo, nei secoli, per sempre.
«Sulle sue spalle è il segno della sovranità». Non è un bambino qualunque: è ammantato come nel giorno dell’incoronazione, quando il sovrano riceve il mantello, che è l’insegna della
sua posizione e della sua autorità; in più gli sono attribuiti quattro nomi, titoli regali, che esplicitano la sua particolare funzione di sovrano, il suo modo di vivere la relazione con Dio
(«consigliere»: possederà la saggezza pratica che deriva dalla comunicazione con Dio; sarà
cioè reso partecipe dei progetti meravigliosi operati da Dio nella storia), con i sudditi (sarà
uomo di governo prudente e saggio in quanto «consigliere» e anche «padre» per il popolo),
con il regno e con il mondo intero («Dio potente», «Principe» non della guerra ma «della pace»). Il v. 6 descrive il regno del bambino come un regno dinamico che si estende e si accresce, ma nella pace più perfetta. Un regno che supera i confini di quello salomonico. Sarà
un’opera di Dio, della sua gelosia (cf. Es 20,5; 34,14; Dt 4,24; 5,9; 6,15), del suo zelo.
22
Il bimbo, infatti, di Is 9,5-6 è celebrato per la riunificazione nel regno del sud delle regioni del nord devastate
da Tiglat-Pilezer III nel 733 (cf. 2Re 15,29). Una tale parziale riunificazione sarà operata da Giosia (2Re 23,1520; cf. 1Re 13,2).
23
La bibbia dei LXX traduce ‘almah con «vergine», interpretando così il termine ebraico, che può significare
sia una fanciulla nubile, sia una giovane recentemente sposata. Il termine ricorre, oltre in Is 7,14, altre 8 volte
nell’AT. In questi testi la parola significa «ragazza non sposata», ad eccezione di Pr 30,19 dove viene mescolata
al concetto di donna sposata.
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5.3. Un germoglio dal ceppo (Is 11,1-9)
La prospettiva di un regno messianico-paradisiaco è rinforzata anche dalla profezia del
virgulto di Iesse. Nonostante il tronco tagliato (la caduta del regno di Giuda), una linfa perenne, che è la promessa divina, vivifica questo ceppo. C’è quindi una continuità con la storia
passata, un radicamento profondo con il popolo di Israele di cui il Messia sarà appunto il virgulto24, un manifesto segno di giovinezza e di novità. Egli possederà in modo permanente e in
pienezza lo Spirito. Con i suoi doni (sapienza e intelligenza, che esprimono la capacità di capire la situazione e di prendere atteggiamenti adatti a raggiungere lo scopo; consiglio e fortezza che toccano la volontà: prudenza nell’eseguire il progetto e costanza nel superare le difficoltà; conoscenza e timore, ossia nel rapporto con Dio fatto di familiarità e rispetto, di vicinanza e coscienza della sua insuperabile diversità) il virgulto della radice di Iesse saprà ben
governare25:
«Non giudicherà secondo le apparenze
e non prenderà decisioni per sentito dire;
ma giudicherà con giustizia i miseri,
e prenderà decisioni eque per gli oppressi del paese.
La sua parola sarà una verga che percuoterà il violento;
con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio.
Fascia dei suoi lombi sarà la giustizia,
cintura dei suoi fianchi la fedeltà» (vv. 3b-4).
Qui c’è di mezzo la parola di cui egli si serve per affrontare le situazioni. «Fascia dei suoi
lombi» indica la modalità del suo intervento operativo: occorre portare una cintura quando
bisogna intervenire in modo energico, risoluto, efficace. C’è quindi in questo personaggio
una corrispondenza tra quello che dice (la parola) e quello che fa (l’azione): egli applica la
giustizia, si prende cura di coloro che sono esclusi e squalificati (cf. Sal 72).
Adesso, in rapporto a lui e a questo suo modo di essere presente nella storia degli uomini,
si ricomporrà l’ordine del cosmo, si aprirà un’era di pace e di perfetta armonia tra gli uomini26, tra questi e il creato («il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi»: v. 6b) e
tra il creato stesso (vv. 6-7)27. Il male stesso sarà definitivamente vinto28.
Ed ecco la coda dell’oracolo:
«Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno
in tutto il mio santo monte,
perché la saggezza del Signore riempirà il paese
come le acque ricoprono il mare» (v. 9).
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Tra l’altro il termine «virgulto» (in ebraico nēser) risuona forse nel nome del villaggio dove Gesù è vissuto
durante tutta la sua infanzia e la sua giovinezza, ossia Nazareth. «Sarà chiamato Nazōraîos», dice l’evangelista
Matteo (2,23) per ricapitolare tutte le profezie che riguardano il germoglio. E’ lui il «germoglio».
25
In Ez 34 Dio stesso riprende in mano l’esercizio dell’autorità amministrativa, togliendola a guide incapaci, e
promette di inviare una persona di sua fiducia. In questo testo il discendente di Davide risponde pienamente alle
attese di Dio.
26
Nell’antico oriente le classi sociali venivano descritte sotto metafore di animali: i capri di Moab (cf. Es
15,15), gli arieti (= dominatori) di Is 14,9, le gazzelle e i tori di Ugarit.
27
Gli animali feroci del v. 6 si tramutano quasi in animali domestici. Il v. 7b classifica tutti gli animali come
erbivori (cf. Gen 1,30), evitando lo stridente contrasto di alcuni che alimentano la loro vita con la morte di altri.
Non ci saranno più i “carnivori” e la pace regnerà sovrana. E’ come dire che la pace del Creato dipende dalla
pace, dalla rinnovata intesa tra Dio e gli uomini. Il paradiso, un tempo perduto, è stato ritrovato.
28
Con l’immagine del serpente reso docile si compie anche l’annuncio del protovangelo (cfr. Gen 3,15): la discendenza della donna schiaccerà la testa del serpente. Quel bambino gioca con il serpente perché lo ha ormai
dominato, nel senso che ormai il veleno dell’aspide, apportatore di morte, è stato esaurito. Il serpente non è più
in grado di corrompere il cuore dell’uomo.
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E’ in questione la ricomposizione di un ordine cosmico e, al tempo stesso, la liberazione
del cuore dell’uomo: del suo cuore avvelenato, inquinato, indurito. Dunque non ci sarà più
saccheggio né prepotenza. C’è da notare che il «santo monte» non è più una località ridotta
alle misura di Gerusalemme, o alla collina su cui è stato costruito il tempio, ma è una realtà
che assume dimensioni amplissime. E’ il giardino ritrovato; è l’universo intero riconciliato,
«perché la saggezza del Signore riempirà il paese, come le acque ricoprono il mare». Tutta la
terra è inondata da questo diluvio, che è come un mare che tutto avvolge. Ma il senso di questa alluvione non sta più nella distruzione, bensì nell’irrigazione, che rende il terreno così fecondo da potersi esprimere in un frutto santo e benedetto, ossia «la conoscenza del Signore».
Su questa conoscenza di YHWH, di cui aveva parlato anche Osea, ritorneranno i profeti Geremia ed Ezechiele. Allora tutto prenderà il significato di un’occasione propizia per incontrare il Dio vivente, per entrare nell’intimità con lui, per condividere i doni d’amore da lui ricevuti e offrire una risposta d’amore a lui gradita.
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