Numero 74 - Anno XIII, Gennaio-Febbraio 2005

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Numero 74 - Anno XIII, Gennaio-Febbraio 2005
CLUB PLEIN AIR BDS
Associazione nazionale dei camperisti e degli amanti del plein air del BANCO di SICILIA
Aderente all'A.I.T.R. - Associazione Italiana Turismo Responsabile
Gemellata con Camping Car Club Provence-Cote d’Azur , Club Plein Air Siracusa e Calabria Camper Club Sila
Sede: Via Rosolino Pilo, 33 - 90139 PALERMO - 091.608.5152- Fax: 091.608.5517
Internet: www.pleinairbds.it - E-mail: [email protected]
Comitato di Coordinamento
Maurizio Karra (Presidente) - Giangiacomo Sideli (Vice Presidente)
Achille Bufardeci, Giuseppe Carollo, Adele Crivello,
Ninni Fiorentino ed Elio Rea (Consiglieri)
Collegio sindacale
Silvana Caruso La Rosa (Presidente)
Luigi Fiscella ed Enzo Triolo (Componenti)
Collegio dei Probiviri
Pippo Campo (Presidente)
Pietro Inzerillo e Marcello Oddo (Componenti)
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Bimestrale di informazione per i Soci del CLUB PLEIN AIR BDS
Pubblicazione periodica a circolazione interna inviata anche ad altre Associazioni di campeggio e alla stampa
Responsabile editoriale
Maurizio Karra
Redazione
Mimma Ferrante, Giangiacomo Sideli e Alfio Triolo
Hanno collaborato a questo numero anche:
Agostino Alaimo, Piero Capnist, Maria Agnese Di Carlo,
Luigi Fiscella, Giorgio Gigliotti, Enza Messina e Claudio Visentin
In questo numero
pag.
3
VITA DEL CLUB
- Gli auguri di fine anno a Sferracavallo
- Passeggiando per il Capo
- Fra castellane e cavalieri
- La storia di San Nicasio e l’Ordine dei Cavalieri di Malta
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VIAGGI E TURISMO
- La Semana Santa a Siviglia
- La Pasqua in Calabria
- La Giudaica di Laino Borgo
- Al di là del Mediterraneo
- Una finestra sul mondo musulmano
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TERRA DI SICILIA
- Randazzo, la città degli Aragonesi
- L’Opra dei pupi a Catania
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RUBRICHE
- Vita di camper
- Viaggiare in modo responsabile
- Internet, che passione
- Cucina da ...camper
- Riflessioni
- News: notizie in breve
- L'ultima parola
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EDITORIALE
Editoriale
S
ulla tragedia del sud-est asiatico, mediaticamente penetrata in tutte le case del mondo
per giorni e giorni con gran frastuono e abbondanza di immagini e statistiche, è calato – come
avevo cinicamente previsto a caldo – un pietoso e
assordante silenzio. Forse, se ne abbiamo avuto
tanta eco nei primi giorni, è anche (o soprattutto)
per via dei turisti occidentali - anche italiani - che
ne sono stati coinvolti, molti dei quali purtroppo
sepolti dalle macerie dello tsunami e tanti di più
ufficialmente ancora dispersi, cioè senza nemmeno la possibilità di essere traslati nei luoghi di origine per essere sepolti con dignità e compianti da
parenti e amici.
Ma dei quasi 300.000 morti delle varie
etnie locali? Dei sopravvissuti e della loro impossibilità a ricostruirsi di punto in bianco una casa,
una vita, un lavoro (molti erano pescatori e hanno
avuto distrutte famiglia, casa e barca)? Delle madri e delle ragazze in balia degli sbandati o della
malavita locale che ne hanno schiavizzato migliaia
per i bordelli delle capitali del piacere (degli occidentali)? Dei bambini reclutati dai guerriglieri come soldati per infauste lotte di liberazione contro
amministrazioni locali o governi centrali (in particolare in Indonesia e Sry Lanka)? Ogni tanto qualcuno ne ha parlato in qualche trasmissione televisiva di approfondimento, spesso dopo le 23
(quando a rimanere davanti a una tivù rimangono
in pochi) o in qualche articolo di fondo di quotidiani o magazine. Ma anche questa “attenzione”
sta via via scemando. Forse se ne parlerà a un anno dalla tragedia, con uno “speciale” televisivo o
uno “speciale” sui giornale, e questo servirà forse
a mettere il cuore in pace a tanti.
Perdonate il cinismo e l’amarezza. Ma un
approfondimento anche su questo nostro giornalino, certamente parole che si aggiungono a fiumi
di parole che finiscono in un mare di ipocrita perbenismo, essendo noi forse ancor più toccati in
quanto viaggiatori, lo ritenevo quanto meno necessario. Anche se non ho volutamente attivato,
da presidente del Club, alcuna specifica raccolta
di fondi e di aiuti targata “CLUB PLEIN AIR BdS”,
fidando nel fatto che ciascuno di noi ha contribuito personalmente e in silenzio come ha potuto
con SMS, donazioni su c/c postale o bancario,
tramite carta di credito, cessione di un’ora o di un
giorno della propria retribuzione, ecc.
Lascio a voi, intanto, su questo tema la
lettura nelle pagine successive di un bellissimo
articolo di Claudio Visentin, nella rubrica “Viaggiare in modo responsabile”. Non avrei potuto pensare né scrivere qualcosa di più interessante e valido, non avrebbe avuto senso in ogni caso proporre a firma mia qualcosa che sarebbe stato assai simile nel contenuto e magari non così bene
argomentato (in realtà avevo già scritto a caldo
qualcosa senza conoscere ovviamente l’intervento
di Visentin che poi mi è giunto per E-Mail, attraverso il circuito dei comunicati stampa dell’AITR).
Qual è il punto cruciale della vicenda? Ciò
su cui dobbiamo riflettere, al di là del fenomeno
in sé e delle sue conseguenze catastrofiche, è che
lo tsunami ha evidenziato le incongruenze del macrofenomeno “turismo” colpendo proprio quelle
località da sogno che sono sempre pubblicizzate
con bellissime immagini naturalistiche accompagnate da splendide ragazze ammiccanti; un ambito
sociale (e insieme un settore economico) a cui i
media dedicano di solito un'attenzione tutto
sommato marginale, e soprattutto stagionale, a
parte ovviamente i magazine di settore. Al di là
della tragedia in sé, scrive Visentin, la realtà emersa in queste settimane racconta una storia
spesso diversa. Parla di villaggi vacanze e di isole
riservate al turismo che sono oasi d'occidente in
mondi lontani, pressoché separati dal loro retroterra anche prossimo, che solo in misura ridotta
trae beneficio dalla loro presenza. Racconta di paesi nei quali la democrazia è attuata in forme a dir
poco parziali o del tutto assente e di paesi noti
per il turpe turismo sessuale, troppo a lungo benevolmente ignorato se non incoraggiato per i
vantaggi economici e valutari che ne derivavano.
In queste regioni ha senza dubbio senso
ripensare un modello di sviluppo turistico internazionale che anche in tempi normali ha comunque
un'efficacia (e una profittabilità) ridotta, e che nei
momenti più difficili mostra tutte le sue difficoltà
e le sue contraddizioni, in favore di forme di turismo sostenibile e responsabile (e non solo eticamente giustificate). Ma di ragionamenti di questo
genere non vi è traccia nelle maggiori riviste di
turismo uscite dopo la tragedia. Semplice dimenticanza? Scelta di fare la parte dello struzzo? Necessità di rilanciare il fatturato dei grandi tour
operator (che sono poi anche i maggiori inserzionisti pubblicitari)? Rifletteteci...
Maurizio Karra
Gli auguri di fine anno a Sferracavallo
La cena sociale alle Tre Lampare di Barcarello e la premiazione dei soci
più meritevoli del 2004
E
ravamo in ottantatrè al ristorante “Le Tre Lampare” di Sferracavallo, sul lungomare Barcarello, la sera del 18 dicembre a
festeggiare la conclusione di un anno fra i più
frenetici per numero e varietà delle iniziative
intraprese dalla nascita della nostra associazione. E c’erano fra noi, oltre a tanti soci palermitani, anche amici di Siracusa, Palazzolo
Acreide, Ragusa ed Enna a testimoniare con
la loro presenza e il loro affetto
l’attaccamento al Club, e ciò nonostante le
avverse condizioni meteorologiche (non dimentichiamo che il traghetto Vincenzo Florio
della Tirrenia proprio quella sera, col mare a
forza 8, è quasi colato a picco a poche miglia
da Palermo!).
sa di mare e degli spaghetti con cozze e vongole; un arrosto misto di pesce e gamberoni,
infine composta di frutta fresca e parflè di
mandorla.
La cena, a giudizio della stragrande
maggioranza dei commensali, è stata ottima e
abbondante, pur con la solita voce fuori dal
coro che assicurava di non aver mangiato
quasi nulla e che comunque non poteva che
essere tutto surgelato.
Il significato della serata
Come sempre, la cena sociale di fine
anno è un’occasione d’incontro anche per
quei soci che sono meno assidui nella partecipazione alle gite del week-end; ed è
un’occasione in cui si consolidano - fra baci,
abbracci e auguri per il Natale - i rapporti che
ci legano l’un con l’altro. Questo è il senso
della serata, questo è il senso per chi anno
dopo anno si fa carico di un’organizzazione
fra le più complesse e “pesanti” di tutto
l’anno, con la certezza (o almeno la speranza)
che gli sforzi profusi siano ricompensati dalla
serenità e dal valore dell’amicizia.
Che poi tutto ciò avvenga davanti a
un semplice piatto di spaghetti al pomodoro
o davanti a un risotto ai frutti di mare poco
importa, tanto più che è ormai tradizione che
il Club si faccia carico della quota di partecipazione alla cena dei soci “capofamiglia”.
Quest’anno il menu prevedeva un ricco set di
antipasti di mare, dalle cozze scoppiate ai
gamberetti in salsetta, dal fritto di calamari
alla sarde a beccafico, dall’insalata di polpo al
pesce spada fumè; oltre al risotto ai frutti di
mare anche dei ravioli ripieni di cernia in sal-
Due angoli della sala del
Ristorante Le Tre Lampare
Ma la cena serve anche per premiare
i soci che si sono particolarmente distinti
nell’anno. A parte ciò, è ormai consolidata
tradizione che, nel corso della serata, si faccia
dono a tutti i soci presenti di un omaggio,
quest’anno consistente nel nuovo tappetinomouse del Club e in una guida dei migliori
vini di Sicilia. Ma poi, il momento clou, a fine
cena, è quello in cui si effettua la proclamazione e la premiazione dei vincitori dei con-
corsi abbinati ai viaggi estivi (quello fotografico e quello giornalistico) e l’assegnazione di
premi ai soci più meritevoli.
I premiati
Si è dato inizio alle premiazioni con i
partecipanti al concorso fotografico. Come
premio a tutti i diciassette soci che hanno avuto il piacere di partecipare alla mostra è stato fatto loro omaggio di un CD di musica
classica. Inoltre è stata aperta in pubblico la
busta contenete il verbale della Commissione
valutatrice del concorso, presieduta da Franco Lannino e composta anche dai fotografi
Michele Naccari e Daniele Buffa, che, dopo
l’esame delle 130 foto esposte nella mostra
“Latitudini d’autore” (che tanto successo di
pubblico e di critica giornalistica ha riscosso
quest’anno), ha deciso di assegnare:
x il primo premio (consistente in un buono
acquisto del valore di 75 euro della ditta
Randazzo) a Giangiacomo Sideli per la foto “Frescura” (nel calendario 2005 è
quella di giugno, che il destino ha voluto
fosse già la foto di copertina dello scorso
numero del giornalino) “per la tecnica, la
spontaneità ed il perfetto equilibrio dei
soggetti che compongono lo scatto”;
Giangiacomo Sideli riceve il 1°
premio del concorso fotografico
x
x
il secondo premio (consistente in un
buono acquisto del valore di 50 euro della ditta Randazzo) a Maurizio Carabillò
per la foto “Alce Dormiente” (nella copertina del calendario al centro in basso)
“per la spontaneità, il taglio divertente ed
ironico dello scatto, oltre che per una
buona tecnica”;
il terzo premio (consistente in un buono
acquisto del valore di 25 euro della ditta
Randazzo) a Luigi Fiscella per la foto “Vivere alla giornata” (nella copertina a destra accanto all’anno 2005) “per aver colto, pur in vacanza in un paese che offre
mille spunti più turistici, uno spaccato di
un normale momento di vita della persona che appunto vive come può, oltre che
per la giusta tecnica dello scatto.
Si è poi passati al concorso giornalistico. A questo concorso hanno partecipato
quest’anno solo tre soci: Luigi Fiscella, con il
set di articoli pubblicati sul numero di settembre/ottobre 2004 del nostro giornalino
dal titolo “L’altra Croazia”; Antonella e Giovanni Pitré con l’articolo “Al di là
dell’Adriatico”, che sarà pubblicato sul prossimo numero; e infine Enza Messina e Paolo
Carabillò con due articoli, il primo (già pubblicato sul numero di novembre/dicembre
2004) dal titolo “Alla scoperta di Berlino e
Dresda“, il secondo dal titolo “Il Baltico polacco”, che sarà pubblicato prossimamente.
Per premiare tutti i partecipanti e stimolare per il futuro la partecipazione di un
maggiore numero di soci a questo concorso,
da cui si alimenta la sezione dei viaggi del
giornalino, la Commissione – composta dagli
stessi membri della redazione (Alfio Triolo,
Giangiacomo Sideli, Mimma Ferrante e Maurizio Karra) – ha proposto al direttivo (che ha
accolto la proposta stessa) che a tutti e tre i
concorrenti fosse assegnato come premio il
volume “Molvanìa”, una simpatica e ironica
guida su un paese inesistente che proprio attraverso l’ironia vuole sfatare i luoghi comuni
dei viaggi. Ha altresì deciso di assegnare il
primo premio (un dizionario in tre volumi sugli architetti, sui pittori e sugli scultori siciliani) a Enza Messina e Paolo Carabillò per
l’articolo “Il Baltico polacco”, per l’ottima
chiarezza del linguaggio, l’interesse del contenuto e l’insieme delle informazioni utili che
vi sono riscontrabili.
Dulcis in fundo, ecco i premi per i
soci più meritevoli de 2004. Come ogni anno, infatti, sulla falsa riga di quanto anche altre associazioni fanno, è abitudine del nostro
Club premiare i soci più meritevoli, cioè quelli
che hanno seguito con maggiore assiduità le
iniziative del sodalizio e che hanno magari
anche collaborato col direttivo nella loro or-
ganizzazione e realizzazione. E sono state
prese in considerazione tutte le attività del Club
x le gite dei week-end e le visite di Palermo:
ai partecipanti è stato assegnato 1 punto,
a chi l’ha organizzato 1 punto in più;
x proiezioni di film e dia presso la sede sociale: ai partecipanti è stato assegnato 1
punto, a chi l’ha organizzato 1 punto in più;
x viaggi estivi di gruppo: ai partecipanti sono stati assegnati 3 punti, a chi ne ha organizzato uno 2 punti in più;
x concorso giornalistico e fotografico: ai
partecipanti è stato assegnato 1 punto, a
chi l’ha organizzato 1 punto in più;
x collaborazioni (foto e/o testo) al giornalino: per ciascuna collaborazione 1 punto,
a chi impagina il giornalino e a chi ne realizza la versione web 2 punti;
x aggiornamento banche dati estero: ½
punto ogni città/località per la quale sono
stati forniti aggiornamenti, 1 punto per
ogni nuova scheda;
x convenzioni: 1 punto per ogni convenzione firmata;
x capi di abbigliamento del Club: 1 punto per
ogni capo acquistato (felpe, k-way, zainetti)
x riunioni di direttivo: 1 punto per la partecipazione a ogni riunione dei componenti.
Matteo Graffagnini, socio rivelazione del 2004
In relazione a ciò, è stata stilata una
“classifica” di merito dalla quale è emerso che
i soci più “presenti” ed “attivi” sono stati:
N.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
COGNOME
KARRA
CARABILLO'
SIDELI
FIORENTINO
CRIVELLO
AMICO
PETRALIA
SPADONI
REA
MARASCIA
TRIOLO
FISCELLA
TRIOLO
PUCCIO
AMATO
PITRE'
ACQUISTO
CAMPAGNA
CAROLLO
GRAFFAGNINI
PALAZZOLO
CARUSO
GRISTINA
AMENTA
TOMASINO
NOME
PUNTI
MAURIZIO
131
PAOLO
44
GIANGIACOMO 40
ANTONINO
36
ADELE
31
GIOVANNA
29
PIETRO
24
EDUARDO
21
ELIO
20
MICHELE
18
ALFIO
18
LUIGI
16
VINCENZO
16
NUNZIATELLA
15
ALFIO
12
GIOVANNI
12
ANGELO
11
SERGIO
11
GIUSEPPE
11
MATTEO
11
GIUSEPPE
11
SILVANA
10
ENRICO
10
EMANUELE
9
MARIO
9
Esclusi ovviamente i componenti del
direttivo, sono stati assegnati dei premi a
Matteo Graffagnini, iscrittosi a inizio del
2004, quale socio rivelazione (una bella pubblicazione); a Giovanna Amico, Pietro Petralia
ed Eduardo Spadoni quali soci più partecipi
alle attività dell’anno (una borsa portadocumenti); e a Paolo Carabillò, per la seconda
volta, quale socio dell’anno (un set di degustazione di vini composto da 6 bicchieri borgogna e una carraffa). Al di là del valore intrinseco del premio, in tal modo si vuole
sempre testimoniare pubblicamente la stima e
la gratitudine per chi è più vicino al Club e, in
alcuni casi, non ha bisogno di essere un consigliere per collaborare alle varie iniziative.
M. K.
I soci più meritevoli del 2004: in alto Giovanna Amico, Pietro Petralia e, a
destra, Eduardo Spadoni. In basso il socio dell’anno, Paolo Carabillò, insieme al figlio Maurizio, mentre riceve il premio.
Passeggiando per il Capo
Il terzo appuntamento del programma “About Palermo”
E
ravamo poco meno di quaranta, la
mattina di domenica 16 gennaio, al terzo appuntamento del programma “About Palermo”,
che prevedeva la passeggiata per le vie di quello che un tempo era chiamato il Rione degli
Schiavoni, e che oggi è definito “Il Capo”. Insieme a noi la nostra guida, Filippo La Porta,
che ci ha accompagnato per tutta la mattina
all’interno di questa vasta area compresa tra il
Cassaro, la Via Maqueda e la zona nordoccidentale della distrutta cinta muraria della
città (dove adesso sorgono il Teatro Massimo
e il Tribunale), un tempo lambita dal Papireto.
Il quartiere nacque e si sviluppò urbanisticamente in età araba; il suo nome originario derivava dal fatto che, per l’insalubrità
dell’area dovuta alla depressione del fiume, erano stati dei pirati i primi a insediarvisi dopo
essersi resi per lungo tempo tristemente famosi per le loro razzie, gli atti di violenza e perfino
per il commercio degli schiavi (da qui il nome,
attribuito loro dal resto della popolazione, di
“Schiavoni”). Dopo il prosciugamento del fiume Papireto, a mano a mano il quartiere fu popolato anche dal resto della popolazione di Palermo, quella di condizione più umile e misera,
che vi edificò abitazioni modeste e prive di
qualsiasi servizio e si attivò soprattutto nel
commercio. Da qui la nascita a poco a poco di
uno dei più noti mercati popolari della città,
quello appunto che ancora oggi si chiama del
Capo e che, pur se solo in parte, anche la domenica mattina è aperto (e lo è stato per la
gioia di tutti i soci che vi hanno a fine visita effettuato acquisti in massa).
U riuni capu (cioè il rione principale:
“capu” dal latino caput) è rimasto un quartiere
di impronta araba, con una rete fittissima di
vicoli e vicoletti. Nell’800 si realizzò un grosso
sventramento ad “isole” e furono così create
anche delle piazze (come quella degli Aragonesi) oltre a quelle già esistenti (del Monte di Pietà, dei Quaranta Martiri, dei Beati Paoli).
Ad inizio della visita è stato subito
chiaro che la zona del Capo più prossima a
Porta Carini, che pullula tutti i giorni delle bancarelle del mercato ricolme di tutte le merci, si
caratterizza ancora oggi per una presenza assai
capillare di chiese, alcune delle quali in avanzato stato di degrado, altre invece di particolare
interesse storico e artistico. Fra queste particolare attenzione è stata dedicata alla visita della
Chiesa della Concezione, che faceva parte di
un vasto complesso conventuale sorto nel
‘500 per volere della nobildonna Laura Ventimiglia e che fu trasformato in ospedale alla fine
dell’Ottocento per essere poi abbattuto alcuni
decenni fa.
Uno scorcio del mercato del Capo.
In basso un particolare dell’interno
della chiesa dell’Immacolata Concezione
I lavori per la costruzione della chiesa
si svilupparono comunque soprattutto nel
‘600, allorquando lo stile barocco giungeva a
Palermo; la facciata è ancora tardorinascimentale, quindi abbastanza sobria, e nul-
la farebbe pensare agli addobbi che invece custodisce la chiesa al suo interno, definito dal
Bellafiore <<la rilevazione di un’epoca>>, quella del barocco fiorito, nel quale marmi policromi, ori, stucchi, affreschi fantasmagorici,
ferri lavorati e pietre preziose si fondono in un
trionfo sensuale che imponeva e impone ancora oggi rispetto e stupore.
Di fronte alle misere condizioni di vita
della gente che abitava nel quartiere, questa
chiesa voleva essere il simbolo della potenza di
Dio, nonché del fasto della Chiesa su ogni umana cosa terrena. Il fasto è tale che ci volle
più di un secolo perché l’interno fosse completato per opera di artisti ben noti (Olivio Sozzi,
Vincenzo Guercio, Pietro Novelli) e di altri rimasti del tutto anonimi. Colonne di marmo,
blasoni, arabeschi intarsiati, statue e stucchi:
tutto vuole testimoniare la sontuosità di
un’epoca e la ricchezza di un’arte senza uguali.
E ancora oggi non si può non rimanere a bocca aperta, come siamo rimasti tutti noi, davanti
a così tanta meraviglia.
Proseguendo nella passeggiata, il
gruppo ha poi raggiunto la Piazza del Capo, il
cuore del quartiere, da cui ha inizio la Via dei
Beati Paoli che si conclude nell’omonima piazza. Questa zona, al di là della sua odierna funzione urbanistica e delle architetture che vi
prospettano, ha riportato alla mente (grazie
anche alle storie e agli aneddoti raccontati dalla nostra guida) le vicende della setta segreta
che qui nacque e tenne il proprio quartiere generale a partire dal ‘600, e che secondo alcuni
fu alla base della nascita della mafia. I Beati
Paoli, che una certa letteratura d’appendice ha
cercato di dipingere in modo romantico come
un gruppo di novelli cavalieri alla Robin Hood,
secondo gli storici più accreditati erano solamente una banda di malfattori che vivevano
nell’ombra lottando contro una parte della nobiltà palermitana, uccidendo, effettuando delazioni e costruendo veri e propri dossier che
usavano poi per ricattare varie persone.
Si trattava, secondo il Pitrè, di una setta segreta (una sorta di servizio segreto deviato, anche per la presenza in incognito di membri delle gendarmeria) che si attribuiva la potestà di fare giustizia da sé laddove la giustizia
ufficiale non poteva o non voleva avventurarsi,
una sorta di giustizieri della notte di cui face-
vano parte anche giovani rampolli della nobiltà
che però a un certo punto iniziarono a effettuare crimini anche politicamente ingiustificati
e perciò intollerabili anche da parte di quella
sezione della popolazione che all’inizio li aveva
visti di buon occhio.
La tradizione vuole che questo nome
essi lo avessero in quanto uomini devoti; <<di
giorno andavano vestiti da frati dell’ordine di
San Francesco di Paola e se ne stavano nelle
Chiese a recitar rosari; di notte si accordavano
intorno a ciò che avean veduto o saputo e ordinavano le vendette da fare>>, scriveva nel
‘700 il Villabianca. La setta aveva la sua sede in
una grotta, esistente ancora oggi, nel Vicolo
degli Orfani, quindi a ridosso della Piazza dei
Beati Paoli, presso la chiesa dei Santi Cosma e
Damiano; qui le riunioni avevano luogo la notte e i vari adepti vi giungevano attraverso vari
cuniculi sotterranei di cui ancora oggi la vecchia città è piena (anche se oggi essi risultano
murati), taluni raggiungibili dalle cripte di alcune chiese vicine e meno vicine.
I soci del Club in Piazza dei Beati
Paoli, intabarrati per il freddo
Proseguendo ancora avanti dopo aver
a lungo commentato della storia dei Beati Paoli, il gruppo dei nostri soci è quindi giunto alla
piazza dove tuttora sorge l’antico Monte di Pietà. Il Senato palermitano decise l’istituzione del
Monte di Pietà nel 1541 col favore del Vicerè
Ferdinando Gonzaga e lo trasferì in questo palazzo, costruito a fine ‘500 e dedicato alla Patrona della città, Santa Rosalia. Vi si prestava
denaro al tasso del 6% contro cessione in pegno di ogni sorta di merci, escluse quelle di
lana, che potevano quindi essere richieste entro tre anni dal deposito; ciò che non veniva
ritirato entro detto termine, finiva venduto
all’asta. Nell’occasione le campane chiamavano
a raccolta gli interessati. L'edificio, com’è noto,
oggi non è più adibito a Monte di Pietà, poiché
questo - assorbito dal Banco di Sicilia - è stato
trasferito alla fine del secolo XX in locali più
moderni in altra zona della città.
La passeggiata si è quindi conclusa
con la visita di un’altra chiesa simbolo del rione, quella di Sant’Agostino; si tratta, dal punto
di vista storico, di un’architettura unica nel
contesto palermitano: eretta in età angioina a
metà del ‘200, la chiesa fu voluta soprattutto
da due famiglie nobiliari dell’epoca, gli Sclafani
e i Chiaramonte, che provvedettero con le loro
donazioni alla sua costruzione apponendo
quindi i loro stemmi ai due lati del portale della
chiesa. Alla nuda e semplice pietra viva della
facciata si contrappongono lo splendore del
portale, impreziosito da arabeschi a motivi astratti geometrici e floreali, e l’eccezionale bellezza del rosone, che è la caratteristica stilistica
principale di tutta la chiesa. Si tratta di un insieme di colonnine intrecciate ai margini quasi
da formare un motivo a stella, in cui il motivo
dell’arabesco medioevale si mostra in uno dei
suoi esempi massimi.
L’interno della Chiesa, a unica e o-
blunga navata, fu ristrutturato nel ‘700 e oggi
è un insieme di stucchi che mal si conciliano
con l’esterno. Il Serpotta fu chiamato, infatti, a
decorare le pareti della Chiesa nel momento in
cui tra la fine del ‘600 e l’inizio del secolo successivo si pose mano a una ristrutturazione
della parte interna; utilizzò l’arte massima del
tempo, ossia lo stucco, per raffigurare tra i vari
panneggiamenti santi e figure allegoriche,
nonché angeli e puttini che appesantiscono di
molto tutto l’insieme.
Splendido il cinquecentesco Chiostro
degli Agostiniani, accanto alla chiesa, una parte del quale (quello che dà a sua volta accesso
all’antica sacrestia) conserva alcune colonnine
e fregi trecenteschi. Tutto l’insieme, con il bel
giardino interno, ha offerto a tutto il gruppo
dei soci del Club un’immagine di rara bellezza e
di serenità e gli ultimi attimi di “cultura storica”, prima che un po’ tutti, a piccoli gruppetti si
perdessero famelicamente tra le bancarelle del
vicino mercato per i loro acquisti. Ma, alla fine,
non è anche questa cultura?
Maurizio Karra
Alcuni soci del Club nel Chiostro degli Agostiniani
Fra castellane e cavalieri
La prima gita del 2005 nel borgo medievale di Caccamo, alla scoperta del
suo poderoso castello, delle sue belle chiese e delle sue prelibatezze alimentari
T
ra gennaio e febbraio, si sa, si
susseguono i giorni più freddi dell’anno, e ciò
accade – anche se in misura meno marcata anche nella nostra Sicilia, l’isola del sole per
antonomasia; ma, a differenza di altri club che
in questo periodo, a parte le escursioni in
montagna per la neve, sono costretti a diradare al massimo le uscite in camper o a andare quasi in letargo, noi riusciamo, magari con
un po’ di difficoltà e circospezione, ad approfittare di qualche giornata più calda e più soleggiata per organizzare anche delle gite invernali.
E così l’inclemenza atmosferica non
ci ha tenuto lontano dai nostri amati camper
nemmeno a gennaio, facendo sì che al primo
raduno del Club nel 2005, fissato a Caccamo
nel week-end del 22 e 23 gennaio, partecipassero numerosi equipaggi, che si sono dati
appuntamento nel comodo parcheggio ai piedi del castello della cittadina. Qui, dopo i saluti di rito, ci hanno dato il benvenuto le simpatiche guide dell’Associazione culturale “Sicilia
e dintorni”, incaricate nel corso del pomeriggio del sabato e della mattina della domenica
di farci esplorare la cittadina medievale.
La prima sosta è stata presso la sede
della stessa associazione dove ci sono stati
offerti degli assaggi di tuma e della rinomata
salsiccia asciutta locale; e poi, lungo le scalinate che collegano le diverse altezze del borgo, situato a 521 metri di altitudine e scavato
in uno sperone roccioso alle falde del monte
San Calogero, si è dato il via all’esplorazione
della Terravecchia, il quartiere costruito a ridosso della roccia e del castello. Qui le costruzioni si susseguono una dopo l’altra in un
insieme labirintico, dove le pareti rocciose
sono una presenza costante e le scale si inerpicano lungo pendenze da brivido.
Ai piedi del castello si allarga la scenografica Piazza Duomo, su cui si affaccia la
chiesa più importante della cittadina, dedicata
a San Giorgio, la chiesa delle Anime Sante del
Purgatorio, che ospita alcune catacombe, oltre a quella del SS. Sacramento, e l’ex-Monte
di Pietà.
E’ giunto poi il momento di esplorare
un altro aspetto dell’identità cittadina, quello
gastronomico, “assaltando” letteralmente una
macelleria che metteva in “mostra” la specialità locale, la rinomata salsiccia asciutta che
avevamo anche appena degustato, oltre
all’ottima carne di vitelli allevati come una
volta nelle campagne limitrofe al paese. Ultimo appuntamento della sera la vicina pizzeria
“La castellana” dove attendeva tutti una bella
tavolata al calduccio dove stemperare il freddo pungente e l’ovvio appetito che nel frattempo era sopraggiunto.
Due murales del centro
La mattina della domenica, dopo un
buon sonno ristoratore, non disturbato dalle
intemperanze digestive, ci siamo rituffati nelle
stradine in pietra viva del centro storico del
borgo, dove occhieggiano qua e là pregevoli
murales con dolci castellane e prodi cavalieri
che fanno tornare con la fantasia in piena atmosfera medievale, prima di cominciare la
“scalata” verso il castello, che si erge sul punto più alto della rupe. Il suggestivo maniero,
sicuramente uno dei più grandi dell’isola, risale al periodo normanno, anche se è stato sistemato e ampliato fino all’inizio dell’800, divenendo una fortezza inespugnabile prima e
una residenza nobiliare poi, grazie ai vari abbellimenti intrapresi dalle varie famiglie di signorotti che vi si sono succedute.
Vi si penetra da una suggestiva rampa
scavata nella roccia, fiancheggiata da merli e
da una costruzione caratterizzata da bifore,
prima di raggiungere la corte interna, denominata “atrio a tenaglia” perché in caso di assedio proprio qui i nemici venivano colpiti da
pece e olio bollente lanciato dalle finestre; si
prosegue, quindi, oltre un portale ogivale, lasciandosi dietro le scuderie e i locali del corpo di guardia, fino a raggiungere la corte centrale, caratterizzata dalla pavimentazione detta
a tela di ragno per consentire la raccolta delle
acque piovane nella sottostante cisterna. Nei
pressi si nota anche lo stemma cittadino, in
cui è visibile la testa di un cavallo e l’emblema
della Trinacria, da cui si fa derivare il nome
del borgo, dal cartaginese “Caccabe” che significa cavallo e che rimanderebbe all’epoca
della fondazione cittadina, quando i cartaginesi, sconfitti a Termini, avrebbero riparato
sulla rupe soprastante, dando vita al borgo di
Caccamo.
Penetrando nel “Piano nobile” del castello il gruppo si è poi ritrovato nel Salone
della Congiura, caratterizzato dall’originale
soffitto ligneo a cassettoni intagliato e dipinto, dove nel 1160 i Baroni siciliani, guidati da
Matteo Bonello, tramarono contro re Guglielmo, detto “il Malo”; da qui si susseguono
varie sale arricchite da resti di affreschi e arredate da imitazioni di mobili d’epoca (gli originali sono stati distrutti o depredati nel tempo), fino a raggiungere una vasta terrazza che
permette di ammirare un magnifico panorama
sulla vallata sottostante e sulla diga Rosamarina, realizzata laddove prima scorreva l’alvo
del fiume San Leonardo; peccato che in
quest’angolo che invita ad una bucolica serenità ci impiccassero i prigionieri!
Siamo poi tornati nel quartiere sottostante dove, dopo una rapida visita alla Mostra permanente della Civiltà Contadina, ambientata in una minuscola casa contadina addossata alla roccia, ci siamo recati dapprima
al Duomo di San Giorgio, risalente al XV secolo, che ospita numerose opere d’arte, e poi
alla chiesa di San Benedetto alla Badia, la più
bella della cittadina grazie al magnifico pavimento di piastrelle del Settecento che ingloba
diversi disegni nei colori solari, il blu, il giallo
e il verde, tipici della ceramica siciliana; il fulcro della composizione è sicuramente il vasto
pannello centrale in cui è raffigurata una tempesta che si scatena in mare e che fa bec-
cheggiare una nave, facendo ricorso alla simbologia del veliero sballottato dagli elementi,
ma non affondato, al pari della chiesa cattolica che può vacillare nel corso dei secoli, ma
che non sarà mai travolta dalle forze del male.
Dopo essere rimasti colpiti dalla magnificenza del pavimento e averne esplorato i
numerosi disegni che ne fanno un unicum nel
pur ricchissimo panorama artistico siciliano,
abbiamo concluso la visita di Caccamo con
l’esplorazione della chiesa della SS. Annunziata, che si innalza su due squadrate torri campanaria, una delle quali, la sinistra, era una
torre del sistema difensivo del castello risalente al XV secolo; al suo interno abbiamo
seguito un commovente battesimo, oltre ad
ammirare notevoli tele di arte sacra, sculture
e paramenti che ne fanno una sorta di museo
d’arte sacra, cui si contrappongono gli affreschi della cupola, realizzati a metà ‘900 da
Giambecchina e gli stucchi di scuola serpottiana.
Tra le cappelle della chiesa spicca
quella dedicata a San Nicasio martire, compatrono cittadino, che schiaccia un animale con
fattezze umane, in ricordo della peste da cui
liberò la cittadina nel Seicento; questo santo
si votò all’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, odierno Ordine dei Cavalieri di Malta, e su questo aspetto della sua
vita si sono ritrovati a discutere il nostro Enzo
Pugliesi, anch’egli appartenente all’Ordine, e il
parroco della chiesa, in cerca di approfondimenti sull’Ordine. Incredibile come da una
visita artistica possano scaturire tanti stimoli!
Dopo tante meraviglie non ci è rimasto che tornare alle nostre case su ruote, dove ci siamo sforzati di consumare un modesto
pranzo, per controbilanciare almeno in parte
gli stravizi alimentari delle feste; peccato che
la salsiccia asciutta occhieggiasse ammiccante sulle tavole di tutti i mezzi…
Mimma Ferrante
Piazza Duomo a Caccamo
La storia di San Nicasio e l’Ordine dei Cavalieri di Malta
P
oche sono le notizie storiche certe sulla vita di San
Nicasio, compatrono di Caccamo. Sembra che egli sia nato tra il
1130 e il 1140 e che sia morto martire nel 1187; di sicuro c’è
che fosse di origine siciliana, probabilmente palermitano, discendente dai saraceni per parte di padre e dai normanni per
parte di madre. Insieme alla famiglia nel 1088 il giovane Nicasio
si fece cristiano alla presenza di re Ruggero II che concesse alla
stessa in signoria il castello di Burgio (da quel momento la famiglia prese il nome di Burgio); ma, abbandonando lusso e ricchezze, in seguito Nicasio insieme al fratello Ferrandino abbracciò la vita religiosa come frate laico nell’Ordine Ospedaliero dei
Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, oggi noto come Ordine di Malta. Fra i voti presi vi era quello di dedicarsi al conforto degli afflitti e all’assistenza dei pellegrini in Terra Santa.
E alla volta della Terra Santa Nicasio si imbarcò nel 1185 da Trapani al seguito di Ruggero
des Moulins – Gran Maestro dei Gerosolimitani - per difendere il Santo Seplocro e per dare assistenza ai malati e ai feriti nell’Ospedale di San Giovanni in Gerusalemme. Ma il 30 giugno del 1187 il Sultano Saladino invase la città di Gerusalemme facendo strage dei cristiani, mentre i superstiti si rifugiavano al castello di Tiberiade in un ultimo tentativo di resistenza; ma qui, dopo pochi giorni, decimati e allo stremo, furono definitivamente sconfitti e fatti prigionieri con la morte in battaglia dello
stesso Ruggero des Moulins e di gran parte degli Ospitalieri. Anche Nicasio, che era capitano al seguito di Ruggero Des Moulins, fu fatto prigioniero durante la battaglia e, poiché si rifiutò di rinnegare
Cristo, fu decapitato alla presenza del Sultano. Quando l'Arcivescovo di Tiro, giunto a Palermo nell'estate del 1187, diede la notizia dell'uccisione dei fratelli Ferrandino e Nicasio al re Guglielmo II, questi si stracciò i lussuosi vestiti di seta, indossò un saio e andò in ritiro penitenziale per quattro giorni.
Nicasio fu venerato come martire sin dai primi anni dopo la sua morte. La venerazione pare
abbia avuto inizio proprio a Caccamo, ma un altare a lui dedicato esisteva già nel 1305 nella Chiesa
di San Pietro in Trapani. Scrive il Sacerdote Vincenzo Venuti nel suo "Discorso storico-critico su San
Nicasio Martire” edito nel 1762: "...ora dal dominio, ch'ebbe vicino di Caccamo la famiglia del Bur-
gio, o dalla divozione, che a San Nicasio professò la famiglia Cabrera, o per ambi i motivi, io stimo
essersi pian piano introdotto in Caccamo un qualche culto del nostro Santo Gerosolimitano...". I
Burgio, quindi, non erano Signori di Caccamo, ma furono padroni di un casale nei pressi della città
chiamato Caccamo minore, che estendeva i suoi confini con Termini Imerese, a quattro miglia da
Caccamo. A tal proposito si legge nel testamento di Roberto Lo Burgio datato 4 Luglio 1230
"...investit ex nunc et pro tempore post ejus mortem Dominum Rubertellum...Pheudi et Casalis Caccabi minoris, et de omnibus terris a dicto Casale descendentibus in vallonem usque ad confines
Hymeram...". Inoltre, un discendente della famiglia Burgio, Nicolò, sposò Leonora Maria Cabrera un
tempo Signora di Caccamo.
Se quindi il culto di San Nicasio si diffuse proprio a partire da Caccamo, ciò fu dovuto sostanzialmente a motivi ...politici dato che la famiglia Cabrera lo vantava come antenato volendo propagare la gloria del casato. Nel 1596 fu costituita anche una Confraternita a lui intitolata che rafforzò
la venerazione verso il santo che il 31 maggio 1625 fu definitivamente eletto Patrono di Caccamo
con il voto perpetuo della città a celebrarne la festa nell’ultima domenica di agosto e il lunedì successivo, in ricordo della traslazione della reliquia, trovata nella Cattedrale di Palermo, nella chiesa della
SS. Annunziata di Caccamo dove adesso si trova. Il 1° luglio è stato invece solennizzato come festa
liturgica in suo onore dal nuovo Martirologio Romano promulgato nel 2001 da Papa Giovanni Paolo
II e in tale data a Caccamo si celebra ogni anno una festa liturgica che si aggiunge a quella solenne e
tradizionale rimasta fissata all'ultima domenica d'agosto e al lunedì successivo.
La Semana Santa a Siviglia
Le processioni dalla Domenica delle Palme al Venerdì Santo danno
l’opportunità di una visita della grande città spagnola anche al di fuori
dei mesi estivi: un’idea anche per visitare la zona limitrofa, a condizione
che il maltempo del periodo non renda tutto più difficile e complicato...
I
l nostro viaggio è cominciato il 25
marzo 2004, nella tarda mattinata: da Vercelli
a Imperia tra pioggia battente e tuoni fortissimi, quindi, alternando strada statale e pezzi
di autostrada, St. Raphael, St. Marie de la
Mer, Aigues Martes per una passeggiata tra i
negozi dentro le mura e un po’ di shopping
per poi riprendere strada ammirando colonie
di fenicotteri rosa e bianchi cavalli al pascolo
tipici di queste zone. Costeggiando la costa
francese abbiamo attraversato Séte, bellissima e fiorita in questo periodo; quindi la statale n. 9 fino a Perdignon, poi l’autostrada. Superata Barcelona, eccoci per una brevissima
siesta a Tarragena, con visita al centro storico
e poi di nuovo in viaggio fino a Peniscola, bellissimo paese sulla costa chiamata la St. Michele spagnola.
Qui un eccezionale ondata di maltempo ci ha tenuti fermi una giornata intera,
pioggia intensa, forti raffiche scuotevano i
nostri camper, mareggiate, alberi abbattuti:
insomma è nevicato fino a Valencia, il che è
tutto dire… Che si fa in questi casi? Si sta
tranquilli fino a quando torna la calma, ed è
quello che abbiamo fatto noi, non siamo scesi
neanche per comprare il pane; per fortuna il
giorno dopo siamo potuti ripartire.
Lasciata Peniscola siamo andati a
Murcia ma non siamo riusciti a trovare posto
vicino al centro così abbiamo proseguito. Se
capitate da quelle parti fate un salto, anche
solo un giro in camper, ad Elche dichiarato
patrimonio dell`umanita` per le 300 mila
palme disseminate per la città; volute dai Fenici , risalgono al I secolo a.C.
Poco distante da Murcia siamo andati
a visitare il Monasterio di Las Jeronhimos,
sede di una prestigiosa Università Cattolica.
Abbiamo pernottato in un parcheggio custo-
dito tutta la notte gratis. Dalla costa ci siamo
inoltrati così verso l’interno dove lo scenario
cambia, con zone desertiche dove sembra
che Sergio Leone abbia girato alcuni film western senza dover andare in Arizona (il sito si
presta!). Abbiamo visitato Cahegui, paese che
ha in alto il borgo medievale, mentre la parte
moderna si è sviluppata in basso, Caravaca de
la Cruz, con negozi con roba di corredo ricamata a mano a prezzi veramente buoni.
Quindi ci siamo diretti a Siviglia per
assistere alle manifestazioni della rinomata
“Semana Santa”, dove è possibile fermarsi al
campeggio Dos Ermanas, distante 14 km dal
centro ma vicino alla fermata dell’autobus.
La settimana Santa é iniziata la Domenica delle Palme con una processione.
Premetto nel dirvi che tutte le processioni
partono dalle varie parrocchie e arrivano tutte
in Cattedrale, entrano e poi ritornano nelle
chiese d’origine. Le “vare”, di gusto tipicamente barocco, addobbate con fiori, candelabri, stendardi e coperti da baldacchino sono
tutte portate rigorosamente a spalle, anzi appoggiate sulla nuca, dai costaleros. A volte
occorrono dalle 40 alle 80 persone per portare questi gruppi statuari pesantissimi (quella
che pesa di meno é una tonnellata e mezzo!).
Due immagini delle solenni processioni che si svolgono a Siviglia
C’é una sorta di capitano che coordina il tutto, e i portatori debbono essere perfettamente sincronizzati. L’andatura é segnata
dalla banda musicale, a volte dondolano, a
volte accelerano un po’, spesso si fermano
per darsi il cambio. Questi portatori non si
vedono perché le “vare” sono coperte
tutt’attorno da drappi, e sembra che queste
statue si muovano da sole.
Ogni processione ha la statua della
Madonna Addolorata; alcune Madonne sono
addobbate con un manto non di colore nero
ma beige: manto molto prezioso ricamato
con fili dorati, poi una o due, con i misteri,
Gesù nell’orto, l’Ecce Homo etc… questi
gruppi sono preceduti da Nazaries, a volte
sono 1000, altre volte anche 2500; sono
confraternite, ma anche penitenti che sciolgono qualche voto. Sono tutti incappucciati e
a volte ci sono anche dei ragazzini e perfino
dei bambini.
Una processione inizia alle ore 14 e
si ritira magari alle 4 del mattino, vuoi per la
distanza dalla Cattedrale, vuoi per il numero
dei Nazaries che vi prendono parte. A volte,
durante il percorso, uomini o donne, gitani,
cantano dei brani struggenti, sembrano lamenti, fanno venire la pelle d’oca.
Tutti i giorni ci sono processioni, Siviglia si ferma, la folla segue, uomini, donne,
bambini, vecchi, sivigliani e turisti: insomma,
é impossibile camminare. Attorno alla Cattedrale e lungo il percorso obbligato da dove
transitano le processioni, migliaia di sedie a
pagamento come agli spettacoli: 25 euro per
i primi posti che si prenotano anzitempo, 7
per gli ultimi (e non sono rimborsabili a causa
della pioggia, ne puoi utilizzarli il giorno dopo… noi ne abbiamo sprecati 4 a causa della
pioggia).
Giovedì e venerdì festa per tutti: negozi, uffici, scuole chiuse, solo le panetterie
assicurano pane fresco. Ogni cosa sembra
fermarsi, esiste solo la processione. Il culmine é la notte di venerdì: c’é la madrugata, la
processione più importante che dura tutta la
notte fino alle 13 del giorno dopo.
Quest’anno é saltata a causa del maltempo
che ha caratterizzato tutto questo periodo;
data la preziosità di queste sculture, in caso di
pioggia evitano di portarle in giro per non farle rovinare. Appena il tempo dava un po’ di
tregua, spuntava inevitabilmente una processione, così é stato per tutta la settimana. Per
gli spagnoli é una festa. Vedi gente che segue, secondo me, non con spirito devoto ma
per uscire, per farsi vedere. Mangiano sempre
ad ogni ora del giorno e della notte, lasciando
per strada un immondezzaio: bottiglie, lattine
e quant’altro cosicché le strade sembrano un
campo di battaglia e squadre di operatori ecologici lavorano alacremente per riportare tutto alla normalità.
Questa é la “semana Santa” a Siviglia,
dove sacro e profano s’intrecciano, dove le
tradizioni s’intersecano con il moderno ma
che lasciano il segno per la loro particolarità;
una manifestazione che consiglio a tutti di
andare a vedere (e qui l’augurio di avere più
fortuna di noi per il tempo).
Testo di Maria Agnese Di Carlo
Foto tratte dal sito www.sol.com
La Pasqua in Calabria
Dal Pollino all’Aspromonte riti e tradizioni delle varie comunità che
abitano in questa regione ricchissima di storia
L
a Calabria non è solo uno
scrigno in cui si conservano le più antiche
tradizioni italiche. La Calabria è una regione
di confine, in cui il corso della storia ha
lasciato tracce evidenti di colonizzazioni e di
culture differenti. E le montagne aspre e
rocciose sono state un baluardo che ha
protetto ed isolato i patrimoni etnici,
linguistici e religiosi.
Così tra le valli e le montagne a
tratti inaccessibili della Sila, dell'Aspromonte
e del Pollino, isolate da fiumare, da costoni
e da abetare, le comunità albanesi,
grecaniche e occitane si tramandano retaggi
e tradizioni, che assumono particolare
valenza nella Settimana Santa.
La Gucciadata di Stilo
e i Vattienti di Nocera
A Stilo, paese famoso per La
Cattolica, una sorprendente chiesa bizantina
che domina la valle, giovedì santo si prepara
la Gucciadata, un pane tipico, portato in
processione infilato sulla punta delle croci e
lasciato sui campi per propiziasi una buona
annata di raccolti. Durante l’omelia vengono
offerti arance e vino e a fine messa inizia
una lunga processione, seguita dai fedeli a
piedi nudi, in cui tutti i presenti portano una
croce di legno fino al calvario. La notte sarà
di veglia, con intonazioni di antiche nenie. Il
giorno dopo, durante la processione
dell’Addolorata,
s’innalzano
canti
accompagnati da strumenti a fiato i cui testi
risalgono al genio creatore di Pietro
Metastasio, le cosiddette “tre ore di agonia”.
Tra i riti più cruenti e antichi della
Calabria millenaria, vi è poi quello de “I
Vattienti”.
Davanti
alla
statua
dell’Addolorata, il sabato santo a Nocera
Tirinese, sfila la processione dei penitenti,
mortificati ed umiliati nelle carni. In luoghi
riservati avviene il rituale di vestizione e di
preparazione dei vattienti e degli acciomu
(Ecce homo) che li accompagnano. I
vattienti vestono di nero, con maglia a
maniche lunghe e pantaloni corti rimboccati,
sul capo portano un fazzoletto nero
(mannile); gli acciomu hanno il petto
scoperto, ma le gambe avvolte in una sorta
di lunga sottana rossa; entrambi restano
scalzi e portano sul capo una corona spinosa
(spine sante); inoltre sono legati fra loro, alla
vita, con una lunga cordicella. I vattienti
hanno nelle mani un fiore di rosa e un
cardo: è questo un sughero in cui sono
infissi tredici taglienti aculei di vetro.
Poi i vattienti, con i loro acciomu,
percorrono le strade del paese; con il cardo
si percuotono ripetutamente le cosce e i
polpacci producendosi estese ferite, poi
intridono di sangue la rosa e arrossano il
petto dell'acciomu, oppure lasciano
un'impronta sanguigna (rosata) presso la
porta di amici e parenti, in segno di
fratellanza. Il vattiente e il suo compagno
sono seguiti da un terzo uomo, il quale di
tanto in tanto versa sulle ferite vino misto ad
aceto; si ottiene così una sommaria, anche
se dolorosa, disinfezione, che ha anche lo
scopo di ritardare la coagulazione e
permettere
un
più
abbondante
sanguinamento.
Le manifestazioni della
comunità greco-albanese
Cinque secoli fa, per fuggire
all’invasione turco musulmana, a seguito del
grande eroe nazionale Skanderberg, gli
albanesi arrivarono in Italia, stabilendosi in
Lucania ed in Calabria, a Civita, Castrovillari,
San Giorgio e San Cosimo, tanto per citare
quattro tra i centri più famosi. Siamo in Sila
e sul Pollino, in mezzo a boschi puntellati da
decine di paesi arberesh, dove le
segnaletiche stradali sono in doppia lingua.
Proprio a Pasqua, si può assistere da
queste parti alle splendide funzioni di rito
greco-bizantino, magari officiate dall’Eparca,
nella cattedrale levantina di San Nicola di
Mira, o ammirare le vesti ridondanti degli
officiali o gustare i piatti tradizionali della
cultura d’Albania.
A Civita, il lunedì dell’Angelo, si
aprono i "vallje", i balli nazionali arbèreshe
che da cinque secoli sono il simbolo
dell'unità di tutte le comunità di origine
albanese. La "valija" viene ballata da maschi
e femmine in cerchi concentrici che si
avvicinano e si allontanano, accompagnata
da canti corali che ricordano le vittorie di
Skanderberg contro gli ottomani. I ballerini
hanno indosso splendidi costumi, stoffe
pregiate intarsiate di ricami e di colori. La
sfilata è aperta e chiusa da abilissimi
portabandiera che si esibiscono in
spericolate evoluzioni.
E appena sorge il sole, la domenica
di Pasqua s’innalzano tra le nebbie del
mattino gli antichi canti augurali in lingua
albanese, le suggestive Kalimere. Lunghe
processioni che si snodano tra le strade
silenti del paese.
I riti nell’aspromonte
Tra le montagne aspromontane,
ricche di boschi e di fiumare, solcate da
pendici di olivare e macchie odorose di
salsedine, vette e valli di lecci, faggi e pini, si
scopre poi il mondo antico delle comunità
grecaniche. A Bova, Gallicianò, Condofuri si
parla un linguaggio incomprensibile per tutti
i calabresi che nel corso dei secoli passati si
è evoluto in piena autonomia, avvicinandosi
in modo sorprendente al greco d’oggi
giorno.
Per tutte le comunità grecane
calabresi, Bova è considerata la capitale
socio-culturale. Ogni anno nel paese si
svolge un raduno che coinvolge la
collettività sparsa per il territorio bruzio, con
manifestazioni ricche di arte e di cultura:
canti, balli e rappresentazioni di teatro, brani
di antica tradizione.
Lasciato alle spalle Bivongi e
inerpicandosi per la montagna brulla, si
arriva al monastero di San Giovanni
Theristis, fondato da monaci greci intorno
all’anno 1000, provenienti dal Monte Athos.
Tra i ruderi della basilica, in parte restaurata,
a cielo aperto, dall’alba a notte fonda si
celebra la domenica di Pasqua secondo il
rito greco-ortodosso. Il silenzio assoluto è
rotto dai canti e dalle preghiere dei pochi
monaci che risiedono nel piccolo monastero
adiacente, poche celle e una cappella. Le
stelle che si addossano l’un l’altra in un cielo
segnato da fasci luminosi e il chiarore delle
luci lontane dei paesi si perdono tra le
lingue di fuoco tremolanti delle fiaccole, che
illuminano lo sperone roccioso e i resti della
basilica millenaria. Un viaggio mistico tra
natura e religione.
I riti dei valdesi
E infine eccoci ai valdesi (o
occitani), una minoranza etnica insediatasi
presso l'attuale zona di Guardia Piemontese,
in provincia di Cosenza, fra Cetraro e
Fuscaldo. I loro discendenti abitano ancora
in questo borgo montano dove tutto il
territorio presenta un impianto medievale,
con mura di cinta, case in pietre e tortuosi
vicoli.
La popolazione conserva la parlata
occitana e i costumi femminili tradizionali
vengono indossati nelle feste religiose, e
quindi anche nella Settimana Santa. Quando
si entra in paese dalla Porta della Strage, il
monumento ricorda ancora la persecuzione
ordinata dal cardinale Ghislieri in cui i
valdesi furono orrendamente massacrati.
Giorgio Gigliotti
La Giudaica di Laino Borgo
A Laino Borgo, antico paese alle pendici del Pollino quasi al confine con la Basilicata, si
svolge ogni due anni (negli anni pari) la più grande manifestazione sacra del periodo pasquale
della Calabria. Si tratta della Giudaica, una manifestazione grandiosa che ha luogo nell’arco di
tutta la giornata del Venerdì Santo, dalle 9 alle 18, con un intervallo di circa 90 minuti per il
pranzo, e che trasforma il paese in un antico villaggio della Galilea o della Palestina. Tutto risale
infatti al XVI secolo, da un antico manoscritto scritto da un abitante di Laino, Domenico Longo,
che era stato in viaggio in Palestina; un manoscritto che l’intera popolazione del paese ha fatto
suo al punto che non c’è famiglia in cui almeno un componente non abbia preso parte a diverse
edizioni della rappresentazione.
La rappresentazione oggi annovera oggi circa 200 attori non professionisti, scelti
esclusivamente tra la gente del luogo, che recitano 19 scene in vari punti del paese che diviene
così per tutto quel giorno esso stesso teatro delle ultime ore della vita del Cristo, dall’Ultima
Cena alla Cattura di Gesù nell’orto degli ulivi, dal processo di Gesù alla flagellazione, dalla Via
Crucis alla Crocefissione e alla Deposizione.
Il risultato è di impatto sorprendente e dà vita ad un’emotività profonda, in grado di far
rivivere il processo, la condanna e la crocifissione di Gesù Cristo come se l’intera storia si stesse
svolgendo per la prima volta in quel momento, tanto che l’illusione di ritrovarsi 2000 anni
indietro nel tempo è così forte che si ha la netta impressione di poter intervenire sugli
avvenimenti che si vanno compiendo per cambiarne il finale, immedesimandosi nei vari
personaggi e ritrovandosi a soffrire per Gesù Cristo, ad indignarsi per l’intervento degli Ebrei e a
piangere con la Madonna. Le urla dei soldati romani, il lavaggio simbolico delle mani di Ponzio
Pilato e i vaneggiamenti di Erode fanno da contrappunto alle ultime parole di Gesù nel corso
dell’Ultima Cena, in un caleidoscopio di sensazioni, di colori e di sentimenti che si stemperano
sempre più nella sentita partecipazione al calvario di Gesù Cristo, fino ai drammatici momenti
della crocefissione e della deposizione, con il volto devastato dal pianto della Madonna che tiene
in braccio il corpo morto del Figlio di Dio.
Mimma Ferrante
Al di là del Mediterraneo
Alla scoperta della Tunisia mediterranea, tra coloratissimi souk, esotiche
medine, moschee dense di misticismo e siti archeologici di epoca romana
V
i sono luoghi che, anche se vicini
geograficamente, sono in realtà lontani anniluce dal mondo occidentale da un punto di vista culturale, religioso e paesaggistico; uno di
questi è sicuramente ben rappresentato dal
pianeta Tunisia, situato appena al di là del Mediterraneo, ma in grado di coinvolgere emotivamente con il suo esotismo qualunque viaggiatore.
Infatti le prime immagini esotiche accolgono già all'uscita del porto della Goulette,
con i cartelli stradali in caratteri arabi, le numerose palme e l’inconsueto abbigliamento arabo
di uomini e donne; ma anche la notte tunisina
ha una buona dose di esotismo, grazie alla particolare colonna sonora imbastita poco dopo le
4 del mattino sulle note del canto del muezzin
che, invitando con la sua nenia struggente i
fedeli alla preghiera mussulmana, dà il benvenuto in terra islamica.
Cartagine
La prima tappa in questa terra così
“lontana” dall’Europa ci riporta indietro ad un
passato comune: si tratta di Cartagine, fondata
secondo la leggenda nel IX secolo a. C. da Didone, della cui travagliata storia rimangono
numerose tracce. Passeggiando tra le odierne
rovine non si riesce, comunque, a far rivivere
nell’immaginazione una delle metropoli più ricche dell’antichità che nel periodo di massimo
splendore arrivò a contare 400.000 abitanti e
che osò sfidare Roma. Una sfida che Cartagine
pagò duramente quando nel II secolo a. C.,
dopo numerose battaglie dagli esiti alterni, fu
costretta infine a cedere alla supremazia dei
romani che la saccheggiarono riducendo i suoi
abitanti in schiavitù ma fondando sullo stesso
suolo una colonia che conobbe numerosi altri
secoli di prosperità.
Ed è appunto dalla Cartagine romana
che ha inizio la nostra visita, con l’esplorazione
dell’enorme estensione delle Terme di Antonino che occupano uno spazio di 4 ettari, il cui
cuore è costituito dalla grande sala centrale del
frigidarium, scandita da due altissime colonne
in grado di dare soltanto un’idea delle dimensioni ciclopiche della costruzione; basti pensare che il capitello corinzio di una delle due colonne, ricollocato nel XX secolo, alto 1,80 metri pesa da solo oltre 4 tonnellate. Dalle terme
si vede il muro bianco che circonda l’adiacente
Palazzo Presidenziale, verso cui è assolutamente vietato fotografare. Poco distante è il quartiere delle Ville romane, che è un antico quartiere residenziale romano sorto sull’area di una
necropoli punica, dove una delle ville più significative è la cosiddetta “casa della voliera”, risalente al III secolo, ornata da colonne provenienti da una corte a peristilio e da un notevole
pavimento a mosaico, nel quale si distingue
anche la lupa con i neonati Romolo e Remo, a
riprova dei forti legami che vi erano tra la madre patria e i coloni africani dell’impero. E’ poi
il turno del teatro, risalente al II secolo d.C.
che, dopo essere stato ricostruito, ospita le
rappresentazioni del festival culturale di Cartagine.
L’ultima sosta cartaginese è presso il
Museo Nazionale, situato sulla collina che domina l'abitato, accanto all’ex-cattedrale di St.
Louis, edificio in stile bizantino-moresco della
fine del XIX secolo; ai piedi del museo si possono ammirare resti consistenti di costruzioni
puniche, nel sito originario tracciato alla nascita della città, nel quale si possono individuare
quartieri di abitazione del II secolo a.C., eretti
prima che Roma fagocitasse la nemica Cartagine. Il museo ospita notevoli reperti di età
romana e bellissimi mosaici appartenenti in
buona parte ad una ricca villa romana posta
nelle vicinanze dell’anfiteatro; ma le sue collezioni ripercorrono tutti i passi salienti della travagliata storia cittadina, mettendo in mostra
anche reperti punici, come steli funerarie, sarcofagi, ceramiche e oggetti di corredo funerario come maschere e amuleti che permettono
di gettare uno sguardo su questa antichissima
civiltà.
Sidi Bou Said
Vicinissimo a Cartagine è Sidi Bou
Said, il villaggio moresco più pittoresco della
Tunisia; il paesino è un’autentica sinfonia di
due colori, il bianco delle case ad uno o due
piani e l’azzurro degli artistici portoncini decorati, delle finestre e delle ringhiere, che si riverbera all’infinito, creando un colpo d’occhio
straordinario. L’insieme è molto suggestivo ed
è arricchito da numerosi particolari che contribuiscono ad esaltarlo: i muretti bianchi posti
davanti ai giardini delle case, per assicurare
privacy agli occupanti, le piante di bouganville
coloratissime che ne prendono possesso, i panorami spettacolari sul golfo di Tunisi e una
miriade di negozi di artigianato (rame, argento,
pelle, monili, ceramica) al cui interno una sosta
è praticamente obbligatoria.
Merita una tappa anche il caratteristico
Cafè des Nattes, al cui interno si può gustare
un ottimo tè al gelsomino accovacciati sulle
stuoie completate dai bassi tavolini
all’orientale; alle sue spalle sorge la moschea,
costruita dopo la morte di Abou Said, l’asceta
che nel XIII secolo rese la cittadina base di diffusione del surfismo, rendendola un luogo santo per i mussulmani.
La penisola di Cap Bon
Ci spostiamo, quindi, verso la penisola
di Cap Bon, e lungo la C.43 ci dirigiamo a Kelibia attraverso le campagne coltivate dove assaporiamo un’altra Tunisia, quella agricola, con
case molto più modeste, contadini intabarrati
in una sorta di saio con cappuccio al lavoro
con i muli e donne completamente avvolte in
mantelli bianchi trattenuti con le mani e con
…la bocca. Le strade, che pure hanno un tracciato molto ampio, sono asfaltate soltanto al
centro delle due corsie, mentre ai lati vi sono
due altre corsie sterrate usate dai trattori e dai
numerosi pedoni. Il monumento più importante di Kelibia è la fortezza bizantina del VI secolo, perfettamente conservata con i suoi merli e
il suo giro di ronda dal quale si gode un panorama spettacolare sulla cittadina e sul mare
circostante; pare che da qui nelle giornate limpide si riescano a scorgere le coste siciliane,
distanti appena 150 chilometri.
La tappa seguente. lungo la C.27, è la
cittadina di Nabeul, capitale di Cap Bon e della
ceramica tunisina; la ceramica è una sorta di
filo conduttore alla scoperta della cittadina e si
ritrova sulle facciate delle case, sui muri e sulle
numerosissime vetrine dei negozi, attorniati da
una folla variopinta.
Ad una ventina di chilometri sorge
Hammamet, con i vicoli bianchi della medina, il
mercato coperto, gli infiniti negozietti che lo
popolano e le possenti mura della kasbah del
XV secolo; al di fuori delle mura della medina
si stendono larghi viali incorniciati da palme di
impronta europea, che si affacciano su una
spiaggia di sabbia fine come il borotalco.
Sousse
Verso sud lungo la A.1 (al momento
l’unico tratto autostradale tunisino) si raggiunge Sousse; la città, la terza della Tunisia, appare subito caotica, più sporca delle precedenti,
ma probabilmente più vitale e autentica. Le
mura ocra racchiudono la medina, al di là delle
quali ci si apre davanti un mondo degno di Alì
Babà: dovunque variopinti mercati alimentari,
negozietti di vario genere e artigianato stupendo. Nella grande piazza centrale si fronteggiano scenograficamente il Ribat, il monasterofortezza in cui nell’VIII secolo i monaci guerrieri facevano la guardia per non permettere lo
sbarco degli infedeli cristiani, dai cui merli si
gode una vista magnifica sui tetti cittadini e la
Grande Moschea (di cui è visitabile, così come
tutte le altre moschee, soltanto il cortile interno sul quale si affaccia la sala della preghiera).
Sistemato nella massiccia Kasbah vi è il
Museo cittadino che ospita notevoli mosaici
romani con scene che si riferiscono alla mitologia, alla caccia e alla pesca, in cui uno dei
pannelli originali mostra dei gladiatori che uccidono le fiere, mentre un uomo attende di
premiare il vincitore con corposi sacchetti di
pecunia. Indubbiamente il dio denaro non è
un’invenzione moderna! Meritano una sosta
anche i pittoreschi vicoli della medina dove, in
un bailamme coloratissimo di merce variopinta, è facile ritrovarsi a guardare i fumatori di
narghilè e ad annusare le ottime essenze artigianali di profumi di Kamel Essausi, il cui negozietto sistemato in stile rococò dai forti influssi
francesi si discosta nettamente dallo stile tipico
della medina.
Monastir
A pochi chilometri a sud sorge Monastir, raggiungibile attraverso la C.92, in uno
scenario in cui la sabbia e le palme prendono
sempre più possesso dell’orizzonte; la cittadina
si rivela deliziosa, con l’onnipresente medina
piena di tentazioni, il possente Ribat dell’VIII
secolo con un giro di ronda perfettamente
conservato che permette di ammirare un panorama splendido e un interessante museo di arte islamica, il suggestivo mausoleo di Bourguiba, il presidente tunisino che ha portato la nazione all’indipendenza dalla Francia, caratterizzato da una solare cupola dorata che evoca
atmosfere da mille e una notte, la grande moschea del IX secolo e il porticciolo dove si possono ammirare numerosi yacht da svariati miliardi. Qui è più che mai visibile il doppio volto
della Tunisia: da un lato nazione fermamente
proiettata verso l’occidente e il turismo, voce
che da sola copre il 47% del prodotto interno,
dall’altro erede delle sue tradizioni e culla
dell’islamismo, in un connubio che la rende
davvero affascinante e molto godibile dal punto di vista della scoperta.
El Jem e Sbeitla
Lungo la P.1 in direzione sud si raggiunge El Jem, dove si può ammirare il grandioso anfiteatro, il terzo per grandezza di tutta
la romanità e il primo dell’Africa, in grado di
ospitare 30.000 spettatori; tutto attorno al sito
archeologico si affacciano numerosi negozi di
antiquariato, pieni zeppi di oggetti molto belli,
tra cui piatti e vasi in ceramica berbera con disegni blu e filigrana d’argento.
Ad ovest di El Jem sorge il sito archeologico di Sbeitla, l’antica Sufetula; le rovine occupano uno spazio molto ampio e sono soffuse
di un delicato color ocra: tra la moltitudine di
colonne spezzate spiccano, con un bell’effetto
scenografico, i tre templi di Giove, Giunone e
Minerva, oltre al battistero di epoca bizantina
con un bel pavimento in mosaico, alle grandi
terme circondate da un doppio colonnato e
all’arco di trionfo del III-IV secolo.
Kairouan
In direzione nord lungo la P.3 la tappa
seguente è Kairouan, la città santa della Tunisia, dedicata al profeta Maometto, in mano alle
gerarchie islamiche e perciò la più integralista
della nazione; da un punto di vista turistico può
essere una città difficile da visitare e conviene
affidarsi ad una guida che faccia da “filtro” nella sua esplorazione. La città annovera 180 moschee e fare 7 pellegrinaggi a Kairouan equivale per i mussulmani ad andare alla Mecca.
La prima sosta è presso la Grande Moschea, di cui si può visitare soltanto il grandioso cortile interno, interamente lastricato di
marmo bianco con al centro una cisterna che
raccoglie l’acqua piovana per le abluzioni dei
fedeli, mentre si può soltanto sbirciare la grande sala della preghiera, intervallata da una selva
quasi infinita di colonne in marmo e porfido
(secondo una leggenda impossibili da contare)
e scandita da una teoria di pregiati tappeti, illuminati da pesanti lampadari di cristallo.
Quindi è il caso di “tuffarsi” nei vicoletti bianchi e azzurri della medina, alla ricerca di
antichi mestieri come quelli dei sarti che ricamano la djellaba, la lunga tunica ricamata dei
signori, dei calzolai che cuciono ancora le
scarpe a mano, dei fabbricanti di coperte ancora oggi realizzate tramite antichi telai; sembra
quasi di poter gettare lo sguardo su una società arcaica, indietro rispetto ai forsennati ritmi
occidentali almeno di una cinquantina d’anni.
E’ imperdibile anche la suggestiva Moschea
delle Tre Porte, una per l’iman, una per gli uomini e una per le donne, con la facciata decorata da una preziosa iscrizione che si estende
per l’intero edificio, così come Bir Baouta, un
edificio cui si accede attraverso una scala dritta che conduce ad un pozzo profondo 12 metri
contenente acqua sacra, tirata su dal movimento incessante di un dromedario bendato; si
tratta di una fonte sacra, la cui acqua ha un sapore vagamente salmastro, di cui è tradizione
bere qualche sorso esclamando “Inschallah”
(se Dio vuole), in una sorta di rito ripetuto
all’infinito dai viaggiatori che si ritrovano qui e
che sperano di ritornare.
E da un vicoletto all’altro ci si ritrova a
seguire l’allegro via-vai di casalinghe che fanno la spesa, di venditori ambulanti e di turisti
fino al grande viale principale della medina,
ammirando le vetrine dei gioiellieri, le bancarelle di spezie e di dolciumi al miele, i negozi di
artigianato e l’allegro caracollare dei muli carichi di merce. La tappa seguente è presso un
grande negozio di tappeti, di cui Kairouan è
capitale; qui vi sono tre specialità cittadine: il
tappeto di seta che vanta un milione di punti
annodati ad ogni metro quadrato, dai costi
inavvicinabili, il tappeto di lana di agnello, nelle
varianti Zerbia e Alloucha, che va dai 40.000 ai
180.000 punti annodati per metro quadrato, e
il coloratissimo Mergoum, a pelo raso.
Un’altra sosta imperdibile è presso la
famosissima Moschea del Barbiere, così chiamata perché ospita il mausoleo di un compagno di Maometto che portava sempre con sé
come reliquia tre peli della barba del Profeta.
Qui l’architettura islamica raggiunge i massimi
livelli, grazie ad una serie di affascinanti cortili
in preziosa maiolica, tetti in legno di cedro, finemente arabescati, e pareti che risplendono
in un tripudio di candidi pizzi in stucco di polvere di marmo.
Le aree archeologiche di
Thuburbo Majus e Dougga
Situata a nord e raggiungibile attraverso la P.3 sorge l’area archeologica di Thuburbo
Majus, in cui si sono avvicendate numerose
civiltà, tra cui quella punica, quella romana e
quella bizantina. Tra i monumenti più importanti vi sono il Capitolium, il quartiere delle abitazioni con i pavimenti a mosaico, le terme e la
palestra dei Petroni, dal nome della famiglia
romana che diede i fondi per costruirla. In
primavera è possibile visitare l’area con la scenografia di uno stormo di aggraziate cicogne
che si posa suggestivamente sulle colonne superstiti con un effetto scenico notevole.
Un po’ più a ovest, lungo la direttrice
C.47–P.5, vi è quindi Dougga, immersa in un
magnifico panorama verde di prati, fiori di
campo e alberi; i monumenti della relativa area
archeologica sono ben conservati, in particolare il teatro, dall’acustica perfetta, il Capitolium
del II secolo d.C. dedicato alla triade Giove,
Giunone e Minerva, l’adiacente e smisurata
Piazza della Rosa dei Venti, il tempio di Mercurio e il mausoleo libico-punico, l’unico monumento in questo stile che si sia ben conservato
in tutta la Tunisia.
Bulla Regia
La tappa seguente, attraverso la C.75–
P.6–P.17, è l’area archeologica di Bulla Regia,
famosa perché al suo interno, caso unico in
tutte le colonie romane del nord Africa, vi sono numerose costruzioni di epoca romana con
un piano a livello stradale e uno interrato, utilizzato in estate perché era molto più fresco.
L’appartamento posto al di sotto del livello
stradale era composto da diverse camere da
letto, complete di armadi ricavati negli incavi
del muro, camera da pranzo, cucina e un cortile a peristilio a cielo aperto, che dava luce ed
aria al resto dell’appartamento.
Tutti i locali erano pavimentati con
magnifici mosaici e corredati da minuscole finestrelle posizionate strategicamente in modo
tale da far penetrare almeno tre ore di luce per
asciugare l’umidità (combattuta efficacemente
anche con tubi in terracotta ricolmi di gesso
sistemati lungo le volte). Le case più belle
prendono il nome dall’argomento dei relativi
mosaici che le adornano; tra queste vi sono la
casa della caccia, della nuova caccia e della pesca, ma la più entusiasmante è la cosiddetta
casa di Anfitrite che ospita i mosaici più belli,
di una fattura talmente pregiata da lasciare i
visitatori letteralmente a bocca aperta a 2.000
anni di distanza dalla loro realizzazione.
dominazione ottomana, ospita la più grande
collezione di mosaici romani del mondo. Al
suo interno si possono ammirare pavimenti
musivi appartenenti alle numerose aree archeologiche tunisine: si tratta di mosaici veramente
stupendi che, a distanza di 2.000 anni, testimoniano la bravura delle maestranze africane
che li realizzarono. Ma il palazzo stesso è un
museo dell’architettura mussulmana, con le
sue enormi sale caratterizzate da stupendi soffitti in legno e intarsi “ricamati” in stucco, dalle
pareti in ceramica policroma.
Tabarka, Biserta
e la costa occidentale
Ancora a nord attraverso la P.17 si
raggiunge la costa mediterranea a Tabarka, paesino di villeggiatura balneare situato in vicinanza del confine algerino. La cittadina è molto graziosa con le sue case bianche, le imposte
azzurre e i negozi di gioielli in corallo, specialità locale. Nei pressi del porticciolo si innalza il
forte genovese, situato su una isoletta distante
400 metri dalla terraferma, che sembra dominare le acque circostanti con un bell’effetto
scenografico.
Quindi, attraverso la P.17–P.7–P.11 ci
si sposta ad est fino a Biserta, situata a nord di
Tunisi, dove merita un’esplorazione la zona attorno al porticciolo e alla kasbah. Le casette
color pastello affacciate sul porticciolo, con le
barche ormeggiate tutto attorno, costituiscono
uno scorcio pittoresco, ma il degrado circostante è notevole. All’interno della kasbah sono
state costruite abitazioni che versano in pessimo stato e che contrastano violentemente con
gli attigui viali all’europea sui quali si affacciano
i poderosi bastioni della kasbah.
Tunisi
Lungo la P.8 si arriva, quindi, alla capitale Tunisi; qui merita una sosta innanzi tutto il
Museo del Bardo, situato alla periferia della
metropoli, il più importante della Tunisia che,
in un complesso di palazzi storici risalenti alla
Il centro moderno della capitale tunisina si allarga, invece, attorno alla Piazza 7 Novembre, con larghi viali su cui si affacciano altissimi edifici che ospitano alberghi, banche e
ministeri; ma l’anima cittadina è racchiusa tra
le mura della medina al di là della Porta di
Francia, dove un caleidoscopio di colori, di
suoni e di forme attraggono gli sguardi ed eccitano i sensi; le viuzze del vecchio centro sono molto pittoresche, sia quelle a cielo aperto
che quelle con le volte in muratura ed ospitano
un’infinità di botteghe di artigianato dove, grazie alla sapiente arte della contrattazione, è
possibile fare ottimi acquisti. Al centro della
medina è possibile ammirare, dall’alto di un palazzo storico, appartenuto al Bey, e oggi trasformato in una cooperativa statale di tappeti,
l’esotico panorama sui tetti della medina, con i
suoi minareti e con i suoi terrazzi maiolicati. Al
primo piano dello stesso edificio si può vedere
anche un enorme letto dorato con il baldacchino dalle dimensioni di una piazza d’armi, risalente all’epoca ottomana, in cui il Bey dormiva in compagnia delle quattro mogli.
Merita una sosta anche il cortile della
Grande Moschea, la più importante di Tunisi,
che risale al IX secolo e che vanta colonne e
capitelli provenienti probabilmente dalle rovine
di Cartagine; tutto attorno si trovano i souk dei
librai, dei profumieri, dei mercanti di stoffe e di
frutta secca che hanno ottenuto il privilegio di
alloggiare alla sua base, essendo ritenuti commerci nobili. All’interno della medina si trova
anche la moschea dei turchi, non visitabile, e
una delle mederse cittadine, la scuola coranica
organizzata attorno ad un patio maiolicato sul
quale si affaccia anche la sagoma di una bella
moschea. Non mancano tanti altri scorci particolari, come quelli dei souk dei gioiellieri e degli argentieri, scintillanti di merce all’inverosimile, o come quelli degli artigiani del ricamo che confezionano autentiche meraviglie.
E, dopo tante emozioni, uscendo dalla
medina sembra quasi di risvegliarsi da un magnifico sogno ad occhi aperti, mentre l’ultima
sensazione che lascia questa magnifica terra,
così vicina eppure così lontana, è quella di averci regalato magiche sensazioni al di fuori
della realtà, grazie ad un’atmosfera da mille e
una notte assolutamente indimenticabile.
Mimma Ferrante e Maurizio Karra
Pochi chilometri di distanza separano il deserto dalla costa. Basta meno di
mezz’ora per lasciare le città affacciate sul mare e trovarsi in mezzo a uno spettacolo che definire esotico è davvero riduttivo: nella foto i camper di alcuni soci del
Club e un branco di dromedari.
Una finestra sul mondo musulmano
Può essere veramente affascinante esplorare usi e costumi dei popoli che si incontrano nel
corso dei viaggi, per scoprire magari che le differenze reciproche tra le diverse popolazioni non
fanno altro che arricchirle a vicenda, naturalmente se si segue un’ottica illuminata fondata sulla tolleranza e sul rispetto reciproco. E’ questo il caso del mondo mussulmano, costellato da numerose
diversità rispetto al mondo occidentale, ma in realtà animato anche da molti punti di contatto con i
suoi vicini europei. Sono molti i temi interessanti di questa cultura come il ruolo della donna, i rapporti umani, i riti della preghiera e il tessuto sociale, per citarne soltanto alcuni.
A proposito della donna colpisce il fatto che le uniche parti visibili devono essere, secondo
il Corano, l’ovale del viso, le mani e i piedi e che ella deve curarsi soltanto per il marito e trascorrere quasi tutto il suo tempo all’interno delle mura domestiche; ma non bisogna dimenticare che, al di
là di quelle che possono apparire agli occhi occidentali come misure di vita molto restrittive, in Tunisia la donna ha diritto di voto e che inoltre non esiste più la poligamia, dal momento che un uomo può sposare solo una donna, anche se sono ancora in vigore i matrimoni combinati, e può capitare che il marito veda per la prima volta la moglie proprio il giorno della cerimonia.
Per quanto riguarda la religione vi sono cinque preghiere quotidiane che scandiscono la
giornata del fedele mussulmano (al mattino presto, a metà giornata, alle 4 del pomeriggio, alle 7 e
alle 9 di sera), precedute da lavaggi rituali, che diventano docce se ci sono stati rapporti sessuali.
Vi sono poi le abitudini alimentari che escludono carni di animali ritenuti impuri come il
maiale, o con i canini come il cavallo che sono rigidamente rispettate, così come tutte le regole imposte dal Corano.
Indubbiamente è tuffo in una filosofia di vita completamente diversa da quella occidentale
che non può che interessare, costringendo a riflettere sui numerosi punti di incontro e sulle ovvie
diversità tra le nostre due culture e le nostre religioni.
M. F.
Notizie utili
L’itinerario descritto si sviluppa per circa 1.300 chilometri da Tunisi a Tunisi. Per
raggiungere la capitale tunisina ci si può imbarcare da Trapani o da Genova con la compagnia Tirrenia (199123199); non è consentito il passaggio in open-deck con campeggio
a bordo.
Documenti – E’ necessario il passaporto con almeno sei mesi di validità in cui non vi sia
il visto di Israele. Per il camper è necessaria la carta verde valida per la Tunisia oppure è
possibile ottenere alla frontiera l’estensione assicurativa per 21 giorni al costo di 20 dinari (circa 31.000 lire).
Parcheggi e campeggi – Il campeggio libero è permesso, anche perché i campeggi presenti
sul territorio sono veramente pochi e lasciano scoperte intere zone, come quella settentrionale attorno a Tunisi. Il costo di una notte in campeggio per due persone e un camper oscilla tra gli 8 e i 14 dinari, ma i servizi sono quasi dappertutto molto spartani e a
volte non vi è neanche l’acqua calda. Comodi parcheggi si trovano un po’ dappertutto, in
alcuni dei quali è possibile anche pernottare.
Le nostre soste sono state le seguenti:
x a Cartagine presso il parcheggio del Museo Oceanografico (seguire le indicazioni per
il porto punico) e presso il parcheggio del Museo Archeologico;
x a Sidi Bou Said presso il grande parcheggio situato a ridosso del centro (molto trafficato);
x a Kelibia nel parcheggio dell’hotel Palmarina a fianco della strada principale; per una
sosta diurna va bene anche il parcheggio del forte bizantino, di notte troppo isolato;
x a Nabeul in Avenue Bourguiba, a sinistra del centro cittadino;
x ad Hammamet presso il camping “Samaris”, situato all’imbocco dell’autostrada per
Tunisi; per una sosta diurna ci si può fermare nei pressi della kasbah, appena fuori
della medina;
x a Sousse in uno dei parcheggi situati attorno alle mura della medina;
x a Monastir nel parcheggio del Club Med, situato sul mare in vicinanza del centro cittadino;
x a El Jem nel parcheggio dell’anfiteatro romano;
x a Sbeitla nel parcheggio dell’area archeologica;
x a Kairouan presso il camping “Centre de jeunes”; per la visita della città si può fare
ricorso all’esperienza di Omram Tahar (fax: 002167226437, tel.: 002167231504)
che, con le sue spiegazioni in perfetto italiano, vi spalancherà una finestra sul mondo mussulmano;
x a Thuburbo Majus nel parcheggio dell’area archeologica;
x a Dougga nel parcheggio del sito archeologico;
x a Bulla Regia presso l’area archeologica;
x a Tabarka nel parcheggio del porticciolo;
x a Biserta nel parcheggio dell’hotel “Sidi Salem”, situato di fronte alla kasbah, dove si
può consumare anche un'ottima cena accompagnata da musica araba dal vivo;
x a Tunisi a ridosso del centro presso il parcheggio di Avenue Mohamed V, situato nei
pressi di Place 7 Novembre, dove è consentito il pernottamento.
Rete viaria e carburante – L’unico tratto autostradale finora esistente collega Tunisi a
Sousse ed è soggetto a pedaggio; per il resto si trovano molte statali, le "P", e numerose
provinciali, contrassegnate con la "C", ma entrambe, pur avendo una sede stradale molto
ampia, sono asfaltate soltanto al centro delle due corsie, mentre i due lati sterrati servono per il passaggio di trattori e carretti. Ma i mezzi ricreazionali, a causa del loro ingombro maggiore, sono spesso costretti a scivolare in parte sulla corsia sterrata al sopraggiungere di mezzi pesanti in senso inverso. Il gasolio costa meno di 40 centesimi di euro
e si trova un po’ dovunque.
Negozi e musei – Le attività commerciali sono in funzione dalle 9 alle 13 e dalle 16 alle
20, tutti i giorni tranne la domenica, mentre i musei hanno un orario unico dalle 9,30
alle 16,30, tranne il lunedì che è giorno di chiusura.
Cambio e costo della vita – Un dinaro tunisino vale circa 0,80 euro, mentre il tenore della
vita è circa un terzo di quello italiano.
Clima – Nel nord della Tunisia il clima è abbastanza ventilato, soprattutto in vicinanza
del mare e non supera i 40 gradi anche in piena estate.
Shopping – Le occasioni di shopping sono numerose: sono notevoli i tappeti, in seta e in
lana di agnello, e i mergoum, a trama rasata; le ceramiche, arabe e berbere (queste ultime abbellite con intarsi di ossa di dromedario o con filigrana d’argento); gli oggetti in pelle di dromedario; le scatole in legno e madreperla; gli oggetti in rame come piatti incisi,
teiere e vassoi arabescati; i gioielli in argento e corallo. Inoltre gli acquisti sono ancora
più seducenti a causa degli ottimi prezzi che però devono sottostare all’immancabile e
pittoresco rito della contrattazione che non ha regole fisse, ma che nella corsa al continuo ribasso deve lasciare soddisfatte entrambe le parti.
Qualche indirizzo: il centro commerciale gestito dallo Stato a prezzi fissi che mette in
mostra un po’ tutto l’artigianato tunisino, il Soula Center, Place Sidi Yahia 400, Sousse,
e le profumatissime essenze di Kamel Essausi, in vendita nel negozietto in stile rocoò situato nella medina di Sousse, presso il souk el Kaid n. 8 (meravigliosa l’essenza chiamata “Fiore del deserto”).
Telefono – La Tunisia è completamente coperta dal segnale GSM che consente di telefonare agevolmente in Italia attraverso il prefisso +39 seguito dal numero. In ogni caso un
po’ ovunque vi sono le postazioni di Taxiphone, da dove si può telefonare facilmente.
Lingua – L’arabo è parlato in tutto il territorio, mentre il francese è parlato quasi ovunque e anche i cartelli stradali sono sia in caratteri arabi (assolutamente indecifrabili) che
nel più familiare francese. Anche l’accoglienza da parte della popolazione è improntata
ad un grande senso di ospitalità.
Fuso orario: 1 ora in meno quando in Italia c’è l’ora legale.
Cucina: il piatto tipico tunisino è il cous-cous di montone con verdure; è molto buono
anche il bric, una sottile sfoglia che custodisce uova o tritato di tacchino. Tra le bevande
segnaliamo il tè alla menta e il succo di fragole.
Informazioni – Ente Nazionale per il turismo, via Baracchini 10, 20123 MILANO, tel.
02.8645.3044, fax: 02.862.752; Ambasciata Italiana della Tunisia, Rue J. Abdennasser
37, Tunisi, fax: 0021.6132.4155.
Randazzo, la città degli Aragonesi
Un crocevia di popoli nella Sicilia del medioevo
S
ituata alle falde settentrionali dell'Etna fra i corsi dell'Alcantara e del Simeto, la
città di Randazzo appare fortemente caratterizzata dalla natura del territorio, sia per quanto riguarda la struttura fisica (gli edifici sono
costruiti con conci di pietra lavica), che per le
vicende legate alla sua evoluzione storica.
Come si è potuto stabilire dai numerosi reperti rinvenuti nella vicina contrada di
Sant’Anastasia, nell'antichità la zona fu oggetto dì una massiccia penetrazione greca; fu poi
luogo di insediamenti bizantini in epoca medievale. Si deve comunque ai normanni un'organizzazione più stabile del territorio randazzese: fra l’XI e il XII secolo la città diventò
il nodo fondamentale del traffico fra la costa
ionica della Sicilia e l'interno, tanto che nel
1154 l'accurato resoconto di un viaggiatore
la descrive già come una città con chiese e
palazzi signorili, protetta da mura e attraversata da numerose porte.
Sotto Pietro d'Aragona la città venne
cinta da una nuova e più salda cerchia di mura - alcuni tratti sono ancora visibili nei pressi
della porta aragonese - divenendo così sede
fissa di numerose famiglie feudali e di una attiva borghesia imprenditoriale. Se agli inizi del
‘300 la città contava già 5000-6000 abitanti,
verso la fine del secolo iniziò una lenta fase di
declino dovuta in gran parte alle aspre lotte
baronali. Alla fine del secolo successivo una
vigorosa ripresa in campo agricolo riportò
Randazzo ad un periodo di grande fioritura
che fu minato soltanto, dalla metà del XVII
secolo, dalla vicinanza di Bronte che, fondata
nel 1537 per volere di Carlo V, aveva iniziato
ad opporre una fiera concorrenza.
Abitata da una popolazione costituita
da tre ceppi differenziati etnicamente e linguisticamente (uno greco, uno latino e uno lombardo), Randazzo ebbe tre chiese basilicali
che si alternarono a rotazione il titolo dì
Chiesa Madre fino a che, nel 1916, questo
toccò definitivamente alla chiesa di Santa Maria.
Il museo Vagliasindi
Può essere interessante far precedere
la visita della città da una preliminare tappa al
museo Vagliasindi, situato fuori dalle mura
non lontano dalla porta aragonese: un ampio
ed accurato materiale archeologico testimonia le varie fasi della colonizzazione greca e
bizantina sul territorio circostante.
Il museo si trova al secondo piano
della Casa di Riposo, in piazza Rabatà, mentre
prima dei bombardamenti dell'ultima guerra
era situato nell'omonimo palazzo di via Umberto I. Ciò che resta della collezione, costituita prevalentemente dei reperti rinvenuti alla
fine del secolo scorso dal nobile Paolo Vagliasindi nella contrada di Santa Anastasia, è
distribuito oggi nelle due sale di questa nuova
sede del museo: una importante raccolta di
vasi attici; una serie di vasi policromi di fabbrica italiota che attestano come dal III sec. a.
C. le fabbriche attiche furono sostituite in Sicilia da quella campana; alcuni vasettini orientali di produzione fenicia o rodia (475 a.C.);
un gruppo di terrecotte tra le quali si possono
citare due busti e un frammento di piedi uniti
appartenenti ad una statua greca del periodo
arcaico; infine, i bronzi e le oreficerie.
L’oinochoe Vagliasindi
Ma il pezzo più importante della collezione è senz' altro costituito dalla cosiddetta
oinochoe Vagliasindi, un elegante vaso a fondo nero e figure rosse sul quale è raffigurato
il mito di Fineo e dei Boreadi. Delimitate da
due fregi ad ovuli, le sei figure si susseguono
narrando la storia di Fineo, il profetico re di
Salmidasso che, condannato dagli dei alla cecità e al tormento delle Arpie, per svelare a
Giasone come impossessarsi del vello d'oro,
chiese di essere liberato dalle sue orrende
aguzzine. La scena raffigura infatti i Boreadi (i
due fratelli alati che partecipavano alla spedizione degli argonauti) intenti a legare le due
mostruose creature. Questa raffigurazione si
colloca fra le rare pitture vascolari che, ispirandosi al mito degli argonauti, rappresentano l'episodio della liberazione di Fineo.
La cattedrale di Santa Maria
Entrati attraverso le mura duecentesche all'interno della città fortificata, si può
quindi iniziare la visita del centro storico,
percorrendo via Duca degli Abruzzi che, oltrepassata l'area dell' antico convento delle
Benedettine, conduce alla Cattedrale di Santa
Maria, al centro dell'omonimo quartiere. Secondo la tradizione la chiesa fu fondata prima
dell’anno Mille, ma è certo che, quando nel
1089 Urbano II giunse in Sicilia per convincere il gran conte Ruggero a partecipare alla
prima Crociata, passando per Randazzo, si
fermò qui a celebrare una messa.
Come indica un'epigrafe scolpita nel
basamento di un pilastro sotto la sacrestia,
l'assetto attuale risale comunque al 12171239. Eretta in conci squadrati di pietra lavica, la cattedrale rappresenta una delle manifestazioni più interessanti dello stile goticofedericiano: della struttura originaria restano
oggi le tre absidi, che sono coronati da una
fila di archetti pensili poggiati su colonnine
mozze e capitelli floreali di chiara ispirazione
lombarda.
Una serie di monofore, bifore e trifore alleggeriscono le masse compatte delle
fiancate, mentre su un ripiano a fIanco della
facciata principale si erge l'elegante campanile cuspidato ricostruito nel XIX sec. a sostituzione di quello originale del XIII sec.
L'interno, diviso in tre ampie navate e
un transetto a croce latina, è invece opera di
A. Camalech che ne progettò la trasformazione nel XVI secolo; la cupola fu parte di un rifacimento posteriore del XVIII secolo. Tra le
numerose opere pittoriche del XVI e XVII secolo si segnala la "Salvezza di Randazzo" di
G. Alibrandi, dove si scorge una interessante
veduta della città ai primi del ‘500.
Le altre chiese
La chiesa di San Nicola
Oltrepassato poi il seicentesco palazzo Licari, si procede fino a scorgere la barocca facciata della chiesa di San Nicola: ricostruita su un precedente edificio trecentesco
del quale si conservano l’abside, esternamente coronata da archetti e merlature, e il transetto; all'interno si può ammirare un San Nicola in cattedra (1523) di Antonello Gagini e
un fonte battesimale tardo-gotico in marmo
rosso (1447).
Proseguendo per via Duca degli Abruzzi, l'arteria principale della città, si giunge
al medievale quartiere di San Martino, dove
sulla destra si può ammirare palazzo Scala,
l'antica residenza estiva dei reali pesantemente rimaneggiata dopo il terremoto del 1693;
poco più avanti la trecentesca chiesetta dell'Agonia. Poco prima di terminare la via, su
un largo spiazzo sulla sinistra si affaccia la
chiesa di San Martino, la terza chiesa basilicale della città, che deve la sua facciata a un rifacimento dei primi dei '600, mentre la spettacolare torre campanaria, con due ordini di
monofore e un ordine di trifore sormontati da
una cuspide ottagonale, risale al XIV secolo;
all'interno, di chiara ispirazione rinascimentale, è conservato un polittico su tavola della
fine del XV secolo con al centro la Madonna,
Santa Lucia e Santa Maria attribuito ad Antonio de Salibra, una Madonna delle Grazie,
opera di Antonello Gagini, e un ricco Tesoro.
Procedendo ancora e girando a sinistra su via Garibaldi, si incontra la medievale
casa dei Romeo, tornando invece in direzione
della porta Aragonese per via Umberto I, l'antico asse della città aragonese, è possibile
scorgere alcune testimonianze dell'antica città trecentesca, come il palazzo Rumbolo o
casa Lanza.
Ma non si può lasciare Randazzo
senza aver visitato anche il castello svevo, o
meglio la superstite costruzione delle otto
torri che circondavano la città. Più che
l’esterno, l’interesse va all’interno della costruzione, dove è stato allestito un interessante museo dei pupi siciliani.
Altre notizie
Randazzo si raggiunge attraverso la
S.S.120 che costeggia nella parte settentrionale le pendici dell’Etna.
Tutte le domeniche a Randazzo si
svolge una fiera-mercato di grande proporzione e con molto afflusso di gente, con prodotti alimentari e artigianali del comprensorio
dell’Etna e dell’Alcantara.
Una nota anche per i golosi: presso il
ristorante "Veneziano" si possono gustare
buonissimi piatti a base di funghi.
La sosta per i camper è infine consentita nello slargo adiacente al distributore
di benzina adiacente alla grande piazza.
Alfio Triolo
La chiesa di San Martino
L’Opra dei pupi a Catania
L'Opra dei pupi siciliani, un teatro di marionette che rappresenta le gesta
eroiche del mondo cavalleresco
M
ai in ginocchio e sempre con la
spada stretta in pugno: posture eroiche se
non obbligate per il pupo paladino catanese.
Costruito tecnicamente con maggiore rigidità
di articolazioni rispetto al confratello palermitano, il pupo catanese è inoltre più alto e più
pesante, tanto da condizionare specificamente la realizzazione dello spettacolo: a Catania
non è possibile che chi manovra i fili della
marionetta le presti anche la voce. S'impone,
quindi, una distinzione di ruoli che, ulteriormente, rende possibile al parlatore con le
mani libere di disporre di un vero copione anziché, come altrove, di limitarsi a dare un'occhiata di controllo a un semplice canovaccio.
Probabilmente questa specializzazione del ruolo di parlatore non sarà stata estranea al travaso fra teatro dei pupi e quello di
prosa: esempi illustri, quelli di Giovanni Grasso e Angelo Musco. Maggiore, rispetto alla
tradizione palermitana, era anche l'ampiezza
delle sale che a Catania ospitavano l'Opra dei
Pupi: qualcuna raggiungeva i 500 posti. Boc-
cascena e sipario principale erano sovradimensionati per fornire illusoriamente al palcoscenico una dimensione più imponente.
L'attrezzatura completa, detta mestiere, constava di un centinaio di pupi: guerrieri
armati, in larga maggioranza, e poi re, donne,
preti e frati, contadini e pastori, vari animali e
mostri, fondati e quinte di tela. Costumi e
scenografie erano largamente in debito con la
moda teatrale colta dell'800, ma esprimevano
anche il consueto gusto per la mescolanza di
stili, tipico della cultura popolare: le armature
si ispiravano a quelle rinascimentali, i maghi
non differivano molto dal dottor Faust, ai mori si attribuivano spesso abbigliamenti del
‘600 spagnolo, i contadini andavano in scena,
come nella realtà degli inizi dell'800, con il
vestito di velluto e il berretto pendente su un
orecchio. Completavano l’inventario gli indispensabili cartelloni di annuncio, affissi all'esterno del teatro: divisi in sei, otto o più
scacchi e dipinti a colori vivacissimi, indicavano anche, sera per sera, in quale momento
della vicenda si fosse.
Va ricordato, infatti, che gli argomenti svolti erano abbondantemente diluiti nel
tempo: la storia di Orlando proposta da don
Vito Cantone durava 18 mesi. Lo spettacolo
iniziava al calar del sole: l'acquisto dei biglietti
e l'afflusso progressivo degli spettatori era
accompagnato dal suono di un pianino a manovella azionato da un ragazzo e dal grido del
venditore di ceci e semi di zucca abbrustoliti
(calia e semenza).
L'attenzione durante lo svolgersi della
recita era garantita da un sorvegliante che,
con una canna, puniva i turbolenti. Intensa
era la partecipazione del pubblico che controllava pienamente, fin nei risvolti più particolari, le vicende del ciclo cavalleresco: un
ricco patrimonio narrativo che funzionava anche da schermo su cui proiettare e riconoscere i valori e considerazioni.
I personaggi incarnavano caratteri e
atteggiamenti morali e politici: se Gano era il
traditore, in Rinaldo si poteva leggere la critica del potere e in Orlando la fiducia sostanziale nelle istituzioni. I pupi rappresentavano
in altri termini un gioco profondo in cui la
comunità parlava di sé, della propria articolata
concezione del mondo. Comuni a tutta l'isola
erano il ciclo di Carlomagno, la storia dell'imperatore Trabazio, il Guerrin Meschino. Più
specifici dell'area catanese il ciclo di Erminio
della Stella d'Oro, Farismane e Siface, Tramoro di Medina e, in modo particolare Uzeda.
Circa il linguaggio gestuale dei pupi
sono state avanzate analisi di carattere semiologico, individuando così alcune decine di
movimenti e posture chiaramente stilizzate e
significanti. In questa stessa direzione non è
stato difficile ricavare, dal groviglio di vicende, una serie di costanti: Consiglio, Conversazione segreta spiata, Aggressione a sorpresa, Evocazione di diavoli, Glorificazione.
E, assolutamente centrale, la battaglia: «una danza - notava Antonio Pasqualino,
lo studioso del settore più attento e appassionato - che stimola vivacemente la partecipazione del pubblico e costituisce uno degli
elementi estetici principali dell'Opra. Gli spettatori abituati giudicano l’Oprante soprattutto
dalla sua abilità nell'eseguirle, giungendo attraverso un crescendo ben dosato al parossismo ritmico senza che la velocità renda im-
precisi i movimenti».
La battaglia riveste probabilmente un
ruolo centrale anche in relazione al problema
dell' origine storica dei pupi. Assolutamente
inattendibile, in proposito, il rapporto, chiamato in causa dagli archeologi eruditi del
'700, con le marionette siracusane di età ellenistica. Legittimo invece collocare a monte
dei pupi, sia pure genericamente, alcune importanti tradizioni culturali, come la traduzione su scala europea, tra '500 e '600, delle
gesta dei cavalieri in spettacolo teatrale, con
attori in carne e ossa.
Varie occasioni folcloriche di ambito
siciliano sono infatti caratterizzate dalla presenza della danza con le spade: nel «Taratatà»
di Casteltermini, in una rappresentazione carnevalesca a Mezzojuso («Il Maestro di Campo»), nello scontro, ancora carnevalesco, tra
ricchi e poveri della «Mmissa» di Enna. La
grande fortuna siciliana del «cuntu» è a sua
volta ricollegabile al repertorio epicocavalleresco proposto sapientemente a puntate dai cantastorie senza musica col solo supporto di uno specifico ritmo narrativo.
Certezza di pupi, a Catania come nel
resto della Sicilia, si riscontra solo verso la
metà del secolo scorso, anche se perfino attorno a questo passato prossimo l'immaginazione si è intrecciata con la realtà. Andrà in
effetti considerato una sorta di mito di fondazione il racconto secondo cui sarebbe stato
un certo Giovanni Grasso, nonno dell'attore e
contrabbandiere di pellami, a portare materialmente i pupi a Catania, dopo averli visti ed
esserne stato affascinato durante un soggiorno forzato a Napoli. Si dice anche che Grasso
avrebbe perso la ragione nel tentativo reiterato e frustrato di dar voce propria ai pupi.
Ai dati di cronaca possono comunque assegnarsi le vite del Grasso (17921863) e di Gaetano Crimi (1807-1877), in
quanto effettivi e più remoti protagonisti dell'Opra catanese: con sicurezza almeno pari
alla forza delle controversie tra chi dei due sia
stato davvero il primo e il migliore. Un contenzioso, questo, che rinvia al forte senso di
casta e gelosia professionale che caratterizzava il mondo dei pupi: segnato da orgogli e
rivalità, da accuse reciproche di essersi rubati
l'arte, da alleanze e separazioni in una dina-
mica complessa e mutevole di esiti e di spostamenti geografici.
Se Catania ha infatti conosciuto la
compresenza di diciotto teatri dei rupi, saranno anche da ricordare le numerose e avventurose esportazioni extranazionali della tradizione. I pupi hanno parlato francese a Parigi,
ad esempio, e Agrippino Manteo li fece co-
noscere prima in Argentina e poi, dal 1923, a
New York dove la sua era la più nota, ma non
la sola, «Opra dei pupi».
Testo di Alfio Triolo
Foto di Mimma Ferrante
Vita di camper
Fra i temi di vita quotidiana a bordo dei camper un punto sicuramente da
trattare, anche se in modo ...pudico, è lo scarico dei serbatoi. Quante volte, anche in presenza di un regolare pozzetto, lo scarico è stato un problema?
S
o che leggere la descrizione di
un bel paesaggio o di un'opera d'arte o delle
caratteristiche architettoniche di una cattedrale romanica o gotica è certamente più piacevole, ma la vita quotidiana de camperista è
fatta anche di necessità più prosaiche, non
per questo però meno importanti.
Il camper service, per esempio, è un
supporto indispensabile per il camperista, oggi che il numero di mezzi ricreazionali è aumentato in maniera esponenziale. Da quella
prima area di sosta, dotata di pozzetto di scarico, realizzata a Lucca più di venti anni fa,
abbiamo fatto molta strada. Consultando il
"Portolano", possiamo oggi contare più di
mille strutture, fra aree attrezzate e aziende
agrituristiche con camper service, equamente
distribuite su tutto il territorio italiano.
Quando però andiamo a vedere come
i pozzetti di scarico sono stati costruiti, troviamo le strutture più disparate; alcuni, realizzati a regola d'arte, funzionano perfettamente, altri invece sono difficilmente utilizzabili o per come sono dislocati o per la presenza di un cordolo più alto da terra dei tubi
di scarico o perché c'è una griglia troppo
stretta.
I nuovi modelli di camper adottano la
soluzione della cassetta estraibile, di più facile
uso anche di fronte a pozzetti di questo tipo,
ma la maggior parte dei vecchi camper è dotata di WC nautico e troppo spesso ci si trova
in difficoltà.
Un altro problema che spesso ci troviamo a dover affrontare è quello dei pozzetti
inagibili perché intasati. E qui la colpa è spesso nostra. Ad ostruirne la griglia non è la materia organica, di per se stessa biodegradabile, ma è quasi sempre la carta igienica. Ciò
dipende dal fatto che la maggior pane dei
camperisti usa carta non idrosolubile.
Quasi tutti pensano, evidentemente,
che le raccomandazioni che appaiono nella
stampa specializzata abbiano un fine puramente reclamistico, volte soltanto a fare acquistare le marche più costose e finiscono
con il comprare al primo supermercato il
prodotto meno caro. La cosa è comprensibile
e non me la sento di osteggiare, in questa
società di oggi spudoratamente consumistica,
una regola di sana ed oculata economia, purché però si tenga conto del problema al quale
accennavo prima.
Suggerirei allora di fare un piccolo
esperimento: acquistate una confezione minima di ciascuna fra le cinque o sei più comuni marche di carta igienica in vendita nei
supermercati e mettete qualche foglio di ciascuna marca in altrettante bacinelle con un
po' d'acqua; poi guardate se, e in quanto
tempo, si sciolgono. A questo punto, scegliete la più idrosolubile e fate la dovuta scorta per il vostro camper. Può sembrare una
sciocchezza, ma vi assicuro che arrivare in
un'area di sosta con il WC pieno e trovare il
camper service inagibile è una delle cose più
fastidiose che ci possono capitare.
Piero Capnist
(dal mensile “Vita all’aria aperta”)
Viaggiare in modo responsabile
Tsumani due mesi dopo: una riflessione di Claudio Visentin (del
Campus di Lucca) sulle conseguenze della devastante tragedia che ha
sconvolto a fine 2004 tutto il sud-est asiatico e sul modello di turismo
che in quelle regioni è stato realizzato e che troppo spesso è rimasto del
tutto estraneo allo sviluppo socio-economico delle comunità locali
D
opo lunghe settimane, nelle
quali le notizie si sono rincorse anche
disordinatamente (lasciando comunque
vaste zone d'ombra), e le necessità concrete
di soccorso hanno giustamente prevalso su
ogni altra questione, è forse questo il primo
momento nel quale è possibile tentare una
riflessione meno contingente sulle recenti
tragedie del Sud-est asiatico, che hanno
coinvolto e appassionato tanta parte del
mondo globalizzato. E' infatti questo, dopo
gli attentati dell'11 settembre, proprio un
evento che è stato seguito attraverso i
media da un pubblico compiutamente
mondiale. Si è anzi avanzata l'ipotesi che
proprio la cospicua presenza di turisti
occidentali tra le vittime abbia attirato
sull'evento un'attenzione così elevata,
distinguendolo dalle altre numerose tragedie
che avvengono periodicamente nelle
periferie del mondo, ma che passano quasi
inosservate.
In fondo la prima evidenza è proprio
questa, e cioè che la catastrofe ha
accomunato due mondi "host and guest",
locali e turisti, occidentali e orientali - che
condividono in apparenza gli stessi spazi
geografici, ma sono in realtà divisi in
percorsi che assai di rado si incontrano, se
non, appunto, in casi eccezionali come
questo. Ed ecco di colpo accomunati lo
sviluppo e il sottosviluppo (spesso
caratteristica comune delle località a
maggiore vocazione turistica), la ricchezza e
la povertà, la cultura occidentale e quelle
orientali... Difficile immaginare un contrasto
maggiore.
In questo contesto il turismo (a cui i
media dedicano di solito un'attenzione tutto
sommato
marginale,
e
soprattutto
stagionale) ha giocato un ruolo di primo
piano, attraversando commenti, polemiche e
progetti per il futuro. Naturalmente in un
primo momento le questioni turistiche
affrontate sono state quelle più pratiche, a
cominciare dall'urgenza di evitare nuove
partenze verso destinazioni le cui condizioni
erano pressoché ignote; in questo caso le
indicazioni del Ministero degli esteri sono
state recepite senza particolari problemi.
Più complessa la questione
all'attenuarsi dell'emergenza più immediata,
quando gli operatori hanno cercato di
riavviare i flussi turistici verso l'Asia per
limitare le proprie perdite economiche che,
in quanto derivanti da un evento di forza
maggiore (escluso quindi dalla normativa del
risarcimento per "vacanza rovinata"),
sembravano trasferibili in tutto o in parte sui
clienti, mentre questi ultimi, anche in
presenza di strutture relativamente efficienti,
cercavano di avvalersi di un diritto alla
rinuncia (o alla modifica della destinazione)
basato su ragioni di etica e di sensibilità
personale,
chiedendosi
(più
che
legittimamente) come si potesse pensare di
condurre vacanze spensierate in prossimità,
più o meno immediata di luoghi colpiti da
terribili tragedie...
La questione giuridica rimane
irrimediabilmente aperta, e solo l'esito dei
primi contenziosi darà indicazioni più chiare
in un settore, quello della giurisprudenza
applicata al turismo, cresciuto di molto negli
ultimi anni, e perciò inevitabilmente in via di
definizione. Di certo sui Tour Operator si
sono addensate critiche non nuove, e talora
anche eccessive, considerato anche che si
tratta di un settore reduce da anni già
difficili.
E' comunque apparso chiaro che la
crescente
complessità
del
turismo
internazionale richiede competenze e
capacità di visione che molti operatori,
formatisi in un contesto tutto sommato più
facilmente gestibile, non possiedono ancora.
Un buon argomento contro chi ancora si
chiede, in posizioni ormai di retroguardia, se
il turismo abbia bisogno di una formazione
universitaria...
Dai casi singoli e dagli interessi
particolari il dibattito si è poi spostato su
questioni più generali: è meglio sospendere i
viaggi verso le regioni colpite, anche per
non ostacolare il flusso dei soccorsi che
utilizza inevitabilmente le stesse strutture
aereoportuali dei voli charter, o è invece
tutto sommato più importante contribuire al
mantenimento delle entrate derivanti da
quella che rimane pur sempre la principale
risorsa economica? E se a tutti appare
giusto non dimenticarsi in futuro di queste
regioni, qual è, o sarà, il momento più
opportuno per ritornarvi in veste di turisti?
Domande a cui è difficile dare una risposta,
se non forse caso per caso.
E' comunque facile immaginare che
per qualche tempo quelle destinazioni
pagheranno un prezzo in termini di arrivi
turistici, e che si rafforzerà quella tendenza
alla crescita del "turismo di prossimità" che
si è delineata in questi ultimi anni a seguito
dei noti problemi della vita internazionale
(terrorismo, Sars ecc.): e dunque itinerari
europei e mediterranei, enogastronomia
sempre più (se possibile), "turismo
culturale" ecc.
Non per questo il recupero sarà
necessariamente lungo: la stessa frequenza
delle tensioni internazionali crea una
qualche assuefazione, riduce l'impressione e
accelera i tempi del ritorno alla normalità; e
poi quei luoghi sono troppo radicati
nell'immaginario turistico collettivo per
scomparire semplicemente dalla scena.
Semmai la speranza, non so quanto fondata,
è che si cominci a mettere in discussione un
modello di sviluppo turistico cresciuto
attorno ad un sogno retorico "gli ultimi
paradisi", beneficati dalla natura e protetti
dalla storia - che si è rivelato poco più di
un'operazione di marketing che dura forse
da troppo tempo.
La realtà emersa in queste settimane
racconta una storia spesso diversa. Parla di
villaggi vacanze e di isole riservate al
turismo (come alle Maldive), oasi
d'occidente in mondi lontani, pressoché
separati dal loro retroterra anche prossimo,
che solo in misura ridotta trae beneficio
dalla loro presenza. Racconta di paesi nei
quali la democrazia è attuata in forme a dir
poco parziali o del tutto assente, a
cominciare dalla Birmania, retta da una
Giunta militare sostituitasi alla libera volontà
dei cittadini, che impiega il lavoro forzato
proprio per realizzare le strutture turistiche,
ed è per questo da anni sottoposta ad un
esperimento di boicottaggio turistico che
avrebbe meritato nell'occasione di essere
ricordato. E ancora la Thailandia del turpe
turismo sessuale, troppo a lungo
benevolmente ignorato se non incoraggiato,
e solo di recente contrastato dal governo
quando le negative conseguenze sociali e di
immagine internazionale si sono rivelate di
gran lunga superiori ai vantaggi valutari...
In queste regioni ha senza dubbio
senso ripensare un modello di sviluppo
turistico internazionale che anche in tempi
normali ha comunque un'efficacia (e una
profittabilità) ridotta, e che nei momenti più
difficili mostra tutte le sue difficoltà e le sue
contraddizioni, in favore di forme di turismo
sostenibile e responsabile, non solo
eticamente giustificate, ma in fondo più
adatte ad un mondo che sta cambiando e
muove rapidamente verso direzioni che è
difficile prevedere.
Claudio Visentin
Internet che passione
E due! Sì, con questo sono due gli aggiornamenti grafici del nostro sito dalla
sua nascita ad oggi. Vediamone insieme le caratteristiche
S
ito Web terza versione: non è una
cattiva media per una realizzazione che, amatoriale e di poche pagine all’inizio, è diventata nel
tempo sempre più generosa di informazioni.
Dopo l’acquisizione di un dominio di primo livello (www.pleinairbds.it) e dopo gli anni in cui
eravamo stati ospiti del portale turismoitinerante, siamo giunti al secondo restyling grafico, mentre alcuni di più - tre almeno - sono
stati invece gli aggiornamenti tecnici generali,
quelli notoriamente invisibili agli utenti e che di
norma servono ad allineare il sito alle tecnologie acquisite nel tempo e che, comunque, sono
necessari per rendere più versatile e meno statico e complicato l’aggiornamento delle pagine.
Il sito del nostro Club, per quanto quasi identico come contenuti all’ultima versione,
è stato così interamente riscritto e riveduto
nella grafica, nella logica procedurale e, conseguentemente, nella tecnica di gestione e di
aggiornamento.
La grafica
Come detto altre volte in passato, un
anno o due nello scorrere del tempo di internet delimitano un periodo di tempo lunghissimo. E se forse al momento attuale ciò non è
più vero in assoluto, perché nel web la corsa
verso le ultimissime novità non è più sfrenata
come qualche tempo fa, era pur vero che un
sito come il nostro, graficamente pensato nel
1999, doveva per forza andare in pensione per
fare spazio ad una grafica più attuale.
Per giungere a quella definitiva sono
stati fatti diversi tentativi secondo quanto visto
di nuovo in rete al momento attuale, passando
tra forme tridimensionali e sfondi color pastello o combinazioni di colori mediterranei piuttosto accesi o animazioni di vario tipo e fattura, e alla fine la scelta è caduta su una impostazione chiara e lineare e con pochi colori, con-
trassegnata da un personalissimo minimalismo,
che si spera sia la maggiormente leggibile.
C’è comunque da tener presente che il
sito è l’ultimo tassello, solo in ordine di tempo,
di un puzzle già iniziato ad inizio anno d’intesa
con Maurizio Karra e reso pubblico nel corso
dell’estate scorsa, assemblato per ridefinire
l’intera immagine esteriore del Club, cominciando dal nuovo logo la cui impostazione estetica è stata la guida per determinare tutto il
lavoro successivamente svolto: ciò che abbiamo definito “nuovo layout”, sulla base di
un’impostazione grafica omogenea e integrata.
La tecnica
Il vecchio sito era interamente costruito con pagine HTML, di fatto quindi semplici e
puramente testuali, raccordate tra loro secondo un percorso “orizzontale” e quindi abbastanza poco gerarchico: ogni pagina quindi aveva una precisa identità e una definita struttura necessaria per la visualizzazione sul browser.
E’ evidente che con tale tipo di organizzazione,
a fronte della variazione di un dato comune a
tutte le pagine, queste dovevano per forza di
cose essere modificate tutte, una per una.
Sulla base di queste premesse, è stata
determinante nella scelta tecnica l’esigenza di
invertire l’architettura del sito, prediligendo
una struttura di collegamento più flessibile e
generalizzata, nonché di facile manutenzione. E
il passaggio più radicale di così non poteva essere: dalle circa 250 pagine che componevano
la versione appena pensionata, all’unica di quella appena resa pubblica!
In realtà tutto gira intorno ad una unica pagina che, come un motore e con il supporto di altre pagine “specialistiche” (circa venti), gestisce tutti i contenuti del sito che trovano posto in un archivio con tanti “cassetti”
quanti sono gli argomenti del sito stesso e che
contengono, al proprio interno, ogni singolo
elemento di ogni singola pagina.
Più tecnicamente, l’applicazione è stata
generata in linguaggio ASP (tecnologia Active
Server Pages) che utilizza files MDB (database
Access) composti, al momento, da circa 50
tabelle le cui pagine sono valorizzate con
l’effettivo contenuto delle pagine originarie.
Ciò ha permesso nell’immediato di dotare il
sito di un proprio motore di ricerca interno, di
un archivio privato di dati statistici riguardanti
gli accessi, di un guestbook per consentire ai
visitatori di contattarci, e di applicazioni remote che permettono di gestire il sito con facilità
direttamente da internet. Ciò permetterà in futuro tanto altro.
Il risultato finale
Le nuove pagine sono d’aspetto semplice, elegante ed immediato e ciò le rende velocemente scaricabili; la nuova home page è
decisamente più completa della precedente
anche se essenziale nei contenuti e la navigazione sembra rapida e senza particolari interruzioni.
Certamente chi scrive non dovrebbe
essere il più titolato ad esprimere i propri giu-
dizi, anche se finora si è permesso di esprimere valutazioni personali su quanto prodotto secondo i propri gusti e le proprie capacità. Ma,
in prima persona, mi permetto però di esternare la soddisfazione per il pesante ma divertente
lavoro svolto, che ha di fatto monopolizzato
una grande parte del mio tempo libero degli
ultimi quattro mesi.
Sicuramente non è stato facile, tanto
quanto è vero che certamente nessuno mi ha
costretto a farlo: al di fuori di ogni possibile
vera o falsa modestia non posso che ripetere
di esserne personalmente soddisfatto, per
l’arricchimento professionale guadagnato e per
aver avuto il piacere di effettuare in libertà
nuove sperimentazioni di carattere sia estetico
che tecnico.
Spero lo siate anche voi; come spero
che, navigando al suo interno, vi venga stimolata una sempre maggiore voglia di contribuire
in futuro per renderlo migliore e ancora più
completo e fruibile.
Giangiacomo Sideli
La nuova home page del sito Web del Club
Cucina da ...camper
Idee e suggerimenti per ricette semplice e veloce da utilizzare in camper,
in particolare quando si viaggia e si ha poco tempo da dedicare alla cucina
(Tutte le dosi si intendono per 4 persone)
Ricotta (o tuma) fritta
Ingredienti: Ricotta (o tuma) a fette, 1 uovo, farina, pangrattato, olio d’oliva e sale q.b.
Preparazione: Tagliare a fette spesse la ricotta (o la tuma). Sbattere in un piatto un uovo intero e
in un altro mescolare farina e pangrattato. Bagnare nell’uovo le fette di ricotta o di tuma e quindi
passare nel pangrattato. Quindi friggere nell’olio caldo aggiungendo un pizzico di sale e servire
ben caldo.
Pennette al tonno e limone
Ingredienti: 1 o 2 spicchi di aglio, 5 filetti di acciuga, 300 gr. di tonno sott’olio, 1 limone, un
tocco di peperoncino, 125 gr. di burro, olio d’oliva, sale, parmigiano q.b.
Preparazione: Far rosolare in padella in un filo d’olio d’oliva 1 o due 2 spicchi d’aglio. Unire i
filetti d’acciuga, facendoli sciogliere dopo avere tolto l’aglio. Aggiungere il tonno sgocciolato,
salare e pepare facendo insaporire fra loro gli ingredienti e amalgamando insieme il succo del
limone. Dopo avere cotto a parte la pasta, mantecare con il condimento già preparato,
aggiungendo il burro ed il parmigiano. Lasciare insaporire qualche attimo e servire caldo.
Frittella siciliana
Ingredienti: 1 cipolla grossa, 1 kg. di fave, 1 kg. di piselli, 5 carciofi, un pizzico di concentrato di
pomodoro, sale, pepe, aceto, prezzemolo, zucchero e olio d’oliva q.b.
Preparazione: Far soffriggere nell’olio una cipolla affettata sottilmente. Quando è ben rosolata,
sciogliere un cucchiaino o poco più di concentrato di pomodoro (serve a dare un po’ di colore).
Tagliare a spicchi i carciofi dopo averli accuratamente puliti, versarli in pentola e farli rosolare.
Quindi aggiungere un bicchiere d’acqua. Appena i carciofi saranno ammorbiditi, unire le fave ed i
piselli, lasciando cuocere tutto (se occorre, aggiungendo acqua di tanto in tanto) per 40 minuti,
salare e pepare. Quasi a fine cottura, aggiungere qualche foglia di prezzemolo tritato e due
cucchiai di aceto. Fare cuocere ancora un paio di minuti e servire.
Insalata di arance e aringhe
Ingredienti: 3-4 arance, pezzetti di aringa affumicata, 5 cipolline scalogno, prezzemolo, olio
d’oliva, sale e pepe q.b.
Preparazione: Sbucciare le arance (no vaniglia) e ripulirle della parte bianca affettandole quindi a
spicchi o a tocchetti. Versarli in un’insalatiera. Tagliare a listarelle le cipolle e le aringhe,
aggiungendole alle arance. Salare, pepare e condire con olio d’oliva ed una spolverata di
prezzemolo (all’insalata si possono aggiungere finocchi tagliati a pezzi).
Enza Messina
Riflessioni
Anno nuovo, rubrica nuova...
G
iorni fa, mentre leggevo una rivista, ho fatto una riflessione (come penso succeda un po’ a tanti) sull'argomento che stavo
leggendo, esprimendo il "mio silenzioso parere". Ho pensato: eppure chi avesse qualcosa da
dire, oltre che raccontare di viaggi e gite, potrebbe trovare posto in una rubrica di questo
genere...
Allora ho manifestato un’idea al nostro
presidente chiedendogli di conoscere quale
fosse il suo parere in merito: l’idea di creare
all’interno del giornalino del nostro club una
mini
rubrica
intitolata
“Riflessioni”.
Un’opportunità per tutti noi di poter esprimere
un pensiero, una riflessione di qualsiasi genere,
argomento e natura: quel pensiero o riflessione che ogni tanto ci prende leggendo un giornale, parlando con un amico, ascoltando un
telegiornale, e che poi rimane fine a se stesso
non trovando una collocazione, un posto fisico
dove poter esser condiviso o soltanto esposto.
Cosa pensate mi abbia risposto? <<O-
gni idea, ogni riflessione possono essere dei
valori aggiunti. Perché no, quindi? Ovviamente
nella speranza che i soci si attivino o si sentano
almeno attivati. Proviamoci.>>. Il tutto, tradot-
to in italiano, mi è sembrato significasse: “Vai”!
Il motivo "ispiratore", in prima istanza
e per quanto mi riguarda, è stata la manifesta
volontà di partecipare una idea, una critica ad
un fatto della quotidianità, una ...riflessione,
che non necessariamente dovesse essere né
criticata né giudicata né messa in relazione ad
altre, ma che potesse fare pensare, che potesse fare riflettere su un argomento di qualsiasi
natura; tranne nel caso che dalla stessa non
dovesse scaturire un dibattito, ma forse anche
in quel caso lasciando ai partecipanti la possibilità o di esprimere il proprio pensiero o di gestire il dibattito. Un moderatore potrebbe, anche senza volerlo, avere una figura “ingombrante” "criticabile", potrebbe essere "di parte" (o giudicato tale...!). Insomma, ognuno con
i propri argomenti preferiti, con le proprie tendenze, ma sempre con il piacere di far “riflette-
re”… La necessità è che non sia frainteso né
come un angolo di sfogo personale, né verso
altri (per intenderci una sorta di mercato..."vucciria", dove esprimere i propri “sentimenti”!!!).
Apro io allora le “danze” con questa
mia riflessione post-natalizia. Ne parlo perché
anch’io ne sono stato “stregato”. Ciao, buon
2005 e… buona scrittura a tutti.
Magica Tecnologia
Lo scorso anno si discuteva di una crisi galoppante con una terrificante guerra alle
spalle. Non è necessario un’analista per stabilire che le cose non sono cambiate un granché.
Il Natale ci ha sorpreso nuovamente piuttosto
poveri. Meno luminarie, meno acquisti, portafogli chiusi. La musica è sempre la stessa. Le
statistiche di fine anno ci dicono che anche
questa volta ci siamo preparati alle festività natalizie all’insegna dell’austerità.
Da questa “stretta della cinghia”, divenuta una consuetudine stagionale, continua a
salvarsi la tecnologia. Si tratta proprio
dell’informatica più spicciola, quella tecnologia
pret a porter che poi è quella che concorre pesantemente al fatturato di tanti centri commerciali: televisori al plasma, nel senso che bisogna svenarsi per acquistarli, sistemi di amplificazione Home Theater per l’espulsione condominiale, fotocamere digitali, videocamere
che si perdono in un taschino, ma tutto con
una particolare formula che ormai rasenta il
grottesco: “prendi oggi e paghi tra un anno a
(tante) rate senza interessi”!
Perché ci si indebita a Natale pur di
regalarci qualcosa di elettronico? Forse la speranza è che impossessarci di qualcosa di tecnologico significa promettersi un futuro migliore in cui si può essere diversi, magari migliori. Anche se in fondo sappiamo bene che
stiamo spudoratamente mentendo a noi stessi.
Certo, è soltanto un’illusione; ma è davvero
magica.
Luigi Fiscella
News, notizie in breve
Notti in campagna con “Fattore Amico”
365 notti serene e confortevoli al prezzo di una sola notte in campeggio! Questa la formula di “Fattore Amico” (www.fattoreamico.it), un’associazione che sta lanciando anche in Italia
(come già avvenuto in Francia) una formula di collaborazione fra camperisti e produttori agricoli;
da un lato, quindi, chi ama la natura e il plein air e cerca spesso la serenità della campagna, la
tranquillità per la nostra sosta notturna e la genuinità dei prodotti; dall’altro i produttori che hanno disponibilità di terreno e intendono fare conoscere la loro attività ad un pubblico nuovo, che
sappia apprezzare genuinità e tradizione e che quindi mettono a disposizione dei camperisti la
possibilità di posteggiare gratuitamente all'interno della loro proprietà per trascorrere anche la
notte, per un periodo convenuto di 24 ore. Fattore Amico vuole così offrire ad entrambi l'opportunità di incontrarsi e di conoscersi.
Com’è nata questa iniziativa? Fattore
Amico è un'associazione senza scopo di lucro, che ha costruito una rete di produttori
amici, interessati a favorire un positivo rapporto con il territorio delle nostre regioni. Olio, vini, salumi, formaggi di qualità attendono
solo che noi andiamo a scoprirli direttamente
dai produttori. È anche un modo intelligente
e garantito di fare i nostri acquisti. Per quanto
riguarda il punto sosta, c’è da tener presente
che nella quasi totalità dei casi non si tratta di
aree attrezzate ma di piccole aree di parcheggio senza servizi, dove è necessario quindi
presentarsi con i camper adeguatamente forniti di acqua e con gli scarichi sufficientemente liberi, evitando di chiedere ai nostri ospiti
servizi che non sarebbero in grado di fornirci
(magari per l’acqua da caricare non ci sono
problemi, ma per il resto...).
Ogni anno viene pubblicata una guida con tutte le informazioni utili e i dettagli del regolamento dell'associazione, nonché con gli indirizzi dei produttori aderenti, presenti in tutte le regioni. La quota associativa di € 32.00 copre le spese organizzative e di pubblicazione e fornisce
una tessera di riconoscimento che dà accesso alle aziende agricole convenzionate. Chi volesse
avere maggiori informazioni o volesse associarsi può contattare direttamente l’associazione Fattore Amico indirizzando una richiesta alla casella postale n. 1282 di Milano o all’E-Mail
[email protected] .
Finalmente aperta (anche se a metà) la Palermo-Messina
Dopo 35 anni dalla posa della prima pietra, oltre 40 dall'ideazione, uno dei sogni dei palermitani, cioè l'autostrada che collega le due punte estreme dell'isola, si è avverato (o quasi). E’
stata finalmente inaugurata il 21 dicembre u.sc., alla presenza del presidente Silvio Berlusconi e
dello Stato Maggiore dei politici regionali l'A.20 che collega Palermo a Messina.
Finora erano stati aperti al traffico alcuni tratti ma la parte centrale era ancora chiusa e
gli autoveicoli transitavano per la statale 113, una lingua d'asfalto che in alcuni tratti consente a
malapena il passaggio di un camion e un' auto che provengono da opposte direzioni.
L'autostrada Messina-Palermo, lunga 181,08 chilometri, è costata, secondo le stime, ol-
tre 800 milioni di euro, circa 4 milioni a Km. La prima pietra venne posata nel 1969, ma da quel
momento è iniziato un lungo e tortuoso percorso, fatto di continui stop-and-go che hanno fatto
per tutta la seconda metà del secolo scorso della Palermo-Messina l’eterna incompiuta. Per
completare l'autostrada (gli ultimi fatidici 41 Km. aperti al traffico a fine anno) si dice che gli operai hanno lavorato anche la notte, grazie a un accordo tra il Consorzio e i sindacati.
Dopo l'inaugurazione della prima carreggiata (quella che da Palermo porta a Messina),
l'autostrada sarà completamente aperta al traffico nella direzione opposta entro marzo (così almeno è scritto): fino a quel momento il traffico continuerà a defluire sulla statale 113 dallo svincolo di Tusa fino a quello di Castelbuono-Pollina. Per circa quattro mesi, comunque, gli automobilisti non pagheranno alcun pedaggio, in attesa che siano completati i caselli di esazione.
La Vigata di Camilleri diventa realtà
Il paese immaginario di Andrea Camilleri, Vigata, uscirà presto dai libri per diventare realtà. La Rai, attraverso la società di produzione Palomar, e l'assessorato regionale al turismo hanno
infatti avviato l'iter per la realizzazione, su una superficie di cinque ettari, della borgata siciliana
nata dalla fantasia dello scrittore. Un paesino in piena regola con la piazza principale, chiese, vicoli, negozi e case private che sarà usato non solo come set cinematografico delle prossime
fiction basate sulle vicende del commissario Montalbano, ma anche come parco tematico dedicato ai turisti che potranno entrare nei luoghi finora descritti solo nei libri dell' autore siciliano.
L' area dove sorgerà la cittadella immaginaria è ancora da scegliere tra le quattro proposte dall'assessorato al Turismo: la tonnara di Santa Panagia (Siracusa), Ragusa Ibla, San Vito Lo
Capo o la tonnara di Scopello. ''Lavoreremo - ha detto l'assessore al Turismo Fabio Granata - con
i fondi comunitari e della nostra Film Commission. La nostra identità, così legata al territorio e al
paesaggio si difende anche proponendola all'immaginario televisivo che oggi muove molto turismo''. Una scommessa che sembrerebbe già vincente, visto l'enorme successo del villino della
costa ragusana, a Punta Secca, dove si sono finora svolte le vicende del commissario Montalbano, preso d'assalto dai turisti disposti a pagare 10 euro (!!!) per scattare una foto ricordo sul balcone reso famoso dalla fiction.
Patente a punti: bilanci e novità normative
Il sito www.autostrade.it informa che la patente a punti, secondo gli ultimi dati forniti da
Polizia e Carabinieri relativi allo scorso anno, ha ridotto il numero di vittime di poco meno del
10% rispetto all'anno precedente. I morti su strade e autostrade sono stati infatti 3.735 nel
2004, contro i 4.121 del 2003, 386 vittime in meno per una diminuzione pari al 9,4%. Complessivamente, gli incidenti stradali sono stati 158.220, contro i 170.099 del 2003. Quelli mortali sono calati da 3.696 a 3.338 (-9,7%). Buone notizie anche sul fronte feriti: 7.606 in meno (6,4%). Sono state accertate 3.124.395 violazioni, con una decurtazione di 4.108.432 punti patente (nel 2003 i punti decurtati sono stati, a partire dal 27 ottobre, 613.644). Le patenti ritirate
sono state 99.071 (+16,8%). I servizi con misuratori di velocità sono stati 42.424 e le violazioni
accertate per superamento dei relativi limiti sono state 959.061 (+6,8%).
Ma ci sono delle novità sull’argomento: una recentissima sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima una parte di quel provvedimento che aveva istituito la cosiddetta
patente a punti. I punti della patente possono essere tolti solo a chi è stato identificato nel commettere l'infrazione. Se non è possibile identificare il guidatore, secondo la Consulta, resta l'obbligo per il proprietario di fornire, entro 30 giorni, il nome e il numero della patente di chi ha
commesso la violazione; ma se ciò non avviene, a carico del proprietario dell'auto scatta solo la
sanzione pecuniaria, e non quella accessoria con la sottrazione dei punti dalla patente (la sentenza della Suprema Corte è la numero 27-2005).
Le reazioni non si sono fatte attendere. "Il parere della Corte Costituzionale è ineccepibile, assolutamente non va discusso né contestato". E' il commento a caldo del ministro alle Infrastrutture e ai Trasporti, Pietro Lunardi. "La norma - ha aggiunto Lunardi - resta. L'articolo secon-
do il quale venivano decurtati punti dalla patente, anche quando non e' possibile identificare il
conducente era l'unico sul quale anche io avevo forti dubbi". E prosegue il Ministro: "Devo però
d'altra parte precisare che la Consulta ha ritenuto illegittima solo una piccola parte della norma
sulla patente a punti. Quindi la patente a punti viene conservata, è valida. Questo è un messaggio
a tutti gli utenti. Non succeda che si dica che la patente a punti viene cancellata".
"Prendo atto con grande soddisfazione del contenuto della sentenza della Corte Costituzionale". E' il commento del senatore Mauro Fabris, Vice Presidente della Commissione Trasporti del Senato. Ermete Realacci, dell'esecutivo della Margherita e firmatario insieme a Giorgio Pasetto e Pierluigi Castagnetti di una proposta di legge di riforma del Codice della strada, sottolinea i rischi cui la sentenza può portare: "E' una decisione che senza dubbio allarga le maglie
della prevenzione e apre varchi alla furbizia e all'autolesionismo di certi comportamenti". Ponendo l'accento sui controlli". "Viene risollevato così - dice Realacci - un problema che da tempo
denunciamo: la carenza delle pattuglie. E se i controlli sono insufficienti, se l'automobilista scopre che è difficile essere pizzicati dalla polizia stradale, le legge perde efficacia. Lo dimostrano le
statistiche. E sono le stesse forze dell'ordine a lamentare la carenza di organico. Attualmente spiega Realacci – in servizio ci sono meno pattuglie di quante ce ne fossero nel 1960 (una ogni
5 automobili allora, una ogni 80 oggi). Meno serrati appaiono anche i controlli: nel primo anno
di vita della patente a punti (1 luglio 2003 - 30 giugno 2004) sono state effettuate 3.078.298
contravvenzioni, l'anno prima erano state 3.506.416: il calo è del 12% (nonostante siano stati
attivati 4.635 nuovi autovelox)”.
L’Intesa Consumatori, pur approvando i principi della patente a punti per contrastare le
violazioni al codice della strada, aveva duramente contestato quella norma che prevedeva di addossare ai proprietari dei veicoli l'obbligo di fornire numero di patente e nome del guidatore in
caso di infrazione. E' evidente che ora arriverà una pioggia di ricorsi (nell'anno appena trascorso
sono stati 350.000 i ricorsi presentati dai cittadini per protestare contro i verbali di violazione
del Codice della Strada). Affila le armi, al riguardo, Telefono Blu-SOS Consumatori che invita
chiunque abbia avuto problemi del genere a mettersi in contatto con il centralino nazionale
06.3751.8881 o a collegarsi al sito www.sosconsumatori.it.
Un’altra offerta dalla ITALTRAG
Abbiamo già dato notizia nel precedente numero del nostro giornalino dell’offerta della
ITALTRAG di Napoli che, nell'ambito del collegamento RO/PAX da Trapani a Livorno e viceversa,
ha offerto al nostro Club per il periodo dal 15 Novembre 2004 al 31 marzo 2005 degli sconti
eccezionali: tariffa auto o camper euro 9,00 tutto incluso; tariffa passeggeri euro 60,00 a persona, con sistemazione in cabina.
Adesso la predetta compagnia ci informa che la convenienza continuerà anche per tutta
l’estate. Dal 1° maggio al 30 settembre, infatti, i nostri soci – contattando direttamente gli uffici
della compagnia – potranno godere per tutto il periodo estivo e pre-estivo delle seguenti tariffe
scontatissime:
- camper: 25,00 euro a metro lineare oltre a 29,00 euro di diritti fissi + IVA;
- autovettura: 100,00 euro + IVA;
- passeggeri: 9,00 euro a persona + IVA con sistemazione in cabina a due letti.
Queste tariffe sono valide per le partenze del lunedì e del mercoledì da Livorno (ore
23,00) e da Trapani (ore 20,00). Per le altre partenze (venerdì ore 5,00 e sabato ore 12,00 da
Livorno; venerdì ore 11,00 e sabato ore 12,00 da Trapani) sarà invece applicato uno sconto sulle tariffe ordinarie in misura diversa rispetto alla stagionalità.
Per ulteriori informazioni: tel. 0923/21122 (Eguseamar – Trapani); oppure 081/
5515436 cell: 335/ 7077864 (Sig. ra Rosanna Lofaro) –E.Mail: [email protected] – Sito Web:
www.italtrag.com
A cura di Maurizio Karra
L'ultima parola
di Agostino Alaimo