Numero 74 - Anno XIII, Gennaio-Febbraio 2005
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Numero 74 - Anno XIII, Gennaio-Febbraio 2005
CLUB PLEIN AIR BDS Associazione nazionale dei camperisti e degli amanti del plein air del BANCO di SICILIA Aderente all'A.I.T.R. - Associazione Italiana Turismo Responsabile Gemellata con Camping Car Club Provence-Cote d’Azur , Club Plein Air Siracusa e Calabria Camper Club Sila Sede: Via Rosolino Pilo, 33 - 90139 PALERMO - 091.608.5152- Fax: 091.608.5517 Internet: www.pleinairbds.it - E-mail: [email protected] Comitato di Coordinamento Maurizio Karra (Presidente) - Giangiacomo Sideli (Vice Presidente) Achille Bufardeci, Giuseppe Carollo, Adele Crivello, Ninni Fiorentino ed Elio Rea (Consiglieri) Collegio sindacale Silvana Caruso La Rosa (Presidente) Luigi Fiscella ed Enzo Triolo (Componenti) Collegio dei Probiviri Pippo Campo (Presidente) Pietro Inzerillo e Marcello Oddo (Componenti) Bimestrale di informazione per i Soci del CLUB PLEIN AIR BDS Pubblicazione periodica a circolazione interna inviata anche ad altre Associazioni di campeggio e alla stampa Responsabile editoriale Maurizio Karra Redazione Mimma Ferrante, Giangiacomo Sideli e Alfio Triolo Hanno collaborato a questo numero anche: Agostino Alaimo, Piero Capnist, Maria Agnese Di Carlo, Luigi Fiscella, Giorgio Gigliotti, Enza Messina e Claudio Visentin In questo numero pag. 3 VITA DEL CLUB - Gli auguri di fine anno a Sferracavallo - Passeggiando per il Capo - Fra castellane e cavalieri - La storia di San Nicasio e l’Ordine dei Cavalieri di Malta " " " " 4 8 11 14 VIAGGI E TURISMO - La Semana Santa a Siviglia - La Pasqua in Calabria - La Giudaica di Laino Borgo - Al di là del Mediterraneo - Una finestra sul mondo musulmano " " " " " 15 18 20 21 24 TERRA DI SICILIA - Randazzo, la città degli Aragonesi - L’Opra dei pupi a Catania “ “ 30 33 RUBRICHE - Vita di camper - Viaggiare in modo responsabile - Internet, che passione - Cucina da ...camper - Riflessioni - News: notizie in breve - L'ultima parola “ “ “ “ “ “ " 36 37 39 41 42 43 46 EDITORIALE Editoriale S ulla tragedia del sud-est asiatico, mediaticamente penetrata in tutte le case del mondo per giorni e giorni con gran frastuono e abbondanza di immagini e statistiche, è calato – come avevo cinicamente previsto a caldo – un pietoso e assordante silenzio. Forse, se ne abbiamo avuto tanta eco nei primi giorni, è anche (o soprattutto) per via dei turisti occidentali - anche italiani - che ne sono stati coinvolti, molti dei quali purtroppo sepolti dalle macerie dello tsunami e tanti di più ufficialmente ancora dispersi, cioè senza nemmeno la possibilità di essere traslati nei luoghi di origine per essere sepolti con dignità e compianti da parenti e amici. Ma dei quasi 300.000 morti delle varie etnie locali? Dei sopravvissuti e della loro impossibilità a ricostruirsi di punto in bianco una casa, una vita, un lavoro (molti erano pescatori e hanno avuto distrutte famiglia, casa e barca)? Delle madri e delle ragazze in balia degli sbandati o della malavita locale che ne hanno schiavizzato migliaia per i bordelli delle capitali del piacere (degli occidentali)? Dei bambini reclutati dai guerriglieri come soldati per infauste lotte di liberazione contro amministrazioni locali o governi centrali (in particolare in Indonesia e Sry Lanka)? Ogni tanto qualcuno ne ha parlato in qualche trasmissione televisiva di approfondimento, spesso dopo le 23 (quando a rimanere davanti a una tivù rimangono in pochi) o in qualche articolo di fondo di quotidiani o magazine. Ma anche questa “attenzione” sta via via scemando. Forse se ne parlerà a un anno dalla tragedia, con uno “speciale” televisivo o uno “speciale” sui giornale, e questo servirà forse a mettere il cuore in pace a tanti. Perdonate il cinismo e l’amarezza. Ma un approfondimento anche su questo nostro giornalino, certamente parole che si aggiungono a fiumi di parole che finiscono in un mare di ipocrita perbenismo, essendo noi forse ancor più toccati in quanto viaggiatori, lo ritenevo quanto meno necessario. Anche se non ho volutamente attivato, da presidente del Club, alcuna specifica raccolta di fondi e di aiuti targata “CLUB PLEIN AIR BdS”, fidando nel fatto che ciascuno di noi ha contribuito personalmente e in silenzio come ha potuto con SMS, donazioni su c/c postale o bancario, tramite carta di credito, cessione di un’ora o di un giorno della propria retribuzione, ecc. Lascio a voi, intanto, su questo tema la lettura nelle pagine successive di un bellissimo articolo di Claudio Visentin, nella rubrica “Viaggiare in modo responsabile”. Non avrei potuto pensare né scrivere qualcosa di più interessante e valido, non avrebbe avuto senso in ogni caso proporre a firma mia qualcosa che sarebbe stato assai simile nel contenuto e magari non così bene argomentato (in realtà avevo già scritto a caldo qualcosa senza conoscere ovviamente l’intervento di Visentin che poi mi è giunto per E-Mail, attraverso il circuito dei comunicati stampa dell’AITR). Qual è il punto cruciale della vicenda? Ciò su cui dobbiamo riflettere, al di là del fenomeno in sé e delle sue conseguenze catastrofiche, è che lo tsunami ha evidenziato le incongruenze del macrofenomeno “turismo” colpendo proprio quelle località da sogno che sono sempre pubblicizzate con bellissime immagini naturalistiche accompagnate da splendide ragazze ammiccanti; un ambito sociale (e insieme un settore economico) a cui i media dedicano di solito un'attenzione tutto sommato marginale, e soprattutto stagionale, a parte ovviamente i magazine di settore. Al di là della tragedia in sé, scrive Visentin, la realtà emersa in queste settimane racconta una storia spesso diversa. Parla di villaggi vacanze e di isole riservate al turismo che sono oasi d'occidente in mondi lontani, pressoché separati dal loro retroterra anche prossimo, che solo in misura ridotta trae beneficio dalla loro presenza. Racconta di paesi nei quali la democrazia è attuata in forme a dir poco parziali o del tutto assente e di paesi noti per il turpe turismo sessuale, troppo a lungo benevolmente ignorato se non incoraggiato per i vantaggi economici e valutari che ne derivavano. In queste regioni ha senza dubbio senso ripensare un modello di sviluppo turistico internazionale che anche in tempi normali ha comunque un'efficacia (e una profittabilità) ridotta, e che nei momenti più difficili mostra tutte le sue difficoltà e le sue contraddizioni, in favore di forme di turismo sostenibile e responsabile (e non solo eticamente giustificate). Ma di ragionamenti di questo genere non vi è traccia nelle maggiori riviste di turismo uscite dopo la tragedia. Semplice dimenticanza? Scelta di fare la parte dello struzzo? Necessità di rilanciare il fatturato dei grandi tour operator (che sono poi anche i maggiori inserzionisti pubblicitari)? Rifletteteci... Maurizio Karra Gli auguri di fine anno a Sferracavallo La cena sociale alle Tre Lampare di Barcarello e la premiazione dei soci più meritevoli del 2004 E ravamo in ottantatrè al ristorante “Le Tre Lampare” di Sferracavallo, sul lungomare Barcarello, la sera del 18 dicembre a festeggiare la conclusione di un anno fra i più frenetici per numero e varietà delle iniziative intraprese dalla nascita della nostra associazione. E c’erano fra noi, oltre a tanti soci palermitani, anche amici di Siracusa, Palazzolo Acreide, Ragusa ed Enna a testimoniare con la loro presenza e il loro affetto l’attaccamento al Club, e ciò nonostante le avverse condizioni meteorologiche (non dimentichiamo che il traghetto Vincenzo Florio della Tirrenia proprio quella sera, col mare a forza 8, è quasi colato a picco a poche miglia da Palermo!). sa di mare e degli spaghetti con cozze e vongole; un arrosto misto di pesce e gamberoni, infine composta di frutta fresca e parflè di mandorla. La cena, a giudizio della stragrande maggioranza dei commensali, è stata ottima e abbondante, pur con la solita voce fuori dal coro che assicurava di non aver mangiato quasi nulla e che comunque non poteva che essere tutto surgelato. Il significato della serata Come sempre, la cena sociale di fine anno è un’occasione d’incontro anche per quei soci che sono meno assidui nella partecipazione alle gite del week-end; ed è un’occasione in cui si consolidano - fra baci, abbracci e auguri per il Natale - i rapporti che ci legano l’un con l’altro. Questo è il senso della serata, questo è il senso per chi anno dopo anno si fa carico di un’organizzazione fra le più complesse e “pesanti” di tutto l’anno, con la certezza (o almeno la speranza) che gli sforzi profusi siano ricompensati dalla serenità e dal valore dell’amicizia. Che poi tutto ciò avvenga davanti a un semplice piatto di spaghetti al pomodoro o davanti a un risotto ai frutti di mare poco importa, tanto più che è ormai tradizione che il Club si faccia carico della quota di partecipazione alla cena dei soci “capofamiglia”. Quest’anno il menu prevedeva un ricco set di antipasti di mare, dalle cozze scoppiate ai gamberetti in salsetta, dal fritto di calamari alla sarde a beccafico, dall’insalata di polpo al pesce spada fumè; oltre al risotto ai frutti di mare anche dei ravioli ripieni di cernia in sal- Due angoli della sala del Ristorante Le Tre Lampare Ma la cena serve anche per premiare i soci che si sono particolarmente distinti nell’anno. A parte ciò, è ormai consolidata tradizione che, nel corso della serata, si faccia dono a tutti i soci presenti di un omaggio, quest’anno consistente nel nuovo tappetinomouse del Club e in una guida dei migliori vini di Sicilia. Ma poi, il momento clou, a fine cena, è quello in cui si effettua la proclamazione e la premiazione dei vincitori dei con- corsi abbinati ai viaggi estivi (quello fotografico e quello giornalistico) e l’assegnazione di premi ai soci più meritevoli. I premiati Si è dato inizio alle premiazioni con i partecipanti al concorso fotografico. Come premio a tutti i diciassette soci che hanno avuto il piacere di partecipare alla mostra è stato fatto loro omaggio di un CD di musica classica. Inoltre è stata aperta in pubblico la busta contenete il verbale della Commissione valutatrice del concorso, presieduta da Franco Lannino e composta anche dai fotografi Michele Naccari e Daniele Buffa, che, dopo l’esame delle 130 foto esposte nella mostra “Latitudini d’autore” (che tanto successo di pubblico e di critica giornalistica ha riscosso quest’anno), ha deciso di assegnare: x il primo premio (consistente in un buono acquisto del valore di 75 euro della ditta Randazzo) a Giangiacomo Sideli per la foto “Frescura” (nel calendario 2005 è quella di giugno, che il destino ha voluto fosse già la foto di copertina dello scorso numero del giornalino) “per la tecnica, la spontaneità ed il perfetto equilibrio dei soggetti che compongono lo scatto”; Giangiacomo Sideli riceve il 1° premio del concorso fotografico x x il secondo premio (consistente in un buono acquisto del valore di 50 euro della ditta Randazzo) a Maurizio Carabillò per la foto “Alce Dormiente” (nella copertina del calendario al centro in basso) “per la spontaneità, il taglio divertente ed ironico dello scatto, oltre che per una buona tecnica”; il terzo premio (consistente in un buono acquisto del valore di 25 euro della ditta Randazzo) a Luigi Fiscella per la foto “Vivere alla giornata” (nella copertina a destra accanto all’anno 2005) “per aver colto, pur in vacanza in un paese che offre mille spunti più turistici, uno spaccato di un normale momento di vita della persona che appunto vive come può, oltre che per la giusta tecnica dello scatto. Si è poi passati al concorso giornalistico. A questo concorso hanno partecipato quest’anno solo tre soci: Luigi Fiscella, con il set di articoli pubblicati sul numero di settembre/ottobre 2004 del nostro giornalino dal titolo “L’altra Croazia”; Antonella e Giovanni Pitré con l’articolo “Al di là dell’Adriatico”, che sarà pubblicato sul prossimo numero; e infine Enza Messina e Paolo Carabillò con due articoli, il primo (già pubblicato sul numero di novembre/dicembre 2004) dal titolo “Alla scoperta di Berlino e Dresda“, il secondo dal titolo “Il Baltico polacco”, che sarà pubblicato prossimamente. Per premiare tutti i partecipanti e stimolare per il futuro la partecipazione di un maggiore numero di soci a questo concorso, da cui si alimenta la sezione dei viaggi del giornalino, la Commissione – composta dagli stessi membri della redazione (Alfio Triolo, Giangiacomo Sideli, Mimma Ferrante e Maurizio Karra) – ha proposto al direttivo (che ha accolto la proposta stessa) che a tutti e tre i concorrenti fosse assegnato come premio il volume “Molvanìa”, una simpatica e ironica guida su un paese inesistente che proprio attraverso l’ironia vuole sfatare i luoghi comuni dei viaggi. Ha altresì deciso di assegnare il primo premio (un dizionario in tre volumi sugli architetti, sui pittori e sugli scultori siciliani) a Enza Messina e Paolo Carabillò per l’articolo “Il Baltico polacco”, per l’ottima chiarezza del linguaggio, l’interesse del contenuto e l’insieme delle informazioni utili che vi sono riscontrabili. Dulcis in fundo, ecco i premi per i soci più meritevoli de 2004. Come ogni anno, infatti, sulla falsa riga di quanto anche altre associazioni fanno, è abitudine del nostro Club premiare i soci più meritevoli, cioè quelli che hanno seguito con maggiore assiduità le iniziative del sodalizio e che hanno magari anche collaborato col direttivo nella loro or- ganizzazione e realizzazione. E sono state prese in considerazione tutte le attività del Club x le gite dei week-end e le visite di Palermo: ai partecipanti è stato assegnato 1 punto, a chi l’ha organizzato 1 punto in più; x proiezioni di film e dia presso la sede sociale: ai partecipanti è stato assegnato 1 punto, a chi l’ha organizzato 1 punto in più; x viaggi estivi di gruppo: ai partecipanti sono stati assegnati 3 punti, a chi ne ha organizzato uno 2 punti in più; x concorso giornalistico e fotografico: ai partecipanti è stato assegnato 1 punto, a chi l’ha organizzato 1 punto in più; x collaborazioni (foto e/o testo) al giornalino: per ciascuna collaborazione 1 punto, a chi impagina il giornalino e a chi ne realizza la versione web 2 punti; x aggiornamento banche dati estero: ½ punto ogni città/località per la quale sono stati forniti aggiornamenti, 1 punto per ogni nuova scheda; x convenzioni: 1 punto per ogni convenzione firmata; x capi di abbigliamento del Club: 1 punto per ogni capo acquistato (felpe, k-way, zainetti) x riunioni di direttivo: 1 punto per la partecipazione a ogni riunione dei componenti. Matteo Graffagnini, socio rivelazione del 2004 In relazione a ciò, è stata stilata una “classifica” di merito dalla quale è emerso che i soci più “presenti” ed “attivi” sono stati: N. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 COGNOME KARRA CARABILLO' SIDELI FIORENTINO CRIVELLO AMICO PETRALIA SPADONI REA MARASCIA TRIOLO FISCELLA TRIOLO PUCCIO AMATO PITRE' ACQUISTO CAMPAGNA CAROLLO GRAFFAGNINI PALAZZOLO CARUSO GRISTINA AMENTA TOMASINO NOME PUNTI MAURIZIO 131 PAOLO 44 GIANGIACOMO 40 ANTONINO 36 ADELE 31 GIOVANNA 29 PIETRO 24 EDUARDO 21 ELIO 20 MICHELE 18 ALFIO 18 LUIGI 16 VINCENZO 16 NUNZIATELLA 15 ALFIO 12 GIOVANNI 12 ANGELO 11 SERGIO 11 GIUSEPPE 11 MATTEO 11 GIUSEPPE 11 SILVANA 10 ENRICO 10 EMANUELE 9 MARIO 9 Esclusi ovviamente i componenti del direttivo, sono stati assegnati dei premi a Matteo Graffagnini, iscrittosi a inizio del 2004, quale socio rivelazione (una bella pubblicazione); a Giovanna Amico, Pietro Petralia ed Eduardo Spadoni quali soci più partecipi alle attività dell’anno (una borsa portadocumenti); e a Paolo Carabillò, per la seconda volta, quale socio dell’anno (un set di degustazione di vini composto da 6 bicchieri borgogna e una carraffa). Al di là del valore intrinseco del premio, in tal modo si vuole sempre testimoniare pubblicamente la stima e la gratitudine per chi è più vicino al Club e, in alcuni casi, non ha bisogno di essere un consigliere per collaborare alle varie iniziative. M. K. I soci più meritevoli del 2004: in alto Giovanna Amico, Pietro Petralia e, a destra, Eduardo Spadoni. In basso il socio dell’anno, Paolo Carabillò, insieme al figlio Maurizio, mentre riceve il premio. Passeggiando per il Capo Il terzo appuntamento del programma “About Palermo” E ravamo poco meno di quaranta, la mattina di domenica 16 gennaio, al terzo appuntamento del programma “About Palermo”, che prevedeva la passeggiata per le vie di quello che un tempo era chiamato il Rione degli Schiavoni, e che oggi è definito “Il Capo”. Insieme a noi la nostra guida, Filippo La Porta, che ci ha accompagnato per tutta la mattina all’interno di questa vasta area compresa tra il Cassaro, la Via Maqueda e la zona nordoccidentale della distrutta cinta muraria della città (dove adesso sorgono il Teatro Massimo e il Tribunale), un tempo lambita dal Papireto. Il quartiere nacque e si sviluppò urbanisticamente in età araba; il suo nome originario derivava dal fatto che, per l’insalubrità dell’area dovuta alla depressione del fiume, erano stati dei pirati i primi a insediarvisi dopo essersi resi per lungo tempo tristemente famosi per le loro razzie, gli atti di violenza e perfino per il commercio degli schiavi (da qui il nome, attribuito loro dal resto della popolazione, di “Schiavoni”). Dopo il prosciugamento del fiume Papireto, a mano a mano il quartiere fu popolato anche dal resto della popolazione di Palermo, quella di condizione più umile e misera, che vi edificò abitazioni modeste e prive di qualsiasi servizio e si attivò soprattutto nel commercio. Da qui la nascita a poco a poco di uno dei più noti mercati popolari della città, quello appunto che ancora oggi si chiama del Capo e che, pur se solo in parte, anche la domenica mattina è aperto (e lo è stato per la gioia di tutti i soci che vi hanno a fine visita effettuato acquisti in massa). U riuni capu (cioè il rione principale: “capu” dal latino caput) è rimasto un quartiere di impronta araba, con una rete fittissima di vicoli e vicoletti. Nell’800 si realizzò un grosso sventramento ad “isole” e furono così create anche delle piazze (come quella degli Aragonesi) oltre a quelle già esistenti (del Monte di Pietà, dei Quaranta Martiri, dei Beati Paoli). Ad inizio della visita è stato subito chiaro che la zona del Capo più prossima a Porta Carini, che pullula tutti i giorni delle bancarelle del mercato ricolme di tutte le merci, si caratterizza ancora oggi per una presenza assai capillare di chiese, alcune delle quali in avanzato stato di degrado, altre invece di particolare interesse storico e artistico. Fra queste particolare attenzione è stata dedicata alla visita della Chiesa della Concezione, che faceva parte di un vasto complesso conventuale sorto nel ‘500 per volere della nobildonna Laura Ventimiglia e che fu trasformato in ospedale alla fine dell’Ottocento per essere poi abbattuto alcuni decenni fa. Uno scorcio del mercato del Capo. In basso un particolare dell’interno della chiesa dell’Immacolata Concezione I lavori per la costruzione della chiesa si svilupparono comunque soprattutto nel ‘600, allorquando lo stile barocco giungeva a Palermo; la facciata è ancora tardorinascimentale, quindi abbastanza sobria, e nul- la farebbe pensare agli addobbi che invece custodisce la chiesa al suo interno, definito dal Bellafiore <<la rilevazione di un’epoca>>, quella del barocco fiorito, nel quale marmi policromi, ori, stucchi, affreschi fantasmagorici, ferri lavorati e pietre preziose si fondono in un trionfo sensuale che imponeva e impone ancora oggi rispetto e stupore. Di fronte alle misere condizioni di vita della gente che abitava nel quartiere, questa chiesa voleva essere il simbolo della potenza di Dio, nonché del fasto della Chiesa su ogni umana cosa terrena. Il fasto è tale che ci volle più di un secolo perché l’interno fosse completato per opera di artisti ben noti (Olivio Sozzi, Vincenzo Guercio, Pietro Novelli) e di altri rimasti del tutto anonimi. Colonne di marmo, blasoni, arabeschi intarsiati, statue e stucchi: tutto vuole testimoniare la sontuosità di un’epoca e la ricchezza di un’arte senza uguali. E ancora oggi non si può non rimanere a bocca aperta, come siamo rimasti tutti noi, davanti a così tanta meraviglia. Proseguendo nella passeggiata, il gruppo ha poi raggiunto la Piazza del Capo, il cuore del quartiere, da cui ha inizio la Via dei Beati Paoli che si conclude nell’omonima piazza. Questa zona, al di là della sua odierna funzione urbanistica e delle architetture che vi prospettano, ha riportato alla mente (grazie anche alle storie e agli aneddoti raccontati dalla nostra guida) le vicende della setta segreta che qui nacque e tenne il proprio quartiere generale a partire dal ‘600, e che secondo alcuni fu alla base della nascita della mafia. I Beati Paoli, che una certa letteratura d’appendice ha cercato di dipingere in modo romantico come un gruppo di novelli cavalieri alla Robin Hood, secondo gli storici più accreditati erano solamente una banda di malfattori che vivevano nell’ombra lottando contro una parte della nobiltà palermitana, uccidendo, effettuando delazioni e costruendo veri e propri dossier che usavano poi per ricattare varie persone. Si trattava, secondo il Pitrè, di una setta segreta (una sorta di servizio segreto deviato, anche per la presenza in incognito di membri delle gendarmeria) che si attribuiva la potestà di fare giustizia da sé laddove la giustizia ufficiale non poteva o non voleva avventurarsi, una sorta di giustizieri della notte di cui face- vano parte anche giovani rampolli della nobiltà che però a un certo punto iniziarono a effettuare crimini anche politicamente ingiustificati e perciò intollerabili anche da parte di quella sezione della popolazione che all’inizio li aveva visti di buon occhio. La tradizione vuole che questo nome essi lo avessero in quanto uomini devoti; <<di giorno andavano vestiti da frati dell’ordine di San Francesco di Paola e se ne stavano nelle Chiese a recitar rosari; di notte si accordavano intorno a ciò che avean veduto o saputo e ordinavano le vendette da fare>>, scriveva nel ‘700 il Villabianca. La setta aveva la sua sede in una grotta, esistente ancora oggi, nel Vicolo degli Orfani, quindi a ridosso della Piazza dei Beati Paoli, presso la chiesa dei Santi Cosma e Damiano; qui le riunioni avevano luogo la notte e i vari adepti vi giungevano attraverso vari cuniculi sotterranei di cui ancora oggi la vecchia città è piena (anche se oggi essi risultano murati), taluni raggiungibili dalle cripte di alcune chiese vicine e meno vicine. I soci del Club in Piazza dei Beati Paoli, intabarrati per il freddo Proseguendo ancora avanti dopo aver a lungo commentato della storia dei Beati Paoli, il gruppo dei nostri soci è quindi giunto alla piazza dove tuttora sorge l’antico Monte di Pietà. Il Senato palermitano decise l’istituzione del Monte di Pietà nel 1541 col favore del Vicerè Ferdinando Gonzaga e lo trasferì in questo palazzo, costruito a fine ‘500 e dedicato alla Patrona della città, Santa Rosalia. Vi si prestava denaro al tasso del 6% contro cessione in pegno di ogni sorta di merci, escluse quelle di lana, che potevano quindi essere richieste entro tre anni dal deposito; ciò che non veniva ritirato entro detto termine, finiva venduto all’asta. Nell’occasione le campane chiamavano a raccolta gli interessati. L'edificio, com’è noto, oggi non è più adibito a Monte di Pietà, poiché questo - assorbito dal Banco di Sicilia - è stato trasferito alla fine del secolo XX in locali più moderni in altra zona della città. La passeggiata si è quindi conclusa con la visita di un’altra chiesa simbolo del rione, quella di Sant’Agostino; si tratta, dal punto di vista storico, di un’architettura unica nel contesto palermitano: eretta in età angioina a metà del ‘200, la chiesa fu voluta soprattutto da due famiglie nobiliari dell’epoca, gli Sclafani e i Chiaramonte, che provvedettero con le loro donazioni alla sua costruzione apponendo quindi i loro stemmi ai due lati del portale della chiesa. Alla nuda e semplice pietra viva della facciata si contrappongono lo splendore del portale, impreziosito da arabeschi a motivi astratti geometrici e floreali, e l’eccezionale bellezza del rosone, che è la caratteristica stilistica principale di tutta la chiesa. Si tratta di un insieme di colonnine intrecciate ai margini quasi da formare un motivo a stella, in cui il motivo dell’arabesco medioevale si mostra in uno dei suoi esempi massimi. L’interno della Chiesa, a unica e o- blunga navata, fu ristrutturato nel ‘700 e oggi è un insieme di stucchi che mal si conciliano con l’esterno. Il Serpotta fu chiamato, infatti, a decorare le pareti della Chiesa nel momento in cui tra la fine del ‘600 e l’inizio del secolo successivo si pose mano a una ristrutturazione della parte interna; utilizzò l’arte massima del tempo, ossia lo stucco, per raffigurare tra i vari panneggiamenti santi e figure allegoriche, nonché angeli e puttini che appesantiscono di molto tutto l’insieme. Splendido il cinquecentesco Chiostro degli Agostiniani, accanto alla chiesa, una parte del quale (quello che dà a sua volta accesso all’antica sacrestia) conserva alcune colonnine e fregi trecenteschi. Tutto l’insieme, con il bel giardino interno, ha offerto a tutto il gruppo dei soci del Club un’immagine di rara bellezza e di serenità e gli ultimi attimi di “cultura storica”, prima che un po’ tutti, a piccoli gruppetti si perdessero famelicamente tra le bancarelle del vicino mercato per i loro acquisti. Ma, alla fine, non è anche questa cultura? Maurizio Karra Alcuni soci del Club nel Chiostro degli Agostiniani Fra castellane e cavalieri La prima gita del 2005 nel borgo medievale di Caccamo, alla scoperta del suo poderoso castello, delle sue belle chiese e delle sue prelibatezze alimentari T ra gennaio e febbraio, si sa, si susseguono i giorni più freddi dell’anno, e ciò accade – anche se in misura meno marcata anche nella nostra Sicilia, l’isola del sole per antonomasia; ma, a differenza di altri club che in questo periodo, a parte le escursioni in montagna per la neve, sono costretti a diradare al massimo le uscite in camper o a andare quasi in letargo, noi riusciamo, magari con un po’ di difficoltà e circospezione, ad approfittare di qualche giornata più calda e più soleggiata per organizzare anche delle gite invernali. E così l’inclemenza atmosferica non ci ha tenuto lontano dai nostri amati camper nemmeno a gennaio, facendo sì che al primo raduno del Club nel 2005, fissato a Caccamo nel week-end del 22 e 23 gennaio, partecipassero numerosi equipaggi, che si sono dati appuntamento nel comodo parcheggio ai piedi del castello della cittadina. Qui, dopo i saluti di rito, ci hanno dato il benvenuto le simpatiche guide dell’Associazione culturale “Sicilia e dintorni”, incaricate nel corso del pomeriggio del sabato e della mattina della domenica di farci esplorare la cittadina medievale. La prima sosta è stata presso la sede della stessa associazione dove ci sono stati offerti degli assaggi di tuma e della rinomata salsiccia asciutta locale; e poi, lungo le scalinate che collegano le diverse altezze del borgo, situato a 521 metri di altitudine e scavato in uno sperone roccioso alle falde del monte San Calogero, si è dato il via all’esplorazione della Terravecchia, il quartiere costruito a ridosso della roccia e del castello. Qui le costruzioni si susseguono una dopo l’altra in un insieme labirintico, dove le pareti rocciose sono una presenza costante e le scale si inerpicano lungo pendenze da brivido. Ai piedi del castello si allarga la scenografica Piazza Duomo, su cui si affaccia la chiesa più importante della cittadina, dedicata a San Giorgio, la chiesa delle Anime Sante del Purgatorio, che ospita alcune catacombe, oltre a quella del SS. Sacramento, e l’ex-Monte di Pietà. E’ giunto poi il momento di esplorare un altro aspetto dell’identità cittadina, quello gastronomico, “assaltando” letteralmente una macelleria che metteva in “mostra” la specialità locale, la rinomata salsiccia asciutta che avevamo anche appena degustato, oltre all’ottima carne di vitelli allevati come una volta nelle campagne limitrofe al paese. Ultimo appuntamento della sera la vicina pizzeria “La castellana” dove attendeva tutti una bella tavolata al calduccio dove stemperare il freddo pungente e l’ovvio appetito che nel frattempo era sopraggiunto. Due murales del centro La mattina della domenica, dopo un buon sonno ristoratore, non disturbato dalle intemperanze digestive, ci siamo rituffati nelle stradine in pietra viva del centro storico del borgo, dove occhieggiano qua e là pregevoli murales con dolci castellane e prodi cavalieri che fanno tornare con la fantasia in piena atmosfera medievale, prima di cominciare la “scalata” verso il castello, che si erge sul punto più alto della rupe. Il suggestivo maniero, sicuramente uno dei più grandi dell’isola, risale al periodo normanno, anche se è stato sistemato e ampliato fino all’inizio dell’800, divenendo una fortezza inespugnabile prima e una residenza nobiliare poi, grazie ai vari abbellimenti intrapresi dalle varie famiglie di signorotti che vi si sono succedute. Vi si penetra da una suggestiva rampa scavata nella roccia, fiancheggiata da merli e da una costruzione caratterizzata da bifore, prima di raggiungere la corte interna, denominata “atrio a tenaglia” perché in caso di assedio proprio qui i nemici venivano colpiti da pece e olio bollente lanciato dalle finestre; si prosegue, quindi, oltre un portale ogivale, lasciandosi dietro le scuderie e i locali del corpo di guardia, fino a raggiungere la corte centrale, caratterizzata dalla pavimentazione detta a tela di ragno per consentire la raccolta delle acque piovane nella sottostante cisterna. Nei pressi si nota anche lo stemma cittadino, in cui è visibile la testa di un cavallo e l’emblema della Trinacria, da cui si fa derivare il nome del borgo, dal cartaginese “Caccabe” che significa cavallo e che rimanderebbe all’epoca della fondazione cittadina, quando i cartaginesi, sconfitti a Termini, avrebbero riparato sulla rupe soprastante, dando vita al borgo di Caccamo. Penetrando nel “Piano nobile” del castello il gruppo si è poi ritrovato nel Salone della Congiura, caratterizzato dall’originale soffitto ligneo a cassettoni intagliato e dipinto, dove nel 1160 i Baroni siciliani, guidati da Matteo Bonello, tramarono contro re Guglielmo, detto “il Malo”; da qui si susseguono varie sale arricchite da resti di affreschi e arredate da imitazioni di mobili d’epoca (gli originali sono stati distrutti o depredati nel tempo), fino a raggiungere una vasta terrazza che permette di ammirare un magnifico panorama sulla vallata sottostante e sulla diga Rosamarina, realizzata laddove prima scorreva l’alvo del fiume San Leonardo; peccato che in quest’angolo che invita ad una bucolica serenità ci impiccassero i prigionieri! Siamo poi tornati nel quartiere sottostante dove, dopo una rapida visita alla Mostra permanente della Civiltà Contadina, ambientata in una minuscola casa contadina addossata alla roccia, ci siamo recati dapprima al Duomo di San Giorgio, risalente al XV secolo, che ospita numerose opere d’arte, e poi alla chiesa di San Benedetto alla Badia, la più bella della cittadina grazie al magnifico pavimento di piastrelle del Settecento che ingloba diversi disegni nei colori solari, il blu, il giallo e il verde, tipici della ceramica siciliana; il fulcro della composizione è sicuramente il vasto pannello centrale in cui è raffigurata una tempesta che si scatena in mare e che fa bec- cheggiare una nave, facendo ricorso alla simbologia del veliero sballottato dagli elementi, ma non affondato, al pari della chiesa cattolica che può vacillare nel corso dei secoli, ma che non sarà mai travolta dalle forze del male. Dopo essere rimasti colpiti dalla magnificenza del pavimento e averne esplorato i numerosi disegni che ne fanno un unicum nel pur ricchissimo panorama artistico siciliano, abbiamo concluso la visita di Caccamo con l’esplorazione della chiesa della SS. Annunziata, che si innalza su due squadrate torri campanaria, una delle quali, la sinistra, era una torre del sistema difensivo del castello risalente al XV secolo; al suo interno abbiamo seguito un commovente battesimo, oltre ad ammirare notevoli tele di arte sacra, sculture e paramenti che ne fanno una sorta di museo d’arte sacra, cui si contrappongono gli affreschi della cupola, realizzati a metà ‘900 da Giambecchina e gli stucchi di scuola serpottiana. Tra le cappelle della chiesa spicca quella dedicata a San Nicasio martire, compatrono cittadino, che schiaccia un animale con fattezze umane, in ricordo della peste da cui liberò la cittadina nel Seicento; questo santo si votò all’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, odierno Ordine dei Cavalieri di Malta, e su questo aspetto della sua vita si sono ritrovati a discutere il nostro Enzo Pugliesi, anch’egli appartenente all’Ordine, e il parroco della chiesa, in cerca di approfondimenti sull’Ordine. Incredibile come da una visita artistica possano scaturire tanti stimoli! Dopo tante meraviglie non ci è rimasto che tornare alle nostre case su ruote, dove ci siamo sforzati di consumare un modesto pranzo, per controbilanciare almeno in parte gli stravizi alimentari delle feste; peccato che la salsiccia asciutta occhieggiasse ammiccante sulle tavole di tutti i mezzi… Mimma Ferrante Piazza Duomo a Caccamo La storia di San Nicasio e l’Ordine dei Cavalieri di Malta P oche sono le notizie storiche certe sulla vita di San Nicasio, compatrono di Caccamo. Sembra che egli sia nato tra il 1130 e il 1140 e che sia morto martire nel 1187; di sicuro c’è che fosse di origine siciliana, probabilmente palermitano, discendente dai saraceni per parte di padre e dai normanni per parte di madre. Insieme alla famiglia nel 1088 il giovane Nicasio si fece cristiano alla presenza di re Ruggero II che concesse alla stessa in signoria il castello di Burgio (da quel momento la famiglia prese il nome di Burgio); ma, abbandonando lusso e ricchezze, in seguito Nicasio insieme al fratello Ferrandino abbracciò la vita religiosa come frate laico nell’Ordine Ospedaliero dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, oggi noto come Ordine di Malta. Fra i voti presi vi era quello di dedicarsi al conforto degli afflitti e all’assistenza dei pellegrini in Terra Santa. E alla volta della Terra Santa Nicasio si imbarcò nel 1185 da Trapani al seguito di Ruggero des Moulins – Gran Maestro dei Gerosolimitani - per difendere il Santo Seplocro e per dare assistenza ai malati e ai feriti nell’Ospedale di San Giovanni in Gerusalemme. Ma il 30 giugno del 1187 il Sultano Saladino invase la città di Gerusalemme facendo strage dei cristiani, mentre i superstiti si rifugiavano al castello di Tiberiade in un ultimo tentativo di resistenza; ma qui, dopo pochi giorni, decimati e allo stremo, furono definitivamente sconfitti e fatti prigionieri con la morte in battaglia dello stesso Ruggero des Moulins e di gran parte degli Ospitalieri. Anche Nicasio, che era capitano al seguito di Ruggero Des Moulins, fu fatto prigioniero durante la battaglia e, poiché si rifiutò di rinnegare Cristo, fu decapitato alla presenza del Sultano. Quando l'Arcivescovo di Tiro, giunto a Palermo nell'estate del 1187, diede la notizia dell'uccisione dei fratelli Ferrandino e Nicasio al re Guglielmo II, questi si stracciò i lussuosi vestiti di seta, indossò un saio e andò in ritiro penitenziale per quattro giorni. Nicasio fu venerato come martire sin dai primi anni dopo la sua morte. La venerazione pare abbia avuto inizio proprio a Caccamo, ma un altare a lui dedicato esisteva già nel 1305 nella Chiesa di San Pietro in Trapani. Scrive il Sacerdote Vincenzo Venuti nel suo "Discorso storico-critico su San Nicasio Martire” edito nel 1762: "...ora dal dominio, ch'ebbe vicino di Caccamo la famiglia del Bur- gio, o dalla divozione, che a San Nicasio professò la famiglia Cabrera, o per ambi i motivi, io stimo essersi pian piano introdotto in Caccamo un qualche culto del nostro Santo Gerosolimitano...". I Burgio, quindi, non erano Signori di Caccamo, ma furono padroni di un casale nei pressi della città chiamato Caccamo minore, che estendeva i suoi confini con Termini Imerese, a quattro miglia da Caccamo. A tal proposito si legge nel testamento di Roberto Lo Burgio datato 4 Luglio 1230 "...investit ex nunc et pro tempore post ejus mortem Dominum Rubertellum...Pheudi et Casalis Caccabi minoris, et de omnibus terris a dicto Casale descendentibus in vallonem usque ad confines Hymeram...". Inoltre, un discendente della famiglia Burgio, Nicolò, sposò Leonora Maria Cabrera un tempo Signora di Caccamo. Se quindi il culto di San Nicasio si diffuse proprio a partire da Caccamo, ciò fu dovuto sostanzialmente a motivi ...politici dato che la famiglia Cabrera lo vantava come antenato volendo propagare la gloria del casato. Nel 1596 fu costituita anche una Confraternita a lui intitolata che rafforzò la venerazione verso il santo che il 31 maggio 1625 fu definitivamente eletto Patrono di Caccamo con il voto perpetuo della città a celebrarne la festa nell’ultima domenica di agosto e il lunedì successivo, in ricordo della traslazione della reliquia, trovata nella Cattedrale di Palermo, nella chiesa della SS. Annunziata di Caccamo dove adesso si trova. Il 1° luglio è stato invece solennizzato come festa liturgica in suo onore dal nuovo Martirologio Romano promulgato nel 2001 da Papa Giovanni Paolo II e in tale data a Caccamo si celebra ogni anno una festa liturgica che si aggiunge a quella solenne e tradizionale rimasta fissata all'ultima domenica d'agosto e al lunedì successivo. La Semana Santa a Siviglia Le processioni dalla Domenica delle Palme al Venerdì Santo danno l’opportunità di una visita della grande città spagnola anche al di fuori dei mesi estivi: un’idea anche per visitare la zona limitrofa, a condizione che il maltempo del periodo non renda tutto più difficile e complicato... I l nostro viaggio è cominciato il 25 marzo 2004, nella tarda mattinata: da Vercelli a Imperia tra pioggia battente e tuoni fortissimi, quindi, alternando strada statale e pezzi di autostrada, St. Raphael, St. Marie de la Mer, Aigues Martes per una passeggiata tra i negozi dentro le mura e un po’ di shopping per poi riprendere strada ammirando colonie di fenicotteri rosa e bianchi cavalli al pascolo tipici di queste zone. Costeggiando la costa francese abbiamo attraversato Séte, bellissima e fiorita in questo periodo; quindi la statale n. 9 fino a Perdignon, poi l’autostrada. Superata Barcelona, eccoci per una brevissima siesta a Tarragena, con visita al centro storico e poi di nuovo in viaggio fino a Peniscola, bellissimo paese sulla costa chiamata la St. Michele spagnola. Qui un eccezionale ondata di maltempo ci ha tenuti fermi una giornata intera, pioggia intensa, forti raffiche scuotevano i nostri camper, mareggiate, alberi abbattuti: insomma è nevicato fino a Valencia, il che è tutto dire… Che si fa in questi casi? Si sta tranquilli fino a quando torna la calma, ed è quello che abbiamo fatto noi, non siamo scesi neanche per comprare il pane; per fortuna il giorno dopo siamo potuti ripartire. Lasciata Peniscola siamo andati a Murcia ma non siamo riusciti a trovare posto vicino al centro così abbiamo proseguito. Se capitate da quelle parti fate un salto, anche solo un giro in camper, ad Elche dichiarato patrimonio dell`umanita` per le 300 mila palme disseminate per la città; volute dai Fenici , risalgono al I secolo a.C. Poco distante da Murcia siamo andati a visitare il Monasterio di Las Jeronhimos, sede di una prestigiosa Università Cattolica. Abbiamo pernottato in un parcheggio custo- dito tutta la notte gratis. Dalla costa ci siamo inoltrati così verso l’interno dove lo scenario cambia, con zone desertiche dove sembra che Sergio Leone abbia girato alcuni film western senza dover andare in Arizona (il sito si presta!). Abbiamo visitato Cahegui, paese che ha in alto il borgo medievale, mentre la parte moderna si è sviluppata in basso, Caravaca de la Cruz, con negozi con roba di corredo ricamata a mano a prezzi veramente buoni. Quindi ci siamo diretti a Siviglia per assistere alle manifestazioni della rinomata “Semana Santa”, dove è possibile fermarsi al campeggio Dos Ermanas, distante 14 km dal centro ma vicino alla fermata dell’autobus. La settimana Santa é iniziata la Domenica delle Palme con una processione. Premetto nel dirvi che tutte le processioni partono dalle varie parrocchie e arrivano tutte in Cattedrale, entrano e poi ritornano nelle chiese d’origine. Le “vare”, di gusto tipicamente barocco, addobbate con fiori, candelabri, stendardi e coperti da baldacchino sono tutte portate rigorosamente a spalle, anzi appoggiate sulla nuca, dai costaleros. A volte occorrono dalle 40 alle 80 persone per portare questi gruppi statuari pesantissimi (quella che pesa di meno é una tonnellata e mezzo!). Due immagini delle solenni processioni che si svolgono a Siviglia C’é una sorta di capitano che coordina il tutto, e i portatori debbono essere perfettamente sincronizzati. L’andatura é segnata dalla banda musicale, a volte dondolano, a volte accelerano un po’, spesso si fermano per darsi il cambio. Questi portatori non si vedono perché le “vare” sono coperte tutt’attorno da drappi, e sembra che queste statue si muovano da sole. Ogni processione ha la statua della Madonna Addolorata; alcune Madonne sono addobbate con un manto non di colore nero ma beige: manto molto prezioso ricamato con fili dorati, poi una o due, con i misteri, Gesù nell’orto, l’Ecce Homo etc… questi gruppi sono preceduti da Nazaries, a volte sono 1000, altre volte anche 2500; sono confraternite, ma anche penitenti che sciolgono qualche voto. Sono tutti incappucciati e a volte ci sono anche dei ragazzini e perfino dei bambini. Una processione inizia alle ore 14 e si ritira magari alle 4 del mattino, vuoi per la distanza dalla Cattedrale, vuoi per il numero dei Nazaries che vi prendono parte. A volte, durante il percorso, uomini o donne, gitani, cantano dei brani struggenti, sembrano lamenti, fanno venire la pelle d’oca. Tutti i giorni ci sono processioni, Siviglia si ferma, la folla segue, uomini, donne, bambini, vecchi, sivigliani e turisti: insomma, é impossibile camminare. Attorno alla Cattedrale e lungo il percorso obbligato da dove transitano le processioni, migliaia di sedie a pagamento come agli spettacoli: 25 euro per i primi posti che si prenotano anzitempo, 7 per gli ultimi (e non sono rimborsabili a causa della pioggia, ne puoi utilizzarli il giorno dopo… noi ne abbiamo sprecati 4 a causa della pioggia). Giovedì e venerdì festa per tutti: negozi, uffici, scuole chiuse, solo le panetterie assicurano pane fresco. Ogni cosa sembra fermarsi, esiste solo la processione. Il culmine é la notte di venerdì: c’é la madrugata, la processione più importante che dura tutta la notte fino alle 13 del giorno dopo. Quest’anno é saltata a causa del maltempo che ha caratterizzato tutto questo periodo; data la preziosità di queste sculture, in caso di pioggia evitano di portarle in giro per non farle rovinare. Appena il tempo dava un po’ di tregua, spuntava inevitabilmente una processione, così é stato per tutta la settimana. Per gli spagnoli é una festa. Vedi gente che segue, secondo me, non con spirito devoto ma per uscire, per farsi vedere. Mangiano sempre ad ogni ora del giorno e della notte, lasciando per strada un immondezzaio: bottiglie, lattine e quant’altro cosicché le strade sembrano un campo di battaglia e squadre di operatori ecologici lavorano alacremente per riportare tutto alla normalità. Questa é la “semana Santa” a Siviglia, dove sacro e profano s’intrecciano, dove le tradizioni s’intersecano con il moderno ma che lasciano il segno per la loro particolarità; una manifestazione che consiglio a tutti di andare a vedere (e qui l’augurio di avere più fortuna di noi per il tempo). Testo di Maria Agnese Di Carlo Foto tratte dal sito www.sol.com La Pasqua in Calabria Dal Pollino all’Aspromonte riti e tradizioni delle varie comunità che abitano in questa regione ricchissima di storia L a Calabria non è solo uno scrigno in cui si conservano le più antiche tradizioni italiche. La Calabria è una regione di confine, in cui il corso della storia ha lasciato tracce evidenti di colonizzazioni e di culture differenti. E le montagne aspre e rocciose sono state un baluardo che ha protetto ed isolato i patrimoni etnici, linguistici e religiosi. Così tra le valli e le montagne a tratti inaccessibili della Sila, dell'Aspromonte e del Pollino, isolate da fiumare, da costoni e da abetare, le comunità albanesi, grecaniche e occitane si tramandano retaggi e tradizioni, che assumono particolare valenza nella Settimana Santa. La Gucciadata di Stilo e i Vattienti di Nocera A Stilo, paese famoso per La Cattolica, una sorprendente chiesa bizantina che domina la valle, giovedì santo si prepara la Gucciadata, un pane tipico, portato in processione infilato sulla punta delle croci e lasciato sui campi per propiziasi una buona annata di raccolti. Durante l’omelia vengono offerti arance e vino e a fine messa inizia una lunga processione, seguita dai fedeli a piedi nudi, in cui tutti i presenti portano una croce di legno fino al calvario. La notte sarà di veglia, con intonazioni di antiche nenie. Il giorno dopo, durante la processione dell’Addolorata, s’innalzano canti accompagnati da strumenti a fiato i cui testi risalgono al genio creatore di Pietro Metastasio, le cosiddette “tre ore di agonia”. Tra i riti più cruenti e antichi della Calabria millenaria, vi è poi quello de “I Vattienti”. Davanti alla statua dell’Addolorata, il sabato santo a Nocera Tirinese, sfila la processione dei penitenti, mortificati ed umiliati nelle carni. In luoghi riservati avviene il rituale di vestizione e di preparazione dei vattienti e degli acciomu (Ecce homo) che li accompagnano. I vattienti vestono di nero, con maglia a maniche lunghe e pantaloni corti rimboccati, sul capo portano un fazzoletto nero (mannile); gli acciomu hanno il petto scoperto, ma le gambe avvolte in una sorta di lunga sottana rossa; entrambi restano scalzi e portano sul capo una corona spinosa (spine sante); inoltre sono legati fra loro, alla vita, con una lunga cordicella. I vattienti hanno nelle mani un fiore di rosa e un cardo: è questo un sughero in cui sono infissi tredici taglienti aculei di vetro. Poi i vattienti, con i loro acciomu, percorrono le strade del paese; con il cardo si percuotono ripetutamente le cosce e i polpacci producendosi estese ferite, poi intridono di sangue la rosa e arrossano il petto dell'acciomu, oppure lasciano un'impronta sanguigna (rosata) presso la porta di amici e parenti, in segno di fratellanza. Il vattiente e il suo compagno sono seguiti da un terzo uomo, il quale di tanto in tanto versa sulle ferite vino misto ad aceto; si ottiene così una sommaria, anche se dolorosa, disinfezione, che ha anche lo scopo di ritardare la coagulazione e permettere un più abbondante sanguinamento. Le manifestazioni della comunità greco-albanese Cinque secoli fa, per fuggire all’invasione turco musulmana, a seguito del grande eroe nazionale Skanderberg, gli albanesi arrivarono in Italia, stabilendosi in Lucania ed in Calabria, a Civita, Castrovillari, San Giorgio e San Cosimo, tanto per citare quattro tra i centri più famosi. Siamo in Sila e sul Pollino, in mezzo a boschi puntellati da decine di paesi arberesh, dove le segnaletiche stradali sono in doppia lingua. Proprio a Pasqua, si può assistere da queste parti alle splendide funzioni di rito greco-bizantino, magari officiate dall’Eparca, nella cattedrale levantina di San Nicola di Mira, o ammirare le vesti ridondanti degli officiali o gustare i piatti tradizionali della cultura d’Albania. A Civita, il lunedì dell’Angelo, si aprono i "vallje", i balli nazionali arbèreshe che da cinque secoli sono il simbolo dell'unità di tutte le comunità di origine albanese. La "valija" viene ballata da maschi e femmine in cerchi concentrici che si avvicinano e si allontanano, accompagnata da canti corali che ricordano le vittorie di Skanderberg contro gli ottomani. I ballerini hanno indosso splendidi costumi, stoffe pregiate intarsiate di ricami e di colori. La sfilata è aperta e chiusa da abilissimi portabandiera che si esibiscono in spericolate evoluzioni. E appena sorge il sole, la domenica di Pasqua s’innalzano tra le nebbie del mattino gli antichi canti augurali in lingua albanese, le suggestive Kalimere. Lunghe processioni che si snodano tra le strade silenti del paese. I riti nell’aspromonte Tra le montagne aspromontane, ricche di boschi e di fiumare, solcate da pendici di olivare e macchie odorose di salsedine, vette e valli di lecci, faggi e pini, si scopre poi il mondo antico delle comunità grecaniche. A Bova, Gallicianò, Condofuri si parla un linguaggio incomprensibile per tutti i calabresi che nel corso dei secoli passati si è evoluto in piena autonomia, avvicinandosi in modo sorprendente al greco d’oggi giorno. Per tutte le comunità grecane calabresi, Bova è considerata la capitale socio-culturale. Ogni anno nel paese si svolge un raduno che coinvolge la collettività sparsa per il territorio bruzio, con manifestazioni ricche di arte e di cultura: canti, balli e rappresentazioni di teatro, brani di antica tradizione. Lasciato alle spalle Bivongi e inerpicandosi per la montagna brulla, si arriva al monastero di San Giovanni Theristis, fondato da monaci greci intorno all’anno 1000, provenienti dal Monte Athos. Tra i ruderi della basilica, in parte restaurata, a cielo aperto, dall’alba a notte fonda si celebra la domenica di Pasqua secondo il rito greco-ortodosso. Il silenzio assoluto è rotto dai canti e dalle preghiere dei pochi monaci che risiedono nel piccolo monastero adiacente, poche celle e una cappella. Le stelle che si addossano l’un l’altra in un cielo segnato da fasci luminosi e il chiarore delle luci lontane dei paesi si perdono tra le lingue di fuoco tremolanti delle fiaccole, che illuminano lo sperone roccioso e i resti della basilica millenaria. Un viaggio mistico tra natura e religione. I riti dei valdesi E infine eccoci ai valdesi (o occitani), una minoranza etnica insediatasi presso l'attuale zona di Guardia Piemontese, in provincia di Cosenza, fra Cetraro e Fuscaldo. I loro discendenti abitano ancora in questo borgo montano dove tutto il territorio presenta un impianto medievale, con mura di cinta, case in pietre e tortuosi vicoli. La popolazione conserva la parlata occitana e i costumi femminili tradizionali vengono indossati nelle feste religiose, e quindi anche nella Settimana Santa. Quando si entra in paese dalla Porta della Strage, il monumento ricorda ancora la persecuzione ordinata dal cardinale Ghislieri in cui i valdesi furono orrendamente massacrati. Giorgio Gigliotti La Giudaica di Laino Borgo A Laino Borgo, antico paese alle pendici del Pollino quasi al confine con la Basilicata, si svolge ogni due anni (negli anni pari) la più grande manifestazione sacra del periodo pasquale della Calabria. Si tratta della Giudaica, una manifestazione grandiosa che ha luogo nell’arco di tutta la giornata del Venerdì Santo, dalle 9 alle 18, con un intervallo di circa 90 minuti per il pranzo, e che trasforma il paese in un antico villaggio della Galilea o della Palestina. Tutto risale infatti al XVI secolo, da un antico manoscritto scritto da un abitante di Laino, Domenico Longo, che era stato in viaggio in Palestina; un manoscritto che l’intera popolazione del paese ha fatto suo al punto che non c’è famiglia in cui almeno un componente non abbia preso parte a diverse edizioni della rappresentazione. La rappresentazione oggi annovera oggi circa 200 attori non professionisti, scelti esclusivamente tra la gente del luogo, che recitano 19 scene in vari punti del paese che diviene così per tutto quel giorno esso stesso teatro delle ultime ore della vita del Cristo, dall’Ultima Cena alla Cattura di Gesù nell’orto degli ulivi, dal processo di Gesù alla flagellazione, dalla Via Crucis alla Crocefissione e alla Deposizione. Il risultato è di impatto sorprendente e dà vita ad un’emotività profonda, in grado di far rivivere il processo, la condanna e la crocifissione di Gesù Cristo come se l’intera storia si stesse svolgendo per la prima volta in quel momento, tanto che l’illusione di ritrovarsi 2000 anni indietro nel tempo è così forte che si ha la netta impressione di poter intervenire sugli avvenimenti che si vanno compiendo per cambiarne il finale, immedesimandosi nei vari personaggi e ritrovandosi a soffrire per Gesù Cristo, ad indignarsi per l’intervento degli Ebrei e a piangere con la Madonna. Le urla dei soldati romani, il lavaggio simbolico delle mani di Ponzio Pilato e i vaneggiamenti di Erode fanno da contrappunto alle ultime parole di Gesù nel corso dell’Ultima Cena, in un caleidoscopio di sensazioni, di colori e di sentimenti che si stemperano sempre più nella sentita partecipazione al calvario di Gesù Cristo, fino ai drammatici momenti della crocefissione e della deposizione, con il volto devastato dal pianto della Madonna che tiene in braccio il corpo morto del Figlio di Dio. Mimma Ferrante Al di là del Mediterraneo Alla scoperta della Tunisia mediterranea, tra coloratissimi souk, esotiche medine, moschee dense di misticismo e siti archeologici di epoca romana V i sono luoghi che, anche se vicini geograficamente, sono in realtà lontani anniluce dal mondo occidentale da un punto di vista culturale, religioso e paesaggistico; uno di questi è sicuramente ben rappresentato dal pianeta Tunisia, situato appena al di là del Mediterraneo, ma in grado di coinvolgere emotivamente con il suo esotismo qualunque viaggiatore. Infatti le prime immagini esotiche accolgono già all'uscita del porto della Goulette, con i cartelli stradali in caratteri arabi, le numerose palme e l’inconsueto abbigliamento arabo di uomini e donne; ma anche la notte tunisina ha una buona dose di esotismo, grazie alla particolare colonna sonora imbastita poco dopo le 4 del mattino sulle note del canto del muezzin che, invitando con la sua nenia struggente i fedeli alla preghiera mussulmana, dà il benvenuto in terra islamica. Cartagine La prima tappa in questa terra così “lontana” dall’Europa ci riporta indietro ad un passato comune: si tratta di Cartagine, fondata secondo la leggenda nel IX secolo a. C. da Didone, della cui travagliata storia rimangono numerose tracce. Passeggiando tra le odierne rovine non si riesce, comunque, a far rivivere nell’immaginazione una delle metropoli più ricche dell’antichità che nel periodo di massimo splendore arrivò a contare 400.000 abitanti e che osò sfidare Roma. Una sfida che Cartagine pagò duramente quando nel II secolo a. C., dopo numerose battaglie dagli esiti alterni, fu costretta infine a cedere alla supremazia dei romani che la saccheggiarono riducendo i suoi abitanti in schiavitù ma fondando sullo stesso suolo una colonia che conobbe numerosi altri secoli di prosperità. Ed è appunto dalla Cartagine romana che ha inizio la nostra visita, con l’esplorazione dell’enorme estensione delle Terme di Antonino che occupano uno spazio di 4 ettari, il cui cuore è costituito dalla grande sala centrale del frigidarium, scandita da due altissime colonne in grado di dare soltanto un’idea delle dimensioni ciclopiche della costruzione; basti pensare che il capitello corinzio di una delle due colonne, ricollocato nel XX secolo, alto 1,80 metri pesa da solo oltre 4 tonnellate. Dalle terme si vede il muro bianco che circonda l’adiacente Palazzo Presidenziale, verso cui è assolutamente vietato fotografare. Poco distante è il quartiere delle Ville romane, che è un antico quartiere residenziale romano sorto sull’area di una necropoli punica, dove una delle ville più significative è la cosiddetta “casa della voliera”, risalente al III secolo, ornata da colonne provenienti da una corte a peristilio e da un notevole pavimento a mosaico, nel quale si distingue anche la lupa con i neonati Romolo e Remo, a riprova dei forti legami che vi erano tra la madre patria e i coloni africani dell’impero. E’ poi il turno del teatro, risalente al II secolo d.C. che, dopo essere stato ricostruito, ospita le rappresentazioni del festival culturale di Cartagine. L’ultima sosta cartaginese è presso il Museo Nazionale, situato sulla collina che domina l'abitato, accanto all’ex-cattedrale di St. Louis, edificio in stile bizantino-moresco della fine del XIX secolo; ai piedi del museo si possono ammirare resti consistenti di costruzioni puniche, nel sito originario tracciato alla nascita della città, nel quale si possono individuare quartieri di abitazione del II secolo a.C., eretti prima che Roma fagocitasse la nemica Cartagine. Il museo ospita notevoli reperti di età romana e bellissimi mosaici appartenenti in buona parte ad una ricca villa romana posta nelle vicinanze dell’anfiteatro; ma le sue collezioni ripercorrono tutti i passi salienti della travagliata storia cittadina, mettendo in mostra anche reperti punici, come steli funerarie, sarcofagi, ceramiche e oggetti di corredo funerario come maschere e amuleti che permettono di gettare uno sguardo su questa antichissima civiltà. Sidi Bou Said Vicinissimo a Cartagine è Sidi Bou Said, il villaggio moresco più pittoresco della Tunisia; il paesino è un’autentica sinfonia di due colori, il bianco delle case ad uno o due piani e l’azzurro degli artistici portoncini decorati, delle finestre e delle ringhiere, che si riverbera all’infinito, creando un colpo d’occhio straordinario. L’insieme è molto suggestivo ed è arricchito da numerosi particolari che contribuiscono ad esaltarlo: i muretti bianchi posti davanti ai giardini delle case, per assicurare privacy agli occupanti, le piante di bouganville coloratissime che ne prendono possesso, i panorami spettacolari sul golfo di Tunisi e una miriade di negozi di artigianato (rame, argento, pelle, monili, ceramica) al cui interno una sosta è praticamente obbligatoria. Merita una tappa anche il caratteristico Cafè des Nattes, al cui interno si può gustare un ottimo tè al gelsomino accovacciati sulle stuoie completate dai bassi tavolini all’orientale; alle sue spalle sorge la moschea, costruita dopo la morte di Abou Said, l’asceta che nel XIII secolo rese la cittadina base di diffusione del surfismo, rendendola un luogo santo per i mussulmani. La penisola di Cap Bon Ci spostiamo, quindi, verso la penisola di Cap Bon, e lungo la C.43 ci dirigiamo a Kelibia attraverso le campagne coltivate dove assaporiamo un’altra Tunisia, quella agricola, con case molto più modeste, contadini intabarrati in una sorta di saio con cappuccio al lavoro con i muli e donne completamente avvolte in mantelli bianchi trattenuti con le mani e con …la bocca. Le strade, che pure hanno un tracciato molto ampio, sono asfaltate soltanto al centro delle due corsie, mentre ai lati vi sono due altre corsie sterrate usate dai trattori e dai numerosi pedoni. Il monumento più importante di Kelibia è la fortezza bizantina del VI secolo, perfettamente conservata con i suoi merli e il suo giro di ronda dal quale si gode un panorama spettacolare sulla cittadina e sul mare circostante; pare che da qui nelle giornate limpide si riescano a scorgere le coste siciliane, distanti appena 150 chilometri. La tappa seguente. lungo la C.27, è la cittadina di Nabeul, capitale di Cap Bon e della ceramica tunisina; la ceramica è una sorta di filo conduttore alla scoperta della cittadina e si ritrova sulle facciate delle case, sui muri e sulle numerosissime vetrine dei negozi, attorniati da una folla variopinta. Ad una ventina di chilometri sorge Hammamet, con i vicoli bianchi della medina, il mercato coperto, gli infiniti negozietti che lo popolano e le possenti mura della kasbah del XV secolo; al di fuori delle mura della medina si stendono larghi viali incorniciati da palme di impronta europea, che si affacciano su una spiaggia di sabbia fine come il borotalco. Sousse Verso sud lungo la A.1 (al momento l’unico tratto autostradale tunisino) si raggiunge Sousse; la città, la terza della Tunisia, appare subito caotica, più sporca delle precedenti, ma probabilmente più vitale e autentica. Le mura ocra racchiudono la medina, al di là delle quali ci si apre davanti un mondo degno di Alì Babà: dovunque variopinti mercati alimentari, negozietti di vario genere e artigianato stupendo. Nella grande piazza centrale si fronteggiano scenograficamente il Ribat, il monasterofortezza in cui nell’VIII secolo i monaci guerrieri facevano la guardia per non permettere lo sbarco degli infedeli cristiani, dai cui merli si gode una vista magnifica sui tetti cittadini e la Grande Moschea (di cui è visitabile, così come tutte le altre moschee, soltanto il cortile interno sul quale si affaccia la sala della preghiera). Sistemato nella massiccia Kasbah vi è il Museo cittadino che ospita notevoli mosaici romani con scene che si riferiscono alla mitologia, alla caccia e alla pesca, in cui uno dei pannelli originali mostra dei gladiatori che uccidono le fiere, mentre un uomo attende di premiare il vincitore con corposi sacchetti di pecunia. Indubbiamente il dio denaro non è un’invenzione moderna! Meritano una sosta anche i pittoreschi vicoli della medina dove, in un bailamme coloratissimo di merce variopinta, è facile ritrovarsi a guardare i fumatori di narghilè e ad annusare le ottime essenze artigianali di profumi di Kamel Essausi, il cui negozietto sistemato in stile rococò dai forti influssi francesi si discosta nettamente dallo stile tipico della medina. Monastir A pochi chilometri a sud sorge Monastir, raggiungibile attraverso la C.92, in uno scenario in cui la sabbia e le palme prendono sempre più possesso dell’orizzonte; la cittadina si rivela deliziosa, con l’onnipresente medina piena di tentazioni, il possente Ribat dell’VIII secolo con un giro di ronda perfettamente conservato che permette di ammirare un panorama splendido e un interessante museo di arte islamica, il suggestivo mausoleo di Bourguiba, il presidente tunisino che ha portato la nazione all’indipendenza dalla Francia, caratterizzato da una solare cupola dorata che evoca atmosfere da mille e una notte, la grande moschea del IX secolo e il porticciolo dove si possono ammirare numerosi yacht da svariati miliardi. Qui è più che mai visibile il doppio volto della Tunisia: da un lato nazione fermamente proiettata verso l’occidente e il turismo, voce che da sola copre il 47% del prodotto interno, dall’altro erede delle sue tradizioni e culla dell’islamismo, in un connubio che la rende davvero affascinante e molto godibile dal punto di vista della scoperta. El Jem e Sbeitla Lungo la P.1 in direzione sud si raggiunge El Jem, dove si può ammirare il grandioso anfiteatro, il terzo per grandezza di tutta la romanità e il primo dell’Africa, in grado di ospitare 30.000 spettatori; tutto attorno al sito archeologico si affacciano numerosi negozi di antiquariato, pieni zeppi di oggetti molto belli, tra cui piatti e vasi in ceramica berbera con disegni blu e filigrana d’argento. Ad ovest di El Jem sorge il sito archeologico di Sbeitla, l’antica Sufetula; le rovine occupano uno spazio molto ampio e sono soffuse di un delicato color ocra: tra la moltitudine di colonne spezzate spiccano, con un bell’effetto scenografico, i tre templi di Giove, Giunone e Minerva, oltre al battistero di epoca bizantina con un bel pavimento in mosaico, alle grandi terme circondate da un doppio colonnato e all’arco di trionfo del III-IV secolo. Kairouan In direzione nord lungo la P.3 la tappa seguente è Kairouan, la città santa della Tunisia, dedicata al profeta Maometto, in mano alle gerarchie islamiche e perciò la più integralista della nazione; da un punto di vista turistico può essere una città difficile da visitare e conviene affidarsi ad una guida che faccia da “filtro” nella sua esplorazione. La città annovera 180 moschee e fare 7 pellegrinaggi a Kairouan equivale per i mussulmani ad andare alla Mecca. La prima sosta è presso la Grande Moschea, di cui si può visitare soltanto il grandioso cortile interno, interamente lastricato di marmo bianco con al centro una cisterna che raccoglie l’acqua piovana per le abluzioni dei fedeli, mentre si può soltanto sbirciare la grande sala della preghiera, intervallata da una selva quasi infinita di colonne in marmo e porfido (secondo una leggenda impossibili da contare) e scandita da una teoria di pregiati tappeti, illuminati da pesanti lampadari di cristallo. Quindi è il caso di “tuffarsi” nei vicoletti bianchi e azzurri della medina, alla ricerca di antichi mestieri come quelli dei sarti che ricamano la djellaba, la lunga tunica ricamata dei signori, dei calzolai che cuciono ancora le scarpe a mano, dei fabbricanti di coperte ancora oggi realizzate tramite antichi telai; sembra quasi di poter gettare lo sguardo su una società arcaica, indietro rispetto ai forsennati ritmi occidentali almeno di una cinquantina d’anni. E’ imperdibile anche la suggestiva Moschea delle Tre Porte, una per l’iman, una per gli uomini e una per le donne, con la facciata decorata da una preziosa iscrizione che si estende per l’intero edificio, così come Bir Baouta, un edificio cui si accede attraverso una scala dritta che conduce ad un pozzo profondo 12 metri contenente acqua sacra, tirata su dal movimento incessante di un dromedario bendato; si tratta di una fonte sacra, la cui acqua ha un sapore vagamente salmastro, di cui è tradizione bere qualche sorso esclamando “Inschallah” (se Dio vuole), in una sorta di rito ripetuto all’infinito dai viaggiatori che si ritrovano qui e che sperano di ritornare. E da un vicoletto all’altro ci si ritrova a seguire l’allegro via-vai di casalinghe che fanno la spesa, di venditori ambulanti e di turisti fino al grande viale principale della medina, ammirando le vetrine dei gioiellieri, le bancarelle di spezie e di dolciumi al miele, i negozi di artigianato e l’allegro caracollare dei muli carichi di merce. La tappa seguente è presso un grande negozio di tappeti, di cui Kairouan è capitale; qui vi sono tre specialità cittadine: il tappeto di seta che vanta un milione di punti annodati ad ogni metro quadrato, dai costi inavvicinabili, il tappeto di lana di agnello, nelle varianti Zerbia e Alloucha, che va dai 40.000 ai 180.000 punti annodati per metro quadrato, e il coloratissimo Mergoum, a pelo raso. Un’altra sosta imperdibile è presso la famosissima Moschea del Barbiere, così chiamata perché ospita il mausoleo di un compagno di Maometto che portava sempre con sé come reliquia tre peli della barba del Profeta. Qui l’architettura islamica raggiunge i massimi livelli, grazie ad una serie di affascinanti cortili in preziosa maiolica, tetti in legno di cedro, finemente arabescati, e pareti che risplendono in un tripudio di candidi pizzi in stucco di polvere di marmo. Le aree archeologiche di Thuburbo Majus e Dougga Situata a nord e raggiungibile attraverso la P.3 sorge l’area archeologica di Thuburbo Majus, in cui si sono avvicendate numerose civiltà, tra cui quella punica, quella romana e quella bizantina. Tra i monumenti più importanti vi sono il Capitolium, il quartiere delle abitazioni con i pavimenti a mosaico, le terme e la palestra dei Petroni, dal nome della famiglia romana che diede i fondi per costruirla. In primavera è possibile visitare l’area con la scenografia di uno stormo di aggraziate cicogne che si posa suggestivamente sulle colonne superstiti con un effetto scenico notevole. Un po’ più a ovest, lungo la direttrice C.47–P.5, vi è quindi Dougga, immersa in un magnifico panorama verde di prati, fiori di campo e alberi; i monumenti della relativa area archeologica sono ben conservati, in particolare il teatro, dall’acustica perfetta, il Capitolium del II secolo d.C. dedicato alla triade Giove, Giunone e Minerva, l’adiacente e smisurata Piazza della Rosa dei Venti, il tempio di Mercurio e il mausoleo libico-punico, l’unico monumento in questo stile che si sia ben conservato in tutta la Tunisia. Bulla Regia La tappa seguente, attraverso la C.75– P.6–P.17, è l’area archeologica di Bulla Regia, famosa perché al suo interno, caso unico in tutte le colonie romane del nord Africa, vi sono numerose costruzioni di epoca romana con un piano a livello stradale e uno interrato, utilizzato in estate perché era molto più fresco. L’appartamento posto al di sotto del livello stradale era composto da diverse camere da letto, complete di armadi ricavati negli incavi del muro, camera da pranzo, cucina e un cortile a peristilio a cielo aperto, che dava luce ed aria al resto dell’appartamento. Tutti i locali erano pavimentati con magnifici mosaici e corredati da minuscole finestrelle posizionate strategicamente in modo tale da far penetrare almeno tre ore di luce per asciugare l’umidità (combattuta efficacemente anche con tubi in terracotta ricolmi di gesso sistemati lungo le volte). Le case più belle prendono il nome dall’argomento dei relativi mosaici che le adornano; tra queste vi sono la casa della caccia, della nuova caccia e della pesca, ma la più entusiasmante è la cosiddetta casa di Anfitrite che ospita i mosaici più belli, di una fattura talmente pregiata da lasciare i visitatori letteralmente a bocca aperta a 2.000 anni di distanza dalla loro realizzazione. dominazione ottomana, ospita la più grande collezione di mosaici romani del mondo. Al suo interno si possono ammirare pavimenti musivi appartenenti alle numerose aree archeologiche tunisine: si tratta di mosaici veramente stupendi che, a distanza di 2.000 anni, testimoniano la bravura delle maestranze africane che li realizzarono. Ma il palazzo stesso è un museo dell’architettura mussulmana, con le sue enormi sale caratterizzate da stupendi soffitti in legno e intarsi “ricamati” in stucco, dalle pareti in ceramica policroma. Tabarka, Biserta e la costa occidentale Ancora a nord attraverso la P.17 si raggiunge la costa mediterranea a Tabarka, paesino di villeggiatura balneare situato in vicinanza del confine algerino. La cittadina è molto graziosa con le sue case bianche, le imposte azzurre e i negozi di gioielli in corallo, specialità locale. Nei pressi del porticciolo si innalza il forte genovese, situato su una isoletta distante 400 metri dalla terraferma, che sembra dominare le acque circostanti con un bell’effetto scenografico. Quindi, attraverso la P.17–P.7–P.11 ci si sposta ad est fino a Biserta, situata a nord di Tunisi, dove merita un’esplorazione la zona attorno al porticciolo e alla kasbah. Le casette color pastello affacciate sul porticciolo, con le barche ormeggiate tutto attorno, costituiscono uno scorcio pittoresco, ma il degrado circostante è notevole. All’interno della kasbah sono state costruite abitazioni che versano in pessimo stato e che contrastano violentemente con gli attigui viali all’europea sui quali si affacciano i poderosi bastioni della kasbah. Tunisi Lungo la P.8 si arriva, quindi, alla capitale Tunisi; qui merita una sosta innanzi tutto il Museo del Bardo, situato alla periferia della metropoli, il più importante della Tunisia che, in un complesso di palazzi storici risalenti alla Il centro moderno della capitale tunisina si allarga, invece, attorno alla Piazza 7 Novembre, con larghi viali su cui si affacciano altissimi edifici che ospitano alberghi, banche e ministeri; ma l’anima cittadina è racchiusa tra le mura della medina al di là della Porta di Francia, dove un caleidoscopio di colori, di suoni e di forme attraggono gli sguardi ed eccitano i sensi; le viuzze del vecchio centro sono molto pittoresche, sia quelle a cielo aperto che quelle con le volte in muratura ed ospitano un’infinità di botteghe di artigianato dove, grazie alla sapiente arte della contrattazione, è possibile fare ottimi acquisti. Al centro della medina è possibile ammirare, dall’alto di un palazzo storico, appartenuto al Bey, e oggi trasformato in una cooperativa statale di tappeti, l’esotico panorama sui tetti della medina, con i suoi minareti e con i suoi terrazzi maiolicati. Al primo piano dello stesso edificio si può vedere anche un enorme letto dorato con il baldacchino dalle dimensioni di una piazza d’armi, risalente all’epoca ottomana, in cui il Bey dormiva in compagnia delle quattro mogli. Merita una sosta anche il cortile della Grande Moschea, la più importante di Tunisi, che risale al IX secolo e che vanta colonne e capitelli provenienti probabilmente dalle rovine di Cartagine; tutto attorno si trovano i souk dei librai, dei profumieri, dei mercanti di stoffe e di frutta secca che hanno ottenuto il privilegio di alloggiare alla sua base, essendo ritenuti commerci nobili. All’interno della medina si trova anche la moschea dei turchi, non visitabile, e una delle mederse cittadine, la scuola coranica organizzata attorno ad un patio maiolicato sul quale si affaccia anche la sagoma di una bella moschea. Non mancano tanti altri scorci particolari, come quelli dei souk dei gioiellieri e degli argentieri, scintillanti di merce all’inverosimile, o come quelli degli artigiani del ricamo che confezionano autentiche meraviglie. E, dopo tante emozioni, uscendo dalla medina sembra quasi di risvegliarsi da un magnifico sogno ad occhi aperti, mentre l’ultima sensazione che lascia questa magnifica terra, così vicina eppure così lontana, è quella di averci regalato magiche sensazioni al di fuori della realtà, grazie ad un’atmosfera da mille e una notte assolutamente indimenticabile. Mimma Ferrante e Maurizio Karra Pochi chilometri di distanza separano il deserto dalla costa. Basta meno di mezz’ora per lasciare le città affacciate sul mare e trovarsi in mezzo a uno spettacolo che definire esotico è davvero riduttivo: nella foto i camper di alcuni soci del Club e un branco di dromedari. Una finestra sul mondo musulmano Può essere veramente affascinante esplorare usi e costumi dei popoli che si incontrano nel corso dei viaggi, per scoprire magari che le differenze reciproche tra le diverse popolazioni non fanno altro che arricchirle a vicenda, naturalmente se si segue un’ottica illuminata fondata sulla tolleranza e sul rispetto reciproco. E’ questo il caso del mondo mussulmano, costellato da numerose diversità rispetto al mondo occidentale, ma in realtà animato anche da molti punti di contatto con i suoi vicini europei. Sono molti i temi interessanti di questa cultura come il ruolo della donna, i rapporti umani, i riti della preghiera e il tessuto sociale, per citarne soltanto alcuni. A proposito della donna colpisce il fatto che le uniche parti visibili devono essere, secondo il Corano, l’ovale del viso, le mani e i piedi e che ella deve curarsi soltanto per il marito e trascorrere quasi tutto il suo tempo all’interno delle mura domestiche; ma non bisogna dimenticare che, al di là di quelle che possono apparire agli occhi occidentali come misure di vita molto restrittive, in Tunisia la donna ha diritto di voto e che inoltre non esiste più la poligamia, dal momento che un uomo può sposare solo una donna, anche se sono ancora in vigore i matrimoni combinati, e può capitare che il marito veda per la prima volta la moglie proprio il giorno della cerimonia. Per quanto riguarda la religione vi sono cinque preghiere quotidiane che scandiscono la giornata del fedele mussulmano (al mattino presto, a metà giornata, alle 4 del pomeriggio, alle 7 e alle 9 di sera), precedute da lavaggi rituali, che diventano docce se ci sono stati rapporti sessuali. Vi sono poi le abitudini alimentari che escludono carni di animali ritenuti impuri come il maiale, o con i canini come il cavallo che sono rigidamente rispettate, così come tutte le regole imposte dal Corano. Indubbiamente è tuffo in una filosofia di vita completamente diversa da quella occidentale che non può che interessare, costringendo a riflettere sui numerosi punti di incontro e sulle ovvie diversità tra le nostre due culture e le nostre religioni. M. F. Notizie utili L’itinerario descritto si sviluppa per circa 1.300 chilometri da Tunisi a Tunisi. Per raggiungere la capitale tunisina ci si può imbarcare da Trapani o da Genova con la compagnia Tirrenia (199123199); non è consentito il passaggio in open-deck con campeggio a bordo. Documenti – E’ necessario il passaporto con almeno sei mesi di validità in cui non vi sia il visto di Israele. Per il camper è necessaria la carta verde valida per la Tunisia oppure è possibile ottenere alla frontiera l’estensione assicurativa per 21 giorni al costo di 20 dinari (circa 31.000 lire). Parcheggi e campeggi – Il campeggio libero è permesso, anche perché i campeggi presenti sul territorio sono veramente pochi e lasciano scoperte intere zone, come quella settentrionale attorno a Tunisi. Il costo di una notte in campeggio per due persone e un camper oscilla tra gli 8 e i 14 dinari, ma i servizi sono quasi dappertutto molto spartani e a volte non vi è neanche l’acqua calda. Comodi parcheggi si trovano un po’ dappertutto, in alcuni dei quali è possibile anche pernottare. Le nostre soste sono state le seguenti: x a Cartagine presso il parcheggio del Museo Oceanografico (seguire le indicazioni per il porto punico) e presso il parcheggio del Museo Archeologico; x a Sidi Bou Said presso il grande parcheggio situato a ridosso del centro (molto trafficato); x a Kelibia nel parcheggio dell’hotel Palmarina a fianco della strada principale; per una sosta diurna va bene anche il parcheggio del forte bizantino, di notte troppo isolato; x a Nabeul in Avenue Bourguiba, a sinistra del centro cittadino; x ad Hammamet presso il camping “Samaris”, situato all’imbocco dell’autostrada per Tunisi; per una sosta diurna ci si può fermare nei pressi della kasbah, appena fuori della medina; x a Sousse in uno dei parcheggi situati attorno alle mura della medina; x a Monastir nel parcheggio del Club Med, situato sul mare in vicinanza del centro cittadino; x a El Jem nel parcheggio dell’anfiteatro romano; x a Sbeitla nel parcheggio dell’area archeologica; x a Kairouan presso il camping “Centre de jeunes”; per la visita della città si può fare ricorso all’esperienza di Omram Tahar (fax: 002167226437, tel.: 002167231504) che, con le sue spiegazioni in perfetto italiano, vi spalancherà una finestra sul mondo mussulmano; x a Thuburbo Majus nel parcheggio dell’area archeologica; x a Dougga nel parcheggio del sito archeologico; x a Bulla Regia presso l’area archeologica; x a Tabarka nel parcheggio del porticciolo; x a Biserta nel parcheggio dell’hotel “Sidi Salem”, situato di fronte alla kasbah, dove si può consumare anche un'ottima cena accompagnata da musica araba dal vivo; x a Tunisi a ridosso del centro presso il parcheggio di Avenue Mohamed V, situato nei pressi di Place 7 Novembre, dove è consentito il pernottamento. Rete viaria e carburante – L’unico tratto autostradale finora esistente collega Tunisi a Sousse ed è soggetto a pedaggio; per il resto si trovano molte statali, le "P", e numerose provinciali, contrassegnate con la "C", ma entrambe, pur avendo una sede stradale molto ampia, sono asfaltate soltanto al centro delle due corsie, mentre i due lati sterrati servono per il passaggio di trattori e carretti. Ma i mezzi ricreazionali, a causa del loro ingombro maggiore, sono spesso costretti a scivolare in parte sulla corsia sterrata al sopraggiungere di mezzi pesanti in senso inverso. Il gasolio costa meno di 40 centesimi di euro e si trova un po’ dovunque. Negozi e musei – Le attività commerciali sono in funzione dalle 9 alle 13 e dalle 16 alle 20, tutti i giorni tranne la domenica, mentre i musei hanno un orario unico dalle 9,30 alle 16,30, tranne il lunedì che è giorno di chiusura. Cambio e costo della vita – Un dinaro tunisino vale circa 0,80 euro, mentre il tenore della vita è circa un terzo di quello italiano. Clima – Nel nord della Tunisia il clima è abbastanza ventilato, soprattutto in vicinanza del mare e non supera i 40 gradi anche in piena estate. Shopping – Le occasioni di shopping sono numerose: sono notevoli i tappeti, in seta e in lana di agnello, e i mergoum, a trama rasata; le ceramiche, arabe e berbere (queste ultime abbellite con intarsi di ossa di dromedario o con filigrana d’argento); gli oggetti in pelle di dromedario; le scatole in legno e madreperla; gli oggetti in rame come piatti incisi, teiere e vassoi arabescati; i gioielli in argento e corallo. Inoltre gli acquisti sono ancora più seducenti a causa degli ottimi prezzi che però devono sottostare all’immancabile e pittoresco rito della contrattazione che non ha regole fisse, ma che nella corsa al continuo ribasso deve lasciare soddisfatte entrambe le parti. Qualche indirizzo: il centro commerciale gestito dallo Stato a prezzi fissi che mette in mostra un po’ tutto l’artigianato tunisino, il Soula Center, Place Sidi Yahia 400, Sousse, e le profumatissime essenze di Kamel Essausi, in vendita nel negozietto in stile rocoò situato nella medina di Sousse, presso il souk el Kaid n. 8 (meravigliosa l’essenza chiamata “Fiore del deserto”). Telefono – La Tunisia è completamente coperta dal segnale GSM che consente di telefonare agevolmente in Italia attraverso il prefisso +39 seguito dal numero. In ogni caso un po’ ovunque vi sono le postazioni di Taxiphone, da dove si può telefonare facilmente. Lingua – L’arabo è parlato in tutto il territorio, mentre il francese è parlato quasi ovunque e anche i cartelli stradali sono sia in caratteri arabi (assolutamente indecifrabili) che nel più familiare francese. Anche l’accoglienza da parte della popolazione è improntata ad un grande senso di ospitalità. Fuso orario: 1 ora in meno quando in Italia c’è l’ora legale. Cucina: il piatto tipico tunisino è il cous-cous di montone con verdure; è molto buono anche il bric, una sottile sfoglia che custodisce uova o tritato di tacchino. Tra le bevande segnaliamo il tè alla menta e il succo di fragole. Informazioni – Ente Nazionale per il turismo, via Baracchini 10, 20123 MILANO, tel. 02.8645.3044, fax: 02.862.752; Ambasciata Italiana della Tunisia, Rue J. Abdennasser 37, Tunisi, fax: 0021.6132.4155. Randazzo, la città degli Aragonesi Un crocevia di popoli nella Sicilia del medioevo S ituata alle falde settentrionali dell'Etna fra i corsi dell'Alcantara e del Simeto, la città di Randazzo appare fortemente caratterizzata dalla natura del territorio, sia per quanto riguarda la struttura fisica (gli edifici sono costruiti con conci di pietra lavica), che per le vicende legate alla sua evoluzione storica. Come si è potuto stabilire dai numerosi reperti rinvenuti nella vicina contrada di Sant’Anastasia, nell'antichità la zona fu oggetto dì una massiccia penetrazione greca; fu poi luogo di insediamenti bizantini in epoca medievale. Si deve comunque ai normanni un'organizzazione più stabile del territorio randazzese: fra l’XI e il XII secolo la città diventò il nodo fondamentale del traffico fra la costa ionica della Sicilia e l'interno, tanto che nel 1154 l'accurato resoconto di un viaggiatore la descrive già come una città con chiese e palazzi signorili, protetta da mura e attraversata da numerose porte. Sotto Pietro d'Aragona la città venne cinta da una nuova e più salda cerchia di mura - alcuni tratti sono ancora visibili nei pressi della porta aragonese - divenendo così sede fissa di numerose famiglie feudali e di una attiva borghesia imprenditoriale. Se agli inizi del ‘300 la città contava già 5000-6000 abitanti, verso la fine del secolo iniziò una lenta fase di declino dovuta in gran parte alle aspre lotte baronali. Alla fine del secolo successivo una vigorosa ripresa in campo agricolo riportò Randazzo ad un periodo di grande fioritura che fu minato soltanto, dalla metà del XVII secolo, dalla vicinanza di Bronte che, fondata nel 1537 per volere di Carlo V, aveva iniziato ad opporre una fiera concorrenza. Abitata da una popolazione costituita da tre ceppi differenziati etnicamente e linguisticamente (uno greco, uno latino e uno lombardo), Randazzo ebbe tre chiese basilicali che si alternarono a rotazione il titolo dì Chiesa Madre fino a che, nel 1916, questo toccò definitivamente alla chiesa di Santa Maria. Il museo Vagliasindi Può essere interessante far precedere la visita della città da una preliminare tappa al museo Vagliasindi, situato fuori dalle mura non lontano dalla porta aragonese: un ampio ed accurato materiale archeologico testimonia le varie fasi della colonizzazione greca e bizantina sul territorio circostante. Il museo si trova al secondo piano della Casa di Riposo, in piazza Rabatà, mentre prima dei bombardamenti dell'ultima guerra era situato nell'omonimo palazzo di via Umberto I. Ciò che resta della collezione, costituita prevalentemente dei reperti rinvenuti alla fine del secolo scorso dal nobile Paolo Vagliasindi nella contrada di Santa Anastasia, è distribuito oggi nelle due sale di questa nuova sede del museo: una importante raccolta di vasi attici; una serie di vasi policromi di fabbrica italiota che attestano come dal III sec. a. C. le fabbriche attiche furono sostituite in Sicilia da quella campana; alcuni vasettini orientali di produzione fenicia o rodia (475 a.C.); un gruppo di terrecotte tra le quali si possono citare due busti e un frammento di piedi uniti appartenenti ad una statua greca del periodo arcaico; infine, i bronzi e le oreficerie. L’oinochoe Vagliasindi Ma il pezzo più importante della collezione è senz' altro costituito dalla cosiddetta oinochoe Vagliasindi, un elegante vaso a fondo nero e figure rosse sul quale è raffigurato il mito di Fineo e dei Boreadi. Delimitate da due fregi ad ovuli, le sei figure si susseguono narrando la storia di Fineo, il profetico re di Salmidasso che, condannato dagli dei alla cecità e al tormento delle Arpie, per svelare a Giasone come impossessarsi del vello d'oro, chiese di essere liberato dalle sue orrende aguzzine. La scena raffigura infatti i Boreadi (i due fratelli alati che partecipavano alla spedizione degli argonauti) intenti a legare le due mostruose creature. Questa raffigurazione si colloca fra le rare pitture vascolari che, ispirandosi al mito degli argonauti, rappresentano l'episodio della liberazione di Fineo. La cattedrale di Santa Maria Entrati attraverso le mura duecentesche all'interno della città fortificata, si può quindi iniziare la visita del centro storico, percorrendo via Duca degli Abruzzi che, oltrepassata l'area dell' antico convento delle Benedettine, conduce alla Cattedrale di Santa Maria, al centro dell'omonimo quartiere. Secondo la tradizione la chiesa fu fondata prima dell’anno Mille, ma è certo che, quando nel 1089 Urbano II giunse in Sicilia per convincere il gran conte Ruggero a partecipare alla prima Crociata, passando per Randazzo, si fermò qui a celebrare una messa. Come indica un'epigrafe scolpita nel basamento di un pilastro sotto la sacrestia, l'assetto attuale risale comunque al 12171239. Eretta in conci squadrati di pietra lavica, la cattedrale rappresenta una delle manifestazioni più interessanti dello stile goticofedericiano: della struttura originaria restano oggi le tre absidi, che sono coronati da una fila di archetti pensili poggiati su colonnine mozze e capitelli floreali di chiara ispirazione lombarda. Una serie di monofore, bifore e trifore alleggeriscono le masse compatte delle fiancate, mentre su un ripiano a fIanco della facciata principale si erge l'elegante campanile cuspidato ricostruito nel XIX sec. a sostituzione di quello originale del XIII sec. L'interno, diviso in tre ampie navate e un transetto a croce latina, è invece opera di A. Camalech che ne progettò la trasformazione nel XVI secolo; la cupola fu parte di un rifacimento posteriore del XVIII secolo. Tra le numerose opere pittoriche del XVI e XVII secolo si segnala la "Salvezza di Randazzo" di G. Alibrandi, dove si scorge una interessante veduta della città ai primi del ‘500. Le altre chiese La chiesa di San Nicola Oltrepassato poi il seicentesco palazzo Licari, si procede fino a scorgere la barocca facciata della chiesa di San Nicola: ricostruita su un precedente edificio trecentesco del quale si conservano l’abside, esternamente coronata da archetti e merlature, e il transetto; all'interno si può ammirare un San Nicola in cattedra (1523) di Antonello Gagini e un fonte battesimale tardo-gotico in marmo rosso (1447). Proseguendo per via Duca degli Abruzzi, l'arteria principale della città, si giunge al medievale quartiere di San Martino, dove sulla destra si può ammirare palazzo Scala, l'antica residenza estiva dei reali pesantemente rimaneggiata dopo il terremoto del 1693; poco più avanti la trecentesca chiesetta dell'Agonia. Poco prima di terminare la via, su un largo spiazzo sulla sinistra si affaccia la chiesa di San Martino, la terza chiesa basilicale della città, che deve la sua facciata a un rifacimento dei primi dei '600, mentre la spettacolare torre campanaria, con due ordini di monofore e un ordine di trifore sormontati da una cuspide ottagonale, risale al XIV secolo; all'interno, di chiara ispirazione rinascimentale, è conservato un polittico su tavola della fine del XV secolo con al centro la Madonna, Santa Lucia e Santa Maria attribuito ad Antonio de Salibra, una Madonna delle Grazie, opera di Antonello Gagini, e un ricco Tesoro. Procedendo ancora e girando a sinistra su via Garibaldi, si incontra la medievale casa dei Romeo, tornando invece in direzione della porta Aragonese per via Umberto I, l'antico asse della città aragonese, è possibile scorgere alcune testimonianze dell'antica città trecentesca, come il palazzo Rumbolo o casa Lanza. Ma non si può lasciare Randazzo senza aver visitato anche il castello svevo, o meglio la superstite costruzione delle otto torri che circondavano la città. Più che l’esterno, l’interesse va all’interno della costruzione, dove è stato allestito un interessante museo dei pupi siciliani. Altre notizie Randazzo si raggiunge attraverso la S.S.120 che costeggia nella parte settentrionale le pendici dell’Etna. Tutte le domeniche a Randazzo si svolge una fiera-mercato di grande proporzione e con molto afflusso di gente, con prodotti alimentari e artigianali del comprensorio dell’Etna e dell’Alcantara. Una nota anche per i golosi: presso il ristorante "Veneziano" si possono gustare buonissimi piatti a base di funghi. La sosta per i camper è infine consentita nello slargo adiacente al distributore di benzina adiacente alla grande piazza. Alfio Triolo La chiesa di San Martino L’Opra dei pupi a Catania L'Opra dei pupi siciliani, un teatro di marionette che rappresenta le gesta eroiche del mondo cavalleresco M ai in ginocchio e sempre con la spada stretta in pugno: posture eroiche se non obbligate per il pupo paladino catanese. Costruito tecnicamente con maggiore rigidità di articolazioni rispetto al confratello palermitano, il pupo catanese è inoltre più alto e più pesante, tanto da condizionare specificamente la realizzazione dello spettacolo: a Catania non è possibile che chi manovra i fili della marionetta le presti anche la voce. S'impone, quindi, una distinzione di ruoli che, ulteriormente, rende possibile al parlatore con le mani libere di disporre di un vero copione anziché, come altrove, di limitarsi a dare un'occhiata di controllo a un semplice canovaccio. Probabilmente questa specializzazione del ruolo di parlatore non sarà stata estranea al travaso fra teatro dei pupi e quello di prosa: esempi illustri, quelli di Giovanni Grasso e Angelo Musco. Maggiore, rispetto alla tradizione palermitana, era anche l'ampiezza delle sale che a Catania ospitavano l'Opra dei Pupi: qualcuna raggiungeva i 500 posti. Boc- cascena e sipario principale erano sovradimensionati per fornire illusoriamente al palcoscenico una dimensione più imponente. L'attrezzatura completa, detta mestiere, constava di un centinaio di pupi: guerrieri armati, in larga maggioranza, e poi re, donne, preti e frati, contadini e pastori, vari animali e mostri, fondati e quinte di tela. Costumi e scenografie erano largamente in debito con la moda teatrale colta dell'800, ma esprimevano anche il consueto gusto per la mescolanza di stili, tipico della cultura popolare: le armature si ispiravano a quelle rinascimentali, i maghi non differivano molto dal dottor Faust, ai mori si attribuivano spesso abbigliamenti del ‘600 spagnolo, i contadini andavano in scena, come nella realtà degli inizi dell'800, con il vestito di velluto e il berretto pendente su un orecchio. Completavano l’inventario gli indispensabili cartelloni di annuncio, affissi all'esterno del teatro: divisi in sei, otto o più scacchi e dipinti a colori vivacissimi, indicavano anche, sera per sera, in quale momento della vicenda si fosse. Va ricordato, infatti, che gli argomenti svolti erano abbondantemente diluiti nel tempo: la storia di Orlando proposta da don Vito Cantone durava 18 mesi. Lo spettacolo iniziava al calar del sole: l'acquisto dei biglietti e l'afflusso progressivo degli spettatori era accompagnato dal suono di un pianino a manovella azionato da un ragazzo e dal grido del venditore di ceci e semi di zucca abbrustoliti (calia e semenza). L'attenzione durante lo svolgersi della recita era garantita da un sorvegliante che, con una canna, puniva i turbolenti. Intensa era la partecipazione del pubblico che controllava pienamente, fin nei risvolti più particolari, le vicende del ciclo cavalleresco: un ricco patrimonio narrativo che funzionava anche da schermo su cui proiettare e riconoscere i valori e considerazioni. I personaggi incarnavano caratteri e atteggiamenti morali e politici: se Gano era il traditore, in Rinaldo si poteva leggere la critica del potere e in Orlando la fiducia sostanziale nelle istituzioni. I pupi rappresentavano in altri termini un gioco profondo in cui la comunità parlava di sé, della propria articolata concezione del mondo. Comuni a tutta l'isola erano il ciclo di Carlomagno, la storia dell'imperatore Trabazio, il Guerrin Meschino. Più specifici dell'area catanese il ciclo di Erminio della Stella d'Oro, Farismane e Siface, Tramoro di Medina e, in modo particolare Uzeda. Circa il linguaggio gestuale dei pupi sono state avanzate analisi di carattere semiologico, individuando così alcune decine di movimenti e posture chiaramente stilizzate e significanti. In questa stessa direzione non è stato difficile ricavare, dal groviglio di vicende, una serie di costanti: Consiglio, Conversazione segreta spiata, Aggressione a sorpresa, Evocazione di diavoli, Glorificazione. E, assolutamente centrale, la battaglia: «una danza - notava Antonio Pasqualino, lo studioso del settore più attento e appassionato - che stimola vivacemente la partecipazione del pubblico e costituisce uno degli elementi estetici principali dell'Opra. Gli spettatori abituati giudicano l’Oprante soprattutto dalla sua abilità nell'eseguirle, giungendo attraverso un crescendo ben dosato al parossismo ritmico senza che la velocità renda im- precisi i movimenti». La battaglia riveste probabilmente un ruolo centrale anche in relazione al problema dell' origine storica dei pupi. Assolutamente inattendibile, in proposito, il rapporto, chiamato in causa dagli archeologi eruditi del '700, con le marionette siracusane di età ellenistica. Legittimo invece collocare a monte dei pupi, sia pure genericamente, alcune importanti tradizioni culturali, come la traduzione su scala europea, tra '500 e '600, delle gesta dei cavalieri in spettacolo teatrale, con attori in carne e ossa. Varie occasioni folcloriche di ambito siciliano sono infatti caratterizzate dalla presenza della danza con le spade: nel «Taratatà» di Casteltermini, in una rappresentazione carnevalesca a Mezzojuso («Il Maestro di Campo»), nello scontro, ancora carnevalesco, tra ricchi e poveri della «Mmissa» di Enna. La grande fortuna siciliana del «cuntu» è a sua volta ricollegabile al repertorio epicocavalleresco proposto sapientemente a puntate dai cantastorie senza musica col solo supporto di uno specifico ritmo narrativo. Certezza di pupi, a Catania come nel resto della Sicilia, si riscontra solo verso la metà del secolo scorso, anche se perfino attorno a questo passato prossimo l'immaginazione si è intrecciata con la realtà. Andrà in effetti considerato una sorta di mito di fondazione il racconto secondo cui sarebbe stato un certo Giovanni Grasso, nonno dell'attore e contrabbandiere di pellami, a portare materialmente i pupi a Catania, dopo averli visti ed esserne stato affascinato durante un soggiorno forzato a Napoli. Si dice anche che Grasso avrebbe perso la ragione nel tentativo reiterato e frustrato di dar voce propria ai pupi. Ai dati di cronaca possono comunque assegnarsi le vite del Grasso (17921863) e di Gaetano Crimi (1807-1877), in quanto effettivi e più remoti protagonisti dell'Opra catanese: con sicurezza almeno pari alla forza delle controversie tra chi dei due sia stato davvero il primo e il migliore. Un contenzioso, questo, che rinvia al forte senso di casta e gelosia professionale che caratterizzava il mondo dei pupi: segnato da orgogli e rivalità, da accuse reciproche di essersi rubati l'arte, da alleanze e separazioni in una dina- mica complessa e mutevole di esiti e di spostamenti geografici. Se Catania ha infatti conosciuto la compresenza di diciotto teatri dei rupi, saranno anche da ricordare le numerose e avventurose esportazioni extranazionali della tradizione. I pupi hanno parlato francese a Parigi, ad esempio, e Agrippino Manteo li fece co- noscere prima in Argentina e poi, dal 1923, a New York dove la sua era la più nota, ma non la sola, «Opra dei pupi». Testo di Alfio Triolo Foto di Mimma Ferrante Vita di camper Fra i temi di vita quotidiana a bordo dei camper un punto sicuramente da trattare, anche se in modo ...pudico, è lo scarico dei serbatoi. Quante volte, anche in presenza di un regolare pozzetto, lo scarico è stato un problema? S o che leggere la descrizione di un bel paesaggio o di un'opera d'arte o delle caratteristiche architettoniche di una cattedrale romanica o gotica è certamente più piacevole, ma la vita quotidiana de camperista è fatta anche di necessità più prosaiche, non per questo però meno importanti. Il camper service, per esempio, è un supporto indispensabile per il camperista, oggi che il numero di mezzi ricreazionali è aumentato in maniera esponenziale. Da quella prima area di sosta, dotata di pozzetto di scarico, realizzata a Lucca più di venti anni fa, abbiamo fatto molta strada. Consultando il "Portolano", possiamo oggi contare più di mille strutture, fra aree attrezzate e aziende agrituristiche con camper service, equamente distribuite su tutto il territorio italiano. Quando però andiamo a vedere come i pozzetti di scarico sono stati costruiti, troviamo le strutture più disparate; alcuni, realizzati a regola d'arte, funzionano perfettamente, altri invece sono difficilmente utilizzabili o per come sono dislocati o per la presenza di un cordolo più alto da terra dei tubi di scarico o perché c'è una griglia troppo stretta. I nuovi modelli di camper adottano la soluzione della cassetta estraibile, di più facile uso anche di fronte a pozzetti di questo tipo, ma la maggior parte dei vecchi camper è dotata di WC nautico e troppo spesso ci si trova in difficoltà. Un altro problema che spesso ci troviamo a dover affrontare è quello dei pozzetti inagibili perché intasati. E qui la colpa è spesso nostra. Ad ostruirne la griglia non è la materia organica, di per se stessa biodegradabile, ma è quasi sempre la carta igienica. Ciò dipende dal fatto che la maggior pane dei camperisti usa carta non idrosolubile. Quasi tutti pensano, evidentemente, che le raccomandazioni che appaiono nella stampa specializzata abbiano un fine puramente reclamistico, volte soltanto a fare acquistare le marche più costose e finiscono con il comprare al primo supermercato il prodotto meno caro. La cosa è comprensibile e non me la sento di osteggiare, in questa società di oggi spudoratamente consumistica, una regola di sana ed oculata economia, purché però si tenga conto del problema al quale accennavo prima. Suggerirei allora di fare un piccolo esperimento: acquistate una confezione minima di ciascuna fra le cinque o sei più comuni marche di carta igienica in vendita nei supermercati e mettete qualche foglio di ciascuna marca in altrettante bacinelle con un po' d'acqua; poi guardate se, e in quanto tempo, si sciolgono. A questo punto, scegliete la più idrosolubile e fate la dovuta scorta per il vostro camper. Può sembrare una sciocchezza, ma vi assicuro che arrivare in un'area di sosta con il WC pieno e trovare il camper service inagibile è una delle cose più fastidiose che ci possono capitare. Piero Capnist (dal mensile “Vita all’aria aperta”) Viaggiare in modo responsabile Tsumani due mesi dopo: una riflessione di Claudio Visentin (del Campus di Lucca) sulle conseguenze della devastante tragedia che ha sconvolto a fine 2004 tutto il sud-est asiatico e sul modello di turismo che in quelle regioni è stato realizzato e che troppo spesso è rimasto del tutto estraneo allo sviluppo socio-economico delle comunità locali D opo lunghe settimane, nelle quali le notizie si sono rincorse anche disordinatamente (lasciando comunque vaste zone d'ombra), e le necessità concrete di soccorso hanno giustamente prevalso su ogni altra questione, è forse questo il primo momento nel quale è possibile tentare una riflessione meno contingente sulle recenti tragedie del Sud-est asiatico, che hanno coinvolto e appassionato tanta parte del mondo globalizzato. E' infatti questo, dopo gli attentati dell'11 settembre, proprio un evento che è stato seguito attraverso i media da un pubblico compiutamente mondiale. Si è anzi avanzata l'ipotesi che proprio la cospicua presenza di turisti occidentali tra le vittime abbia attirato sull'evento un'attenzione così elevata, distinguendolo dalle altre numerose tragedie che avvengono periodicamente nelle periferie del mondo, ma che passano quasi inosservate. In fondo la prima evidenza è proprio questa, e cioè che la catastrofe ha accomunato due mondi "host and guest", locali e turisti, occidentali e orientali - che condividono in apparenza gli stessi spazi geografici, ma sono in realtà divisi in percorsi che assai di rado si incontrano, se non, appunto, in casi eccezionali come questo. Ed ecco di colpo accomunati lo sviluppo e il sottosviluppo (spesso caratteristica comune delle località a maggiore vocazione turistica), la ricchezza e la povertà, la cultura occidentale e quelle orientali... Difficile immaginare un contrasto maggiore. In questo contesto il turismo (a cui i media dedicano di solito un'attenzione tutto sommato marginale, e soprattutto stagionale) ha giocato un ruolo di primo piano, attraversando commenti, polemiche e progetti per il futuro. Naturalmente in un primo momento le questioni turistiche affrontate sono state quelle più pratiche, a cominciare dall'urgenza di evitare nuove partenze verso destinazioni le cui condizioni erano pressoché ignote; in questo caso le indicazioni del Ministero degli esteri sono state recepite senza particolari problemi. Più complessa la questione all'attenuarsi dell'emergenza più immediata, quando gli operatori hanno cercato di riavviare i flussi turistici verso l'Asia per limitare le proprie perdite economiche che, in quanto derivanti da un evento di forza maggiore (escluso quindi dalla normativa del risarcimento per "vacanza rovinata"), sembravano trasferibili in tutto o in parte sui clienti, mentre questi ultimi, anche in presenza di strutture relativamente efficienti, cercavano di avvalersi di un diritto alla rinuncia (o alla modifica della destinazione) basato su ragioni di etica e di sensibilità personale, chiedendosi (più che legittimamente) come si potesse pensare di condurre vacanze spensierate in prossimità, più o meno immediata di luoghi colpiti da terribili tragedie... La questione giuridica rimane irrimediabilmente aperta, e solo l'esito dei primi contenziosi darà indicazioni più chiare in un settore, quello della giurisprudenza applicata al turismo, cresciuto di molto negli ultimi anni, e perciò inevitabilmente in via di definizione. Di certo sui Tour Operator si sono addensate critiche non nuove, e talora anche eccessive, considerato anche che si tratta di un settore reduce da anni già difficili. E' comunque apparso chiaro che la crescente complessità del turismo internazionale richiede competenze e capacità di visione che molti operatori, formatisi in un contesto tutto sommato più facilmente gestibile, non possiedono ancora. Un buon argomento contro chi ancora si chiede, in posizioni ormai di retroguardia, se il turismo abbia bisogno di una formazione universitaria... Dai casi singoli e dagli interessi particolari il dibattito si è poi spostato su questioni più generali: è meglio sospendere i viaggi verso le regioni colpite, anche per non ostacolare il flusso dei soccorsi che utilizza inevitabilmente le stesse strutture aereoportuali dei voli charter, o è invece tutto sommato più importante contribuire al mantenimento delle entrate derivanti da quella che rimane pur sempre la principale risorsa economica? E se a tutti appare giusto non dimenticarsi in futuro di queste regioni, qual è, o sarà, il momento più opportuno per ritornarvi in veste di turisti? Domande a cui è difficile dare una risposta, se non forse caso per caso. E' comunque facile immaginare che per qualche tempo quelle destinazioni pagheranno un prezzo in termini di arrivi turistici, e che si rafforzerà quella tendenza alla crescita del "turismo di prossimità" che si è delineata in questi ultimi anni a seguito dei noti problemi della vita internazionale (terrorismo, Sars ecc.): e dunque itinerari europei e mediterranei, enogastronomia sempre più (se possibile), "turismo culturale" ecc. Non per questo il recupero sarà necessariamente lungo: la stessa frequenza delle tensioni internazionali crea una qualche assuefazione, riduce l'impressione e accelera i tempi del ritorno alla normalità; e poi quei luoghi sono troppo radicati nell'immaginario turistico collettivo per scomparire semplicemente dalla scena. Semmai la speranza, non so quanto fondata, è che si cominci a mettere in discussione un modello di sviluppo turistico cresciuto attorno ad un sogno retorico "gli ultimi paradisi", beneficati dalla natura e protetti dalla storia - che si è rivelato poco più di un'operazione di marketing che dura forse da troppo tempo. La realtà emersa in queste settimane racconta una storia spesso diversa. Parla di villaggi vacanze e di isole riservate al turismo (come alle Maldive), oasi d'occidente in mondi lontani, pressoché separati dal loro retroterra anche prossimo, che solo in misura ridotta trae beneficio dalla loro presenza. Racconta di paesi nei quali la democrazia è attuata in forme a dir poco parziali o del tutto assente, a cominciare dalla Birmania, retta da una Giunta militare sostituitasi alla libera volontà dei cittadini, che impiega il lavoro forzato proprio per realizzare le strutture turistiche, ed è per questo da anni sottoposta ad un esperimento di boicottaggio turistico che avrebbe meritato nell'occasione di essere ricordato. E ancora la Thailandia del turpe turismo sessuale, troppo a lungo benevolmente ignorato se non incoraggiato, e solo di recente contrastato dal governo quando le negative conseguenze sociali e di immagine internazionale si sono rivelate di gran lunga superiori ai vantaggi valutari... In queste regioni ha senza dubbio senso ripensare un modello di sviluppo turistico internazionale che anche in tempi normali ha comunque un'efficacia (e una profittabilità) ridotta, e che nei momenti più difficili mostra tutte le sue difficoltà e le sue contraddizioni, in favore di forme di turismo sostenibile e responsabile, non solo eticamente giustificate, ma in fondo più adatte ad un mondo che sta cambiando e muove rapidamente verso direzioni che è difficile prevedere. Claudio Visentin Internet che passione E due! Sì, con questo sono due gli aggiornamenti grafici del nostro sito dalla sua nascita ad oggi. Vediamone insieme le caratteristiche S ito Web terza versione: non è una cattiva media per una realizzazione che, amatoriale e di poche pagine all’inizio, è diventata nel tempo sempre più generosa di informazioni. Dopo l’acquisizione di un dominio di primo livello (www.pleinairbds.it) e dopo gli anni in cui eravamo stati ospiti del portale turismoitinerante, siamo giunti al secondo restyling grafico, mentre alcuni di più - tre almeno - sono stati invece gli aggiornamenti tecnici generali, quelli notoriamente invisibili agli utenti e che di norma servono ad allineare il sito alle tecnologie acquisite nel tempo e che, comunque, sono necessari per rendere più versatile e meno statico e complicato l’aggiornamento delle pagine. Il sito del nostro Club, per quanto quasi identico come contenuti all’ultima versione, è stato così interamente riscritto e riveduto nella grafica, nella logica procedurale e, conseguentemente, nella tecnica di gestione e di aggiornamento. La grafica Come detto altre volte in passato, un anno o due nello scorrere del tempo di internet delimitano un periodo di tempo lunghissimo. E se forse al momento attuale ciò non è più vero in assoluto, perché nel web la corsa verso le ultimissime novità non è più sfrenata come qualche tempo fa, era pur vero che un sito come il nostro, graficamente pensato nel 1999, doveva per forza andare in pensione per fare spazio ad una grafica più attuale. Per giungere a quella definitiva sono stati fatti diversi tentativi secondo quanto visto di nuovo in rete al momento attuale, passando tra forme tridimensionali e sfondi color pastello o combinazioni di colori mediterranei piuttosto accesi o animazioni di vario tipo e fattura, e alla fine la scelta è caduta su una impostazione chiara e lineare e con pochi colori, con- trassegnata da un personalissimo minimalismo, che si spera sia la maggiormente leggibile. C’è comunque da tener presente che il sito è l’ultimo tassello, solo in ordine di tempo, di un puzzle già iniziato ad inizio anno d’intesa con Maurizio Karra e reso pubblico nel corso dell’estate scorsa, assemblato per ridefinire l’intera immagine esteriore del Club, cominciando dal nuovo logo la cui impostazione estetica è stata la guida per determinare tutto il lavoro successivamente svolto: ciò che abbiamo definito “nuovo layout”, sulla base di un’impostazione grafica omogenea e integrata. La tecnica Il vecchio sito era interamente costruito con pagine HTML, di fatto quindi semplici e puramente testuali, raccordate tra loro secondo un percorso “orizzontale” e quindi abbastanza poco gerarchico: ogni pagina quindi aveva una precisa identità e una definita struttura necessaria per la visualizzazione sul browser. E’ evidente che con tale tipo di organizzazione, a fronte della variazione di un dato comune a tutte le pagine, queste dovevano per forza di cose essere modificate tutte, una per una. Sulla base di queste premesse, è stata determinante nella scelta tecnica l’esigenza di invertire l’architettura del sito, prediligendo una struttura di collegamento più flessibile e generalizzata, nonché di facile manutenzione. E il passaggio più radicale di così non poteva essere: dalle circa 250 pagine che componevano la versione appena pensionata, all’unica di quella appena resa pubblica! In realtà tutto gira intorno ad una unica pagina che, come un motore e con il supporto di altre pagine “specialistiche” (circa venti), gestisce tutti i contenuti del sito che trovano posto in un archivio con tanti “cassetti” quanti sono gli argomenti del sito stesso e che contengono, al proprio interno, ogni singolo elemento di ogni singola pagina. Più tecnicamente, l’applicazione è stata generata in linguaggio ASP (tecnologia Active Server Pages) che utilizza files MDB (database Access) composti, al momento, da circa 50 tabelle le cui pagine sono valorizzate con l’effettivo contenuto delle pagine originarie. Ciò ha permesso nell’immediato di dotare il sito di un proprio motore di ricerca interno, di un archivio privato di dati statistici riguardanti gli accessi, di un guestbook per consentire ai visitatori di contattarci, e di applicazioni remote che permettono di gestire il sito con facilità direttamente da internet. Ciò permetterà in futuro tanto altro. Il risultato finale Le nuove pagine sono d’aspetto semplice, elegante ed immediato e ciò le rende velocemente scaricabili; la nuova home page è decisamente più completa della precedente anche se essenziale nei contenuti e la navigazione sembra rapida e senza particolari interruzioni. Certamente chi scrive non dovrebbe essere il più titolato ad esprimere i propri giu- dizi, anche se finora si è permesso di esprimere valutazioni personali su quanto prodotto secondo i propri gusti e le proprie capacità. Ma, in prima persona, mi permetto però di esternare la soddisfazione per il pesante ma divertente lavoro svolto, che ha di fatto monopolizzato una grande parte del mio tempo libero degli ultimi quattro mesi. Sicuramente non è stato facile, tanto quanto è vero che certamente nessuno mi ha costretto a farlo: al di fuori di ogni possibile vera o falsa modestia non posso che ripetere di esserne personalmente soddisfatto, per l’arricchimento professionale guadagnato e per aver avuto il piacere di effettuare in libertà nuove sperimentazioni di carattere sia estetico che tecnico. Spero lo siate anche voi; come spero che, navigando al suo interno, vi venga stimolata una sempre maggiore voglia di contribuire in futuro per renderlo migliore e ancora più completo e fruibile. Giangiacomo Sideli La nuova home page del sito Web del Club Cucina da ...camper Idee e suggerimenti per ricette semplice e veloce da utilizzare in camper, in particolare quando si viaggia e si ha poco tempo da dedicare alla cucina (Tutte le dosi si intendono per 4 persone) Ricotta (o tuma) fritta Ingredienti: Ricotta (o tuma) a fette, 1 uovo, farina, pangrattato, olio d’oliva e sale q.b. Preparazione: Tagliare a fette spesse la ricotta (o la tuma). Sbattere in un piatto un uovo intero e in un altro mescolare farina e pangrattato. Bagnare nell’uovo le fette di ricotta o di tuma e quindi passare nel pangrattato. Quindi friggere nell’olio caldo aggiungendo un pizzico di sale e servire ben caldo. Pennette al tonno e limone Ingredienti: 1 o 2 spicchi di aglio, 5 filetti di acciuga, 300 gr. di tonno sott’olio, 1 limone, un tocco di peperoncino, 125 gr. di burro, olio d’oliva, sale, parmigiano q.b. Preparazione: Far rosolare in padella in un filo d’olio d’oliva 1 o due 2 spicchi d’aglio. Unire i filetti d’acciuga, facendoli sciogliere dopo avere tolto l’aglio. Aggiungere il tonno sgocciolato, salare e pepare facendo insaporire fra loro gli ingredienti e amalgamando insieme il succo del limone. Dopo avere cotto a parte la pasta, mantecare con il condimento già preparato, aggiungendo il burro ed il parmigiano. Lasciare insaporire qualche attimo e servire caldo. Frittella siciliana Ingredienti: 1 cipolla grossa, 1 kg. di fave, 1 kg. di piselli, 5 carciofi, un pizzico di concentrato di pomodoro, sale, pepe, aceto, prezzemolo, zucchero e olio d’oliva q.b. Preparazione: Far soffriggere nell’olio una cipolla affettata sottilmente. Quando è ben rosolata, sciogliere un cucchiaino o poco più di concentrato di pomodoro (serve a dare un po’ di colore). Tagliare a spicchi i carciofi dopo averli accuratamente puliti, versarli in pentola e farli rosolare. Quindi aggiungere un bicchiere d’acqua. Appena i carciofi saranno ammorbiditi, unire le fave ed i piselli, lasciando cuocere tutto (se occorre, aggiungendo acqua di tanto in tanto) per 40 minuti, salare e pepare. Quasi a fine cottura, aggiungere qualche foglia di prezzemolo tritato e due cucchiai di aceto. Fare cuocere ancora un paio di minuti e servire. Insalata di arance e aringhe Ingredienti: 3-4 arance, pezzetti di aringa affumicata, 5 cipolline scalogno, prezzemolo, olio d’oliva, sale e pepe q.b. Preparazione: Sbucciare le arance (no vaniglia) e ripulirle della parte bianca affettandole quindi a spicchi o a tocchetti. Versarli in un’insalatiera. Tagliare a listarelle le cipolle e le aringhe, aggiungendole alle arance. Salare, pepare e condire con olio d’oliva ed una spolverata di prezzemolo (all’insalata si possono aggiungere finocchi tagliati a pezzi). Enza Messina Riflessioni Anno nuovo, rubrica nuova... G iorni fa, mentre leggevo una rivista, ho fatto una riflessione (come penso succeda un po’ a tanti) sull'argomento che stavo leggendo, esprimendo il "mio silenzioso parere". Ho pensato: eppure chi avesse qualcosa da dire, oltre che raccontare di viaggi e gite, potrebbe trovare posto in una rubrica di questo genere... Allora ho manifestato un’idea al nostro presidente chiedendogli di conoscere quale fosse il suo parere in merito: l’idea di creare all’interno del giornalino del nostro club una mini rubrica intitolata “Riflessioni”. Un’opportunità per tutti noi di poter esprimere un pensiero, una riflessione di qualsiasi genere, argomento e natura: quel pensiero o riflessione che ogni tanto ci prende leggendo un giornale, parlando con un amico, ascoltando un telegiornale, e che poi rimane fine a se stesso non trovando una collocazione, un posto fisico dove poter esser condiviso o soltanto esposto. Cosa pensate mi abbia risposto? <<O- gni idea, ogni riflessione possono essere dei valori aggiunti. Perché no, quindi? Ovviamente nella speranza che i soci si attivino o si sentano almeno attivati. Proviamoci.>>. Il tutto, tradot- to in italiano, mi è sembrato significasse: “Vai”! Il motivo "ispiratore", in prima istanza e per quanto mi riguarda, è stata la manifesta volontà di partecipare una idea, una critica ad un fatto della quotidianità, una ...riflessione, che non necessariamente dovesse essere né criticata né giudicata né messa in relazione ad altre, ma che potesse fare pensare, che potesse fare riflettere su un argomento di qualsiasi natura; tranne nel caso che dalla stessa non dovesse scaturire un dibattito, ma forse anche in quel caso lasciando ai partecipanti la possibilità o di esprimere il proprio pensiero o di gestire il dibattito. Un moderatore potrebbe, anche senza volerlo, avere una figura “ingombrante” "criticabile", potrebbe essere "di parte" (o giudicato tale...!). Insomma, ognuno con i propri argomenti preferiti, con le proprie tendenze, ma sempre con il piacere di far “riflette- re”… La necessità è che non sia frainteso né come un angolo di sfogo personale, né verso altri (per intenderci una sorta di mercato..."vucciria", dove esprimere i propri “sentimenti”!!!). Apro io allora le “danze” con questa mia riflessione post-natalizia. Ne parlo perché anch’io ne sono stato “stregato”. Ciao, buon 2005 e… buona scrittura a tutti. Magica Tecnologia Lo scorso anno si discuteva di una crisi galoppante con una terrificante guerra alle spalle. Non è necessario un’analista per stabilire che le cose non sono cambiate un granché. Il Natale ci ha sorpreso nuovamente piuttosto poveri. Meno luminarie, meno acquisti, portafogli chiusi. La musica è sempre la stessa. Le statistiche di fine anno ci dicono che anche questa volta ci siamo preparati alle festività natalizie all’insegna dell’austerità. Da questa “stretta della cinghia”, divenuta una consuetudine stagionale, continua a salvarsi la tecnologia. Si tratta proprio dell’informatica più spicciola, quella tecnologia pret a porter che poi è quella che concorre pesantemente al fatturato di tanti centri commerciali: televisori al plasma, nel senso che bisogna svenarsi per acquistarli, sistemi di amplificazione Home Theater per l’espulsione condominiale, fotocamere digitali, videocamere che si perdono in un taschino, ma tutto con una particolare formula che ormai rasenta il grottesco: “prendi oggi e paghi tra un anno a (tante) rate senza interessi”! Perché ci si indebita a Natale pur di regalarci qualcosa di elettronico? Forse la speranza è che impossessarci di qualcosa di tecnologico significa promettersi un futuro migliore in cui si può essere diversi, magari migliori. Anche se in fondo sappiamo bene che stiamo spudoratamente mentendo a noi stessi. Certo, è soltanto un’illusione; ma è davvero magica. Luigi Fiscella News, notizie in breve Notti in campagna con “Fattore Amico” 365 notti serene e confortevoli al prezzo di una sola notte in campeggio! Questa la formula di “Fattore Amico” (www.fattoreamico.it), un’associazione che sta lanciando anche in Italia (come già avvenuto in Francia) una formula di collaborazione fra camperisti e produttori agricoli; da un lato, quindi, chi ama la natura e il plein air e cerca spesso la serenità della campagna, la tranquillità per la nostra sosta notturna e la genuinità dei prodotti; dall’altro i produttori che hanno disponibilità di terreno e intendono fare conoscere la loro attività ad un pubblico nuovo, che sappia apprezzare genuinità e tradizione e che quindi mettono a disposizione dei camperisti la possibilità di posteggiare gratuitamente all'interno della loro proprietà per trascorrere anche la notte, per un periodo convenuto di 24 ore. Fattore Amico vuole così offrire ad entrambi l'opportunità di incontrarsi e di conoscersi. Com’è nata questa iniziativa? Fattore Amico è un'associazione senza scopo di lucro, che ha costruito una rete di produttori amici, interessati a favorire un positivo rapporto con il territorio delle nostre regioni. Olio, vini, salumi, formaggi di qualità attendono solo che noi andiamo a scoprirli direttamente dai produttori. È anche un modo intelligente e garantito di fare i nostri acquisti. Per quanto riguarda il punto sosta, c’è da tener presente che nella quasi totalità dei casi non si tratta di aree attrezzate ma di piccole aree di parcheggio senza servizi, dove è necessario quindi presentarsi con i camper adeguatamente forniti di acqua e con gli scarichi sufficientemente liberi, evitando di chiedere ai nostri ospiti servizi che non sarebbero in grado di fornirci (magari per l’acqua da caricare non ci sono problemi, ma per il resto...). Ogni anno viene pubblicata una guida con tutte le informazioni utili e i dettagli del regolamento dell'associazione, nonché con gli indirizzi dei produttori aderenti, presenti in tutte le regioni. La quota associativa di € 32.00 copre le spese organizzative e di pubblicazione e fornisce una tessera di riconoscimento che dà accesso alle aziende agricole convenzionate. Chi volesse avere maggiori informazioni o volesse associarsi può contattare direttamente l’associazione Fattore Amico indirizzando una richiesta alla casella postale n. 1282 di Milano o all’E-Mail [email protected] . Finalmente aperta (anche se a metà) la Palermo-Messina Dopo 35 anni dalla posa della prima pietra, oltre 40 dall'ideazione, uno dei sogni dei palermitani, cioè l'autostrada che collega le due punte estreme dell'isola, si è avverato (o quasi). E’ stata finalmente inaugurata il 21 dicembre u.sc., alla presenza del presidente Silvio Berlusconi e dello Stato Maggiore dei politici regionali l'A.20 che collega Palermo a Messina. Finora erano stati aperti al traffico alcuni tratti ma la parte centrale era ancora chiusa e gli autoveicoli transitavano per la statale 113, una lingua d'asfalto che in alcuni tratti consente a malapena il passaggio di un camion e un' auto che provengono da opposte direzioni. L'autostrada Messina-Palermo, lunga 181,08 chilometri, è costata, secondo le stime, ol- tre 800 milioni di euro, circa 4 milioni a Km. La prima pietra venne posata nel 1969, ma da quel momento è iniziato un lungo e tortuoso percorso, fatto di continui stop-and-go che hanno fatto per tutta la seconda metà del secolo scorso della Palermo-Messina l’eterna incompiuta. Per completare l'autostrada (gli ultimi fatidici 41 Km. aperti al traffico a fine anno) si dice che gli operai hanno lavorato anche la notte, grazie a un accordo tra il Consorzio e i sindacati. Dopo l'inaugurazione della prima carreggiata (quella che da Palermo porta a Messina), l'autostrada sarà completamente aperta al traffico nella direzione opposta entro marzo (così almeno è scritto): fino a quel momento il traffico continuerà a defluire sulla statale 113 dallo svincolo di Tusa fino a quello di Castelbuono-Pollina. Per circa quattro mesi, comunque, gli automobilisti non pagheranno alcun pedaggio, in attesa che siano completati i caselli di esazione. La Vigata di Camilleri diventa realtà Il paese immaginario di Andrea Camilleri, Vigata, uscirà presto dai libri per diventare realtà. La Rai, attraverso la società di produzione Palomar, e l'assessorato regionale al turismo hanno infatti avviato l'iter per la realizzazione, su una superficie di cinque ettari, della borgata siciliana nata dalla fantasia dello scrittore. Un paesino in piena regola con la piazza principale, chiese, vicoli, negozi e case private che sarà usato non solo come set cinematografico delle prossime fiction basate sulle vicende del commissario Montalbano, ma anche come parco tematico dedicato ai turisti che potranno entrare nei luoghi finora descritti solo nei libri dell' autore siciliano. L' area dove sorgerà la cittadella immaginaria è ancora da scegliere tra le quattro proposte dall'assessorato al Turismo: la tonnara di Santa Panagia (Siracusa), Ragusa Ibla, San Vito Lo Capo o la tonnara di Scopello. ''Lavoreremo - ha detto l'assessore al Turismo Fabio Granata - con i fondi comunitari e della nostra Film Commission. La nostra identità, così legata al territorio e al paesaggio si difende anche proponendola all'immaginario televisivo che oggi muove molto turismo''. Una scommessa che sembrerebbe già vincente, visto l'enorme successo del villino della costa ragusana, a Punta Secca, dove si sono finora svolte le vicende del commissario Montalbano, preso d'assalto dai turisti disposti a pagare 10 euro (!!!) per scattare una foto ricordo sul balcone reso famoso dalla fiction. Patente a punti: bilanci e novità normative Il sito www.autostrade.it informa che la patente a punti, secondo gli ultimi dati forniti da Polizia e Carabinieri relativi allo scorso anno, ha ridotto il numero di vittime di poco meno del 10% rispetto all'anno precedente. I morti su strade e autostrade sono stati infatti 3.735 nel 2004, contro i 4.121 del 2003, 386 vittime in meno per una diminuzione pari al 9,4%. Complessivamente, gli incidenti stradali sono stati 158.220, contro i 170.099 del 2003. Quelli mortali sono calati da 3.696 a 3.338 (-9,7%). Buone notizie anche sul fronte feriti: 7.606 in meno (6,4%). Sono state accertate 3.124.395 violazioni, con una decurtazione di 4.108.432 punti patente (nel 2003 i punti decurtati sono stati, a partire dal 27 ottobre, 613.644). Le patenti ritirate sono state 99.071 (+16,8%). I servizi con misuratori di velocità sono stati 42.424 e le violazioni accertate per superamento dei relativi limiti sono state 959.061 (+6,8%). Ma ci sono delle novità sull’argomento: una recentissima sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima una parte di quel provvedimento che aveva istituito la cosiddetta patente a punti. I punti della patente possono essere tolti solo a chi è stato identificato nel commettere l'infrazione. Se non è possibile identificare il guidatore, secondo la Consulta, resta l'obbligo per il proprietario di fornire, entro 30 giorni, il nome e il numero della patente di chi ha commesso la violazione; ma se ciò non avviene, a carico del proprietario dell'auto scatta solo la sanzione pecuniaria, e non quella accessoria con la sottrazione dei punti dalla patente (la sentenza della Suprema Corte è la numero 27-2005). Le reazioni non si sono fatte attendere. "Il parere della Corte Costituzionale è ineccepibile, assolutamente non va discusso né contestato". E' il commento a caldo del ministro alle Infrastrutture e ai Trasporti, Pietro Lunardi. "La norma - ha aggiunto Lunardi - resta. L'articolo secon- do il quale venivano decurtati punti dalla patente, anche quando non e' possibile identificare il conducente era l'unico sul quale anche io avevo forti dubbi". E prosegue il Ministro: "Devo però d'altra parte precisare che la Consulta ha ritenuto illegittima solo una piccola parte della norma sulla patente a punti. Quindi la patente a punti viene conservata, è valida. Questo è un messaggio a tutti gli utenti. Non succeda che si dica che la patente a punti viene cancellata". "Prendo atto con grande soddisfazione del contenuto della sentenza della Corte Costituzionale". E' il commento del senatore Mauro Fabris, Vice Presidente della Commissione Trasporti del Senato. Ermete Realacci, dell'esecutivo della Margherita e firmatario insieme a Giorgio Pasetto e Pierluigi Castagnetti di una proposta di legge di riforma del Codice della strada, sottolinea i rischi cui la sentenza può portare: "E' una decisione che senza dubbio allarga le maglie della prevenzione e apre varchi alla furbizia e all'autolesionismo di certi comportamenti". Ponendo l'accento sui controlli". "Viene risollevato così - dice Realacci - un problema che da tempo denunciamo: la carenza delle pattuglie. E se i controlli sono insufficienti, se l'automobilista scopre che è difficile essere pizzicati dalla polizia stradale, le legge perde efficacia. Lo dimostrano le statistiche. E sono le stesse forze dell'ordine a lamentare la carenza di organico. Attualmente spiega Realacci – in servizio ci sono meno pattuglie di quante ce ne fossero nel 1960 (una ogni 5 automobili allora, una ogni 80 oggi). Meno serrati appaiono anche i controlli: nel primo anno di vita della patente a punti (1 luglio 2003 - 30 giugno 2004) sono state effettuate 3.078.298 contravvenzioni, l'anno prima erano state 3.506.416: il calo è del 12% (nonostante siano stati attivati 4.635 nuovi autovelox)”. L’Intesa Consumatori, pur approvando i principi della patente a punti per contrastare le violazioni al codice della strada, aveva duramente contestato quella norma che prevedeva di addossare ai proprietari dei veicoli l'obbligo di fornire numero di patente e nome del guidatore in caso di infrazione. E' evidente che ora arriverà una pioggia di ricorsi (nell'anno appena trascorso sono stati 350.000 i ricorsi presentati dai cittadini per protestare contro i verbali di violazione del Codice della Strada). Affila le armi, al riguardo, Telefono Blu-SOS Consumatori che invita chiunque abbia avuto problemi del genere a mettersi in contatto con il centralino nazionale 06.3751.8881 o a collegarsi al sito www.sosconsumatori.it. Un’altra offerta dalla ITALTRAG Abbiamo già dato notizia nel precedente numero del nostro giornalino dell’offerta della ITALTRAG di Napoli che, nell'ambito del collegamento RO/PAX da Trapani a Livorno e viceversa, ha offerto al nostro Club per il periodo dal 15 Novembre 2004 al 31 marzo 2005 degli sconti eccezionali: tariffa auto o camper euro 9,00 tutto incluso; tariffa passeggeri euro 60,00 a persona, con sistemazione in cabina. Adesso la predetta compagnia ci informa che la convenienza continuerà anche per tutta l’estate. Dal 1° maggio al 30 settembre, infatti, i nostri soci – contattando direttamente gli uffici della compagnia – potranno godere per tutto il periodo estivo e pre-estivo delle seguenti tariffe scontatissime: - camper: 25,00 euro a metro lineare oltre a 29,00 euro di diritti fissi + IVA; - autovettura: 100,00 euro + IVA; - passeggeri: 9,00 euro a persona + IVA con sistemazione in cabina a due letti. Queste tariffe sono valide per le partenze del lunedì e del mercoledì da Livorno (ore 23,00) e da Trapani (ore 20,00). Per le altre partenze (venerdì ore 5,00 e sabato ore 12,00 da Livorno; venerdì ore 11,00 e sabato ore 12,00 da Trapani) sarà invece applicato uno sconto sulle tariffe ordinarie in misura diversa rispetto alla stagionalità. Per ulteriori informazioni: tel. 0923/21122 (Eguseamar – Trapani); oppure 081/ 5515436 cell: 335/ 7077864 (Sig. ra Rosanna Lofaro) –E.Mail: [email protected] – Sito Web: www.italtrag.com A cura di Maurizio Karra L'ultima parola di Agostino Alaimo