Portfolio - Chiara Trivelli

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Portfolio - Chiara Trivelli
Chiara Trivelli
visual artist
Artist's Statement
Niente che seduca al primo sguardo. Niente che risponda a un qualsivoglia
standard di professionalità. Niente di funzionale. Nessuna ragione di mercato.
Con questo non intendo dire che per me la pratica artistica sia un hobby.
Intendo dire che produce qualcosa le cui qualità vanno oltre quelle di un buon
prodotto.
La mia pratica artistica parte dall'assunto che l'arte può essere intesa come
intevento diretto sui processi di trasmissione culturale. Concerne gli spazi
pubblici, comunità che vanno scomparendo e luoghi dimenticati.
Il mio lavoro riguarda la messa in discussione di identità e linguaggio. Non è un
lavoro individuale, è basato su un approccio partecipativo, tratta l'immateriale.
Memoria ambiente marginalità, trasformazione sociale. Attivare un processo di
condivisione costringe a mettere da parte il proprio ego, ed questa la fatica del
lavoro che faccio. Svolgere una criticità relazionale diventa allora qualcosa di
intrinsecamente artistico, un processo di crescita collettiva.
Cerco di raccontare le storie reali che compongo collettivamente attraverso
video, installazioni, lavori audio e performance. Adottando un punto di vista
diverso rispetto al dato di fatto, sviluppo metodi site-specific per riscrivere
contesti.
Ricerchi un modo e ti inventi un metodo. Realizzi un’idea. Esistono logiche
così fragili e complesse che stanno in piedi come castelli di carta. Ecco. Per
me fare castelli di carta non è un hobby, e nemmeno una follia. Fare castelli di
carta è un'arte.
Nothing that seduces the onlooker at first sight. Nothing that complies to
any notion of professional standards. Nothing functional. No market-driven
motivation. I do not mean to say by this that my artistic practices are in any
way a mere hobby. I mean they produce something the qualities of which lie
well beyond those of just a ‘good product’.
My artistic practice starts out from the assumption that art may be understood
as a direct intervention on cultural transmission processes. It concerns public
spaces, disappearing communities and forgotten places.
My work concerns the questioning of identities and languages. It is not an
individual work, but based on a participatory approach, it treats the immaterial.
Memory, environment, marginality and social transformation. Activating a
sharing process forces us to set aside our own egos, and this is the hard part
of the work I do. Expounding a relational critique thus becomes something
intrinsically artistic, a process of collective growth.
I try to tell the real stories I collectively compose through videos, installations,
audio works and performances. After adopting a different point of view than
the fact, I develop site-specific methods to rewrite contexts.
You seek out a way and come up with a method. You put together an idea.
These are such fragile and complex logics that they stay standing just like
houses of cards. That’s it. For me, building houses of cards is not a hobby, nor
a form of madness. Building houses of cards is an art.
Chiara Trivelli
di / by Stefano Coletto*
E’ una questione aperta se l’arte possa attivare trasformazioni significative in
un territorio. Ideare progetti da condividere con una comunità, coordinando
competenze diverse, attivando meccanismi virtuosi di collaborazione sociale
significa rinunciare ad un proprio lavoro finito, concluso, ad un’opera che
rappresenti un mondo personale e quindi mediaticamente e commercialmente
una celebrazione individuale. L’arte così può innestarsi nell’amministrazione
di un territorio; pur cercando contributi per la realizzazione di progetti su
un luogo, si lavora su obiettivi ideali. L’arma dell’artista è la persuasione,
la qualità di senso della sua iniziativa. L’obiettivo è recuperare l’abitabilità
culturale di un luogo, sviluppare delle potenzialità, arricchire di attenzione e
di riflessione uno spazio. I micro interventi si attivano e possono anche non
concludersi concretamente. Rimangono i segnali e i moniti di una progettualità
antropologicamente fondata. Nella proposta originale di un artista, anche nel
suo collocarsi in una dimensione utopica, le comunità possono trovare una
rinnovata consapevolezza della complessità che paradossalmente li riguarda:
esiste, ma se non viene resa viva e rinnovabile, rischia di rimanere non detta.
* curatore della / curator at Fondazione Bevilacqua La Masa, testo tratto dal catalogo / text
taken from the catalogue Atelier BLM Notebook 2011, Moleskine, Venezia, Italia, 2012, p.116.
Whether art is capable of bringing about significant change in a given territory
is an open question. Coming up with projects to share with a community, coordinating various different skills, and activating virtuous social collaboration
mechanisms means doing away with the idea of one’s own finished work,
one representing a personal world and thus an individual celebration, at
least in commercial and communications terms. In this way, art may be
grafted onto the administration of a territory; while seeking contributions for
the implementation of projects on a given place, one works towards ideal
objectives. The arms of the artist are those of persuasion, the quality of sense
and her own initiative. The aim is to regain the cultural habitability of a place, to
develop its potential, to enhance a space through the attention and reflections
given to it. Micro-interventions are thus implemented, and do not necessarily
lead to a concrete conclusion. But the tangible signs of an anthropologicallycentred project remain. In the artist’s original proposal, even when placed
within a utopian dimension, communities may find a renewed awareness of the
complexity that paradoxically concerns them: it exists, but if it is not brought to
life and renewed, it runs the risk of being left unexplored.
selected works
( 2008 | 2014 )
Voix off
( 2014 )
A project by Camilla Croce, Jamila M. H. Mascat and Chiara Trivelli
An intervention during Flamme Éternelle, by Thomas Hirschhorn
http://www.flamme-eternelle.com
Saturday, 21st of June, 7.30 pm
Palais de Tokyo
13, avenue du Président Wilson
75 116 Paris
www.palaisdetokyo.com
Three different points of view on the question of the voice. Camilla Croce, researcher in philosophy based in Berlin, Jamila M.H.
Mascat researcher in philosophy based between Rome, Berlin and Paris, Chiara Trivelli, visual artist based in Venice. Their ongoing
project "Voix off" has been developed through regular hangout meetings, audio-recordings, speeches without images. They listened
to their voices while talking about voice and presence, voice and time, im/pure voices, asking what is in a voice beyond language and
aesthetics. During Flamme Éternelle they will retrace the vocal path that they have been exploring until now. An attempt to respond to
Thomas Hirschhorn's call for presence and production.
Intervento a tutela delle lavagne di Beuys
( 2013 -2014 )
Intervento a tutela delle lavagne di Beuys
Installazione site-specific
Tubi in pvc, ventole per PC, cloruro di calcio, zanzariere in alluminio, listelli
di legno, bacinelle, colori acrilici, vernice all’acqua, materiale isolante, fili
elettrici, alimentatori
Perugia, Italia
2013
Site-specific installation
PVC Tubes, PC cooling fans, calcium chloride, aluminium mosquito nets,
pieces of wood, basins, acrylic paints, water paints, insulating material,
electric cables, power plugs
Perugia, Italy
2013
Sono stata invitata dalla curatrice Linda Di Pietro a partecipare alla mostra
Tell mum everything is ok. Giovani artisti in Umbria (Museo Civico di Palazzo
della Penna, Perugia, Italia, 17 novembre/16 dicembre 2013). Il Museo ospita
un ricco patrimonio di opere d'arte tra cui spicca la “Raccolta Beuys”, un
insieme di sei lavagne realizzate dal Maestro tedesco in occasione dell'incontro
pubblico “Beuys-Burri”, a cura di Italo Tomassoni, tenutosi presso la Rocca
Paolina, a Perugia, nel 1980.
Joseph Beuys è il soggetto della mia prima tesi di laurea in Storia dell'Arte
Contemporanea, un artista da me molto amato e che ho studiato
approfonditamente. Avendo l'opportunità di realizzare per la mostra un lavoro
site-specific, ho proposto alla curatrice e al Museo di realizzare qualcosa in
relazione allo spazio a lui dedicato.
Dopo un primo sopralluogo ho scoperto che le lavagne di Beuys erano state
appena sottoposte a restauro. Sono entrata in contatto con i restauratori
che mi hanno spiegato che, dopo aver riscontrato delle spore evidenti sulla
loro superficie, avevano proceduto con la ripulitura a secco, asportando
meccanicamente punto per punto le muffe. Il ristagno di umidità nell'ambiente
non escludeva però che il problema potesse ripresentarsi. Nonostante fosse
stato aggiunto un deumidificatore mobile a quello fisso pre-esistente, l'umidità
non era scesa infatti sotto il 70%.
In attesa di una soluzione definitiva del problema, ho realizzato un sistema
di deumidificazione fai da te che ravvivasse l'ambiente. L'opera si intitola
Intervento a tutela delle lavagne di Beuys ed è attualmente in deposito
temporaneo presso il Museo, esposta nella sezione dedicata a Beuys. Il Museo
ha deciso infatti di acquisirla e sono in corso le pratiche relative.
I was invited by the curator Linda Di Pietro to take part in the exhibition Tell
mum everything is ok. Giovani artisti in Umbria (Museo Civico di Palazzo della
Penna, Perugia, Italy, 17th November – 16th December 2013). The Museum
houses a vast selection of artworks including the ‘Beuys Collection’, a set of
six chalkboards produced by the German master on the occasion of the public
‘Beuys-Burri’ encounter, curated by Italo Tomassoni, held at the Rocca Paolina
in Perugia in 1980.
Joseph Beuys was the subject of my first degree thesis on Contemporary Art
History, an artist of whom I am extremely fond, and whom I have studied in
great detail. Having been given the opportunity to create a site-specific work
for the exhibition, I put forward the idea to the curator and the Museum of
coming up with something relating to the space dedicated to him.
On my first visit to the space, I discovered that Beuys’s chalkboards had just
undergone restoration. I contacted the restorers, who explained to me that,
having found clear traces of spores on the surfaces, they had undertaken a dry
cleaning process, removing the mould spores mechanically, section by section.
The build-up of humidity in the room, however, meant that the problem was
likely to reoccur. Despite the fact that a mobile dehumidifier had been added
to supplement a fixed unit already present, humidity levels had not gone below
70%.
While waiting for a lasting solution to be found, I therefore put together a
makeshift dehumidification system which might freshen up the environment.
The work, entitled ‘Intervention for the protection of the Beuys chalkboards’,
has been left temporarily with the Museum, on show in the section dedicated
to Joseph Beuys. The Museum has in fact decided to purchase the work, and
the sales procedure is currently underway.
L’Intervento si presenta come un’istallazione diffusa costituita da nove
elementi. Ogni elemento è composto da un tubo in pvc lungo 120 cm e largo
14, sostenuto da due cavalletti fatti con listelli di legno e di diversa altezza, e
una bacinella. I 9 tubi sono stati ridipinti a mano con colori fluorescenti (giallo,
fucsia, verde, arancione), 5 sono a tinta unita, 4 a righe. A un’estremità di
ogni singolo tubo ho collocato una ventola per PC, diametro 8 cm, con led
colorati, alimentata a corrente (12 volt). All’altra estremità ho fissato (utilizzando
un anello di tubo leggermente più largo e anch’esso ridipinto) una porzione
di zanzariera in alluminio che funge da filtro. All’interno di ogni singolo tubo
ho posizionato del cloruro di calcio: una ricarica da un kg che ha la durata di
un mese. Ai piedi di ogni singolo tubo ho apposto una bacinella di plastica
colorata e semitrasparente: in totale 3 bacinelle verdi, 3 arancione, 3 fucsia.
The ‘Intervention’ consists of an articulated installation made up of nine
different elements. Each element is made up of a PVC tube 120 cm long and
14 cm wide, resting on two stands made of pieces of wood of various heights
and a basin. The nine tubes were then repainted by hand using fluorescent
colours (such as yellow, fuchsia, green and orange), of which five are a single
shade, and four with stripes. At one end of each tube I placed a PC cooling
fan, 8 cm in diameter, with coloured LED lights, powered from the mains
(12 volts). On the other end (using a ring slightly wider than the tube, also
repainted), I fixed a piece of mosquito net, working as a filter. Inside each tube I
placed some calcium chloride: a one-kilo packet, enough for a month’s supply.
At the foot of each tube I put a semi-transparent coloured plastic basin: three
green, three orange and three fuchsia ones.
L’opera funziona come un sistema di deumidificazione fai da te, silenzioso
e a basso consumo. L’aria aspirata dalla ventola confluisce nel tubo, dove i
sali ne assorbono l’umidità. L’acqua assorbita dai sali defluisce dal tubo nella
bacinella, mentre l’aria che fuoriesce è restituita deumidificata all’ambiente.
L’opera prevede l’impegno e la partecipazione da parte del pubblico e, in
particolar modo, la collaborazione da parte del personale del Museo. Le
bacinelle vanno infatti regolarmente svuotate e, ogni mese, va inserita una
nuova ricarica di cloruro di calcio all’interno di ogni singolo tubo.
L’opera nasce come un omaggio a Beuys, maestro dell’idea di Scultura
ed Ecologia Sociale. In particolar modo l’opera si inspira a una delle frasi
pronunciate da Beuys durante l’incontro pubblico tenutosi a Perugia nel 1980
e in occasione del quale furono realizzate da Beuys le lavagne in questione:
“Ha a che fare con l’arte il rapporto tra ciò che si deteriora e ciò che rinnova
queste forme destinate alla caducità”.
The work serves as a simple dehumidification system, very quiet and with very
low energy consumption. The air drawn in by the fan flows along the tube,
where the salts absorb the humidity in it. The water absorbed by the salts runs
out of the tube and into the basin, while the air blown out of the tube returns,
dehumidified, to the environment. The work foresees the commitment and
participation of the public, and most of all, of the Museum staff. The basins in
fact need to be emptied frequently, and every month, more calcium chloride
needs to be added to the inside of each tube.
The work came about as a homage to Beuys, master of the idea of Social
Sculpture and Ecology. Most of all, the work is inspired by one of the
sentences uttered by Beuys during the public meeting held in Perugia in
1980, and on which occasion the blackboards themselves were created by
Beuys: “The relationship between what deteriorates and what renews these
forms destined to caducity is very much bound up in art.”
Contenuto Rimosso
( 2012-2014 )
Contenuto rimosso
azione collettiva
ghiaia, bidoni, legna, torce e candele
Lorenzago di Cadore, Belluno, Italia
2012-1014
collective action
gravel, metal drums, firewood, torches and candles
Lorenzago di Cadore, Belluno, Italy
2012-2014
Contenuto rimosso è il tentativo poetico di indurre una nuova tradizione che
funga da processo di riappropriazione di un luogo che oggi è scarsamente
popolato.
In occasione del festival Lorenzago: montagna contemporanea ­nel quadrato
(Lorenzago di Cadore, Belluno, 9/17 giugno 2012), curato da Vito Vecellio,
mi è stato commissionato un intervento site-specific per il Quadrato, un’area
che, pur costituendo il centro storico di un paese di montagna, Lorenzago
di Cadore, si presenta come un quartiere di città su scala ridotta: palazzi in
muratura, tipologia abitativa modulare, distribuzione regolare e geometrica,
viabilità segnata da un reticolo stradale che chiude, appunto, l’abitato in un
razionalistico quadrato. Il quartiere ha assunto le attuali sembianze dopo che il
30 luglio 1855 un incendio ha distrutto l’antico borgo, denominato Gortina.
Benché, come viene tramandato oralmente, l’incendio fosse probabilmente
di natura dolosa, la versione ufficiale, dopo un’inchiesta fatta dalle autorità, lo
ritenne incendio accidentale. La causa dell’incendio venne dunque rintracciata
nel carattere stesso dell’abitato costruito per lo più in legno e all’evento
traumatico, l’incendio, venne associata la rappresentazione tipica di un paese
di montagna: architettura spontanea, sviluppo informale, contiguità abitazione/
stalla/orto. L’abitato venne quindi ricostruito negando quella tradizione
costruttiva. In questo senso il Rifabbrico si configura come un processo di
rimozione.
Contenuto rimosso is a poetic attempt to start off a new tradition that might
serve as a process of reappropriation of a place which today is scarcely
populated.
On the occasion of the festival entitled Lorenzago: montagna contemporanea
nel quadrato (Lorenzago di Cadore, Belluno, 9th – 17th June 2012), curated by
Vito Vecellio, I was commissioned to carry out a site-specific intervention to be
completed in the ‘Quadrato’, an area which, despite constituting the historic
centre of a mountain village, Lorenzago di Cadore, looks like a small-scale
urban neighbourhood: brick buildings, modular dwellings, a regular, geometric
layout, streets lying parallel to one another, closing off the heart of the village
in a rationalist grid. The neighbourhood was given this shape after 30th July
1855, when a fire destroyed the ancient village, then known as Gortina.
Although the oral tradition suggests that the fire was probably deliberate, the
official version (based on an enquiry undertaken by the authorities) concluded
that it had started accidently. The cause of the fire was thus attributed to the
very nature of the village, built largely out of wood, and the spread of the fire
was also seen to have been abetted by the typical disposition of a mountain
town: spontaneous architecture, informal development, proximity of dwellings/
stables/vegetable gardens. The village was thus rebuilt rejecting that tradition.
In this sense, the rebuilding process was as much as anything one of removal.
Gortina e Il Quadrato, mappa del centro storico di Lorenzago di Cadore, Belluno, prima e dopo l'incendio del 1855.
Gortina and the 'Quadrato', map of the historic center of Lorenzago di Cadore, Belluno, before and after the fire in 1855.
Ma se il Quadrato di oggi non ricorda affatto la Gortina di un tempo, è perché
ha subito un trauma. Come riappropriarsi allora di un passato negato? Ho
coinvolto gli abitanti di Lorenzago in un esperimento di “Psicanalisi applicata
all’ambiente”. Come funziona “la memoria dell’ambiente”? Se funziona
attraverso meccanismi di rimozione, mettere in discussione l’origine traumatica
del Quadrato implica indurre un processo di regressione. Riattivare la
memoria di un luogo attraverso un’azione collettiva è significato qui costruire,
attraverso la ripetizione del fuoco, una suggestione che riconducesse il
Quadrato alla sua ragione profonda. Passare dall’evento traumatico, inteso
come ragione profonda del Quadrato nel suo strutturarsi, al Quadrato come
rappresentazione della tradizione rimossa nel suo negarsi. In questo senso, ciò
che è stato perduto è ancora conservato.
Volevo creare una continuità tra il prima e il dopo. Il fuoco è il tratto d’unione
tra il passato e il presente architettonico di questo luogo. L’immagine del
fuoco fra i palazzi in muratura e lungo le strade di un quartiere ordinato e
geometrico avrebbe riattivato come contro-immagine la memoria di un tessuto
urbano irregolare, fatto di case di legno, che si sviluppa in modo organico
e spontaneo: avrebbe riallacciato una cesura. Creare una continuità fra
Gortina, l’antico nucleo abitativo, e il Quadrato, un modello di progettazione
urbana estraneo alla secolare tradizione costruttiva alpina, avrebbe
significato riconciliarsi con un passato fatto di economia agro-silvo-pastorale,
sublimando/esorcizzando la paura del fuoco nel potere simbolico di un rito
collettivo. Trasformando la paura in cura del fuoco.
And so if the ‘Quadrato’ today has nothing to do with the Gortina of yesteryear,
it’s because it has undergone a sort of trauma. How then may we regain
possession of a past denied? I involved the inhabitants of Lorenzago in an
experiment of “Psychoanalysis applied to the environment”. How exactly does
the “memory of the environment” work? As it works through mechanisms of
removal, questioning the traumatic origins of the Quadrato means inducing a
process of regression. Reactivating the memory of a place through a collective
action involving the reiteration of the fire theme meant putting together a
sense which would lead the Quadrato back to its original reason for existence.
Passing from the traumatic event to the Quadrato as a representation of the
tradition removed through its denial. In this sense, what has been lost is still
maintained.
I wanted to create a sense of continuity between the before and after. Fire was
thus to be the trait d’union between the architectural past and present of this
place. The image of fire among the brick buildings and along the streets of a
well-ordered and geometrical neighbourhood would serve as a counter image,
reactivating the memory of an irregular urban fabric, one made up of wooden
houses, developing as a whole in a spontaneous fashion. In this way, it was
designed to repair a break. Creating a sense of continuity between Gortina, the
ancient settlement, and the Quadrato, a town-planning model quite foreign to
the age-old Alpine building tradition, would mean making amends with a past
based on an agro-forestry-pastoral economy, thus subliming/exorcising the
fear of fire through the symbolic power of a collective ritual, transforming the
fear of fire into care for fire.
L'intervento prevedeva l'interruzione dell'illuminazione elettrica in tutto il
quartiere e consisteva nella formalizzazione di un'illuminazione notturna fatta di
fuochi, torce e candele. Ho allestito 15 falò, disposto 125 candele e 25 torce.
I falò, fatti con una base in ghiaia, la legna disposta all'interno di un bidone in
metallo riciclato e tagliato, attorno al quale ho apposto come isolante termico
pietre fluviali reperite sul territorio, avevano una struttura semplice ma sicura,
pensata per impedire il dilagare delle fiamme ed evitare danni all'asfalto.
Ho disposto ogni elemento nello spazio seguendo la struttura reticolare del
tessuto urbano: ho posizionato i falò agli incroci stradali, le candele seguendo il
ritmo ordinato delle case lungo le strade, le torce nei cortili.
A quel punto sono stati gli abitanti stessi di Lorenzago ad accendere i falò, le
torce e le candele, per poi ritrovarsi assieme attorno ai fuochi.
Avevo coinvolto varie realtà associative locali anche distanti fra loro: la
Schola Cantorum, la Pro Loco, gli Alpini, gli Edili Uniti, alcune band musicali
e gruppi creatisi appositamente per l’evento, come quello delle donne.
L’invito a partecipare era aperto. Il quartiere allora si è ripopolato. Assieme ai
fuochi si sono accesi canti, musiche, c'è chi ha cominciato a cucinare, chi a
raccontarsi. L’atmosfera era suggestiva e i partecipanti emozionati: “erano
quarant’anni che non vedevamo qui una cosa del genere”, mi è stato detto.
Un dispositivo di per sé semplice, quello dei fuochi, ma che per essere qui
realizzato ha richiesto un lungo processo di inserimento nella comunità,
superamento delle diffidenze, burocrazia, fatica nel reperimento in loco
e allestimento dei materiali. Infine però l’esperimento può dirsi riuscito: il
riemergere di un ricordo ancestrale, quello dei canti e della musica, del
mangiare attorno al fuoco per la gente di montagna, ha riattivato una socialità
dimenticata in un luogo oggi, altrimenti, desolato.
.
The intervention foresaw the interruption of the electric lighting throughout the
neighbourhood, and called for the organisation of nocturnal lighting provided
by fires, torches and candles. I set up 15 bonfires, as well as 125 candles and
25 torches. The bonfires, placed upon a layer of gravel, consisted of firewood
inside recycled metal drums, specially cut for the purpose, around which I
placed a series of river stones to offer thermal insulation. This structure was
simple but safe, designed to stop the spread of flames and avoid any damage
to the asphalt road surface below.
I laid out every element in the space following the grid structure of the urban
fabric: I placed the bonfires at crossroads, the candles following the steady
rhythm of the houses along the roads, and the torches in the courtyards.
At that point it was the inhabitants of Lorenzago themselves who lit the
bonfires, the torches and the candles, before gathering around the fires.
I had involved various local associations, some of which were very different
from one another: the Schola Cantorum, the Pro Loco, the Alpini, the Edili
Uniti, a number of music bands as well as groups which had been created
especially for the event, such as the women’s group. The invitation to take part
was open to all, and the neighbourhood soon filled up with people. As the fires
were lit, they soon led to singing and music, while others started cooking or
telling stories. The atmosphere was highly evocative and the participants were
quite moved by it all: “We hadn’t seen anything like it for 40 years,” I was told.
The use of fire was a very simple device, but in order to be used here, it
required a long process of insertion within the community, the overcoming of
diffidence, bureaucracy, and the difficulties in the procuring and setting up of
the materials. Nevertheless, the experiment was declared a success: the reemergence of ancestral memories, of song and music, of eating around the fire
for mountain dwellers reactivated a hitherto forgotten dimension of sociality in a
place which today is otherwise desolate.
Contenuto rimosso / 1a edizione, Lorenzago di Cadore, Belluno, 2012. Foto di Ivana Ivanova.
La comunità del posto si è allora ritrovata. Ne è nata una nuova tradizione. Il
progetto prevedeva infatti il ripetersi dell'evento ogni anno, e che ogni anno
l'evento ricorresse il 30 di luglio, giorno in cui nel 1855 avvenne quel disastroso
incendio che distrusse Gortina e da cui sorse il Quadrato. La nuova tradizione
vuole che ogni anno a Lorenzago la sera del 30 di luglio la corrente elettrica nel
Quadrato sia interrotta, vengano allestiti fuochi, torce e candele, che siano gli
abitanti stessi, le varie realtà associative locali a dar forma all'evento.
Nel luglio del 2013 sono stata nuovamente invitata a Lorenzago. Nella sua
seconda edizione il progetto è stato adottato dalla Pro Loco: è avvenuto
quel passaggio di consegna da me auspicato, la comunità si è appropriata
del progetto. Nonostante o proprio a ragione del rapporto conflittuale nei
miei confronti (gli abitanti avevano bisogno che io ancora li aiutassi a fare
qualcosa che avrebbero voluto imparare a fare da soli), Contenuto rimosso si
è configurato come l'unica iniziativa del paese in cui erano coinvolte tutte le
realtà associative locali.
The sense of community of the neighbourhood re-emerged, and the event
ushered in to a new tradition. The project in fact foresaw the repetition of the
event every year, and that it should be held on 30th July, the day when in 1855
that terrible fire destroyed Gortina and which then gave rise to the ‘Quadrato’.
According to this new tradition, every year in Lorenzago on the evening of 30th
July, the electricity supply in the ‘Quadrato’ should be interrupted, fires, torches
and candles be lit, and it is thus be the inhabitants themselves, the various
local associations, that should shape the event.
In July 2013, I was invited to Lorenzago once again. The second edition of
the project was run by the Pro Loco association, meaning that the passage
of responsibility that I had hoped for took place, and the community adopted
the project for itself. Despite or perhaps because of the conflictual relationship
in my regard (the inhabitants still needed me to help them do certain things
that they would have preferred to be able to do themselves), Contenuto
rimosso came across as the only initiative in the town in which all of the local
associations were involved.
ANA (Associazione Nazionale Alpini), CAI (Club Alpino Italiano), la Schola
Cantorum, i Vigili del Fuoco volontari, in collaborazione con il Comune, la
Parrocchia, Lorenzago Aperta (“mostra annuale d'arte varia e contemporanea”,
a cura di Vito Vecellio, Lorenzago di Cadore, 2000-2013), oltre a gruppi
spontanei come quelli creatisi attorno ai Rootz, un ensemble di percussionisti
locali. Sono stati inoltre invitati musicisti e performer esterni al paese ma attivi
sul territorio.
La serata ha riscontrato una partecipazione ancora più numerosa dell'anno
precedente, ogni gruppo ha creato una sua propria situazione attorno al fuoco:
oltre alle performance, sono stati allestiti tavoli in cui venivano offerti cibi e
bevande tipici ma anche pop corn e patatine fritte, c'erano situazioni in cui si
cucinava e c'era chi offriva ciò che aveva cucinato in casa. C'era un grande
entusiasmo.
Io al di là di seguire e curare tutto lo svolgersi del progetto, con un impegno
e una fatica oltre che fisici innanzitutto emotivi, ho realizzato un video di
documentazione assieme al videomaker Gabriele Zampieri.
Il successo di Contenuto rimosso è frutto di quello che è stato soprattutto un
processo di crescita collettiva, esercizio e pratica di condivisione.
La singolarità dell'evento è correlata a una dimensione temporale estraniante.
Contenuto rimosso è una serata fuori dal tempo, oltre il presente,
anacronistica, inattuale.
In occasione della terza edizione di Contenuto rimosso (31 luglio 2014), ancora
una volta il paese si è mobilitato, molti i visitatori venuti anche dai paesi vicini.
Oltre a curare l'evento, io ho integrato la documetazione video della
manifestazione con materiale d'archivio e interviste agli abitanti. Gli interrogativi
principali del documentario che va via via costruendosi sono: cosa ci trattiene
in un luogo? Se il fenomeno dello spopolamento che investe le aree montane
rappresenta un problema, quale altra risorsa se non chi resta può indicarci la
via per una soluzione?
Premessa di un lavoro site-specific e community based è infatti la disponibilità
ad apprendere, la propensione all'ascolto.
The ANA (National Alpine Association), the CAI (the Italian Alpine Club), the
Schola Cantorum, the voluntary fire brigade, in collaboration with the Town
Council, the Parish Church, Lorenzago Aperta (the “annual show of various
and contemporary art” curated by Vito Vecellio, Lorenzago di Cadore, 20002013), as well as spontaneous groups, such as those created around Rootz,
an ensemble of local percussionists. Musicians and performers from outside
the town but working on the local territory were also invited.
The evening saw the participation of an even greater number of people than
the year before, and every group created its own particular situation around the
fire: as well as various performances, tables were set up offering typical local
food and drink, as well as popcorn and crisps. There were also people cooking
food on the street, as well as those offering food they had prepared at home.
Overall, there was a great sense of enthusiasm.
Apart from dealing with the general management of the project, with an
enormous expense of both physical and emotional energy, I put together a
documentary video together with the videomaker Gabriele Zampieri.
The success of Contenuto rimosso is the result of that which was most of
all a process of collective growth, and the implementation of sharing. The
special element of the event is bound up in an estranging temporal dimension:
Contenuto rimosso is a timeless evening, beyond the present, and in many
ways anachronistic, outdated.
During the third edition of Contenuto rimosso (July 31, 2014), once again,
the inhabitants of Lorenzago went into action. Many visitors also came
from neighboring villages. Besides curating the event, I integrated the video
documentation of the day with archival footage and interviews with inhabitants.
The main questions of the documentary we are working on are: what does it
make you stay in a place? If the depopulation of mountain areas is a problem,
who represents a better resource than those who don't leave these places in
order to find a solution?
The assumption of a site-specific and community based work indeed is the
willingness to learn, the propensity to listen.
Interviste agli abitanti di Lorenzago in occasione della terza edizione di Contenuto rimosso, still da video, 2014.
Interviews with the inhabitants of Lorenzago during the third edition of Contenuto rimosso, stills from video, 2014.
Lettera del Sindaco ai cittadini, in occasione della prima, seconda e terza edizione di Contenuto rimosso.
Letter from the Mayor to the citizens, on the occasion of the first, second and third edition of Contenuto rimosso.
Farandola
( 2013 )
Farandola
video full HD, 15' 52''
Venezia, Italia
2013
full HD video, 15' 52''
Venice, Italy
2013
Quando la musicista inizia a suonare, una serpentina esce dalle porte delle
Biennale come un immaginario rimosso
che a quel suono prende vita, diventa visibile, spostando l'ingresso della
Biennale un po' più in là, verso la città, di fronte al grande arco.
Gli abitanti festeggiano attorno al musicante, un festeggiamento irreale, fuori
dal tempo, forse un rito, forse perché anche i fantasmi celebrano, a loro modo,
l'opening della Biennale.
Poi si ritirano, la musica affievolisce, tutto scompare.
Basta immaginare che questa storia sia vera e che tu ne faccia parte. E, in
effetti, questa storia è accaduta veramente.
Ecco a voi Farandola.
When the musician starts to play, a snake slithers out of the gates of the
Biennale: a sort of displaced imagery that comes back to life with that sound,
becoming visible and moving the entrance to the Biennale a little closer to the
city, in front of the great archway.
The inhabitants celebrate around the musician, invoking an unreal celebration,
timeless, perhaps ritual, perhaps because in their own way, even the ghosts
are celebrating the opening of the Biennale.
And then as they withdraw, the music slowly fades away and everything
disappears.
Just imagine that this story is true and that you are part of it. And in fact this
story really did happen. And it was called Farandola.
Nel progetto Farandola l'elemento filmico è utilizzato come dispositivo per
ridurre la distanza tra una manifestazione internazionale, la Biennale di
Venezia, e il contesto locale, con le sue tradizioni, la sua storia, i suoi abitanti.
Farandola è un progetto realizzato in occasione di Corteo de Casteo (Venezia,
giugno 2013), a cura di Claire Tancons & CAKE AWAY, con Valeria Iacovelli
come curatore referente.
Quando sono stata invitata da Claire Tancons e il gruppo curatoriale Cake
Away a partecipare al progetto FAR FESTA / Nuove feste veneziane, questo
prevedeva un programma di performance (Corteo de Casteo I) il giorno di
apertura ufficiale al pubblico della 55° edizione della Biennale. La location
prestabilita era il sestiere di Castello, quel quartiere di Venezia dove si trovano
le due sedi della Biennale, i Giardini e l'Arsenale. Conoscendo il mio tipo
di ricerca, i curatori mi hanno invitato a pensare a una performance che
coinvolgesse gli abitanti, come ne avevo già realizzate in precedenza.
Ma è difficile coinvolgere gli abitanti in un far festa che sentono estraneo.
In Farandola, the film element is used as a device to reduce the distance
between an international exhibition, the Venice Biennale, and the local context,
along with all its traditions, history and inhabitants. Farandola is a project
produced on the occasion of the Corteo de Casteo (Venice, June 2013),
curated by Claire Tancons & CAKE AWAY, with Valeria Iacovelli as a referee
curator.
When I was invited by Claire Tancons and the curating group Cake Away to
take part in the project titled FAR FESTA / Nuove feste veneziane, this foresaw
a performance programme (Corteo de Casteo I) on the official public opening
day of the 55th Edition of the Biennale. The pre-determined location was the
Castello district, the neighbourhood of Venice which hosts the two Biennale
venues: the Giardini and the Arsenale. Knowing my kind of research, the
curators invited me to come up with a performance which might involve the
local inhabitants, as I had done with other projects in the past. Nevertheless,
it is difficult to involve the local inhabitants to far festa (celebrate) about
something they look upon as unfamiliar.
Per la maggior parte dei veneziani, gli eventi collegati all'inaugurazione della
Biennale non costituiscono un'opportunità ma un elemento di disturbo al
normale svolgersi delle attività quotidiane. Molti abitanti sembrano infatti non
essere affatto coinvolti nel clima di festa che si instaura in città per l'occasione.
I veneziani non sentono l'inaugurazione della Biennale come una festa
veneziana, per cui la proposta che mi avevano fatto i curatori mi è sembrata
subito abbastanza paradossale.
Ho pensato che l’unico modo di coinvolgere i veneziani in una festa il giorno
di inaugurazione della Biennale fosse attraverso una finzione. Da qui l’idea del
film. Le riprese di un film sarebbero state la performance.
Gli abitanti avrebbero manifestato la loro presenza di fronte a una
manifestazione internazionale, che interessa il loro territorio ma che sentono
estranea, partecipando alle riprese del film.
Il film avrebbe raccontato come l’inaugurazione della Biennale fosse
un’occasione di festa anche per gli abitanti. Nel film l’inaugurazione della
Biennale sarebbe stata in qualche modo una festa anche veneziana.
Il punto di vista iniziale è quello di un veneziano che fa parte di un gruppo di
danze storiche.
L’azione avviene poi lungo un viale fra due porte: l’ingresso della Biennale
e l’arco monumentale dei Giardini. Davanti all’arco c’è uno spiazzo con
un’aiuola, al centro della quale su un piccolo basamento è posizionata in piedi
la musicista. Dietro, l’arco affaccia su un canale, come una porta che non
conduce a niente ma che, proprio per questo, può essere intesa come una
porta magica. Abbiamo due ingressi, uno reale, quello della Biennale, e uno
che apre all’immaginario, attrae l’immaginario, che esce dalla Biennale per
avvicinarsi alla città sotto forma di una danza, che procede a serpentina, quindi
fa un girotondo, si muove su linee coreografiche spiroidali. E’ la Farandola, una
danza rinascimentale.
Ho coinvolto il gruppo di danze storiche Ricercardanzando nella mia visione
di festa. Ho girato la scena il primo giugno 2013, giorno di apertura ufficiale al
pubblico della 55° edizione della Biennale di Venezia.
For most Venetians, the events linked to the opening of the Biennale do
not represent an opportunity, but rather an element of disturbance to their
going about their everyday lives. In fact, many residents seem to be not in
the slightest involved in the festive climate felt throughout the city on this
occasion. The Venetians do not see the opening of the Biennale as a Venetian
celebration, and so the proposal that the curators had made to me initially
appeared fairly paradoxical.
I decided that the only way to involve the Venetians in a celebration on the
day of the opening of the Biennale would be through a mise-en-scène. From
here I got the idea of making a film. Shooting a film was to be the performance
itself. The inhabitants would manifest their presence in front of an international
exposition event, one which concerned their territory yet which they feel to
be far-removed from them, by taking part in the filmmaking process. The film
was to tell the story of how the opening of the Biennale was an opportunity for
celebration also for the inhabitants. In the film, the inauguration of the Biennale
would be in some way a Venetian celebration too.
The first part concerns a Venetian who is a member of a group of historical
dances. The action then moves along an avenue between the two ports: the
entrance to the Biennale and the monumental arch of the Giardini. In front
of the arch, there is a clearing with a lawn, at the centre of which there is a
small plinth where the musician stands. Behind her, the arch looks onto a
canal, like a gateway leading to nothing, but which for this very reason, may
be looked upon as a magic doorway. We have two entrances: one real, that
of the Biennale, and one which opens to the imagination, which attracts
the imagination, which leads out of the Biennale only to draw closer to the
city in the form of a dance, snaking its way down the avenue, turning on
itself, moving along spiralling choreographic lines. This is the Farandola, a
Renaissance dance.
I involved the group of historical dances Ricercardanzando in my vision of a
celebration. I shot the scene on 1st June 2013, the official public opening day
of the 55th Edition of the Venice Biennale.
Avevo ingaggiato una violinista, allestito un impianto di amplificazione e
chiesto al gruppo veneziano una danza che coinvolgesse il pubblico. E così
durante le riprese del film la festa immaginaria, quella festa che l'inaugurazione
della Biennale avrebbe potuto essere anche per i veneziani, almeno in quel
frangente, è diventata reale.
Insieme ai veneziani in costume che si tenevano per mano con il pubblico,
visitatori, persone che si trovavano lì casualmente, è come fuoriuscita
dall'ingresso della Biennale quella Venezia rimossa, sottesa e necessaria
alla Biennale stessa, la Venezia degli abitanti, coloro che la rendono ancora
viva nonostante lo spopolamento, nonostante lo stereotipo e una politica
di sfruttamento commerciale dell'immagine di Venezia, della sua bellezza.
Nonostante la città sembri essere destinata a diventare una nuova Disneyland,
un parco di divertimenti per turisti che l'attraversano di fretta. Una città museo
fatta di fantasmi.
Lo sfondo scenografico è diventato figura. La Biennale un set cinematografico.
Non era più la città a fare da sfondo all'evento, ma era l'inaugurazione della
Biennale a fare, letteralmente, da sfondo a un film che aveva come protagonisti
degli abitanti di Venezia.
La prima parte del film si basa sulla registrazione audio di una mia
intervista a Vanni Vianello, uno dei fondatori del gruppo di danze storiche
Ricercardanzando. Il gruppo, con base a Venezia, opera sul territorio
mantenendo viva una tradizione fragile quale quella della danza antica. Durante
la conversazione, Vianello spiega quali sono le attività del gruppo, la ricerca
filologica su cui si basa la scelta degli abiti e la costruzione delle coreografie,
quale è il rapporto con la città, con il Carnevale, con la storia dell'arte e della
pittura.
I had hired a violinist, set up a loudspeaker system and asked the Venetian
group for a dance which might involve the public. And so during the shooting
of the film, the imaginary celebration – that celebration which the opening of
the Venice Biennale might have been also for the Venetians, at least in that
instant, became reality.
Together with the Venetians in costume, hand in hand with the general public,
visitors, people who found themselves there by chance, that overlooked side
of Venice poured out of the Biennale entrance, those who make the Biennale
possible, and also make Venice a lively city despite the dwindling population,
despite the stereotypes of the commercial exploitation of the image of Venice
and its beauty. Despite the fact that the city seems destined to be turned into
a new Disneyland, a fun park for hurrying tourists. A museum city made up of
ghost figures.
The background scenery thus became a figure. The Biennale became a cinematographic set. It was no longer the city that served as the background to
the event, but the inauguration of the Biennale that quite literally served as a
backdrop to a film of which the protagonists were the inhabitants of Venice.
The beginning of the film is based on the audio recording of an interview I
carried out with Vanni Vianello, one of the founders of the historical dance
group Ricercardanzando. The group, based in Venice, operates on the local
territory, keeping alive such a fragile tradition as that of ancient dances.
During our conversation, Vianello explains what the group’s activities are, the
philological research on which the choice of costumes and the choreography
are based, as well as what the relationship with the city is, with the Carnival,
with the history of art and painting.
Esprime infine le sue personali perplessità rispetto a una manifestazione
quale la Biennale Arte e il suo mancato rapporto col territorio, denunciando
l'estraneità con cui è percepita da chi a Venezia ci abita e che
paradossalmente sente più propri momenti di aggregazione quali le sagre.
La seconda parte del film è stata girata con la partecipazione del gruppo di
danze storiche Ricercardanzando.
La collaborazione con i Ricercardanzando è iniziata circa due mesi prima
dell'evento. Ho scoperto il gruppo perché avevo intrapreso una ricerca che,
volendo inscenare una situazione di festa, aveva interessato le scuole di danza
e i comitati promotori di iniziative locali quali le sagre. Il mio progetto, che
inizialmente prevedeva il coinvolgimento di più realtà attive sul territorio, è stato
infine ridimensionato, ripensato e ridisegnato appositamente per e con loro.
Parte integrante del progetto è stata la proiezione in anteprima del video
durante la 43° Festa de San Piero de Casteo (26/30 giugno 2013), una
manifestazione amata dai veneziani, che ha luogo in una delle poche aree di
Venezia non invase da turisti, distante solo poche centinaia di metri dai Giardini
della Biennale. Un contesto in cui avevo già lavorato.
Una seconda proiezione del master del film è avvenuta il 30 ottobre 2013 al
S.a.L.E. Docks, spazio indipendente per le arti visive e sceniche nato a Venezia
nel 2007 da un gruppo di attivisti provenienti dall’esperienza dei centri sociali.
E' attualmente in corso la fase conclusiva di postproduzione del film.
E' possibile invece visionare la parte del video relativa alla preformance su
Vimeo.
Lastly, he expresses his own personal perplexities on an event such as the
Art Biennale and its lack of contact with the territory, denouncing the sense
of estrangement with which it is perceived by Venetian residents, and who
paradoxically feel more involved by social events such as town fetes.
The second part of the film was shot with the participation of the group of
historical dances, Ricercardanzando.
My collaboration with Ricercardanzando began about two months before the
event. I came across the group because I had undertaken a research project
which, being aimed at staging a celebration, had come into contact with the
local dance schools and the committees promoting local initiatives such as
town fetes. In the end, my project, which initially foresaw the involvement of a
range of different groups throughout the territory, was downsized somewhat,
rethought and redesigned especially for (and with) them.
An integral part of the project was the preview projection of the video during
the 43rd Feast of San Piero de Casteo (26th-30th June 2013), an event very
much loved by the Venetians, and which takes place in one of the few areas
of Venice not overrun by tourists, only a few hundred metres away from the
Giardini of the Biennale. This was a context in which I had already worked.
A second screening of the master copy of the film took place on 30th October
2013 at the S.a.L.E. Docks, an independent space for visual and performance
arts, founded in Venice in 2007 by a group of activists from the world of youth
social centres.
The final post-production stage of the film is currently underway. However, it
is possible to watch the part of the video dedicated to the performance on
Vimeo.
Co de Ros. Un Pater Noster e dieci Avemarie
( 2011 )
CO DE ROS
un Pater Noster e dieci Avemarie
Co de Ros. Un Pater Noster e dieci Avemarie
audioguida partecipata
lettori mp3, libretto
Alta Valle Camonica, Brescia, Italia
2011
participatory audio guide
mp3 players, booklet
Alta Valle Camonica, Brescia, Italy
2011
Co de ros. Un Pater Noster e dieci Avemarie è un lavoro che, attraverso il
dispositivo dell'audioguida, mette in discussione l’idea di museo portandola
all’esterno, facendo così scivolare l’idea di museo nel concetto più ampio e
più vivo di memoria dell'ambiente. Se le pratiche artistiche hanno un valore
sociale, agiscono nel mondo delle relazioni umane, allora lo scenario di una
strada che collega due località di montagna diventa oggetto di una pratica
artistica che non si focalizza su un’idea di identità chiusa ma apre il dialogo fra
due comunità.
Co de ros. Un Pater Noster e dieci Avemarie è un’opera partecipata
attraverso cui due comunità hanno provato a ritrovarsi, a raccogliere le proprie
memorie, a fare qualcosa per il proprio territorio nel rispetto dell’ambiente,
sperimentando una pratica di condivisione che si configura come processo
comunicativo/creativo. È un progetto alla cui realizzazione hanno partecipato
molti degli abitanti delle due località coinvolte, Temù e Vione, e che ha visto, in
particolar modo, il coinvolgimento della Compagnia del Teatro Stabile di Villa
Dalegno, compagnia teatrale locale e amatoriale, di cui fanno parte sia abitanti
del comune di Temù che di quello di Vione.
I testi dell’audioguida sono tratti dai racconti della gente del posto.
Testimonianze dirette, raccolte, sbobinate e rielaborate assieme ai ricordi
personali degli stessi attori e alcune testimonianze indirette, riduzioni di testi
apparsi su pubblicazioni locali.
Assieme all'audioguida ho realizzato un libretto, in cui ad ogni traccia
audio corrisponde un'immagine, foto d'archivio o immagini recenti di alcuni
punti della strada di Sant'Alessandro. Le immagini aiutano l'ascoltatore ad
individuare lungo il percorso i luoghi corrispondenti alle tracce, fungono da
indicazione. Confrontando le immagini ai luoghi reali, è possibile scoprire dove
si nascondono le storie narrate, rintracciarle lungo il percorso.
Co de ros. Un Pater Noster e dieci Avemarie is a work which – through the
use of the audio guide – questions the very notion of the museum, bringing
it outside and combining the idea of the museum with the broader and more
vivid idea of a memory of the environment. Artistic practices have a social
value which may be deployed in the sphere of human relationships; thus the
scenery along a road linking two mountain villages becomes the object of an
artistic practice which does not focus on a closed notion of identity, but rather
fosters dialogue between two communities.
Co de ros. Un Pater Noster e dieci Avemarie is a participatory work through
which two communities try to come together, to share their common
memories, and to do something for their own territory while respecting their
natural environment, experimenting with a practice of sharing which at the
same time constitutes a communicative/creative process. The implementation
of this project was shared by many of the inhabitants of the two villages
involved, Temù and Vione, as well as involving the Compagnia del Teatro
Stabile di Villa Dalegno in particular, a local amateur theatre company made up
of inhabitants of the municipalities of both Temù and Vione.
The texts of the audio guide draw on stories told by local people. Direct
testimonies, transcribed and put together with personal memories of the
protagonists themselves, along with several indirect testimonies, summaries of
texts to be found in local publications.
Along with the audio guide, I also produced a booklet in which each audio
track corresponds to an image, an archive photo or recent images of a number
of points along the Sant’Alessandro path. The images help the listener to
identify the places along the path that correspond to the tracks, thus serving
as signposts. By comparing the images to the real places, we may discover
where the narrated stories are hidden, identifying them along the walk.
Attualmente l'audioguida è disponibile per i visitatori all'infopoint di Temù, ma
se ne puo' ascoltare il contenuto anche sul sito web del Distretto Culturale
della Valle Camonica, sul mio sito personale in cui è presentata sotto forma
di audio libro, e sul sito di Radio3 con un' introduzione di Antonella Borghi,
scaricando il podcast del programma Il Cantiere del 12 gennaio 2013.
Recentemente un estratto dell'audioguida è stato nuovamente mandato in
onda da Radio3, con l'invito rivolto agli ascoltatori a pensare l'audioguida
come possibile nuovo format radiofonico e di provare a inviare alla radio
sperimentazioni in questo senso.
Buon cammino.
Currently the audio guide is available for visitors at the info point at Temù, and
the contents may also be heard via the website of the Cultural District of the
Camonica Valley, on my own site where it is available in the form of an audio
book, and on the site of Radio 3 with an introduction by Antonella Borghi,
downloading the podcast of the programme Il Cantiere of 12th January 2013.
Recently, and extract from the audio guide was aired once again on Radio 3,
and listeners were asked to think of the audio guide as a potential new radio
format, and thus to send in their own experiments of this nature.
Enjoy the walk.
Co de ros. Un Pater Noster e dieci Avemarie è un progetto di Chiara Trivelli.
Aiuto regia: Giancarlo Sembinelli.
Voce narrante: Valentina Gheza.
Voci: Elvira Bazzana, Costanza Belotti, Antonella Clauser, Monica Festa,
Emanuela Ravizza, Alessandro Riva, Fabrizio Riva, Massimo Sandrini, Rosaria
Tonon, Gianna Zani. Con la partecipazione di Zaffiro Sembinelli.
Archivio sonoro: Carlo Giordani.
Si ringraziano Giancarlo Maculotti e Giancarlo Sembinelli per l'aiuto nella
ricerca delle foto d’archivio.
Co de ros. Un Pater Noster e dieci Avemarie è un progetto nato all'interno del
programma di residenza Aperto 2011.
Co de ros. Un Pater Noster e dieci Avemarie is a project by Chiara Trivelli.
Director’s assistant: Giancarlo Sembinelli.
Narrator: Valentina Gheza.
Other voices: Elvira Bazzana, Costanza Belotti, Antonella Clauser, Monica
Festa, Emanuela Ravizza, Alessandro Riva, Fabrizio Riva, Massimo Sandrini,
Rosaria Tonon, Gianna Zani. With the participation of Zaffiro Sembinelli.
Sound Archive: Carlo Giordani.
We would like to thank Giancarlo Maculotti and Giancarlo Sembinelli for their
help in the search for archive photos.
Co de ros is a project which was created as part of the residence programme
Aperto 2011.
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Vione
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Co de ros. Un Pater Noster e dieci Avemarie è un’audioguida.
Raggiungi la stradina rurale di Sant’Alessando, che collega a mezza costa Temù e Vione.
Percorrila ascoltando le prime 8 tracce.
Quando arrivi a Vione, visita il museo ‘l Zuf .
Torna indietro ripercorrendo la stradina di Sant’Alessandro.
Ascolta le seconde 8 tracce.
Visita il museo della Guerra Bianca.
Riconsegna l’audioguida all’infopoint di Temù.
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Temù
Il terzo museo
di Matteo Lucchetti*
Chiara Trivelli ha percorso molte volte la passeggiata a mezza costa che
collega Vione a Temù, andando avanti e indietro per quella che si considera
essere un tratto della vecchia via Valeriana. Agli estremi di questa strada rurale,
ormai semiabbandonata, ci sono due musei: uno è “L Zuf” (l’aratro), il museo
etnografico, l’altro è il Museo della guerra bianca in Adamello (1915-1918).
Da un lato gli utensili e le ricostruzioni della vita contadina del secolo scorso,
dall’altro la grande guerra in versione alpina, combattuta tra i ghiacciai e la
neve perenne. Deve essere sembrato chiaro, all’artista, il filo rosso che collega
in potenza queste due piccole istituzioni dedite a conservare le testimonianze
di qualche generazione passata, tra la durezza dei combattimenti a oltre
tremila metri di altitudine e l’aspra semplicità delle regole della quotidianità
agricola camuna. Da questa evidenza ha preso corpo un lavoro di raccordo
tra i due luoghi, accomunati dalla volontà di scrivere le storie della classe
proletaria locale, che si trovasse immersa nella propria condizione lavorativa o
nell’eccezionalità della guerra d’alta quota. Co de ros (un Paternoster e dieci
Avemarie), l’audioguida prodotta da Chiara Trivelli (con la partecipazione di
svariate decine di persone della valle, tra pastori, attori e tecnici vari), è infatti
un tentativo sonoro di riprodurre una serie di accadimenti, consuetudini e fatti
storici, avvenuti in quella breve striscia di terra che collega i paesi di Vione e
Temù. Aiutata da una compagnia teatrale locale nello scrivere e drammatizzare
il tutto, l’artista ha scelto di immaginare, nello spazio di quelle passeggiate,
un terzo museo, da percorrere a doppio senso e accompagnati dall’idea
che anche un ammasso scomposto di sassi, o un rivolo d’acqua deviato
artificialmente, potrebbero valere il tempo di uno sguardo più attento, volto a
cogliere quel minimo comune denominatore di tante vite trascorse su quella via
di mezza costa e dintorni.
Co de ros, letteralmente “testa del gregge”, raccoglie sedici tracce audio, otto
per ogni direzione, che percorrono idealmente una sorta di transumanza della
memoria, tra i toponimi che identificano i vari luoghi e scorci sulla strada di
Sant’Alessandro, così come conosciuta dai più, per via della chiesa omonima
che si trova dall’estremità che guarda a Vione.
È come se le tracce uscissero dall’archivio dell’Istituto Ernesto de Martino1;
tra i sedici punti di osservazione scorrono infatti canti popolari tradizionali in
lingua e in dialetto, canti sociali, canti di lavoro, filastrocche, aneddoti e storielle
che tra un alpeggio, una valle del diavolo e un campo di patate, abituano
l’orecchio e il passo a un ritmo diverso. Da un lato scorre la valle e dall’altro
cominciano a visualizzarsi pastori, boscaioli, contadini e tutte quelle figure che
parlano per voce degli attori nella guida. Tra le parole in dialetto riemergono
espressioni che danno nuovi significati alla semplicità delle azioni raccontate:
“Chi mi presta il tempo?”, ad esempio, è un’espressione che usava chi
chiedeva una mano al compagno, promettendo poi di darlo indietro, il tempo
e quindi l’aiuto, alla prima occasione. Si passano in rassegna i saperi contadini
della coltivazione, della battitura del grano, dell’erezione di muretti a secco e
della relativa costruzione di gane, ovvero ammassi di pietre trovate arando e
inservibili per l’edilizia. Tra testimonianze dirette e interpretazioni degli episodi
raccolti nel periodo di ricerca, si arriva a parlare dello “spettro della patria”, che
chiama i pastori, attraverso semplici cartoline, a servirla. In questo momento
è come se i due musei si incontrassero a metà strada, proprio lì sulla strada a
mezza costa dove Chiara Trivelli ha pensato potesse esistere un altro museo,
fatto soltanto dei fantasmi e della storia orale che nelle sue passeggiate ha
sentito e raccolto.
Archivio etnografico in cui sono confluiti e confluiscono i risultati delle ricerche sul campo di
numerosi studiosi del mondo popolare e proletario, fissati in oltre 6000 nastri magnetici per un
totale complessivo di circa 15000 ore di registrazione. L’istituto ha raccolto materiali di carattere
musicale (canti popolari e sociali, danze, riti, rappresentazioni popolari), testimonianze sui
momenti più significativi della storia del movimento operaio, biografie di militanti, registrazioni di
manifestazioni sindacali e politiche, ordinati in un archivio specializzato per la conservazione, la
catalogazione e lo studio delle forme di espressività orale, con annessa biblioteca, videoteca e
filmoteca. Dal sito dell’Istituto Ernesto de Martino, visitato il 20 gennaio 2013 (www.iedm.it).
1
* curatore indipendente / independent curator, testo tratto dal catalogo / text taken from the
catalogue Aperto 2011/2013, Silvana Editoriale, Milano, Italia, 2014, p.123.
ANDATA
RITORNO
01. Val d’Avio
09. Valle dei Mulini
02. Coltivazione patate
10. Don Bartolomeo
03. Attilia
11. Letamaia
04. Andare a cöer
12. La pastora
05. Battitura del grano
13. La gana
06. Sant’Alessandro
14. Raccogliere le foglie
07. Alpeggio
15. Co de ros
08. Muretti a secco
16. Duilio
Co de Ros. Un Pater Noster e
dieci Avemarie
installazione realizzata in occasione
della mostra Le opere di aperto 2011
lettore mp3, cuffie, libretto, foto aerea
Torre Federici, Vezza d'Oglio (Bs), Italia
ottobre 2011
Luogo comune
( 2010 )
Luogo comune
progetto community-based
Venezia
2010
community-based project
Venice
2010
Frequentare un quartiere, entrare in contatto con la comunità che lo abita,
condividerne le attività. Luogo comune è stato innanzitutto una pratica di
condivisione, la frequentazione di un luogo e dei suo abitanti. Un progetto
sviluppato da me ed Elena Mazzi, che è nato nel gennaio 2010 all'interno
del workshop tenuto dall'artista visiva Marjetica Potrc all’Università Iuav di
Venezia. Volendo esplorare le risorse di un territorio partendo dalle sue aree di
marginalità, il progetto ha interessato un’area della città lagunare denominata
San Pietro di Castello.
San Pietro di Castello è con Torcello e Rialto uno dei primi insediamenti
nella laguna veneta. Situata nell’estrema parte orientale del centro storico di
Venezia, San Pietro è oggi una delle poche aree ancora abitata da veneziani
e poco frequentata da turisti, un’isola nell’isola. Lo spopolamento, che dal
dopoguerra investe Venezia, è particolarmente evidente in quest’area abitata
soprattutto da anziani e priva di attività commerciali. San Pietro sopravvive
alla modernità ponendosi come esempio di vita comunitaria fortemente legata
al territorio, depositaria di un sapere connesso ad attività tradizionali e a una
cultura popolare.
The life of neighbourhood, getting to known a community, sharing its activities.
First of all, Luogo comune ('Common ground') was a sharing practice, the
frequentation of a place and its inhabitants. A project developed by me and
Elena Mazzi, which is born during the workshop held by visual artist Marjetica
Potrc at the IUAV University in Venice, January 2010. The project, based on
the desire to explore the resources of a territory starting from his marginal
areas, interested an area of the lagoon town called San Pietro di Castello.
San Pietro di Castello was one of the first land settlements in the Venetian
Lagoon along with Torcello and Rialto. Located in Venice’s extreme Eastern
historical centre, San Pietro is one of the few areas still inhabited by the
Venetians and less likely visited by tourists, consequently becoming an island
within the island. The depopulation, which has been characterizing Venice
since after the War, is especially evident in this area, that is mostly inhabited by
the elderly and characterized by a lack of shops. San Pietro outlives modernity
by suggesting examples of common life strictly connected to the territory,
keeping knowledge tied to traditional activities and popular culture.
Il progetto luogo comune ha inteso tale luogo come fonte di risorse ed
esperienze da cui trarre insegnamento attraverso la condivisione di esperienze
ludiche e conviviali e lo scambio di conoscenze e abilità. Il progetto ha previsto,
assieme alla frequentazione degli abitanti, l’organizzazione di piccoli eventi
quali pranzi e/o cene, la condivisione di alcune pratiche quali la cucina, il gioco
della tombola, il karaoke, l’imbottigliamento del vino, la domenica allo stadio.
Sono state costruite inoltre delle “situazioni espositive” nei luoghi deputati
all'arte e nel quartiere. Io ed Elena, allargando l'invito ad altri giovani artisti,
abbiamo proposto le rielaborazioni delle nostre esperienze sul territorio
accanto ai lavori artistici prodotti da alcuni degli abitanti del quartiere. Abbiamo
dato vita a una serie di mostre condivise che si sono riprodotte come situazioni
di convivialità e socialità.
Luogo comune è stata una ricerca sul campo. La verifica di un'ipotesi. Un
modo di declinare la pratica artistica. L'entrare a far parte di una comunità
che va scomparendo può essere intesa come una pratica artistica? Se la
riproduzione dell'atto sociale è un atto creativo, il rapporto sociale si pone
allora come territorio di indagine non solo delle scienze umane, ma anche della
ricerca artistica.
The Luogo comune project intended this place as a source of resources and
experiences from which one can learn through sharing playful and convivial
experiences and exchanging abilities and knowledge. The project involved
various encounters with the inhabitants, the organization of small events
like lunches and/or dinners, the sharing of activities such as cooking, bingo,
karaoke, wine bottling, Sundays at the soccer-stadium.
We also created “exposure situations” in the places dedicated to art and
in the neighbourhood. Elena and I, extending the invitation to other young
artists, we proposed rework of our experiences in the area alongside the
artistic works produced by some of the local residents. We created a series of
shared exhibitions that reproduced themselves as situations of conviviality and
sociability.
Luogo comune was a field research. The verification of a hypothesis. A way to
inflect the artistic practice. Becoming part of a community that is disappearing,
can it be understood as an artistic practice? If the reproduction of the
social act is a creative act, the social relationship then arises as an area of
investigation not only of the human sciences, but also of artistic research.
L’impossibilità di una voce propria
( 2010 )
L’impossibilità di una voce propria
video due canali audio, 14’’ 47''
Venezia, Italia
2010
two-channel audio video, 14’’
Venice, Italy
2010
Quando ho cominciato a frequentare gli abitanti di San Pietro di Castello,
quartiere periferico della città lagunare, per condividere con loro un’esperienza
artistica fatta di socialità e apertura alla marginalità, ho lasciato che una
fotocamera digitale registrasse voci di gesti senza volto.
Ho selezionato poi alcuni frammenti di queste registrazioni, cercando di
cogliere, fra chi abita una città che sta invecchiando e contraendosi, il quando
ogni voce tradisce se stessa, le energie che sprigiona "l’essere alla fine", lo
scomparire; quindi ho ri-calcato ogni frammento con la mia stessa voce.
Le clip si susseguono e in ognuna la mia voce si sovrappone a voci diverse,
multiple o singole, che parlano o cantano, generando un discorso in cui
l’impossibilità di distinguere una voce propria, mia e/o degli abitanti di San
Pietro, è intesa come possibilità di una voce comune, paradosso di un
linguaggio che si manifesta nel suo negarsi, che appare mentre scompare.
When I started regularly going to San Pietro di Castello, marginal residential
district in Venice, in order to share with its inhabitants an artistic experience
based on sociability and openness to the marginality, I let a camera to record
some faceless gestures.
Then, I selected some fragments of these recordings and I endeavoured to
seize, among those living in an aging and narrowing city, the moment in which
every voice betrays itself and to catch energies emitted by the fact of being at
the end, of disappearing; so I traced out with my voice every single fragment.
Chunks follow one after another and in each chunk my voice overlaps to other
different, multiple or single, singing or talking voices, this generating a speech
in which the impossibility of one's own voice (mine or san Pietro inhabitants’
one), represents the possibility of a common voice, paradox of a language that
manifests when it denies itself, that appears during its disappearing.
Becoming-community
by Giulia Casalini*
The artist Chiara Trivelli works towards the construction of a community
that, as Jean-Luc Nancy’s critique points out, is impossible to produce. The
work L’impossibilità di una voce propria/The impossibility of one’s own voice
(2010- 2011) confronts the artist with the attempt of making the community
and, at the same time, with the impossibility of its own production. The artist
started the project in 2010, as a series of interventions towards the Venetian
neighbourhood of San Pietro di Castello that – despite being situated in
proximity of the main Biennale’s venues – is still a very isolated area in Venice
and it has not been touched by mass tourism. The project, called Luogo
comune/common ground, involved the inhabitants of that community, who
are for the majority elder Venetians speaking in Venetian dialect. Trivelli
introduced herself to the community by taking part or organising some of the
neighbourhood’s common activities, (e.g. playing cards, bingo, cooking and
eating together, bottling the wine, going to the stadium, making art, chatting
and exchanging technical skills inherited by tradition). After three months
of acquaintance and exchanges with San Pietro’s community, the artist’s
presence embeds in the neighbourhood with which she starts a relationship
that is not just anthropo-sociological but that is also based on affecs. As part
of the project, during the three months Trivelli produced The impossibility of
one’s own voice, in which she recorded the voices of some of San Pietro’s
inhabitants during their meetings. Conversations and traditional songs in
Venetian are collected and edited in a video, together with the transcriptions of
their words on the bottom of the screen. The recorded voices of the residents
(also Trivelli is present) are intertwined (thanks to a two-channel audio) with
the one of the artist that in a second moment registered her own voice over
the ones of the community, trying to imitate their accents and dialect. When
watching the video then it is possible to hear the two temporally distant voices
at the same time.
In the process of imitation, the artist’s voice represents the one of a separate
individual that has still to become community. At the same time, the artist
is present in the diegetic dimension of the video as part of the community
that she is recording: there is not her face (as there is nobody’s face) but it is
possible to hear her voice.
The clash between the two realities – the artist as already part of the
community and the artist as trying to be part of it – creates a peculiar condition
of displacement and uneasiness while hearing her own voice trying to imitate
the disappearing voices of San Pietro’s inhabitants: following word-by-word
the voices of the elderly people, the artist performs the attempt of the individual
to become community and, at the same time, its failure. This failure is not due
to the possible sex, race, age or class differences between the voice that is
imitated and the one that imitates, but to the impossibility itself of producing
one’s own voice: whenever produced, in fact, voice moves outside of the
subject, becoming ‘other-than-I’. It is indeed impossible to grasp and to
describe voice, which consequently faces its own impossibility.
As soon as it struggles to emerge, voice is instantly inscribed into language or
signs. The impossibility of voice then also represents the only possibility for it
to exist: having never been written, voice has always to be formulated anew.
It then confronts itself with its own paradox, which is being and not being at
the same time: one’s own voice is in fact only present when it is not uttered.
Voice is then responsible for the creation of the community because it pertains
to a dimension – the ethical one – that goes beyond the categories created by
language and space: community, as voice, is only present in its own unmaking,
in the failure of voicing its essence.
Trivelli’s work then shows the impossibility of the task of becoming Other/
community through imitation: in the effort of being identical the voice betrays
itself and fails in the task of becoming-community. Voice indeed runs through
the gaps and the failures of identity, among the failures of linguistically
formulating the community. Considering the failure of voice to imitate the one
of the community, then, the only possible one is the voice that is created
together with it, in its own act of reproduction and commoning. Voice is then
a process, a collective and never-ending exercise. The approach of the artist
who works in the community, as Trivelli’s example demonstrates, is therefore
one that first, from a feminist perspective, eliminates its role as an author and
then approaches the community with a queer attention, trying to give voice
to the stories that have not yet been written. The role of the artist is then the
one of mediation for those who had not deserved attention before: the artist
who works with the community re-writes – in Foucault’s terms – the ‘lives of
infamous men’.
* independent curator, text taken from the dissertation Voicing the commons: A feminist-queer
perspective on communty art projects, Goldsmiths College, London, UK, pp. 25-27.
netêgihîstinî
( 2008 | 2010 )
Netêgihîstinî (5 3 8)
Rebus in curdo pubblicato in Turchia
Lavoro sulla censura che a censura è stato sottoposto
2008/2010
Rebus in Kurdish published in Turkey
Work on censorship which was itself censored
2008/2010
Netêgihîstinî (5 3 8) è un rebus in curdo concepito per essere pubblicato in
Turchia.
E' un lavoro che interessa lo spazio pubblico e la libertà di espressione.
Presupposti del progetto sono l'assunto che l'arte può essere intesa come
intervento diretto sui processi di trasmissione culturale e la scelta di intervenire
su quel determinato spazio pubblico che è la stampa.
Ho utilizzato un gioco enigmistico per indagare la questione della libertà di
stampa in Turchia. In particolar modo ho utilizzato il rebus come dispositivo
per esprimere il problema della censura a cui è sottoposta la lingua curda in
Turchia e ho concepito il primo rebus in curdo.
Netêgihîstinî (5 3 8) è infatti il primo rebus mai realizzato in lingua curda.
In base all’ambiguità di un articolo del codice penale turco, il 301, in Turchia
chi parla curdo può essere accusato di tradimento della patria e per questo
arrestato. Ciò implica un divieto di fatto dell’uso della lingua, oltre che di ogni
forma d’espressione dell’identità culturale curda.
Il rebus sottende una lingua senza enunciarla, è un’immagine della parola
interdetta, di ciò che vogliamo dire ma non possiamo dire. Pubblicare un rebus
in curdo non avrebbe violato la legge turca, allo stesso tempo sarebbe stato
indicativo dei limiti imposti alla libertà di espressione in Turchia.
Netêgihîstinî (5 3 8) is a rebus in Kurdish designed to be published in Turkey.
This is a work that concerns public space and the freedom of expression. The
preconditions of the project are the assumption that art may be understood
as a direct intervention on cultural transmission processes and the choice of
intervening on that public space comprised by the press.
I used a brainteaser to investigate the question of press freedom in Turkey.
Specifically, I exploited a rebus as a device to focus on the problem of the
censure to which the Kurdish language is subjected in Turkey, coming up with
the very first ever rebus in Kurdish: Netêgihîstinî (5 3 8).
On the basis of the ambiguity of an article of the Turkish penal code, no. 301,
in Turkey whoever speaks Kurdish may be accused of betraying the nation
and for this reason arrested. This effectively implies a ban on the use of the
language, as well as every form of expression of Kurdish cultural identity.
The rebus underpins a language without pronouncing it, it is an image of a
forbidden word, of what we want to say but cannot. Publishing a rebus in
Kurdish would not violate Turkish law, while at the same time it would be
indicative of the limits imposed on the freedom of expression in Turkey.
Netêgihîstinî significa rebus in curdo.
La chiave del rebus
E sîr (aglio) E + Wan + (Van, città del Kurdistan turco dove si trova il lago più grande della Turchia. Sull’ Isola di Akdamar
c’è una chiesa armena del X secolo. Nei pressi del lago vive una particolare varietà di gatto, il Gatto di Van, caratterizzato
dagli occhi di colore diverso) + ney (flauto caratteristico soprattutto delle zone della Persia e dell’Asia occidentale, uno dei
più antichi strumenti musicali ancora in uso) + A + ran (coscia) + E.
La frase risolutiva
Esîre wan neyarane (Prigioniero dei nemici).
La frase è tratta dal testo di una canzone popolare curda.
Razan, pseudonimo composto dall’ultima sillaba dei nomi propri Chiara e Ozan, è un nome femminile arabo, significa
filare d’uva.
Il rebus è stato realizzato grazie al contributo fondamentale di Ozan Erkul e Alfredo Baroni.
Original text (uncensored)
Above the cartoon is written Netêgihîstinî, which means “rebus” in Kurdish.
Nearby, in brackets, there are some numbers: 5, 3, 8. They mean that the sentence you have to
decode is composed of three words: the first one has 5 letters, the second one 3, the third 8.
Further to the right, also in brackets, there is the name of the rebus author. In this case, and also
generally, a pseudonym is used in place of the real name. Razan is a female Arabic name, which
means “grape vine”. This name is composed of the last syllables of the proper names Chiara and
Ozan.
You have to “read” the cartoon below from left to right.
On the left, in the foreground, you can see an “E” on a garlic. In Kurdish, the word for “Garlic” is “ sîr “.
You can read “E + sîr “ like “Esîr “.
Then in the background there is another “E” on a church. When one looks at the cartoon and tries to
interpret it, one can recognize this church, the lake in the middle of the cartoon and the cat on the left
in a poster as indications for Van. “Van” is the proper name of a town located in the Turkish Kurdistan.
Like in a postcard, in the cartoon there are the most significant places of this town: in Van there is
the biggest lake in Turkey; on the island of Akdamar there is an Armenian church of the X century
(the church drawn in the cartoon); a particular variety of cats live nearby the lake, “the Cat of Van”,
characterized by the different colours of its eyes.
One says “Van” in Kurdish “Wan”.
You can now read in the cartoon “E + sîr + E + Wan” like “Esîre wan”. Five letters compose the first
word and three the second one of this sentence.
Then there is an “A” on a flute. This flute is a “ney”, a traditional instrument widespread mostly in
Persia and in the west of Asia, one of the oldest musical instruments still in use today.
You can now decode the rebus in this way: “ E + sîr + E + Wan + ney + A”, which becomes “Esîre
wan neya..”. In this case, the letter “A” is after, and not before the word “ney”. Each letter in a rebus
point to the subject one has to decode, but then the letter can be inserted either before or after the
name of the object.
Then, in the cartoon, there is an “E” on a thigh.
In Kurdish, thigh is “ran”.
Now you come to the solution-sentence of the rebus: you can read “ E + sîr + E + Wan + ney + A +
ran + E”, which means: “Esîre wan neyarane”.
This sentence in English means “prisoner of the enemies”.
The sentence “Esîre wan neyarane” is taken from a Kurdish song.
Catalogo della mostra / exhibition catalogue In between/arada/tra, Istanbul 2010, p. 149.
Original text (uncensored)
by Chiara Vecchiarelli*
“The rebus is an image of the interdicted word”, states artist Chiara Trivelli.
Possibly coming from the word res – Latin for ‘thing’ – a rebus is a puzzle made with images and
snippets of language. Common in Italy and other European countries, the rebus does not exist in
Turkey. It is a form of expression that is neither merely written nor oral, that has its autonomy and is
certainly related to the enigmatic: to something that does not possess the immediacy of words but is
nevertheless accessible to common imagination.
Trivelli, influenced and fascinated by Italian artist Gino De Dominicis, who dealt with the invisible in
order to bring it into visibility, began inquiring, last year, into another form of invisibility: the forbidden,
the unspoken. How to bring the invisible to the visible, how to make speakable the unspoken,
these were Trivelli’s questions at stake. When the artistic search started to take a form, it very soon
assumed the shape of a rebus. Moved to Istanbul, Trivelli started asking persons to write sentences
they were not allowed to pronounce because of censorship. It turned out soon that the unspoken
was, not casually, a language. Not only the Kurdish question, but Kurdish language itself, which is
as a language one among many declension of human language at large, was being the object of
interferences in the general process of cultural transmission. Since it is within the context of human
relationships that transmission processes are made possible, it is here that Trivelli decides to operate
and asks for collaboration, being helped by Ozan Erkul for the translation and by Alfredo Baroni for the
composition of the rebus.
And, withal, the work is collaborative during its realization no less than in the subsequent reading
moments: instead of being a viewer, one becomes a reader participating in the process of decoding
a message. While looking at the rebus, we discover in fact that the reading key is a language: Kurdish
language in a Turkish context.
It is no coincidence that in the rebus images are juxtaposed, the linguistic code is shattered and the
content, therefore, is hidden: hidden messages will manifest only when deciphered. Since incongruous
images share the same space as letters and numbers, the rebus is an enigma to solve through the
alliance of the reader with images rather than words. Here, in the relation between communication and
its visual dimension, lies Chiara Trivelli’s artistic practice.
A rebus also represents a crucial moment in the reflection on the origin of writing. Scholars tried to
trace a straight line going from ideograms to the modern alphabetical writing via the rebus, making
of it a turning point in the evolution of language itself. However, the rebus never accessed the limpid
scenario of writing and yet kept its secrecy and playful aspect. Since it deals with the gap existing in
every language, a rebus represents the communicative place where the content and its expression no
longer coincide. It is in this interstice that what is forbidden is fostered and conveyed at the same time.
The delay in the rebus reading is hence a figure for the difficulty of speaking Kurdish in Turkey, and
Netêgihîstinî (5 3 8) – a fragment of a Kurdish song encoded in a rebus - is just a bit of a language that
finds it difficult to be spoken and written in a public space.
The rebus ideal context would have been – and would still be – a newspaper, but none of the Turkish
magazines – not even Taraf, which has hesitated at length – have at this point accepted to bear
Trivelli’s Kurdish message, albeit encrypted.
If Trivelli assumes the rebus as an artistic form, the magazine would be the very space – a public
space – to exhibit the work. However, it is now in the exhibition catalogue that the reading of what is
not written is eventually possible and communication – even is postponed – is silently achieved.
Catalogo della mostra / exhibition catalogue In between/arada/tra, Istanbul 2010, p. 150.
*curatrice della mostra / curator of the exhibition In between/arada/tra, MSGSU Tophane-i Amire Culture Center, Istanbul,
Turkey, 20 gennaio/14 febbraio 2010.
Il rebus
Il rebus è un gioco enigmistico che consiste nel decriptare una frase attraverso l’interpretazione
dei soggetti di una vignetta, solitamente contraddistinti da una lettera. Trovata la chiave è possibile
ricostruire la frase risolutiva in base al diagramma numerico che ne indica il numero di parole e lettere.
Esempio:
3,7,6 = diagramma numerico
F arpe santi L avo ri = chiave
Far pesanti lavori = frase risolutiva
Il rebus mi è sembrato un dispositivo interessante sotto diversi aspetti.
E' attinente la stampa, la produzione stampata, dunque uno spazio pubblico.
E' un gioco, qualcosa di ludico, interattivo, ironico, leggero. Allo stesso tempo è una forma di scrittura
criptata. Attraverso il rebus è possibile decodificare un messaggio.
Il rebus è un enigma da risolvere, rinvia a una realtà enigmatica.
I rebus sono realtà enigmatiche, valorizzano l'attitudine ad interpretare il reale, vi predispongono.
Attraverso il rebus potevo esprime il paradosso di dire l'indicibile all'interno di un sistema codificato.
Potevo affrontare un tabù, qualcosa di cui non è ammesso parlare.
Il rebus è qualcosa di tipicamente italiano. Anche se esiste in altri paesi, il rebus è nato ed ha avuto
la sua fortuna in Italia. All'interno di una prospettiva di scambio e confronto fra Italia e Turchia, mi è
sembrato interessante declinare una forma italiana nel contesto turco.
Qualcosa come un “rebus” infatti in Turchia non esiste.
L'opera come processo
La storia di Netêgihîstinî (5 3 8)
Il progetto è nato all’interno del Laboratorio di Arti Visive tenuto da Antoni Muntadas presso
l'Università Iuav di Venezia, ottobre/dicembre 2008. Il laboratorio aveva come tema il concetto di “tra/
in between” e in particolar modo si focalizzava sul rapporto storico/geografico/politico fra Venezia e
Istanbul, città selezionata come Capitale Europea della Cultura 2010.
Muntadas era stato invitato a realizzare un progetto a Istanbul in occasione di Istanbul Capitale
Europea della Cultura 2010. Ma Muntadas é un artista la cui attività pedagogica é parte integrante
dell'opera.
Insegna presso il MIT - Massachusetts Institute of Technology (Cambridge, Boston, USA), allo Iuav di
Venezia, e avrebbe tenuto un corso a Istanbul.
In occasione di Istanbul Capitale Europea della Cultura 2010, era sta prevista quindi, oltre al progetto
site-specific di Muntadas, una mostra collettiva di tutti gli studenti di Muntadas, quelli di Cambridge, di
Venezia e quelli di Istanbul.
Durante il laboratorio del 2008, in previsione della mostra degli studenti di Muntadas che si sarebbe
tenuta a Istanbul nel 2010, ho iniziato a sviluppare l'idea del rebus in relazione al contesto specifico
della Turchia.
Di fronte a una manifestazione (Istanbul Capitale Europea della Cultura 2010) le cui aspirazioni erano
quelle di integrare la Turchia all'interno della Comunità Europea, un contesto in cui i diritti fondamentali,
compreso quello di libertà di stampa, vengono almeno formalmente garantiti, avevo pensato al rebus
come dispositivo per indagare la questione della censura in Turchia. Volevo scoprire ciò che non
si poteva dire apertamente in Turchia, quindi rebussare una frase che in Turchia fosse proibita dire
pubblicamente.
Parte integrante delle attività del laboratorio è stato un iniziale, breve soggiorno a Istanbul (novembre
2008), il cui scopo era visitare, familiarizzare, entrare in contatto, farsi un'idea della città in relazione
alla quale, noi che facevamo parte della classe, gli studenti di Muntadas, dovevamo svolgere un
progetto.
Durante il soggiorno, il metodo da me adottato per indagare sulla questione della censura e della
repressione culturale in Turchia è stato molto semplice.
In ogni occasione pubblica (incontri, conferenze, per strada, al bar, in discoteca, al ristorante), ho
chiesto di scrivere a gente comune, incontrata lì per caso, che cosa fosse proibito dire pubblicamente
in Turchia. Avevo preparato dei foglietti che facevo girare assieme a una penna. Su ogni foglietto c'era
scritta, in turco e in inglese, la domanda: “cosa è interdetto dire qui pubblicamente?”.
Le persone potevano rispondere in modo anonimo con una breve frase e poi passare il foglietto a
qualcun altro. Come in un gioco, i foglietti passavano di mano in mano e ognuno esprimeva la sua
personale opinione. Senza conseguenze/ripercussioni. Perché il tutto avveniva in modo informale.
Una volta preso in rassegna ciò che era stato scritto sui foglietti, ho fatto una rapida statistica delle
tematiche/questioni denunciate (tra cui anche il tabù sessuale e la questione armena) e “la questione
curda” è risultata essere il tabù riproposto con più frequenza.
Era proibito parlare di curdi, pkk, Kurdistan, era proibito parlare in curdo.
Da qui l'idea del rebus in curdo. Ho pensato che, invece di rebussare una frase che era proibito
pronunciare nelle spazio pubblico, fosse allora più interessante porre la questione del rapporto fra
tabù e linguaggio, assumere come tabù un linguaggio. Rebussare non un contenuto ma una lingua,
una lingua proibita, la lingua curda.
Tornata a Venezia, ho iniziato a raccogliere materiale sulla questione curda in Turchia e a lavorare alla
realizzazione del rebus muovendomi su due fronti.
Da un lato, sono entrata in contatto con la comunità curda residente a Venezia, ho iniziato a
frequentarla, a partecipare alle loro iniziative. Questo è stato possibile grazie alla mediazione di due
persone in particolare: Orsola Casagrande, giornalista de Il Manifesto che si occupa della questione
curda, e Ozan Erkuhl, curdo residente a Venezia che mi ha fatto da interprete e introdotto nella
comunità.
Dall’altra, sono entrata in contatto con il variegato mondo dell’enigmistica. Ho scritto alla redazione
della storica rivista italiana La Settimana Enigmistica e ho conosciuto, prima attraverso internet poi
personalmente, vari enigmisti, tra cui Bardo e Il Langense, che si sono appassionati al mio progetto
intervenendo con suggerimenti e consigli.
Frequentando la comunità curda, ho raccolto le testimonianze, i racconti, ho ascoltato la storia di
un popolo perseguitato e vittima della repressione. Sono entrata in contatto con il coordinamento
Kurdistan che ha sede a Roma, ho incontrato esiliati politici, ex guerrigliere e guerriglieri, uomini di
partito, ho conosciuto un rappresentante curdo al Parlamento Europeo. Ho parlato con chi aveva
perso e a cui era stato ucciso il figlio, con chi aveva il fratello o la zio in carcere, con chi vive sapendo
la propria famiglia lontana in un paese in cui essere curdo non è ammesso. Per un curdo in Turchia,
mi raccontavano, il carcere è un fatto di tutti i giorni, entrano ed escono dal carcere, anzi entrano e poi
non si sa quando escono. Ho parlato con attivisti italiani, uno dei quali è scoppiato in lacrime mentre
mi raccontava quello a cui aveva assistito di recente in Turchia, soprusi, ingiustizie, torture.
Per realizzare il rebus avevo bisogno di familiarizzare con una lingua che non conoscevo. Il curdo, data
la storia di persecuzioni e censura subita dal suo popolo, è una lingua prevalentemente orale. Esistono
pochissime pubblicazioni in curdo. È una lingua pertanto particolarmente instabile e, come ogni lingua
che non sia scritta, esistono innumerevoli dialetti, inflessioni, variazioni a seconda della particolare
provenienza geografica di chi la parla. Ciò ha reso per me particolarmente complicate le cose.
Innanzitutto trovare un dizionario curdo/italiano non è stata cosa semplice. L’unica edizione esistente é
una versione semplificata, auto-prodotta, stampata in Puglia in pochissime copie e fuori commercio.
Una volta reperito il dizionario, ho cominciato a fare delle tabelle e dividere le parole a seconda del
numero di lettere. A quel punto però avevo bisogno di testi scritti, frasi già articolate fra cui rintracciare
la frase in curdo da rebussare. Ma il divieto imposto sulla lingua aveva limitato la produzione di testi
scritti sui cui potermi esercitare e aveva determinato nei curdi, con cui lavoravo e che partecipavano al
progetto, una conoscenza molto limitata della grammatica della loro lingua, presupposto necessario
per chi voglia realizzare un rebus.
Catalogo della mostra / exhibition catalogue In between/arada/tra, Istanbul 2010, p. 151.
Il rebus è infatti un gioco che ha una sua tradizione e regole ben precise, che determinano non
soltanto la sua validità ma anche il suo valore estetico.
Per esempio, ogni soggetto da interpretare deve essere contraddistinto da "lettere esposte", ma mai
più di 3 lettere consecutivamente. Un rebus bello è un rebus in cui ci sono poche “lettere esposte”.
Più le parole celate sono lunghe, più il rebus è di pregio.
Alfredo Baroni (Bardo), uno dei più grandi rebussisti viventi e redattore della Settimana Enigmistica,
mi ha spiegato tutto questo. Ha seguito il mio progetto, verificando la correttezza di quello che stavo
facendo.
“Si tratta di un lavoro concepito nel contesto dell’arte cosiddetta “pubblica”: il rebus in curdo ha senso
se pubblicato in Turchia, il progetto potrà dirsi concluso solo quando avverrà questa pubblicazione.
Ho utilizzato il rebus come dispositivo perché mette lo spettatore nella posizione di interprete; allo
stesso tempo, nel caso del rebus in curdo, il lavoro è in sé un incontro fra la cultura italiana, di cui il
rebus è espressione, e le problematiche emerse dal confronto con la cultura turca, nello specifico la
questione curda. La complessità del rebus rispecchia la complessità della materia trattata: testo e
immagine, la giustapposizione di lettere e figure indicano ed evocano la complessità culturale cui si fa
riferimento e che oltre le apparenze è un tutto interconnesso: la questione armena, il tabù sessuale,
i riferimenti antropologici, storici e geografici, il dramma delle carceri, della tortura e della prigionia
costituiscono la costellazione del rebus in cui il problema della repressione dell’identità culturale curda
si colloca, repressione che passa in modo significativo attraverso il divieto e la censura della lingua.
Molta arte può intendersi come gioco e l’enigma è uno dei suoi territori, di solito però la soluzione,
e quindi l’interpretazione, viene lasciata aperta, è come un gioco enigmistico senza soluzione, un
enigma irrisolto, così come il rebus è immagine fra il detto e il non detto. Ed è su questo territorio
dell'enigma non ancora risolto a cui sto lavorando adesso”1.
Dopo molti tentativi, ho trovato infine la chiave del rebus in una circostanza del tutto particolare,
durante un viaggio in pullman.
Avevo deciso di andare insieme ai curdi di Venezia a Vada, nella provincia di Livorno, dove si sarebbe
tenuta una grande festa, a cui hanno partecipato curdi provenienti da tutta Italia, perché era il
compleanno di Ocalan, leader curdo che si trovava, e si trova attualmente, in carcere, in isolamento
da anni.
Ocalan è una figura a cui la comunità curda tutta fa riferimento, uno polo fondamentale nel processo
identitario di questo popolo.
Si trattava quindi di un incontro nazionale della comunità curda in Italia.
Locandina della mostra / exhibition poster TRA Venezia e Istanbul, Venezia 2008.
1. Brano tratto dall’intervista rilasciata al Langense, Il canto della sfinge. Periodico di giochi e cultura enigmistica, n. 20,
febbraio 2009, pp. 8-9.
La festa era stata autorizzata ma significativamente avveniva in un luogo sperduto, in un capannone
anonimo nella frazione di Vada, Comune di Rosignano. Durante il viaggio, in un pullman preso in
affitto, nemmeno l'autista sapeva bene dove si trovava la destinazione verso cui stavamo andando.
Nel pullman, io ero l’unica italiana, cioè l’unica che non era curda.
Durante il viaggio la comunità curda cantava. Il canto, così come la danza, sono forme di espressione
privilegiate per una cultura che è principalmente orale.
Ho chiesto allora a chi cantava di trascrivermi quello che stavano cantando, perché quello delle
canzoni poteva essere un testo da cui si poteva trarre la frase da rebussare.
Dopo la festa, durante il viaggio di ritorno, ho ripreso in mano i testi delle canzoni che erano state
trascritte e, seduta al tavolino del pullman, coinvolgendo i presenti, in particolar modo un gruppo di
adolescenti, nessuno dei quali aveva mai sentito parlare di una gioco enigmistico chiamato “rebus”,
cioè non sapeva cosa fosse un rebus, cercando spiegando provando parlando è venuto fuori
l’abbozzo di quello che poi sarebbe divenuto il rebus definitivo.
Il rebus è stato presentato per la prima volta (stampa su tela, 158 x 89 cm) in occasione della mostra
di fine corso TRA Venezia e Istanbul, presso la Jarach Gallery, Venezia, 10/12 dicembre 2008.
L'opera è stata poi riproposta in occasione della mostra In between/arada/tra, MSGSU Tophane-i
Amire Culture Center, Istanbul, Turchia, 20 gennaio/14 febbraio 2010.
L'obiettivo del progetto non era tuttavia quello di esporre l'opera in una mostra.
L'opera era stata concepita per incontrare il pubblico fuori dallo spazio deputato all’arte.
Il progetto prevedeva la pubblicazione del rebus in Turchia, il display dell'opera doveva essere la
stampa turca.
Le dimensioni del rebus da pubblicare erano 11, 3 x 5,6 cm. Una didascalia sotto al rebus avrebbe
spiegato in turco come funzionava il gioco.
Una volta realizzato il rebus, è iniziata quindi la fase di trattative con la stampa turca. Ho contattato le
maggiori testate nazionali, anche grazie alla mediazione locale di altre figure, artisti/curatori/insegnanti
coinvolti nella mostra e nel complesso del progetto dedicato a Muntadas.
Nell’arco di tempo che va dalla mostra alla Jarach a quella a Istanbul, cioè più o meno un anno, sono
trascorse senza soluzione di continuità le trattative.
Ogni testata, ogni redazione, compresa quella di Taraf (il giornale più “progressista” turco), ha accolto il
mioprogetto con gentilezza e disponibilità, per poi procrastinarne l’effettiva realizzazione.
Lasciavano la data di pubblicazione del rebus sospesa nell’indeterminatezza.
Mi dicevano di sì, che lo avrebbero pubblicato, ma poi non lo facevano.
Gli effettivi timori che erano dietro a quel comportamento tattico abbastanza esasperante mi sono
risultati chiari quando, avvicinandosi la data di apertura al pubblico della mostra a Istanbul, mi sono
risolta a pubblicare il rebus sullo stesso catalogo della mostra, con testi e documentazione relativa.
Locandina della mostra / exhibition poster In between/arada/tra, Istanbul 2010.
Chiara Trivelli
Il catalogo sarebbe stato pubblicato in Turchia. La pubblicazione del progetto sul catalogo, benché
questo non fosse un giornale o una rivista, sarebbe stata comunque un metro di giudizio, una verifica
rispetto alla libertà di stampa in Turchia.
Nonostante avessi ormai attestato la ritrosia dei responsabili della stampa turca, io mi aspettavo,
probabilmente ingenuamente, che la pubblicazione del progetto con documentazione annessa
sul catalogo di una mostra d'arte contemporanea, fosse cosa assai più semplice, abituata come
ero e sono a quella libertà d'espressione che proprio nel contesto della sperimentazione artistica è
considerata un presupposto necessario al fare.
E invece la pubblicazione delle 4 pagine a me dedicate sul catalogo è stata cosa tutt'altro che
semplice. Io, per ribadire la natura del progetto, avevo impaginato il tutto come fosse all'interno di una
rivista (pp. 2, 3 e 4). In prima pagina avevo invece messo un'immagine di alcuni dei biglietti che avevo
raccolto nel mie prime ricerche a Istanbul, con le testimonianze anonime, brevi e informali, di cosa
fosse proibito dire in pubblico in Turchia, che avevo raccolto fra la gente.
Il mio lavoro però, dopo lunghe e complesse trattative (ho dovuto realizzare almeno una decina di
variazioni/edizioni dell'impaginato), è stato pubblicato solo a condizione che alcune parti fossero
censurate. Si trattava proprio di tutte quelle parti di testo che riguardavano la questione curda in
Turchia. In pratica, era proibito parlare della questione come qualcosa di problematico. Si poteva
parlare dei Curdi, sì, ma non si poteva dire che questi costituivano o avevano costituito un problema.
Il problema non era mai esistito e, nel caso fosse esistito in passato, ora non esisteva più. Quindi non
c'era bisogno di parlarne...
Ho accettato la censura solo a condizione di renderla visibile.
Così nell'impaginato che avevo preparato ho tagliato, fisicamente col taglierino dallo stampato, tutte
le frasi che mi avevano chiesto di togliere. Mentre ho messo delle bande nere su quelle frasi che mi
avevano censurato fra quelle scritte sui biglietti.
In conclusione, l'unica parte del catalogo che non è stata censurata è stata proprio quella del rebus.
Un successo, se pensiamo che l'operazione di censura ha paradossalmente rafforzato il significato del
rebus, come immagine della parola interdetta, rimossa, qualcosa che vogliamo dire ma non possiamo
dire.
Catalogo della mostra / exhibition catalogue In between/arada/tra, Istanbul 2010, p. 148.
La questione curda in Turchia
La Turchia è il paese in cui, più d’ogni altro, la popolazione curda è stata sottoposta alla repressione e
ostacolata nella sua libera espressione oltre che politica, linguistica e culturale.
L’identità del popolo curdo è stata volutamente cancellata con l’assassinio di migliaia di persone e con
i divieti posti sulle pubblicazioni, trasmissioni, rappresentazioni e sulla diffusione culturale della lingua.
Dal colpo di Stato del 12 settembre 1980, sostenuto dagli USA, al primo attacco armato del
PKK (1984), in Turchia si ebbero 650.000 detenuti politici (di cui 500 uccisi sotto tortura), 85.000
imputazioni per reati associativi e di opinione, 15.500 licenziamenti per motivi politici, 114.000 persone
sequestrate e bruciate, 2729 processi a scrittori, traduttori, giornalisti per reati d’opinione.
In 30 anni la politica della Turchia ha alimentato da una parte lo scontro armato, dall’altra la migrazione
forzata, riducendo la popolazione curda in povertà per le distruzioni dei villaggi, le leggi speciali e
l’esproprio delle risorse naturali (acqua e petrolio).
L’articolo 301
Gli arresti e la censura fanno appello all’articolo 301 del codice penale turco.
Riporto qui di seguito il testo dell’articolo tradotto:
1. coloro i quali insultino pubblicamente la nazione turca, lo stato della repubblica turca, il parlamento
turco, il governo della repubblica turca e le istituzioni giudiziarie dello stato saranno puniti con il
carcere tra i 6 mesi e i 2 anni
2. insultino pubblicamente l’esercito o le forze di sicurezza dello stato saranno puniti con il carcere tra
6 mesi e 2 anni
3. l’espressione di pensiero con il proposito di critica non costituirà reato
4. l’apertura di procedimenti legali per questo reato è soggetta al permesso del ministro della giustizia
Alcune testimonianze
Tramite la giornalista de Il Manifesto la veneziana Orsola Casagrande, ho raccolto alcune
testimonianze delle persone vittime dell’ambiguità insita nell’articolo 301, ne riporto qui di seguito
alcuni estratti:
Eren:
“Nel 95 sono stata processata per avere usato il termine Kurdistan ho fatto sei mesi di carcere. E ora
poiché scrivo e faccio domande sulla questione militare sono ancora sotto processo e chiedono 19
mesi di carcere. […]
Dopo il trattato di Losanna i kurdi sono spariti. Tutti sono diventati turchi, hanno creato uno stato
irreale. E la Turchia è diventata un cimitero di culture. Anche gli storici si dividono su questo punto. La
fondazione della Repubblica turca in realtà non è una rivoluzione”.
Fehrat:
Il caso Leyla Zana
"Mi chiamo Ferhat Tunc, vivo a Istanbul, in Turchia. Sono kurdo. Sono sotto processo per il 301. Il
motivo? Dire le mie idee. Il pubblico ministero chiede da tre a sei anni di carcere per la mia colpa. […]
Mi ricordo bene il primo concerto che ho fatto qui in Turchia. Era il 1986. Dopo il concerto c’è stata
una grande repressione. Avevo cantato in kurdo. […] La repressione era molta dopo il golpe del 1980.
[…]
Mi hanno processato per aver insultato lo Stato. Sono stato considerato un membro di
un’organizzazione terroristica. […] Al mattino in prima pagina i giornali [...] riportavano titoli sul
concerto e parlavano di separatismo nel concerto. Mi sono molto spaventato a leggere questo. [...]
Hanno aperto procedimenti contro di me per quello che ho scritto, perché secondo loro scrivo per un
giornale che vuole dividere lo stato. […] Un giornale che rischia sempre di essere chiuso, sempre sotto
pressione e anche ferito e attaccato con bombe. […]
Mi sto raccontando come un artista che vive in questo paese. Soltanto perchè sono kurdo e canto
in kurdo per questo motivo sono diventato un obiettivo, che tipo di atteggiamenti e minacce sto
subendo, cerco di raccontare questo, che tipo di pressioni ho vissuto".
Mentre ancora stavo lavorando al Rebus in curdo, il 6 dicembre 2008 è giunta in Italia la notizia della
nuova condanna a Leyla Zana, Premio Sakharov per la Pace. Qui di seguito riporto alcuni brani tratti
dal comunicato stampa del UIKI-ONLUS - Ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia:
Ruzgar:
"Sono una volontaria di Lambda Istanbul. Il 301 limita la libertà di espressione ed è la prova che in
questo paese in realtà la democrazia non c’è. Ma ci sono altri articoli che limitano le libertà individuali.
Per esempio le libertà sessuali non sono garantite. La nostra associazione è stata chiusa dalla
magistratura perché contraria alla morale della famiglia".
Ragip:
Sono il direttore della casa editrice Belge. Belge in Turchia lotta contro i tabù da 30 anni. I tabù dei
kurdi, delle minoranze in genere. Per questo ha subito 40 processi. Da quando è stato cambiato il
301 la nostra casa editrice è stata la prima ad essere condannata. Siamo i primi. E lo saremo fino a
quando non otterremo la libertà di espressione.
"All’attenzione dell’opinione pubblica italiana, la Turchia sta procedendo verso una progressiva
militarizzazione […]. Nella prassi quotidiana si infliggono ormai condanne alla carcerazione a ogni
rappresentante politico del popolo kurdo, per discorsi pronunciati pubblicamente. […] Leyla Zana, che è già stata per dieci anni in carcere per un discorso pronunciato nella Grande
Assemblea Nazionale Turca nel 1991, ha subito il 4 dicembre 2008 una nuova condanna a dieci anni
di carcere, per alcuni discorsi pronunciati in Turchia nonché presso il Parlamento Europeo e presso il
Parlamento britannico. […]
Nell’ultimo biennio simili trattamenti sono tuttavia divenuti pratica quotidiana in Turchia, migliaia di kurdi
sono in carcere per motivi analoghi; altre decine di migliaia di persone sono sottoposte a processi
penali; non si dimentichi che negli ultimi due anni nel Paese sono stati intentanti processi penali anche
a carico di minorenni che hanno partecipato a manifestazioni di piazza. Per alcuni, di età compresa
fra i 9 e i 17 anni, sono state richieste dalla Procura condanne a 23 anni di detenzione. In Turchia
risultano anche in aumento i casi di persone decedute sotto tortura, ogni settimana giungono nuove
notizie di persone morte in carcere, a seguito dei gravi maltrattamenti inflitti dai carcerieri. […]
Direttamente dalla bocca del Premier turco sono uscite parole che sollecitano i kurdi a lasciare il
Paese e rivendicazioni riguardo all’esistenza di un unico popolo, che comportano la negazione di tutti
gli altri popoli esistenti in Turchia. [..]
L’insistenza della Turchia nel voler risolvere la Questione Kurda con metodi militari sta militarizzando
totalmente il regime turco e sta allontanando totalmente la prospettiva dell’ingresso nell’UE. […]
Portando avanti tale linea politica militaristica, venti milioni di kurdi sono destinati in prospettiva a
diventare cittadini europei per effetto di una migrazione forzata!
La linea politica portata avanti al momento dalla Turchia comporta anche maltrattamenti inflitti in
carcere ad Abdullah Ocalan e, da un anno, bombardamenti nel Kurdistan iracheno, ai quali da una
settimana prendono parte anche militari iraniani. Si stanno distruggendo villaggi kurdi in Irak e si
sta creando instabilità nella regione, producendo odio e alienazione nelle coscienze; in tal modo si
approfondisce ancor più il confitto in corso".