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Testi di Gianni Ruffin Boris Berezovskij E’ nato nel 1969 e dopo gli studi a Mosca, sua città natale, si afferma nel 1990 al prestigioso Concorso ajkovskij con la vittoria della medaglia d’oro. Da allora la sua carriera internazionale lo ha portato ad esibirsi con numerose grandi orchestre, quali Philharmonia di Londra, New York Philharmonic, Concertgebouw di Amsterdam, Munchener Philharmoniker, Oslo Philharmonic, Danish National Radio Symphony, Frankfurt Radio Symphony, Birmingham Symphony, Rotterdam Philharmonic, Orchestre National de France, Marinsky, Accademia di S.Cecilia e a collaborare con i direttori di fama quali Vladimir Ashkenazy, Valery Gergiev, Antonio Pappano, Charles Dutoit, Kurt Masur, Leonard Slatkin, Dimitri Kitaenko, Wolfgang Sawallisch, Andrew Litton, Mikhail Pletnev. Ospite dei più importanti Festivals (Salisburgo, Radio France Montpellier, Folle Journee de Nantes), Boris Berezovsky ha effettuato moltissime registrazioni per le etichette Teldec, Mirare e Warner Classic, ricevendone i premi “Diapason d’Or”, Editor’s Choice di Gramophone, BBC Music Magazine Awards, “Choc de la Musique”, “Gramophone”, “Echo Classic”. Tugan Sokhiev Tugan Sokhiev, è nel nato nel 1977 a Vladikavkas, la capitale dell’Ossezia del Nord ed è divenuto nel 2012 il settimo Direttore Musicale della Deutsches Symphonie-Orchester di Berlino (DSO di Berlino) dopo essere stato dal 2008 Direttore Artistico dell’Orchestre National du Capitole de Toulouse. Sokhiev è ospite delle più celebri orchestre, collabora abitualmente con Wiener Philharmoniker, Berliner Philharmoniker, Chicago Symphony Orchestra, Gewandhausorchester di Lipsia, Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Orquesta Nacional de España, Bournemouth Symphony Orchestra, Filarmoniche di Montpellier, Mosca, Monaco, Oslo, Rotterdam e Strasbourgo, le Orchestre delle Radio di Francoforte, Helsinki,Parigi, Stoccolma, Tokyo, Bavarian State Orchestra, Royal Concertgebouw Orchestra di Amsterdam, Filarmonica della Scala di Milano, Philharmonia Orchestra,London Philharmonic Orchestra, Mahler Chamber Orchestra. Per quanto riguarda il repertorio lirico Tugan Sokhiev si è esibito alla Wiener Staatsoper, al Théâtre des Champs-Elysées, Metropolitan Opera House di New York, Welsh National Opera, Festival Aix-enProvence,Teatro Real di Madrid, Houston Grand Opera, al Teatro Mariinsky. Tugan Sokhiev incide per Naïve Classique. Deutsches SymphonieOrchester Berlin Da più di 65 anni la Deutsches Symphonie-Orchester Berlin si distingue come una delle orchestre tedesche più importanti e il più rinomato complesso specializzato nella musica moderna e contemporanea. Fondata nel 1946 come RIAS-Symphonie-Orchester dalla stazione radio situata nel settore americano di Berlino, nel 1956 fu rinominata Radio SymphonieOrchester Berlin (RSO Berlin) e nel 1993, per evitare confusioni in un panorama culturale oramai riunificato, l’orchestra decise di abbandonare il vecchio nome in favore di quello attuale. Ferenc Fricsay divenne il primo Direttore Musicale dell’orchestra. Fu lui a fissare i principi e a definire il repertorio dell’orchestra che in brevissimo tempo acquistò fama per la dedizione nei confronti della musica del 20° secolo, per le sue incisioni discografiche con le più importanti case discografiche e per la sua capacità di attrarre direttori di primissimo livello. Si sono infatti poi susseguiti alla sua direzione artistica Lorin Maazel, Riccardo Chailly, Vladimir Ashkenazy, Kent Nagano, Ingo Metzmacher. La Deutsches Symphonie-Orchester e la sua storia sono divenuti un emblema del rinnovamento democratico e culturale della Germania a seguito della sconfitta del Nazionalsocialismo e la fine della seconda Guerra Mondiale. Fondazione Teatro Nuovo Giovanni da Udine Via Trento, 4 - 33100 Udine - I Tel. 0432 248411 - Fax 0432 248452 [email protected] - www.teatroudine.it Al termine del concerto il brindisi sarà gentilmente offerto da: Bastianich Winery (Gagliano di Cividale), Prosciuttificio Wolf (Sauris), Latteria Sociale di Cividale e Valli del Natisone (Cividale), Pasticceria Bacchetti (Udine). domenica 13 ottobre 2013·h 20.45 MUSICA >Concerto plus © studio patrizia novajra Ljadov difficilmente avrebbe potuto consegnare il lavoro nei tempi stabiliti. Presto però, dopo averne ascoltato la musica, Djagilev comprese che la scelta del giovane compositore era stata la più fortunata: «tenetelo bene a mente, è un uomo alla vigilia della gloria», affermò durante le prove, anticipando infallibilmente il grandissimo trionfo dell’esordio (Parigi, Opéra, 25 giugno 1910), che consegnò d’improvviso il ventottenne Stravinskij ad enorme fama. Quello de L’oiseau de feu è in verità uno stupendo paradosso: analizzato a mente fredda esso si mostra ancora legato al modello del maestro di Stravinskij, Rimskij-Korsakov (non per nulla dedicatario del lavoro), e collegabile alla tendenza tardoromanticodecadente del gigantismo orchestrale. Anni dopo Stravinskij stesso, votatosi ad una poetica radicalmente antiromantica, ne avrebbe stigmatizzato uno dei tratti più fascinosi – lo stupenda tavolozza timbrica – parlando di orchestra «rovinosamente grande» e dichiarando di preferirne le più asciutte versioni che abbreviano in Suites la lunga partitura originale. In effetti sul piano storico il significato de L’oiseau de feu non corrisponde affatto al ruolo di rottura che, entro la storia della musica, si è soliti riconoscere non solo allo Stravinskij di Petruška e del Sacre ma anche (sia pure in modo più mediato) a quello successivo, “neoclassico”. In altre parole, se non fosse per l’entusiasmante bellezza ed espressività dell’ideazione sonora che mette in campo, dal punto di vista dell’evoluzione stilistico-musicale L’oiseau de feu non ci farebbe dimenticare tanto facilmente d’esser il frutto di un genio ancora, per così dire, “in formazione”. Ma il punto è che si tratta di una pagina talmente ben scritta da trascendere tali presupposti, facendoci semmai soffermare sulla strepitosa capacità di Stravinskij (quella sì, se considerata in astratto, caratteristica della sua maturità) di rendere totalmente proprie le tecniche e le modalità espressive di altri tempi, repertori, autori ed epoche. Deutsches Symphonie-Orchester Berlin Tugan Sokhiev direttore Boris Berezovskij pianoforte Deutsches Symphonie-Orchester Berlin Tugan Sokhiev direttore Boris Berezovskij pianoforte Sergej Prokof´ev Suite scita op. 20 1. L’adorazione di Véles e di Ala Allegro feroce - Poco meno mosso - Poco più lento 2. Il dio nemico e la danza degli spiriti neri Allegro sostenuto 3. La notte Andantino - Poco più mosso 4. La partenza gloriosa di Lolli e il corteo del sole Tempestoso - Un poco sostenuto - Allegro - Andante sostenuto Concerto n. 1 in re bemolle maggiore per pianoforte e orchestra op. 10 1. Allegro brioso 2. Andante 3. Allegro scherzando *** Dmitrij Šostakovi Concerto n. 2 in fa maggiore per pianoforte e orchestra op. 102 1. Allegro 2. Andante 3. Allegro Igor Stravinskij L’oiseau de feu (Suite, 1919) 1. Introduzione - L’uccello di fuoco e la sua danza 2. Variazione dell’uccello di fuoco 3. Danza delle principesse 4. Danza infernale del re Kašcei 5. Berceuse 6. Finale Prokof’ev, Suite scita Prokof’ev aveva inizialmente concepito la Suite scita, nel biennio 1914-15, come balletto ispirato al mito scita di che tramandava la vicenda di Véles, dio del sole, di Ala, divinità dei boschi, e del gigante Lolli. Il balletto era stato composto dal ventitreenne autore non di propria iniziativa ma in seguito alla commissione del celebre impresario dei Ballets russes Sergej Djagilev, che ne ammirava l’impeto creativo definendolo «una belva». A lavoro ultimato, tuttavia, Djagilev giudicò negativamente tanto la partitura quanto il soggetto (ritenuto «ampolloso») ed invitò Prokof’ev a comporre un altro balletto su una favola popolare autenticamente russa. La partitura di Ala e Lolli non fu però dimenticata: il compositore ne trasse un’opera sinfonica, appunto la Suite scita op. 20, che dell’originario progetto manteneva il rinvio programmatico agli eventi del mito. In tale veste la composizione esordì, diretta dallo stesso autore, nel gennaio 1916 a Pietrogrado, suscitando sdegno ed irritazione negli ambienti più tradizionalisti (Aleksandr Glazunov uscì incollerito dalla sala prima del termine dell’esecuzione) ma al tempo stesso contribuendo non poco a consolidare quell’immagine di Prokof’ev quale enfant terrible della musica moderna che tanta curiosità destava nel mondo musicale dell’epoca. Il primo tempo, significativo fin dall’aggettivo «feroce» associato all’indicazione Allegro, esordisce in un modo che lascia scarsi dubbi: con questa partitura Prokof’ev intendeva dare la propria risposta al primitivismo fauve del Sacre di Stravinskij, che nel 1913 aveva segnato una decisiva frattura storica. La dirompente e cacofonica violenza delle sonorità, unita ad una scrittura fondata sulla reiterazione motivica e sull’assenza di fasi transitive e connettive, si accompagnava alla “selvaggia” emancipazione del ritmo, finalmente inteso quale parametro costruttivo autonomo e non subordinato. Nella Suite scita le indicate modalità di scrittura letteralmente dilagano, in tutto o in parte caratterizzando anche le sezioni meno animate del prosieguo del primo tempo (Poco meno mosso, Poco più lento, dove notevole è anche l’originalità dell’invenzione timbrica, unita ad un melos esoticheggiante) ed estendendosi al tematismo elementare ed ossessivo del minaccioso Allegro sostenuto (una danza macabra delle forze del male) ma anche agli statici incantesimi lunari (e timbrici) del terzo tempo ed al Tempestoso movimento introduttivo del Finale. A questo segue una sghemba marcia barbarica, a tratti persino comicheggiante (con ricercato effetto grottesco), placata dalla luminosa atmosfera conclusiva, che effigia la fissità della trionfante luce solare. Šostakovi , Prokof’ev-Concerti Šostakovi ideò il suo secondo Concerto pianistico per un’occasione specifica: l’esibizione, il 10 maggio 1957, del suo figlio diciannovenne Maxim nella Sala Grande del Conservatorio di Mosca, dov’era studente. Benché concepito, dunque, con un fine specifico, unito ad un obbiettivo altrettanto circoscritto (cercare di accattivare e stimolare l’interesse di altri giovani pianisti), per il successo ottenuto il lavoro travalicò le semplici circostanze d’occasione ottenendo un posto stabile entro il repertorio pianistico internazionale. Probabilmente non immemore del primo Concerto, presentato personalmente ventidue anni prima, Šostakovi scelse di volgersi al recupero delle atmosfere briose e caricaturali caratteristiche della propria fase giovanile, intessute tuttavia entro una struttura concertante più solida e rigorosa, tale da ricordarne la passione per i Concerti Brandeburghesi di Bach. Nei tempi estremi il tono ironico si esercita nel ricorso ad andamenti di marcia, gestiti con tipiche modalità di contaminazione buffa, che nel finale incorporano fulminei divertiti riferimenti ai noti esercizi per studenti di Charles-Louis Hanon. Di ben diverso tenore è invece l’atmosfera intima e malinconica del fascinoso Andante, per il quale sono stati ricordati possibili ascendenti nelle purezze melodiche raveliane ma anche in certi stupiti tempi lenti di Beethoven. Alla celebre Sala Grande del Conservatorio moscovita si collegano anche le circostanze della genesi e della pubblica presentazione del primo Concerto per pianoforte ed orchestra di Prokof’ev: composto fra il 1911 ed il 1912 dal compositore appena ventenne ed ancora studente del Conservatorio, esso vi esordì il 7 agosto 1912, suscitando reazioni stizzite (l’autore fu accusato di «grossolanità», di applicare uno «stile da foot-ball» e di essere «un musicista che pare abbia perso il senso della realtà») ma anche una curiosità che contribuì non poco a diffondere il nome di Prokof’ev, grazie anche alla profetica osservazione di Nikolaj Mjaskovskij, che in quel talentuoso giovane vide colui che avrebbe infuso nuova energia «nell’atmosfera ibrida, se non addirittura ammuffita, della nostra vita musicale». Le opposte prese di posizione che questa composizione stimolò fin dall’esordio continuarono anche in seguito: celebre fu la battuta d’un critico americano che nel 1918 ascoltò Prokof’ev eseguire il lavoro a New York («se questa è la musica, preferisco l’agricoltura»), ma significativo all’opposto è l’episodio del 1914 - narrato nell’Autobiografia - quando Prokof’ev presentò il Concerto al prestigioso premio Rubinstein, aggiudicandoselo: «quando comparii davanti al pubblico vidi aprirsi la mia partitura su una ventina di ginocchia: uno spettacolo indimenticabile per un esordiente di cui stavano appena uscendo le prime pubblicazioni». Come la Suite scita, anche questo Concerto offre un’emblematica testimonianza dell’arte giovanile di Prokof’ev, della veemenza della sua ideazione musicale che in primis investe la scrittura riservata al solista: volta certo ad esibire la sua straordinaria tecnica pianistica, ma al tempo stesso innervata – nei tempi estremi – dall’innovativa concezione detta “percussiva”, che affianca Prokof’ev al fior fiore della produzione novecentesca. Quanto alle strutture, notevole è soprattutto quella del primo tempo, che guarda al tempo stesso al modello classico ed a quello ciclico lisztiano: nelle parole di Prokof’ev «un Allegro in forma-sonata con l’introduzione che viene ripetuta dopo l’esposizione e poi nuovamente alla fine, e con un breve Andante inserito prima della sezione dello sviluppo; quest’ultimo assume la forma di uno Scherzo seguito da una cadenza, che fa da introduzione alla ricapitolazione». Ricorda però la forma-ritornello barocca il periodico ritorno dell’enfatico elemento introduttivo (in tale suo carattere espressivo probabilmente non immemore del Concerto op. 23 di ajkovskij), chiamato peraltro, in coda al finale, anche a concludere l’intera composizione. La molteplicità degli ascendenti si fa oltremodo significativa nell’Andante: brano indicativo della capacità prokofieviana di creare nuove atmosfere servendosi di elementi e stilemi ereditati dalla grande tradizione del pianismo romantico. Seguito da un finale che sfrutta, con netto contrasto, toni buffo-giocosi, tale suo pseudoromanticismo rende avvertiti non solo del fatto che nella sua indole già albergava, a vent’anni, quell’eclettismo che ne avrebbe contraddistinto la personalità artistica matura; esso ne evidenzia appunto anche la personalissima strada intrapresa: pur iscrivendosi entro una più ampia tendenza novecentesca al ripescaggio della musica del passato, Prokof’ev non rinuncia a coinvolgere in tale operazione il modello storico, quello romantico-ottocentesco, che perlopiù per i compositori del Novecento costituiva l’idolo polemico da cui prendere le distanze. Stravinskij, l’Oiseau de feu Aldilà delle ovvie differenze, l’Oiseau de feu di Igor Stravinskij è per più versi assimilabile alla Suite scita di Prokof’ev: ambedue le composizioni nacquero come balletti destinati al repertorio dei Ballets russes; da entrambe i due compositori trassero delle suites sinfoniche, cui la storia della ricezione musicale avrebbe tributato maggior successo. Non casualmente inoltre, essendo legate alla commissione di Djagilev, le due opere si riecheggiano anche a livello simbolico, facendo riferimento a leggende popolari orientali: raffiguranti, in un conflitto personificato, la lotta fra bene e male. I fatti storici possono stupire: per quello che è ritenuto il suo primo capolavoro ed è uno dei suoi brani più eseguiti ed amati dal pubblico, sulle prime Stravinskij rappresentò, per Djagilev, una soluzione di ripiego, motivata dalla constatazione che il preferito Anatolij