Il "delitto" Spiess, Rimini dal passato non ha imparato nulla
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Il "delitto" Spiess, Rimini dal passato non ha imparato nulla
Il "delitto" Spiess, Rimini dal passato non ha imparato nulla RIMINI – Il titolo non tragga in inganno, Il “delitto” Spiess di Manlio Masini (Panozzo editore) non è la cronaca di un assassinio. Eppure c’è una morte violenta e insensata, in questo agile libretto pubblicato nel 2004 nella collana dei “Quaderni di Ariminum”. È la scomparsa di una parte di Rimini, della grande fabbrica di birra che dava lavoro a un centinaio di operai e che fu abbattuta pochi giorni prima che terminasse la Grande guerra, all’inizio di ottobre del 1918. Con la consueta perizia, Masini ripercorre la storia della fabbrica Spiess, dalla nascita al fallimento e alla demolizione. «Rievocando la distruzione della fabbrica, il 6 novembre 1920 il giornale dei cattolici L’Ausa usò la parola “delitto” – scrive lo studioso –. Un “delitto”, avrebbe ripetuto l’8 luglio 1922, “che graviterà sempre come un incubo sulla coscienza dei veri responsabili”». Sì, perché la fabbrica Spiess si poteva salvare, se lo si fosse voluto. Se solo si fosse aspettato qualche giorno, «tre settimane, un mese, non di più», dice lo scrittore, la guerra sarebbe finita «e con la pace e il ritorno alla vita normale e produttiva del paese quella fabbrica si sarebbe salvata. Nessuno avrebbe avuto la sfrontatezza di abbattere il più grande stabilimento industriale della città, completamente integro nelle sue strutture e nei suoi macchinari». La fabbrica di birra Spiess era situata di fronte alla stazione, dove era stata costruita nel 1906, e si componeva di due stabilimenti, «uno per la produzione della birra, con annessa fabbricazione di barili e botti, l’altro del ghiaccio artificiale». La società produttrice, svizzera, aveva scelto Rimini dopo aver sondato il terreno in altre località della Romagna, e questa scelta aveva rallegrato i cittadini per le opportunità lavorative che si offrivano, e anche per l’orgoglio di essere stati preferiti a Faenza e Ravenna. «Era stata privilegiata la nostra città – racconta Masini – non solo per le opportunità che la sua stazione balneare offriva d’estate come centro di consumo, ma anche perché il Municipio, la Cassa di Risparmio e alcuni privati cittadini avevano dato alla società svizzera tutte le garanzie necessarie per l’installazione degli impianti, agevolandola dal lato amministrativo, finanziario e burocratico, dimostrando sensibilità e acutezza di vedute». Uno scambio di attenzioni positivo, con risvolti anche inaspettati. Basti pensare che la Brauerei Spiess, tra i suoi tanti meriti, annoverava pure la creazione di quello che oggi chiameremmo “turismo industriale”: «lo stabilimento riminese, ritenuto uno dei più sofisticati d’Europa, era oggetto di visite guidate da parte di folte comitive; queste arrivavano con treni speciali e si trattenevano qualche ora nella fabbrica ad ammirare i reparti, i macchinari e la moderna tecnologia di produzione e poi, dopo la colazione in un ristorante della marina, trascorrevano il pomeriggio sulla spiaggia». La storia della fabbrica di birra non è, però, tutta rose e fiori. Nell’estate del 1910 cominciarono i malumori, provocati dagli “intasamenti” del traffico in zona stazione, tra carri di birra (accusati anche di tenere una velocità troppo alta e di essere causa di incidenti), pedoni, turisti e veicoli. Ancora più problematici gli attriti della direzione della Spiess con i rivenditori di birra e i lavoratori della fabbrica, a proposito dei prezzi considerati troppo alti dagli esercenti, del servizio non sempre all’altezza, delle rivendicazioni salariali degli operai e di numerose altre questioni. Ma «quello che incise sulla sorte della fabbrica, facendola precipitare nel baratro del fallimento, fu la guerra», scrive Masini, cui si aggiunse la “colpa” dei dirigenti della Brauerei Spiess «di essere svizzeri di ceppo teutonico e di intrattenere rapporti con ditte tedesche». E così, tra malintesi, equivoci, tentativi di mediazione non andati a buon fine, accuse e arresti, si arrivava alla chiusura della fabbrica. I cittadini riminesi, però, erano ormai del tutto indifferenti alle vicende dell’azienda, immersi com’erano nelle violenze della guerra con i ripetuti bombardamenti da terra e da mare, a cui si aggiunse, il 15 e 16 agosto 1916, il disastroso terremoto che provocò morti, feriti e tanti crolli. «Nel giugno del 1917 la fabbrica di birra veniva messa all’asta», riporta Masini. Dopo alcuni tentativi privati e pubblici andati a vuoto, «i liquidatori, intenzionati a chiudere in fretta la partita, abbassarono il prezzo oltre il limite della decenza». I giornali dell’epoca scrissero che dietro questa decisione c’erano alcuni individui che «non intendevano in alcun modo assumersi formale impegno di conservare la fabbrica di birra». In tale situazione, sarebbe dovuto intervenire qualche ente pubblico riminese, ma nonostante ripetute invocazioni da più parti, «nessuno si scomodò. Fu silenzio assoluto. E lo stabilimento venne acquistato da una cordata di affaristi indifferenti agli interessi della città, propensi solo al recupero del materiale edilizio». Non fu accolto neppure l’accorato appello degli operai che «attraverso un pubblico manifesto, invocarono l’intervento del Municipio e della Cassa di Risparmio». Così, nella città sempre più povera, senza lavoro e con i prezzi dei generi di prima necessità alle stelle, si diede il via all’abbattimento degli stabilimenti Spiess. A poche settimane dalla fine della Grande guerra, il “delitto” si consumò.