volume 2015 attività Unità Locali 2014
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volume 2015 attività Unità Locali 2014
CONSORZIO INTERUNIVERSITARIO DI RICERCA IN CHIMICA DEI METALLI NEI SISTEMI BIOLOGICI ATTIVITÀ SCIENTIFICA SVOLTA DALLE UNITÀ DI RICERCA AFFERENTI E DAGLI ASSEGNATARI DI CONTRATTI DI RICERCA 2014 INDICE Presentazione Pag. Unità di Ricerca: Bari Bologna Camerino Catania Ferrara Firenze Insubria Messina Napoli Padova Palermo Parma Pavia Piemonte Orientale Pisa Politecnica delle Marche Roma “La Sapienza” Roma “Tor Vergata” Salento Siena Torino Trieste Pag. 7 Pag. 15 Pag. 41 Pag. 47 Pag. 53 Pag. 59 Pag. 61 Pag. 63 Pag. 65 Pag. 71 Pag. 79 Pag. 85 Pag. 91 Pag. 93 Pag. 101 Pag. 105 Pag. 111 Pag. 117 Pag. 119 Pag. 123 Pag. 125 Pag. 149 Contratti di Ricerca: D’amen Eros – Pierini Filippo (Unità Locale di Bologna) Nanotubi inorganici e nanoparticelle metalliche per applicazioni in medicina 5 Pag. 153 Galliani Angela (Unità Locale di Bari) Studio dei meccanismi di regolazione del rame in processi dipendenti dalle ATPasi di tipo P Neuronali Pag. 161 Mangini Vincenzo (Unità Locale di Bari) Studio strutturale della stabilità degli addotti di ubiquitina e di poliubiquitina con ioni metallici Pag. 173 Merli Selene - (Unità Locale di Bologna) Nanocristalli inorganici biomimetici per applicazioni in medicina Pag. 187 Nardulli Marianna (Unità Locale di Bari) Caratterizzazione di complessi di inclusione ciclodestrina/farmaco da utilizzare in nuove forme farmaceutiche parenterali Pag. 199 Pubblicazioni e Brevetti Strumentazione Personale Afferente Pag. 211 Pag. 219 Pag. 229 3 PRESENTAZIONE Le conoscenze scientifiche e tecnologiche e la disponibilità di risorse umane qualificate sono alla base del grado di sviluppo dei diversi sistemi paese. Essere in posizione avanzata su questi temi, poter partecipare alla cooperazione internazionale in forma non subalterna, innovare la propria capacità produttiva e accrescere la disponibilità e diffusività dei servizi determinano la possibilità dei sistemi nazionali di essere protagonisti e competitivi nei processi di crescita economica, culturale e sociale. Si parla comunemente di “economia della conoscenza e dell'apprendimento” e di “sistemi nazionali di innovazione” per indicare una nuova fase di sviluppo in cui non è più possibile tenere separata la funzione di produzione di idee, progetti e prodotti scientifici e tecnologici da quella di un loro impiego per il soddisfacimento di una domanda diffusa generata dalle complesse esigenze della società moderna. In questo contesto il Consorzio Interuniversitario di Ricerca in Chimica dei Metalli nei Sistemi Biologici (C.I.R.C.M.S.B.), con sede legale a Bari e 22 Università consorziate, promuove e coordina le proprie ricerche con l’obiettivo di formare e valorizzare i ricercatori ed i risultati da essi ottenuti con la consapevolezza del valore strategico della ricerca come vantaggio competitivo nella Società della Conoscenza e nella convinzione che le infrastrutture di ricerca e alta formazione siano leve strategiche per il rilancio dell’economia nazionale. A tale scopo le attività del C.I.R.C.M.S.B. si articolano in macro aree di ricerca scientifica e tecnologica a carattere interdisciplinare, che riguardano i settori dell’ambiente, delle biotecnologie, dei farmaci e dei materiali. Tali aree di intervento attualmente oggetto di ricerca del Consorzio si articolano nelle seguenti tematiche: a) Biomineralizzazione e biocristallografia; b) Diagnostici innovativi in oncologia e malattie cardiovascolari; c) Ioni metallici nelle patologie degenerative croniche; d) Metallo-proteine come catalizzatori biologici; e) Metalli nell’ambiente; f) Nanostrutture di interesse biomedico e ambientale; g) Nuovi farmaci inorganici in oncologia; h) Radiofarmaci nella diagnostica e radioterapia tumorale; i) System biology per lo studio dei metalli. In diverse delle aree tematiche sopra menzionate sono stati attivati contratti di ricerca volti a promuovere la formazione di specialisti nel campo dell’ambiente, delle biotecnologie, dei farmaci e dei materiali. In tal modo si intende agevolare l’inserimento di giovani laureati nel mercato del lavoro e nelle attività di ricerca scientifica e tecnologica e di innovazione. Il C.I.R.C.M.S.B. è presente in tutta Italia attraverso una rete di Unità Locali di Ricerca, al fine di favorire una diffusione capillare delle proprie competenze su tutto il territorio nazionale ed agevolare i contatti e le collaborazioni con enti ed industrie locali. Quello di seguito riportato è un riassunto dei risultati acquisiti nell’anno 2014 da ciascuna delle Unità di Ricerca del C.I.R.C.M.S.B. A tutti coloro che hanno partecipato all’attività consortile va rivolto il mio più profondo e sentito ringraziamento. Prof. Giovanni Natile 5 UNITA’ DI RICERCA DI BARI Direttore Scientifico: Prof. Giovanni Natile L'attività scientifica dell’unità di ricerca di Bari ha riguardato le seguenti tematiche: 1) Sintesi e caratterizzazione di complessi di platino quali potenziali farmaci antitumorali; 2) Aspetti molecolari dell’attività antitumorale di farmaci a base di platino. 1) Sintesi e caratterizzazione di complessi di platino quali potenziali farmaci antitumorali Lo sviluppo di composti antitumorali di platino “non convenzionali” caratterizza l’attività di ricerca dell’U.R. di Bari. In questo contesto è stata portata avanti la sintesi di nuove classi di complessi antitumorali di platino e lo studio della loro interazione con substrati cellulari. In passato è stato dimostrato come i leganti imminici siano in grado di conferire attività antitumorale ai complessi di platino(II) a geometria trans. Questi leganti, come gli eterocicli aromatici N-donatori, hanno una forma planare ma, diversamente da questi ultimi, hanno ancora un atomo di H sull'azoto donatore che può essere coinvolto nella formazione di legami ad idrogeno. Tre classi di leganti imminici sono state ampiamente studiate con l’intento di mettere a confronto le proprietà antitumorali delle tre diverse classi di bioisosteri: gli iminoeteri (HN=C(R)OR'), le chetimmine (HN=CRR'), e le ammidine (HN=C(R)NR'R"). . La promettente efficacia antitumorale dei composti di platino con ammidine (attività paragonabile a quella del cisplatino per complessi cis e molto superiore a quella del transplatino per complessi trans) ha suggerito di estendere l'indagine a complessi ammidinici con un residuo organico ingombrante (R = t-Bu). Il gruppo tert-butile può conferire maggiore affinità per ambienti lipofili, potenziando così l'assorbimento cellulare del composto. Pertanto si è proceduto alla sintesi e caratterizzazione di complessi pivaloammidinici di platino(II), (cis e trans-[PtCl2(NH3){Z-HN=C(tBu)NH2}] e cis e trans-[PtCl2{Z-HN=C(t-Bu)NH2}2]), platino(III) ([Pt2Cl4{HN=C(tBu)NH}2(NH3)2]), e platino(IV) (trans-[PtCl4(NH3){Z-HN=C(t-Bu)NH2}] e trans-[PtCl4{ZHN=C(t-Bu)NH2}2]). La citotossicità di tutti i nuovi complessi di platino è stata testata nei confronti di un pannello di linee cellulari tumorali coltivate, comprese le varianti resistenti al cisplatino e ad altri farmaci. Inoltre, per il composto più promettente trans-[PtCl2(NH3){Z-HN=C(tBu)NH2}], sono stati studiati l’assorbimento cellulare, l’interazione con il DNA, le perturbazioni di progressione del ciclo cellulare, l'induzione di apoptosi, e l'attivazione di p53. Sorprendentemente, questo complesso è stato in grado di superare la resistenza al cisplatino sia acquisita che intrinseca. Un’altra classe di farmaci antitumorali “non convenzionali” rappresentata dai composti di tipo Hollis contenenti un solo gruppo uscente, due ammine ed una base aromatica N-donatrice. É stata studiata la possibilità di aumentare ulteriormente il ruolo della base aromatica N-donatrice conferendo a questa la possibilità di agire come donatore/accettore di legame ad idrogeno. Pertanto è stato sintetizzato il complesso di Pt(II) cis-[PtCl(NH3)2(naph)]NO3 (1) contenente il legante 1,8naftiridina (naph). Il legante naftiridinico è generalmente monodentato e possiede un secondo atomo di azoto in grado di agire come donatore/accettore di legami H a seconda del suo stato di protonazione. Tale possibilità potrebbe svolgere un ruolo cruciale nella interazione del farmaco con DNA o proteine. A parte la sintesi del composto, è stata valutata la sua attività antitumorale in vitro 7 su un ampio pannello di linee cellulari tumorali, comprese anche cellule selezionate per la loro sensibilità/resistenza all'ossaliplatino, e tale attività è stata confrontata con quella precedentemente riportata per l’analogo complesso 2 ([PtI(2,9-dimetil-1,10-fenantrolina)(1-metil-citosina)]I), per l’ossaliplatino e per il cisplatino. I dati di citotossicità sono stati correlati con l'assorbimento cellulare e con i livelli di platinazione del DNA. Infine è stato studiata la reattività di 1 verso la guanosina 5'-monofosfato (5'-GMP) ed il glutatione per fornire approfondimenti sul suo meccanismo d'azione. 1 2 Un’altra indagine svolta presso l’U.R. di Bari ha riguardato l'effetto di nuovi composti di Pt(II) bifunzionali, gli isomeri cis e trans- di [PtCl2(NH3)(L)] (L = 1-metil-7-azaindolo, composti 3 e 4, rispettivamente), sulla crescita e la vitalità delle cellule di carcinoma umano così come sul loro meccanismo di azione. 3 4 I risultati hanno mostrato come la sostituzione con 1-metil-7-azaindolo di un legante amminico del cisplatino o del transplatino si traduca in un aumento della tossicità e della selettività per le cellule tumorali in linee cisplatino-resistenti, e nell'attivazione della geometria trans. Si ritiene che le differenze nell’attività citotossica di 3 e 4 siano dovute al loro diverso modo di legarsi al DNA, alla differente capacità di indurre alterazioni del ciclo cellulare e al diverso ruolo del fattore di trascrizione p53 nel loro meccanismo di azione. L’utilizzo di leganti biologicamente attivi come trasportatori molecolari può risultare molto utile per ottenere una distribuzione selettiva oppure un accumulo specifico di farmaco antitumorale in una cellula od organo bersaglio ovvero un’attività farmacologica sinergica. L’U.R. di Bari ha perseguito l’approccio di drug targeting sfruttando recettori sovrespressi in alcuni tipi di tumori. In particolare l’attenzione si è soffermata sulle “proteine translocatrici” (TSPO), localizzate soprattutto sulla membrana mitocondriale esterna di cellule di tessuti periferici ed anche di cellule gliali del sistema nervoso centrale (SNC), che si ritiene siano anche coinvolte nei processi di controllo dell’apoptosi. La “proteina translocatrice” 18 kDa (TSPO) è sovraespressa in molti tipi di tumori ed è anche abbondante nelle cellule microgliali attivate che ricorrono nelle malattie infiammatorie neurodegenerative. Pertanto TSPO è diventata un bersaglio subcellulare estremamente attraente non 8 solo per gli stati patologici sovresprimenti questa proteina, ma anche per la somministrazione di farmaci a selettività mitocondriale. Innanzitutto è stato sintetizzato, caratterizzato e valutato in vitro di un nuovo legante TSPO selettivo, il 2-(8-(2-(bis(piridin-2-il)metil)amino)acetamido)-2-(4chlorofenil)H-imidazo[1,2-a]piridin-3-il)-N,N-dipropiacetamide (CB256). Questo nuovo legante ha la possibilità di coordinare un farmaco a base metallica da usare nella diagnosi e terapia. Inoltre lo stesso legante ha dimostrato di essere, esso stesso, un potente inibitore della crescita cellulare tumorale e di riuscire a rompere il DNA a doppio filamento. Il ligando CB256 è stato quindi usato per sintetizzare complessi di coordinazione contenenti Pt (5) o Re (7), o entrambi gli ioni metallici (6). CB256 5 6 7 I nuovi complessi metallici hanno mostrato un assorbimento cellulare nettamente superiore a quello dei composti metallici precursori e sono stati anche in grado di indurre apoptosi in cellule di glioma C6. La buona citotossicità del ligando libero CB256 verso C6, A2780 e linee cellulari tumorali 9 A2780cisR è risultata attenuata dopo coordinazione di Pt alla porzione dipicolilamminica, mentre la coordinazione di Re al residuo imidazopiridinico riduce l'affinità verso TSPO. I risultati ottenuti rappresentano una buona base di partenza per la progettazione di nuovi leganti imidazopiridinici che oltre all’affinità per TSPO abbiano anche la possibilità di legare farmaci a base metallica. L'attività antitumorale del cisplatino è innescata dalla formazione di addotti intracatena (intrastrand) che coinvolgono basi guaniniche adiacenti del DNA. Per ottenere informazioni sui diversi conformeri che si possono formare, sono stati introdotti leganti carrier come le 2,2'-bipiperidine, che forniscono ampio ingombro sterico in prossimità del piano di coordinazione del platino e diminuiscono la rotazione intorno ai legami Pt-N7 (approccio definito "retro-modelling"). Presso l’U.R. di Bari è stato studiato l'effetto del cis-1,4-diamminocicloesano (cis-1,4-DACH) sulla formazione, stabilità e stereochimica degli addotti (cis-1,4-DACH)Pt(ss-oligo) (ss-oligo = d(GPG) sostituito su 3' e/o 5'). Caratteristiche interessanti di questo legante, assenti in studi precedenti, sono l'ampio angolo di chelazione (che riduce la velocità di interconversione fra possibili conformeri), la presenza di due protoni su ogni azoto (una caratteristica associata con attività antitumorale) e l'assenza di centri chirali. L'uso di cis-1,4-DACH ha permesso di rilevare diversi conformeri in un sistema contenente un legante carrier caratterizzato da una diammina primaria associata ad attività antitumorale ed ha confermato l'ipotesi precedente che la coesistenza di diversi conformeri non è un artefatto indotto dall’ingombro del legante carrier. Inoltre, i dati ottenuti per gli addotti (cis-1,4DACH)Pt(d(GpG)) e (cis-1,4-DACH)Pt(d(GGTTT)) indicano che ad una temperatura prossima a quella fisiologica (40 °C) i conformeri HH1 e ∆HT1 sono presenti in quantità comparabili. Al contrario, a bassa temperatura (vicino a 0 °C) l'equilibrio si sposta drammaticamente verso il conformero più stabile HH1 (per l’addotto (cis-1,4-DACH)Pt(d(TGGT)) il conformero HH1 è sempre dominante, anche ad alta temperatura). Il kiteplatin, (cis-1,4-DACH)dicloroplatino(II), contiene una forma isomerica del legante carrier presente nel farmaco antitumorale ossaliplatino ed è stato recentemente trovato essere molto attivo contro i tumori del colon resistenti all’ossaliplatino, confermando che, cambiando la natura del legante amminico, è possibile ottenere farmaci di platino che non presentano resistenza crociata con quelli già in uso clinico. Oltre all’interazione con il DNA, un altro fattore che può influenzare l'attività dei farmaci di platino è il loro destino metabolico nell'ambiente cellulare. Pertanto il kiteplatin è stato fatto reagire con biomolecole S-donatrici, quali glutatione, cisteina e metionina. L'indagine ha confermato la diversa reattività della metionina rispetto ai peptidi contenenti cisteina e ha dipanato la possibilità che il cis-1,4-DACH possa diventare mono coordinato con una estremità libera (una situazione mai vista per i leganti isomerici 1,2-DACH) e possa destabilizzare i leganti cis come conseguenza del suo grande ingombro sterico. La reazione di addotti kiteplatin-GSH con 5'-GMP ha anche mostrato come i prodotti di reazione possano essere diversi a seconda delle condizioni di reazione utilizzate, aerobiche o anaerobiche. 10 2) Aspetti molecolari dell’attività antitumorale di farmaci a base di platino. I trasportatori del rame sono emersi come fattori chiave alla base della risposta biologica ai farmaci antitumorali di platino. ATP7A e ATP7B (rispettivamente le proteine della malattia di Menkes e di Wilson,) sembrano essere implicati nel promuovere la resistenza delle cellule tumorali al cisplatino. Tali Cu-ATPasi potrebbero legare il farmaco, con il presunto coinvolgimento della chaperonina ATOX1, e contribuire alla disintossicazione e alla sopravvivenza della cellula. In questo contesto presso l’U.R. di Bari è stata effettuata la caratterizzazione spettroscopica dell’interazione tra cisplatino e ATOX1 e MNK1 (il primo dominio ad alta affinità per il metallo di ATP7A) in presenza dell’agente di riduzione fisiologica glutatione, una molecola contenente zolfo responsabile della maggior parte della inattivazione del Pt nel citosol. In condizioni che mimano l'ambiente cellulare, è stato dimostrato che il trasferimento del cisplatino da ATOX1 a MNK1 non avviene a velocità significativa. Questi risultati appaiono in contraddizione con altri dati di letteratura che, tuttavia, sono stati ottenuti in presenza di agenti riducenti esogeni come la tris 2-carbossietilfosfina (TCEP) avente buona capacità di coordinamento per ioni metallici soft (come Pt) e forte effetto trans-labilizzante. Una migliore comprensione dell’interazione tra farmaci di Pt e proteine trasportatrici del rame in condizioni fisiologiche può contribuire a chiarire questioni fondamentali, quali la disponibilità di farmaco nelle cellule tumorali e l’insorgenza della resistenza. Mentre sono note le modalità di interazione tra cisplatino ed i trasportatori di rame Ctr1 ed Atox1, mancano analoghi dati per ATP7A/ATP7B. È stata quindi studiata l'interazione del cisplatino con il primo dominio solubile di ATP7A. In primo luogo, attraverso misure di ESI-MS e 1H, 13C e 15N NMR si è stabilito che, in soluzione, l'addotto è un monomero in cui gli atomi di zolfo dei residui Cys19 e Cys22 sono cis-coordinati alla porzione [Pt(NH3)2](2+). In seguito, eseguendo simulazioni ibride Car-Parrinello QM/MM e calcoli di spettroscopia computazionale su un modello di addotto basato sulla struttura NMR della proteina apo si è determinato la modalità di coordinazione dello ione metallico. I calcoli hanno mostrato accordo quantitativo con spettri CD e shift chimici di 1H, 13 C e 15N NMR, fornendo così un modello 3D dell’addotto tra cisplatino e ATP7A. È importante sottolineare che lo stesso confronto esclude altri modelli con diverse modalità di coordinazione, confermando la robustezza del metodo di calcolo utilizzato. 11 Come già detto l’ingresso del cisplatino in cellula ed il suo trasporto al DNA possono coinvolgere la chaperonina del rame Atox1. Anche se la modalità di coordinazionme è stata stabilita da misure di spettroscopia NMR in soluzione (l'atomo Pt si lega a Cys12 e Cys15 mantenendo i due gruppi amminici) i determinanti strutturali dell’addotto non erano noti. È stato quindi costruito un modello strutturale utilizzando simulazioni ibride QM/MM in cui una parte del sistema viene rappresentata con metodi quantistici Car-Parrinello attraverso la teoria del funzionale di densità. Questo modello evidenzia come il sito platinato modifica minimamente il folding della proteina. Le proprietà spettrali NMR e CD calcolate sono risultante pienamente coerenti con i dati sperimentali. L’approccio in silico/in vitro può rappresentare un nuovo strumento nello studio della biologia strutturale di addotti cisplatino-proteina. Per ottenere informazioni sulla traslocazione di farmaci di Pt da Cu-ATPasi umane sono state anche effettuate misure elettriche sulla frazione microsomiale cellulare COS-1, arricchita con ATP7A ricombinante, ATP7B e mutanti selezionati e adsorbita su membrana. I risultati sperimentali hanno indicato che i farmaci di Pt attivano le Cu-ATPasi e subiscono traslocazione ATP-dipendente in un modo simile a quello di Cu. È stata quindi utilizzata la spettroscopia NMR e l’ESI-MS per determinare la modalità di interazione dei farmaci di platino con il dominio N-terminale della ATP7A (Mnk1). 12 Un’altra proteina studiata è stata l’ubiquitina umana (hUb) coinvolta, attraverso il sistema ubiquitina-proteosoma (UPS), nei processi di degradazione di proteine danneggiate, una sorta di sistema di controllo della qualità cellulare. La mancata degradazione delle proteine danneggiate può portare alla formazione di aggregati tossici e quindi alla morte cellulare. In particolare l'interazione di nanoparticelle con le proteine è emersa come una questione chiave per affrontare il problema della nanotossicità. È stata quindi valutata l'interazione di nanoparticelle di argento (AgNPs), prodotte da ablazione laser, con ubiquitina umana (hUb). Il picco di risonanza plasmonica di superficie delle AgNPs indica che hUb viene rapidamente assorbita sulla superficie della AgNP formando una corona di proteine. Le AgNPs rivestite di hUb poi evolvono in cluster, tenuti insieme da una forma della proteina amiloide, come rivelato dal saggio con tioflavina T. La transtiretina, un inibitore dell’aggregazione di tipo amiloide, impedisce la formazione di aggregati e disturba i cluster di AgNP preformati. In presenza di citrato di sodio, uno stabilizzante comune che conferisce una carica negativa alle AgNPs, hUb è ancora adsorbita sulla superficie della AgNP, ma non si osserva aggregazione. Mutanti hUb recanti una singola mutazione a margine di un filamento β (cioè Glu16Val) o del loop (Glu18Val) si comportano in un modo radicalmente diverso. 13 UNITA’ DI RICERCA DI BOLOGNA Direttore Scientifico: Prof. Norberto Roveri Attività di Ricerca svolta nell’ambito della tematica Biocristallografia e Biomineralizzazione Le attività di ricerca nel 2014 sono raggruppate nei seguenti temi di ricerca inclusi nell’ ambito dello studio del ruolo dei metalli in sistemi biologici di interesse biomedicale, ambientale e tecnologico: a) studio dei processi di biomineralizzazione; b) studio sulla sintesi di materiali compositi di ispirazione biologica; c) studio della cristallografia di proteine. d) Scaffold biomimetico nano-strutturato e gerarchicamente organizzato e) Interazione nano cristalli di idrossiapatite con farmaci antitumorali f) Nanotubi inorganici e nano particelle metalliche per applicazioni biomedicali (a) Studio dei processi di biomineralizzazione. La biomineralizzazione è il processo mediante il quale gli organismi depositano fasi minerali portando alla formazione di materiali compositi organico/inorganico con proprietà ottimizzate alla loro funzione. Esempi sono dati ossa, denti, conchiglie, aculei, etc.. Il processo di biomineralizzazione negli organismi marini è un tema di estrema attualità a causa della sua crescente correlazione con i fenomeni legati ai processi di surriscaldamento globale. L’unità di ricerca di Bologna sta focalizzando l’interesse principalmente sui coralli tramite un approccio multidisciplinare. Il diossido di carbonio di origine antropica è una delle principali cause dell’attuale cambiamento ambientale negli ecosistemi, e la relativa acidificazione dell'oceano sta minacciando il biota marino. Con l'aumento della pCO2 i tassi di calcificazione di diverse specie diminuiscono.. In una ricerca si è dimostrato che il controllo biologico sulla mineralizzazione correla con l’abbondanza della lungo un gradiente di pH naturale. All’aumentare della pCO2 aumentato, la mineralogia un corallo scleractinia ( Balanophyllia europaea ) e un mollusco ( Vermetus triqueter ) non viene cambiata. Al contrario , due alghe calcificanti ( Padina pavonica e Acetabularia acetabulum) riducono la calcificazione e cambiano la mineralogia, con il crescere della pCO2, da aragonite a solfati e ossalati di calcio. Figura 1 In situ foto di P. pavonica e A. acetabulum. Siti a 1 e 4 , mostrano che la riduzione di materiale calcificato (aree bianche) con l'aumento pCO2. Un righello è incluso in ogni immagine per mostrare scala, le tacche indicano una lunghezza di 1 mm. La matrice organica dei coralli è stata studiata in vari aspetti, ponendo attenzione alle sua variazioni in risposta ai cambiamenti ambientali. La precipitazione di carbonato di calcio è stata effettuata in 15 presenza di la matrice organica ( OM ) estratta da coralli del Mediterraneo aventi diverse nella forma di crescita e la strategia trofica, B. europaea e L. pruvoti, solitari, solo il primo zooxantellato, Cladocora caespitosa e Astroides calycularis, coloniali, solo il primo zooxantellato. I risultati ha dimostrato che sebbene la OM mostri differenze marcate tra le specie, una diversa influenza sulla precipitazione di carbonato di calcio è evidente solo per B. europaea . Questa OM è più incline a favorire la precipitazione del aragonite in assenza di ioni magnesio. In acqua di mare artificiale, dove sono presenti ioni magnesio, questa OM , nonché quella da A. calycularis, precipitatano principalmente una forma amorfa di carbonato di calcio diversa da quella ottenuta con OM da L. pruvoti o C. caespitosa. Il carbonato di calcio amorfo da B. europaea è il più stabile al riscaldamento fino a 100 °C ed è stato quello che principalmente si converte in aragonite anziché in magnesio calcite dopo riscaldamento a 300 °C. L’unita di ricerca si è anche occupata della biomineralizzazione della vaterite e della formazione di cristalli lipidici nelle esuvie dei serpenti. Recentemente, i risultati delle indagini sperimentali e teorici hanno rivelato che nella vaterite due o anche più strutture cristalline possono coesistere. La ricerca ha dimostrato l’esistenza di diverse strutture di vaterite in campioni biogenici diversi. In aggiunta, si è dimostrato che la vaterite sintetica precipitata in presenza di poli-L-aspartato ha strutture simili a quelle dei campioni biogenici. Il ruolo dei lipidi nel controllo scambio acqua dipende dalla loro organizzazione molecolare. In questo studio abbiamo osservato che nella muta del serpente la permeabilità dell'acqua varia drasticamente tra specie che vivono in climi e habitat diversi. L'analisi delle mute da quattro specie di serpente: serpente tigre, Notechis scutatus, vipera del Gabon, Bitis gabonica, serpente a sonagli, Crotalus atrox e biscia, Natrix natrix, rivelato correlazioni tra la composizione molecolare e la struttura dello strato mesos, ricco di lipidi, con il controllo nella permeabilità dell’acqua in funzione della temperatura. E 'stato scoperto, da dati provenienti da micro- diffrazione e micro – spettroscopia, analisi termiche, NMR e cromatografia, che questo controllo è generato da una sofisticata organizzazione strutturale che modifica la distribuzione di fase cristalline di molecole lipidiche specifiche in funzione della temperatura. Figura 2. Copertine di riviste dedicate alla ricerca sui coralli dell’Unità di Ricerca di Bologna nell’anno 2014. (b) Studio sulla sintesi di materiali compositi di ispirazione biologica In questa tematica di ricerca sono stati preparati dei materiali compositi di ispirazione biologica. In una ricerca è stata studiata l’influenza etanolammina ( ETH ), un agente anticorrosione, sul polimorfismo, morfologia e distribuzione dimensionale di cristalli calcio di carbonato dopo sintesi temperatura ambiente . Il pH della soluzione, la presenza dell'additivo e il tempo di cristallizzazione si sono rivelati parametri importanti per la morfogenesi di carbonato di calcio. Morfologie dei 16 cristalli diverse come romboedrica, scalenoedrica e sferulitica dei cristalli, così come le particelle a piastre submicrometriche sono state prodotte. Il meccanismo di formazione di calcite in presenza di ETH prevede una fase transitoria di mesocristalli che si evolve in cristalli singoli classici. Il parametro chiave di questo processo si suppone sia la copertura ETH delle particelle primarie di calcite. In particolare, si è riscontrato che, in particolari condizioni della presenza di ETH , nanoaggregati di carbonato di calcio si formano, che non sono stabili e, con il tempo, tendono a convertirsi in cristalli classici romboedrici di dimensioni più grandi. Questo studio è rilevante per la comprensione dei processi fondamentali di precipitazione del calcio di carbonato e ha un impatto potenziale applicativo nel campo del restauro in quanto i nanomateriali sono in grado di penetrare nelle porosità dei materiali sono necessari al fine di ridurre l'acidità come su oggetti metallici corrosi o per la deacidificazione della carta. (c) Studio della cristallografia di proteine. Nell’ambito di questa tematica sono stati studiati dal punto di vista strutturale alcuni enzimi che partecipano al ciclo di Calvin-Benson nell’alga verde Chlamydomonas reinhardtii considerato un organismo fotosintetico modello. Una conoscenza dal punto di vista biochimico e strutturale del ciclo di Calvin che rappresenta il principale fattore limitante nell’efficienza del processo fotosintetico, è fondamentale per migliorare la resa della trasformazione di luce in energia chimica contenuta nel cibo (produzione di carboidrati) nel caso delle piante o nei biocarburanti e nelle biomasse nel caso delle alghe o cianobatteri. Nei cloroplasti la quasi totalità degli enzimi del ciclo di Calvin sembra essere regolata nella loro attività enzimatica da modificazioni redox a carico di cisteine. E’ noto che negli organismi eucarioti fotosintetici, 4 (GAPDH, PRK, SBPase, FBPase) degli 11 enzimi del ciclo sarebbero bersaglio delle tioredossine (TRXs) delle piccole proteine redox che regolano la formazione/rottura di ponti disolfuro. Questa regolazione, che avviene tipicamente in condizioni fisiologiche, garantisce l’attivazione e l’inattivazione del ciclo in risposta alle condizioni di luce. Uno studio biochimico e strutturale compiuto dal nostra unità di ricerca con il gruppo del Dr. Lemaire del CNRS di Parigi, ha dimostrato che in Chlamydomonas reinhardtii un altro enzima la fosfogliceratochinasi (PGK) risulta essere regolata dalla TRX-f.14 In particolare l’attività della CrPGK viene inibita dalla formazione di un singolo ponte disolfuro tra due cisteine (Cys227 e Cys361). Il modello strutturale di CrPGK ottenuto utilizzando come templato la struttura cristallografica dell’omologa proteina batterica di Bacillus stearotermophilus ha mostrato che le cisteine regolative sono localizzate nella regione Cterminale della proteina (Fig. 3a), localizzate entrambe in loop compresi tra β-strands, risultano esposte quindi accessibili alle TRX ed i corrispondenti gruppi tiolici sono ad una distanza di circa 15 Å. Calcoli di dinamica molecolare hanno dimostrato che il ponte disolfuro può essere facilmente formato e la variazione conformazionale che ne deriva spiega la conseguente inibizione dell’enzima (Fig. 3b). a b Figura 2. Modello della CrPGK a) ridotta e b) ossidata. 17 Al sistema regolatorio basato sulla formazione di un disolfuro tra 2 cisteine, si affiancano altri meccanismi di regolazione redox basati su modificazioni post-traduzionali (PTMs), come ad esempio S-glutationilazione e S-nitrosilazione, che si verificano sempre a carico di specifiche cisteine localizzate su proteine bersaglio. In diversi casi le cisteine interessate dalla modificazione PTMs non coincidono con quelle coinvolte nella formazione dei ponti disolfuro regolativi. In questo ambito la determinazione della struttura cristallina della triosofosfato isomerasi (TPI), un altro enzima del ciclo di Calvin, di Chlamydomonas reinhardtii ha permesso di individuare il residuo cisteinico coinvolto in un processo di trans-nitrosilazione che inibisce l’enzima di circa il 30%.15 La suddetta cisteina è infatti risultata esposta e con un intorno molecolare, in una sfera di circa 6 Å, costituito da residui basici capaci di aumentare la reattività del tiolo abbassando il suo pKa e residui che possono formare legami ad idrogeno con le estremità N- e C-terminale del GSNO, stabilizzandolo in una posizione sufficientemente vicina al tiolo bersaglio. (d) Scaffold biomimetico nano-strutturato e gerarchicamente organizzato Per quanto concerne l’ingegneria tissutale ossea, uno dei trend più seguiti e approfonditi negli ultimi anni è quello dello sviluppo di costrutti che agiscano da “template” temporaneo per la colonizzazione e proliferazione cellulare: perché ciò avvenga, lo scaffold deve avere una composizione ed un’architettura ben precise in grado di indurre una risposta biologica. In questo studio è stato creato uno scaffold biomimetico nano-strutturato, gerarchicamente organizzato, caratterizzato da elevata porosità utilizzando il policaprolattone, il collagene di tipo I e l’idrossiapatite. Lo scaffold è stato testato in vitro utilizzando cellule staminali mesenchimali (MSC) dimostrando un’ ottima biocompatibilità. Per lo studio in vivo, la tecnologia CAD-CAM è stata utilizzata per la progettazione di scaffold custom-made, i quali poi sono stati impiantati nella mandibola di una pecora, in corrispondenza di un difetto chirurgico creato appositamente. Il CADCAM è stato utilizzato, inoltre, anche per la realizzazione delle guide chirurgiche che consentono al medico di creare margini di resezione esattamente combacianti con quelli dello scaffold e delle placche metalliche che fissano lo scaffold ai rami mandibolari adiacenti. I risultati hanno dimostrato che il biomateriale, non solo è biocompatibile e favorisce l’adesione cellulare, ma ne permette anche l’infiltrazione grazie all’interconnessione dei pori creando così le basi per la rigenerazione del tessuto osseo. Sono stati prodotti scaffold porosi utilizzando policaprolattone (PCL) solubilizzato in diclorometano e successivamente addizionato cona polvere di HA+Collagene in modo tale che il rapporto PCL: collagene mineralizzato fosse rispettivamente 60% : 40%. Il biomateriale è stato trasferito in muffole create mediante la tecnologia CAD-CAM e i pezzi sono stati asciugati sotto vuoto in modo tale da indurre un’evaporazione rapida del diclorometano e creare in questo modo la porosità desiderata. Fig. 1 Scaffold poroso Lo scaffold utilizzato per lo studio in vivo (HA+Collagene+PCL) è stato analizzato mediante microtomografia computerizzata Micro-CT per poter valutare la porosità e l’ interconnessione dei pori ottenuti. Micro-CT (Fig. 2). 18 Fig.2 Sezione assiale (a sinistra) e sezione coronale (a destra) del campione analizzato Le analisi morfometriche 3D del campione sono state eseguite calcolando diversi parametri: porosità totale del materiale P(tot) (in %), porosità effettiva (open porosity) del materiale P(op) (in %), porosità chiusa (closed porosity) del materiale P(cl) (in %), connessione dei pori (in %), distribuzione della porosità totale del materiale P(tot)Ai (in %), diametro delle singole porosità del materiale rilevate in 2D per sezione P.ECD (in mm). Nella Tabella 1 seguente sono riportati i risultati dei vari parametri di porosità del campione sottoposto ad analisi microtomografica. 58,11 57,33 1,83 98,56 P (tot) P (op) P (cl) Connessione dei pori Tabella 1 Parametri di porosità ed interconnessione relativi al materiale Le analisi mostrano che il campione presenta una porosità totale del 58,11% e un’interconnessione dei pori pari al 98,56% (fig. 3). La porosità totale rimane pressoché invariata (58%) lungo l’altezza del volume. Fig.3 Diagramma della distribuzione della porosità totale del materiale lungo l’altezza del volume. I valori sono mostrati come percentuale dell’area totale della porosità del materiale per ogni sezione rispetto all’area totale della sezione alle diverse profondità del volume. 19 Seguendo un approccio biomimetico, è stato sintetizzato il collagene mineralizzato, successivamente analizzato mediante diffrazione ai raggi x (DRX), microscopia elettronica a trasmissione (TEM), termogravimetria (TGA), spettroscopia infrarosso (FT-IR). Il collagene mineralizzato con HA sintetizzata, come da precedenti studi, con rapporto molare Ca/P 1,6-1,7. Il composito è stato caratterizzato mediante diffrattometria a raggi X (XRD), mostrata in fig. 4a. Il diffrattogramma, se confrontato con il DRX di un osso naturale di origine bovina (fig. 4b), presenta i medesimi picchi allargati e poco risolti, indice di un basso grado di cristallinità. Questo diffrattogramma è molto simile a quello che si ottiene dall’idrossiapatite naturale, anch’essa poso cristallina. Fig. 4. Confronto tra il profilo di diffrazione del collagene mineralizzato (a) e un osso biogenico (b) L’analisi mediante microscopia elettronica a trasmissione è mostrata nella Fig. 5. Le immagini mostrano che la morfologia e le dimensioni del collagene mineralizzato naturale (a) e quello sintetizzato (b) sono molto simili. Nell’immagine è possibile anche notare la coesistenza delle fibre di collagene sintetizzato con cristalli di idrossiapatite. Fig. 5 Immagini TEM di HA+Collagene: a) fibrille naturali; b) fibrille mineralizzate artificialmente 20 L’analisi mediante termogravimetria (TGA) è mostrata nella Fig. 6. Dall’analisi mediante TGA si possono notare 3 importanti perdite di peso: quella compresa tra 50-120°C è dovuta all’evaporazione dell’acqua. La seconda è dovuta alla decomposizione del collagene, si manifesta alla temperatura di 368,05°C. Un picco correlato alla decomposizione del collagene è anche quello nell’intervallo compreso tra 150°C e 200°C, dovuto alle catene lunghe del collagene. Infine, l’ultima perdita di peso, a 711,84°C, è dovuta alla degradazione dell’idrossiapatite come fase inorganica. Fig. 6 Analisi TGA di HA+Collagene Confrontando l’analisi TGA del collagene mineralizzato naturale derivato dall’osso di bovino (Fig.3) con quello sintetizzato (Fig. 7), si può notare che il picco di degradazione del collagene, nel campione naturale, ha una maggiore intensità, dovuta ad una maggiore quantità di collagene nell’osso naturale (circa il 70%), ma le temperature di degradazione sono comparabili. Inoltre, nel collagene mineralizzato naturale l’HA mostra una temperatura di degradazione maggiore (874°C) dovuta al fatto che forma dei clusters nelle dimensioni di µm, mentre quella sintetizzata è nanometrica. Fig 7 Analisi TGA Collagene mineralizzato naturale derivato dall’osso di bovino 21 In supporto alle altre analisi, il collagene mineralizzato è stato analizzato anche mediante spettroscopia FT-IR. Lo spettro è stato confrontato sia con quello dell’HA, sia con quello del collagene mineralizzato naturale. Le analisi spettroscopiche FT-IR sono mostrate nella immagine seguente (Fig. 8). Fig. 8 Analisi FT- IR di HA+Collagene sintetico (a) a confronto con l’analisi FT-IR di HA biogenica Confrontando gli spettri relativi al collagene mineralizzato con approccio biomimetico (Fig.8 a) con lo spettro dell’osso bovino naturale, si nota una particolare somiglianza, infatti si osserva la presenza delle principali bande dell’idrossiapatite (500-700 cm-1 e 900-1200 cm-1), in particolare le due bande di assorbimento tra 1000 cm-1 e 1100 cm-1, sono attribuibili allo “stretching” dei fosfati. I due picchi a 600 cm-1 e 550 cm-1 sono i “bending” del legame O-H e O-P-O rispettivamente [1]. I due spettri mostra anche la presenza delle principali bande del collagene (1200-1700 cm-1 e 2800-3700 cm-1 ). Il materiale è stato impiantato in pecore a livello mandibolare.Tre mesi dopo l’impianto, la pecora è stata sacrificata. Lo scaffold ed 1 cm di osso circostante è stato prelevato e fissato in formalina. Il pezzo è stato processato per l’osservazione al microscopio elettronico a scansione. Le indagini dei prelievi lamellari (Fig. 9) mediante microscopio elettronico a scansione COXEM sono mostrate nelle immagini seguenti. 22 Fig 9 Sezione dello scaffold. Le analisi al SEM mostrate nella Fig 9 derivano dal pezzo dello scaffold, situato in prossimità dell’angolo mandibolare. Le immagini, a diverse risoluzioni (10 µm e 1 µm, rispettivamente), rilevano la presenza di cellule, che aderiscono sulla superficie dello scaffold e riescono a crescere, indicando che il materiale è un valido substrato per la sopravvivenza cellulare. Lo scaffold (HA+Collagene+PCL) è stato anche caratterizzato in vitro mediante cultura di MSC e analisi mediante microscopia confocale a scansione laser dopo 1, 3 e 7 giorni (Fig. 10) dalla coltura per verificare l’adesione e l’infiltrazione cellulare dello scaffold. Fig. 10 Crescita delle MSC sullo Scaffold al giorno 1, 3 e 7 23 I risultati mostrano che le MSC aderiscono alla superficie dello scaffold sin dal primo giorno di coltura, e sono vitali (in verde cellule vive, in rosso cellule morte). Si evince che il biomateriale è biocompatibile e qualsiasi tossicità associata allo scaffold è di bassa entità. Inoltre, lo scaffold facilita la proliferazione cellulare e le cellule hanno ricoperto l’intera superficie dello scaffold al settimo giorno di coltura. Si è poi passati a studi in vivo in cui la pecora è stata messa in posizione prona laterale, ed è stata effettuata un’incisione longitudinale sulla cute, creata lungo il margine inferiore della mandibola. Il forame mentale è servito da punto di riferimento iniziale, mentre il terzo molare da punto finale. Lo scaffold collegato alla piastra è stato inserito nel difetto a tre pareti creato nel corpo mandibolare nella zona sottomolare. Il periodo post operatorio non ha mostrato eventi di rilievo. Dopo il ricovero, l’acqua e il cibo non sono stati limitati. La Fig. 11 raffigura la parte resecata dalla mandibola e lo scaffold sintetizzato, inserito e montato tra il corpus e il ramo mandibolare, i quali hanno dimensioni e forme comparabili alla sezione recisa. Fig. 11 Scaffold collegato alla piastra e inserito e montato tra il corpus e il ramo mandibolare. La piastra è stata fissata grazie alle viti Quindi in conclusione seguendo un approccio biomimetico, è stato sintetizzato il collagene mineralizzato. L’HA, quando interagisce con il collagene, mostra dimensioni più piccole, forma appiattita ed esagonale. Il collagene mineralizzato ha mostrato una struttura morfologicamente simile alle fibrille naturali, con nanocristalli di HA diffusi lungo le fibrille di collagene. Le analisi hanno mostrato che, quando i nanocristalli di HA interagiscono con il collagene, mostrano una temperatura di degradazione inferiore, rendendola così maggiormente disponibile ai sistemi biologici. Il collagene mineralizzato è stato combinato con il policaprolattone, creando così uno scaffold nano-strutturato che ha mostrato elevata porosità ed interconnessione dei pori. Queste caratteristiche sono necessarie per la formazione del nuovo tessuto osseo, in quanto permettono la migrazione e la proliferazione di osteoblasti o cellule mesenchimali, e la vascolarizzazione. Quando il policaprolattone ha interagito con il collagene mineralizzato ha mostrato una temperatura di degradazione inferiore rispetto a quando è stato analizzato singolarmente: questo è un risultato positivo perché lo rende maggiormente biodegradabile in un sistema in vivo. Dallo studio in vitro si 24 evince che le MSC aderiscono alla superficie dello scaffold sin dal primo giorno di coltura, sono vitali e ricoprono l’intera superficie dello scaffold il settimo giorno di coltura. I risultati mostrano che il biomateriale è biocompatibile e non tossico. Per lo studio in vivo, lo scaffold (HA+Collagene+PCL), progettato mediante la tecnologia CAD-CAM, è stato impiantato nella mandibola di una pecora e fissato mediante placche metalliche, che lo supportano e stabilizzano meccanicamente, ai rami mandibolari adiacenti. L’analisi ha mostrato che non solo il biomateriale è biocompatibile, ma, grazie alla sua composizione, alla presenza di pori, alla loro dimensione ed interconnessione, permette l’adesione e l’infiltrazione cellulare promuovendo la rigenerazione del nuovo tessuto osseo. Una possibile strategia del futuro sarà quella di utilizzare il 3D-Bioplotter, un sistema di Prototipazione Rapida, consentendo così di predefinire al calcolatore la forma microscopica e macroscopica dello scaffold. (e)Interazione nano cristalli di idrossiapatite con farmaci antitumorali I farmaci antitumorali che contengono platino costituiscono una terapia di riferimento per molti tipi di tumori. Gli agenti antineoplastici a base di platino (ad esempio il cisplatino) sono tra i più potenti, tuttavia presentano importanti effetti collaterali. Tali effetti potrebbero essere minimizzati creando una molecola biologicamente attiva, coordinando il platino a ligandi capaci di generare un accumulo del farmaco direttamente nel tessuto malato. L’ idrossiapatite costituisce la frazione inorganica di ossa e denti: esistono varie strategie per sintetizzare idrossiapatite, anche con svariate sostituzioni ioniche (Na+, K+, Mg2+, CO3- e Cl-), che permettono di intervenire sulle dimensioni, sul grado di cristallinità o sulla morfologia (aciculare o a piattine). Può essere altresì funzionalizzata con molecole biologicamente attive, allo scopo di lavorare come “drug carrier”: occorre però tenere in considerazione che le sue caratteristiche chimiche e strutturali influenzano l’adsorbimento e il rilascio delle molecole bioattive. Lo scopo di questa ricerca è, la sintesi di idrossiapatite nanometrica, la sua caratterizzazione chimico-fisica, e lo studio dell’adsorbimento di due complessi di platino con attività antitumorale, nonché il loro rilascio a diverse condizioni di pH acido. In un secondo momento è stata testata la citotossicità dei complessi sintetizzati nei confronti di due gruppi cellulari (A549 e LoVo). Le principali caratteristiche dell’idrossiapatite biomimetica sono: piccole dimensioni dei cristalli, area superficiale molto elevata, 100 m2/g e morfologia biomimetica che può essere aciculare oppure a piattina. La sintesi di idrossiapatite biomimetica aciculare prevede l’ uso di un pallone da 500mL in cui si introducono 125 mL di acqua e 15,46 g di idrossido di calcio, mantenendo un’agitazione vigorosa per evitare la formazione di grumi. Si lascia in agitazione per un’ora. Si lascia gocciolare lentamente all’interno del pallone 125 mL di acido fosforico 1M ( 14,10 g di H3PO4 all’85% in 125 mL di acqua) e in fine si lascia in agitazione per 24 ore. La sintesi di idrossiapatite biomimetica con morfologia a piattina prevede l’ uso di un pallone da 500mL in cui si introducono 250 mL di acqua e 73,48 g di acetato di calcio, mantenendo un’agitazione vigorosa per evitare la formazione di grumi ed agglomerati. Si lascia in agitazione per un’ora, quindi si inizia a gocciolare lentamente all’interno del pallone 250 mL di diammonio fosfato alla concentrazione 1M ( 33,00 g di (NH4)2HPO4 all’85% in 125 mL di acqua). Durante il gocciolamento il pH tende a diminuire, quindi per mantenere un pH basico si aggiunge all’ambiente di reazione una opportuna aliquota di soluzione di sodio idrossido 5M per mantenerlo sopra al valore di 10. Al termine si lascia in agitazione per 24 ore. Le apatiti sintetiche biomimetiche a morfologia sia aciculare che a piattina hanno le seguenti fondamentalie indispensabili caratteristiche chimico-fisiche. L’analisi al DRX mostra il basso grado di cristallinità dell’idrossiapatite sintetizzata rispetto ad un’idrossiapatite naturale: 25 Con la caratterizzazione al TEM si può osservare la morfologia aciculare (in alto ) e la morfologia a piattine (in basso): I singoli nanocristalli (lunghezza tra 20-30 µm ed una larghezza tra 5-10 µm) si aggregano a formare strutture di dimensioni maggiori (lunghezza di 200 µm ed una larghezza tra 20-40 µm), ma pur sempre nano strutturate, come si può ben vedere dall’analisi di distribuzione dimensionale (DLS) riportata di seguito: L’idrossiapatite di aggrega a formare cristalli di circa 425 mm (picco più alto) ma si possono notare anche aggregati di dimensioni maggiori. 26 L’analisi BET permette mediante adsorbimento fisico e desorbimento di azoto alla temperatura dell'azoto liquido, pari a 77 gradi Kelvin di determinare l'area superficiale specifica. Nel caso delle apatiti sintetiche biomimetiche a morfologia sia aciculare che a piattina si ottiene un’area superficiale superiore a 100 m2/g Con l’analisi SEM si può notare invece la struttura microcristallina nanostrutturata. L’analisi chimica viene realizzata misurando l’energia e la distribuzione delle intensità dei raggi X generati dal fascio elettronico sul campione utilizzando un rivelatore a dispersione di energia EDS. Con questa tecnica si può si può determinare la composizione di un determinato punto di interesse del campione. Il rapporto Ca/P è di 1,58: 27 Per studiare la possibilità di utilizzare le apatiti sintetiche biomimetiche a morfologia sia aciculare sia a piattina come dispensatori di farmaci antitumorali, si sono utilizzati i complessi antitumorali a base di platino sotto riportati EP230 (Kiteplatin) [PtCl2(cis-1,4-DACH)] C H Cl N Pt 6 14 2 2 MW=380,17 u Water solubility ≈ 2 mg/mlL SMF30 [Pt(1,1-CBDCA)(cis-1,4-DACH)] C12H20N2O4Pt MW=451,38 u Water solubility ≈ 1 mg/ml Si sono poi studiate le interazioni delle apatiti sintetiche biomimetiche a morfologia sia aciculare sia a piattina con i farmaci antitumorali sopra riportati. Si sciolgono 15 mg di ciascun farmaco in 10 mL di acqua bi-distillata. A parte si prepara il latte di idrossiapatite agitando 100 mg di di idrossiapatite aciculare in 5 mL di acqua sempre bi-distillata. Si uniscono le due soluzioni e si lascia agitare. Da questo momento di effettuano prelievi regolari di 1 mL dopo 5, 10, 15, 30, 45, 60, 120, 240 e 360 minuti. Dopo ogni prelievo si riaggiunge 1 ml di acqua bi-distillata in modo da mantenere costante il volume della soluzione. Ogni aliquota è raccolta in un’eppendorf e viene analizzata la soluzione surnatante, previa centrifugazione. Le varie aliquote vengono analizzate per determinare la concentrazione di platino presente in soluzione: Dal grafico si può vedere come la concentrazione del metallo cali subito drasticamente, in seguito al’adsorbimento di ciascun farmaco sull’idrossiapatite. La percentuale di assorbimento di entrambi i farmaci, dopo 6 ore di agitazione supera il 60%: % di assorbimento EP230 62,2 SMF30 61,5 28 Si lascia in agitazione per 20 ore totali, si centrifuga la soluzione e si lascia asciugare il solido a 37°C. Il solido seccato sarà poi utilizzato per lo studio dei rilasci in condizioni diverse di pH. Si procede quindi con il rilascio di ciascun farmaco dal complesso con l’idrossiapatite. In particolare si studia l’effetto dei diversi valori di pH per vedere se e come influiscono sul rilascio del farmaco. Sono stati utilizzati 2 tipi di tam antitumorali pone (in ottica dello studio di citotossicità):Tampone citrato, pH 5,5 e Tampone citrato, pH 5,00 . Si trita finemente il complesso idrossiapatite-farmaco preparato come descritto sopra. Se ne disperde circa 80 mg in 10 mL di ciascun tampone e si lascia sotto agitazione. Da questo momento di effettuano prelievi regolari di 1 mL dopo 5, 10, 15, 30, 45, 60, 120, 240 e 360 minuti. Dopo ogni prelievo si riaggiunge 1 ml di ciascun tampone. Ogni aliquota è raccolta in un’eppendorf e viene analizzata la soluzione surnatante, previa centrifugazione. Di seguito sono riportati i grafici della percentuale del farmaco rilasciato ai vari intervalli temporali, viene cioè monitorata la cinetica di rilascio di ciascun farmaco in assenza di cellule tumorali. FARMACO EP230: 29 FARMACO SMF30: Dai grafici ottenuti si possono ricavare i milligrammi di farmaco rilasciato: valori di pH 5,00 5,50 EP230 % max di rilascio 37,7 15,5 EP230 mg rilasciati 2,6 1,1 SMF30 % max di rilascio 8,9 6,3 SMF30 mg rilasciati 0,47 0,32 Per quanto riguarda gli studi di CITOTOSSICITA’ per prima cosa si è acidificato il terreno di cultura F12 Ham’s medium a pH 5.00 e 5.50. Questo tipo di terreno è stato scelto perché contiene livelli di ioni Ca2+ fino a 40 volte inferiori rispetto ad altri terreni di coltura, in modo da minimizzare le interferenze con gli ioni calcio dell’idrossiapatite. La citotossicità dei due complessi antitumorali è stata valutata a pH 5,0 e 5,5 con un MTT test su due linee cellulari, A549 e LoVo. L’MTT test è un test colorimetrico largamente utilizzato in vari protocolli di drug screening per la determinazione dell’attività biologica di nuove sostanze. Questo test permette di valutare la vitalità cellulare, dopo il trattamento con la sostanza in esame, in funzione dell’attività mitocondriale delle cellule stesse. Viene, infatti, utilizzato un indicatore, il sale solubile di tetrazolio, 3-(4,5dimetiltiazol-2-il)-2,5-difeniltetrazolio bromuro (MTT), che, nelle cellule vive, viene ridotto ad opera dell’enzima mitocondriale succinato tetrazolio reduttasi, formando un cristallo di formazano, insolubile in acqua e di colore viola. Le due linee cellulari (5-8*104 mL-1) sono state trattate per 72 ore aggiungendo in ciascuna 10 mg di complesso EP230-HA e SMF30-HA. Le soluzioni vengono mantenute in agitazione a 37°C e vengono effettuati prelievi di 300 µL a 5, 30, 60, 120, 240 e 360 minuti. Prima delle analisi, il pH di tutte le aliquote viene portato a 7.4 per evitare citotossicità dovuta al pH. 30 Nei seguenti grafici sono riportati gli effetti dei due complessi in termini di vitalità cellulare nel tempo. Vitalità delle cellule post trattamento con SMF30 adsorbito su nanocristalli di idrossiapatite 31 Vitalità delle cellule post trattamento con EP230 adsorbito su nanocristalli di idrossiapatite In un secondo momento, è stata valutata, a parità di condizioni (stessa concentrazione di platino) la citotossicità dei due farmaci non adsorbiti sull’idrossiapatite (i valori sono espressi come µgPt/mL): 32 pH 5 pH 5.5 Come è possibile osservare dai grafici precedentemente riportati, a parità di condizioni sperimentali, il complesso HA-EP20 risulta più efficace del complesso HA-SMF30: infatti dopo un’ora di interazione con il complesso HA-EP230 entrambe le linee cellulari, ad entrambi i pH risultano avere una vitalità dello 0%, mentre le linee trattate con il complesso HA-SMF30 risultano mantenere una vitalità del 70%. 33 Questi risultati appaiono evidenti nei primi 4 grafici riportati.Al termine di questi primi 2 test di vitalità, si è deciso di valutare, come il farmaco venisse rilasciato dal nanocristallo di idrossiapatite e se, visto il legame aspecifico che si crea tra farmaco e cristallo, questa interazione ne modificasse la conformazione quindi la sua attività antitumorale. E’ stato quindi effettuato un ulteriore prova in cui si è valutata la vitalità delle linee cellulari con il farmaco adsorbito sul nanocristallo di idrossiapatite e con la stessa quantità di farmaco utilizzato da solo. I dati riportati negli ultimi due grafici di questo report mostrano come la vitalità delle due linee cellulari sia la medesima, indipendentemente che il farmaco sia adsorbito sul nanocristallo di idrossiapatite o che sia libero. L’andamento della vitalità, quindi, è indipendente dall’adsorbimento o meno del farmaco sull’idrossiapatite. Si evince quindi che l’idrossiapatite non modifica l’efficacia dei due farmaci. In conclusione lo studio mostra la capacità dei nanocristalli di idrossiapatite biomimetica di adsorbire i due farmaci di platino nonché di liberarli in opportuni ambienti acquosi. Il farmaco EP230 si adsorbe più facilmente sui cristalli di idrossiapatite biomimetica, probabilmente grazie al minor ingombro sterico. A parità di concentrazione di platino rilasciata, i risultati ottenuti con i due farmaci adsorbiti sull’idrossiapatite sono del tutto paragonabili a quelli ottenuti con il farmaco tal quale: questo ci suggerisce che viene rilasciato esattamente il farmaco stesso e non vengono indotte modifiche strutturali. (f) Nanotubi inorganici e nano particelle metalliche per applicazioni biomedicali La scienza dei materiali si propone di rispondere al bisogno dell'uomo di sostituire od integrare tessuti ed organi danneggiati o provvedere alla somministrazione di un farmaco con accurato controllo della zona di rilascio. I presupposti fondamentali affinché si possa parlare di biocompatibilità richiedono che il materiale in questione, una volta immesso nel corpo umano, interagisca con esso nel minor modo possibile, impedendo così la comparsa di reazioni dannose nell'organismo ospite. In base agli effetti prodotti dall’ambiente biologico sul dispositivo impiantato, quest’ultimo può essere definito biostabile oppure biodegradabile. Il termine biostabile si usa quando il materiale è in grado di resistere ai processi degradativi e di trasformazione indotti dall’ambiente biologico con il quale si trova a contatto; al contrario, un biomateriale è biodegradabile se subisce una trasformazione chimica o una progressiva demolizione, in conseguenza di specifici eventi da parte dell’organismo. In base all’interazione tra materiali e organismo, è possibile inoltre distinguere i biomateriali in bioinerti, biotossici, bioriassorbibili. Sono considerati bioinerti, anche se in realtà nessun materiale lo è completamente, gli ossidi di tantalio, titanio, alluminio, zirconio e le leghe cobalto-cromo-molibdeno, che sono tollerati dall’organismo¸ in questo caso l’impianto non si integra con il tessuto e non provoca neppure fenomeni di incompatibilità. I materiali biotossici invece inducono processi di tipo chimico e/o galvanico, con conseguenti reazioni indesiderate da parte del tessuto biologico. Appartengono a questa classe, oltre ad alcuni polimeri, le leghe a base di nichel, cadmio, vanadio ed anche alcuni tipi di acciaio . Con l’avvento delle più recenti tecniche sintetiche si è giunti oggi alla terza generazione di biomateriali, capaci di superare i concetti di biocompatibilità e bioriassorbibilità, raggiungendo il nuovo traguardo di materiali bioattivi; sono così definiti materiali capaci di portare con sé informazioni fin dentro l’ambiente fisiologico, dimostrando selettività e stimolando una specifica risposta cellulare. L’ottenimento di queste funzionalità richiede un elevato grado di sofisticatezza, miniaturizzazione, organizzazione gerarchica, ibridazione, tipicamente dimostrato dai materiali biogenici; un approccio spesso seguito dalla scienza dei materiali per ottenere prodotti con determinate caratteristiche prevede la mimesi di questi ultimi. Nei processi biosintetici viene mantenuto un perfetto controllo spaziale della chimica su scala micro-nanometrica attraverso l’utilizzo di strutture quali vescicole, membrane,etc. garantendo le condizioni di sintesi ottimali negli spazi inter-intra cellulari. 34 Un paragonabile livello di controllo può essere raggiunto in laboratorio ottimizzando i parametri sintetici e ricorrendo ad alcuni “escamotages” che rendono accessibili architetture e morfologie particolarmente complesse. Un esempio di questo tipo di strategie è la sintesi templata: il processo sintetico che porta alla formazione del bulk di materiale viene condotta in un ambiente spazialmente delimitato dal cosiddetto “templante”, un componente inerte dal punto di vista reattivo, ma essenziale per definire la morfologia del prodotto. Si sono sviluppate diverse tecniche che fanno uso di materiali templanti, alcune delle quali che prevedono l’incorporazione del templante nel prodotto finito, altre che introducono step di rimozione del templante una volta consolidata la matrice, mentre le più interessanti in termini di efficienza e qualità del prodotto si basano sulla completa trasformazione del templante nel prodotto di interesse. Con l’obiettivo di realizzare dispositivi solidi con definite proprietà meccaniche che dimostrino bioattività in ambiente fisiologico, un materiale elettivo verso cui rivolgere l’attenzione è il tessuto connettivo duro mineralizzato. L'osso è composto da una fase minerale o inorganica (60-70% del tessuto), da acqua (circa il 5%) e da una matrice organica; circa il 90% di questa è costituita da collagene, mentre il rimanente 10% sono proteine non collageniche, proteoglicani e glicoproteine. Le notevoli proprietà meccaniche dell’osso (come la resistenza alla trazione, pressione e resistenza alla torsione e durezza) sono date principalmente dalla sua fase minerale, in cui troviamo cristalli di idrossiapatite (85%), assieme a carbonato di calcio (circa il 10%), altri sali come il fosfato di magnesio e fluoruro di calcio e tracce di sodio, potassio, stronzio, manganese, zinco, rame. Osso, dentina e smalto contengono tutti apatiti biologiche, che vanno a costituire le fasi minerali dei tessuti calcificati. Dal punto di vista morfologico, i cristalli di idrossiapatite hanno la forma di aghi, piatti e bacchette; essi vanno a disporsi tra le fibre di collagene durante il processo di ossificazione. I cristalli aghiformi hanno dimensioni di 20-80 nm di lunghezza e 1,5-3,0 nm di spessore. Dal punto di vista chimico, il termine di idrossiapatite (HA) identifica un composto ben definito, con formula molecolare Ca10(PO4)6(OH)2, un rapporto Ca/P di 10:6 e una percentuale degli elementi principali: Ca=39,9%, P=18,5% e OH=3,38%. Questa molecola cristallizza in un sistema esagonale (dimensioni della cella: a = b = 9,418 Å, c = 6,884 Å) con gruppo spaziale P63/m. Fig. 1. Struttura cristallina dell`apatite Grazie ai risultati della ricerca oggi le bioceramiche a base di fosfato di calcio e soprattutto HA sono ampiamente utilizzate come sostituti ossei in chirurgia ricostruttiva. Un metodo più interessante e in continuo sviluppo per la sintesi di HA riguarda la chimica biomimetica. Le apatiti biomimetiche derivano da una grande varietà di organismi naturali, in grado di imitare la struttura ossea e dare un supporto per la riparazione dell'osso, con conseguente realizzazione di scaffold porosi, aventi composizione e microstruttura simili alla struttura inorganica mineralizzata delle ossa naturali. Molti studi indicano metodi per convertire idrotermicamente le strutture di aragonite naturale (ad esempio coralli, madreperle, seppie, ecc) in idrossiapatite. La caratteristica comune di tutti questi diversi modelli è che le geometrie “open-pore”, con superfici altamente microporose e microstrutture, permettono la crescita e la riorganizzazione cellulare e di fornire lo spazio necessario per la vascolarizzazione. Grazie ad una elevata organizzazione gerarchica, anche le 35 strutture di legno naturale sono state scelte come punto di partenza per la loro conversione in scaffold di idrossiapatite biomimetici nel campo dell'ingegneria ossea. Uno dei lavori più interessanti si basa sulla trasformazione chimica di diversi tipi di legno in scaffold di idrossiapatite, attraverso una sequenza di processi termici e idrotermali. Scopo di questo lavoro è quello di applicare e ottimizzare una procedura nata per trasformare le strutture gerarchiche esistenti in natura su dei substrati sintetici molto studiati per le loro prestazioni: i nanotubi di carbonio (CNTs) I CNTs ricoprono un ruolo importante nella ricerca dei nano materiali, grazie alle loro particolari proprietà meccaniche, ottiche, elettriche e strutturali. Nonostante l'enorme potenziale dei CNTs, la tossicità di questi materiali nei sistemi biologici è una delle questioni che devono ancora essere completamente studiate e soprattutto risolte. Fino ad oggi l’unico modo per integrare nei sistemi biologici i CNTs, è quello di funzionalizzarli. La funzionalizzazione può rendere i CNTs più solubili e migliorare le loro proprietà di biocompatibilità. Inoltre, attraverso la funzionalizzazione, agenti bioattivi possono essere coniugati con i nano tubi, che fungono da carrier per il drug, antigen o gene delivery. La trasformazione dei nanotubi di carbonio in un materiale apatitico inorganico, non conduttore aumenterebbe esponenzialmente la loro biocompatibilità e idrosolubilità e permetterebbe di ottenere un materiale non conduttore ad elevata area superficiale, potenzialmente capace di trasportare nelle sue cavità un agente farmacologico. Il lavoro sperimentale si basa sul processo multi-step descritto da Tampieri et al., proposto e ottimizzato per la trasformazione di scaffold di legno naturale in idrossiapatite. Il nostro lavoro è stato quello di trasformare materiali a base di carbonio nanostrutturati (CNTs) in materiali di idrossiapatite, attraverso quattro trattamenti termici consecutivi: processo di carburazione dei campioni pirolizzati attraverso l’infiltrazione si vapori di calcio per produrre carburo di calcio; processo di ossidazione per trasformare carburo di calcio in ossido di calcio; carbonatazione sotto flusso di CO2 per la conversione ulteriore in carbonato di calcio; processo di fosfatazione finale attraverso un trattamento idrotermale per ottenere strutture in idrossiapatite. Fig. 2. Schema del processo multi-step utilizzato per le trasformazioni. 36 Fig. 3. Immagine SEM di CNTs non modificati. Per la preparazione dei campioni sono stati utilizzati nano tubi di carbonio multiwall (MWCNTs, diametro 110-170 nm, lunghezza 5-9 µm, purezza >90%) dispersi in una matrice di µ-cellulosa. 0,050 g di MWCNTs sono stati miscelati in 0,400 g di cellulosa microcristallina e pressati insieme con apparato pasticcatore SPECAC (diametro 13 mm) ad una pressione di circa 3 tonnellate, al fine di ottenerne delle compresse. Le compresse sono state trattate termicamente in fornace secondo la seguente rampa di riscaldamento:riscaldamento a 200°C con velocità 5°C/min ;riscaldamento da 200°C a 700°C con velocità 1°C/min; - raffreddamento a RT. Lo step di carburizzazione è stato ottenuto tramite infiltrazioni di vapori di Calcio attraverso la porosità della matrice di Carbonio. 2C + Ca CaC2 [∆H=-15.37 Kcal] Le compresse pretrattate sono state poste in un crogiolo in allumina sinterizzata insieme ad 1.3 equivalenti di Calcio metallico. In una fornace tubolare i campioni cosi preparati sono stati trattati termicamente secondo una programmata termica illustrata in figura 4 e mantenuti costantemente sotto flusso di Argon per prevenire l’ossidazione del campione per contatto con l’ossigeno atmosferico e per evitare la formazione di Calcio idrossido per reazione dell’ umidità dell’aria con il carburo formatosi. CaC2 + 2H2O Ca(OH)2 + C2H2 [∆H=-28.02 Kcal] Il prodotto ottenuto da questo passaggio è un carburo di Calcio (CaC2) che riproduce la struttura anisotropica del materiale di partenza. Fig. 4. Ciclo termico della fase di carburizzazione per infiltrazione di vapori. 37 Lo step di ossidazione permette la conversione del carburo di Calcio formato ad ossido di Calcio per effetto di un trattamento termico condotto in aria. È ipotizzabile un meccanismo di reazione che coinvolge due passaggi: idratazione del carburo per effetto dell’umidità dell’aria e istantanea deidratazione dell’idrossido formato che si trova al di sopra della propria temperatura di degradazione (circa 480°C). 1) CaC2 + 2H2O Ca(OH)2 + C2H2 2) Ca(OH)2 CaO + H2O Reazione totale: CaC2 + H2O CaO + C2H2 Il trattamento termico di questo passaggio prevede un rapido riscaldamento (200 °C/h) fino 900°C per evitare una consistente formazione di Ca(OH)2 che denaturerebbe la morfologia del campione, e successivamente il mantenimento delle condizioni per 12 ore, in modo da permettere il completamento della reazione solido/gas limitata dalla diffusione attraverso la matrice solida. Lo step di carbonatazione prevede nuovamente una reazione solido/gas con lo scopo di convertire completamente il CaO in carbonato di Calcio. CaO + CO2 CaCO3 [∆H=-41.99 Kcal] Ancora una volta il limite di questa reazione risulta essere la diffusione della fase gassosa attraverso la struttura cristallina, via via sempre più compatta procedendo con i diversi trattamenti termici in alta temperatura. Diverse tecniche sono state utilizzate per ottimizzare questo passaggio abbastanza critico: in un primo momento si è proceduto con un trattamento termico del campione a 900°C per 12 h sotto flusso di CO2, ma la difficile diffusione del gas attraverso gli strati di CaCO3 formatisi superficialmente non ha portato alla completa conversione del prodotto, con conseguente dissoluzione del campione nella successiva fase di fosfatazione (in soluzione acquosa). Si è quindi ottenuta completa conversione ricorrendo ad un passaggio a 400 °C per 10 h in un reattore idrotermale in pressione di CO2 (2,3 MPa). Per cercare di semplificare il percorso sintetico si è anche provato a ottenere direttamente la fase carbonatica da CaC2 senza passare per l’ossidazione secondo la seguente reazione: 2CaC2 + 5O2 2CaCO3 + 2CO2 [∆H=-736.46 Kcal] Il prodotto ottenuto presentava completa conversione, ma la morfologia risultava completamente compromessa. In ultimo, lo step di fosfatazione è stato condotto in condizioni idrotermali: i campioni convertiti in CaCO3 sono stati immersi in una soluzione contenente Diammonio fosfato (DAP) come fonte basica di fosfati (pH= 8,1 ; rapporto molare 1:3 fra ioni CO3/PO4) all’interno di un bicchiere di teflon; posto quest’ultimo all’interno di un reattore, la temperatura è stata portata a 200°C per 16 h (pressione sviluppata circa 12 bar), promuovendo la seguente reazione: 10CaCO3 + 6(NH4)2HPO4 + 2H2O Ca10(PO4)6(OH)2 + 10(NH4)HCO3 + 2NH3 + 2H+ [∆H=13.149 Kcal] Le tecniche di diffrazione di raggi X (XRD) su polveri e microscopia elettronica a trasmissione (TEM) sono state utilizzate per caratterizzare in fase preliminare i prodotti ottenuti; si è dimostrato in questo modo la validità del processo descritto per la sintesi di strutture nano tubolari di fosfati di calcio in fase apatitica. 38 a) b) Fig. 5. Confronto fra diffrattogramma XRD a) di nano tubi di carbonio nativi e b) dopo trattamento multistep (idrossiapatite). CNTs CNTs CaCO3 HA CaO a) b) Fig. 6. a) confronto tra i diffrattogrammi XRD dei nanotubi di carbonio e di CaCO3 e CaO dopo carbonatazione; b) confronto tra i diffrattogrammi XRD dei nanotubi di carbonio e di HA dopo fosfatazione. a) b) 39 c) e) d) f) Fig. 7. a), b) immagini TEM di nanotubi di carbonio multiwall nativi; c) ,d), e), f) immagini TEM dei prodotti di reazione, che dimostrano la presenza di strutture tubolari. Il completamento del lavoro prevede una più complete caratterizzazione dei prodotti ottenuti tramite tecnica BET per valutare l’area superficiale dimostrata da campioni con questa morfologia, e un successivo studio sull’applicabilità di questi materiali in campo biomedicale, sia come filler ossei ad elevata biointegrazione, sia nel campo del drug delivery. 40 UNITA’ DI RICERCA DI CAMERINO Direttore Scientifico: Prof. Alfredo Burini L’attività di ricerca svolta nell’anno 2014 ha riguardato la sintesi, la caratterizzazione e lo studio dell’attività antitumorale di diversi derivati di Ru(II) e Cu(I). I risultati più salienti delle tematiche studiate sono di seguito riassunte. - Attività antitumorale di nuovi derivati di rutenio(II) solubili in acqua. In anni recenti avevamo dimostrato che derivati organometallici di rutenio(II) coordinato alla curcumina mostrano attività antitumorale che dipende sia dal frammento metallico sia dal legante chelato al rutenio. I nostri studi sono proseguiti nella sintesi e caratterizzazione di nuovi (arene)RuIIacilpirazolonati che sono più solubili in acqua rispetto ai composti con la curcumina. I composti sono stati sintetizzati in accordo al seguente schema di reazione: Schema della sintesi dei derivati [(arene)RuII(Q)Cl] e [(arene)RuII(Q)(X)]BF4 (arene = p-cimene, benzene, esametilbenzene; HQ = 1,3-dimetil-4-R-(C=O)-5-pirazolone, HQMe, R = metil, HQPh, R= fenil, HQNaph, R = naftil; X = H2O, 9-etilguanina). I composti 3 e 4 sono stati caratterizzati anche strutturalmente tramite diffrazione ai raggi-X. 41 L’attività antiproliferativa in vitro dei derivati sintetizzati fu testata sulle linee cellulari MCF7 (HTB-22, adenocarcinoma del seno), HCT116 (CCL-247, carcinoma del colon retto), A2780 (carcinoma dell’ovaio), A549 (CCL-185, carcinoma del polmone) e U87 MG (HTB-1, glioblastoma) e riassunta in tabella 3: Dai valori di IC50 si evidenzia che il composto 3, contenente il gruppo 4-naftil nel legante Qnaph, ha un’attività antitumorale maggiore rispetto ai relativi 4-metil e 4-fenil derivati di rutenio. Quindi sul derivato{chloruro-(p-cimene)-[(1,3-dimetil-4-(1-naftil)-pirazolon-5-ato]rutenio(II)}, 3, furono eseguiti studi DFT e fu selezionato per il docking sul DNA, da cui possiamo notare l’intercalazione del composto 3 fra le basi di DNA tramite il naftile e il legame Ru-N7(guanina). - Attività antiproliferativa di derivati di Cu(I) con leganti scorpionato e coleganti fosfinici. Sono stati sintetizzati complessi tetraedrici di rame(I) del tipo TpCuP, dove Tp è un N,N,Ntris(azolil)borato e P è una fosfina terziaria (schema 1, 3). 42 Questi composti sono stati caratterizzati tramite NMR, ESI-MS, XAS-EXAFS. La struttura del composto 10 fu determinata anche tramite diffrazione ai raggi- X. 43 Tutti i complessi di rame(I) furono testati per la loro attività antiproliferativa su linee cellulari tumorali umane. I complessi più attivi [HB(pz)3]Cu(PCN), 1, e [HB(pz)3]Cu(PTA), 2, mostrarono una selettività nell’inibizione dell’attività del proteasoma 26S maggiore nelle cellule tumorali rispetto alle cellule normali. 44 Non sono stati rilevati marcatori biochimici di apoptosi e studi morfologici rivelarono una vacuolizzazione estensiva del citoplasma che metteva in risalto un meccanismo di morte cellulare paraptosi-simile. Infine l’efficacia antitumorale del complesso 1 è stata confermata in vivo nel modello murino LLC (Lewis Lung Carcinoma). La componente biochimica dell’unità operativa oltre ad aver collaborato con i chimici inorganici ha svolto ricerche indipendenti sul coinvolgimento di sistemi enzimatici del metabolismo nucleotidico in diverse patologie. Questi studi, di seguito riassunti, sono la base per future collaborazioni. - Effetto antitumorale della sanguinarina, attraverso l’inibizione della diidrofolato reduttasi. La sanguinarina è un alcaloide derivato dalla radice di Sanguinaria canadensis, nota per i suoi effetti antimicrobici, antiossidanti, anti-neoplastici e anti-infiammatori. L’obiettivo di questo studio è stato quello di valutare l'effetto di questo alcaloide nei confronti dell’attività enzimatica della diidrofolato reduttasi (DHFR) in linee cellulari di cancro al seno (A17 e MDA-MB-231) e in fibroblasti normali (NIH-3T3). L'attività enzimatica della DHFR è stata drasticamente influenzata dal trattamento con la sanguinaria, sia nelle cellule normali NIH-3T3 che nelle cellule tumorali murine A17, e umane MDA-MB-231, che erano resistenti al metotrexato. In particolare, in presenza di sanguinarina 3 µM si è osservata un’attività residua della DHFR al 34.5% in cellule A17, ed un effetto simile è stato ottenuto in cellule NIH-3T3. È interessante notare in Figura 1 che la sanguinarina 1.5 µM è sufficiente a ridurre a circa il 50% l'attività residua della DHFR in cellule MDA-MB-231. Figura 1. Effetto della sanguinarina sull’attività enzimatica della DHFR in cellule 3T3, A17 e MDA. 45 In questo lavoro è stato sviluppato anche un metodo bio-analitico per rilevare la quantità di sanguinarina accumulata all'interno delle cellule analizzate. Inoltre abbiamo iniziato uno studio di proteomica (2D-PAGE elettroforesi) per valutare l'effetto della sanguinarina nell'espressione del pattern proteico delle cellule tumorali . - Invecchiamento ed aggregazione di proteine: coinvolgimento del metabolismo del NAD nei meccanismi di cell-repair nel lievito. Lo studio del lifespan cronologico, o fase stazionaria, in cellule di lievito Saccharomices cerevisiae permette di comprendere le basi molecolare correlate alle alterazioni neuronali osservate nell’invecchiamento sia in condizioni fisiologiche che in condizioni neurodegenerative. Per questo motivo è stato creato un modello di neurodegenerazione inserendo in cellule di lievito un plasmide che codifica per la proteina coinvolta nell’Huntington Disease (huntingtin) contenente un tratto di 103 glutammine (polyQ) responsabili dell’aggregazione della proteina. Poiché vari studi hanno dimostrato che l’enzima coinvolto nella sintesi del NAD, la nicotinammide mononucleotide arenilitransferasi, NMNAT, è in grado di proteggere le cellule attraverso un meccanismo che coinvolge la degradazione di proteine misfolded tossiche per la cellula, è stato intrapreso uno studio del metabolismo del NAD in cellule di lievito wild-type e contenenti la proteina tossica (polyQ huntingtin). E’ stato quindi sviluppato un metodo cromatografico in RP-HPLC per la determinazione dei metaboliti coinvolti nella sintesi del NAD per valutare i livelli di nicotinammide, NMN, e NAD ed altri metaboliti in risposta all’invecchiamento nelle cellule di lievito. Figura 2. Separazione cromatografica in RP-HPLC dei metaboliti coinvolti nella sintesi del NAD. 46 UNITA’ DI RICERCA DI CATANIA Direttore Scientifico: Prof. Raffaele Pietro Bonomo Caratterizzazione chimico-fisica e biochimica di complessi di rame(II) con leganti di interesse biomedico I temi di ricerca affrontati riguardano: Studio dei complessi di rame con amilina e della loro influenza sulla cinetica di degradazione da parte dell’IDA. L’amilina è un substrato dell’IDE e compete con la proteina Aβ nell’interazione con il sito catalitico dell’IDE. Sono state studiate le cinetiche di degradazione del peptide amilina da parte dell’IDE. In particolare, sono stati identificati tutti i siti di taglio tramite tecnica HPLC-MS che ha permesso di distinguere i siti di taglio primari da quelli secondari. E’ stato poi studiato l’effetto modulatore degli ioni metallici (rame e zinco) sulla degradazione dell’amilina da parte dell’IDE. A tal fine, è stato prima necessario effettuare uno studio completo dell’interazione del rame con l’amilina tramite diverse tecniche analitiche. I risultati di tale studio hanno messo in evidenza la natura non fibrillogenica degli aggregati amilina-rame (sono stati effettuati anche studi di citotossicità su colture cellulari) e come la presenza di rame abbia una notevole influenza sulla degradazione enzimatica da parte di varie proteasi. In particolare, l’effetto dei metalli sulla degradazione dell’amilina da parte di IDE è stato approfondito ed i risultati sono stati pubblicati in un secondo articolo scientifico. In tal caso è stata applicata una nuova metodologia sperimentale, basata su misure accoppiate di cromatografia e spettrometria di massa, che ha permesso di individuare non soltanto i siti di taglio ma anche la variazione nella cinetica di formazione dei singoli frammenti in presenza di rame e zinco. In particolare si è trovato che la presenza di ioni zinco provoca la formazione di oligomeri e fibrille di amilina umana, mentre l’amilina di ratto esiste come monomero anche in presenza di questo ione metallico. Inoltre, sia il rame che lo zinco inibiscono l’azione dell’IDE su entrambi i tipi di amilina, ma alcune importanti differenze sono emerse. Mentre il legame di ioni rameici ha un effetto primario sui siti di taglio Asn22–Phe23 e Leu27– Ser28 dell’amilina, la variazione dei siti di taglio dell’IDE in presenza di zinco indica un legame di quest’ultimo con His18 nel caso dell’amilina umana e di Asn-14 nel caso di amilina di ratto. Infine, due collaborazioni scientifiche con gruppi stranieri hanno portato alla pubblicazione di altri due lavori riguardanti IDE e metalloproteasi. Studio dei complessi del Cu2+ con l’eptapeptideSemax, un analogo del frammento ACTH4-10 dell’ormone adrenocorticotropo. Semax è un peptide sintetico costituito dal frammento 4-10 (ACTH4-10) Met-Glu-His-Phe dell’ormone adrenocorticotropo (ACTH) e dal peptide Pro-Gly-Pro noto per stimolare i processi di formazione, attenzione, apprendimento e memoria. E’ noto che gli ioni metallici sono coinvolti in numerose malattie neurodegenerative e la disomeostasi dei metalli è un fattore di rilievo nello sviluppo delle patologie neurologiche e nell'invecchiamento. In quest’ambito sono stati caratterizzati i complessi del Cu2+ con il peptide Semax. I dati hanno mostrato che il peptide è in grado di legare fortemente Cu2+ e di proteggere dalla tossicità indotta da Cu2+ su culture cellulari di neuroblastoma. Studio delle caratteristiche antiaggreganti di derivati ciclodestrinici con 8-idrossichinolina. Sono state effettuate misure di Dynamic Light Scattering e Calorimetria a scansione differenziale sulla capacità di 8-idrossichinoline, funzionalizzate con ciclo destrine, di proteggere una proteina modello quale la beta-lactoglobulina dall’aggregazione indotta da metalli quali Cu2+ e Zn2+. Le misure effettuate sulle molecole sintetizzate presso i nostri laboratori hanno messo in evidenza che l’attività antiaggregante di queste molecole è dovuta alla loro capacità di coordinare i metalli, in 47 particolare lo Zn2+, impedendo così al metallo di legarsi alla proteina destabilizzandola e inducendone l’aggregazione. Studio del ruolo della carnosina sulla stabilità strutturale dell’α-cristallina sottoposta a stress termico e chimico. Sono state anche studiate le proprietà strutturali dell’α-cristallina mediante misure small angle Xrayscattering (effettuate presso l’EuropeanRadiationSynchrotronFacility (ESRF), Grenoble, Francia) e dynamic light scattering. In particolare è stato studiato il ruolo della carnosina nel proteggere l’α-cristallina dalle variazioni strutturali e aggregazione indotte da temperatura ed agenti denaturanti. I risultati hanno mostrato che la carnosina interagisce attraverso un meccanismo che coinvolge interazioni idro fobiche, mediando sulla auto aggregazione della proteina indotta dallo stress termico e chimico. Il Diabete di tipo II e la malattia di Alzheimer. Il Diabete di tipo II e la malattia di Alzheimer sono patologie irreversibili, correlate tra di loro e ad alto impatto sociale (per il solo diabete II si stimano 350 milioni di casi di cui 5.4 milioni in Italia previsti nel 2030, e simili numeri per l’Alzheimer sono forniti da proiezioni dell’ OMS). In questo ambito, alcune molecole di origine naturale (ad es. resveratrolo e silibina) e loro derivati hanno recentemente attirato l’attenzione dei ricercatori perché: i) hanno generalmente effetti collaterali limitati; ii) la loro formulazione come farmaci chemopreventivi è poco costosa; iii) è possibile ricostruire una correlazione statisticamente significativa tra incidenza delle patologie e diffuso utilizzo di tali molecole in alcune popolazioni specifiche (ad esempio l’uso della spezia curcuma in alcune popolazioni indiane è direttamente correlabile alla bassa incidenza di patologie neurodegenerative in questi gruppi di persone). Tra queste molecole di origine naturale il resveratrolo (una molecola presente in alcuni alimenti quali ad esempio il vino rosso) occupa una posizione privilegiata ed il suo potenziale utilizzo nella prevenzione di molte patologie legate all’invecchiamento ha suscitato molto interesse. Il principale problema nell’uso del resveratrolo risiede nella sua bassa solubilità in acqua che ne rende difficile la veicolazione nei tessuti. Poiché una delle ragioni della tossicità degli amiloidi si ritiene risieda nella capacità dei diversi aggregati proteici di danneggiare l’integrità delle membrane plasmatiche, abbiamo inizialmente valutato la capacità del resveratrolo naturale e di alcuni suoi derivati nell’inibire il danno da amiloidi nei confronti di membrane modello zwitterioniche e anioniche. Si è in particolare osservato che il resveratrolo non sembra inibire la crescita di fibrille sulla superficie delle membrane. Tuttavia questo prodotto inibisce il danno indotto sulla membrana dagli oligomeri a basso peso molecolare (porazione). Pertanto, si è pensato di sintetizzare, in collaborazione con un gruppo di esperti dell’Università di Catania, un nuovo derivato ancorato ad un lipide che si dispone sulla superficie della membrana impedendo la amiloidogenesi sulla superficie della membrana. Studi di fluorescenza ThT, NMR allo stato solido, di “dye-leakage” di AFM e di Dynamic light scattering sono stati effettuati allo scopo di valutare il potenziale di queste molecole nell’inibire la proteotossicità da beta amiloide e amilina. Nell’ambito della tematica che studia i derivati porfirinici come inibitori del proteasoma, e in continuazione con quanto già fatto, l’attività è stata sviluppata su due piani sperimentali paralleli. Il primo (approccio molecolare), impiegando campioni di proteasoma purificato 20S, mira all’identificazione di nuovi derivati con maggiore efficienza inibitoria e meccanismo diversificato; l’altro (approccio biologico) è un’ indagine su colture cellulari che ha come obiettivo, l’attività antitumorale, lo studio dell’ uptake e del destino cellulare di queste molecole. Nella prima fase sperimentale abbiamo preso in esame due derivati porfirinici; uno di questi, (MTPyAPI) se confrontata con la “parentmolecule” H2T4, mostra un gruppo periferico funzionalizzato con l’apidecina, un peptide naturale antibatterico. In letteratura recentemente è stato descritto un esempio di inibitore allosterico di natura peptidica (PR38) che è anch’esso un antibatterico naturale. L’altro derivato T-[4-(4(N-Me-Py)-Ph]porph-I4, rispetto all’H2T4 mantiene lo stesso numero di meso-tetrakis(4-N-methylpyridyl)-porphine (H2T4) T-[4-(4(N-Me-Py)-Ph]porph-I4 cariche, ma ha 48 le catene più lunghe; in sostanza le cariche positive, determinanti nell’attività inibitoria, sono state “allontanate” rispetto al core porfinico. L’uso combinato dei due derivati del resveratrolo sopra descritti si è rivelato efficace nel bloccare totalmente il danno da amiloidi osservato sulle membrane lipidiche modello. Gli studi strutturistici NMR, condotti in collaborazione con l’Università del Michigan, hanno confermato il meccanismo di funzionamento di questi derivati antiamiloidogenici. Per quanto attiene ai derivati porfirinici, la loro attività inibitoria è stata determinata su tutt’e tre le attività proteolitiche del 20S mostrando valori di IC50 sono confrontabili a quelle riportate per l’H2T4. E’ necessario ricordare che precedentemente il meccanismo inibitorio dell’H2T4 è stato evidenziato come di tipo competitivo e che indagini NMR e di dinamica molecolare sono state effettuate per stabilire ulteriori dettagli meccanicistici. In parallelo allo studio dell’efficienza inibitoria, è stato effettuato lo studio di cinetica enzimatica a concentrazioni variabili di substrato e di inibitore su entrambi i derivati. Il derivato peptidico MTPyP-API ha un efficienza inibitoria simile all’H2T4 e un meccanismo di tipo competitivo, per il derivato T-[4-(4(N-Me-Py)-Ph]porphI4 il grafico dei doppi reciproci indica che in questo caso il meccanismo inibitorio coinvolto non è “competitivo puro”, bensì misto. Sembra che le “code” aromatiche, da un lato riducono l’efficienza inibitoria ma si è riusciti a fare un primo passo per ottenere un inibitore di tipo ”non competitivo”. I risultati ottenuti sui derivati del resveratrolo sono frutto della collaborazione con esperti appartenenti ad enti nazionali ed internazionali diversi (Università di Catania e Università del Michigan). Nell’ambito di una collaborazione scientifica attivata con l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, si saggerà il potenziale anti-amiloide di alcune nuove molecole di origine naturale isolate dal carciofo selvatico in collaborazione con un gruppo di ricerca dell’Università Federico II di Napoli (Dr. G. Di Fabio). Tali molecole verranno provate su modelli in vivo di neurodegenerazione da beta-amiloide (C. Elegans). I meccanismi di inibizione dell’aggregazione amiloide ad opera dei candidati farmaci saranno studiati “in silico” anche avvalendosi di esperti con cui sono state da tempo attivate proficue collaborazione (università di Zurigo gruppo del Prof. A. Caflisch, e Università di Eindhoven, The Netherlands, gruppo del Prof. MikkoKarttunen). Determinazione della stabilità del monomero di Aß in liquidi biologici e non e identificazione di piccole molecole stabilizzanti dei monomeri. Un altro importante obiettivo del nostro progetto era la caratterizzazione delle proprietà fisicochimiche e biologiche di peptidi appositamente disegnati come antiaggreganti e/o stabilizzanti delle forme monomeriche di Aß. Due peptidi sono stati disegnati, sintetizzati e studiati dal nostro gruppo: i glicoconiugati con trealosio del frammento KLVFF, corrispondente alla sequenza 16-20 della proteina beta amiloide ed il suo derivato LPFFD. La coniugazione al trealosio aumenta le capacità anti-aggreganti dei peptidi in esame. Studi chimico-fisci sul peptide trealosato LPFFD hanno messo in evidenza, come questo, sembri capace di riconoscere specificamente la regione 16-20 del beta amiloide, e di impedire in tal modo la conseguente interazione che porta alla oligomerizzazione del peptide. Studi condotti su colture primarie sembrano dimostrare che il peptide trealosato LPFFD protegge i neuroni da stimoli tossici indotti dalla deprivazione in fattori trofici o dallo stimolo eccitotossico dell’NMDA. Per poter chiarire quale siano le specie molecolari responsabili di tali effetti protettivi, sono stati messi a punto dei protocolli sperimentali che permettano di differenziare e separare tramite esperimenti di elettroforesi le diverse forme stabilizzate dal nostro peptide trealosato LPFFD. Il protocollo prevede l’uso di SDS-PAGE in gradiente 4-12%, per separare adeguatamente le diverse specie di oligomeri, che verranno quindi visualizzati tramite l’anticorpo specifico per Aß1-42 , noto come 6E10. Per la preparazione delle specie oligomeriche di diverso peso molecolare, abbiamo effettuato una incubazione controllata di Aß1-42 in presenza del derivato trealosato LPFFD in rapporto di concentrazione 1/20. Le condizioni di incubazione sono descritte in Stine et al., 2003. L’esperimento ha dimostrato che la presenza del peptide trealosato LPFFD, blocca la formazione di specie oligomeriche di peso molecolare superiore a 14KD essendo evidente la presenza solo di 49 specie dimeriche, trimeriche ed al massimo tetrameriche. In ogni caso la specie corrispondente al monomero appare molto abbondante ed in tal senso questo derivato agisce come stabilizzante della forma monomerica di Abeta. Assorbimento di NGF e BDNF su superfici d’oro. Questo studio ha riguardato l'interazione tra superfici d'oro e due frammenti peptidici, NGF(1-14) e BDNF(1-12), in grado di mimare l'attività proliferativa rispettivamente del fattore di crescita nervoso (NGF) ed il fattore neurotrofico derivante dal cervello (BDNF). I processi di adsorbimento fisico sulla superficie del solido sono stati studiati sia per soluzioni di peptidi singoli che per le soluzioni e binarie, a pH fisiologico e pH acido, attraverso esperimenti QCM-D e CD, nonché mediante calcoli di dinamica molecolare. Le proprietà fisico-chimiche alla bio-interfaccia ibrida, tra cui l'interazione peptide - superficie, i cambiamenti conformazionali, lo spessore idrodinamico, i parametri viscoelastici ed il comportamento competitivo/sinergico dei due frammenti peptidici verso la superficie, sono stati esaminati. Saggi biologici con cellule di neuroblastoma hanno evidenziato il mantenimento dell'attività biologica dei frammenti peptidici NGF(1-14) e BDNF(112) immobilizzate negli ‘adlayer’ sulla superficie di oro. -Sintesi di sonde per il riconoscimento del rame monovalente Una nuova sonda per il rame monovalente (OBEP - CS1), contenente un gruppo alchil-piridinio, per conferire la completa solubilità in acqua, è stata sintetizzata. Misure di titolazione di fluorescenza hanno dimostrato l’alta affinità di legame e selettività in soluzione acquosa, mentre la formazione di aggregati è stata esclusa da esperimenti DOSY. La capacità della nuova sonda di tracciare pool intracellularidi Cu (I), in particolare localizzati nei mitocondri, è stata dimostrata mediante microscopia confocale su cellule di neuroblastoma differenziate. Derivati dell’idrossichinolna ottenuti dalla funzionalizzazione di beta ciclodestrine. In relazione all’interesse per i coniugati delle 8-idrossichinoline con le β-ciclodestrine (CD) sono stati sintetizzati nuovi coniugati della 8-idrossichinolina con la β-ciclodestrina (figura 1), precedentemente funzionalizzata con funzioni amminiche ed il carbossilico in 2 introdotto sulla 850 idrossichinolina [1]. I glicoconiugati presentano maggiore solubilità del corrispondente eterociclo e mantengono le proprietà complessanti verso il rame(II) e lo zinco(II). Figure 1. Coniugati della β-ciclodestrina Allo scopo di fornire dei dati quantitativi sul ruolo della cavità ciclodestrinica sulle proprietà complessanti della 8-OHQ sono state determinate le costanti condizionali di 1 e 2. I due sistemi studiati complessano il rame(II) e lo zinco(II) con costanti di stabilità maggiori di quelle della 8OHQ per la presenza di altri atomi coordinanti sulla catena di funzionalizzazione. La presenza della ciclodestrina non riduce quindi le capacità complessanti del sistema. I complessi del rame e dello zinco sono stati caratterizzati anche mediante tecniche UV-vis, dicroismo circolare e spettrometria di massa. I leganti sono stati testati come agenti capaci di proteggere proteine modello di aggregazione amiloide, quali la lactoalbumina, dalla aggregazione indotta da ioni metallici. I leganti mostrano una ottima attività antiossidante, maggiore di quella del Trolox nel saggio del TEAC, in relazione alla presenza dell’anello fenolico. La complessazione con lo ione metallico riduce solo debolmente l’attività del legante. Per le proprietà mostrate i sistemi si dimostrano multifunzionali. Le proprietà delle β-CDs sono inoltre state sfruttare per realizzare dei trasportatori del farmaco antitumorale LA-12. A tale scopo sono stati sintetizzati dei coniugati della CDs con acido folico e sono stati isolati i regioisomeri α e γ. La CD funzionalizzata sia in 3 che in 6, in posizione γ dell’acido folico, migliora significamente l’attività del LA-12 su cellule tumorali che sovraesprimono il recettore dell’acido folico quali le MDA-MB-231 [2]. E’ stato proseguito lo studio dei composti analoghi della carnosina. Il nuovo coniugato del trealosio con l’ omocarnosina (trehcar, figura 2) è stato sintetizzato e caratterizzato mediante varie tecniche spettroscopiche [3]. I suoi complessi del rame(II) sono stati caratterizzati mediante potenziometria e spettroscopia UV-Vis e l’attività antiossidante del complessi del rame(II) è stata determinata. In relazione a ciò il legante è stato testato come agente protettivo rispetto all’ aggregazione della proteina amiloide indotta da metalli. Figura 2. Struttura del trehcar 51 Le costante di complessazione con il rame(II) di TreHCar, determinate mediante poteniometria, . dimostrano che la funzionalizzazione non riduce le costanti di formazione delle specie complesse principali. In relazione alle proprietà della carnosina, le proprietà protettive verso l’ aggregazione di Aβ(1-40) di TreHCar sono state testate e confrontate con quelle del semplice trealosio, della semplice omocarnosina o di loro miscele. In particolare i parametri relativi alle curve cinetiche di aggregazione del peptide Aβ(1-40) dimostrano che TreHCar ha un effetto maggiore effetto rispetto sulla quantità di aggregati formati rispetto ai composti genitori, mettendo in luce il vantaggio della coniugazione. 52 UNITA’ DI RICERCA DI FERRARA Direttore Scientifico: Dott.ssa Lorenza Martelli L’Unità di Ferrara ha sviluppato il proprio lavoro di ricerca nell’ambito delle seguenti tematiche: 1) Coordinazione di biomolecole o loro derivati a metalli dotati di attività antitumorale, in particolare platino e rutenio. (Responsabile P.Bergamini, L. Marvelli) 2) Sintesi di complessi di Tc-99 e di Re solubili in acqua per un impiego in medicina nucleare come modelli di radiofarmaci di Tc-99m e Re-188. (Responsabile A.Marchi, L. Marvelli) 3) Metalli in matrici complesse: studio di equilibri di complesso-formazione in soluzione. (Responsabile M. Remelli) 1) Coordinazione di biomolecole o loro derivati a metalli dotati di attività antitumorale, in particolare platino e rutenio. (Responsabile P. Bergamini, L. Marvelli) Le attuali sfide nell’ambito della chimica farmaceutica riguardano sia il miglioramento delle performance dei classici anticancer drugs a base di platino, in uso già da tempo, sia lo studio di potenziali attività di metallofarmaci per la diagnosi e terapia anche di altre patologie soprattutto neurodegenerative, per le quali si sta registrando una crescente incidenza, in particolare nella popolazione occidentale. La progettazione e la sintesi di complessi metallici capaci di raggiungere il sistema nervoso centrale (CNS) superando la barriera ematoencefalica risulta quindi di strategica importanza. Perseguendo l’idea che molecole endogene con appropriate caratteristiche potrebbero legare una specie terapeutica e portarla in uno specifico ciclo biologico, si è focalizzata l’attenzione sull’ottenimento di nuovi complessi di Pt e Ru contenenti come leganti, molecole naturali quali carnitina, acetilcolina e trimetilglicina. Tali molecole contengono un gruppo ammonico quaternario che potrebbe giocare un ruolo importante nel favorire un effetto antiproliferativo sulle cellule cancerogene, a causa dell’attrazione elettrostatica fra l’N+ e il polianione DNA. L-carnitina La L-carnitina è un cofattore essenziale per l’ossidazione mitocondriale degli acidi grassi ed è dotata di sistemi di trasportato specifico attraverso la barriera emato-encefalica. La struttura chimica fa della carnitina un buon candidato per legare ioni metallici, dando specie che potrebbero essere veicolate al cervello. La molecola di L-carnitina può comportarsi come legante anionico, agendo da bidentato chelante oppure da monodentato: E’ stato possibile isolare i primi complessi di platino (II) contenenti L-carnitina, 1, 2 e 3 (Fig.1) e per il complesso 1, [Pt(PPh3)2(L-carnitina-O,O’)]BF4, è stato inoltre possibile determinare la struttura ai raggi X, (Fig.2). Fig.1 53 Fig. 2 [Pt(PPh3)2(L-carnitina-O,O’)]BF4 L’attività antriproliferativa dei complessi 1, 2 e 3 è stata testata su tre linee cellulari tumorali umane: una linea leucemica, K562 e due linee tumorali di cancro ovarico, A2780 (cisplatino sensibili) e SKOV3 (cisplatino resistenti). I risultati dei test indicano che l’attività antiproliferativa di 1, 2 e 3 risulta apprezzabile sia sulle linee cisplatino resistenti così pure sulle SKOV3, platino resistenti, comportamento che porta ad ipotizzare una differente modalità di azione rispetto al cispaltino. Gli incoraggianti risultati possono costituire un punto di partenza per ulteriori indagini farmacologiche nell’ottica di verificare la reale abilità di questi complessi a raggiungere il CNS. Acetilcolina e trimetilglicina Queste molecole naturali non presentano siti ottimali per la coordinazione ad un centro metallico ma il know how precedentemente acquisito in reazioni di N-alchilazione della fosfina PTA, (1,3,5triaza-7-fosfatriciclo[3.3.1.1]decano, ha suggerito la possibilità di ottenere derivati (riportati in Fig.3) in cui lo scheletro delle molecola naturale resta inalterato (incluso l’azoto quaternario) ma la introduzione del fosforo (III) le conferisce capacità coordinativa. PTA = N N N P 1,3,5-triaza-7-phosphatricyclo[3.3.1.1]decane (PTAC2H2OCOMe)BPh4 (PTACH2COOEt)PF6 Fig.3 54 E’ stato possibile ottenere complessi sia di platino che rutenio, mono o di-sostituiti, che sono stati completamente caratterizzati e in alcuni casi, le ipotesi formulate sono state confermate anche da indagini cristallografiche. [CpRu(PPh3)(PTAC2H4OCOMe)Cl]PF6 Sia i leganti che i complessi sintetizzati sono stati testati su linee cellulari di tumori umani (A2780, SKOV3 e K562) per verificarne l’attività antiproliferativa e i migliori risultati si sono riscontrati con i complessi contenenti rutenio. 2) Sintesi di complessi di Re e Tc -99 solubili in acqua per un impiego in medicina nucleare come modelli di radiofarmaci di Tc-99m e Re-188. (Responsabile A.Marchi, L. Marvelli) I promettenti risultati ottenuti per platino e rutenio hanno suggerito di ampliare lo studio di reattività anche a renio e tecnezio, metalli d’interesse farmacologico nell’ambito dell’attività antitumorale e/o diagnostica. La molecola carrier sulla quale si è focalizzata l’attenzione è l’acetilcolina, “ancorata” alla fosfina PTA (1,3,5-triaza-7-phosphatricyclo[3.3.1.1]decane) per conferirle capacità coordinative. (PTAR)+ Ricordiamo che l’attenzione nei confronti della fosfina PTA e dei suoi derivati è in costante aumento grazie ad alcune peculiarità, quali ad esempio, una certa stabilità all’ossidazione, piccole dimensioni, discreta solubilità in acqua e in solventi organici; inoltre, la bassa tossicità del PTA e le proprietà coordinanti nei confronti di diversi centri metallici rendono questa fosfina e i suoi derivati di grande interesse anche in ambito biologico. La strategia sperimentale adottata ha previsto la scelta dei precursori di renio in diversi stati di ossidazione a partire da oxo- e nitruro-complessi di Re(V), quali ReOCl3(PPh3)2 e ReNCl2(PPh3)2, normalmente utilizzati in reazioni di metatesi per l’ottenimento di diverse tipologie di complessi; ReCl2(η2-NNCOPh)(PPh3)2 precursore di renio piuttosto versatile in cui il raggruppamento benzoilidrazido si comporta come un legante semi-labile: il metallo, inizialmente Re(V), in presenza di nucleofili, può subire una prima riduzione a Re(III), per apertura del legante e ottenimento di specie [ReCl2L{η1-N-N2C(Ph)O}(PPh3)2], oppure evolvere direttamente ad un di-azoto derivato di Re(I), [ReCl(N2)(L)2(PPh3)2]. Infine, un complesso di Re(I), (triphos)Re(CO)2OTf, in cui il raggruppamento [(triphos)Re(CO)2]+ costituisce un’unità molto stabile con un unico sito realmente disponibile alla sostituzione con altri leganti, peculiarità che potrebbero risultare vantaggiosa in questa tipologia di reattività. Nel lavoro svolto si è confrontata la reattività dei precursori di renio verso il PTA, mPTA+ e (PTAR)+; è emerso che la coordinazione della fosfina PTA al renio non presenta particolari problemi al variare dello stato di ossidazione del metallo e ha permesso di isolare complessi solubili in acqua e generalmente molto stabili. 55 P N N N PTA P N X + N N Me mPTA+ P N N N+ XOCOMe (PTAR)+ I derivati (PTAR)+ tendenzialmente peggiorano le loro proprietà coordinanti in quanto l’Nalchilazione rende meno nucleofilo l’atomo di fosforo. Poiché la variazione di nucleofilicità è strettamente legata alle caratteristiche dell’alchilante utilizzato, non abbiamo escluso a priori la possibilità di testare ugualmente la reattività di (PTAR)+ anche verso complessi contenenti il metallo in alti stati di ossidazione. In questo caso, pur riscontrando reattività, si sono spesso ottenute miscele di prodotti. L’alchilazione eseguita direttamene su molecole di PTA già coordinate al centro metallico è normalmente piuttosto rapida e porta all’ottenimento di complessi di stabilità variabile in funzione del numero di leganti (PTAR)+ coordinati al centro metallico. I precursori di renio più favorevoli a questa tipologia di reattività sono quelli nei bassi stati di ossidazione, in particolare di Re(I), peraltro isoelettronico con il Ru(II). La complessità dei risultati sperimentali è chiaramente correlabile alla presenza di reazioni concomitanti o equilibri in soluzione che possono portare a miscele di prodotti, spesso molto simili, e quindi difficilmente separabili. Sono ancora in corso ulteriori indagini per chiarire alcuni aspetti di questa reattività. Sviluppo di nuove procedure di sintesi di precursori di Re e Tc-99 in soluzione acquosa a partire direttamente dai loro ioni permetallati. Tra i radiofarmaci attualmente utilizzati nella diagnostica, il Tc-99m ha un ruolo predominante grazie alle sue proprietà nucleari mentre i due isotopi di Re, Re-186 e Re-188, sono usati come agenti terapeutici. L’ottenimento di Re-188 e Tc-99m avviene tramite appositi generatori dai quali vengono eluiti con ioni permetallati in soluzione fisiologica. Il primo step nella preparazione di un radiofarmaco è la riduzione del metallo in stati di ossidazioni inferiori per procedere poi alla complessazione del metallo con l’opportuno legante; attualmente l’agente riducente è lo ione Sn2+. Anche nel corso del 2014 si è continuato il lavoro di ricerca finalizzato allo sviluppo di nuove procedure di sintesi di precursori di Re e Tc a partire dai loro ioni permetallati in soluzione acquosa che siano caratterizzati da una soddisfacente solubilità in acqua compatibili con l’impiego in medicina nucleare. 3) I METALLI IN MATRICI COMPLESSE: STUDIO DI EQUILIBRI DI COMPLESSOFORMAZIONE IN SOLUZIONE (Responsabile M. Remelli) Studio sul meccanismo di coordinazione dello ione Cu(II) un peptide poli-istidinico estratto dal veleno di una vipera africana. I veleni di serpente sono miscele complesse di metalloenzimi, proteine e polipeptidi, contenenti più di 100 tossine. Tra queste, le metalloproteasi (SVMPs), che costituiscono il 30% del contenuto totale di proteine della maggior parte dei veleni di vipera, svolgono un ruolo cruciale nell’attività del veleno. Considerando la forte attività proteolitica delle SVMPs è logico chiedersi perché il veleno non danneggi le ghiandole velenifere del serpente stesso. Tre principali meccanismi inibitori sinergici sembrano interferire con l’attività metallopeptidasica in situ: (i) chelazione del calcio con citrato; (ii) pH acido; e (iii) inibizione enzimatica competitiva da parte di alcuni peptidi. Una recente indagine condotta sul veleno di una vipera africana (Atheris squamigera) ha rivelato la presenza di una serie di peptidi poli-istidinici e poli-glicinici (pHpG), con la sequenza consenso: H9GVG10. Uno di questi peptidi è pHpG-1 (EDDH9GVG10), che è in grado di neutralizzare l'attività di emorragica del veleno di Echisocellatus sulla pelle dei topi. 56 La presenza della lunga catena di residui istidinici rende pHpG-1 un promettente chelante per cationi divalenti di metalli di transizione. Poiché queste sequenze sono frequenti in natura, si è deciso di approfondire le capacità di coordinazione di questo legante, anche per capire il ruolo delle istidine che lo compongono. Sono stati perciò studiati i complessi di Cu(II) con pHpG-1, sia per mezzo di metodi sperimentale (termodinamici e spettroscopici) che studi di dinamica molecolare e calcoli teorici DFT. Questo peptide ha dimostrato di essere un chelante del rame eccezionalmente efficace (Fig. 1), formando complessi che sono termodinamicamente più stabili sia di quelli formati dall’albumina che da molti altri frammenti di proteine poli-His. Fig. 1. Evoluzione strutturale del peptide pHpG1 per aggiunta di Cu(II), secondo i calcoli di dinamica molecolare. Un’analisi dettagliata dei risultati sperimentali e teorici ha portato a tre principali conclusioni. Primo, dal punto di vista termodinamico, tutti i complessi rilevati sono estremamente stabili: il peptide pHpG-1 ha un’affinità verso Cu(II) molto superiore a qualsiasi frammento proteico studiato in precedenza. L’elevato numero di combinazioni differenti con i possibili siti di legame può essere la ragione entropica di questa notevole stabilità. In secondo luogo, in una sequenza di istidine consecutive, il rame si lega di preferenza a residui di istidina separati esattamente da un amminoacido, come nel caso dei complessi cui i siti di coordinazione sono His-4, 6 e 8 o His-7, 9 e 11. Questo è in accordo con i nostri risultati precedenti relativi alla complessazione del Cu(II) con la sequenza His6 impiegata per purificare proteine con la tecnica IMAC (immobilized metal ion affinity chromatography). In terzo luogo, è stata osservata una correlazione tra la struttura secondaria dei complessi prevista dalla teoria e loro stabilità termodinamica; complessi in cui il dominio ricco di glicina è in forma di α-elica sono energeticamente più stabili di modelli senza una struttura secondaria ben definita. Gli studi potenziometrici sono stati eseguiti presso i nostri laboratori; le analisi spettroscopiche sono state compiute presso il laboratorio di Chimica Bioinorganica e Biomedica della Facoltà di Chimica dell’Università Wroclaw (Polonia); i calcoli quantomeccanici sono stati effettuati presso il Dipartimento di Chimica dell’Università Ben Gurion del Negev (Israel). Risoluzione chirale per scambio dei leganti di amminoacidi non derivatizzati su una fase stazionaria per RP-HPTLC modificata con metodo dinamico. La risoluzione di miscele enantiomeriche è uno dei settori più impegnativi ed affascinanti della cromatografia. Infatti, la maggior parte dei composti di interesse biologico sono chirali, compresi i semplici amminoacidi. Tutte le tecniche cromatografiche sono state utilizzate per separazioni chirali, compresa la cromatografia su strato sottile (TLC), per le sue caratteristiche di semplicità e convenienza. Diverse fasi chirali per TLC (in realtà piuttosto costose) sono disponibili in commercio; tuttavia, è anche possibile la preparazione in laboratorio di piastre chirali rivestite (CCSPs), con il vantaggio di poter modulare alcune proprietà della fase stazionaria, quali, ad esempio, enantioselettività, purezza o capacità, a costi contenuti. Le CCSPs possono essere preparate coprendo una fase commerciale non chirale con un selettore chirale adatto, che ne modifica le proprietà. Uno dei migliori metodi per separare miscele racemiche di amminoacidi non derivatizzati è la cromatografia chirale a scambio di leganti (CLEC), che si basa sulla 57 stereoselettività di complessi metallici omo- ed etero-chirali. Il metallo complessante usato più di frequente è Cu(II). In questo contesto, diversi anni fa, il nostro gruppo di ricerca ha preparato e studiato nuove CCSPs per la separazione chirale di amminoacidi e dipeptidi, sia per cromatografia liquida ad alta prestazione (HPLC) che per TLC. Il selettore chirale utilizzato era Nτ-n-decil-L-istidina (His(τ-dec)), un derivato di L-His, selettivamente alchilata all’azoto di tipo pirrolico del suo anello imidazolico. In questa molecola, la lunga catena alchilica agisce come ancora per il supporto di silice RP-18, mentre il residuo istidinico può formare complessi ternari stazionari di rame con gli enantiomeri in fase mobile. Più recentemente, abbiamo descritto l’uso in HPLC-CLEC di un nuovo selettore chirale, Spi(τ-dec), simile al precedente, ma a base dell’amminoacido naturale, non proteinogenico, spinacina. Dati i risultati incoraggianti, si è deciso di proseguire il lavoro applicando lo stesso selettore chirale alla cromatografia su strato sottile ad alte prestazioni (HPTLC): piastre idrofobiche commerciali sono stati rivestite con Spi(τ-dec) e quindi trattate con solfato di rame. Le prestazioni di questa nuova fase stazionaria chirale sono stato studiate utilizzando miscele racemiche di aminoacidi aromatici, dopo l’ottimizzazione delle condizioni di preparazione delle piastre e della composizione della fase mobile. I valori ottenuti enantioselettività per i composti studiati sono superiori quelli riportati in letteratura per sistemi simili. Nel mezzo cromatografico, Spi(τ-dec) viene adsorbita sul supporto idrofobico e, una volta formato il complesso ternario di Cu(II), è possibile l’interazione tra la catena laterale del L- o Damminoacido e la silice idrofobizzata (Fig. 2). Questa è probabilmente l’origine della enantioselettività osservata. La procedura descritta si è rivelata un metodo molto efficiente per preparare lastre HPTLC chirali, economiche e selettive, a partire da piastre achirali disponibili in commercio. Spi(τ-dec) ha mostrato una buona enantioselettività verso miscele racemiche di amminoacidi aromatici e loro derivati. Vale la pena notare che Spi(τ-dec) è particolarmente adatta per l'impiego in cromatografia planare poiché non reagisce con la ninidrina, il reagente più semplice da utilizzare per la rivelazione degli amminoacidi. Il metodo di HPTLC chirale descritto è un sistema rapido, semplice e conveniente per il controllo Fig. 2. Ipotesi strutturale del complesso ternario della purezza enantiomerica di stazionario di Cu(II) con il selettore chirale, Spi (τamminoacidi e composti chirali correlati, dec), e L/D-Phe: l’interazione con il supporto come amminoalcoli, acidi idrofobico è la probabile fonte di enantioselettività. idrossicarbossilici o oligopeptidi. 58 UNITA’ DI RICERCA DI FIRENZE Direttore Scientifico: Prof. Luigi Messori L’attività scientifica dell’Unità di Ricerca di Firenze del CIRCMSB, condotta presso il Laboratorio Metalli in Medicina (Lab METMED, Dip. Chimica, Università di Firenze), nel corso dell’anno 2014, si è decisamente focalizzata sulla tematica principale di questo laboratorio sinteticamente denominata ANTITUMORALI METALLICI, seppure alcuni contributi scientifici riguardino applicazioni diverse per alcuni “metal based drugs” ed anche lo sviluppo e la caratterizzazione di Nanomateriali inorganici di interesse biomedico. I maggiori risultati conseguiti nei vari ambiti di ricerca nel corso del 2014 sono, di seguito, sinteticamente descritti. ANTITUMORALI METALLICI È questo il tema su cui si sono prevalentemente concentrate le attività di ricerca dell’UR di Firenze. Le attività svolte all’interno di tale tematica, a loro volta, possono essere così suddivise: 1. Caratterizzazione strutturale di addotti fra antitumorali metallici e proteine Il laboratorio METMED si è molto impegnato per dimostrare che vari complessi metallici ad attività citotossica sono capaci di legarsi fortemente ad una varietà di proteine ed che proprio tali interazioni sono alla base degli effetti antitumorali e citotossici. Questo ci ha portato a sottolineare l’importanza del processo di “metallazione delle proteine” ed a cercare di descriverlo a livello molecolare. Abbiamo pertanto messo a punto delle specifiche metodologie di indagine per valutare le interazioni di complessi di platino(II), oro(III) e rutenio(III) con alcune proteine modello. La procedura sperimentale si basa su prove di ultracentrifugazione abbinate a determinazioni spettrofotometriche oppure ICP-OES. Successivamente, gli addotti formati possono essere caratterizzati in maggiore dettaglio mediante tecniche di spettrometria di massa e di cristallografia. A tal fine abbiamo ulteriormente rafforzato la collaborazione con il Dr. Antonello Merlino dell’Università Federico II di Napoli che ha condotto gli studi cristallografici su selezionati addotti proteina-metallofarmaco. Nel corso del 2014 tale collaborazione ha portato alla pubblicazione di ben 8 articoli scientifici. Tali lavori riguardano la caratterizzazione strutturale di addotti formati fra piccole proteine modello e vari composti di platino, oro e rutenio di grande interesse farmaceutico quali ad esempio cisplatino, oxaliplatino, carboplatino e NAMI A. Spesso i risultati sono supportati da determinazioni parallele ed indipendenti di tipo ESI MS, generalmente in sostanziale accordo. Particolarmente interessante la struttura dell’addotto che si forma fra lisozima ed il composto di rutenio tetracetato i cui dettagli sono mostrati in figura 59 2. Studi Meccanicistici sugli antitumorali metallici Abbiamo proseguito con studi di tipo meccanicistico per caratterizzare le azioni a livello cellulare di selezionati antitumorali metallici, con particolare attenzione per i composti dell’oro. Difatti, in anni recenti, abbiamo sviluppato l’applicazione di procedure di tipo proteomico allo studio del meccanismo di azione di antitumorali metallici. In pratica, si tratta di risalire dall’analisi delle alterazioni proteomiche, osservate sperimentalmente in cellule trattate, all’identificazione dei possibili processi cellulari e dei target molecolari che sono stati perturbati o danneggiati in maggiore misura dal metallofarmaco studiato fino a determinarne un plausibile meccanismo di azione. Il metodo si basa principalmente sull'uso di gel elettroforesi bidimensionale accompagnata da determinazioni MALDI TOF per l’identificazione delle proteine alterate. L’analisi bioinformatica risulta spesso decisiva per l’analisi e l’interpretazione meccanicistica dei risultati. Inoltre abbiamo focalizzato l' attenzione su specifici processi cellulari come possibili bersagli per l’azione di metallofarmaci citotossici, per esempio il sistema ubiquitina-proteasoma e vari tipi di pompe ioniche (i.e. Na+/K+-ATPase e SERCA). Complessivamente 7 pubblicazioni scientifiche apparse nel corso del 2014 si riferiscono a queste attività di ricerca. 3. Nuovi composti metallici di interesse farmaceutico A fronte delle tematiche più avanzate sopra descritte resta improntante procedere nella preparazione e caratterizzazione di nuovi metallofarmaci che recepiscano i concetti sulle relazioni funzionestruttura derivati dagli studi meccanicistici. Tre pubblicazioni apparse nel 2014 riguardano specificamente la descrizione e la caratterizzazione di nuovi composti metallici di interesse faramacologico e la valutazione preliminare di alcuni dei loro effetti biologici. STUDI DI CARATTERE NANOTECNOLOGICO Pur con la sua indubbia focalizzazione sugli antitumorali metallici, il nostro gruppo di ricerca si sta aprendo anche a nuove tematiche della ricerca internazionale. In questo ambito segnaliamo il nostro recente impegno nel campo delle nanotecnologie con particolare attenzione per le nanoparticelle a base di oro. Due lavori apparsi nel 2014 riguardano queste attività di ricerca. A tal fine abbiamo avviato una proficua collaborazione con il gruppo del Prof. Rotello, all’Amherst University, Massachusetts. ALTRI STUDI Infine, due studi riguardano sia il possibile utilizzo di composti metallici come agenti antimicrobici sperimentali che la caratterizzazione strutturale delle interazioni che si instaurano allo stato solido fra la proteina citocromo c e l’anione nitrato. 60 UNITA’ DI RICERCA DELL’INSUBRIA Direttore Scientifico: Prof. Giovanni Palmisano Preparazione e caratterizzazione preliminare di MOF per applicazioni di drug delivery I MOF (Metal OrganicFrameworks) sono materiali porosi ibridi il cui reticolo tridimensionale è costituito da ioni metallici uniti mediante linker organici. I MOF sono materiali caratterizzati da proprietà estremamente interessanti quali l’elevata area superficiale, la possibilità di selezionare la dimensione e la forma dei pori e di funzionalizzarne la superficie. Ciò rende i MOF particolarmente promettenti per applicazioni legate all’assorbimento e al rilascio controllato di agenti terapeutici (drug delivery), a patto di rispettare alcuni requisiti fondamentali tra i quali spiccano stabilità e biocompatibilità. L’unità di ricerca dell’Università dell’Insubria ha una pluriennale esperienza nella preparazione di MOF e nella loro caratterizzazione, sia dal punto di vista strutturale che dal punto di vista delle proprietà di inclusione di specie chimiche diverse. Nel periodo in questione un linker a base bispirazolica[1,4-bis(1H-pirazol-4-il-etinil)benzene] è stato sintetizzato e impiegato per la formazione di diversi MOF attraverso la combinazione con ioni metallici quali Zn(II), Ni(II) e Fe(III) (Figura 1). Figura 1 N NH HN N H2BPED Fe2(BPED)3 Ni(BPED) α-Zn(BPED) I MOF ottenuti mostrano la peculiare presenza nel reticolo 3D di lunghi canali e una ragguardevole stabilità termica e chimica. La possibilità di inclusione di specie chimiche nei canali è stata dimostrata impiegando gas modello, che hanno permesso di evidenziare un considerevole assorbimento (fino al 40%p/p di CO2) e un’elevata area superficiale (2378 m2/g). I risultati ottenuti mostrano come tali MOF possiedano significative potenzialità in applicazioni di drug delivery in ambito biologico. 61 UNITA’ DI RICERCA DI MESSINA Direttore Scientifico: Prof. Luigi Monsù Scolaro Composizione e settore di indagine L’unità di ricerca di Messina è composta da quattro distinti gruppi di ricerca, ciascuno dei quali possiede delle competenze specifiche in settori di interesse del Consorzio. Obiettivi e Metodi Gruppo di Ricerca del Prof. Luigi Monsù Scolaro. Questo gruppo di ricerca si interessa da parecchi anni all’indagine di processi di auto-aggregazione e di aggregazione organizzata di tipo supramolecolare a carico di una varietà di specie, caratterizzate da zone con estesa planarità dovuta alla presenza di ampie porzioni aromatiche, quali porfirine ed i relativi metallo-derivati, e complessi planari di platino(II), nonché dell’indagine delle loro caratteristiche proprietà strutturali e di reattività. Molti di tali sistemi sono indagati come sonde spettroscopiche di microambienti specifici. Alcuni dei componenti del gruppo di ricerca hanno competenze nell’ambito dei meccanismi di reazione su complessi inorganici ed organometallici. In particolare, sono stati condotti studi spettroscopici che hanno evidenziato come il trasferimento della chiralità in aggregati di porfirine sia mediato da fattori cinetici, che controllano la dimensione ed il disordine strutturale all’interno di tali specie. All’aumentare della concentrazione di cromofori in soluzione, la velocità di aggregazione subisce un aumento non lineare e l’intensità dei segnali di dicroismo circolare diminuisce fino ad annullarsi oltre un valore di soglia. E’ stato possibile, inoltre, dissezionare il contributo di dicroismo lineare, dovuto all’orientazione delle porfirine all’interno degli aggregati, dalla componente di dicroismo circolare, legata all’arrangiamento chirale dei cromofori, grazie all’impiego di una tecnica di microscopia di campo prossimo risolta in polarizzazione (SNOM). Gruppo di Ricerca del Prof. Matteo Cusumano. Questo gruppo si dedica alla sintesi, caratterizzazione e studi cinetici su complessi di coordinazione di platino(II) e palladio(II), con potenziali applicazioni in ambito biologico. In particolare, complessi di platino(II) contenenti leganti chelanti aromatici e tiouree sono stati sintetizzati, caratterizzati e sono state indagate le loro proprietà dinamiche mediante spettroscopia NMR multinucleare e spettrometria di massa. Gruppo di ricerca dei Proff. Giuseppe Bruno ed Enrico Rotondo. Questi due gruppi si dedicano principalmente della caratterizzazione di composti inorganici e organici tramite l’impiego di tecniche di diffrazione di raggi-X su cristallo singolo, calcoli quantomeccanici e spettroscopia di risonanza magnetica nucleare multinucleare. Nella linea di caratterizzazione spettroscopica mediante tecniche NMR, sono state indirizzate indagini nei riguardi di derivati farmacologicamente attivi. Nell’ambito della determinazione della struttura mediante tecniche diffrattometriche, sono stati condotti degli studi su complessi di metalli di transizione, contenenti leganti di nuova sintesi e su nuove molecole organiche di potenziale interesse farmacologico. Gruppo di Ricerca del Prof. Giuseppe Teti e della Dr.Carla Lo Passo. Questo gruppo di ricerca opera nel settore della microbiologia e della biologia molecolare e genetica, sviluppando sia attività di ricerca indipendente che di supporto agli altri gruppi dell’Unità di ricerca. 63 UNITA’ DI RICERCA DI NAPOLI Direttore Scientifico: Prof. Giancarlo Morelli L’attività scientifica dell’Unità operativa di Ricerca di Napoli è stata rivolta, per l'anno 2014, alla veicolazione di mezzi di contrasto e farmaci anche di natura inorganica mediante aggregati supramolecolari funzionalizzati da peptidi o molecole bioattive. I complessi di metalli citossici sono stati inoltre studiati nelle loro interazioni con proteine modello. Inoltre sono stati testati in vitro ed in vivo nuovi peptidi sia target specifici che di fusione con la membrana cellulare per la potenziale veicolazione di nanoparticelle metalliche. Infine sono stati svolti studi strutturali su enzimi a zinco antibrucellosi. L’attività dell’unità si è svolta coinvolgendo anche le unità del consorzio di Bari, Padova, Torino e Firenze. 1) Complessi di platino ed oro veicolati da aggregati supramolecolari Questa linea di ricerca, in collaborazione con le unità di Bari e di Padova, prevede al fine di ridurre i severi effetti collaterali e di aumentare l’efficienza dei farmaci la veicolazione di complessi di platino ed oro in vivo mediante aggregati di tipo supramolecolare. Per la veicolazione dei complessi dei metalli. sono state sviluppate strategie per l’incapsulamento in liposomi o micelle eventualmente funzionalizzate con un peptide target selettivo in grado di riconoscere recettori sovraespressi. Per quanto riguarda i complessi di platino, il cis platino è stato incapsulato in aggregati di tipo liposomiale ottenuti mescolando la fosfadilcolina e il colesterolo scegliendone opportunamente il rapporto per conferire al liposoma adeguata stabilità. Il caricamento è stato ottenuto mediante un metodo passivo e gli aggregati hanno mostrato dimensioni compatibili con un uso in vivo. Il profilo di rilascio del farmaco in siero dimostra la stabilità dell’aggregato. I risultati su un panel di cellule mostrano l’effettiva maggiore attività del complesso di platino rispetto al cis platino in diverse linee cellulari anche platino resistenti proponendosi come metodo per il superamento di una delle cause di resistenza al platino nel superamento della barriera cellulare. Per quanto riguarda i complessi di oro, è stato incapsulato il complesso ditiocarbammato di oro noto come AUL12 in micelle funzionalizzate con un analogo peptidico della sequenza [7-14]Bombesina wild-type, per il target selettivo del tumore prostatico ed ovarico. E’ infatti noto che il frammento 7-14 del peptide endogeno Bombesina riconosce selettivamente i recettori di membrana GRP, sovraespressi da numerosi tumori, tra cui quello prostatico ed ovarico. Il complesso AUL12 possiede ben documentate proprietà antitumorali, ma il suo utilizzo come farmaco antitumorale è fortemente limitato dalla sua bassa solubilità in acqua. Le micelle preparate sono costituite dal fosfolipide DSPE-PEG2000 con piccole percentuali (5-20%) di PC. Per ciascun aggregato è stata definita la quantità di farmaco incapsulata. Il sistema migliore, costituito da DSPE-PEG2000/PC (90/10), è stato funzionalizzato con il monomero sintetico MonY-BN-AA1, contenente l’analogo del frammento [7–14] del peptide bombesina legato a due catene alchiliche a 18 atomi di carbonio e ad un chelante polidentato bifunzionale DTPA, in grado di dare complessi termodinamicamente stabili e cineticamente inerti con ioni metallici. Il complesso di oro in micella si è dimostrato stabile in soluzione fisiologica fino a 72h, come confermato da misure di spettroscopia UV-Vis. Misure di DLS hanno permesso di determinare le dimensioni degli aggregati micellari vuoti e caricati con AUL12. Il diametro idrodinamico medio è di circa 18 nm, e non cambia significativamente né dopo il caricamento, ne in seguito all’aggiunta del monomero contenente il peptide nella formulazione. Sono state valutate le cinetiche di rilascio del farmaco dalle micelle in siero fetale bovino per 72h: si è osservato che l’AUL12 rilasciato è soltanto il 14% per le micelle target selettive e il 9% in quelle non funzionalizzate col peptide. Test preliminari di citotossicità sono stati effettuati utilizzando cellule PC-3, derivanti dal tumore prostatico umano. I sistemi micellari non funzionalizzati con il peptide hanno mostrato risultati di IC50 paragonabili a quelli del dell’AUL12 in DMSO, mentre i sistemi micellari modificati con il MonY-BN-AA1 mostrano un’attività antiproliferativa maggiore del 50% ad una concentrazione di 10 µM valutata nell’arco di 48h. 65 Attualmente si sta valutando la possibilità di ottimizzare il sistema migliorando l’esposizione del peptide sulla superficie esterna degli aggregati, variando la procedura di funzionalizzazione delle micelle sfruttando metodi di funzionalizzazione post-formulazione quali reazioni di click chemistry o reazioni tra maleimide e gruppi tiolici. Si valuterà inoltre la capacità degli aggregati di fungere da sistemi teranostici complessando chelante con ioni metallici, paramagnetici o radioattivi, al fine di definire la localizzazione e la biodistribuzione dei nanovettori in vivo mediante tecniche di MRI o di medicina nucleare e di ottenere l’imaging dei recettori presenti sulle cellule tumorali. 2) Aggregati supramolecolari tera-diagnostici funzionalizzati con molecole bioattive come tools per la diagnosi oncologica mediante la tecnica della risonanza magnetica imaging (MRI) e la veicolazione di farmaci. Da alcuni anni l’unità è impegnata nello sviluppo di aggregati lamellari a fase inversa (cubosomi, spugne e fasi cubiche esagonali) funzionalizzati con acido folico come sistemi teranostici target selettivi. Questa attività è stata svolta in collaborazione con l’UO di Torino per quanto riguarda la valutazione di diagnostici per la Risonanza magnetica Imaging (MRI). Gli aggregati sono stati preparati a partire da dioleina (DO) in miscela con acqua seguendo i loro diagrammi di fase (rapporto in peso tra H2O e DO pari a 98/2). Per stabilizzare gli aggregati in ognuno dei campioni è stato aggiunto il 15% in peso rispetto alla DO totale di Pluronico F127, un copolimero a blocchi. Ad ognuno dei campioni è stato aggiunto il 10% di un complesso anfifilico di gadolinio (C18)2DTPA(Gd) e quantità crescenti (dal 3%-10%) del monomero (C18)2-Peg3000-FA contenente due catene alchiliche a 18 atomi di carbonio, uno spaziatore di polietileneglicole (Peg3000) e l’acido folico (FA). In analogia è stato anche preparato l’aggregato in cui il monomero (C18)2-Peg3000-FA è stato sostituito dall’analogo (C18)2-Peg3000, privo della funzione FA target selettiva. Entrambi i monomeri sono stati sintetizzati in fase solida mediante chimica Fmoc, purificati mediante RP-HPLC e caratterizzati mediante LC-MS. Dopo aver caratterizzato le nanoparticelle dal punto di vista strutturale e rilassometrico, è stata investigata la percentuale ottimale di folato da utilizzare per i successsivi studi in vitro ed in vivo. L’uptake target selettivo verso il recettore del folato degli aggregati DO/(C18)2DTPA(Gd)/(C18)2Peg3000-FA DO/(C18)2DTPA(Gd)/(C18)2-Peg3000 (con percentuali crescenti del monomero con Peg3000-FA o Peg3000) è stata studiata mediante Surface Plasmon Resonance (SPR) e imaging su cellule IGROV-1, già utilizzate precedentemente con questi sistemi. In entrambi gli esperimenti i migliori risultati si sono ottenuti al 3% di (C18)2-Peg3000-FA, e ciò sembra dovuto ad una minore interazione del FA con il recettore in presenza di elevate quantità di PEG, che potrebbero mascherare l’acido folico. Successivamente, in questi sistemi è stato incapsulato il farmaco antitumorale doxorubicina (DOX) mediante il ben noto metodo del gradiente dello ione ammonio. Il loading della DOX è >95% sia per i sistemi target selettivi che per i non targettati. Sono state inoltre studiate le cinetiche di rilascio del farmaco dagli aggregati in siero fetale bovino per 72h, mediante UV-vis. Il rilascio del farmaco è circa del 20% per i sistemi contenenti FA e del 13 % per i sistemi non target selettivi. Mediante studi in vitro, è stata paragonata la citotossicità e la localizzazione cellulare dei sistemi ottenuti con doxorubicina libera e con la preparazione liposomiale di doxorubicina attualmente in uso clinico, nota come Doxil. Entrambi i sistemi basati su DO hanno una localizzazione prevalentemente citoplasmatica, ma mentre i sistemi non target selettivi hanno citotossicità paragonabile a quella del Doxil, quelli decorati con FA mostrano una citotossicità molto più elevata. Infine, sono stati condotti esperimenti in vivo su topi BALB/C, in cui sono state inoculate cellule IGROV-1. Ciascun topo è stato sottoposto a sei trattamenti ciascuno con 2.5 mg/Kg (ogni 4 giorni) di farmaco libero o di farmaco caricato in nanoparticelle target selettive e non, o nella formulazione liposomiale Doxil. Mediante tecniche di MRI è stato possibile monitorare l’evoluzione del tumore durante il trattamento, apprezzando le variazioni di dimensioni del tumore trattato con i diversi sistemi. Alla ine del trattamento, le nanoparticelle funzionalizzate con acido folico mostrano una riduzione della massa tumorale dell’80% rispetto a quelli trattati con soluzione salina, e del 50% rispetto a quelli trattati con Doxil e doxorubicina libera. 66 3) Analisi di legame di complessi metallici ad attività citossica a proteine modello mediante tecniche in soluzione In questa attività in collaborazione anche con l’unità di Firenze sono stati studiati l’interazione di complessi metallici citossici con proteine modello mediante le tecniche di microcalorimetria (ITC) e Surface Plasmon Resonance (SPR). Molecole in grado di rilasciare monossido di carbonio (CORMs) hanno importanti effetti battericidi, antinfiammatori, neuroprotettivi e antiapoptotici. Una nuova classe di CORM molto promettente è basata su complessi pentaclorocarbonile di iridio (III). Lo studio riguarda l’interazione di uno di questi complessi con una proteina modello, il lisozima. In esso sono riportate sei diverse strutture cristallografiche che descrivono l’entrata del complesso metallico e la variazione della sfera di coordinazione del metallo nel tempo. Altre tecniche come spettroscopia Raman e ITC hanno consentito una globale caratterizzazione biofisica del complesso. Esperimenti ITC hanno consentito di valutare un processo esotermico di formazione del complesso tra [IrCl5CO]2- e la proteina e determinarne la stechiometria nel rapporto > 4:1. Un altro recente studio di “thermal shift” mediante Dicroismo Circolare (CD) ha analizzato gli effetti della presenza di un complesso metallico di Au sulla stabilità della proteina HEWEL. In particolare l’analisi è stata condotta su un complesso di Au(III) dinucleare con ponti di ossigeno(Auoxo3) con attività citotossica in collaborazione con l’unità di Firenze. Attualmente sono in corso studi di affinità in termini di determinazione delle costanti di affinità termodinamica mediante esperimenti di SPR tra analoghi del cisplatino e soprattutto degli effetti di cooperatività della coordinazione tra oxaliplatino e cisplatino e tra complessi di Ru(III) capaci di coordinare oligonucleotidi a diversa complessità strutturale [4]. 4) Nanoparticelle di Ossidi di ferro e titanio come agenti teranostici veicolati dal peptide RGD su cellule sovraesprimenti i recettori delle integrine In questa linea di ricerca sono state funzionalizzate nanoparticelle (NP) di ossido di ferro e titanio con il peptide RGD. I progressi nella sintesi colloidale hanno permesso la preparazione di nanostrutture con un elevato controllo della dimensione e con geometrie anche complesse (rod-, tubi, etc) di diversa composizione e proprietà. Nanocristalli (NC), semiconduttori di tipo “multiarms” o eterostrutture costituite da domini magnetici, metallici o fluorescenti sono esempi di complesse strutture inorganiche ideali per la realizzazione di sistemi teranostici. Generalmente le NP sono stabilizzate da uno strato di molecole organiche caratterizzate dalla presenza di catene alifatiche, che le rendono insolubili in acqua. Per assicurare la dispersione e la solubilità delle NP in ambiente acquoso, e la possibilità di coniugarle con molecole bioattive sono necessarie modifiche superficiali delle NP con l’introduzione di gruppi reattivi. E modifiche possono essere realizzate attraverso differenti strategie, tra cui le procedure discambio di ligando, il rivestimento con uno strato di silice o tramite interazioni idrofobiche. In questa prospettiva, l’obiettivo è stata la realizzazione di eterostrutture nano-dimensionate multifunzionali basate su più domini a composizione differente, costituiti da un semiconduttore fotoattivo e un ossido magnetico, e la loro successiva coniugazione con un opportuno ligando, al fine di realizzare strutture ibride multifunzionali potenzialmente utili per riconoscere con elevata selettività uno specifico marcatore tumorale. In particolare abbiamo messo a punto la preparazione di eterostrutture nanocristalline, costituite da nanodot di ossido di ferro cresciuto epitassialmente su nanorod di ossido di titanio, inglobate in micelle e la loro successiva bioconiugazione a peptidi contenete il motivo RGD per il riconoscimento del recettore della integrine avb3, noto marcatore tumorale. Il sistema ottenuto ha elevate potenzialità teranostiche considerando che l’ ossido di titanio è utilizzato in terapia fotodinamica per la generazione in situ di specie ROS altamente distruttive per le cellule bersaglio provocandone la necrosi e i sistemi a base di γ- Fe2O3, d’altra parte, sono noti per le proprietà magnetiche da utilizzare per la diagnosi e per la capacità di indurre ipertermia con necrosi o apoptosi della cellula bersaglio. 67 Studi condotti su linee cellulari tumorali di melanoma (VM266) sovraesprimenti l’integrina avb3 e linee di carcinoma mammario (MCF-7) esprimenti livelli molto bassi del recettore indicano che i sistemi non sono citotossici. 5) Studi in vitro del meccanismo di internalizzazione in neuroni e astrociti e Studi in vivo di attraversamento della barriera ematoencefalica del peptide gH625 I peptidi per il trasporto svolgono un ruolo chiave nel processo di internalizzazione di farmaci e diagnostici in quanto le membrane biologiche costituiscono un ostacolo per molte molecole farmacologicamente attive. Pertanto, è fondamentale trovare nuove strategie per il trasporto intracellulare. I cell penetrating peptides (CPPs) sono in grado di trasportare macromolecole, nanoparticelle metalliche e aggregati supramolecolari attraverso la membrana plasmatica in modo efficiente per cui il loro utilizzo si è notevolmente diffuso negli ultimi anni. Il principale problema relativo all'utilizzo dei CPP è il meccanismo di traslocazione che implica un processo di endocitosi. Quindi, solo una piccola quantità della molecola cargo è in grado di sfuggire agli endosomi e di raggiungere il sito di azione. E' quindi necessario trovare nuovi CPP con nuovi meccanismi di internalizzazione che utilizzino solo parzialmente il meccanismo endocitico, come i peptidi di fusione virale che grazie alle loro proprietà intrinseche di perturbazione delle membrane, sono in grado di promuovere l’internalizzazione cellulare di diverse molecole cargo, tra cui liposomi, proteine e quantum dots. Inizialmente è stato investigato il meccanismo di interazione del peptide gH625, proveniente dalla glicoproteina gH del Herpes Simplex virus tipo I, dimostrando che il peptide è in grado di penetrare all’interno di cellule HeLa e di trasportare anche proteine, nanoparticelle di polistirene, Quantum dots e liposomi, Quest’anno l’attività di ricerca è stata focalizzato verso lo studio in vitro del meccanismo di penetrazione del peptide nei neuroni e negli astrociti e studi in vivo al fine di valutare la capacità di superare la barriera ematoencefalica. Studi in vitro Sono stati condotti studi di internalizzazione del peptide su cellule SHSY-5Y e U87-MG con una una percentuale di internalizzazione maggiore del 90%.Inoltre l’alta internalizzazione non è associata ad una variazione della vitalità cellulare, infatti la massima capacità mitocondriale ossidativa risulta essere inalterata indicando così che alle dosi testate il peptide non ha un effetto tossico (Figura 1) Figure 1 Vitalità cellulare e massima capacità ossidativa delle cellule SHSY-5Y e U87-MG dopo incubazione con gH625. Saggio MTT relativo alle cellule SHSY-5Y (a) e alle cellule U87-MG (b). Massima capacità ossidativa valutata attraverso il saggio della citocromo ossidasi su cellule SHSY-5Y (c) e su cellule U87-MG (d). 68 Inoltre è stata valutata la stabilità del peptide in siero. Dopo 210 minuti il 50% del peptide viene recuperato inalterato. Studi in vivo: Per valutare la capacità del peptide gH625di attraversare la barriera ematoencefalica il peptide è testato sulle cellule di Kupffer. Il peptide è stato ritrovato all’interno delle cellule e raggiunge i vasi cerebrali della barriera. In particolare, anche se viene rilevata alcuna associazione con astrociti, la presenza di gH625 nei neuroni è ampiamente dimostrata. Questi dati suggeriscono che gH625 può essere potenzialmente utile nello sviluppo di nanosistemi metallici per la diagnosi e la terapia di malattie celebrali quali ad esempio le encefaliti e/o i tumori celebrali. La somministrazione in vivo di gH625 ai ratti non influenza il tasso di respirazione mitocondriale e capacità ossidativa massima in cervello e fegato omogeneizzato, suggerendo che questo peptide non influenza i processi critici per la sopravvivenza delle cellule. Figure 2 Immagine istologica rappresentativa del fegato e del cervello dei ratti utilizzati come controllo e di quelli trattati con 16µM di gH625.Nella colonna di sinistra sono riportate le immagini in campo chiaro, nella colonna di destra il canale FITC. Ogni riga rappresenta lo stesso campo; a, b) sezione di fegato di controllo negativo c, d) del fegato di animali trattati mostrando cellule Kupffer (frecce); e, f) la sezione del cervello di controllo negativo; g, h) Cervello di animali trattati mostrano la presenza di gH625 in processi cellulari nervosi (frecce). 6) Basi strutturali per la progettazione razionale di enzimi basati sullo zinco con attività anti brucella Brucella è l’agente patogeno che provoca la brucellosi, la zoonosi più diffusa nel mondo. Negli umani ci sono tre specie patogene di Brucella: Brucella Suis, B. Abortus and B. Melitensis. Questi patogeni possono sopravvivere e moltiplicarsi nelle cellule fagocitarie dell’ospite mammifero e 69 sono in grado di stabilire un’infezione persistente negli umani difficile da eradicare, anche con terapia antibiotica. L’enzima L-istidinol deidrogenasi (HDH) è essenziale per la replicazione intramacrofagica. In particolare, quest’enzima converte il substrato L-istidinolo a L-istidina attraverso l’intermedio Listidinaldeide, con la concomitante riduzione di due molecole di nicotinamide adenina dinucleotide (NAD). HDH è un’enzima dimerico che richiede la presenza di uno ione zinco per ogni monomero ed è stato proposto che il metallo abbia un ruolo cruciale nella catalisi, contribuendo al corretto posizionamento del substrato. Nel corso dell’evoluzione la sequenza dell’HDH è stata ben conservata ed essendo assente nei mammiferi, quest’enzima è diventato un target molto interessante per lo sviluppo di farmaci antiBrucella. Ad oggi sono stati clonati solo gli enzimi isolati da Salmonella typhimurium, Escherichia coli e B. suis, mentre l’HDH da E.Coli è l’unico enzima di questa famiglia ad essere stato caratterizzato strutturalmente. Recentemente l’attenzione è stata focalizzata sull’HDH da B. Suis, ed in particolare è stata risolta la struttura di un mutante di quest’enzima, sia nella forma non legata che in complesso con un inibitore nanomolare. Questi studi rappresentano il primo background strutturale per la progettazione razionale di inibitori di HDH, offrendo cosi nuovi spunti per applicazioni cliniche. 70 UNITA’ DI RICERCA DI PADOVA Direttore Scientifico: Prof.ssa Lisa Dalla Via L’attività di ricerca dell’Unità di Padova nell’anno 2014 è proseguita con le cinque tematiche principali già in atto: 1. Sintesi, caratterizzazione e identificazione dei bersagli intracellulari di agenti antitumorali a base metallica. Giulia Boscutti, Federica Chiara, Lisa Dalla Via, Fernando Formaggio, Dolores Fregona, Alberto Gambalunga, Aída García-Argáez, Ornella Gia, Silvia Grancara, Pamela Martinis, Diego Montagner, Chiara Nardon, Annamaria Nicolli, Antonio Toninello, Andrea Trevisan, Giuseppe Zanotti. Lo studio svolto dal nostro gruppo si inserisce nell’ambito della ricerca di nuovi farmaci a base di complessi metallici dotati di un profilo biologico superiore rispetto a quello del cisplatino. In particolare il lavoro svolto durante l’anno 2014 è stato progettato e sviluppato partendo da una serie di risultati ottenuti precedentemente nei quali erano stati presi in considerazione alcuni complessi bis-alchilamminici di Pt(II) caratterizzati da una geometria trans e da un gruppo fosfinico, con struttura generale trans-[PtCl2(L)(PPh3)] (Fig. 1, complessi 4-6). La determinazione dell’attività antiproliferativa su una serie di linee cellulari tumorali umane, aveva messo in evidenza una interessante citotossicità, ma soprattutto lo studio del meccanismo d’azione aveva dimostrato la capacità di interferire con le funzioni mitocondriali, sia inducendo il fenomeno della transizione di permeabilitá mitocondriale, sia causando un danno aspecifico di membrana. 1 5 2 6 Fig.1. Complessi di platino 4 3 7 Sulla base di questi risultati e allo scopo di ottenere possibili relazioni struttura-attività, soprattutto riguardo ai gruppi idrossilici che caratterizzano il complesso 5, che si era dimostrato dotato di un’attività antiproliferativa particolarmente elevata, è stato sintetizzato un nuovo complesso contenente un gruppo morfolinico comprendente il gruppo amminico legato al Pt, il trans-[PtCl2(Nmorfolino)(PPh3)] (7). In particolare, questo complesso è stato preparato a partire da 5 attraverso l’eliminazione di una molecola d’acqua seguita da ciclizzazione. Anche se la reattività dei gruppi idrossilici terminali e quella dei dialchilesteri può essere chiaramente diversa, in entrambe le tipologie di complessi l’atomo d’ossigeno può essere coinvolto nella coordinazione dei metalli e/o 71 in legami con gli idrogeni. In questo contesto è apparso interessante andare a valutare innanzitutto il confronto dell’attività biologica tra 5 e 7. Inoltre, prendendo in considerazione la capacità di coordinazione del DMSO, si è voluto studiare l’influenza dell’equilibrio di sostituzione del solvente usato nei confronti della citotossicità. A questo scopo è stata progettata e realizzata la sintesi del complesso 2 cis-[PtCl2(SOMe2)(PPh3)], caratterizzato da una molecola di dimetilsolfossido e da un gruppo trifenilfosfinico come ligandi in cis al platino. I risultati ottenuti ci hanno consentito pertanto di quantificare, una volta che i complessi contenenti fosfina siano stati sciolti appunto nel solvente DMSO, il contributo di 2 nei confronti dell’attività antiproliferativa. In generale, da un punto di vista strutturale, tutti i composti preparati e studiati sono caratterizzati dalla presenza di una trifenilfosfina e di due atomi di cloro (Fig. 1). Studi di diffrazione di raggi X hanno confermato la struttura proposta per i nuovi composti 2 e 7 (Fig. 2 e 3, rispettivamente). Fig. 2. Struttura del cis-[PtCl2(SOMe2)(PPh3)] (2). Fig. 3. Struttura del trans-[PtCl2(N-morpholino)(PPh3)] (7). Di tutti i complessi ottenuti è stata determinata l’attività antiproliferativa su tre linee cellulari tumorali umane: HeLa (adenocarcinoma della cervice uterina), H460 (carcinoma polmonare a grandi cellule) e A-549 (carcinoma polmonare non a piccole cellule), usando il cisplatino come composto di riferimento. I risultati ottenuti, espressi come GI50 (growth inhibition concentration), ovvero come concentrazione (µM) di complesso in grado di inibire la crescita cellulare del 50% rispetto ad una coltura di controllo, sono riportati in Tabella 1. E’ interessante osservare che il composto 5, caratterizzato da una configurazione trans e recante un ligando bis(2-idrossietil)amino 72 coordinato al platino, mostra un notevole effetto citotossico. Anche i composti 4, 6 e 7 hanno rivelato un’interessante capacità di inibire la crescita cellulare. Per quanto riguarda invece i complessi 1 e 2, aventi geometria cis, essi sono in grado di indurre solo una scarsa attività antiproliferativa, mentre il derivato 3 è inattivo. Complesso 1 2 3 4b 5b 6b 7 cis-Ptb Linea cellulare GI50 (µM)a HeLa 7.0±1.2 5.7±1.6 >20 5.1±1.5 0.42±0.06 3.3±1.7 9.7±0.7 1.5±0.6 H460 18.5±4.0 >20 >20 6.8±0.6 1.1±0.3 6.6±1.4 4.4±0.3 0.76±0.11 a A549 12.1±3.1 15.3±3.7 >20 8.4±0.4 2.3±0.7 7.0±1.2 12.8±0.8 1.6±0.7 I valori di GI50 sono calcolati come media di almeno tre esperimenti ± la deviazione standard ; Dalla Via, et al. Bioorg. Med. Chem. 21, 6965-6972 (2013). b Tabella 1. Attività antiproliferativa dei complessi 1-7 e del cis-platino (cis-Pt) come riferimento. Infine, è interessante sottolineare come il confronto tra la citotossicità ottenuta per 5 e quella mostrata da 7, suggerisca che la presenza dei ligandi dialchilamminici in posizione trans al gruppo PPh3 insieme alla disponibilità dei gruppi idrossilici, sia di cruciale importanza per lo sviluppo di molecole biologicamente attive. In prospettiva, si prevede di ampliare lo studio prendendo in considerazione un’ulteriore serie di complessi di platino a geometria trans, caratterizzati ancora da un ligando trifenilfosfinico ma anche da un secondo ligando aromatico, progettato per direzionare in maniera più mirata il complesso verso il DNA, verosimilmente attraverso una complessazione di tipo intercalativo. 2. Sintesi, caratterizzazione e studio dell’attività biologica di complessi di metalli di transizione quali potenziali agenti antitumorali Valentina Gandin, Cristina Marzano, Marina Porchia, Francesco Tisato Nel corso dell’anno 2014 l’unità operativa ha proseguito il lavoro di ricerca concernente la progettazione, la sintesi e lo studio delle proprietà biologiche di nuovi complessi metallici, principalmente a base di rame o di altri metalli appartenenti al gruppo 11 (Ag e Au), dotati di attività antiproliferativa. Negli anni precedenti era stata studiata una classe di complessi neutri di Cu(I) a sfera di coordinazione mista del tipo [CuX(P)(N-N)] (P = fosfina monodentata; N-N = diimina lipofilica per es. bipy, o-phen, 2,4-dimethyl-o-phen, dpq; X = Cl, Br). Tali composti avevano dimostrato un’elevata attività citotossica (IC50 nel range micro- e sub micro-molare), ma d’altra parte sia i leganti diiminici che i rispettivi complessi si erano dimostrati genotossici nei confronti di cellule sane. Per cercare di superare questo “drawback” utilizzando comunque la stessa tipologia di leganti (fosfine che stabilizzano il rame nello stato di ossidazione 1+ e diimine in grado di intercalare il DNA e quindi di determinare una sinergia con l’azione esercitata dal rame) abbiamo sintetizzato alcuni nuovi composti misti del tipo [CuP2(N-N)], solubili in acqua. Tali complessi sono carichi e presentano il core CuP2, che nel caso di composti omolettici del tipo [Cu(P)4]+, è stato dimostrato essere la specie attiva capace di interagire con peptidi modello contenenti residui metioninici analoghi a quelli presenti nel dominio extracellulare di hCtr1 (human copper transporter 1) 73 suffragando l’ipotesi che specie coordinativamente insature del tipo CuP2 (o CuP) possano venire internalizzate a livello cellulare mediante i meccanismi di trasporto propri del rame endogeno. Le diimine utilizzate nel nostro studio (BCA = acido bicinconinico, BCS = batocuproina disolfonato sale bisodico, Fz = ferrozina) sono solubili in acqua e sono state scelte in base alla loro abilità nel coordinare il rame (I); infatti, BCA e BCS vengono comunemente usate per la determinazione selettiva di Cu(I). Anche le fosfine utilizzate (PTA e DAPTA) sono solubili in acqua. Oltre ai complessi misti sono stati studiati anche i complessi omolettici con le suddette diimmine [Cu(N-N)2], dato che finora gli unici esempi riportati in letteratur di complessi omoletticidi Cu(I) con diimine di cui si è studiata l’attività biologica sono derivati della fenantrolina. I composti ottenuti (Fig. 1) sono stati caratterizzati tramite analisi elementare, NMR multinucleare (1H, 13C e 31P) e studi di spettrometria di massa. Sono composti stabili, solubili in acqua e facilmente manipolabili. La loro attività antiproliferativa è stata studiata nei confronti di una serie di cellule tumorali e i risultati ottenuti hanno consentito di individuare una serie di importanti relazioni struttura- attività . Attualmente sono in corso degli approfondimenti dello studio del loro meccanismo di azione. Figura 1. a) Leganti diminici utilizzati BCA BCS ferrozinaFz isomeri di BCS (i-BCS) 74 b) Fosfine utilizzate PTA DAPTA c) Complessi ottenuti [Cu(BCS)2] [Cu(BCS)(PTA)2] [Cu(BCS)(DAPTA)2] [ Cu(i-BCS)2] [Cu(i-BCS)(PTA)2] [Cu(i-BCS)(DAPTA)2] [Cu(BCA)2] [Cu(BCA)(PTA)2] [Cu(BCA) (DAPTA)2] [Cu(Fz)2] [Cu(Fz)(PTA)2] [Cu(Fz)(DAPTA)2] d) Ipotesi di struttura + C6 H5 C6 H5 SO 3 Na Na SO 3 Me Me BF4 Un altro studio portato avanti nel 2014 in collaborazione con altri gruppi del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università di Padova ha riguardato la sintesi di nuovi composti omolettici tetraedrici di Cu(I) del tipo [CuP4]BF4 (P = 1,3,5 –triaza-7-phosphaadamantane (PTA), 3,7-diacetyl1,3,7-triaza-5-phosphabicyclo[3.3.1] nonane (DAPTA) and 2-thia-1,3,5-triaza-phosphoadamantane 2,2 dioxide (PTA-SO2), Figura 2). I nuovi complessi [Cu(DAPTA)4]BF4 e [Cu(PTA-SO2)4]BF4 sono stati caratterizzati con diversi metodi spettroscopici tra cui analisi XAS-EXAFS. Esperimenti condotti in cellule di tumore umano hanno evidenziato una significativa attività antiproliferativa di tali composti verso diversi tipi di tumore con una inibizione preferenziale verso le cellule tumorali rispetto alle cellule sane. Inoltre, questi composti hanno dimostrato un’attività antiangiogenica a concentrazioni sub-citotossiche. Studi condotti in vivo, in un opportuno modello animale, hanno confermato che i composti [Cu(PTA)4]BF4 e [Cu(DAPTA)4]BF4 oltre ad una significativa e specifica attività antitumorale sono dotati di una notevole abilità nell’inibire l’angiogenesi. Data l’importanza di questa osservazione, sono in corso degli studi per valutare l'effetto promosso dai complessi in esame su specifiche fasi del processo angiogenico. Figura 2. Fosfine utilizzate per la sintesi di composti del tipo [CuP4]BF4. PTA DAPTA PTA-SO2 75 3. 1-Ruolo fisiologico del sistema tioredossinico nelle cellule tumorali e non, come possibile target di complessi metallici impiegati come antitumorali. 2- Ruolo della regolazione redox nel segnale cellulare Maria Pia Rigobello, Alessandra Folda, Anna Citta, Alberto Bindoli La ricerca è stata svolta in collaborazione con numerosi gruppi di ricerca italiani ed esteri. Composti ferrocenici derivati dal tamoxifene (sintetizzati dal gruppo di Gerard Jaouen and Anne Vessières, Università della Sorbona, Parigi) sono stati studiati in relazione allo stress ossidativo in cellule tumorali, analizzando in particolare i due principali sistemi tiolici coinvolti nella detossificazione dei ROS. Da questa collaborazione è scaturita una tesi di laurea in Farmacia dell’Università di Padova (titolo della tesi: “Effetto di nuovi composti derivati dal tamoxifene sul sistema tioredossinico in cellule tumorali”, Laureanda Valeria Scalcon, ottobre 2014) e una pubblicazione su Journal Medicinal Chemistry, 2014. In collaborazione con il gruppo Angela Casini, Università di Groningen sono stati inoltre condotti studi cellulari su composti cumarinici di oro (I), correlandoli con l’inibizione della tioredossina reduttasi. Tali risultati sono stati pubblicati su European Journal of inorganic chemistry e come atti del convegno EuroBIC 2014. 4. “Radiofarmaci nella diagnostica e terapia tumorale”. Sintesi, valutazione biologica in vitro e in vivo di nuovi complessi di tecnezio. Cristina Bolzati, Alessandro Dolmella, Nicola Salvarese, Fiorenzo Refosco, Galenda Alessandro, Carta Davide Il tecnezio rappresenta ad oggi il radionuclide di elezione per le tecniche di imaging SPECT. Scopo delle analisi di imaging è l’indagine non invasiva e dettagliata di vari processi biologici e patologici. Nel 2014 l’attività di ricerca è stata incentrata sulla realizzazione di processi di marcatura efficienti di vettori molecolari per lo sviluppo di sonde target specifiche per l’imaging molecolare. Le fasi di articolazione del progetto ripercorrono sostanzialmente quelle illustrate già nel resoconto degli anni precedenti, dove l’attenzione appariva concentrata su piccoli peptidi modificati contenenti la sequenza Arg-Gly-Asp (RGD) da utilizzare quali vettori molecolari in grado di bersagliare il recettore delle integrine del sottotipo αVβIII. Per provvedere alla sintesi dei vettori molecolari, come già l’anno precedente, ci siamo appoggiati alla collaborazione di ricercatori CNR dotati delle necessarie competenze; mentre manteniamo la collaborazione con il gruppo del Dr Calderan, ICB/CNR di Padova, altri vettori di nuova progettazione sono stati realizzati nell’ambito della cooperazione con l’IBB-CNR di Napoli coordinato dal Dr. Saviano. In entrambi i casi, l’approccio è quello del cosiddetto legante bifunzionale, in cui un residuo dell’amminoacido cisteina è utilizzato per legarsi da un lato al vettore molecolare, dall’altro ad un opportuno ‘frammento molecolare’, il sintone [99mTc(N)(PNP)]2+. Tutte le sintesi sono state ottimizzate ed i radiocomplessi sono stati valutati sia dal punto di vista chimico ( stabilità) sia dal punto di vista biologico (vitro e vivo). 5. Radiofarmaci nella diagnostica medico-nucleare Maria Cecilia Giron Lo scorso 10-13 settembre si è svolto presso il Centro Convegni Forum Brixen/ Bressanone il 2nd International Symposium on Technetium and Other Radiometals in Chemistry and Medicine (TERACHEM 2014), organizzato dal Prof. Ulderico Mazzi (Presidente) e dalla Dott.ssa Maria Cecilia Giron (Chair) dell'Università di Padova, con il sostegno della Society of Radiopharmaceutical Sciences (SRS), dell'International Atomic Energy Agency e del Department of Energy degli Stati Uniti, ed il supporto economico di diverse industrie del settore. 76 Il Simposio, riconosciuto a livello internazionale per la sua specificità e precedentemente denominato Technetium and Rhenium in Chemistry and Nuclear Medicine, è alla seconda edizione di una serie dedicata a trattare ogni quattro anni radiofarmaci non solo marcati col tecnezio e renio, ma anche con altri radioisotopi metallici, con prospettive di sviluppo ed impiego nella diagnostica e/o terapia medico-nucleare. La partecipazione di 192 delegati di 28 diversi paesi diversi,l'assegnazione di 40 borse di studio a studenti di dottorato e giovani scienziati, finanziate dall'International Atomic Energy Agency, dal Department of Energy degli Stati Uniti e dall'SRS, ha evidenziato il successo di questo congresso come punto di confronto scientifico a livello mondiale. Gli abstract del congresso sono stati pubblicati nel volume 41, fascicolo 7 della rivista internazionale peer-review Nuclear Medicine and Biology del 2014. Una breve sintesi dei contenuti del congresso è stata recentemente riportata nella newsletter di novembre 2014 del World Council on Isotopes, visibile al seguente indirizzo internet: http://www.ri.or.kr/wci/2014%20WCI%20Newsletter%20November%20Edition.pdf Nell'ambito di questa tematica di ricerca si comunica, inoltre, che la Dott.ssa Maria Cecilia Giron, è stata invitata come esperta ad un incontro tecnico-scientifico con altri 5 scienziati riconosciuti a livello internazionale, organizzato dall'International Atomic Energy Agency (IAEA) a Vienna lo scorso dicembre, per la preparazione e la stesura di linee guida tecniche e poi successivamente di un libro dedicato al Setting up Multimodality Preclinical Imaging Facilities: Associated Protocols and QA, che saranno pubblicati nel secondo semestre del 2015 dalla stessa IAEA e resi disponibili a tutti i 193 Stati membri delle Nazioni Unite. 77 UNITA’ DI RICERCA DI PALERMO Direttore Scientifico: Dott.ssa Claudia Pellerito L'attività scientifica, conseguentemente alla variegata composizione dell'Unità, si è svolta su diversi fronti: 1. Metallofarmaci in oncologia 2. Proprietà termodinamiche standard per la formazione di complessi 3. Termodinamica di sistemi acquosi copolimero/tensioattivo convenzionale 4. Modellizzazioni ed indagini computazionali. Metallofarmaci in oncologia Molti agenti antitumorali mostrano ancora oggi una notevole attività citotossica non specifica ed effetti collaterali importanti, problematiche che motivano ancora a progettare nuove molecole che agiscano attraverso meccanismi specifici allo scopo di migliorarne il potenziale indice terapeutico.Per questo motivo, la nostra ricerca è stata indirizzata verso la sintesi di nuovi complessiorganostagno(IV) con leganti in grado di interferire con meccanismi di regolazione epigenetica. I tre meccanismi molecolari principali di regolazione epigenetica dell’espressione genica sono: la metilazione del DNA, la espressione di sequenze non codificanti RNAs, e le modificazioni a carico degli istoni. Nel 2013 abbiamo infatti già riportato studi su nuovi inibitori delle HDAC (istone deacetilasi) costituiti da organostagno(IV) con acido valproicocome potenziali farmaci. La metilazione del DNA coinvolge l’addizione covalente di un gruppo metilico sul carbonio 5 della citosina per formare la 5 metilcitosina (5-mC) nei dinucleotidi citosina-guanina (CpG). La metilazione è catalizzata da tre principali DNA metiltrasferasi (DNMTs), e il donatore del metile è la S adenosilmetionina (SAM). Sono state riportate variazioni nel contenuto di DNA metilato anche in seguito ad esposizione di S.marmoratus ad organostagno(IV), così come esistono numerosi studi sull’effetto di inibizione di DNMT umane ad opera di catechine contenute nel the. Per questo motivo abbiamo progettato la sintesi di composti contenenti organostagno(IV) ed acido caffeico come legante. Studi preliminari sono stati riportati nella sessione poster dei recenti workshops organizzati dal Consorzio. Nel 2014 abbiamo sintetizzato, e caratterizzato allo stato solido e in soluzione i complessi attraverso Spettroscopia FT-IR, NMR, UV-VIS, Fluorescenza, ESI-MS. Inoltre sono stati condotti studi computazionali DTF sulle strutture proposte e indagini biologiche in vitro su tre linee cellulari cancerose umane. Dagli studi sulla vitalità cellulare, sull’analisi morfologica, sulla distribuzione cellulare, sulla attivazione di alcuni percorsi biochimici coinvolgenti la caspasi-3 e PARP, dallo studio del coinvolgimento dei mitocondri e dalle misure del potenziale transmembrana mitocondriale emerge chiaramente una attività citotossica mediante meccanismi apoptotici. Inoltre nella seconda parte del 2014 ci siamo dedicati allo studio dello stato di metilazione del DNA e sull’effetto di inibizione della stessa dopo incubazione con i composti, nelle opportune finestre di tempi di esposizione e di concentrazione precedentemente individuate. Inoltre sono stati valutati i livelli della DNA (citosina 5)metiltransferasi 1 (DNMT 1) mediante impiego di anticorpi monoclonali e i risultati sono molto promettenti. Uno dei composti sintetizzati presenta elevata specificità di azione, esercitando inibizione dell’enzima. I risultati sono in fase di pubblicazione. Prosegue lo studio relativo ai complessi organostagno(IV)-sulfonatofenilporfirine. L’avanzamento degli studi, in collaborazione con la Dott.Giovanna Barbieri e del Dott. F.Costantini dell’ Istituto di Biomedicina e Immunologia Molecolare ‘Alberto Monroy’ (CNR), riguarda il ruolo dei complessi organometallici sull’invasività e sulla formazione di metastasi di melanoma. In particolare due linee cellulari di melanoma le A375 and HT144 sono state trattate con (Bu2Sn)2TPPS and (Bu3Sn)4TPPS 79 al fine di valutare le alterazioni dei recettori di adesione correlate all’avanzamento delle metastasi attraverso le deregulation delle funzioni di adesività cellulare e il successivo distacco delle cellule tumorali dal tumore primario. In particolare, in seguito al trattamento abbiamo evidenziato alterazioni nella morfologia cellulare, una riduzione dell’espressione dei fattori di adesione come le Integrine b1 and b3, MCAM e ICAM, una riduzione dell’espressione di proteine di transizione EMT come la b-catenina e la N-caderina, una riduzione della attività gelatinolitica delle metalloproteinasi MMP2 e MMP9. Questi incoraggianti risultati sono stati presentati come risultati preliminari e sono in corso di pubblicazione. Allo scopo di comprendere, inoltre, se i complessi di cui sopra si intercalano o interagiscono esternamente al groove del DNA, è stata intrapresa una collaborazione scientifica con la Dott.TaritaBiver, del Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa. Alcuni dei complessi sintetizzati inoltre sono in studio per lo sviluppo di nuovi approcci per screening farmacologici basati sul controllo del rilascio di potenziali inibitori/modulatori di enzimi legati su superfici. Altri sono, come i complessi porfirinici, sono in studio per la progettazione di monolayers, di materiali self-assembly o componenti di eterogiunzioni bulk per la preparazione di componenti di elettronica su plastica con applicazioni come transistor, celle fotovoltaiche , sensori e biosensori. Alcuni risultati preliminari sono stati presentati a convegni in ambito nazionale ed internazionale. Nel corso del 2014 sono stati effettuati studi, sperimentali e computazionali, sull'interazione con DNA di noti farmaci antitumorali e di complessi metallici con leganti Basi di Schiff.In particolare, l'interazione tra DNA, nelle conformazioni B e G-quadruplex, ed i complessi di nichel(II), rame(II) e zinco(II) con leganti Salphen funzionalizzati, è stata studiata in soluzione acquosa e a pH neutro, attraverso misure di dicroismo circolare (CD), spettroscopia di fluorescenza, spettroscopia UVvisibile a temperatura variabile e misure di viscosità. I risultati ottenuti hanno mostrato che tali complessi possiedono una notevole capacità “G-quadruplex-stabilizer” con costanti di affinità verso il G-quadruplex-DNA fino a 100 volte maggiori rispetto a quelle per il B-DNA. Questi risultati sono stati inoltre in ottimo accordo con i saggi biologici condotti su linee cellulari tumorali umane . Proprietà termodinamiche standard per la formazione di complessi Sono state condotte indagini sulla rimozione di ioni metallici di interesse ambientale e biologico da soluzioni acquose mediante adsorbimento su materiali di origine naturale di basso costo e basso impatto ambientale. Gli studi sono una continuazione di quanto effettuato nel corso del 2013, in particolare la rimozione di ioni Hg(II) mediante adsorbimento su alginato in fase gel e di ioni Cu(II) e Cd(II) mediante adsorbenti misti alginato/pectina. Nel 2014 sono stati effettuati studi di rimozione di ioni Pb(II), Pd(II) e UO2(II) mediante gel beads di alginato. La capacità di rimozione è stata valutata per via cinetica, in funzione del tempo e delle concentrazioni del materiale adsorbente e degli ioni metallici sottoposti al trattamento. Le condizioni di equilibrio sono state esaminate dopo un attento studio di speciazione effettuato sugli ioni metallici presenti in soluzione, in particolare valutando a loro carico eventuali processi di idrolisi e di interazione con i componenti del mezzo ionico. Il preventivo studio di speciazione si è reso particolarmente necessario nel caso della rimozione degli ioni Uranile (UO22+) e dello ione Pd2+ che subiscono forte idrolisi già a valori di pH acidi. Nel caso dello ione Pd(II) è stata anche valutata la capacità di formare specie di una certa stabilità con gli ioni cloruro normalmente presenti nelle acque naturali e nelle acque di scarico. I dati ottenuti sono stati processati con i classici modelli di Langmuir e Freundlich e, nel caso della rimozione dello ione Pb2+, è stato utilizzato un modello ibrido messo a punto presso i nostri laboratori. Termodinamica di sistemi acquosi copolimero/tensioattivo convenzionale L'attività scientifica ha riguardato lo studio di macromolecole interagenti con additivi idrofobi e fasidisperse. A tal fine, sono stati effettuati studi termodinamici, strutturali e spettroscopici. L'attivitàscientifica può essere così riassunta: 80 a) Solubilizzazione di contaminanti in micelle polimeriche È stato effettuato un dettagliato studio termodinamico in funzione della temperatura e concentrazione del tensioattivo polimerico e additivo. A tal fine, sono state adoperate diversetecniche quali la calorimetria differenziale a scansione (DSC), la tecnica volumetrica e lacalorimetria isoterma di titolazione (ITC). b) Nanocompositi costituiti da polimeri biocompatibili I nanocompositi sono materiali che esibiscono strutture uniche e proprietà straordinarie assenti neitradizionali compositi (stabilità termica e meccanica, ridotta infiammabilità, proprietà di barriera,ecc.) caratterizzati dalla presenza di nanofillers. L'attività di ricerca nel campo dei nanocompositi hariguardato la sintesi e la caratterizzazione chimico-fisica di nanomateriali costituiti da nanoargille enanosilice e macromolecole (polimeri e biopolimeri). Gli studi si sono basati sulle tecniche di DSC, diffrazione a raggi, spettroscopia di fluorescenza eUV-visibile, termogravimetria e dynamicmechanicalanalysis. È stato possibile correlare leproprietà microscopiche con quelle macroscopiche. In particolare sono stati studiati nanotubi di allosite come sistemi di trasporto (drugcarriers) per il cardanolo, un composto naturale attivo con promettenti proprietà antitumorali. I nanotubi sono stati chimicamente modificati ancorando sulla superficie esterna sali di triazolio con differente idrofobicità.L’interazione tra cardanolo e nanotubi è stata evidenziata in soluzione mediante HPLC che ha dimostrato il caricamento del farmaco all’interno dei nanotubi. I complessi nanotubi-farmaco sono stati caratterizzati mediante spettroscopia FT-IR, analisi TG e mediante misure dell’angolo di contatto per valutarne struttura, proprietà termiche e bagnabilità. Le cinetiche di rilascio del cardanolo e gli esperimenti di citotossicità cellulare mostrano risultatipromettenti che sono stati pubblicati. Analoghi studi sono stati condotti includendo altre molecole organiche con proprietà antitumorali, come la curcumina. Ulteriori studi hanno riguardato la preparazione di nanotubi di allosite modificati mediante Ciclodestrine modificate con residui tiosaccaridici, allo scopo di simulare le modalità note con cui gli zuccheri legano le proteine e gli effetti del glicoclustercheregolano i fenomeni di riconoscimento cellulare. c) Termogravimetria applicata ai Beni Culturali. È stata messa in evidenza la versatilità dellatecnica termogravimetrica nei processi di consolidamento di legni archeologici bagnati enella valutazione dello stato di degrado del legno stesso. Modellizazioni ed indagini teoriche Per il 2014 l'attività di ricerca si è concentrata sulla sintesi e la caratterizzazione di cristalli liquidi ionici e lo studio computazionale di proprietà NMR di composti paramagnetici di interesse teconologico e/o biomedico. 1) Cristalli Liquidi Ionici L'attività svolta in collaborazione con l'unità operativa di Padova dell'Istituto per la Tecnologia della Membrana (ITM) del CNR ha riguardato la sintesi e la caratterizzazione di cristalli liquidi ionici a base di bipiridinio. Questi composti mostrano potenziali impieghi come componenti per la sintesi di membrane sintetiche per varie applicazioni tecnologiche: attività questa che si svolge presso la sede dell'ITM a Rende (Cs). L'attività dell'unità di Padova ha riguardato principalmente la sintesi di basi di questi componenti e il loro studio. In particolare, la sintesi di serie di composti con cristalli liquidi ionici ha permesso di determinare i limiti dei domini di temperatura relativi all'esistenza delle mesofasi correlandoli alle caratteristiche strutturali. In particolare, l'ultima serie di composti sintetizzata ha riguardato la sintesi di una serie di dimeri di bipiridinio con catene laterali espacer alchilici di diverse lunghezze come riportato nello schema 1. 81 Rispetto ad analoghi composti monomeri è stato inoltre notato come dimeri simmetrici del tipo RBP-R1-BP-R (dove BP=unità bipiridinio) presentino mesofasi diversi dagli omologhi monomeri RBP-(R1/2). I dimeri presentano quindi proprietà differenti dagli omologhi monomeri aprendo la possibilità ad una maggior controllo delle strutture per ottenere mesofasi caratteristiche. In particolare, i dimeri hanno presentato mesofasi più ordinate, di tipo smettico X (SmX) rispetto ai corrispondenti monomeri. Misure DSC e indagini NMR, POM (microscopia a luce polarizzata), hanno permesso di dedurre che il parziale ordine strutturale della SmX derivi dalla lunghezza dello spacer interno che contribuisce parimenti alle proprietà del sistema. In Figura 1 è riportato lo schema che modellizza l'arrangiamento strutturale in fuzione della temperatura e delle fasi ottenute enfatizzando la differenza di ordine tra le mesofasi SmX e SmA. Figura 1 Schema di transizione dallo stato Cristallino (Cr) a quello liquido Isotropo (Iso), tramite le mesofasi SmX e SmA. La SmX non è presente negli omologhi monomeri ed è funzione dello spacer tra due unità bipiridinio; questi tende a conferire un parziale I risultati sono stati oggetto sia di una comunicazione su rivista internazionale che di un lavoro in fase di ultimazione. 2) Studio computazionale DFT di proprietà NMR di complessi di lantandi paramagnetici di interesse teconologico e/o biomedico. A causa dei loro impeghi tecnologici e diagnostici i lantandi, e loro derivati, rivestono un ruolo importante tra i composti con plusvalore commerciale. Lo studio computazionale dei parametri NMR di complessi di lantanidi paramagnetici, tramite metodi DFT, è un campo di ricerca relativamente recente. L'implementazione di protocolli di calcolo che riescano a descrivere correttamente la struttura elettronica di questi composti è ancora ben lungi dall'essere. Tra i lantandi studiati pochi di essi riescono ad essere anche studiati computazionalmente; la letteratura in merito è relativamente recente e ancorchè scarna e tra questi rientra il Gadolinio. Abbiamo studiato quindi le proprietà NMR di composti di Gd con DOTA (acido tetra-azaciclododecane-tetraacetico), con lo scopo di modellizzare i chemicalshift degli ossigeni coinvolti nella 82 coordinazione al Gd. Sperimentalmente è stato infatti osservato, contrariamente a quanto sino ad oggi si fosse ritenuto, che è possibile tramite tecniche NMR discriminare gli ossigeni non coordinati al Gd tramite spettroscopia NMR 17O. Il complesso studiato [Gd(DOTA)(H2O)3]- (vedi Figura 2) è utilizzato come agente di contrasto nelle tecniche di indagine medica di risonanza magnetica per immagini (MRI) anche se lo ione gadolinio risulta essere tossico quando non coordinato. Le indagini NMR hanno permesso di rilevare quindi segnali di 17O non coordinati al Gd oltre alla determinazione della costante di accoppiamento iperfine A. I dati ottenuti computazionalmente sono risultati in accordo con la presenza del segnale NMR nello spettro 17O così come con la costante di accoppiamento iperfine. La combinazione di metodi sperimentali e computazionali ha quindi permesso di validare una tecnica che permette di discriminare, tramite spettroscopia NMR, gli ossigeni coodinati o no a piccoli complessi di Gd. I risultati sono stati oggetto di una pubblicazione in fase di stampa. Figura 2 Struttura molecolare di [Gd(DOTA)(H2O)3]- 83 UNITA’ DI RICERCA DI PARMA Direttore Scientifico: Prof. Giorgio Pelosi L’attività scientifica dell’Unità di Ricerca di Parma, nel corso dell’anno 2014, oltre alla prosecuzione degli studi iniziati nel precedente anno, è stata ampliata a tre nuovi indirizzi applicativi. Nello specifico, sono entrati a far parte dell’Unità ricercatori che si occupano di inibitori dell’HIV integrasi (IN) e della endonucleasi del virus dell’influenza, si è iniziata una collaborazione con l’Università della Danimarca del Sud (Odense, DK) per l’utilizzo dei leganti sviluppati nei nostri laboratori come carrier per l’antimonio marcato a fini diagnostici e terapeutici, ed infine si è intrapreso uno studio per l’utilizzo di molecole da noi sintetizzate come antifungini, in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Genetica per la Cerealicoltura (sede di Fiorenzuola - PC). I risultati più significativi raggiunti nel corso del 2014 sono sinteticamente descrittidi seguito. Caratterizzazione mediante microscopia a forza atomica dell’interazione del complesso [Ni(tcitr)2] col DNA Il bis(S-citronellaltiosemicarbazonato)nichel(II), [Ni(tcitr)2], è un composto che inibisce la proliferazione della linea tumorale U937 inducendo un blocco in fase G2/M e portando le cellule cancerose all’apoptosi. Questo derivato di nichel non mostra attività su cellule sane in proliferazione. L’apoptosinelle cellule aesposte al composto [Ni(tcitr)2] ha luogo attraverso l’attivazione della caspasi-9, e perciò attraverso un meccanismo di innesco intrinseco. Dato il danno al DNA osservato con il saggio Comet, abbiamo studiato l’attività mutagena del complesso metallico, compreso il test di Ames, quello dei micronuclei e l’attività di riparazione del DNA, ma non è stata osservata alcuna mutagenicità né riparazione. Sono state quindi analizzate le interazioni complesso di nichel–DNA per azione diretta del composto sul DNA plasmidico e lineare utilizzando la spettroscopia UV-vis e il Dicroismo Circolare, l’elettroforesi e la microscopia a Forza Atomica. Questi esperimenti rivelano che il composto [Ni(tcitr)2] non causa rotture del DNA e non intercala, ma altera significativamente la conformazione del DNA creando strutture a cappio e forcelle. Il substrato scelto per le analisi AFM è rappresentato da un frammento di DNA lungo 1004 bp ottenuto mediante PCR. Le immagini AFM riportate in Figura 1 sono rappresentative di deposizioni di DNA preventivamente sottoposto a trattamento per un’ora a temperatura ambiente con il solo DMSO (A) e con 1 (B), 10 (C), 100 (D) µM di [Ni(tcitr)2]. Un’analisi più dettagliata dei frammenti di DNA esposti al complesso metallico ha permesso di mettere in evidenza la presenza di strutture simili a nodi o forcine, che spesso inducono angoli di ripiegamento del DNA molto stretti, assenti nelle molecole non trattate (Figura 1E). Il numero di queste strutture lungo i frammenti di DNA aumenta all’aumentare della concentrazione del composto (Tabella 1), ma rimante invariato aumentando il tempo di incubazione. Figura 1. Immagini AFM ottenute depositando per 2 minuti una soluzione di DNA 2 nM trattato con DMSO (A) ed 1 (B), 10 (C), 100 (D) µM di [Ni(tcitr)2] per un’ora a T.A. in depositi on buffer (4 mMHepes pH 7,4, 10 mMNaCl, 2 mM MgCl2). E: dettaglio di molecole presentanti strutture simili a nodi o forcine indotte dal trattamento, F: dettaglio di unodegli aggregati supramolecolari osservati in seguito al trattamento con alte concentrazioni di [Ni(tcitr)2]. 85 L’analisi del profilo delle strutture osservate sul DNA ha rivelato un’altezza compresa tra 1 e 2 nm, il doppio rispetto all’altezza media del DNA non trattato. Questo dato suggerisce che le deformazioni indotte dal trattamento corrispondano ad una sovrapposizione di segmenti di DNA, probabilmente interconnessi da una o più molecole di [Ni(tcitr)2]. A conferma di questa ipotesi, soprattutto alle più alte concentrazioni di xenobiotico, sono stati identificati grossi aggregati supramolecolari formati da numerose molecole di DNA, mai osservati in altre condizioni (Figura 1F). L’analisi della lunghezza del DNA ha inoltre permesso di dimostrare che in presenza di [Ni(tcitr)2] il DNA si accorcia (Figura 2). In particolare, molecole di DNA che non presentano nodi o forcine mostrano un accorciamento di circa 10 nm mentre la presenza di strutture globulari lungo il DNA determina accorciamenti pari a 29.9 ±17.4, 35.5 ±21.4 e 39.6 ±16.9 nm a seconda che il trattamento sia stato fatto rispettivamente con 1, 10 e 100 µM [Ni(tcitr)2]. La forte riduzione della lunghezza osservata su questi frammenti può essere spiegata considerando che le deformazioni visibili nelle immagini AFM consistono in porzioni condensate di DNA. Figura 2. Distribuzione delle lunghezze di DNA trattato con DMSO (A), con 1 (B), 10 (C) e 100 (D) µM di [Ni(tcitr)2] per un’ora a T.A. La linea tratteggiata indica la lunghezza media del DNA in assenza di ligando. Le barre a righe rappresentano molecole prive di nodi, mentre quelle nere rappresentano molecole con nodi o forcine. Tabella 2. Lunghezza del DNA non trattato e trattato con concentrazioni crescenti di [Ni(tcitr)2]. Sono riportati i valori della media ± la deviazione standard delle lunghezze (tra parentesi il numero di molecole analizzate). Nell’ultima colonna è riportata la percentuale di molecole con nodi o forcine sul totale di molecole presenti nelle immagini di ciascun esperimento. 86 La riduzione della lunghezza del DNA, osservata anche sulle molecole apparentemente prive di strutture simili a nodi o forcine, suggerisce che il [Ni(tcitr)2] provoca una modificazione strutturale del DNA che porta ad una sua compattazione. È interessante notare che l’accorciamento di 10 nm da noi osservato (pari circa al 3,5% della lunghezza) sia compatibile con la transizione B – C del DNA. Studi preliminari sull’uso di complessi bis-tio-semicarbazonici di antimonio per applicazioni diagnostiche e terapeutiche. Lo sviluppo di radiofarmacia base metallica è un’area di ricerca in costante crescita. Due isotopi dell’antimonio (119Sb e117Sb) sono stati recentemente presi in considerazione come radionuclidi per diagnostica e radioterapia. Il primo decade per cattura di elettroni e emette elettroni Auger a bassa energia, fenomeno che lo rende adatto per uso terapeutico. L’altro isotopo, 117Sb, decade per cattura di elettroni ed emissione di β+e può essere usato per l’imaging daSPECT (Single Photon Emission Computer Tomography). Per le applicazioni diagnostiche o terapeutiche, lo ione metallico non deve essere rilasciato dalla molecola trasportatrice nel corpo umano e la stabilità del complesso deve essere garantita da un’alta denticità e da una carica negativa sul legante. I tiosemicarbazoni, oltre alle loro versatilità nella chelazione, presentano anche proprietà biologiche e in particolare i loro complessi metallici sono spesso inibitori selettivi della proliferazione su diverse linee cellulari tumorali. In questo contesto abbiamo sintetizzato e caratterizzato una serie di composti di antimonio(III), sia partendo da cloruro che da acetato, usando il 2,6-diacetilpiridinabistiosemicarbazone edil2,6diacetilpiridina bis(N4-feniltiosemicarbazone) come leganti, allo scopo di verificare se questi composti possono essere utilizzati come carriers per l’antimonio marcato o come composti antitumorali. Figura 3. Strutture di alcuni dei complessi di antimonio ottenuti. 87 Sviluppo di nuovi fitofarmaci antifungini L'EFSA nel 2009 ha lanciato una campagna per studiare il potenziale aumento delle aflatossine nei cereali a causa dei cambiamenti climatici e il Ministero della Salute ha sottolineato la necessità di continui controlli per evitare pericoli per la salute umana. Le aflatossine sono un gruppo di tossine strutturalmente prodotte da funghi del genere Aspergillus (A. flavus e A. parasiticus). La tossinogenesi in campo e nei siti di stoccaggio è dovuta a umidità, temperatura, usi non corretti di fungicidi e danni meccanici al prodotto. Sono a rischio tutte le colture dei prodotti che sono alla base dell’alimentazione umana e animale come i cereali. La presenza di aflatossine negli alimenti è nociva per la salute umana e degli animali poiché ha effetti mutageni e teratogeni, attività estrogenica, effetti a livello gastrointestinale, renale ed epatico. Inoltre è stato dimostrato che alcune micotossine inducono immunodeficienza e riducono la resistenza alle malattie infettive. Nell’ambito di questo progetto di ricerca composti ottenuti dall’unione di molecole di origine naturale e ioni metallici (complessi metallici), che siano innocui per la salute umana e animale, ma efficaci nel prevenire la produzione di micotossine da parte di funghi presenti in cereali in stoccaggio e in campo. In ambito sintetico il lavoro sarà mirato all'ottenimento di innovativi complessi metallici, avendo cura di verificare come, variando le loro caratteristiche strutturali e chimico-fisiche in genere (proprietà redox, lipofilia) conseguentemente cambino e loro proprietà antifungine (correlazione struttura-attività). Alcune di queste molecole (vedi Figura sottostante) da utilizzare come leganti per ioni metallicisono state testate per la loro capacità di inibire la formazione di funghi e la produzione di aflatossine in laboratorio, mostrando in alcuni casi marcate proprietà inibitorie. Sono in corso test di inibizione utilizzando complessi metallici di metalli della prima serie di transizione. NH NH 2 N H 3C NH NH 2 N S S CH 3 cuminaldeidetiosemicarbazone trans-cinnamaldeidetiosemicarbazone H N O NH NH N CH 3 S F chinolina-2-carbossaldeide tiosemicarbazone H N 5-fluoroisatin-4-metiltiosemicarbazone O NH NH2 N S F 5-fluoroisatin tiosemicarbazone 88 Progettazione di leganti bifunzionali per Cu(II) e Zn(II) per il trattamento della patologia di Alzheimer Questo progetto riguarda la progettazione di leganti per Cu(II) e Zn(II) al fine di un possibile loro utilizzo come leganti polifunzionali nel trattamento di malattie neurodegenerative quali la sindrome di Alzheimer. I Metal-Protein Attenuating Compounds (MPACs) sono una categoria di leganti per ioni metallici aventi la capacità di modulare ed, in genere, ridurre l’interazione fra ioni metallici e biomolecole attraverso la competizione con queste ultime nella complessazione dei primi. Una sotto classe di questi composti, denominata BMPACs (Bifunctional MPACs), è caratterizzata sia da una funzione chelante nei confronti degli ioni metallici, sia di gruppi funzionali in grado di interagire con bioleganti (es. β-amiloide, Aβ), dando origine ad una sinergia di tipo cooperativo frai due tipi di interazione. I leganti da noi progettati contengono due sistemi chelanti: un gruppo tioammidico ed un sistema (N,N). La porzione di molecola aromatica (gruppo piridilico o chinolinico) può dare origine ad interazioni con Aβ. Infine, vi è la presenza di un gruppo funzionale C=S che può agire da scavenger di radicali, favorendo effetti neuroprotettivi attraverso l’abbattimento di ROS generati da parte di oligomeri Cu(II)-Aβ (Figura4) Figura 4. Rappresentazione di un legante BMPAC studiato in questo progetto. In blu, regione putativa di interazione con β-amiloidi, in rosso, sito di coordinazione per ioni metallici, in verde, sito monodentato di coordinazione e gruppo riducente. I leganti sono stati sintetizzati in buone rese partendo da reagenti commerciali, edisolati con un elevato grado di purezza. La complessazione con Zn(II) è stata studiata mediante NMR, e attraverso tentativi di cristallizzazione dei relativi complessi. Questi ultimi hanno portato all’isolamento dell’addotto con Zn(II) del legante contenente un residuo chinolinico, dove il legante è coordinato monodentato al metallo (Figura5). Figura 5. Rappresentazione della struttura XRD del complesso del legante in Fig. 1 con Zn(II) (sinistra) e delle interazioni fra due unità presenti allo stato solido (destra). In grigio, atomi di C, in bianco, atomi di H, in blu, atomi di N, in giallo, atomi di S, in verde, atomi di cloro. 89 I complessi di Cu(II) sono stati studiati per via spettroscopica, prevalentemente mediante spettroscopie di assorbimento UV-visibile e di fluorescenza. Data la bassa solubilità in solventi protici, gli studi sono stati condotti in DMSO, DMF e NMP. I risultati delle caratterizzazioni evidenziano la capacità di questi composti, in particolare di quelli contenenti il residuo piridilico, di dare origine a complessisia 1:1 che 2:1 Cu:L. Inoltre, le curve di binding ottenute da titolazioni spettrofotometriche evidenziano la formazione di complessi non estremamente forti anche in DMF. Questo è un aspetto positivo nello sviluppo di BMPACs, in quanto questi leganti devono avere la capacità di non interferire con l’equilibrio omeostatico dei metalli. Diversi di questi leganti hanno mostrato di essere fluorescenti, e questa caratteristica è stata utilizzata per valutare e supportare i dati di binding ottenuti attraverso la spettrometria UV-visibile. Il primo equivalente di ioni Cu(II) aggiunto al legante modifica le proprietà di fluorescenza osservando una piccola diminuzione di fluorescenza dovuta a fenomeni di quenching di tipostatico. Solo a seguito dell’aggiunta del primo equivalente si ottiene un quenching significativo della fluorescenza. Siccome il residuo piridilico/chinolinico è quello responsabile della fluorescenza, si può ipotizzare che il primo sito di coordinazione del metallo sia il gruppo tioammidico, e che la coordinazione di Cu(II) al gruppo piridilico/chinolinico avvenga solo con il secondo equivalente di metallo aggiunto. Questi dati sono anche in accordo con dati NMR che rivelano che l’aggiunta di 1 eq. di Cu(II) influenza maggiormente i segnali dei protoni distanti dal gruppo aromatico. La presenza di Cu(II) e non Cu(I) è confermata da dati EPR. I dati di ossidazione di di-tert-butilcatecolo nel tempo catalizzata da Cu(II) dimostrano che, in presenza dei leganti da noi progettati, questa ossidazione risulta sfavorita. Ciò dimostra una proprietà di scavenging di specie ossidanti da parte dei leganti, e/o una modulazione del potenziale redox da parte dei complessi. Studi di inibizione dell’aggregazione di addotti Cu(II)/Ab a seguito della presenza dei leganti sono attualmente in corso. Studio di inibitori dell’HIV integrasi (IN) e della endonucleasi del virus dell’influenza L’HIV è un virus che necessita di tre enzimi fondamentali per la replicazione: la trascrittasi inversa, la proteasi e, appunto, l’IN. L’IN si presenta come un ottimo target per la lotta contro il virus: si tratta di un enzima essenziale e contemporaneamente non presenta omologhi nella cellula umana, cosa che permette di superare il problema della tossicità. All’interno del core catalitico dell’IN, si trovano una triade di amminoacidi (D64, aspartato 64, D116, aspartato 116 e E152, glutammato 152) e due ioni metallici, molto probabilmente Mg2+. Tutte le molecole in commercio che hanno come bersaglio l’IN (2007, Raltegravir, Isentress®, 2012, Elvitegravir, 2013, Dolutegravir) comprendono un motivo strutturale che è in grado di chelare gli ioni magnesio nel sito attivo dell’enzima. Nel corso dell’anno si è approfondito lo studio di alcune molecole contenenti un gruppo farmacoforico in grado di coordinare due ioni metallici. In particolare si è testata l’attività in saggi enzimatici e su cellula di queste molecole e di alcuni complessi metallici da queste ottenute. La RNA-dipendente RNA polimerasi del virus dell’influenza è un target interessante per sviluppare nuovi farmaci antivirali. Anche in questo caso è molto probabile che nel sito attivo dell’enzima siano presenti due ioni metallici, in particolare due ioni Mg2+, la cui complessazione dovrebbe condure all’inibizione dell’attività. A questo scopo si sono sintetizzate alcune nuove molecole ed i relativi complessi, nonché si è testata la loro capacità inibitoria in saggi enzimatici in vitro. 90 UNITA’ DI RICERCA DI PAVIA Direttore Scientifico: Prof. Luigi Casella Gruppo di Ricerca del Prof. Luigi Casella Attività scientifica Nel corso del 2014 è stato condotto uno studio su complessi dinucleari eme-metallo, con particolare riferimento al caso in cui il secondo metallo legato all'eme è uno ione FeIII, CuII, CoII, MnII, o ZnII, con lo scopo di verificare se i due centri metallici potessero cooperare in processi di catalisi ossidativa e identificare il partner migliore del gruppo eme. Il complesso eminico è pentacoordinato e contiene un residuo imidazolico legato covalentemente alla porfirina, mentre il secondo metallo è coordinato a un legante tridentato ammino-bis(benzimidazolico). I complessi dinucleari in genere incrementano l'attività perossidasica rispetto al complesso mononucleare dell'eme ferrico. Gli studi sono stati condotti a pH 5.5 e 7.0 usando come substrato l'acido 3-(4-idrossifenil)-propanoico e a pH 9.0 usando invece o-fenilendiammina. Gli effetti più marcati nella reattività si osservano con i complessi contenenti FeIII, CuII e CoII come secondo metallo. In collaborazione col gruppo presso l'unità di Siena, è stato condotto uno studio di caratterizzazione del sito di legame dello ione rame(I) alla beta-sinucleina, confrontando i risultati ottenuti con l'alfa-sinucleina. Questa caratterizzazione sarà descritta in dettaglio nella relazione dell'unità di Siena. In collaborazione con il gruppo di L. Zecca all'ITB-CNR di Segrate sono stati preparati dei nuovi coniugati solubili di melanina con lattoglobulina. Questa proteina è stata scelta perché è in grado di fibrillare in condizioni controllate. I coniugati con la melanina, prodotta per autossidazione della dopammina in presenza di quantità variabili di cisteina e di ferro, sono quindi stati preparati sia con proteina nativa che fibrillata e sono attualmente in corso gli studi di caratterizzazione. In collaborazione con il laboratorio di Farmacologia del Dipartimento di Biotecnologie dell'Università di Siena e con lo spin-off Noxamet presso il nostro Dipartimento, sono stati condotti dei saggi biologici sull'attività di complessi metallici a rilascio controllato di monossido di azoto in ambito vascolare. I composti sono etichettati come "metallo-nonoati" perché contengono un residuo di "piperazina-NONOato" quale precursore di NO, che viene rilasciato in seguito ad una reazione di idrolisi. I metallo-nonoati sono in grado di vasorilasciare l'aorta precontratta di ratto a dosi di un ordine di grandezza inferiore rispetto ai donatori commerciali di NO. Inoltre i composti mostrano effetti protettivi sull'endotelio e promuovono la proliferazione e la sopravvivenza cellulare a dosi dell'ordine di pM. Effetti positivi sono inoltre riscontrati nella riduzione dell'aggregazione delle piastrine e la loro adesione alla membrana plasmatica. Questi risultati indicano che i composti 91 esercitano effetti protettivi sul sistema vascolare e possono in prospettiva essere considerati per la prevenzione dell'arteriosclerosi e della trombosi. 92 UNITA’ DI RICERCA DEL PIEMONTE ORIENTALE Direttore Scientifico: Prof. Domenico Osella REPORTER PER TECNICHE DI IMAGING AD ALTA SENSIBILITA’ (Mauro Botta, Giovanni Battista Giovenzana, Lorenzo Tei, Fabio Carniato). L’attività scientifica dell’anno 2014 si è articolata nell’ambito dell’obiettivo generale dello sviluppo di sonde basate su complessi metallici per applicazioni di Molecular Imaging. Le diverse linee in cui si è articolata l’attività di ricerca possono essere raggruppate nel modo seguente: 1) Design, sintesi e caratterizzazione approfondita di una serie di nuovi complessi di lantanidi di potenziale interesse per applicazioni in procedure di Imaging MR, mediante tecniche di rilassometria a ciclo di campo, NMR multinucleare in soluzione, diffrattometriche, ecc... 2) Progettazione e sintesi di derivati bifunzionali di leganti per lantanidi, da impiegare per la coniugazione dei corrispondenti complessi a vettori molecolari. 3) Studio dettagliato della stabilità termodinamica e cinetica di complessi di ioni metallici di interesse radiofarmaceutico. 4) Nanosistemi paramagnetici quali potenziali sonde MRI 5) Valutazione di sonde a base di Mn(II): aspetti strutturali e proprietà magnetiche. 1) Sonde per applicazioni di Imaging MR i) Sonde per MRI responsive a variazioni di pH[A] Nell’attività di ricerca degli ultimi due anni dell’unità di ricerca del Piemonte Orientale sono stati identificati alcuni complessi di Gd(III) che mostrano una variazione accentuata della propria rilassività in funzione del pH. L’interesse per il comportamento “responsivo” di questi complessi risiede nel loro potenziale impiego come sonde per MRI per la localizzazione selettiva di tessuti sede di patologie che determinano una variazione del pH, tra i quali alcuni tipi di tumore. I complessi in questione sono caratterizzati da una struttura base macrociclica riconducibile al noto legante DO3A, recanti un braccio 2-amminoetilico. Quest’ultimo rappresenta il cardine della responsività al pH: la coordinazione al metallo paramagnetico del gruppo amminico si “spegne” all’atto della sua protonazione, determinando una variazione della rilassività del sistema paramagnetico. Nell’anno 2014 è stato condotto uno studio esaustivo delle proprietà responsive di questi complessi, con particolare riferimento all’influenza dei sostituenti dell’azoto di azoto amminico. Si è infatti dimostrato che il grado di sostituzione del gruppo amminico ne varia la pKAH, dando origine a complessi la cui transizione tra forma “attiva” e forma “inattiva” è posizionabile a pH diversi. Nel caso del complesso Gd-MEM-AE-DO3A tale transizione avviene a pH 6.96, rappresentando una sonda di particolare interesse per studi di pH-imaging nei dintorni dei valori fisiologici. 93 2) Derivati bifunzionali di leganti per lantanidi L’impiego di complessi di lantanidi in numerose applicazioni di imaging diagnostico determina spesso la necessità di coniugare il chelato ad adeguati vettori, il cui ruolo è quello di trasportare e direzionare il sistema verso uno specifico bersaglio biologico. I vettori in questione possono essere di vario tipo, da macromolecole di origine biologica (proteine, carboidrati, anticorpi) o sintetica (polimeri biocompatibili) a piccole molecole riconosciute da specifici recettori. Il vettore può essere coniugato al legante o al complesso preformato, a patto che in queste molecole polifunzionali sia presente un gruppo funzionale reattivo riservato per la coniugazione stessa. E’ quindi necessario preparare leganti che, in aggiunta ai gruppi funzionali impiegati per la coordinazione del metallo, possiedano tale gruppo funzionale reattivo e che esso sia disponibile in modo ortogonale rispetto agli altri gruppi, ad esempio attraverso un adeguato schema di gruppi protettivi. Nello schema sono riepilogati tutti i leganti bifunzionali sintetizzati nell’anno 2014. Il gruppo funzionale reattivo per la coniugazione è evidenziato nel derivato bifunzionale. La prima serie di molecole riguarda agenti chelanti bifunzionali derivanti dalla funzionalizzazione di leganti ampiamente collaudati per metalli della serie dei lantanidi (HP-DO3A, DOTA e AAZTA). [B] La seconda serie di molecole rappresenta i N derivati funzionali di HOOC N HOOC N N COOH N HOOC HP-DO3A DOTA AAZTA analoghi fosfonici del legante prototipico [C] DTPA. Diversi studi COOtBu tBuOOC N N COOtBu tBuOOC N N COOtBu hanno riportato che la tBuOOC N COOtBu N O OH COOH sostituzione di gruppi N COOH COOH 9 tBuOOC N N tBuOOC N N N 8 9 tBuOOC carbossilici con gruppi H fosfonici in leganti polifunzionali di HOOC HOOC questo tipo determina tBu2O3P N N COOtBu HOOC N N COOH tBuOOC N N PO3tBu2 una variazione COOtBu COOH COOtBu significativa nella nelle tBuOOC N COOtBu HOOC N COOH tBu2O3P N COOtBu proprietà dei DTPA corrispondenti complessi, ma nonostante ciò un solo derivato bifunzionale di un legante misto carbossilicofosfonico è riportato nella letteratura scientifica. I leganti bifunzionali preparati nell’anno 2014 sono stati successivamente impiegati per la preparazione di complessi di lantanidi coniugati a specifici vettori, nel caso specifico impiegati per applicazioni di MRI, che saranno oggetto della relazione dell’anno corrente. HOOC N N COOH OH N HOOC N COOH N COOH HOOC N COOH 3) Studi cinetici e termodinamici Il legante ciclico eptadentato OBETA forma complessi con lantanidi la cui stabilità è superiore a quella dei complessi formati dal più noto congenere ottadentato EGTA. Le caratteristiche strutturali di questo inusuale paradosso della chimica di coordinazione sono stati studiati con una combinazione di metodi potenziometrici, NMR in soluzione, rilassometria, diffrattometria a raggi X e modellistica molecolare.[D] COOH N N COOH O COOH O COOH COOH O N COOH OBETA COOH N EGTA COOH [Lu(OBETA)(CO3 )]3- 94 Una diversa disposizione degli atomi donatori nelle rispettiva geometria di coordinazione si traduce in una maggiore rigidità dei complessi di OBETA rispetto a quelli di EGTA, traducendosi in una migliore stabilità termodinamica e in una diversa selettività. Il legante OBETA manifesta infatti un picco di stabilità nel mezzo della serie dei lantanidi, e in particolare per lo ione Gd3+, il cui complesso risulta quindi una sonda per applicazioni MRI particolarmente promettente. 4) Nanosistemi paramagnetici quali potenziali sonde MRI i) Studi su un dimero di AAZTA funzionalizzato con un gruppo adamantano e sugli addotti supramolecolari con albumina di siero umano (HSA), β-ciclodestrina (β-CD) e dendrimeri di βCD. Un complesso di Gd(III) dimerico formato da due unità leganti di tipo AAZTA e funzionalizzato con un gruppo adamantile (Gd2L1) in grado di formare forti addotti supramolecolari con host specifici quali β-ciclodestrina (β-CD), poli-β-CD, e albumina di siero umana è stato sintetizzato e completamente caratterizzato. Valori di relassività molto elevati sono stati misurati per gli addotti supramolecolari, con un incremento fino a 248% per l’addotto con HSA rispetto al dimero di partenza Gd2L1. L'applicabilità di Gd2L1 quale specifica sonda tumorale per accumulazione passiva del suo addotto con HSA è stata valutata attraverso l'acquisizione di immagini MRI a 1 T su topi con tumore B16 impiantato. Questi esperimenti indicano un notevole incremento del segnale (ca. 160%) nel tumore dopo 60 minuti dall'iniezione ed un accumulo epatico molto basso. E’ stato poi preparato il dendrimero basato su PAMAM (poliammidoammina) di generazione 1 e funzionalizzato tramite un ponte disolfuro con otto β-CD terminali (PAMAM-CD8 ). Interazioni non covalenti col complesso Gd2L1 sono state sfruttate per formare complessi supramolecolari di elevato peso molecolare (fino a 12 dimeri e 24 Gd ioni, ca. 34000 Da). Tramite rilassometria 1H NMR sono stati misurati HN i parametri tipici dell’interazione: 1) un incremento S NH nell’effetto di contrasto superiore al 70% per Gd O O O O O O (rispetto al dimero di partenza Gd2L1); 2) una costante O O HN NH di associazione tra le due specie particolarmente elevata N N O O O O Gd3+ Gd3+ (~106 M-1, superiore di due ordini di grandezza rispetto O O N N N N a quella misurata fra Gd2L1 e βCD isolata). O O Quest’ultimo dato è responsabile della stabilità O O Gd2L1 O O dell’addotto anche in presenza di albumina, una proteina molto comune nel sangue e spesso causa dell’inefficacia di farmaci e simili per la sua capacità di formare con essi addotti stabili, inattivandoli. ii) Sintesi e caratterizzazione di dendrimerosomi per applicazioni MRI Sono poi stati preparati dei dendrimersomi per applicazioni MRI: cioè strutture supramolecolari simili a liposomi ma costituiti da dendrimeri anfifilici (detti Janus-dendrimers, contenenti cioè una metà idrofila e l’altra lipofila). Questi sistemi sono stati preparati in presenza di complessi paramagnetici (i.e. Gd-HPDO3A) in modo da inglobarli nel comparto acquoso interno. Alcuni dei Janus-dendrimers ottenuti sono anche stati utilizzati per legarvi covalentemente ligandi per metalli paramagnetici, sfruttando funzionalità terminali. Questi nuove nanoparticelle si sono dimostrate molto efficienti nell’incapsulare complessi di Gd e stabili in condizione fisiologica. E’ stata misurata la loro relassività sia con il GdHPDO3A incapsulato, sia con complessi di Gd anfifilici inseriti nel doppio strato lipidico, ottenendo in tutti i casi valori comparabili con quelli ottenuti con analoghi sistemi liposomiali. 95 iii) Sintesi e caratterizzazione di nuove sonde CEST a base di silici mesoporose Gli agenti CEST (Chemical Exchange Saturation Transfer) sono una nuova classe di sonde per MRI e rappresentano un’interessante alternativa ai tradizionali agenti di contrasto T1 e T2. Il problema principale di tali sonde è la loro bassa sensibilità. Per ovviare a questo limite, negli anni sono stati proposti sistemi nanometrici contenenti un grande numero di protoni mobili. L’unità del Piemonte Orientale ha orientato i propri studi sui sistemi particellari a matrice silicea porosa, in grado di mimare le proprietà CEST dei complessi di Ln-HPDO3A. Con tale obiettivo, complessi neutri macrociclici di derivati del DO3A contenenti LnIII (Eu, Tb, Tm) sono stati preparati e ancorati sulla superficie di nanoparticelle di MCM-41. Le sospensioni acquose di tali particelle sono state studiate a 7.1T tramite NMR, in collaborazione con il gruppo del Prof. S. Aime dell’Università di Torino. L’idea vincente è stata quella di sfruttare la forte interazione dei gruppi SiOH presenti sulla superficie della MCM-41 con il centro metallico del complesso paramagnetico, per indurre un ampio shift dipolare dei segnali NMR dei protoni dei gruppi OH. I complessi di Eu, Tb e Tm si sono rilevati particolarmente efficaci, promuovendo un importante effetto di trasferimento della saturazione (ST%) e quindi un buon contrasto di immagine. I risultati migliori si sono registrati per il materiale funzionalizzato con Tb-DO3A che ha mostrato il più elevato shift dei protoni dei gruppi SiOH e la più alta sensibilità. Questo nuova tipo di sonde CEST risulta particolarmente promettente per applicazioni di imaging multimodale ed in ambito teranostico. iv) Coniugati con glicole chitosano Sono stati preparati coniugati con glicole chitosano di masse molecolari medie e funzionalizzati attraverso un legame ammidico con complessi macrociclici paramagnetici di Gd(III), Ho(III) e Dy(III) in cui un gruppo trifluorometile (sonda magnetica 19F) si trova 6,5 Å dallo ione metallico. Il rapido rilassamento del nucleo osservato permette l’uso di sequenze di impulsi modificate con tempi di acquisizione più brevi. Il coniugato di Gd(III) è stato preparato sia con un complesso monoammide tricarbossilato q = 1 (r1p = 11.2 mM-1 s-1, 310 K, 1.4 T) e con un complesso trifosfinato q = 0. Studi MRI protonici con contrasto a 7 T sono stati condotti su topi portatori di tumore xenotrapianto HT-29 o HCT-116 colorettale. Il segnale MRI 19F nel chitosano funzionalizzato col Dy(III) trifosfinato [R1/R2 = 0.6 e R1 = 145 Hz (7 T)] è risultato più nitido ed è stato osservato in vivo a -65.7 ppm, in seguito ad una iniezione endovenosa di una dose di 34 µmol/kg nella coda. v) Gadolinium-loaded polychelating amphiphilic polymer Sono stati preparati liposomi incorporanti nella membrana esterna molti ioni Gd(III) con l’impiego di strutture multimeriche chelanti lipofile e funzionalizzati con un anticorpo monoclonale anti-CD138 (-1 syndecan). L’analisi dei profili NMRD (Nuclear Magnetic Relaxation Dispersion) ha mostrato che l'uso del polimero amfifilico polichelante (PAP) aumenta sia il contenuto di ioni paramagnetici (Gd) e la relassività spin-reticolo dei PAP-liposomi, relativamente al liposoma caricato con GdDTPA-BSA. E’ stata infine investigata la 96 potenziale applicazione del contrasto a base di liposomi caricati con syndecan-1 e Rituximab quali come nuovi agenti diagnostici a bassissima invasività per mieloma multiplo e linfoma non Hodgkin. 5) Sistemi a base di Mn(II). A) Si sono sintetizzati e studiati i complessi di Mn(II) con 3 leganti macrociclici funzionalizzati con gruppi picolinici. Questi leganti formano complessi termodinamicamente stabili in soluzione acquosa con costanti di stabilità logKMnL = 10.28 (nompa; triazaciclononano), 14.48 (dompa; tetraazaciclododecano) e 12.53 (tempa; tetraazaciclotetradecano). Uno studio dettagliato della cinetica di dissociazione dei complessi indica che la reazione di de-complessazione, a pH circa neutro, avviene principalmente mediante un meccanismo di dissociazione spontanea. La struttura a raggi X di [Mn2(nompa)2(H2O)2](ClO4)2 mostra che lo ione Mn2+ è eptacoordinato allo stato solido, essendo direttamente legato a cinque atomi donatori del legante, l'atomo di ossigeno di una molecola di acqua coordinata e un atomo di ossigeno di un gruppo carbossilico di un legante nompa adiacente, che agisce come gruppo bidentato a ponte (µ-η1-carbossilato). I profili di dispersione del rilassamento magnetico nucleare (1H NMRD) e gli spostamenti chimici e le velocità di rilassamento trasversale 17O NMR di soluzioni acquose di [Mn(nompa)]+ indicano che lo ione Mn2+ è esa-coordinato in soluzione, la sua gabbia di coordinazione essendo costituita dal legante pentadentato e da una molecola d’acqua di sfera interna. Dall'analisi dei dati 1H NMRD e 17O NMR si è calcolata una velocità di scambio della molecola d’acqua molto elevata (kex 298 = 2.8 × 109 s1 ) e un valore insolitamente elevato della costante di accoppiamento iperfine 17O della molecola d’acqua coordinata (Ao/h = 73.3 ± 0.6 rad s-1). B) Complessi mono- e binucleari stabili di Mn2+ contenenti unità coordinanti pentadentate a base di acido dipicolinico 6,6'-((metilazanediil)bis(metilene)) sono caratterizzati da valori di relassività notevolmente alti dovuti alla presenza di due molecole di acqua di sfera interna. Il derivato mononucleare è in grado di legare l’albumina di siero umana (HSA) con una costante di associazione di 3372 M-1, con la concomitante sostituzione della molecola d'acqua coordinata da parte di atomi donatori sulla superficie della proteina. Anche l'analogo complesso dinucleare interagisce con HSA lasciando uno dei centri Mn(II) esposto al solvente con due molecole d'acqua coordinate. Pertanto, questo complesso presenta un valore straordinariamente alto di relassività in seguito al legame con la proteina (39.0 mM-1 s-1 per Mn; 20 MHz e 37 °C). C) Infine, abbiamo effettuato uno studio 1H NMR e 17O studio rilassometriche del complesso [Mn(H2O)6]2+ complesso nonché una analisi teorica delle costanti di accoppiamento iperfini 1H e 17 O (HFCCs) delle molecole di acqua coordinate. I calcoli DFT dimostrano che l'inclusione esplicita di un secondo guscio solvatazione è fondamentale per ottenere valori di HFCCs accurati. Simulazioni di dinamica molecolare mostrano che le 1H e 17O HFCCs su molecole di acqua di sfera interna sono molto sensibili alle distanze Mn-O e all'orientazione del piano definito dalla molecola di acqua coordinata rispetto al vettore Mn-O. L'importante contributo scalare alla relassività protonica in [Mn(H2O)6]2+ è legato a un lento rilassamento spin elettronico e ad una velocità di scambio dell’acqua di sfera interna piuttosto lenta. 97 NUOVI FARMACI INORGANICI IN ONCOLOGIA (Domenico Osella, Mauro Ravera, Donato Colangelo, Elisabetta Gabano) Complessi di Pt(IV) a potenziale attività antitumorale L’utilizzo del cisplatino, capostipite dei complessi metallici ad azione antitumorale, è accompagnato da ingenti effetti tossici, che gli schemi terapici appositamente studiati attenuano solo in parte. Inoltre, il paziente può facilmente sviluppare chemioresistenza. Per cercare di mantenere l’efficacia di questa tipologia di farmaco, ma di migliorarne la selettività, sono state sviluppate varie strategie, tra le quali: complessi di Pt(II) che hanno leganti differenti, per cercare di variare i tempi di idrolisi del complesso e/o la tipologia di addotti formati con il DNA, complessi ottaedrici di Pt(IV), complessi basati su altri metalli, uso di tecniche di drug targeting and delivery (DTD). I complessi di Pt(IV) sono comunemente considerati pro-farmaci perché si riducono al corrispondente metabolita attivo di Pt(II) (Figura 1) in modo selettivo nell’ambiente ipossico del tessuto tumorale. Inoltre, la maggiore inerzia dei complessi di Pt(IV) rispetto a quelli di Pt(II) implica minori reazioni collaterali e la resistenza all’attacco del succo gastrico. Questo comporta la possibilità di somministrazione per via orale, un aspetto non trascurabile per migliorare le condizioni di vita del paziente. Figura 1 Il gold standard per il trattamento del cancro colorettale metastatico consiste di chemioterapia di combinazione o polichemioterapia con oxaliplatino, 5-fluorouracile e leucovorina (FOLFOX). Nel corso del tempo, tuttavia, lo sviluppo di cloni tumorali chemioresistenti può portare ad una ricaduta. Può essere possibile superare la resistenza all’oxaliplatino in cellule di carcinoma colorettale sfruttando un complesso ottenuto dall'inserimento del legante cicloesano-1R, 2R-diammina (dach, la stessa diammina presente nell’oxaliplatino) in una struttura ottaedrica di Pt(IV) con elevata lipofilia conferita dalla presenza di due leganti benzoato assiali (trans,cis,cis-bis(benzoato)dicloro (dach)platino(IV), 1 in Figura 2). Il complesso è stato testato su un panel di diverse linee cellulari tumorali umane, tra cui una linea di cellule di carcinoma del colon resistenti a oxaliplatino. Il composto in esame mostra le migliori prestazioni in termini di attività in vitro e la capacità di superare la chemoresistenza all'oxaliplatino e ad alcuni altri complessi di Pt(II) di riferimento. Questo risultato è probabilmente dovuto alla elevata lipofilia mostrata dal composto 1 che favorisce l'accumulo cellulare per diffusione passiva. 98 O (CH2)n CH3 H3N H3N O Pt O n = 0, 2 Cl n = 2, 3 Cl n = 4, 4 (CH2)n CH3 n = 6, 5 O Figura 2 Per andare a studiare l’influenza della lipofilia sulle proprietà biologiche di complessi di Pt(IV), si è studiata una piccola serie di complessi a base cisplatino contenenti leganti assiali carbossilato di diversa lunghezza: trans,cis,cis-[Pt(carbossilato)2Cl2(NH3)2], dove carbossilato = CH3(CH2)nCOO(n = 0, 2; n = 2, 3, n = 4, 4, e n = 6, 5]. La trasformazione di 2-5 in cisplatino a seguito di riduzione è stata dimostrata in presenza di acido ascorbico, con un tempo di dimezzamento che diminuisce uniformemente con la lunghezza della catena assiale. La loro attività antiproliferativa è stata valutata in vitro su un buon numero di linee cellulari tumorali umane. Come previsto, la potenza aumenta con la lunghezza della catena: 5 e 6 sono di gran lunga più attivi di cisplatino di circa uno o due ordini di grandezza su tutte le linee cellulari utilizzate. Entrambi i complessi mantengono la loro attività anche su linee cellulari resistenti al cisplatino e mostrano un progressivo aumento della selettività rispetto alle cellule non tumorali. Questi risultati sono stati confermati con un trattamento più prolungato (fino a 14 giorni) effettuato su multicellular tumor spheroids (MCTS). In questo caso i complessi di Pt(IV) esercitano un'azione antiproliferativa prolungata, anche se il profarmaco 99 viene rimosso dal mezzo di coltura. Infine, la somministrazione per via orale dei complessi ad una coorte di topi, e la successiva valutazione del contenuto di Pt nel sangue, ha dimostrato che il complesso 3 rappresenta un buon compromesso tra lipofilicità e solubilità in acqua, che si traduce nel miglior assorbimento orale della serie. I metodi di drug targeting and delivery (DTD) si basano sull’uso di vettori biologicamente attivi (active DTD) o macromolecolari (passive DTD) in grado di raggiungere selettivamente il tessuto tumorale e veicolarvi il farmaco. Nel primo caso, si sintetizzano molecole che coniugano la citotossicità di un farmaco antitumorale e la selettività dovuta ad un’interazione specifica con un preciso target cellulare. Nel secondo caso, si coniuga un complesso di platino a macromolecole naturali o sintetiche che vengono accumulate selettivamente nel tessuto tumorale a causa dell’effetto EPR (Enhanced Permeability Retention): il tessuto tumorale, in rapida crescita, ha vasi sanguigni molto permeabili ed uno scarso sistema di drenaggio linfatico; questo permette la fuoriuscita di macromolecole (> 60 KDa) dai vasi sanguigni ed il loro accumulo nell’ambiente peritumorale. I leganti assiali nei complessi di Pt(IV) possono quindi essere utilizzati come punto di attacco per vettori macromolecolari; tuttavia, per evitare di ottenere giganteschi aggregati, sarebbe auspicabile l’utilizzo di complessi contenenti una sola funzionalità reattiva. In questo scenario si è esplorata la reazione di clorurazione ossidativa tra cisplatino, carboplatino, e cis-[Pt(cbdc)(dach)] (cbdc = ciclobutan-1,1'-dicarbossilato) e N-clorosuccinimmide in etan-1,2-diolo per produrre i complessi asimmetrici [PtA2Cl(glyc)X2] (6-9, A2 = 2 NH3 o dach; glyc = 2-idrossietanolato; X2 = 2 Cl o cbdc). Questo metodo di ossidazione si è dimostrato abbastanza versatile per produrre altri complessi misti variando le condizioni di reazione. I composti dicarbossilato 7 e 9 sono sufficientemente stabili da permettere ulteriori reazioni di accoppiamento utilizzando la funzionalità OH residua. A tale scopo è stata eseguita la reazione di accoppiamento con acidi carbossilici ed ammine modello, nonché con amminoacidi protetti selettivamente. Sono in corso altri test di accoppiamento e prove biologiche. 100 UNITA’ DI RICERCA DI PISA Direttore Scientifico: Prof. Diego La Mendola L’attività di ricerca dell’Unità di Pisa si è incentrata sulle seguenti linee di ricerca: 1) Sintesi e caratterizzazione di peptidi come modello enzimi, per diagnostica e sviluppo di potenziali farmaci. 2) Sintesi di nuovi sistemi antitumorali. 3) Sintesi e caratterizzazione di leganti per l’analisi e la separazione di ioni metallici. 1) Sintesi e caratterizzazione di peptidi come modello enzimi, per diagnostica e sviluppo di potenziali farmaci. Diverse strutture tridimensionali di metallopeptidasi hanno evidenziato la presenza di sequenze comuni HExxH in molte peptidasi contenenti zinco (zincin). L’insulindegradingenzyme (IDE)presenta invece la sequenza inversa HxxEH (inverzincin). L’effetto dello ione rameico sulle due famiglie di zincopeptidasi è diverso, cosa che potrebbe essere legata al diverso intorno di coordinazione dello ione metallico alle due sequenze. In collaborazione con l’Unità di Catania, abbiamo sintetizzato due esapeptidiAc-GHEITHG-NH2(zincin) e Ac-GHTIEH-NH2 (inverzincin) e caratterizzati i ripettivi complessi con rame(II) e zinco(II), mediante potenziometria, spettroscopia UV-vis, CD e EPR, ESI-MS e calcoli DFT. I calcoli DFT indicano la presenza di un network di legami a idrogeno che variano in presenza di Cu(II) e Zn(II) e in base alla sequenza dei peptidi. I diversi dati sperimentali confermano questa ipotesi, infatti è evidente il ruolo diretto nella coordinazione degli ioni metallici del carbossile del glutammato, e la geometria dell’intorno varia tra le due sequenze che è diverso in base alla sequenza. A pH fisiologico ambedue i peptidi legano formano con lo zinco la pecie [ZnH−2L] in cui il metallo è legato all’imidazolo, al carbossile e a due ammidi deprotonate. DFT structures of [ZnH-2L] Relativamente alla famiglia delle metalloproteinasi di matrice (MMP) l’Untà di Pisa ha sviluppato sistemi è per la diagnostica e potenzialmente la cura dell’artrite reumatoide. L’ artrite reumatoide è una malattia autoimmune che colpisce in particolar modo le giunture. E’ caratterizzata da infiammazione sinoviale con infiltrazione di cellule del sistema immunitario e iperplasia delle cellule sinoviali. Questo porta alla distruzione della cartilagine articolare e alla disfunzione delle giunture. Le MMP, famiglie di metallo- endopeptidasicontenenti zinco come sito attivo, sono coinvolte in diversi passaggi che portano alla artrite reumatoide. L’individuazione delle attività delle diverse MMP coinvolte permetterebbero di monitorare l’avanzamento della malattia e di sviluppare farmaci specifici in gradi di agire su specifiche MMP. Nei primi stadi della patologia, si osserva un aumento dei macrofagi che si infiltrano nella sinovia; tale processo è accompagnata 101 dall’aumento dell’espressione di MMP-12, che è dunque un potenziale biomarker per la precoce diagnosi dell’artrite. La MMP-13 è invece la metalloproteinasi maggiormente responsabile dell’erosione della cartilagine e quindi dello sviluppo della patologia. In questo ambito è importante sintetizzare sistemi in gradi di rilevare la patologia e di bloccarne lo sviluppo. Abbiamo progettato FRET per la rivelazione selettiva delle MMP-12 e MMP-13 in ratti modello dell’infiammazione artritica. Le sonde peptidiche FRET attivate da MMP-12 e MMP-13 sono state progettate dalla libreria di peptidi fosfinici inibitori di tali enzimi e quindi sintetizzate le sequenze inverse. Tali si sono rivelati selettivi in vitro usando le MMP-1, MMP-2, MMp-3, MMP-12 e MMP-13. Per MMP-12 i più efficaci sistemi peptidici sintetizzati sono (Y(NO2)GPLGLEEAK(Abz)G) e (Y(NO2)YIYGLTMPGK(Abz)G), mentre per MMP-13 i sistemi (Y(NO2)GPLGMRGLK(Abz)G) e (Y(NO2)GGPAGLYEK(Abz)G). tali sistemi hanno permesso di discriminare in vivo le attività dei due enzimi monitorando lo sviluppo della malattia in topi modello. Immagini ottenute a 4 ore dopo iniezione dei sistemi MMP-12ap e MMP-13ap 2) Sintesi di nuovi sistemi antitumorali In collaborazione con l’Unità di Firenze sono stati sintetizzati diversi complessi antitumorali a base di Au e Pt. In particolare i due complessi carbene-Au(I): cloro (1-butil-3-metil-imidazolo-2-ilidene) oro(I) (1) and bis(1-butil-3-metiyl-imidazolo -2-ilidene) oro(I) (2) hanno mostrato una potente azione citotossica nei confronti delle cellule A2780 del carcinoma alle ovaie. Da un punto di vista strutturale questi due complessi presentano uno ione Au(I) coordinato linearmente o ad un atomo di azoto del carbene (NHC) e uno ione cloro, oppure a due atomi di azoto del gruppo NHC, come evidenziato anche dalla struttura cristallografica. I due complessi presentano la stessa attività citotossica. Un dato importante è la loro elevata stabilità in soluzione acquosa e pH fisiologico. Ambedue i complessi non reagiscono con il citocromo ce il lisozima. Di contro formano addotti con Atox-1, un dato che li pone come potenti e selettivi sistemi antitomorali. 3) Sintesi e caratterizzazione di leganti per l’analisi e la separazione di ioni metallici L’aumento della richiesta di metalli pesanti nei vari settori industriali compreso quello farmaceutico, pone sempre in maggiore evidenza la necessità del loro smaltimento e recupero. In parallelo risulta evidente la necessità di affinare metodi analitici con elevata precisione per il campionamento e rilevamento dei metalli. In questo contesto è stato sviluppato un metodo che 102 permette la separazione di palladio e platino sfruttando la loro differente labilità cinetica c on il complessante PADA(trans-piridina-2-azo-p-dimetilanilina) in presenza di micelle di SDS. Il PADA presenta due costanti di dissociazione acida determinate mediante titolazione spettrofotometrica in soluzione acquosa contenente surfattanti anionici (SDS), o neutri (Triton X100, o cationici (DTAC).I metalli sono lasciati reagire con il legante in modo da formare i rispettivi complessi in presenza di micelle di SDS. Gli studi cinetici evidenziano che la reattività del clorocomplessoPdCl42− è circa 4 × 103 volte maggiore dell’analogo complesso del platino PtCl42−.Il complesso Pd(II)–PADA si forma in circa 30 minuti ed è subito adsorbito sulla superfice della micella. In questo arco di tempo meno del 2% del platino è legato al complessante. La separazione dei due metalli viene quindi effettuata mediante ultrafiltrazione. Con questa metodologia il 98% del platino può essere recuperato nel filtrato mentre il Palladio rimasto nelle micelle, lo si estrae utilizzando uno “stripping” e un diversi processi di ultra filtrazione. L’agente di “stripping” più efficace è risultato una soluzione di HCl 0.05 M con la quale si è ottenuta una resa di recupero del palladio del 90%. La resa di estrazione è risultata essere indipendente dalla concentrazione di SDS utilizzata (range 0.01-0.04 M) e quindi è possibile utilizzare la quantità molare minima (0.01 M) di surfattante. Schema del processo di separazione e estrazione di Pt e Pd. 103 UNITA’ DI RICERCA POLITECNICA DELLE MARCHE Direttore Scientifico: Dott.ssa Elisabetta Giorgini La Spettroscopia Infrarossa è una tecnica analitica molto versatile che permette di studiare a livello molecolare materiali di diversa natura, omogenei e non. L’interazione della materia con la radiazione infrarossa provoca transizioni vibrazionali che interessano i legami chimici. L’analisi di tali transizioni permette di definire sia la composizione che la struttura dei composti chimici in esame. La spettroscopia FTIR Imaging consente l’acquisizione di mappe chimiche (ca. 1000x1000 micron) di campioni non omogenei. Tramite questa mappatura è possibile identificare le diverse componenti molecolari e la loro distribuzione nella matrice in esame, con la possibilità di valutare le proprietà funzionali e strutturali del campione stesso. La spettroscopia FTIR Imaging si è rivelata fondamentale nel settore biomedico e in quello dei biomateriali, nell’acquisizione delle immagini per lo studio delle caratteristiche composizionali, strutturali e morfologiche di svariati sistemi, primi fra tutti quelli biologici. Oltre alle normali sorgenti convenzionali e ai comuni detector, si avvale anche di sorgenti non convenzionali, quali la luce di sincrotrone, che con la sua brillantezza permette di ottenere un’elevata risoluzione, e di multidetectors (FPA, Focal Plane Array detector) in modo da ottenere acquisizioni di aree abbastanza grandi in tempi rapidi e con risoluzione spaziale fino al limite della diffrazione. L’elevato numero di dati spettrali contenuto in una mappa chimica richiede un appropriato trattamento statistico, per valutare le singole bande e/o i rapporti di banda significativi del sistema in esame. Il trattamento dei dati è effettuato mediante l’uso di software dedicati, quali Spectrum 10.4 e Spectrum AutoImage 5.1.0 (Perkin Elmer), Pirouette 4.5 (Infometrix), OPUS 7.1 (Bruker), CytoSpec 2.0, Grams AI 9.1 (Galactic). ANALISI FTIR IMAGING DI CELLULE E TESSUTI DA LESIONI EPITELIALI Il gruppo di ricerca dell’Università Politecnica delle Marche si occupa da diversi anni dello studio vibrazionale di varie lesioni tumorali di natura epiteliale, con lo scopo di discriminare i diversi tipi di lesioni e il corrispondente grado di malignità tramite l’individuazione di specifici marker spettrali caratterizzanti le diverse patologie. Sebbene esistano specifiche tecniche immunoistochimiche per l’analisi delle differenti lesioni tumorali, la Spettroscopia FTIR Imaging può sicuramente giocare un ruolo determinante nella diagnosi precoce della malattia, in quanto una modifica a livello molecolare (valutabile con metodi spettroscopici) si manifesta sicuramente prima di una modifica morfologica (di competenza dell’anatomo-patologo). Numerose ricerche sono state condotte sia su campioni air-dried (sezioni di tessuto provenienti da resezione chirurgica) secondo una procedura ben consolidata, che in living (colture cellulari primarie da biopsie mantenute in soluzione fisiologica). Grazie all’utilizzo di un’innovativa cella microfluidica progettata e realizzata dai ricercatori della beamline SISSI, Elettra Sincrotrone (Trieste), con i quali abbiamo in atto numerosi progetti di proficua collaborazione, è possibile analizzare cellule vive in soluzione fisiologica, mimando quindi una realistica situazione biologica. Questa nuova procedura è stata applicata con successo su colture cellulare primarie di Carcinoma Squamocellulare del cavo orale (OSCC_G1) e su cellule epiteliali sane (CTRL), entrambe prelevate da biopsia. Per i due gruppi sperimentali sono stati acquisiti anche gli spettri IR su campioni seccati all’aria, in modo da valutare gli effetti della disidratazione sulle varie componenti cellulari e, di conseguenza, sul profilo spettrale. Per quanto riguarda l’analisi FTIR di cellule in soluzione fisiologica (Fig.1), l’analisi ha evidenziato i seguenti marker spettrali relativi al Carcinoma Squamocellulare del cavo orale di grado G1: (1) l’insorgenza di effetti epigenetici (incremento della banda a 934 cm-1, Z-DNA,); 105 (2) una maggiore attività cellulare (aumento di RNA, 1221 e 992 cm-1), e (3) una maggiore quantità di glicogeno (1155 e 1024 cm-1). L’analisi comparativa degli spettri medi dei due gruppi sperimentali (DII), ha mostrato profili spettrali simili (Fig. 2), confermando la validità di entrambe le procedure di acquisizione. Lo sviluppo della cella microfluidica e la conferma della fattibilità dell’acquisizione IR in tali condizioni, aprono nuovi scenari nello studio di cellule vive sottoposte a diversi trattamenti. Il nostro gruppo sta al momento definendo una serie di esperimenti per valutare lo stress termico e ossidativo di cellule tumorali del cavo orale, come pure la risposta di tali cellule al trattamento con specifici farmaci chemioterapici. Oltre allo studio di cellule in living, si è continuata anche l’analisi di sezioni di tessuto con diverse patologie epiteliali prelevate tramite resezione chirurgica. I Nevi di Spitz sono lesioni melanocitiche benigne, che presentano in alcuni casi problemi diagnostici (es., nevi di Spitz atipici). Il nostro gruppo di ricerca ha condotto uno studio FTIR sui melanociti spitzoidi, con lo scopo di definire per ognuno di essi dei markers spettrali inequivocabili e di acquisire informazioni in merito alle lesioni “border line”. In particolare, lo studio è stato condotto su singoli melanociti derivanti da epitelio sano (C), melanoma maligno spitzoide (MM) e nevi di Spitz classico (CSN), desmoplastico (DSN) e atipico (ASN). L’analisi FTIR è stata condotta in parallelo con quella istologica. All’interno di ciascuna mappa chimica è stato possibile individuare e isolare, tramite analisi UHCA (Unsupervised Hierarchical Cluster Analysis), i principali elementi tissutali (melanociti, melanofagi, connettivo, epitelio, ecc.), per ognuno dei quali è stato estratto lo spettro medio (Fig. 3). Particolare attenzione è stata dedicata ai cluster dei diversi melanociti, che risultano avere caratteristiche spettrali diverse, come mostrato dalla PCA in Fig. 4. 106 L’analisi vibrazionale condotta sugli spettri medi dei diversi melanociti ha permesso di trarre le seguenti conclusioni: (i) nel nevo di Spitz classico si osserva un aumento dei processi fosforilativi (1172/1158 cm−1, νC-O non H-bonded/νC-O H-bonded); (ii) il nevo di Spitz displastico presenta un diverso pattern proteico con un incremento delle strutture di tipo elica (elica/β); aumenta anche la lunghezza delle catene laterali delle proteine (2923/2959 cm−1, vasymCH2/vasymCH3), mentre diminuisce il contenuto di glicogeno (1045/1545 cm−1, glicogeno/Ammide II); (iii) anche nel nevo di Spitz atipico aumentano nelle proteine le strutture secondarie di tipo elica; per quanto riguarda le catene alchiliche, oltre a un incremento della lunghezza, si osserva, solo in questo caso, un maggior grado di insaturazione (3013/2959 cm−1,v=CH/vasymCH3); a livello di acidi nucleici, si nota una maggiore quantità di DNA (963/997 cm−1,DNA/RNA); (iv) nel melanoma maligno spitzoide diminuisce invece il rapporto tra le strutture elica/β, mentre aumenta il contenuto di RNA (1125/1020 cm−1 ,νC-O RNA/νC-O DNA). Nell’ambito delle lesioni epiteliali del cavo orale, è in corso un’analisi comparativa FTIR fra il comune polipo infiammatorio dei seni paranasali (SNP, a), il papilloma Schneideriano invertito benigno (BSP, b) e displastico (DSP, c), e il carcinoma indifferenziato dei seni paranasali (SNUC, d) (Fig. 5). 107 Tramite PCA, è stato possibile separare gli spettri IR dei diversi tipi di epitelio: transizionale (Tre, cluster rosso) e displastico (De, cluster blu), corrispondenti rispettivamente al papilloma Schneideriano invertito benigno e displastico, tumorale (Te, cluster verde) nel carcinoma indifferenziato e respiratorio (Re, cluster rosa) tipico del polipo infiammatorio. In particolare, PC1 discrimina bene l’epitelio respiratorio da quelli di natura neoplastica, mentre tramite PC2, è stato possibile ottenere una discreta separazione fra gli epiteli di tipo Schneideriano e quello tumorale. Per i vari tipi di epitelio, diversi rapporti di banda sono stati calcolati. L’analisi dei risultati è in corso al fine di individuare per ciascuna lesione epiteliale, dei marker spettrali utili al fine di una diagnosi precoce. Un risultato interessante è stato ottenuto dall’analisi multivariata dei dati spettrali acquisiti su cisti del cavo orale di varia natura, quali tessuto sano (1), carcinoma squamocellulare G3 (2), carcinoma adenocistico (3), adenocarcinoma polimorfo a basso grado (4), epitelio squamoso displastico (5), tunore odontogenico cheratocistico (6), cisti radicolare (7), cisti residua (8), ameloblastoma unicistico (9), and fibroma ameloblastico (10). L’analisi HCA dei vari compartimenti epiteliali nell’intervallo spettrale 1800-900 mostra la sovrapposizione dei clusters 5,10 e 4,7, che presentano epiteli simili (Fig. 6). Restringendo l’analisi nella regione dei fosfati e degli acidi nucleici (1350900 cm-1), si ottiene una migliore separazione con l’ameloblastoma unicistico (9) suddiviso in tre gruppi, in quanto caratterizzato da tre diversi epiteli (A,B,C, Fig. 6). L’analisi l’HCA dei connettivi di campioni tumorali, è risultata addirittura più indicativa rispetto alle zone epiteliali. La sovrapposizione spettrale del displastico (5) con l’ameloblastoma unicistico 108 (9) e del tumore cheratostico odontogenico (6) con il connettivo sano (1), confermano che queste lesioni infiltrano il tessuto connettivo. ANALISI VIBRAZIONALE DI GAMETI UMANI Da diversi anni il nostro gruppo di ricerca collabora con il centro di riproduzione assistita TECNOBIOS, Bologna, per lo studio delle problematiche relative alle tecniche di inseminazione artificiale. A tale proposito per la prima volta è stata utilizzata la tecnica FTIR Imaging per lo studio di gameti femminili e maschili, con lo scopo di individuare dei marker spettrali relativi a una buona qualità di oociti e spermatozoi. L’analisi FTIR Imaging è stata effettuata su oociti supernumerari MII freschi e congelati (processo di slow freezing) prelevati da pazienti consenzienti. I dati vibrazionali mostrano che la tecnica di crioconservazione non causa degradazione degli acidi nucleici, anche se piccole modificazioni sono state osservate nella composizione macromolecolare degli oociti, soprattutto nel pattern proteico e nei lipidi. Per quanto riguarda l’infertilità maschile, sono stati analizzati spermatozoi da pazienti affetti da i teratospermia (TS), astenozoospermia (AS), oligozoospermia (OS). Significative modificazioni spettrali sono state trovate fra spermatozoi sani (NS) e quelli derivanti da pazienti affetti dalle patologie sopra citate, nelle regioni dei lipidi e delle bande AI/II. In particolare in TS e AS, sono stati osservati una maggior grado di perossidazione delle catene alchiliche (3011 cm-1, ν=CH) e diversa struttura secondaria delle proteine. 109 Un interessante progetto, in collaborazione con TECNOBIOS e Elettra-Sincrotrone, è stato finanziato dalla Merk Serono, per l’applicazione della tecnica FTIR Imaging allo studio delle cellule della granulosa, con l’intento di mettere a punto una metodica rapida, non invasiva e di facile attuazione che permetta la valutazione indiretta di oociti di buona qualità da utilizzare nella tecnica di riproduzione assistita. A tale proposito sono state analizzate cellule della granulosa in living e air-dried, da pazienti consenzienti sia sane che affette da endometriosi. L’analisi vibrazionale, ancora in corso, mostra comunque un maggior contenuto di lipidi e una destrutturazione delle proteine nelle cellule della Granulosa da pazienti affette da endometriosi. 110 UNITÀ DI RICERCA DI ROMA “La Sapienza” Direttore Scientifico: Dott.ssa Maria Pia Donzello Macrociclici porfirazinici come potenziali farmaci nella terapia anticancro mono - e multimodale Il lavoro scientifico svolto dal gruppo di ricerca nel corso del 2014, in linea con tematiche svolte negli anni precedenti, ha essenzialmente riguardato la sintesi e caratterizzazione chimico-fisica di macrocicli tetrapirrolici appartenenti alla classe delle porfirazine (tetraazaporfirine), sia come leganti liberi sia come derivati mono- e multimetallici. Perifericamente al core porfirazinico centrale, i macrocicli studiati presentano anelli eterociclici o-condensati sugli anelli pirrolici e sono caratterizzati da elevata delocalizzazione elettronica. Le loro proprietà generali, che possono dipendere significativamente dalla natura del metallo centrale, sono state studiate con metodi spettroscopici convenzionali (IR, UV-visibile) e di risonanza magnetica (NMR, ESR), mediante raggi X su cristallo singolo e su polveri, con misure magnetiche per lo stato solido e mediante lo studio del comportamento elettrochimico in soluzione (voltammetria ciclica, spettroelettrochimica). Per quel che riguarda gli aspetti applicativi, una tematica di centrale interesse del gruppo di lavoro è ormai da diversi anni lo studio del comportamento di alcune di queste specie come fotosensibilizzatori per la produzione di ossigeno singoletto (1O2) e della loro risposta di fluorescenza, tematiche che esplorano le loro potenzialità applicative rispettivamente nel campo della terapia anticancro nota come Terapia Fotodinamica (PDT) e nel campo dell’imaging. Viene qui di seguito riassunta l’attività svolta dal gruppo di lavoro nel corso dell’anno appena trascorso, attività che si è tradotta in alcune pubblicazioni riportate. Studi spettroscopici, elettrochimici e teorici di composti dicianochinossalinici e dicianopirazinici neutri e monoelettronicamente ridotti e di loro derivati metallici di PdII e PtII E’ stato studiato il comportamento elettrochimico e spettroscopico nell’UV-visibile della 2,3-di(2piridil)-6,7-diciano-1,4-chinossalina, [(CN)2Py2Qx] (Figura 1A), dei suoi derivati metallici [(CN)2Py2QxMCl2] (M = PdII, PtII) (Figura 1B) e dei loro analoghi aventi in comune lo stesso frammento dicianopirazinico. La struttura del complesso di PtII, risolta ai raggi X, mette in evidenza il fatto che il centro metallico è coordinato agli atomi di azoto piridinici (coordinazione “py-py”), in linea con quanto osservato precedentemente per gli analoghi complessi [(CN)2Py2PyzMCl2] (M = PdII, PtII) (Figura 2B) (X. Cai, et al. Inorg. Chem., 2009, 48, 7086), derivati dalla 2,3-diciano-5,6-di(2-piridil)-1,4-pirazina, [(CN)2Py2Pyz] (Figura 2A). Studi elettrochimici effettuati in soluzione di dimetilsolfossido (DMSO) sui composti [(CN)2Py2QxPtCl2] and [(CN)2Py2PyzPtCl2] mostrano valori di potenziali di prima e seconda riduzione monoelettronica (V vs SCE) indicativi di una maggiore facilità di riduzione rispetto alle specie non metallate [(CN)2Py2Qx] e [(CN)2Py2Pyz], ciò come conseguenza dell’effetto elettron-attrattore del centro metallico (PtII). Misure di spettroelettrochimica mostrano che le variazioni spettrali che si osservano a seguito della prima riduzione monoelettronica dei tre composti chinossalinici, sono caratterizzati dalla comparsa di nuovi intensi assorbimenti nella regione 500-900 nm, con un concomitante shift batocromico delle bande nella regione 250-400 nm dello spettro. Questi cambiamenti sono simili a quelli osservati per l’analogo composto pirazinico (Figura 2A) ed i suoi complessi metallici (Figura 2B). Gli spettri UV-visibile dei composti chinossalinici e pirazinici e dei loro corrispondenti monoanioni sono stati studiati dal punto di vista teorico mediante calcoli DFT/TDDFT. I dati teorici ottenuti portano ad una soddisfacente interpretazione degli spettri osservati sperimentalmente sia per le specie neutre che per le specie monoanioniche. 111 NC NC N N N N N N NC Cl M N NC A: [(CN)2Py2Qx] Cl N B: [(CN)2Py2QxMCl2] Figura 1 NC NC N N NC N N N Cl M N NC A: [(CN)2Py2Pyz] N N Cl B: [(CN)2Py2PyzMCl2] Figura 2 Studio sperimentale e teorico mediante calcoli DFT/TDDFT dell’effetto dei sostituenti piridilici e degli anelli esociclici sulle proprietà spettroscopiche di Mg(II)-porfirazine Sono stati preparati e sono state studiate le proprietà fisico-chimiche generali di due nuovi macrocicli porfirazinici di Mg(II), l’ottakis(2-piridil)porfirazinato-magnesio(II), [Py8PzMg(H2O)] (Figura 3A) e il tetrakis-[6,7-di(2-piridil)chinossalino]porfirazinato-magnesio(II), [Py8QxPzMg(H2O)] (Figura 3C), con risultati che sono stati messi a confronto con quelli già noti e relativi all’analogo complesso porfirazinico tetrakis-2,3-[5,6-di(2-piridil)pirazino]porfirazinatomagnesio(II), [Py8PyzPzMg(H2O)] (Figura 3B) (M. P. Donzello. et al. Inorg. Chem., 2004, 43, 8637), Gli spettri UV-visibile in soluzione di solventi non acquosi per la triade di composti di Figura 3(A-C) esibiscono il profilo usuale normalmente osservato per ftalocianine e porfirazine, con intensi assorbimenti nella zona di Soret (300−450 nm) e nella zona della banda Q (600−800 nm). E’ stato osservato che il massimo di assorbimento della banda Q si sposta sensibilmente verso il rosso come conseguenza dell’aumento delle dimensioni del sistema π del macrociclo, con valori dei picchi di assorbimento in DMF a 635 nm → 658 nm → 759 nm lungo la serie [Py8PzMg(H2O)], [Py8PyzPzMg(H2O)] e [Py8QxPzMg(H2O)] (Figura 4). Sono stati effettuati calcoli TDDFT degli spettri elettronici dei corrispondenti composti modello [Py8PzMg], [Py8PyzPzMg] e [Py8QxPzMg], privi della molecola di H2O coordinata al magnesio, per dare un’interpretazione dei cambiamenti spettroscopici osservati a seguito dell’introduzione degli anelli pirazinici e chinossalinici alla periferia del macrociclo porfirazinico centrale. I risultati teorici sono in buon accordo con i dati sperimentali e hanno consentito di ottenere una adeguata descrizione degli spettri UV-visibile, i cui cambiamenti sono stati interpretati sulla base delle variazioni della struttura elettronica che si verificano lungo la serie. In particolare si è potuto stabilire che lo shift batocromico della banda Q lungo la triade è correlato con la diminuzione della separazione energetica tra gli orbitali HOMOLUMO, particolarmente evidente nel complesso [Py8QxPzMg]. 112 N N N N N N N N N N N N N N N N N N N N Mg N N N N N Mg N N N N N N N N N N N N N N N A: [Py8PzMg(H2O)] N N N N N N N N N N N N N N N N N Mg N N N N N N B: [Py8PyzPzMg(H2O)] N C: [Py8QxPzMg(H2O)] Figura 3 5 2.0x10 658 636 5 759 5 1.2x10 -1 -1 ε (cm M ) 1.6x10 4 8.0x10 4 4.0x10 0.0 400 600 800 λ (nm) Figura 4: Spettri UV-visibile in DMF of [Py8PzMg] (rosso), [Py8PyzPzMg] (blu) e [Py8QxPzMg] (nero). Sintesi, comportamento spettroscopico nell’UV-visibile e fotoattività per la generazione di ossigeno singoletto di complessi di Zn(II) della tetrakis-[6,7-di(2piridil)chinossalino]porfirazina E’ stata effettuata la sintesi ed affrontato il relativo studio delle proprietà chimico-fisiche del (Py8QxPz = dianione tetra-2,3-[6,7-di(2complesso di Zn(II) [Py8QxPzZn] piridil)chinossalino]porfirazinato) (Figura 5A), del corrispondente ottacatione [(2Mepy)8QxPzZn]8+ (neutralizzato da ioni I-) (Figura 5A1), e del complesso eteropentanucleare (PdCl2)4Py8QxPzZn] (Figura 5A2). I dati spettroscopici nell’UV-visibile in solventi non acquosi (CHCl3, piridina, DMSO, e dimetilformammide, DMF) mostrano intensi assorbimenti nella zona della banda Q (750–770 nm), in linea con i dati spettroscopici osservati per il legante libero [Py8QxPzH2] e per il complesso di Mg(II), di cui si è parlato nel punto precedente di questa relazione. 113 N N N N N N N N Cl N + N N N Zn N N M' H3C Cl N N N N N N N N N+ CH3 N N N N N A1 N N A2 N N A Figura 5: Rappresentazione schematica del complesso di Zn(II), [Py8QxPzZn] e dei suoi derivati ottacationico (A1) e pentapalladato (A2). La posizione della banda Q per questa serie di macrocicli chinossalinici è spostata di ca. 100 nm verso il rosso rispetto alla posizione dello stesso assorbimento per la serie degli analoghi complessi pirazinoporfirazinici (M. P. Donzello, et al. Inorg. Chem., 2004, 43, 8637; C. Bergami, et al. Inorg. Chem., 2005, 44, 9862; M. P. Donzello, et al. Inorg. Chem., 2010, 49, 2447), in accordo con quanto stabilito sulla base di calcoli teorici sui complessi di Mg(II) [2]. Sono stati anche studiati gli effetti spettroscopici indotti dalla quaternarizzazione delle piridine esterne nell’ottacatione [(2o dalla coordinazione esociclica di unità di PdCl2 nel complesso Mepy)8QxPzZn]8+ [(PdCl2)4Py8QxPzZn]. In entrambi i casi si osserva uno shift batocromico di 15-20 nm, indicativo di una più facile transizione HOMO-LUMO. Per i complessi di Zn(II) neutro, [Py8QxPzZn], e ottacationico [(2-Mepy)8QxPzZn]8+ è stata inoltre verificata l’attività in DMF come fotosensibilizzatori per la produzione di ossigeno singoletto, per potenziali applicazioni nel campo della terapia fotodinamica (PDT). Carriers fluorescenti di ciclodestrina per la veicolazione in mezzo acquoso di un complesso porfirazinico di Zn(II) avente potenzialità di fotosensibilizzatore E’ stato approfondito lo studio del complesso ottacationico di Zn(II), [(2-Mepy)8QxPzZn]8+ (neutralizzato da ioni I-) (Figura 6) in collaborazione con le colleghe I. Manet e S. Monti del CNR di Bologna. Questa specie è in grado di interagire con sequenze di DNA telomerico a singola catena ricche di guanina, 5’-d[AGGG(TTAGGG)3]-3’, che in soluzione acquosa di K+ o Na+ danno luogo a strutture di tipo G-quadruplex (G4) (I. Manet. et al., Org. Biomol. Chem., 2011, 9, 684). Tale complesso ha dimostrato inoltre di essere un buon fotosensibilizzatore (PS) in PDT (M. P. Donzello. et al., Inorg. Chem., 2012, 51, 12548), N + +N H3C CH3 N + N N N H3C N N N CH3 N N N N N + + CH3 N N H3C N N Zn N + N N N + N CH3 H3C N + Figura 6: [(2-Mepy)8PyzPzZn]8+ 114 Nel lavoro pubblicato di recente è stato dimostrato che tale specie è in grado di interagire con una miscela di due ciclodestrine (CyD) fluorescenti, formando complessi con una stechiometria 1 : 2 e 2 : 2 CyD:PS. Tali complessi sono stati caratterizzati mediante la determinazione delle costanti di legame ed è stato studiato il tipo di risposta in termini di spettroscopia di assorbimento nell’UVvisibile e di fluorescenza. 115 UNITA’ DI RICERCA DI ROMA “Tor Vergata” Direttore Scientifico: Prof. Massimiliano Coletta Nel corso del 2014 l’Unità Operativa di Roma Tor Vergata ha effettuato una serie di ricerche sui seguenti argomenti: 1) Emoproteine 2) Metalloenzimi 1) Emoproteine In questo campo le indagini sono proseguite su alcuni aspetti funzionali e strutturali di emoproteine batteriche, in particolare sulla Protoglobina da Methanosarcina acetivorans. In questo caso lo studio si è focalizzato su di una proprietà enzimatica di questa emoproteina, quale l’attività nitritoreduttasica, ossia la capacità dell’emoproteina di ridurre il nitrito NO2- ad NO, cui è associata l’ossidazione della forma Fe(II) alla forma Fe(III). Se la reazione avviene invece in presenza di un forte riducente, quale il ditionito di Sodio, il prodotto finale invece è la forma Fe(II)-NO. Tuttavia, essendo l’interazione con NO2- lo stadio limitante di tutta la reazione, sia in assenza che in presenza del riducente la dipendenza della velocità dalla concentrazione di NO2- rimane la stessa. Nelacso della Protoglobina da Methanosarcina acetivorans si è evidenziato che il processo è bifasico, probabilmente a causa del fatto che l’accesso all’eme, il sito attivo, avviene attraverso due canali che collegano tale sito al solvente circostante e che sono modellati dalla matrice proteica stessa; la dipendenza dal pH di queste due velocità sembra essere molto simile con un pKa ≈ 6. Inoltre, sulla medesima proteina è stata studiata la reazione di isomerizzazione del perossinitrito (OONO) a nitrato (NO3-) ad opera della forma Fe(III), dimostrando che tale attività, estremamente importante per la detossificazione dell’Archebatterio, avviene grazie all’interazione diretta del perossinitrito con il Fe dell’eme. Inoltre, su emoproteine batteriche di Mycobacterium tuberculosis e di Campylobacter jejuni si sono studiate sia le reazioni di nitrosilazione (sia della forma Fe(II) che della forma Fe(III)) che nitritoreduttasica che di nitrosilazione riduttiva. Tali reattività, che sono di rilevante importanza metabolica per questi batteri, permettendo la detossificazone da NO, sono state comparate fra due emoproteine diverse (HbN e HbO) da Mycobacterium tuberculosis e con una Hb di Campylobacter jejuni. Le differenza emerse, che illustrano una maggiore reattività della HbN di Mycobacterium tuberculosis e della Hb di Campylobacter jejuni, sono riferibili ad un centro di reazione dell’eme più accessibile dal solvente, ma soprattutto al fatto che in queste due emoproteine il Fe dell’eme è in una geometria penta-coordinata, quindi in grado di formare un nuovo legame assiale; nell’HbO di Mycobacterium tuberculosis invece il Fe dell’eme si trova in una geometria esa-coordinata, risultando una cinetica molto più lenta perché limitata dalla dissociazione del legante endogeno. Nel corso del 2014 inoltre si è approfondito lo studio del ruolo della cardiolipina nel modificare strutturalmente e funzionalmente il citocromo c e come questa modulazione sia importante nell’apoptosi e nelle malattie mitocondriali; tale argomento è stato trattato sia in una “review” che in due pubblicazioni. In particolare, nelle due pubblicazioni si è indagato sulle proprietà enzimatiche del citocromo c allorchè interagisce con la cardiolipina, .’attività nitrito-reduttasica (4) e l’attività di nitrosilazione riduttiva. In effetti, si è visto come l’interazione della cardiolipina con il citocromo c, inducendo la rottura del legame assiale fra Fe dell’eme e Metionina 80 del citocromo c, renda l’eme più reattivo, causando un aumento di circa 100 volte dell’attività nitrito-reduttasica e svolgendo perciò una protezione contro la perossidazione lipidica, che uno dei fattori scatenanti l’apoptosi, e quindi svolgendo un ruolo anti-apoptotico. Tale ruolo della cardiolipina nel regolare l’attività del citocromo c, e quindi nel controllare il ruolo del medesimo nell’apoptosi, emerge anche nel caso della nitrosilazione riduttiva, in cui la molecola NO interagisce con il cyt c (III) legato alla 117 cardiolipina (mentre tale reazione non avviene nel cyt c (III) da solo, in quanto esa-coordinato), venendo ridotto a cyt c (II)-NO e limitando in questo modo l’attività dei RNS nell’indurre l’apoptosi. 2) Metalloenzimi L’impegno in questo filone nel corso del 2014 si è principalmente rivolto al ruolo che l’InsulinDegrading Enzyme (IDE) come regolatore del Proteasoma nelle sue varie forme (20S, 26S ed ImmunoProteasoma), anche se non ha ancora portato a nessuna pubblicazione. Nel campo dei Metalloenzimi si è effettuata un’indagine sul ruolo delle Metalloproteinasi nelle patologie tendinee, evidenziando un ruolo preminente sia di collagenasi, quali la MMP-1, che di gelatinasi, quali la MMP-2. Inoltre, un ruolo rilevante è stato osservato anche per una classe di Metalloproteinasi, le ADAMTS, che sono in grado di processare un componente importante del tendine, quale l’aggrecano. Tale indagine è risultata in una “review”, che ha appunto permesso di focalizzare i differenti ruoli fiso-patologici di queste Metalloproteinasi. Inoltre, sempre studiando importanti attività enzimatiche, connesse con processi fisiologici e patologici, abbiamo effettuato un’indagine accurata sul meccanismo enzimatico del PSA (Prostate Specific Antigen), un enzima della classe della Kallicreine, che è molto importante come marcatore dell’attività della prostata e del carcinoma prostatico. Tale indagine ha permesso di caratterizzare i vari stadi del meccanismo enzimatico del PSA, evidenziando come, a differenza di molti altri enzimi proteolitici, nel PSA lo stadio limitante sia la dissociazione del substrato (la deacilazione) e non il taglio del substrato (la acilazione. In tale sistema è stato inoltre possibile caratterizzare separatamente la dipendenza dal pH dei due processi enzimatici, che sono risultati essere caratterizzati da due pKa molto diversi. 118 UNITA’ DI RICERCA DEL SALENTO Direttore Scientifico: Prof. Francesco Paolo Fanizzi Complessi [PtCl(η1-CH2-CH2OR)(N^N)] e [PtCl(η2-CH2=CH2)(N^N)]+, (N^N = ligandi diazotati): effetti sterici ed elettronici evidenziati con analisi NMR E’ stata descritta la sintesi di nuovi complessi [PtCl(η2-CH2-CH2)(N^N)]+ e [PtCl(η1-CH2 =CH2OCH3)(N^N)], con differenti lidandi diazotati N^N, come ad esempio etilenediammina (en), R,R- and S,S-diamminocicloesano (R,R- and S,S-chxn), R,R- and S,S-N,N,N’,N’-tetrametil-1,2diamminocicloesano (R,R- and S,S-Me4chxn). In particolare, i fattori che determinano la stabilità dei complessi vengono analizzati in relazione ai chemical shifts individuati negli spettri NMR 1H, 13 C e 195Pt per complessi contenenti ligandi diamminici o diimminici ingombrati o non ingombrati stericamente. Rappresentazione schematica della formazione di complessi [PtCl(η2-C2H4)(N^N)]+ C2H4OCH3)(N^N)] a partire dal sale di Zeise e un ligando diazotato chelato N^N. and [PtCl(η1- Strutture ai raggi X e spettri NMR di complessi pentacoordinati [PtX2(η2CH2=CH2)(Me2phen)] (X = Cl, Br, I) E’ stata riportata per la prima volta la struttura ai raggi X di complessi pentacoordinati [PtBr2(η2CH2=CH2)(Me2phen)], Me2phen = 2,9-dimetil-1,10-fenantrolina. Il confronto delle strutture ai raggi X dei complessi del tipo [PtX2(η2-CH2=CH2)(Me2phen)] (X = Cl, Br, I) ha evidenziato una variabilità estremamente bassa delle lunghezze e degli angoli di legame, nel piano trigonale equatoriale (dove sono coordinate la η2-olefina e la Me2phen), in funzione della variazione dell’alogeno coordinato assialmente. Ciò suggerisce che i due sottosistemi costituiti dai ligandi assiali (X-Pt-X) ed equatoriali (Me2phen-Pt-η2-ethene) sono indipendenti o non interagiscono. 119 Modello tridimensionale del complesso [PtBr2N2C16H16]. Ciò significa che la carica elettrica donata al metallo dai ligandi in posizione assiale non può sostanzialmente modificare i legami del metallo con i ligandi del piano trigonale equatoriale. I chimica shift degli spettri NMR 1H, 13C, 15N e 195Pt sono stati analizzati in funzione del raggio i0onico degli alogenuri in posizione assiale. I dati NMR suggeriscono l’esistenza di pseudo-correnti d’anello che circolano intorno agli assi Pt–X e modulati dal raggio ionico degli alogenuri coordinati. Differenti effetti apoptotici del [Pt(O,O′-acac)(γ-acac)(DMS)] e del cisplatino su colture primarie di cellule mammarie umane normali e tumorali Lo scopo di questo studio è stabilire se il complesso [Pt(O,O′-acac)(γ-acac)(DMS)] è citotossico in maniera diversa rispetto a cisplatino su cellule normali e tumorali e misurare i livelli di citotossicità sulle stesse colture. Gli esperimenti sono stati condotti su colture primarie di cellule mammarie umane normali e tumorali ottenute dagli stessi pazienti, in modo da comparare gli effetti apoptotici del [Pt(O,O′-acac)(γ-acac)(DMS)] e del cisplatino. I risultati indicano che il [Pt(O,O′-acac)(γ-acac)(DMS)] è specifico per le cellule mammarie tumorali coltivate in colture primarie: ciò rende questo composto potenzialmente più interessante del cisplatino. Meccanismo apoptotico indotto dal Pt(O,O′-acac)(γ-acac)(DMS)]. Gli effetti del Pt(O,O′-acac)(γ-acac)(DMS)] su cellule tumorali sono quantitativamente differenti da quelli ottenuti su cellule sane. Studi sul ruolo dello ione rame in alcuni processi fisiologici Tra i metalli di transizione, lo ione rame riveste un ruolo fondamentale ai fini della regolazione di numerosi processi fisiologici essenziali (respirazione mitocondriale, biosintesi di neurotrasmettitori, difesa cellulare contro lo stress ossidativo, etc.), tant'è che un apporto sistemico inappropriato può avere risvolti patologici cronici particolarmente gravi. E' questo il caso di numerose patologie neurodegenerative e neoplastiche, il cui decorso clinico è con crescente evidenza associato ad una severa compromissione della funzione vascolare (eventi ischemici, attivazione aberrante), che, secondo recenti ipotesi, rappresenterebbe proprio una manifestazione secondaria di disturbi nell'omeostasi del rame. Lo ione rame notoriamente esercita una profonda influenza sui processi di rimodellamento vascolare. E', infatti, in grado di promuovere in modo efficiente il processo di angiogenesi stimolando il rilascio cellulare di VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor), e l’attivazione e secrezione di diversi mediatori angiogenici (angiogenina; Fibroblast Growth Factor-1, FGF-1). Dal canto loro, specifici fattori pro-angiogenici (e.g., VEGF, bFGF) determinano in cellule di natura vascolare la rilocalizzazione extracellulare di gran parte dei depositi di rame endogeno, 120 probabilmente finalizzata ad un'intensificazione del processo angiogenico (Proc Natl Acad Sci U S A 2007;104(7):2247-52). Non è nota l’identità delle proteine coinvolte in questo processo, tuttavia, evidenze sperimentali acquisite in cellule microvascolari (J Nutr 1998;128(8):1276-82), cellule muscolari lisce vascolari (VSMC; Circ Res 2010;107(6):787-99) e monociti umani (Biometals 2009; 22(3):531-9) suggeriscono il coinvolgimento della Cu-ATPasi ATP7A nel trasferimento di rame all’esterno in risposta a stimoli pro-angiogenici. E' stato osservato che i livelli di rame citosolico rivestono un ruolo critico rispetto ai processi di migrazione delle VSMC, che sembrano essere inibiti dal silenziamento genico dell’espressione del canale CTR1 (trasportatore del rame ad elevata affinità) e della proteina di efflusso ATP7A (Circ Res 2010;107(6):787-99). Nonostante le evidenze sperimentali cui si è fatto cenno, il quadro complessivo che emerge da un'attenta analisi della letteratura scientifica suggerisce una conoscenza parziale dei meccanismi di trasporto cellulare dello ione rame nelle cellule che costituiscono i vasi sanguigni in fase di quiescenza o attivati. Traendo spunto da queste considerazioni, l'attività di ricerca svolta dall'UO diretta dal Prof. Maffia ha avuto ad oggetto lo studio dei sistemi di trasporto che regolano il trafficking cellulare di rame in un modello endoteliale di origine primaria, le cellule HUVEC. Si è deciso di tracciare un profilo funzionale dettagliato dei sistemi di trasporto implicati nell'approvvigionamento endoteliale degli ioni rame, individuando il contributo di note proteine di trasporto (CTR1, DCT1) e studiando l'attività di presunti trasportatori ionici (scambiatori anionici, proteina prionica cellulare PrPC). Particolare attenzione è stata rivolta al ruolo ricoperto della proteina prionica cellulare PrPC, una speciale proteina ancorata al versante extracellulare della membrana plasmatica e ad elevata affinità di legame per gli ioni rame. Tecniche di silenziamento genico (RNA interference) in associazione a metodi di analisi fluorimetrica dei flussi ionici transmembrana hanno consentito di evidenziarne l'azione di supporto ai processi di uptake endoteliale degli ioni rame attraverso modalità differenti: i. l'espressione della proteina è stata messa in relazione con l'attività rame-reduttasica espressa a livello della membrana plasmatica, indispensabile ai fini di un trasporto ionico efficiente; ii. è stato dimostrato che il passaggio di rame all'interno delle cellule endoteliali in presenza di un gradiente di concentrazione è dovuto all'attivazione del processo di endocitosi della proteina PrPC, che trascinerebbe con sé all'interno delle vescicole gli ioni rame legati all'estremità N-terminale. In condizioni di attivazione endoteliale, è stata osservata una ridistribuzione della proteina PrPC dai domini raft ai domini non-raft, indice questo di massicci fenomeni di internalizzazione, ragionevolmente funzionali ad un maggior approvvigionamento di rame. Saggi condotti in Matrigel hanno, infine, evidenziato per la proteina PrPC una funzione strutturale come molecola di adesione intercellulare e alla matrice extracellulare. 121 UNITA’ DI RICERCA DI SIENA Direttore Scientifico: Prof. Gianni Valensin 1. Gruppo di ricerca del Professore Gianni Valensin L’attività di ricerca svolta nell’anno 2014 ha avuto come oggetto lo studio di interazioni tra sistemi biologici e ioni metallici attraverso l’utilizzo di tecniche spettroscopiche e computazionali. In particolare sono state seguite le linee di ricerca iniziate negli anni precedenti e dedicate principalmente allo studio dell’interazione metalli-proteine amiloidogeniche. Tra gli ioni metallici analizzati, particolare interesse è stato dedicato al ruolo svolto dallo ione rameoso nelle patologie neurodegenerative. Anche per l’anno 2014, sono state portate avanti le collaborazioni scientifiche già esistenti con i gruppi di ricerca del Prof. Henryk Kozlowski (Università di Wroclaw, Polonia), della Prof. Malgorzata Jezowska-Bojczuk (Università di Wroclaw, Polonia) del Prof. Maurizio Remelli (Università di Ferrara), del Prof. Luigi Messori (Università di Firenze), del Prof. Luigi Casella (Università di Pavia), del Prof. Luigi Bubacco (Università di Padova) e del Dr. Marek Luczkowski (Università di Wroclaw, Polonia) e del Prof. Peter Faller (CNRS, Toulouse). Qui di seguito sono brevemente riportati i sistemi che sono stati caratterizzati nell’ anno 2014: i. Studio dell’interazione tra Cu(I) e le proteina alfa-sinucleina e beta-sinucleina (S, S) tramite spettroscopia NMR, XAS e CD in collaborazione con l’unità di ricerca di Pavia. ii. Studio dell’interazione tra Cu(I)/Cu(II) e il peptide PrP91-126 derivante dalla proteina prionica. Oltre alla spettroscopia NMR sono stati effettuati saggi di fluorescenza e calcoli di dinamica molecolare e misure elettrochimice. iii. Indagini spettroscopiche dell’interazione Cu(I) - A16. iv. Studio dell’interazione tra antibiotici amino glicosidici e ioni Cu(II) mediante NMR e dicroismo circolare. 2. Gruppo di ricerca della Dottoressa Fabrizia Fabrizi De Biani Temi trattati: studio di materiali per celle solari, caratteristiche strutturali di proteine redox. 3. Gruppo di ricerca del Dottor Mario Casolaro Tema trattato: studio di materiali per il rilascio di farmaci a lungo termine. 4. Gruppo di ricerca del Prof. Renzo Cini Tema trattato: sintesi e caratterizzazione di complessi metallici di potenziale uso medico. 5. Gruppo di ricerca del Prof. Giuseppe Campiani Temi trattati: sintesi, caratterizzazione e funzionalizzazione di molecole ad attività farmacologica antipsicotica, anti-Alzheimer's, anti-virale. 123 UNITA’ DI RICERCA DI TORINO Direttore Scientifico: Dott. Walter Dastrù L’attività di ricerca relativa all’anno 2014 ha portato alla pubblicazione di 28 articoli su riviste. Essa si è svolta seguendo le seguenti principali linee di ricerca: • Reporter per MR Imaging ad alta sensibilità(complessi di Gd, agenti CEST, molecole iperpolarizzate). • Reporter responsivi a specifici parametri chimico-fisici e biologici del microambiente cellulare (pH, temperatura, concentrazione di metaboliti, attività enzimatica, ...). • Procedure di targeting tumorale (AA, LDL, trasportatori anionici e cationici, molecole di adesione, recettori iperespressi, fibrina ...) e di placche aterosclerotiche (HDL, macrofagi, ...). • Imaging e terapia. • Valutazione della permeabilità vascolare. REPORTER PER MR IMAGING AD ALTA SENSIBILITA’ - Agenti iperpolarizzati Molti sforzi sono stati rivolti negli anni recenti verso lo sviluppo di procedure di iperpolarizzazione, principalmente nell'ambito del potenziale utilizzo di molecole iperpolarizzate in MRI. In questo contesto, l’utilizzo di metaboliti 13C-NMR iperpolarizzati ha permesso di monitoratre i processi metabolici in-vivo e sono in corso gli studi clinici per l’utilizzo di un metabolita (piruvato) nella diagnosi precoce del tumore alla prostata e nel monitoraggio dell’effetto dei trattamenti terapeutici. Il metodo utilizzato per ottenere ipeprolarizzazione sui molecole di interesse diagnostico è la DynamicNuclearPolarization (DNP), tecnica che richiede una strumentazione complessa e costi elevati. Presso il CIM, viene utilizzata la procedura ParaHydrogenInducedPolarization (PHIP) per la preparazione di molecole iperpolarizzate. Questa tecnica ha costi molto più contenuti e richiede un’attrezzatura facilmente reperibile in laboratorio. Il limite nella sua applicazione è dato dalla necessità di utilizzare precursori de-idrogenati delle molecole di interesse, ai quali si possa addizionare il paraidrogeno mediante reazioni di idrogenazione con catalisi omogenea. È stato recentemente introdotto dai laboratori del CIM un nuovo metodo che permette l’iperpolarizzazione di acidi carbossilici mediante la loro funzionalizzazione con un alcole insaturo. L’estere così ottenuto (vinil estere, propargil estere, altri esteri insaturi sono in corso di studio, schema 1, strutture B e C ) viene para idrogenato e la polarizzazione trasferita al segnale 13C carbonilico, mediante une tecnica di ciclo di campo magnetico. Questa tecnica ha permesso l’iperpolarizzazione dei precursori esteri molecole di interesse biologico, quali acetato (figure 1), piruvato e l’aminoacido glicina, prima non ottenibili con il metodo PHIP. Un successivo step di idrolisi viene effettuato mediante aggiunta di una soluzione acquosa di NaOD (1M) che permette di staccare l’alcole e ottenere la molecola di interesse iperpolarizzata. La procedura descritta viene denominata PHIP-SAH (PHIP by Side ArmHydrogenation) e attualmente sono in corso studi per ottimizzare i processi di idrolisi del prodotto, separazione del catalizzatore di idrogenazione per ottenere una soluzione acquosa del composto iperpolarizzato che possa essere utilizzata per studi in vivo. O O O O R O R H O C B A () () () Schema 1. Struttura A: molecole iperpolarizzate mediante addizione del paraidrogeno in posizione adiacente al gruppo carbossilico al quale viene trasferita la polarizzazione; strutture B e C: strutture studiate per il trasferimento di polarizzazione ad acidi carbossilici mediante paraidrogenazione dell’alcole insaturo (braccio laterale). 125 + a N O O C R 3 1 D O a N O O C R 3 1 nr oe i t f as z i n r a O R t s y l a t a c I h R O ar l ot* p * O 2 H a r a p O R () Schema 2. Schematizzazione dell’iperpolarizzazione di acidi carbossilici mediante paraidrogenazione del braccio laterale (alcol insaturo) trasferimento di polarizzazione e idrolisi (PHIP-SAH). (A) (C) (B) (D) Figura 1. spettri 13C-NMR di acetato iperplarizzato ottenuto mediante paraidrogenazione del vinil-acetato a etil acetato (A) e propargil acetato ad allil aceato (C), applicazione di ciclo di campo magnetico e successiva idrolisi (spettri B e D). Tutte le reazioni di idrogenazione qui riportate sono state effettuate in D2O utilizzando il catalizzatore [Rh(NBD)(1,4-bis-[(phenyl-3-propane sulfonate) phosphine])butanedisodiumsalt]+. Il livello di polarizzazione che viene trasferito dal paraidrogeno all’eteroatomo è legato alle costanti di accoppimento scalare tra i nuclei di paraidrogeno (H e H’) e l’eteroatomo (X), secondo la relazione (JHX-JH’X)/2*JAA . Livelli di polarizzazione elevati (~20%), adatti per applicazioni di MRI in vivo, sono stati riportati su molecole nelle quali il paraidrogeno viene addizionato in posizione adiacente all’eteroatomo target (schema 1, struttura A). È stato quindi necessario dimostrare che anche nel nostro caso, in cui le J tra protoni ed eteronucleo sono molto basse, il trasferimento di polarizzazione può raggiungere i livelli necessari ad applicazioni in vivo. Per fare questo, è stata confrontata la polarizzazione del gruppo carbossilato che si ottiene sull’estere etilico dell’acido propionico in seguito a paraidrogenazione dell’etil acrilato (addizione del paraidrogeno in posizione adiacente al 13C carbossilico) con quella che si osserva con paraidrogenazione del vinil propinato. In trasferimento di polarizzazione viene effettuato mediante ciclo di campo magnetico Nonostante il dispositivo utilizzato per realizzare questo processo, che consiste nel portare rapidamente il campione para idrogenato da campo magnetico terrestre a campo vicino allo zero per poi riportarlo lentamente a campo terrestre, sia rudimentale (vengono impiegati due cilindri concentrici di mumetal) sono stati ottenuti buoni livelli di polarizzazione i entrambi i casi. È soprattutto rilevante il fatto che la paraidrogenazione del vinil estere porta ad avere un segnale comparabile con quello che si osserva in seguito all’addizione di paraidrogeno in posizione adiacente al segnale 13C target (vedi figura). Sono in corso studi di tipo teorico per predire il livello di polarizzazione massimo ottenibile e per individuare i passaggi critici del ciclo di campo in modo da poter ottimizzare il processo di trasferimento di polarizzazione. 126 - Agenti CEST • ErytroCEST Nel costante tentativo di aumentare la sensibilità degli agenti di contrasto basati sul trasferimento di saturazione, è stata presa in considerazione la possibilità di utilizzare, come fonte di un elevato numero di protoni mobili, l’acqua intrappolata nel compartimento intracellulare. Le cellule che abbiamo scelto di utilizzare a tal fine sono gli eritrociti data la forma anisotropa che ne consente l’orientazione all’interno di un campo magnetico. La scelta di cellule capaci di orientarsi nasce dal bisogno di utilizzare reagenti di shift per differenziare la frequenza di risonanza dell’acqua intra- e extra-cellulare. Tra i vari contributi che un reagente di shift paramagnetico può apportare all’acqua, quello di gran lunga più grande è costituito dal cosiddetto effetto BMS (Bulk Magnetic susceptibility). Affinchè questo contributo possa esplicarsi è necessario che il complesso paramagnetico sia intrappolato in un compartimento non sferico, da qui la scelta di cellule di forma anisotropica. Come reagenti di shift sono stati utilizzati complessi lantanoidei del legante HPDO3A (fig.1), gli ioni lantanoidei selezionati sono Eu(III), Yb(III), Tm(III) e Dy(III). Figura 1. Struttura generale del complessi lantanoidei con il legante HPDO3A 127 La tecnica utilizzata per labellare le cellule è quella nota come “Hypotonic swelling” che consiste nell’incubare le cellule in una soluzione avente osmolarità inferiore rispetto a quella fisiologica e contenente le molecole che si vogliono internalizzare. Le cellule reagiscono a questo gradiente osmotico gonfiandosi, e nel gonfiarsi la loro parete diventa maggiormente permeabile. Le molecole da internalizzare quindi penetrano dall’esterno all’interno. Dopo un certo periodo viene ripristinata l’isotonicità della soluzione esterna, i pori delle membrane cellulari si richiudono e il contenuto internalizzato rimane sigillato all’interno (figura 2). Figura 2. Schema della procedura di labelling mediante tecnica di hypotonic swelling A seguito di questo trattamento i parametri ematologici sono conservati e la quantità di complessi intrappolati, stimata attraverso ICP è di circa 4-5 mM. Sono stati acquisiti spettri Z sulle cellule labellate e su cellule di controllo (fig. 3). Le cellule labellate con il complesso di DyHPDO3A mostrano uno spettro z fortemente asimmetrico contrariamente allo spettro z delle cellule non labellate. Figure 3 Confronto tra A) spettri Z e B) spettri ST di cellule labellate e non labellate. 128 Tra i vari complessi lantanoidei selezionati, quelli che consentono uno shift maggiore sono quelli con gli ioni dotati di momento magnetico efficace più elevato (fig.4). Figure 4: Confronto tra l’efficienza come shift reagent tra diversi complessi lantanoidei La sensibilità degli eritrociti labellati è stata testata diluendoli in eritrociti non labellati fino ad un valore di 1pM di cellule labellate. (fig.5) Figure 5. Misura della sensibilità delle cellule labellate. A) Immagine T2 pesata. B) Mappa ST%. 129 La sensibilità di questi agenti di contrasto è la più alta mai osservata tra gli agenti CEST descrtitti fino ad oggi. La peculiare biodistribuzione degli eritrociti, rende questi agenti particolarmente adatti per studi di densità vascolare. Il valore aggiunto offerto dall’utilizzo di un agente CEST piuttosto che un classico blood pool risiede nella possibilità di ottenere mappe multiparametriche. Ad esempio,oltre alla visualizzazione dei vasi, si possono ottenere informazioni su parametri fisiopatologici del tessuto in esame acquisendo contemporaneamente mappe ST relative ad un secondo agente di contrasto CEST che sia responsivo ai parametri del microambiente. • Iopamidolo come agente CEST Si sono studiati una serie di analoghi dello iopamidolo come agenti di contrasto per la metodica MRI-CEST. Queste quattro nuove molecole sono tutte agenti di contrasto appartenenti alla classe degli agenti iodurati non ionici. Tre di questi, Ioversolo, Iohexolo e Iomeprolo sono composti monomerici, mentre lo Iodixanolo è un dimero. Tutti e quattro i composti presentano gruppi amidici con protoni mobili con chemical shift nel range 4.2-4.4 ppm rispetto al segnale dell’acqua di bulk. Si è studiato in vitro la dipendenza dell’effetto CEST o Trasferimento di Saturazione (ST%) sulla base del pH della soluzione (in un range di 5.5 – 7.9) e sulla potenza (1-2-3-6 uT) e sulla durata (1-2-3-5-8 s) dell’impulso di saturazione. Si è visto come l’effetto CEST fosse dipendente in maniera lineare con la potenza e la durata dell’impulso di saturazione, ma non con il variare del pH. Infatti lo scambio prototropico delle amidi è catalizzato dalle basi, pertanto all’aumentare del pH aumenta la costante di scambio chimica del protone, pertanto gli impulsi di saturazione per contianure a raggiungere lo stato stazionario di saturazione devono essere sempre più potenti all’aumentare dello scambio. Questo comporta delle curve di effetto ST in funzione del pH che presentano dei massimi intorno a valori di pH di 6.7 a basse potenze / durate di saturazione, che si spostano fino a valori di pH di 7.0 e 7.4 all’aumentare della potenza o della durata dell’impulso di saturazione. Si sono testati in vivo i composti esaminati alla dose di 0.75 g iodio / kg peso corporeo, per poter confrontare la loro capacità di generare contrasto. A seguito dell’iniezione si sono acquisite una serie di immagini post-contrasto per studiarne la cinetica nel tempo. L’effetto ST raggiunto a livello renale è di circa l’8-10%, con le quattro molecole che presentano delle cinetiche differenti. In particolare, i monomeri presentano delle curve di effetto ST con un picco subito dopo l’acquisizione, che va riducendosi lentamente fino a 30 min post iniezione. Invece lo iodixanolo presenta un accumulo lento nel tempo con la formazione di uno stato stazionario di effetto ST. Questo andamento è spiegabile sulla base delle dimensioni dello Iodixanolo, che in qualità di dimero presenta una cinetica di eliminazione più lenta rispetto agli altri composti. AGENTI RESPONSIVI Gli agenti responsivi per MRI sono sostanze la cui relassività dipende da un particolare parametro fisiologico caratteristico del microambiente nel quale si distribuiscono (pH, temperatura, attività enzimatica, ... ). La loro applicazione dà origine alla formazione di immagini il cui contrasto dipende dal valore del particolare parametro. Il problema cruciale da risolvere è assicurarsi che le differenze di relassività osservate siano dovute solamente alla variazione di relassività e non alla differente concentrazione dell'agente di contrasto. - Nuova metodica per ottenere Agenti CEST responsivi al pH Si è sviluppato un nuovo metodo ratiometrico, ovvero di un metodo che permette di ottenere una misura in vivo, di un parametro di interesse, quale il pH, indipendentemente dalla concentrazione della sonda stessa. Si è quindi studiata la dipendenza del contrasto di un agente cest, lo iobitridolo (un agente di contrasto iodurato usato in clinica), dal pH e dalla potenza di saturazione. Il rapporto del contrasto ottenuto tra due potenze diverse di saturazione permette di ottenere un indice che dipende a sua volta dal pH (Fig. X1), con un andamento in funzione del pH che può essere modulato sulla base della coppia di potenze di saturazione impiegato. Questo nuovo approccio ratiometrico permette di ottenere misure di pH accurate nel range fisiologico 6-7.4 (Fig. X2). Inoltre questo approccio ratiometrico non dipende dalla concentrazione dell’agente di contrasto (Fig. X3). 130 Si sono pertanto studiati diversi rapporti o combinazioni di due potenze di saturazione, ottimizzandoli sia per gli studi in vitro (1.5 µT / 6 µT) che per quelli in vivo (1.5 µT / 3 µT) su modelli animali di tumore. Con questo metodo è quindi possibile misurare il pH del microambiante tumorale ins seguito alla somministrazione dell’agente di contrasto iobitridolo ad una dose di 4 g I / kk di peso corporeo (Fig. X4). Questo nuovo approccio ha esteso la possibilità di usare come sistemi responsivi al pH anche molecole con un solo pool di protoni mobili, quindi potenzialmente a qualunque molecola CEST, mentre prima questa caratteristica era limitata a molecole con almeno due set di protoni mobili. Fig. X1 (a) Contrasto MRI-CESt dello iobitridolo in funzione del pH e di tre potenze di saturazione (1.5, 3 e 6 µT), misurato a 7T e 310K, con un tempo di irradiazione di 5s. (b) rapporto ratiometrico ottenuto dividendo il contrasto ottenuto a 1.5 su 6 µT e a 3 su 6 µT che risulta essere pH dipendente. Fig. X2 Immagini MRI-CST di una soluzione di iobitridoloa diversi pH (5.5-6-6.0-6.3-6.7-7.0-7.4-7.9). Immagini di contrasto ST ottenute con potenze di saturazione di 1.5 µT (a) e di 6 µT (b). (c) mappe ratiometrico calcolate dividendo le corrispondenti immagini di contrasto ST (a) e (b). (d) mappe di pH calcolate dalla curva di calibrazione della figura X1b. (e) pH calcolato in funzione del pH misurato a 7T e 310K 131 Fig. X3 Il metodo ratiometrico permette di ottenere misure di pH indipendenti dalla concentrazione di iobitridolo. (a) fantocci contenenti iobitridolo a diverse concentrazioni (10-20-30-40-50 mM) e valori di pH (6.6 e 7.2). Immagiini MRI-CEST di pH calcolate sfruttando l’approccio ratiometrico con potenze di saturazione di 1.5 / 6 µT (b) e di 3/6 µT (c). Valori di pH medi calcolati per diverse concentrazioni ottenuti dal rapporto di 1.5 / 6 µT (d) e di 3/6 µT (e). Fig. X4 Immagini Mri-CEST di un xenograft su modello murino iniettato con una soluzione di iobitridolo (4 g I / kg peso corporeo). (a) immagine anatomica T2 pesata con le ROI che descrivono i due tumori. Mappe di contrasto ST ottenute dalla differenza di contrasto prima e dopo l’iniezione di agente di contrasto a 1.5 µT (b) e a 6 µT (c). (d) Corrispondente mappa di pH ottenuta in seguito al rapporto tra le due mappe di contrasto (b) e (c) 132 - Nuovo Agente PET/MRI responsivo al pH L’utilizzo della tecnica MRI per la misura accurata del pH dei tessuti in vivo ha un valore clinico molto elevato sia dal punto di vista diagnostico che terapeutico. Per agire da agenti responsivi al pH, le sonde MRI devono dare una risposta al pH che sia indipendente dalla concentrazione dell’agente stesso. Il sistema che è stato messo a punto è una sonda PET/MRI che si basa sulla formazione di un addotto supramolecolare tra l’avidina e due complessi biotinilati, uno contenente il Gd(III) (per la risposta MRI) e uno contenente il Ga-68 (per la risposta PET). Il complesso di Gd(III) agisce da sonda responsiva al pH mentre quello di Ga-68 fornisce la possibilità di misurare la concentrazione dell’agente. Conoscendo il rapporto stechiometrico tra l'isotopo radioattivo ed il Gd è possibile estrarre l'informazione riguardante la concentrazione dell'agente, e trasformare la velocità di rilassamento osservata in una mappa di pH. Il complesso di Gd(III) utilizzato è un derivato di un sistema usato in passato come responsivo al pH (Gd-DOTAsolfonammide) funzionalizzato con un residuo di biotina per l’interazione specifica (Ka 1015) con l’avidina. Il complesso contenente il Ga68 è invece un derivato del NOTA anch’esso funzionalizzato con un residuo di biotina. Il sitema è stato caratterizzato dal punto di vista rilassometrico, sia in acqua che in siero, per accertarsi che la funzionalizzazione con biotina e l’interazione con l’avidina non influenzasse in modo negativo la dipendenza della relassività dal pH. Si è ottenuto lo stesso andamento di relassività al variare del pH misurato sul complesso parente, con una pKa di deprotonazione del gruppo solfonammidico di 6.7 e massima sensibilità alla frequenza di 40 MHz. Il sistema è stato testato in vitro tramite acquisizione di immagini PET e MRI a 1T su un fantoccio costituito da diverse soluzioni con concentrazioni della sonda e pH diversi. Tramite la misura dei tempi di rilassamento delle soluzioni negli esperimenti MRI e la misura dell’intensità delle immagini PET (direttamente proporzionale alla concentrazione di Ga-68), facendo i calcoli opportuni è stato possibile estrapolare i valori di pH delle soluzioni testate. I valori trovati con questo metodo mostrano una buona corrispondenza con quelli misurati con l’elettrodo. Vial A B C D E Real [Gd] mM 0.39 0.195 0.146 0.097 0.146 Measured pH (electrode) 7,02 6,74 5,84 4,93 7,74 T1 relaxation (ms) Activity concentration (MBq/ml) Calculated [Gd] (mM) Calculated relaxivity (mM-1s-1) Calculated pH 235 312 334 420 657 12.6 ± 1 7.2 ± 0.44 5.0 ± 0.45 3.5 ± 0.29 3.2 ± 0.24 0.39 ± 0.03 0.22 ± 0.01 0.16 ± 0.01 0.11 ± 0.01 0.10 ± 0.01 9.6 ± 0.8 12.0 ± 0.7 16.0 ± 1.4 17.2 ± 1.4 10.1 ± 0.8 7,50 6,68 5,30 4,89 7.33 LABELLING CELLULARE Lo sviluppo di efficienti procedure per Imaging Molecolare richiede alte affinità e sensibilità da parte delle sonde utilizzate. Questa è la principale motivazione alla base dello sviluppo di sistemi innovativi capaci di marcare le cellule del sito di interesse con elevate quantità di tracciante diagnostico. - B25716/1: un nuovo derivato di Gd-AAZTA con elevata affinità per l’albumina e ottime capacità di imaging tumorale Un nuovo complesso di Gd a basso peso molecolare con elevata affinità per l’albumina è stato sintetizzato e caratterizzato rilassometricamente. Se ne sono inoltre studiate le proprietà farmacocinetiche e l’efficacia in esperimenti di MR-imaging in modelli animali murini. Il complesso di Gd(III) (B25716/1) è basato sulla struttura del legante eptadentato AAZTA coniugato covalentemente con un derivato dell’acido desossicolico. Lo studio è stato condotto in confronto con un complesso analogo (B22956), basato sulla struttura del DTPA, le cui proprietà erano state 133 precedentemente studiate. La variazione strutturale di B25716 rispetto a B22956 porta a un sistema che può ospitare due molecole di acqua di sfera interna sul Gd(III) in scambio rapido con le molecole di acqua del solvente. La relassività misurata in PBS a 0.47T e 25°C è infatti notevlmente superiore (13 mM-1s-1) a quella del complesso di riferimento (8.6 mM-1s-1). Lo studio dell’interazione con la siero albumina umana è stato condotto per via rilassometrica ed ha permesso di calcolare il valore della costante di associazione nKA = 2 ×104 M-1 e la relassività dell’addotto B25716/HSA (r1 b = 29 mM-1 s-1). La relassività misurata è molto inferiore a quanto ci si attendeva per un sistema con due molecole di acqua di sfera interna in scambio relativamente veloce. Spunti interessanti per la comprensione di questo comportamento sono stati trovati attraverso l’analisi dei profili NMRD e 17O-R2pvsT (Fig. 1). Figura 1: A) Temperature dependence of 17O-R2p at 14.1 T for B25716 and B25716/HSA; B) 1/T1 NMRD profiles measured at 25°C for the adducts B25716/HSA and B22956/HSA. L’analisi del profilo della variazione della velocità di rilassamento trasversale del 17O dell’acqua in funzione della temperatura (Fig. 1A) ha infatti indicato una diminuzione dell’idratazione del complesso al formarsi dell’addotto con la proteina. Nonostante questa riduzione, comunque, l’addotto B25716/HSA è dotato di relassività sensibilmente superiori a quelle di B22956/HSA in tutto il range di frequenze investigato (Fi. 1B), e, in particolare, ai campi rilevanti nella partica clinica. In tabella 1 sono riportati i valori di relassività di B25716 e B22956 misurati a 3 e 7T, alla temp. di 298 e 310K, in acqua e in presenza di albumina al 4.5%. B25716 mostra relassività marcatamente superiori a B22956 in tutte le condizioni investigate. Tabella 1. Relassività protoniche diB25716/1 e B22956/1, misurate a 3 e 7 T alla temperature di 298 K (25 °C) and 310 K (37 °C), in acqua e HSA 4.5%. Campo magnetico 3T Agente di contrasto B22956/1 B25716/1 B22956/1-HSA B25716/1-HSA 25 °C 8.11 ± 0.12 11.26 ± 0.56 10.55 ± 0.32 15.35 ± 0.04 7T 37 °C 6.09 ± 0.11 8.65 ± 0.16 10.13 ± 0.39 13.79± 0.10 25 °C 6.86 ± 0.31 10.54 ± 0.62 6.58 ± 0.89 11.04 ± 0.45 37 °C 5.26 ± 0.50 8.78 ± 0.53 5.78 ± 0.45 11.98 ± 0.80 I valori sono espressi come media ± DS. Unitàdi misura s-1 mM-1. 134 I due complessi sono stati confrontati per il loro potenziale quali agenti di contrasto per la visualizzazione di tumori in vivo. Sono stati preparati dei modelli tumorali murini tramite l’inoculo di cellule PC-3 (adenocarcinoma prostatico umano) in topi nudi e se ne sono registrate le immagini MR a 3T in seguito alla somministrazione di B25716 e B22956 (Fig. 2). In Figura 2 si nota la netta superiorità di B25716 nella capacità di amplificare il segnale MR nella regione tumorale. La maggiore efficienza di B25716 è anche più evidente quando si comparano i profili dell’incremento di segnale in funzione del tempo successivo alla somministrazione dell’agente di contrasto (Fig. 3), da cui si può evincere anche il differente profilo cinetico. B25716 mostra un washout dalla regione tumorale rallentato rispetto a B22956, che riflette un maggior tempo di permanenza nel circolo sanguigno. Figura 2: Immagini MR ottenute dopo la somministrazione di B22956 (A,B,C) o B25716 (D,E,F). A,D immagini registrate prima della somministrazione; B,E immagini registrate dopo 10 minuti; C,F immagini parametriche che mostrano l’incremento di segnale rispetto alle immagini PRE-contrasto. Figura 3: Incremento di segnale percentuale misurato nella massa tumorale (sinistra) e nel sangue (destra). 135 - Le integrine Le integrine rappresentano un target di interesse per diversi modelli tumorali, quali il cancro del colon, il carcinoma ovarico, il carcinoma alla mammella e i gliomi.Questi recettori sono overespressi non solo sulle cellule tumorali, ma anche sulle pareti delle relative cellule endoteliali con funzione neoangiogenica. In questo modo è possibile avere informazioni sia sulla permeabilità dei vasi che sulla vascolarizazzione della massa tumorale. Per il targeting di questi recettori, negli anni precedenti è stato sintetizzato un fosfolipide coniugato, attraverso una catena di PEG 2000, al peptide ciclico RGD che è noto riconoscere selettivamente le integrine αvβ3. Questo fosfolipide è stato utilizzato per funzionalizzare liposomi caricati con complessi a base di Gd(III) da utilizzare per il labeling cellulare in vitro. Il lavoro è stato incentrato a testare i liposomi marcati con RGD, in confronto con i liposomi non targettati (NT), in vivo su modelli murini con tumore di U87MG (che overesprimono il recettore delle integrine). Lo studio è stato condotto utilizzando sia la tenica MRI che l’Optical Imaging. Per l’utilizzo di questa seconda tecnica è stato necessario caricare i liposomi utilizzati con una sonda fluorescente; si è trattato di un fosfolipide funzionalizzato con il colorante Cy5.5. Entrambi gli studi hanno dato un risultato inaspettato, si è osservato infatti un uptake tumorale preferenziale dei liposomi marcati con RGD solo nei primi 30 minuti successivi alla somministrazione, mentre a tempi più lunghi (fino a 24 ore) il contrasto tumorale dei liposomi targettati è sceso a zero e quello ottenuto con i liposomi aspecifici è salito fino al 20-30% ca. Si è osservato invece un accumulo dei liposomi targettati nel fegato e nella milza. Si è quindi misurato il tempo di emivita plasmatica dei due sistemi (RGD-lipo e NT-lipo) prelevando campioni di sangue dai topi trattati a tempi diversi e misurandone i tempi di rilassamento a 300MHz. Le velocità di rilassamento osservate sono proporzionali alla concentrazione di Gd(III) presente nel campione. Si è osservata una velocità di eliminazione dei liposomi targettati circa 3 volte maggiore rispetto a quella dei liposomi aspecifici. Queste osservazioni ci hanno portato a concludere che la maggiore efficienza dei liposomi non targettati nella marcatura del tumore sia da attribuirsi alla loro più prolungata retenzione nel circolo sanguigno. La presenza del peptide carico RGD sui liposomi specifici invece favorisce la loro cattura da parte dei macrofagi circolanti e del RES riducendone il tempo di vita plasmatica e quindi la possibilità di accumulo nella regione tumorale. Il lavoro sta procedendo per migliorare il sistema di targeting in modo da minimizzare le interazioni non desiderate con i macrofagi circolanti, riducendo l’eliminazione attraverso fegato e milza, prima di raggiungere il tessuto tumorale. L’idea è quella di rendere attivo il processo di targeting , come l’endocitosi mediata dal recettore, solo una volta raggiunto il microambiente tumorale. Si sta mettendo a punto un sistema in cui sui liposomi, oltre al vettore di targeting, sono presenti lunghe catene di PEG, che li proteggerebbero dal sequestro dei macrofagi, opportunamente studiate in modo che un particolare stimolo nel microambiente tumorale (es. Il pH acido) porti all’esposizione del vettore solo in prossimità delle cellule tumorali. IMAGING E TERAPIA La possibilita' di guidare il trattamento terapeutico con l'imaging e' una opportunita' estremamente interessante. Da questo punto di vista, è stato molto importante l'avvento dei tomografi MRI accoppiati con sistemi ad ultrasuoni ad alta frequenza per trattamenti ipertermici localizzati. Le attività del CIM in quest'ambito sono: - Preparazione di liposomi per il rilascio di farmaci Si utilizzano liposomi contenenti sia gli agenti di contrasto, sia i farmaci, che vengono somministrati ad animali modello. La loro visualizzazione consente la quantificazione del numero di liposomi (e quindi delle molecole di farmaco) che sono presenti nel sito di interesse. I liposomi sono studiati in modo tale da rilasciare (possibilmente in modo controllato) il farmaco e l'agente di contrasto. Potrebbero inoltre essere ulteriormente modificati in modo da diventare reporters dell'efficacia terapeutica del farmaco. Per ottenere questo scopo, si usano sia probes MRI che CEST. 136 - Terapia a cattura di neutroni (NCT) e Imaging L’obiettivo di questo studio è lo sviluppo di nuovi nanosistemi in grado di trasportare simultaneamente farmaci ed agenti diagnostici in modo selettivo alla patologia di interesse sfruttando la presenza di recettori specifici per tali vettori. L’attenzione è stata rivolta principalmente allo sviluppo di nanocarriers biocompatibili (liposomi) e naturali endogeni (lowdenisitylipoproteins (LDL)). In particolare le LowDensityLipoproteins e i liposomi sono stati in grado di incorporare due diversi agenti duali, diagnostici e terapeutici, con lo scopo di migliorare l’efficacia della BoronNeutronCaptureTherapy (BNCT) nel trattamento dei tumori. La BNCT, terapia per cattura neutronica, è una terapia binaria sperimentale per il trattamento dei tumori, in particolare tumori recidivi della testa e del collo, melanomi e tumori cerebrali. E' basata sulla cattura di neutroni termici da parte di nuclei di boro 10 che sono stati selettivamente somministrati alle cellule tumorali. L'evento di cattura neutronica consiste nella formazione di nuclei di boro 11 eccitati che decadono producendo ioni 4He2+ e 7Li+ altamente ionizzanti. La morte cellulare avviene attraverso il rilascio di energia di queste particelle cariche che danneggia la cellula nella quale sono state generate. Dato che il range d’azione delle particelle emesse e' confrontabile con il diametro cellulare (5-10 um), la cattura non causa danni alle cellule circostanti, potenzialmente sane. E' stato provato che per ottenere un effetto terapeutico accettabile siano necessari 20-30 µg di boro per grammo di tumore. Sebbene la BNCT sia stata studiata per diversi anni, durante i quali si sono messe in luce le sue potenzialità per il trattamento di molti tumori, ad alta mortalità e scarsa speranza di vita, la BNCT non è ancora utilizzata di routine in ambito clinico, non essendo ancora stata dimostrata la sua superiorità alle terapie già esistenti. Poichè questo trattamento elimina soltanto le cellule che hanno internalizzato grandi quantità di boro (almeno 2030 ppm), una delle cause del limitato successo è la difficoltà di accumulare il boro in quantità sufficiente nel tumore. Inoltre, un secondo problema riscontrato nell’applicazione clinica della BNCT è la difficoltà di determinare la concentrazione locale di boro nel tumore necessaria per determinare il tempo d'irraggiamento e per calcolare la dose di radiazione durante il trattamento. Ad oggi non esiste un metodo non invasivo per valutare, in un soggetto sottoposto ad irraggiamento, la concentrazione di boro nei tessuti patologici ed in quelli sani. Il recente sviluppo di tecniche di immagine molto sensibili e di protocolli di medicina molecolare basati sull'uso di agenti specifici in grado di trasportare grandi quantità di agenti terapeutici e diagnostici, potrebbe migliorare l'efficacia della BNCT, in modo da renderla competitiva con gli altri trattamenti anti-tumore presenti in clinica. Il primo tipo di carrier preso in considerazione è un liposoma che è stato funzionalizzato con un fosfolipide peghilato portante un rediduo di acido folico sulla parte terminale della catena del PEG. Questi residui ne hanno permesso l’accumulo nella patologia tumorale di interesse, il cancro ovarico umano, attraverso il meccanismo di endocitosi recettore mediata. Nella scelta di come preparare il liposoma è stato molto importante decidere quale tipo di vettore utilizzare. La preferenza è andata al folato proprio perchè i recettori del folato (FRS) accessibili sono normalmente espressi solo sulle cellule di alcuni tumori solidi, come quello ovarico, macrofagi attivati e le cellule del tubulo prossimale del rene. L' up-regolazione dei FRs ad alta affinità sulla superficie delle cellule tumorali può consentire a queste ultime di competere in modo più aggressivo per la vitamina. Sulla superfice del liposoma è stato possibile incorporare un agente duale nel quale le componenti per l’ imaging (Gd-DOTA) e per la BNCT (carborano) sono parte della stessa molecola.La possibilità di avere nella stessa molecola un agente sia per MRI che per BNCT risulta un vantaggio rispetto all’uso di agenti terapeuticie di imagingcomemolecoleindipendenti proposto in uno studio recente da Nakamura e collaboratori, dato che manterrannola stessabiodistribuzionesolo seil liposoma nel quale sono incorporati rimarrà integro. Infatti, dopola degradazione deiliposomi la lorobiodistribuzionesarà diversa edipenderà dallaloro dimensione, dal loro carattereidrofilo, dalle loro cariche residue, ecc ...L'incorporazionedella sonda MRI/BNCTnel doppio stratolipidicoè avvenuto attraverso unafunzionalizzazionecon un residuo di colesterolo.La scelta di usare il colesterolo è motivata dal fatto che èun componente standarddel bi-layer dei liposomi ed è generalmente introdotto nella formulazione col fine di aumentarelastabilità delle 137 particelle. L’agente duale (Gd-B-AC01) (Figura 1) è quindi formato da un'unità carboranica (dieci atomi di boro) portante una molecola di colesterolo su un lato (per consentire l'incorporazione nel bi-layer del liposoma), e un complesso monoamidico Gd (III) / 1,4,7,10-tetraazaciclododecano sull'altro lato (come MRI reporter per permettere la quantificazione della concentrazione B /Gd). Il secondo tipo di carrier di cui mi sono occupato sono le lowdensitylipoproteins. Le LDL sono costituenti endogeni del sangue, costituite da un cuore insolubile di esteri del colesterolo e trigliceridi circondati da un involucro di fosfolipidi anfipatici e proteine specializzate chiamate apolipoproteine. Le LDL sono i principali carriers biologici nel plasma umano di colesterolo (esterificato e non) verso il tessuto extraepatico. La proteina associata alla membrana ApoB100 media il riconoscimento della particella LDL con il suo recettore e il successivo uptake nelle cellule attraverso l’endocitosi mediata dal recettore. Risultano delle buone candidate per il trasporto di atomi di boro, perché i loro recettori sono sovraespressi in molti tipi di tumore come ad esempio melanomi, gliomi, epatomi e carcinoma mammario.Queste particelle sono state funzionalizzate con un probe duale MRI/BNCT (Gd/B/L) (Figura 2) che differisce dal primo per la presenza di una catena palmitica in sostituzione del colesterolo per il legame con il vettore biologico (LDLs). La catena alifatica è a sua volta legata ad un’unità di carborano che lega un complesso di Gd (derivato monoamidico del DOTA). Figura 1: Rappresentazione schematica dell’agente duale Gd-B-AC01 Figura 2: Rappresentazione schematica dell’agente duale Gd/B/L LIPOSOMI Risultati e discussione Preparazione e caratterizzazione dei liposomi I liposomi sono stati preparati seguendo il metodo del “thinlipid film hydration” utilizzando i seguenti componenti: POPC (1-Palmitoyl-2-Oleoyl-sn-Glycero-3-Phosphocholine), Cholesterol, 138 Gd-B-AC01, DSPE-PEG2000 (1,2-Distearoyl-sn-Glycero-3-PhosphoethanolamineN[Methoxy(Polyethylene Glycol)-2000] Ammonium Salt), DSPE-PEG2000-folato {1,2-distearoylsn-glycero-3-phosphoethanolamine-N-[folate(polyethylene glycol)-2000] ammoniumsalt}. Sono stati preparati tre diversi liposomi contenenti: la stessa quantità di POPC (71 %) e diverse quantità di colesterolo e Gd-B-AC01 , cioè 15.5:7.5 % , 13:10 % , 08:15 %, rispettivamente. Per aumentare la stabilità e limitare il loro uptake fagocitico non specifico , tutti i liposomi contenevano il 6% di fosfolipidi peghilati (DSPE-PEG2000) . La relassivitàmillimolare (21,5 MHz , 25 ° C) del complesso Gd-B-AC01 incorporato nella formulazione liposomiale è stata 15,3 ± 0,7 ( mmol / L) -1 s -1 . Questo valore è abbastanza elevato come conseguenza sia della diminuzione della mobilità molecolare dovuta all’inserimento nella membrana del liposoma che della relativamente veloce velocità di scambio dell’ acqua attraverso il doppio strato fosfolipidico dovuta alla presenza nella formulazione di una elevata % di fosfolipidi insaturi (POPC) . Il diametro idrodinamico medio dei liposomi è stato di 125 ± 10 nm per tutte le formulazioni investigate, ed è stato ottenuto mediante misure di dynamic light scattering. Col fine di accumulare selettivamente nelle cellule tumorali la molecola Gd-B-AC01 incapsulata nel bi-layer lipidico, 1 % di un fosfolipide DSPE coniugato ad un residuo folato è stato aggiunto alla formulazione fosfolipidica. La sovraespressione dei recettori del folato (FRS) è ben nota in molte cellule tumorali ( dell'ovaio , del cervello , del rene , mammella e del polmone )5,6 identificando così questo recettore come un potenziale bersaglio per molti tipi di farmaci con il cancro ligando-specifici. 7 FR può essere anche adatto come un target tumorespecifico, poiché diventa generalmente accessibile ai farmaci somministrati per via endovenosa solo dopo trasformazione maligna. I recettori per il folato (FRS) sono normalmente espressi sulle cellule tumorali fino a 107FRs / cellula, ma la velocità di riciclo del recettore è relativamente bassa.8,9 I coniugati di folato si legano ai recettori del folato con alta affinità ( Kd ≈ 10-9 M) e sono internalizzati attraverso endocitosi mediata da recettori . Le proprietà chimico-fisiche dei liposomi con 1 % di fosfolipidi funzionalizzati con folato sono molto simili a liposomi controllo non funzionalizzati (senza acido folico) . Esperimenti di uptake in vitro su cellule IGROV-1 ed analisi MRI I liposomi sono stati testati in vitro su cellule di carcinoma ovarico umano IGROV-1 per valutare l’accumulo di Gd internalizzato dalle cellule dopo 24h di incubazione misurando la concentrazione del metallo con la tecnica dell’icp-ms. Queste cellule esprimono un alto numero di FR-α (0.5-1 x 106 recettori/cellula). La stabilità dei liposomi è stata dimostrata dall’assenza di un rilascio aspecifico di Gd-B-AC01 nelle cellule tumorali. A questo scopo, le cellule sono state incubate per 24h a 37°C in presenza del liposoma con Gd-B-AC01 ma non targhettato, contenente crescenti % di Gd-B-AC01 da 7.5 a 15%. Il risultato riportato in Figura 3a mostra che l’accumulo di Gd associato in modo non specifico alle cellule IGROV-1 è direttamente proporzionale alla percentuale di Gd-BAC01 incorporata nel liposoma. Questo è dovuto all’alta affinità del colesterolo per le membrane che causa la traslocazione di una piccola ma significativa % del complesso dal liposoma alla membrana cellulare. Riducendo la % di Gd-B-AC01 rispetto agli altri fosfolipidi, è stato possibile ridurre il numero di complessi rilasciati legati aspecificamente alla membrana della cellula che può causare la diminuzione del rapporto tra il boro internalizzato dal tumore rispetto alle cellule sane circostanti. Per queste ragioni, la formulazione contenente il 7.5% di Gd-B-AC01 è stata selezionata per effettuare studi di targheting FR su cellule IGROV-1 esprimenti FRs. Le moli di Gd internalizzate dalle cellule IGROV-1, misurate con l’icp-ms dopo l’incubazione in presenza di concentrazioni crescenti di liposomi targhettati con il folato, è stata confrontata con quelle ottenute utilizzando liposomi non targhettati. La figura 3b mostra che aumentando la concentrazione di liposomi targhettati e non, incubati con le IGROV-1, quelli targhettati raggiungevano velocemente la completa saturazione del loro uptake di folato. Questo comportamento dimostra un’alta affinità dei liposomi targhettati con il folato per il loro recettore (FR). Inoltre, indica che il rilascio non specifico di Gd-B-AC01 dai liposomi non targhettati non invalida il confronto se si lavora a concentrazioni di liposoma relativamente basse. 139 Figure 3. A) Gd (moli) rilasciato dai liposomi non targhettati (preparati con quantità crescenti (%) di GdAC01 e incubati per 24h in presenza di cellule) sulle membrane delle cellule IGROV-1. La quantità di Gd associato alle cellule è stato determinate con ICP-MS. B) Internalizzazione di GdAC01/liposomi targhettati con il folato () e non (), incubati a concentrazioni crescenti in presenza di cellule IGROV-1 per 24h a 37°C . Con lo scopo di appurare se l’accumulo di Gd internalizzato nelle cellule target sia stato sufficiente per permettere la visualizzazione con l’MRI , sono state acquisite immagini T1 pesate a 1T e 7T (Figura 5) di capillari di vetro contenenti pellet cellulari ottenuti incubando circa 1 milione di cellule IGROV-1 con quantità crescenti di Gd-B-AC01/liposomi targhettati e non. A 1T, c’è un effetto dominante del lungo movimento reorientazionale della molecola paramagnetica che causa un drammatico aumento della velocità di rilassamento con un conseguente incremento dell’aumento dell’intensità del segnale (SI) come mostrato nei profli NMRD della figura 3. Chiaramente, gli aumenti dell’intensità del segnale di cellule labellate misurate ad 1T (SI=80% dopo incubazione con 5uM) sono stati marcatamente più alti rispetto a quelli misurati a 7T (SI=45% dopo incubazione con 5uM Gd). La media dell’aumento di intensità del segnale (%) dei tessuti target è stato calcolato in accordo con l’equazione [1]: SI % aumento = ((media SIPOST -media SIPRE) / media SIPRE) x 100 dove SIPRE and SIPOST corrispondono al SI misurato su cellule non trattate o di controllo (SIPRE) e su cellule trattate con i liposomi (SIPOST), rispettivamente. L’intensità del segnale registrata del liposoma targhettato in cellule IGROV-1 è stata più alta rispetto a quello non targhettato. Questo dimostra lo specifico accumulo di liposomi targhettati con il folato nelle cellule tumorali rispetto a liposomi controllo. L’accumulo di boro internalizzato misurato con l’icp-ms è stato di 38 e 9 ppm per liposomi targhettati con il folato e non targhettati, rispettivamente. La prima quantità è significativamente più alta rispetto alla minima concentrazione necessaria per eseguire la BNCT. Possiamo così concludere che i liposomi incapsulati con Gd-BAC01 sono carrier efficienti per il delivery di agenti MRI/BNCT alle cellule tumorali. Figura 4. (A) Immagini spin echo T1 pesate, acquisite a 7 (A) e 1 (B) T, di un agar phantom contenente cellule IGROV-1 labellate con Gd-B-AC01/liposomi targhettati con il folato e non: (a) cellule controllo non trattate; (b), (c) cellule incubate per 24h in presenza di liposomi non targhettati 5 (b) and 10 (c) uM; cellule incubate in presenza di liposomi targhettati con il folato 5 (d) and 10 (e) uM. Le cellule sono state pellettate nella parte inferiore di capillari di vetro. 140 Trattamento BNCT su cellule IGROV-1 (in collaborazione con il Prof. Altieri Università di Pavia) La figura 5 mostra la percentuale di cellule sopravvissute all’irraggiamento con neutroni (durata irraggiamento:15’ a 30 Kw potenza). Le cellule sono state irraggiate con neutroni termici all’interno della colonna termica del reattore TRIGA all’Università di Pavia. Due tipi di cellule di controllo sono state usate in questo esperimento. Il primo tipo non ha ricevuto alcun irraggiamento con neutroni e incubazione con boro e il secondo controllo è stato irraggiato senza boro. Il numero di cellule sopravvissute è stato significativamente più basso quando le cellule sono state irraggiate dopo l’internalizzazione dei liposomi contenenti Gd-B10-AC01 (incubazione di 24h alla concentrazione di 10uM Gd) e targhettati con il folato mentre in assenza di boro l’effetto dell’irraggiamento con neutroni è stato quasi trascurabile. Inoltre, la velocità di proliferazione delle cellule trattate con il boro e sopravvissute all’irraggiamento è stata significativamente inferiore rispetto a quella misurata su entrambe le cellule controllo. Sebbene le cellule non siano state completamente uccise, lo scopo degli esperimenti è stato raggiunto perchè queste misurazioni erano destinate a verificare che le nuove formulazioni avessero una potenzialità come vettori per BNCT. Sono stati pianificati ulteriori studi con dosi più elevate. Figura 5. A) Numero di cellule IGROV-1 sopravvissute al trattamento BNCT; B) Curva di proliferazione di cellule IGROV-1 ri-piastrate un giorno dopo il trattamento BNCT. Conclusioni In sintesi, l’agente duale MRI/BNCT descritto in questo studio può essere sfruttato per internalizzare boro e gadolinio nelle cellule tumorali di interesse. La nuova formulazione ha mostrato possedere rilevanti caratteristiche: 1) l’abilità di concentrare selettivamente grandi quantità 141 di boro nelle cellule tumorali; 2) la possibilità di quantificare la concentrazione di boro con l’MRI; 3) la versatilità del colesterolo ad essere incorporato in differenti particelle può essere sfruttata per effettuare un trattamento multi-step basato sulla somministrazione di farmaci diversi verso recettori overespressi differenti; 4) l’accumulo di B internalizzato è sufficiente per effettuare il trattamento BNCT ed il target selettivo di B usando liposomi targhettati con il folato è riportato riduca significativamente l’uptake da parte delle cellule sane nelle regioni circostanti; 5) l’uso di liposomi come nanopiattaforma per il delivery di agenti con Gd e B permetterà il delivery simultaneo di farmaci anti-tumorali standard (come ad esempio la doxorubicina) con il fine di migliorare l’efficacia del trattamento. LOW DENSITY LIPOPROTEINS RISULTATI E DISCUSSIONE Preparazione e caratterizzazione dell’addotto LDL -Gd/B/L Il complesso di Gd/B/L in soluzione acquosa forma micelle molto stabili che impediscono il suo legame con le LDLs. Con l’ aggiunta di β-ciclodestrina (circa 25 volte in eccesso) alla soluzione acquosa contenente il complesso e’ stato possibile disgregare le micelle grazie all’interazione delle catene alifatiche del complesso con la cavita’ idrofobica delle β-ciclodestrine stesse. Successivamente aliquote dell’addotto β-ciclodestrina/complesso sono state incubate per 2h a 37°C in presenza di LDLs. La maggiore affinità del complesso per le LDLs permette la sua traslocazione dalla cavità ciclodestrinica alla superficie proteica. Grazie alla ridotta mobilità dell’addotto con le LDLs la relassività aumenta fino a un R1p di 15.5 mM-1 s-1. L’analisi della curva di titolazione ci ha permesso di calcolare una costante di affinità di 1.7x10-4 M-1 e una stima di 300 siti di legame. Studi in vitro su cellule TUBO Tubo è una linea cellulare clonata generata da un tumore spontaneo della ghiandola mammaria di topi BALB-neuT ed esprime sulla membrana cellulare la proteina HER-2 ad alto livello. Le cellule TUBO sono state incubate in presenza di quantità crescenti dell’addotto LDL -Gd/B/L con lo scopo di valutare l’efficienza di internalizzazione. -9 2,5x10 TUBO CELLS -9 Gd moles per mg of proteins 2,0x10 -9 1,5x10 -9 1,0x10 -10 5,0x10 0,0 0 10 20 30 40 50 [LDL] µM Figura 6: Come mostra la figura, le cellule TUBO, incubate per 16h a 37°C con quantità crescenti dell’addotto LDL -Gd/B/L mostrano un comportamento a saturazione dei loro recettori LDLR. Le moli di Gd internalizzate dalle cellule TUBO sono state determinate con ICP-MS. L’accumulo del Gd internalizzato è sufficiente a generare segnali iperintensi nelle immagini MRI ed è sufficiente per effettuare il trattamento BNCT. 142 Trattamento BNCT su cellule TUBO (in collaborazione con il Prof. Altieri Università di Pavia) 1,0 irradiated ctrl mg/ml Proteine 0,8 non-irradiated 0,6 0,4 0,2 irradiated + LDL-Gd/B/L 0,0 1 2 3 4 5 6 days La figura 7 mostra la velocità di proliferazione (espressa in mg/ml di prot misurate) delle cellule trattate e non trattate con boro ri-piastrate il giorno dopo l’irraggiamento e seguite per 6 giorni (durata irraggiamento:15’ a 30 Kw potenza). La velocità di proliferazione delle cellule trattate con il boro e sopravvissute all’irraggiamento è stata significativamente inferiore rispetto a quella misurata su entrambe le cellule controllo. Due tipi di cellule di controllo sono state usate in questo esperimento. Il primo tipo non ha ricevuto alcun irraggiamento con neutroni e incubazione con boro e il secondo controllo è stato irraggiato senza boro. Trattamento BNCT in vivo (in collaborazione con il Prof. Altieri Università di Pavia) Col fine di testare l’efficacia dell’addotto B10/Gd/L-LDL, 50000 cellule TUBO sono state iniettate (iv) in topi 3 settimane prima del trattamento BNCT. Dopo questo tempo, tutti i topi hanno sviluppato metastasi polmonari di 0.5-1 mm di diametro. Dopo 3h dalla somministrazione dell’addotto alla concentrazione di 0,1mmol/Kg Gd, una concentrazione media di boro di 40-50 ppm è stata calcolata con l’MRI (vedi sotto) (Figura 8). Figura 8: “In vivo” imagine MRI T1 pesata delle metastasi polmonari. A sinistra, l’immagine pre contrasto, a destra quella post-contrasto. 143 La concentrazione dell’addotto B10/Gd/L-LDL nel tumore è stata calcolata dall’equazione [2]: [Gd] mM = (R1(post)-R1(pre))/r1p(in cell) [2] [B] mM = 10 x [Gd]mM SI(pre)/SI(post) = [{1-exp[(-TR-TE)R1(pre)]} xexp(-TE x R2)]/[{1-exp[(-TR-TE)R1(post)]} [3] x exp(-TE x R2)] SI(PRE)/SI(POST) = ((1-exp((-TR-TE)R1(PRE))) x exp(-TExR2))/((1- exp((-TRTE)R1(POST))) x exp(-TExR2)) Le mappe R1 precontrasto (R1(pre)) sono state ottenute usando una sequenza SNAP; le mappe R1 postcontrasto (R1(post)) sono state calcolate usando l’equazione [3] calcolata nelle regioni di interesse, che sono state manualmente disegnate su immagini T1 pesate; r1p(in cell) è la relassività intracellulare di Gd/B/L–LDL (3.6 mM-1sec-1 a 7T). Questa relassività non è sostanzialmente diversa da quella dell’addotto misurato in un buffer allo stesso campo magnetico (3.7 mM-1sec-1). Nell’equazione [3] , TR rappresenta il tempo di ripetizione, TE è il tempo di echo, e R1 e R2 sono le velocità di rilassamento dei protoni dell’acqua. I tumori sviluppati sono stati poi irraggiati con neutroni termici (per 15’ alla potenza di 250Kw) 6 ore dopo la somministrazione dell’addotto B10/Gd/L-LDL Per diminuire significativamente la dose dei neutroni assorbita dal fegato e dalla milza, dove l’addotto si accumula, e per limitare la radiattività indotta dai neutroni nell’intero animale, il corpo dell’animale è stato protetto da schermi di 95% 6Li-carbonato che assorbono i neutroni, lasciando solo la regione del tumore esposta al flusso di neutroni. L’effetto dell’irraggiamento con neutroni è stato valutato su topi controllo e trattati acquisendo immagini MRI della regione del tumore per oltre 4 settimane (Figura 9). Figura9: A,B,C,D)Immagini T2 pesate delle metastasi polmonari al giorno O (a sinistra) e dopo 30 giorni dall’irraggiamento (a destra). Le immagini in basso si riferiscono a topi trattati con l’addotto e irraggiati mentre quelle in alto a topi ctrl non irraggiati. Le frecce indicano le metastasi polmonari. E) valutazione della crescita tumorale dopo l’irraggiamento con neutroni. La percentuale dell’aumento del volume delle metastasi polmonari dopo il trattamento BNCT: topi trattati con boro (), controlli irraggiati (), e controlli non irraggiati (∆ ). 144 La crescita del tumore degli animali trattati ed irraggiati è stata arrestata per i primi 25 giorni dopo la terapia ma poi le metastasi lentamente hanno ricominciato a crescere. Questa è una conseguenza della presenza nella massa tumorale di un pull di cellule quiescenti che sono vitali, ma fuori dal ciclo cellulare e che fermano la divisione cellulare come conseguenza dell’ipossia e della bassa vascolarizzazione nel cuore del tumore. Inoltre, una ridotta vascolarizzazione diminuisce l’accessibilità di queste cellule ai farmaci. Per queste ragioni, le cellule Q sopravvivono al trattamento e causano dopo 4 settimane la ricomparsa del tumore. Conclusioni -Le LDL agiscono come carrier efficienti per il delivery di un nuovo agente per imaging contenente Gd e boro. -Imagingguided BNCT appare possibile infatti, dall’aumento del segnale generato dal complesso paramagnetico Gd (III), si può accedere all’ informazione chiave che la soglia di concentrazione di 10 B è stata raggiunta. - Nei tumori maligni, cellule staminali del cancro possono essere responsabili della progressione del tumore, delle metastasi, della resistenza alla terapia e della recidiva tumorale. È quindi ipotizzabile che una terapia basata prima sulla distruzione della massa tumorale (con BNCT) e poi sull'eliminazione delle CSC più resistenti potrebbe aprire una nuova e promettente opportunità terapeutica per trattamenti anti-cancro. NANOCARRIERS NATURALI PER IL TRASPORTO DI AGENTI DIAGNOSTICI E TERAPEUTICI. 1) Apoferritina. In questo progetto l’apoferritina viene proposta come un efficiente carrier di agenti diagnostici e terapeutici in quanto possiede una cavità interna di circa 8 nm di diametro che nella ferritina è occupata da un core di ferridrite. Una volta deprivata del ferro contenuto nella cavità, essa è libera di ospitare diversi tipi di molecole (agenti di contrasto, farmaci, coloranti etc..) e di veicolarle al fegato in modo selettivo. Infatti, gli epatociti sono in grado di internalizzare quantità elevate di apoferritina e/o ferritina attraverso gli scavengerreceptors tipo 5 (SCARA 5) che esprimono in elevate quantità sulla loro superficie. Recentemente è stato messo in evidenza che anche diversi tipi di cellule tumorali sono in grado di internalizzare L-ferritina attraverso SCARA-5. La relazione tra ferritina e cancro deriva da studi recenti che evidenziano un aumento della ferritina totale (L) nel siero di pazienti con diversi tipi di patologie. Nelle pazienti con cancro al seno, i dati disponibili mostrano che un aumento di ferritina totale è correlato con lo stadio della malattia ed una sua elevata concentrazione in siero è correlata con l’avanzamento della malattia ed ad una scarsa probabilità di guarigione. In questo studio è stata quindi studiata la capacità in due linee cellulari di tumori allla mammella umani (MCF-7 e MDA-MB-231) di internalizzare in modo selettivo la L-ferritina aggiunta nel mezzo di cultura. A questo scopo la horse spleen ferritin (HoS-ferritin) contenente ca. 1000 di atomi di ferro per proteina è stata utilizzata tal quale. La quantità di Fe internalizzata dalle MCF-7 è signicativamente più elevata che nelle MDA-MB-231 e mostra un andamento a saturazione evidenziando così la presenza di un trasporto attivo. 145 Figura 11 La quantità di ferritina internalizzata dalle MCf-7 è sufficiente da permetterne la visualizzazione in un’immagine MRI T2 pesata.(figura 12) Figura 12 146 Successivamente è stato messo a punto un protocollo per inserire all’interno della cavità dell’apoferritina un agente di contrasto per MRI il GdHPDO3A, neutro e normalmente ben tollerato, insieme ad alcune unità di curcumina, un polifenolo naturale estratto dalla Curcuma Longa con proprietà farmacologiche multiple principalmente antiossidanti, antiinfiammatorie, antineoplastiche.(figura 13) Pur avendo queste interessanti proprietà e buona tollerabilità ha lo svantaggio di essere poco stabile e di avere una bassissima solubilità in ambiente acquoso che ne riduce al minimo la biodisponibilità una volta somministrata per via orale. Figura 13 La procedura di intrappolamento dei due composti all’interno della cavità consiste nel disassemblamento della struttura quaternaria della proteina a pH=2 con successivo riassemblamento, dopo l’aggiunta dei 2 composti, ottenuto riportando il pH a 7. A questo pH la proteina si riassembla riassumendo la sua normale forma sferica intrappolando all’interno il GdHPDO3A e la curcumina. L’apoferritina contenente GdHPDO3A e curcumina all’interno (ApoCUR-Gd) è stata utilizzata per valutare l’effetto citotossico di questo farmaco naturale sulle MCF-7. Figure 14 mostra che l’apoferritina da sola non è in grado di alterare la proliferazione cellular. Al contrario la velocità di proliferazione delle cellule incubate in presenza di Apo-CUR 50 µM e 100 µM è significativamente più bassa rispetto alle cellule controllo. L’effetto citotossico è direttamente proporzionale alla concentrazione di curcumina incubata ed è simile a quello ottenuto incubando curcumina da sola sciolta in DMSO. Inoltre questi risultati mostrano che la cavità della apoferritina è in grado di proteggere la curcumina dalla degradazione e di mantenere le proprietà farmacologiche della molecola stessa anche in ambiente acquoso dove, se introdotta tal quale, viene velocemente degradata. VALUTAZIONE DELLA PERMEABILITÀ VASCOLARE L’attività di ricerca ha riguardato principalmente lo sviluppo dei protocolli di acquisizione delle immagini per DCE-MRI e di elaborazione delle immagini ottenute. Gli agenti di contrasto approvati e attualmente utilizzati nelle applicazioni cliniche sono chelati di Gd3+ di piccole dimensioni (ca. 500 Da). Questi tipi di agenti di contrasto sono noti come Small Molecular Contrast Media (SMCM), non entrano nelle cellule, e vengono solitamente metabolizzati per via renale. La loro limitata massa molecolare li rende però poco capaci di differenziare tra tessuti sani e neoplastici, in quanto sono in grado di diffondere liberamente attraverso l’endotelio vascolare (eccezion fatta per la barriera emato-encefalica). In molte sperimentazioni tale differenziazione è stata osservata solo in seguito all’utilizzo di agenti di contrasto di maggiori dimensioni (Macromolecular Contrast Media, MMCM), che riescono a diffondere più liberamente nei tessuti tumorali, caratterizzati da più elevate porosità dei vasi rispetto ai tessuti sani. Un 147 ulteriore vantaggio degli MMCM consiste nella loro maggiore velocità di rilassamento che è direttamente dipendende dalla massa molecolare. L’agente di contrasto utilizzato è una molecola avente una struttura a base DTPA (= acido DietilenTetraamminoPentaAcetico) alla quale è stato covalentemente legato un residuo di acido deossicolico. Questo residuo permette al complesso di Gd3+ di legarsi in maniera non covalente e reversibile all’albumina presente nel siero. Studi in vitro hanno mostrato che la percentuale di complesso paramagnetico legato all’albumina varia tra il 94% (alb. umana) ed l’84% (alb. di ratto). Questo legame fa aumentare la massa molecolare dell’agente di contrasto che viene ad avere un valore maggiore di relassività rispetto al DTPA-Gd3+. Il massimo di relassività che si osserva in presenza di queste associazioni si posiziona solitamente attorno ai 20 MHz; gli strumenti MRI a nostra disposizione operano a 7T (300 MHz, Bruker) e 1T (42 MHz, Aspect). Le prime indagini sono state effettuate sullo strumento ad alto campo in quanto le sequenze di impulso erano già utilizzabili per la DCE-MRI. Lo strumento a basso campo è invece uno strumento in fase di sviluppo, ed inizialmente mancava di alcune caratteristiche necessarie per l’acquisizione dinamica di immagini MRI. Per questo motivo inizialmente il software di elaborazione è stato sviluppato per accettare in input il formato dei dati Bruker mentre di concerto con i tecnici Aspect si è lavorato alla modifica delle sequenze di impulso presenti sulla macchina operante ad 1T per renderle utilizzabili per studi DCEMRI. Sono stati apportati numerosi miglioramenti alle librerie software per l'analisi delle immagini, che possono essere così schematicamente riassunti: − − − − − − Gestione del software Lettura dei dati in formato Aspect MRI. Introduzione di una Graphical User Interface (GUI). Automazione Algoritmi di fitting Introduzione di un sistema di “pipeline” per rendere il software molto generale e più facilmente espandibile in futuro. − Riorganizzazione del codice. − Correzione di errori di programmazione. Oltre all’analisi dei dati con un modello cinetico quantitativo, sono stati considerati anche dei parametri utili per caratterizzare in maniera semi-quantitativa le variazioni di segnale osservate durante gli studi di DCE-MRI. In particolare sono state considerate le procedure di estrazione dei seguenti parametri: − Max Peak Enhancement: massimo enhancement osservato (relativamente al valore di segnale precontrasto); − Time To Peak (TTP): tempo di comparsa del picco di massimo segnale (TTP); − Slope: pendenza della curva dall’iniezione al TTP, indicative della velocità di uptake dell’agente di contrasto da parte del tessuto; − Washout: indicante la differenza tra il segnale al TTP e la media delle ultime cinque immagini; indica la quantità di agente che esce dai vasi sanguigni dopo il TTP; − Clearance: la velocità del processo di washout. Parallelamente allo sviluppo del software d’analisi sono stati acquisiti i dati DCE-MRI su una popolazione di circa 20 topi di ceppo Balb/c di sei settimane di vita. I topi sono stati suddivisi in due gruppi, uno di controllo, ed uno trattato con un agente antineoangiogenetico (angiomotina). 148 UNITA’ DI RICERCA DI TRIESTE Direttore Scientifico: Prof. Ennio Zangrando Caratterizzazione strutturale di complessi fra Calixareni e ioni Cu2+ e Zn2+. Giovanna Brancatelli, Silvano Geremia I calixareni sono una classe di recettori macrociclici estremamente versatili capaci di complessare ioni metallici e riconoscere selettivamente in soluzione sia guests neutri sia ionici. Quando uno ione metallico viene complessato, la presenza simultanea di un centro metallico e di una cavità tridimensionale all’interno dello stesso scheletro fornisce un sistema multivalente capace di legare piccole molecole attraverso i siti non occupati all’interno della sfera di coordinazione dello ione metallico e/o includere substrati di adatta dimensione nella cavità del macrociclo. La conformazione del calixarene, ed anche il tipo e la posizione degli atomi donatori, giocano un ruolo significativo nell’efficienza del binding nei confronti degli ioni metallici. I recettori funzionalizzati con unità leganti N-eterocicliche, che posso agire cooperativamente nel coordinare metalli di transizione, consentono di combinare le proprietà di complessazione nei leganti azotati con l’ambiente idrofobico e confinato della cavità del recettore, fornendo quindi sofisticati sistemi mimici dei metalloenzimi o recettori politopici per il bindingmutiplo di guest. In letteratura sono stati già descritti numerosi esempi di sistemi macrociclici contenenti funzionalità come picolina, imidazolo, bipridina, e fenantrolina. (Pappalardo, S.; Ferguson, G.; Neri, P.; Rocco, C. J. Org. Chem. 1996, 60, 4576–4584; Le Clainche, L.; Giorgi, M.; Reinaud, O. Eur. J. Inorg. Chem. 2000, 1931–1933; Nabeshima, T.; Saiki, T.; Iwabuchi, J.; Akine, S. J. Am. Chem. Soc. 2005, 127, 5507– 5511; Eggert, J.P.W.; Harrowfield, J.M.; Lu¨ning, U.; Skelton, B. W.; White, A.H. Polyhedron 2006, 25, 910–914). Allo scopo di progettare moleculehosteteroditopiche aventi due o più siti di binding all’interno dello stesso scheletro macrociclico, adatti per la complessazione sia di metalli che di piccole molecole, presso il gruppo del Prof. Sgarlata afferente al Dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università di Catania sono stati sintetizzati tre calixareni funzionalizzati con due e 4 gruppi 3-piridilmetil al bordo inferiore e fissati nella conformazione a cono (BPC, BPPC e TPC, Schema 1). O N O O NN TPC O OH O N O NN BPC Schema 1. OH O O O O NN BPPC p.m. 714 La capacità di questi derivati di interagire con gli ioni metallici è largamente dipendente dalla posizione degli atomi di azoto dell’anello piridinico e, sebbene i gruppi 3-piridilmetil dovrebbero assicurare un più efficiente ancoraggio degli atomi N-donatori allo ione metallico, solo un numero limitato di studi è stato effettuato su questi derivati. Gli studi in soluzione condotti tramite spettroscopia 1H NMR e UV-vis mostrano che i calixareni BPC e TPC formano specie altamente stabili con gli ioni Cu2+ e Zn2+ che possono avere stechiometria M:L 1:1 e 1:2. (Bonaccorso C., Nicoletta F., Zito V., Arena G., Sciotto D., Sgarlata C., Supramol. Chem., 2013, 25, 615-625).Per investigare il tipo di coordinazione che gli ioni metallici assumono nei complessi con i due calixareni, ed inoltre verificare se in seguito alla 149 coordinazione del metallo la conformazione della cavità calixarenica si è modificata, presso il dipartimento d Scienze Chimiche e Farmaceutiche dell’Università di Trieste sono stati condotti inizialmente esperimenti di cristallizzazione del calixarene TPC, in modo tale da poter investigare la struttura molecolare attraverso diffrazione a raggi X su cristallo singolo. In seguito sono stati condotti esperimenti di co-cristallizzazione del recettore TPC in presenza dei sali Cu(ClO4)2 e Zn(ClO4)2. Gli esperimenti di diffrazione sono stati condotti presso la linea di diffrazione di macromolecole XRD1 del sincrotrone Elettra (Trieste, Italia). I cristalli del calixarene TPC sono stati ottenuti per lenta evaporazione di miscele CHCl3/CH3CN. La struttura cristallografica del recettore TPC è mostrata in Figura 1.Il calixarene presenta una conformazione a cono in cui i due anelli aromatici paralleli sono inclinati verso l’interno della cavità, e gli altri due sono invece protesi notevolmente verso l’esterno, come è possibile osservare dai valori degli angoli diedri compresi fra i piani medi degli anelli aromatici ed il piano medio del calixarene definito dai quattro atomi di carbonio metilenici a ponte (142.3, 79.7, 140.1, 78.01°). Figura 1. Struttura cristallografica del calixarene TPC. I cristalli del complesso con il Cu2+ sono stati ottenuti stratificando su una soluzione di TPC in CHCl3, una soluzione in CH3CN di Cu(ClO4)2 in rapporto 1:1. L’analisi di diffrazione a raggi X ha rivelato che allo stato solido si forma un dimero in cui i centri metallici si trovano a ponte fra due calixareni a cui sono coordinati tramite due gruppi piridinici. Gli ioni Cu2+ presentano una geometria di coordinazione pseudo-ottaedrica: sul piano equatoriale sono presenti gli atomi di azoto appartenenti ai leganti piridinici, mentre sui siti assiali sono presenti una molecola di CH3CN ed una molecola di CH3COCH3, coordinata tramite l’atomo di ossigeno. 150 Figura 2. Struttura cristallografica del dimero {Cu(TPC)(CH3CN)(CH3COCH3)}2. Gli atomi di idrogeno e gli anioni ClO4- sono stati omessi per chiarezza. I valori degli angoli diedri compresi fra gli anelli aromatici ed il piano medio del calixarene sono pari a 77.1, 139.0, 76.1, 146.8, indicando che in seguito alla coordinazione di un centro metallico tramite le funzionalità piridiniche presenti al bordo inferiore, la cavità calixarenica subisce solo lievi modifiche e pertanto è ancora disponibile per ospitare molecole guest. Sono stati ottenuti anche cristalli in presenza di Zn2+, la cui struttura tridimensionale deve ancora essere analizzata. Complessi di rutenio con proprietà antitumorali Alessio Enzo, Gianferrara Teresa, Iengo Elisabetta, Zangrando Ennio Negli ultimi anni c’e’ stato un largo interesse nei complessi rutenio-polipiridinici quali agenti con interessanti proprietà fotofisiche per il binding specifico al DNA con un processo a due stadi similmente al cis-platino. In prosecuzione del nostro interesse in questo campo sono stati studiati una serie di complessi di rutenio(II) con geometria meridionale di formula mer-[Ru(L3)(NN)X][Y]n (L3 = 2,2′:6′,2″-terpiridina (tpy) or 4′-cloro-2,2′:6′,2″-terpiridina (Cl-tpy), N-N = 1,2diaminoetano (en), 1,2-diaminocicloesano (dach), or 2,2 ′-bipiridina (bpy); X = Cl or dmso-S; Y = Cl, PF6 , or CF3SO3 ; n = 1 or 2, a seconda della natura di X) con lo scopo di valutare il loro possibile impiego come agenti antitumorali. Infatti la terpiridina è un legante di elezione per imporre una geometria meridionale.I complessi sono stati caratterizzati con tecniche spettroscopiche (IR, UV/visible, NMR mono e bidimensionale), e per tre di questi anche a mezzo diffrazione raggi X [Ru(Cl-tpy)(bpy)Cl][Cl], [Ru(Cl-tpy)(en)(dmso-S)][Y]2 [Y = PF6, CF3SO3]2[Ru(Cl-tpy)(bpy)(dmso-S)][CF3SO3]2. Ad eccezione di una, tutte sono solubili in acqua (>25 mg/mL). Gli studi NMR 1H and 31P condotti su tre complessi selezionati [Ru(Cl-tpy)(NN)Cl] + [N-N = en (1), dach (2), and bpy (3)] hanno dimostrato che a seguito idrolisi del legante cloro, essi sono in grado di interagire con i derivati della guanina, cioè 9-metilguanine (9MeG) or guanosina-5′-monofosfato (5 ′ -GMP)] attraverso l’atomo di azoto N7 formando addotti monofunzionali con velocità che dipende fortemente dalla natura di N-N: 1 ≈2 >>3. Il DNA è considerato il target biologico degli agenti antitumorali a base metallica. Inoltre il composto 1 in un esperimento di competizione mostra una alta selettività verso 5′-GMP in confronto all’ adenosina5′-monofosfato (5′-AMP).In definitiva i complessi con diamine bidentate si son dimostrate più 151 efficaci in confronto dei derivati con il bpy in termini di solubilità e reattività (cioè rilascio del cloro, e capacità di legare i derivati guanosinici). Infine in soluzione acquosa, contrariamente ai complessi con Cl, quelli con dmso si dimostrano inerti e non rilasciano il legante monodentato. I test biologici in vitro sono in corso di investigazione. Fig. Comportamento chimico dei complessi Ru(terpy) in soluzione acquosa. (X= Cl, H; N-N = en, dach, bpy) 152 D’AMEN EROS – PIERINI FILIPPO Tutor: Prof. Norberto Roveri Nanotubi Inorganici e Nanoparticelle Metalliche per Applicazioni in Medicina Introduzione e scopo La scienza dei materiali si propone di rispondere al bisogno dell'uomo di sostituire od integrare tessuti ed organi danneggiati o provvedere alla somministrazione di un farmaco con accurato controllo della zona di rilascio. I presupposti fondamentali affinché si possa parlare di biocompatibilità richiedono che il materiale in questione, una volta immesso nel corpo umano, interagisca con esso nel minor modo possibile, impedendo così la comparsa di reazioni dannose nell'organismo ospite. In base agli effetti prodotti dall’ambiente biologico sul dispositivo impiantato, quest’ultimo può essere definito biostabile oppure biodegradabile. Il termine biostabile si usa quando il materiale è in grado di resistere ai processi degradativi e di trasformazione indotti dall’ambiente biologico con il quale si trova a contatto; al contrario, un biomateriale è biodegradabile se subisce una trasformazione chimica o una progressiva demolizione, in conseguenza di specifici eventi da parte dell’organismo. In base all’interazione tra materiali e organismo, è possibile inoltre distinguere i biomateriali in bioinerti, biotossici, bioriassorbibili. Sono considerati bioinerti, anche se in realtà nessun materiale lo è completamente, gli ossidi di tantalio, titanio, alluminio, zirconio e le leghe cobalto-cromomolibdeno, che sono tollerati dall’organismo¸ in questo caso l’impianto non si integra con il tessuto e non provoca neppure fenomeni di incompatibilità. I materiali biotossici invece inducono processi di tipo chimico e/o galvanico, con conseguenti reazioni indesiderate da parte del tessuto biologico. Appartengono a questa classe, oltre ad alcuni polimeri, le leghe a base di nichel, cadmio, vanadio ed anche alcuni tipi di acciaio . Con l’avvento delle più recenti tecniche sintetiche si è giunti oggi alla terza generazione di biomateriali, capaci di superare i concetti di biocompatibilità e bioriassorbibilità, raggiungendo il nuovo traguardo di materiali bioattivi; sono così definiti materiali capaci di portare con sé informazioni fin dentro l’ambiente fisiologico, dimostrando selettività e stimolando una specifica risposta cellulare. L’ottenimento di queste funzionalità richiede un elevato grado di sofisticatezza, miniaturizzazione, organizzazione gerarchica, ibridazione, tipicamente dimostrato dai materiali biogenici; un approccio spesso seguito dalla scienza dei materiali per ottenere prodotti con determinate caratteristiche prevede la mimesi di questi ultimi. Nei processi biosintetici viene mantenuto un perfetto controllo spaziale della chimica su scala micro-nanometrica attraverso l’utilizzo di strutture quali vescicole, membrane,etc. garantendo le condizioni di sintesi ottimali negli spazi inter-intra cellulari. Un paragonabile livello di controllo può essere raggiunto in laboratorio ottimizzando i parametri sintetici e ricorrendo ad alcuni “escamotages” che rendono accessibili architetture e morfologie particolarmente complesse. Un esempio di questo tipo di strategie è la sintesi templata: il processo sintetico che porta alla formazione del bulk di materiale viene condotta in un ambiente spazialmente delimitato dal cosiddetto “templante”, un componente inerte dal punto di vista reattivo, ma essenziale per definire la morfologia del prodotto. Si sono sviluppate diverse tecniche che fanno uso di materiali templanti, alcune delle quali che prevedono l’incorporazione del templante nel prodotto finito, altre che introducono step di rimozione del templante una volta consolidata la matrice, mentre le più interessanti in termini di efficienza e qualità del prodotto si basano sulla completa trasformazione del templante nel prodotto di interesse. Con l’obiettivo di realizzare dispositivi solidi con definite proprietà meccaniche che dimostrino bioattività in ambiente fisiologico, un materiale elettivo verso cui rivolgere l’attenzione è il tessuto connettivo duro mineralizzato. L'osso è composto da una fase minerale o inorganica (60-70% del tessuto), da acqua (circa il 5%) e da una matrice organica; circa il 90% di questa è costituita da collagene, mentre il rimanente 10% sono proteine non collageniche, proteoglicani e glicoproteine. 153 Le notevoli proprietà meccaniche dell’osso (come la resistenza alla trazione, pressione e resistenza alla torsione e durezza) sono date principalmente dalla sua fase minerale, in cui troviamo cristalli di idrossiapatite (85%), assieme a carbonato di calcio (circa il 10%), altri sali come il fosfato di magnesio e fluoruro di calcio e tracce di sodio, potassio, stronzio, manganese, zinco, rame. Osso, dentina e smalto contengono tutti apatiti biologiche, che vanno a costituire le fasi minerali dei tessuti calcificati. Dal punto di vista morfologico, i cristalli di idrossiapatite hanno la forma di aghi, piatti e bacchette; essi vanno a disporsi tra le fibre di collagene durante il processo di ossificazione. I cristalli aghiformi hanno dimensioni di 20-80 nm di lunghezza e 1,5-3,0 nm di spessore. Dal punto di vista chimico, il termine di idrossiapatite (HA) identifica un composto ben definito, con formula molecolare Ca10(PO4)6(OH)2, un rapporto Ca/P di 10:6 e una percentuale degli elementi principali: Ca=39,9%, P=18,5% e OH=3,38%. Questa molecola cristallizza in un sistema esagonale (dimensioni della cella: a = b = 9,418 Å, c = 6,884 Å) con gruppo spaziale P63/m. Fig. 1. Struttura cristallina dell`apatite Grazie ai risultati della ricerca oggi le bioceramiche a base di fosfato di calcio e soprattutto HA sono ampiamente utilizzate come sostituti ossei in chirurgia ricostruttiva. Un metodo più interessante e in continuo sviluppo per la sintesi di HA riguarda la chimica biomimetica. Le apatiti biomimetiche derivano da una grande varietà di organismi naturali, in grado di imitare la struttura ossea e dare un supporto per la riparazione dell'osso, con conseguente realizzazione di scaffold porosi, aventi composizione e microstruttura simili alla struttura inorganica mineralizzata delle ossa naturali. Molti studi indicano metodi per convertire idrotermicamente le strutture di aragonite naturale (ad esempio coralli, madreperle, seppie, ecc) in idrossiapatite. La caratteristica comune di tutti questi diversi modelli è che le geometrie “open-pore”, con superfici altamente microporose e microstrutture, permettono la crescita e la riorganizzazione cellulare e di fornire lo spazio necessario per la vascolarizzazione. Grazie ad una elevata organizzazione gerarchica, anche le strutture di legno naturale sono state scelte come punto di partenza per la loro conversione in scaffold di idrossiapatite biomimetici nel campo dell'ingegneria ossea. Uno dei lavori più interessanti si basa sulla trasformazione chimica di diversi tipi di legno in scaffold di idrossiapatite, attraverso una sequenza di processi termici e idrotermali[1]. Scopo di questo lavoro è quello di applicare e ottimizzare una procedura nata per trasformare le strutture gerarchiche esistenti in natura su dei substrati sintetici molto studiati per le loro prestazioni: i nanotubi di carbonio (CNTs) I CNTs ricoprono un ruolo importante nella ricerca dei nano materiali, grazie alle loro particolari proprietà meccaniche, ottiche, elettriche e strutturali. Nonostante l'enorme potenziale dei CNTs, la tossicità di questi materiali nei sistemi biologici è una delle questioni che devono ancora essere completamente studiate e soprattutto risolte. Fino ad oggi l’unico modo per integrare nei sistemi biologici i CNTs, è quello di funzionalizzarli. La funzionalizzazione può rendere i CNTs più solubili e migliorare le loro proprietà di biocompatibilità. Inoltre, attraverso la funzionalizzazione, agenti bioattivi possono essere coniugati con i nano tubi, che fungono da carrier per il drug, antigen o gene delivery. 154 La trasformazione dei nanotubi di carbonio in un materiale apatitico aumenterebbe esponenzialmente la loro biocompatibilità e idrosolubilità e permetterebbe di ottenere un materiale non conduttore ad elevata area superficiale, potenzialmente capace di trasportare nelle sue cavità un agente farmacologico. Metodi Il lavoro sperimentale si basa sul processo multi-step descritto da Tampieri et al.[1], proposto e ottimizzato per la trasformazione di scaffold di legno naturale in idrossiapatite. Il nostro lavoro è stato quello di trasformare materiali a base di carbonio nanostrutturati (CNTs) in materiali di idrossiapatite, attraverso quattro trattamenti termici consecutivi: 1. processo di carburazione dei campioni pirolizzati attraverso l’infiltrazione si vapori di calcio per produrre carburo di calcio; 2. processo di ossidazione per trasformare carburo di calcio in ossido di calcio; 3. carbonatazione sotto flusso di CO2 per la conversione ulteriore in carbonato di calcio; 4. processo di fosfatazione finale attraverso un trattamento idrotermale per ottenere strutture in idrossiapatite. Fig. 2. Schema del processo multi-step utilizzato per le trasformazioni. Fig. 3. Immagine SEM di CNTs nativi. 155 Sperimentale Per la preparazione dei campioni sono stati utilizzati nano tubi di carbonio multiwall (MWCNTs, diametro 110-170 nm, lunghezza 5-9 µm, purezza >90%) Dispersi in una matrice di µ-cellulosa. 0,050 g di MWCNTs sono stati miscelati in 0,400 g di cellulosa microcristallina e pressati insieme con apparato pasticcatore SPECAC (diametro 13 mm) ad una pressione di circa 3 tonnellate, al fine di ottenerne delle compresse. Le compresse sono state trattate termicamente in fornace secondo il seguente ramp: - riscaldamento a 200°C con velocità 5°C/min ; - riscaldamento da 200°C a 700°C con velocità 1°C/min; - raffreddamento a RT. Lo step di carburizzazione è stato ottenuto tramite infiltrazioni di vapori di Calcio attraverso la porosità della matrice di Carbonio. 2C + Ca CaC2 [∆H=-15.37 Kcal] Le compresse pretrattate sono state poste in un crogiolo in allumina sinterizzata insieme ad 1.3 equivalenti di Calcio metallico. In una fornace tubolare i campioni cosi preparati sono stati trattati termicamente secondo una programmata termica illustrata in figura 4 e mantenuti costantemente sotto flusso di Argon per prevenire l’ossidazione del campione per contatto con l’ossigeno atmosferico e per evitare la formazione di Calcio idrossido per reazione dell’ umidità dell’aria con il carburo formatosi. CaC2 + 2H2O Ca(OH)2 + C2H2 [∆H=-28.02 Kcal] Il prodotto ottenuto da questo passaggio è un carburo di Calcio (CaC2) che riproduce la struttura anisotropica del materiale di partenza. Fig. 4. Ciclo termico della fase di carburizzazione per infiltrazione di vapori. 156 Lo step di ossidazione permette la conversione del carburo di Calcio formato ad ossido di Calcio per effetto di un trattamento termico condotto in aria. È ipotizzabile un meccanismo di reazione che coinvolge due passaggi: idratazione del carburo per effetto dell’umidità dell’aria e istantanea deidratazione dell’idrossido formato che si trova al di sopra della propria temperatura di degradazione (circa 480°C). 1) CaC2 + 2H2O Ca(OH)2 + C2H2 2) Ca(OH)2 CaO + H2O Reazione totale: CaC2 + H2O CaO + C2H2 Il trattamento termico di questo passaggio prevede un rapido riscaldamento (200 °C/h) fino 900°C per evitare una consistente formazione di Ca(OH)2 che denaturerebbe la morfologia del campione, e successivamente il mantenimento delle condizioni per 12 ore, in modo da permettere il completamento della reazione solido/gas limitata dalla diffusione attraverso la matrice solida. Lo step di carbonatazione prevede nuovamente una reazione solido/gas con lo scopo di convertire completamente il CaO in carbonato di Calcio. CaO + CO2 CaCO3 [∆H=-41.99 Kcal] Ancora una volta il limite di questa reazione risulta essere la diffusione della fase gassosa attraverso la struttura cristallina, via via sempre più compatta procedendo con i diversi trattamenti termici in alta temperatura. Diverse tecniche sono state utilizzate per ottimizzare questo passaggio abbastanza critico: in un primo momento si è proceduto con un trattamento termico del campione a 900°C per 12 h sotto flusso di CO2, ma la difficile diffusione del gas attraverso gli strati di CaCO3 formatisi superficialmente non ha portato alla completa conversione del prodotto, con conseguente dissoluzione del campione nella successiva fase di fosfatazione (in soluzione acquosa). Si è quindi ottenuta completa conversione ricorrendo ad un passaggio a 400 °C per 10 h in un reattore idrotermale in pressione di CO2 (2,3 MPa). Per cercare di semplificare il percorso sintetico si è anche provato a ottenere direttamente la fase carbonatica da CaC2 senza passare per l’ossidazione secondo la seguente reazione: 2CaC2 + 5O2 2CaCO3 + 2CO2 [∆H=-736.46 Kcal] Il prodotto ottenuto presentava completa conversione, ma la morfologia risultava completamente compromessa. In ultimo, lo step di fosfatazione è stato condotto in condizioni idrotermali: i campioni convertiti in CaCO3 sono stati immersi in una soluzione contenente Diammonio fosfato (DAP) come fonte basica di fosfati (pH= 8,1 ; rapporto molare 1:3 fra ioni CO3/PO4) all’interno di un bicchiere di teflon; posto quest’ultimo all’interno di un reattore, la temperatura è stata portata a 200°C per 16 h (pressione sviluppata circa 12 bar), promuovendo la seguente reazione: 10CaCO3 + 6(NH4)2HPO4 + 2H2O Ca10(PO4)6(OH)2 + 10(NH4)HCO3 + 2NH3 + 2H+ [∆H=13.149 Kcal] 157 Risultati Le tecniche di diffrazione di raggi X (XRD) su polveri e microscopia elettronica a trasmissione (TEM) sono state utilizzate per caratterizzare in fase preliminare i prodotti ottenuti; si è dimostrato in questo modo la validità del processo descritto per la sintesi di strutture nano tubolari di fosfati di calcio in fase apatitica. b) a) Fig. 5. Confronto fra diffrattogramma XRD a) di nano tubi di carbonio nativi e b) dopo trattamento multi-step (idrossiapatite). CNTs CNTs CaCO3 HA CaO a) b) Fig. 6. a) confronto tra i diffrattogrammi XRD dei nanotubi di carbonio e di CaCO3 e CaO dopo carbonatazione; b) confronto tra i diffrattogrammi XRD dei nanotubi di carbonio e di HA dopo fosfatazione. 158 a) b) c) e) d) f) Fig. 7. a), b) immagini TEM di nanotubi di carbonio multiwall nativi; c) ,d), e), f) immagini TEM dei prodotti di reazione, che dimostrano la presenza di strutture tubolari. Il completamento del lavoro prevede una più complete caratterizzazione dei prodotti ottenuti tramite tecnica BET per valutare l’area superficiale dimostrata da campioni con questa morfologia, e un successivo studio sull’applicabilità di questi materiali in campo biomedicale, sia come filler ossei ad elevata biointegrazione, sia nel campo del drug delivery. Bibliografia [1] A. Tampieri, S. Sprio, A. Ruffini, G. Celotti, I. Lesci, N. Roveri, J. Mater. Chem., (2009), 19, 4973-4980. 159 GALLIANI ANGELA Tutor: Prof. Giovanni Natile Progetto PON02_00607_3421644 “Studio di piccole molecole cito-protettive con duplice applicabilità nella demenza di Alzheimer e nel trattamento del diabete mediante trapianto di isole pancreatiche” Studio dei Meccanismi di Regolazione del Rame dn Processi Dipendenti dalle ATPasi di Tipo P Neuronali Introduzione I farmaci antitumorali a base di platino (Pt)rappresentano una classe di chemioterapici di riferimento per il trattamento di varie neoplasie, tra cui il carcinomadellatesta e del collo, dell’esofago, delpolmone,della vescica, delle ovaie e dei testicoli.1Il capostipite di tali farmaci è il cisplatino, molecola dalla geometria planare quadrata, in cui l’atomo diPt centrale, nello stato di ossidazione +2, è coordinato a due atomi di cloro e a due molecole di ammoniaca in configurazione cis.2 L’attività antitumorale del cisplatino e dei suoi derivati, quali il carboplatino e l’oxaliplatino, si esplica mediante l’interazione con la molecola di DNA e la formazione di stabili addotti di coordinazione, i qualicausano modifiche strutturali della doppia elica (distorsione e ripiegamento), avviando la cellula verso un destino apoptotico.3 L’efficacia della terapia a base di cisplatino è tuttavia ridottadall’insorgenza di fenomeni di resistenza, ascritta ad un complesso meccanismo multifattoriale mediato da un ridotto accumulo intracellulareoppure ad un intensificato efflusso del farmacoo, ad una sua maggiore inattivazione da parte di glutatione (GSH) e metallotioneine (MT), o infine, ad una maggiore tolleranza cellulare al danno del DNA.4,5 Come altri agenti citotossici, inoltre, il cisplatino causa nefrotossicità ed ototossicità, effetti collaterali in parte attribuibili a reazioni indesiderate tra il farmaco e i vari nucleofili biologici.6 Alcuni di questi problemi potrebbero essere superati con l’impiego di complessi di Pt(IV), i quali presentano geometria ottaedrica e sono molto inerti nelle reazioni di sostituzione dei leganti, risultando meno reattivi, e dunque meno suscettibili, al sequestro o all’inattivazione prima di giungere al tessuto tumorale.7Giunti all’interno dell’ambiente riducente delle cellule cancerose, i complessi di Pt(IV) esplicano la loro attività farmacologica, subendo una riduzione a due elettroni con la conseguente perdita dei leganti assiali, e convertendosi nei corrispondenti e attivi complessi di Pt(II). Oltre all’inerzia cinetica, uno dei vantaggi associati all’utilizzo di complessi di Pt(IV) consiste nella possibilità di modificare i leganti assiali per modulare il loro carattere lipofilo, in modo da facilitarne la diffusione passiva attraverso la membrana plasmatica, e le proprietà di ossidoriduzione.8 Per molti anni si è sostenuta l’ipotesi che l’uptake dei complessi di Pt(II) avvenisse esclusivamente per diffusione passiva attraverso la membrana plasmatica;9 oggi si è giunti a conclusione che i farmaci di Pt possano entrare in cellula ed essere esportatidagli stessitrasportatori proteici che mediano l’omeostasi del rame (Cu).10,11 Il principale trasportatore di membrana per il rame,Ctr1, regola infatti la citotossicità del cisplatino influenzandone l’assunzione: la delezione nei lieviti e nei topi del gene Ctr1 causa un aumento della resistenza al farmaco e una diminuzione del suo accumulo12 al contrario, linee cellulari umane di carcinoma ovarico in cui si over-esprime Ctr1 importano quantità maggiori di cisplatino.13 Per poter comprendere i dettagli molecolari dell’interazione tra il cisplatino e Ctr1, è stato condotto uno studio in vitro usando l’octapeptideMets7 (MTGMKGMS), il quale mima il settimo motivo extracellulare ricco di metionine di Ctr1 di lievito. È stato dimostrato come il cisplatino reagendo con Mets7 perde tutti i suoi leganti, sostituiti dagli zolfi metioninici del peptide, il quale vede modificare la propria conformazione da una struttura random coil ad una struttura di tipo β-turn. Dato che il cisplatino deve conservare le due molecole di ammoniaca per espletare la sua attività antitumorale, è stato ipotizzato che, in seguito all’interazione con le metionine del dominio Nterminale di Ctr1, venga indotto un processo di internalizzazione cellulare mediante la probabile 161 formazione di vescicole endocitiche che ingloberebbero una porzione del liquido extracellulare con le sostanze in esso contenute, tra cui cisplatino.14 L’accumulo e l’efflusso dei farmaci di Pt sembrano essere mediati dalle pompe ATPasiche del CuATP7A e ATPB, note come proteina di Menkes e Wilson,le quali risultano dunque coinvolte nello sviluppo della resistenza al cisplatino.Aumentando il livello di espressione dell’ATP7B si riscontrainfatti un maggior efflusso del farmacocon conseguente ridotto accumulo di cisplatino in cellula15; l’aumentata espressione dell’ATP7A determina invece un maggior sequestro intracellulare del cisplatino.16,17 Dato il coinvolgimento di Ctr1 e delle Cu-ATPasi nel trasporto e nella resistenza al cisplatino, l’attenzione è stata rivolta adAtox1, chaperone citosolico che trasferisce il Cu(I) tra le suddette proteine. Atox1 è una proteina ubiquitaria con struttura di tipo ferredossinico (β1α1β2β3α2β4), che lega lo ione Cu(I) mediante gli atomi di zolfo delle cisteine 12 e 15 del motivo altamente conservato di legame ai metalli CxxC (MBS).18 Una sequenza ricca di lisine (KKTGK), localizzata nel loop tra α2 e β4, rappresentainvece un potenziale sito di localizzazione nucleare (NLS) della proteina, importante per un suo eventuale reclutamento all’interno del nucleo.19Recentemente è stato infatti proposto che Atox1 possa agire,in forma dimerica, con fattore di trascrizione nucleare Cu-dipendente, in grado di attraversare la membrana nucleare e di interagire con sequenze polipuriniche specifiche del DNA, implicate nell’attivazione della proliferazione cellulare (regolazione positiva dell’espressione della ciclina D1) e nella modulazione dello stress ossidativo (regolazione positiva della SOD3 extracellulare).19,20 Il coinvolgimento di Atox1 nel legare il cisplatino e i suoi derivati è statomostrato mediante esperimenti in vivo,21,22e sono molteplici gli studi condotti in vitrovolti a caratterizzarne l’interazione. Mediante cristallografia a raggi X sono state, ad esempio, descritte due strutture, una monomerica ed una dimerica, dell’addotto formato tra il cisplatino ed Atox1.23 Nella conformazione monomerica, lo ione di Pt(II) è coordinato con geometria planare dalle cisteine 12 e 15 del motivo CxxC (lunghezza del legame Cys(S)-Pt di 2.30 e 2.35 Å, rispettivamente) e dal TCEP [tris(2carbossietil)fosfina] usato come agente riducente.Nella conformazione dimera, i due residui di cisteina 15 sono coordinati con lo ione Pt(II) (lunghezza di legame Cys(S)-Pt di 2.31 e 2.10 Å) mentre i due ulteriori siti di coordinazione sono occupati da due molecole di ammoniaca. Una disposizione spaziale delle due unità proteiche molto simile a quella appena descritta è stata riscontrata negli omodimeri di Atox1 ottenuti in presenza di Cu(I), Cd(II) e Hg(II).24 Lo studio dell’interazione tra Atox1 e cisplatino condottoin soluzione ed in ambiente fisiologico mediante spettrometria di massa e spettroscopia NMR ha invece rivelato come il cisplatino lega stabilmente le cisteine del motivo CxxC di Atox1, perdendo i due atomi di cloro e ritenendo i due leganti amminici.25,26 Inoltre, per tempi più lunghi di reazione, si è osservata mediante SDS-PAGE la formazione di dimeri di Atox1, i quali potrebbero essere rilevanti da un punto di vista fisiologico se, ad esempio, fossero capaci ditraslocare nel nucleo e interferire con i fisiologici processi nucleari.25 Questi omodimeri potrebbero formarsi in seguito a sostituzione dei leganti amminici del platino con i gruppi tiolici di un altro monomero di Atox1. Un primo obiettivo della mia ricerca è stato quello di verificare se il trasportatore di membrana Ctr1 e la proteina ATP7A fossero capaci di interagire con i complessi di Pt(IV), trans,cis,cis[Pt(CH3COO)2Cl2(NH3)2] e trans,cis,cis-[Pt(CH3COO)2(DACH)(NH3)2], sintetizzati dal gruppo di ricerca del prof. Osella dell’Università degli Studi del Piemonte Orientale (Figura 2). Per far ciò abbiamo scelto Mets7, come peptide modello capace di simulare la porzione extracellulare di Ctr1, e la proteina Mnk1, il primo dominio citoplasmatico N-terminale di legame ai metalli dell’ATP7A. 162 Figura 2. Struttura chimica del trans,cis cis,-[PtCl2(CH3COO)2(NH3)2] (complesso 1) e del trans,cis,cis,-[PtCl2(CH3COO)2(R,RDACH)] (complesso 2). Ulteriore obiettivo è stato purificaree caratterizzare la natura dei dimeri di Atox1 che si formano in presenza di cisplatino mediante un approccio che ha previsto la combinazione di un sistema di separazione cromatografica (cromatografia ad esclusione molecolare, SEC) e analisi mediante spettrometria di massa (ESI-MS). Risultati e conclusioni Prima tematica Per verificare la capacità del peptide Mets7 e della proteina Mnk1 di reagire con i complessi di Pt(IV), la soluzione di ciascun campione proteico è stata incubata con una quantità equimolare del complesso 1 e 2 (100 µM) a 37 °C e le reazioni sono state monitorate nel tempo mediante ESI-MS. Gli spettri registrati al tempo zero in modalità positiva hanno mostrato i picchi dell’apoMets7 (442 m/z) e i segnali multicarica corrispondenti alla massa attesa dell’apoMnk1; in modalità negativa, invece, si sono osservati i picchi a valori m/z pari a 417.02 {1-H}- e 497.12 {2-H}-, relativi ai complessi di Pt(IV).(Figura 2) Nei controlli successivi, effettuati sino ai 5 giorni di incubazione, gli spettri registrati sono rimasti invariati, mostrando i segnali dei campioni proteici nella loro forma apoe deicomplessi di Pt(IV) non reagiti. Figura 3. Spettri ESI-MS di apoMets7 e apoMnk1 incubate con i complessi 1 e 2, registrati in modalità positiva (sopra) e negativa (sotto), al tempo zero di reazione. Lo spettro dell’apoMnk1 mostra due serie di segnali multicarica corrispondenti alla proteina con e senza il primo residuo di metionina. 163 A differenza di quanto accade con i complessi di Pt(II), Mets7 e Mnk1 si sono rivelate incapaci di reagire direttamente con i due complessi di Pt(IV), nonostante all’interno della loro catena amminoacidica siano presenti residui di metionine e cistine, i cui atomi di zolfo hanno buone capacità di coordinare del Pt(II). Pertanto si è pensato di ripetere le reazioni in presenza di glutatione e di sodio (Na) ascorbato, i due fisiologici agenti riducenti ritenuti responsabili della riduzione intracellulare dei complessi di Pt(IV) nei rispettivi complessi attivati di Pt(II).27-28 L’ascorbato è considerato il principale antiossidante presente negli organismi viventi.29 Considerate le sue due pKa, pK1 = 3.95 e pK2 = 11.24, apH fisiologici esso è presente principalmente come ascorbato monoanionico (99.9%).30 Questo riducente è presente a basse concentrazioni nel plasma (50-150 µM) mentre risulta essere più concentrato nel citoplasma dei neutrofili (∼ 1 mM).31 Il glutatione, tripeptide costituito da glicina, L-cisteina e acido L-glutammico, è un tiolo ubiquitario, presente in concentrazione millimolare all’interno delle cellule eucariotiche(5-10 mM nelle cellule del fegato), fondamentale nel mantenimento del corretto equilibrio ossido-riduttivo cellulare. Il glutatione esiste sia in forma ridotta, il GSH, che ossidata, il GSSG,32e partecipa alle reazioni di ossido-riduzione attraverso l'ossidazione dei gruppi tiolici. Nelle normali condizioni redox cellulari, la molecola si trova principalmente in forma ridotta ed è localizzata soprattutto nel citoplasma (90%), nei mitocondri (10%) e nel reticolo endoplasmatico.33-34Il GSH rappresenta una delle prime difese contro le tossine e gli ossidanti cellulari e può inattivare i farmaci elettrofili, come i complessi di Pt. 35 Per poter quindi simulare le condizioni fisiologiche, il peptide Mets7, il quale mima il dominio extracellulare N-terminale di CTR1, è stato incubato con i due complessi di Pt(IV) in presenza di un eccesso di 10 volte di Na ascorbato. La proteina MNK1, essendo invece localizzata all’interno del citoplasma, è stata fatta reagire in presenza di 10 equivalenti di GSH in 25 mM di buffer fosfato (pH 7.0). Si sono sempre mantenuti i rapporti equimolari tra il peptide/proteina e i complessi di Pt(IV) (100 µM) e le reazioni sono state condotte a 37°C ed analizzate mediante ESI-MS. Nonostante la presenza dei due riducenti, gli spettri ESI-MS hanno mostrato i segnali delle proteine e dei complessi non reagiti, anche ai 5 giorni di incubazione. Alla luce di questi risultati, si è deciso di studiare la riduzione dei due complessi di Pt(IV) in presenza di Na ascorbato, riproducendo le condizioni sperimentali di uno studio riportato in letteratura. 36 Pertanto, i complessi 1 e 2(0.75 mM) sono stati trattati con Na ascorbato (7.5 mM) a 40 °C e le reazioni sono state analizzate con ESI-MS. In queste condizioni, si è osservata la diminuzione dell’intensità dei picchi dei complessi ({1 + Na}+con m/z pari a 440.97 e {2 + Na}+con m/z pari a 521.03) sino alla loro completa scomparsa (Figura 4). Lo spettro ESI-MS registrato alle24 ore di incubazione del complesso 1 ha mostrato inoltre un picco poco intenso avente un valore m/z pari a 323, attribuibile alla specie {[PtCl2(NH3)2] + Na}+. 164 Figura 4. Spettri ESI-MS di 1 (A, B) e di 2 (C, D) trattati con Na ascorbato a 40 °C e registrati al tempo zero (A, C), alle 24 ore (B) e alle 48 ore (D) di incubazione. Osservata la scomparsa dei segnali relativi ai complessi di Pt(IV), indice della loro avvenuta riduzione, si sono trattate le due soluzioni con quantità equimolare di Mets7 e Mnk1 (rispetto ai complessi di Pt, concentrazione finale 100 µM) e le reazioni sono state incubate a 37 °C e monitorate con ESI-MS. In seguito all’aggiunta del peptide Mets7 alla soluzione di 1, si è osservata la comparsa di un nuovo picco corrispondente alla specie doppio carica {Mets7H+- PtCl+} (m/z 557.6), la cui intensità è aumentata nel tempo sino alle 24 ore con la conseguente diminuzione del picco dell’apo peptide. Subito dopo l’aggiunta di Mets7 alla soluzione di 2, si sono osservati i picchi dell’addotto {Mets7Pt(DACH)2+} (596.7 e 398 m/z), che è divenuta la principale specie dopo 24 ore di reazione. Gli addotti Mets7-Pt osservati sono i medesimi ritrovati quando il peptide reagisce con il cisplatino, il quale perde tutti i suoi leganti, e l’oxaliplatino, il quale ritiene il legante chelato DACH. 14-37 Figura 5. Spettri ESI-MS di apoMets7 trattata con 1, precedentemente ridotto con Na ascorbato, registrati dopo 1 ora (A) e alle 24 ore (B) di incubazione. 165 Figura 6. Spettri ESI-MS di apoMets7 trattato con 2, precedentemente ridotto con Na ascorbato, registrati dopo 1 ora (A) e alle 24 ore (B) di incubazione. Quando la proteina Mnk1 è stata incubata con il complesso 1 ridotto con Na ascorbato, ha iniziato a precipitare, come si è evinto dalla progressiva diminuzione di intensità dei segnali ESI-MS della proteina. Una lieve precipitazione si è osservata anche nella reazione con il complesso 2 ridotto con Na ascorbato. In questo caso però l’ESI-MS ha mostrato il legame dei frammenti {Pt(DACH)Cl}+ e {Pt(DACH)}2+ alla proteina. Nelle prime fasi di incubazione, l’addotto monodentato{Pt(NH3)2Cl}+Mnk1 è il più rappresentato, mentre alle 24 ore, i segnali corrispondenti all’addotto chelato {Pt(NH3)2}2+-Mnk1 diventano i più intensi ( Figura 7). La natura di questi addotti e il meccanismo con cui si formano sono tipici dell’interazione della Mnk1 con l’oxaliplatino. 38 Figura 7. Spettri ESI-MS di apoMnk1 incubata con 2, ridotto con Na ascorbato, registrati alle 3 (A) e 24 ore (B) di reazione. In conclusione, gli esperimenti riportati suggeriscono che i complessi di Pt(IV) da noi studiati non reagiscono con i trasportatori diCu, se non in seguito alla loro riduzione nei corrispettivi complessi di Pt(II). Questo risultato rafforzerebbe l’ipotesi che l’ingresso in cellula di complessi di Pt(II) avvenga principalmente mediante diffusione passiva attraverso il doppio strato fosfolipidico. 166 Seconda tematica La proteina Atox1, espressa in E.Coli con metodiche standard di biotecnologie del DNA ricombinante e purificata con cromatografia liquida, possiede una spiccata propensione all’ossidazione dei suoi residui cisteinici ed è pertanto necessario operare in atmosfera inerte diN2, con soluzioni deossigenate e in presenza dell’agente riducente ditiotreitolo (DTT) per poterne preservare la struttura e la fisiologica funzionalità. Essendo già stata confermata la capacità del DTT di legare i complessi di Pt, la preparazione del campione proteico Atox1 ha previsto la graduale rimozione del riducentemediante lavaggi con H2O deossigenata in sistemi filtranti di tipo Amicon (cut-off di 3000 Dalton), operando rigorosamente in atmosfera inerte di N2. Ottimizzate le condizioni operative, il campione Atox1 è stato incubato con una quantità equimolare di cisplatino (250 µM) in 25 mM di buffer fosfato (pH 7.0) a 25 °C e la reazione è stata analizzata nel tempo mediante SEC (colonna Superdex 75 10/300, GE Healthcare). Il buffer di eluizione scelto per la separazione cromatografica è stato l’acetato di ammonio (20mM, pH 6.5), in quanto compatibile con la successiva analisi in spettrometria di massa delle frazioni di eluizione; la velocità di eluizione è stata ottimizzata a 0.4 mL/min. Il cromatogramma registrato al tempo zero ha mostrato un unico ed intenso picco con tempo di ritenzione di 12.7 mL (Figura 7, A, linea tratteggiata) generato da Atox1 nella sua apo forma,come è stato possibile verificare dallo spettro ESI-MS della corrispondente frazione di eluizione. Il profilo cromatografico ottenuto alle 24 ore di reazione ha invece mostrato, assieme al picco di Atox1 monomerica eluito a circa 13.1 mL (Figura 7, A, “frazione M”), la comparsa di un nuovo picco, eluito a circa 11.6 mL (Figura 7, A, “frazione D”), corrispondentead una potenziale specie dimera. Le frazioni M e D sono state concentrate ed analizzate mediante ESI-MS. Lo spettro ESI-MS della frazione M ha mostrato, oltre ai segnali relativi alla proteina non reagita, la formazione di nuovi segnali attribuibili agli addotti {Pt(NH3)2}2+-Atox1 e 2{Pt(NH3)2}2+-Atox1 ( Figura 8, C, 1 e 2). Questo risultato ha fornito un’informazione aggiuntiva alle nostra conoscenze: risultati di nostri precedenti studi hanno infatti mostrato come il cisplatino, reagendo con Atox1, perde i due leganti cloruro, formando direttamente un addotto di tipo chelato, e come, in questa interazione, siano coinvolti gli zolfi delle cisteine 12 e 15 del sito di legame metallico della proteina.25 Tale risultato è stato confermato in questo nuovo studio, il quale ha mostrato come Atox1 sia in grado di formare anche un altro tipo di addotto con il cisplatino, legandodue unità di {Pt(NH3)2}2+. Lo spettro ESI-MS della frazione a più alto peso molecolare, eluita a 11.6 mL (Figura 7, C,3), ha mostratola distribuzione gaussiana di nuovi segnali multicarica corrispondenti ad un’unicaspecie, la cui massa molecolare, come si può osservare dal relativo spettro deconvoluto, è pari a circa 14928 Da (Figura 7, C, 4). È stato possibile dunque ricondurre tale specie ad un omodimero di Atox1 a cui sono legatidue atomi di Pt, entrambi privi dei loro leganti amminici. Un’ulteriore conferma della formazione dell’omodimero di Atox1 e della sua netta separazione dalle diverse specie monomeriche in cui la proteina è legata al {Pt(NH3)2}, ci è stata fornita analizzando le due diverse frazioni di eluizione raccolte alle 24 ore di reazione mediante gel elettroforesi (SDS-PAGE).Prima di procedere con l’analisi, i campioni sono stati trattati con un eccesso di DTT per ridurrei ponti disolfuro di potenziali specie dimere derivanti dall’ossidazione della proteina. Come si osserva dall’immagine del gel (Figura 7, B), la frazione M presenta esclusivamente la banda di Atox1 in forma monomerica a circa 7 kDa, mentre la frazione D mostra una banda a 14 kDa corrispondente ad Atox1 in forma dimera. 167 Figura 8. A) Profilo cromatografico ottenuto dalla SEC (Superdex 75 10/30) della reazione tra Atox1 e il cisplatino, registrato al tempo zero (linea tratteggiata) e alle 24 ore (linea continua) di incubazione. B) SDS-PAGE (gradiente 4-20%) delle frazioni di eluizione M e D. C) Spettri ESI-MS delle frazioni di eluizione M e D (1 e 3, rispettivamente) e i corrispondenti spettri deconvoluti (2 e 4, rispettivamente). 168 Un esperimento simile a quello appena descritto è stato condotto incubando Atox1 con una quantità equimolare di oxaliplatino (250 µM), in 25 mM di buffer fosfato (pH 7.0) a 25 °C e monitorando la reazione mediante SEC e ESI-MS. Il profilo di eluizione ottenuto al tempo zero ha mostrato il picco dell’apo proteina a 12.7 mL. Figura 9, A, linea tratteggiata). Alle 24 ore di reazione, il cromatogramma ha continuato a presentare un unico picco Figura 9, A, frazione M), eluito a 13.1 mL, corrispondente ad Atox1 coordinata ad una o a due unità di {Pt(DACH)}2+(Figura 8, C, 1).L’oxaliplatino quindi, reagendo con la proteina, perde il leavinggroup ossalato e conserva il legante bidentato DACH, il quale, a differenza dei leganti amminici del cisplatino, rimane molto stabilmente legato al Pt, impedendo l’immediata formazione di specie dimere. Continuando infatti a monitorare la reazione nel tempo, il profilo cromatograficoha continuato a mostrare sino ai quattro giorni di incubazione un’unica banda sempre corrispondente agli addotti {Pt(DACH)}2+-Atox1 e 2{Pt(DACH)}2+-Atox1. È stato interessante notare però che a circa cinque giorni di reazione, si è osservata la comparsa di nuovi segnali riconducibili ad una nuova specie in cui un atomo di Pt ha perso il legante bidentato mentre l’altro ha continuato a ritenerlo, formando l’addotto {Pt}2+{Pt(DACH)}2+-Atox1. Allo stesso tempo, il profilo cromatografico della reazione registrato a 6 giorni di incubazione, ha mostrato un nuovo, anche se poco intenso picco, a 11.6 mL. 169 Sorprendentemente, lo spettro ESI-MS della frazione corrispondente ha mostrato i segnali multicarica caratteristici dell’omodimero di Atox1 a cui sono legati due atomi di Pt. La formazione della specie dimera è quindi riconducibile alla lenta sostituzione del legante DACH, probabilmente con i gruppi tiolici di un altro monomero di Atox1. Anche in questo caso, mediante SDS-PAGE delle frazioni di eluizione è stato possibile visualizzare Atox1 in forma monomerica e dimerica. Figura 9, B) Figura 9. A) Profilo cromatografico ottenuto dalla SEC (Superdex 75 10/30) della reazione tra Atox1 e l’oxaliplatino, registrato al tempo zero (linea tratteggiata) e ai 7 giorni di incubazione (linea continua). B) SDS-PAGE (gradiente 4-20%) delle frazioni M e D ottenute ai 7 giorni di incubazione. C) Spettri ESI-MS della frazione di eluizione M ottenuta alle 24 ore e ai 7 giorni di incubazione. 170 Questo studio, che ha previsto l’uso combinato della cromatografia ad esclusione molecolare e della spettrometria di massa, ci ha permesso di caratterizzare l’interazione di Atox1 con il cisplatino e l’oxaliplatino. La proteina reagisce rapidamente con entrambi i complessi di Pt, i quali perdono il loro leavinggroup e ritengono i leganti amminici. Nel caso del cisplatino dopo 24 ore di incubazione si osserva la formazione di specie dimere di proteina, osservate, nel caso dell’oxaliplatino, solo ai 7 giorni di reazione e in piccola quantità. Grazie alla separazione cromatografica del dimero dalle diverse specie monomeriche (in cui la proteina è in forma apo oppure legata ad una o due unità di {Pt(NH3)}2+ o di {Pt(DACH)}2+) e all’ottimizzazione dell’analisi spettrometrica, siamo riusciti a caratterizzarne la natura, constatando che esso è costituito da due monomeri di proteina legati a due atomi di Pt, completamente privi di qualsiasi legante. La formazione della specie dimera è riconducibile alla sostituzione dei leganti amminici, che è risultata essere molto lenta nel caso del legante bidentato DACH, il quale è più stabilmente legato al Pt rispetto alle ammoniache del cisplatino. Bibliografia 1) L. Kelland, Nat. Rev. Cancer, (2007), 7, 573-584. 2) E. Wexselblatt, E. Yavin, D. Gibson, Inorganica Chimica Acta, (2012), 75-83. 3) F. Arnesano, G. Natile, Coordination Chemistry review, (2009), 253, 2070-2081. 4) W. Lippard, Nat. Rev. Drug Discov., (2005), 4, 307. 5) Z. H. Siddik, Oncogene,(2003), 22, 7265-7279. 6) P. Pil,S.J. 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Ed., (2014), 53, 1297-1301. 172 MANGINI VINCENZO Tutor: Prof. Giovanni Natile Progetto PON02_00607_3421644 “Studio di piccole molecole cito-protettive con duplice applicabilità nella demenza di Alzheimer e nel trattamento del diabete mediante trapianto di isole pancreatiche” Studio Strutturale e della Stabilita’ degli Addotti di Ubiquitina e di Poliubiquitina con Ioni Metallici Introduzione Una profonda conoscenza dell’interazione delle nanoparticelle, in particolare metalliche, e le proteine cellulari sta emergendo come importante elemento nello studio della tossicità delle nanoparticelle stesse in ambiente biologico (1-3). L'elevato rapporto superficie/volume delle nanoparticelle le rende molto efficienti come interfacce di adsorbimento e cattura di proteine da miscele complesse, quali i fluidi biologici e l’ambiente cellulare. Inoltre, la multivalenza delle nanoparticelle permette di concentrare specie transienti o molto diluite aventi alta affinità per superfici metalliche. L’interazione tra proteine e superfici è, quindi, un aspetto essenziale nella risposta biologica che si ha quando un oggetto metallico entra in un ambiente biologico (4). In particolare, le nanoparticelle metalliche hanno acquisito sempre più rilevanza a causa della dipendenza delle proprietà elettroniche, magnetiche, ottiche e meccaniche dalle dimensioni nanoscopiche. Quando si passa dalla superficie piatta delle microparticelle alla superficie curva delle nanoparticelle, che sono di dimensioni comparabili con le molecole proteiche, i fattori nanomorfologici diventano particolarmente importanti nella caratterizzazione dell’interazione (4). Per di più, la ridotta dimensione delle nanoparticelle risulta essere molto importante nell’interazione con le membrane biologiche (5). In particolare, oggetti con un diametro di circa 10-20 nm possono attraversare la membrana ematoencefalica (6-8) ed essere facilmente internalizzati dalle cellule vie endocitosi (9). Tutte queste proprietà che si riscontrano a livello nanoscopico sono alla base di numerose nuove applicazioni dei nanomateriali anche in campo biomedico. Questo evidenzia come una migliore conoscenza dei processi che sono alla base delle interazioni tra nanoparticelle e biomateriali è ormai essenziale per immaginare applicazioni biologiche e mediche delle nanoparticelle (10-12). Un sempre maggior numero di studi mostra come, una volta entrate nei sistemi biologici, le nanoparticelle incontrino immediatamente numerose proteine plasmatiche formando la cosiddetta “protein corona” (1, 13-15). Le interazioni molecolari che si vengono a creare tra la superficie delle nanoparticelle e i residui aminoacidici delle proteine risultano, quindi, alla base di questo processo (16). La risultante nuova entità nanoparticella/proteina può andare incontro a modifiche della corona proteica nel tempo, determinate termodinamicamente e dall’effetto Vroman, in base al quale le proteine più piccole, più mobili e più abbondanti si legano per prime alla nanoparticelle e successivamente vengono sostituite da quelle con una maggiore affinità per la superficie (17). Inoltre, la nuova entità proteina/nanoparticella può avere caratteristiche e comportamenti diversi rispetto a proteina e nanoparticella singolarmente prese e, in seguito all’interazione con la nanoparticella, la conformazione nativa della proteina può essere alterata e epitopi presenti nel core proteico possono essere esposti sulla superficie della stessa, determinando a volte risposte biologiche inattese (1). Le proprietà fisico-chimiche di un ambiente bidimensionale di una superficie possono essere notevolmente diverse da quelle di una fase acquosa (18). In uno spazio tridimensionale, la distanza media tra proteine è in relazione con la radice cubica del numero totale di molecole presenti in soluzione, mentre in uno spazio bidimensionale questa dipende dalla radice quadrata del numero di molecole. Per una stessa concentrazione di proteine, le molecole risultano essere più vicine tra loro in uno spazio 2D che non nel corrispondente spazio 3D (19). Quindi le superfici possono aumentare localmente la concentrazione proteica, favorendo interazioni reciproche e aumentando la velocità di formazione di nuclei di aggregazione (18, 20-22). 173 In aggiunta, il forte campo elettrostatico o l’ambiente non polare di superfici, rispettivamente, cariche o idrofobiche possono modificare la conformazione proteica determinando l’esposizione verso la superficie di regioni che normalmente sono associate con altre regioni proteiche attraverso interazioni elettrostatiche o idrofobiche (22). Questo è in accordo con quanto visto sperimentalmente. Infatti alcuni studi hanno evidenziato come alcune superfici possano catalizzare la formazione di aggregati attraverso meccanismi sostanzialmente diversi da quelli che si possono riscontrare in soluzione (18). Altri recenti studi evidenziano come le superfici nanoscopiche possano avere effetti contrastanti sul folding e misfolding proteico. Alcune superfici, come quelle degli chaperon molecolari, sono capaci di favorire il giusto folding proteico ed evitare l’aggregazione, mentre altre, biologiche o sintetiche, possono favorire la perdita della conformazione nativa e un forte aggregazione anche patologica (23). Non solo le dimensioni e la curvatura delle nanoparticelle ma anche le caratteristiche della proteina in esame sono importanti nel determinare l’interazione proteina/nanoparticella (1, 24, 25). Gli effetti della superficie sulla perdita del folding proteico e sull’aggregazione risultano dipendenti dalle caratteristiche chimiche dei monomeri proteici, dal modo in cui si verifica l’interazione con la superficie e dalle proprietà fisico-chimiche della superficie stessa, inclusa il potenziale elettrostatico e l’idrofobicità (25). Considerando l’importanza di questo ambito di ricerca, abbiamo concentrato la nostra attenzione sullo studio dell’interazione tra diversi tipi di nanoparticelle e l’Ubiquitina umana, una proteina di 76 aminoacidi, molto stabile, presente in tutte le cellule eucariotiche e molto conservata dai lieviti all’uomo (26). Questa proteina, essenziale nei processi di regolazione del normale turnover proteico e nella degradazione delle proteina misfolded (26-28), è inoltre un sistema ideale per lo studio dell’interazione con superfici e nanoparticelle a causa delle piccole dimensioni, della ben caratterizzata struttura tridimensionale e della grande stabilità. Abbiamo studiato da un lato l’interazione tra nanoparticelle di argento (AgNPs), prodotte attraverso ablazione laser, e l’Ubiquitina e dall’altro quella tra la stessa proteina e nanoparticelle paramagnetiche a base di fluoro (NaYF4: Er 2%, Yb 20 %). In particolare, abbiamo focalizzato la nostra attenzione sull’effetto che mutazioni aminoacidiche nella proteina e di variazioni di carica superficiale delle nanoparticelle hanno sull’interazione proteine/nanoparticelle. Parte sperimentale Sulle nanoparticelle di argento (AgNPs) si sta concentrando sempre maggior interesse a causa delle loro proprietà antibatteriche, antifungine, e antivirali (29-31). La riduzione chimica di sali di argento è sicuramente uno dei metodi più diffusi per la produzione di tali nanoparticelle. Tuttavia questa tecnica richiede l’utilizzo di additivi (per controllarne la crescita) e stabilizzanti che possono interferire profondamente nell’attività chimica della superficie delle nanoparticelle. Tra i metodi fisici per la produzione di NPs, sta acquisendo sempre più rilievo l’ablazione laser pulsata in liquido (PLAL). Questa tecnica può essere utilizzata per la produzione di AgNPs stabili di forma sterica e di determinate dimensioni, senza l’uso di altri reagenti chimici e stabilizzanti (32, 33). Per questo motivo abbiamo prodotto AgNPs tramite PLAL in modo da ottenere unicamente nanoparticelle di argento in acqua e poterne, quindi, studiare l’interazione con l’Ubiquitina (Ub) in assenza di altri stabilizzanti. La tecnica consiste nel focalizzare un raggio laser pulsato su un target di argento immerso in acqua (32). Il set-up sperimentale della produzione PLAL è riportato in Figura1. Figura 1. Il set-up sperimentale dell’ablazione pulsata in liquido PLAL consiste in un laser YAG a 532 nm operante con una rate di ripetizione di 10 Hz e una durata nominale dell’impulso di 8 ns. Una lente di 2.5 cm focalizza il laser sul target di argento inserito in una cuvetta con 3 ml di acqua distillata. 174 Le AgNPs sono state caratterizzate tramite risonanza del plasmone di superficie (SPR), dynamic light scattering (DLS) e microscopia a trasmissione elettronica (TEM). Come riportato in numerosi articoli, la lunghezza d’onda del picco SPR è direttamente proporzionale alla dimensione delle nanoparticelle di forma sferica, come quelle prodotte tramite PLAL (34), mentre l’assorbanza può essere utilizzata per determinare la concentrazione delle stesse. Come evidenziato dalla Figura A, lo spettro SPR mostra una banda centrata a 398 nm, rappresentativa di particelle di circa 10 nm. La lunghezza d’onda di tale banda mostra, dopo 24 ore, un aumento di 1 nm e risulta rimanere costante per alcune settimane. A B Ag-NPs, t = 0 h SPRMAX= 398 nm 1.0 Ag-NPs, t = 24 h SPRMAX= 399 nm Absorbance 0.8 Ag-NPs, t = 3 weeks SPRMAX= 399 nm C 0.6 0.4 0.2 0.0 300 350 400 450 500 550 600 Wavelength (nm) Figura 2. Spettro SPR (A) e immagini TEM (B, C) delle AgNPs prodotte tramite 3 minuti di ablazione laser. Gli spettri sono stati registrati dopo 24 ore e 3 settimane dalla produzione, mentre le immagini TEM sono state acquisite dopo 24 ore con (B) e senza (C) colorazione negativa per il carbonio, Le barre delle immagini TEM sono di 10 nm (B) e 50 nm (C). Tutte le nanoparticelle utilizzate sono state prodotte direttamente in una cuvetta ad una concentrazione di 2 nM, aventi un diametro medio di 10,5 ±1.7 nm e forma sferica come determinato tramite TEM (Figura 2B e Figura 2C) e DLS (Figura 3). Figura 3. Misura DLS della sospensione di AgNPs ottenuta con un’ablazione laser di 3 minuti, ripostati come dimensioni (nm) in numero (%). Le nanoparticelle risultano quasi monodisperse con un diametro idrodinamico di circa 10-12 nm. Il primo studio di interazione tra nanoparticelle di argento e Ubiquitina è stato effettuato utilizzando Ub (25µM) e AgNPs (2nM), prodotte con PLAL e stabilizzate con citrato di sodio, al fine di mimare quello che avviene con le nanoparticelle solitamente prodotte per sintesi chimica ed utilizzate in gran parte degli studi presenti in letteratura. Immediatamente dopo l’aggiunta della proteina, l’intensa banda SPR delle AgNPs, inizialmente centrata a 398 nm, mostra un redshift di 5nm, indice del legame dell’Ub alla superficie delle NPs, e della formazione della “protein corona”. 175 L’immagine TEM, ottenuta colorando le proteine tramite acetato di uranile, conferma la formazione di una corona di Ub sulla superficie delle nanoparticelle (Figura 4B). A AgNPs + Citrate SPRMAX= 399 nm 0.8 Absorbance B AgNPs SPRMAX= 398 nm 1.0 AgNPs + Citrate + Ub, t = 24 h SPRMAX= 404 nm 0.6 C 0.4 0.2 0.0 300 350 400 450 500 550 600 Wavelength (nm) Figura 4. Spettri SPR (A) e immagini TEM (B,C) del campione di AgNPs prodotto con PLAL e tempo di ablazione di 3 minuti, stabilizzate con citrato e incubate con Ub. Gli spettri SPR sono stati registrati agli intervalli di tempo indicati mentre le immagini TEM, con (B) e senza (C) staining negativo per il carbonio sono state acquisite dopo 24 ore. Le barre delle immagini TEM sono di 10 nm (B) e 50 nm (C). Successivamente, abbiamo verificato la stabilità della corona proteica del sistema AgNPS/Ub così ottenuto aggiungendo la stessa concentrazione di albumina, una proteina altamente presente nel siero sanguigno. Osservando l’andamento del SPR dopo l’aggiunta dell’albumina, si può notare come, dopo una prima fase di riduzione e oscillazione del valore, il massimo della banda SPR aumenta rapidamente fino a valori corrispondenti alla corona formata dalla sola albumina. Infatti questa proteina, essendo di dimensioni maggiori (16000 Da rispetto a 8500 a dell’Ub), determina la formazione di una protein corona di dimensioni maggiori di quella che si ottiene con l’Ub (Figura 5). Figura 5. Analisi della variazione nel tempo del massimo della banda SPR dei campioni AgNPs stabilizzati con citrato, incubati con Ub (linea nera), BSA (linea rossa) e Ub per 5 min e successivamente BSA (linea blu). 176 L’aggiunta di Ub a AgNPs non rivestite di citrato mostra, invece, una graduale variazione di colore da giallo a arancione e, dopo 48 ore di incubazione, la formazione di un precipitato (Figura 6) . Figura 6. AgNPs incubate con Ub in assenza di citrato (A). Pochi minuti dall’aggiunta della proteina si nota una rapido cambiamento del colore della sospensione (B). Dopo 48 ore di incubazione si osservano aggregazione e formazione di precipitati (C). La Figura 7A mostra come dopo l’aggiunta della proteina, la banda del plasmone di risonanza delle AgNPs si sposta verso lavori di lunghezza d’onda maggiore con un cambio nel profilo dello spettro, indice della presenza di aggregati di dimensioni maggiori nel campione. Anche le immagini TEM (Figura 7B e Figura 7C) mostrano come l’Ub promuova il clastering delle AgNPs. La corona proteica evolve rapidamente formando cluster di nanoparticelle tenute insieme da molecole di Ub. A B 1.0 AgNPs Absorbance 0.8 Figura 7. Spettri SPR del campione AgNPs incubato con Ub in assenza di citrato (A). Le immagini TEM, con (B) e senza (C) staining negativo per il carbonio, acquisite dopo 24 ore di incubazione confermano la presenza degli aggregati di AgNPs/Ub. Le barre delle immagini TEM sono di 10 nm (B) e 50 nm (C). AgNPs + Ub, t = 0 h C 0.6 AgNPs + Ub, t = 24 h 0.4 0.2 0.0 300 350 400 450 500 550 600 Wavelength (nm) Al fine di valutare il comportamento nel tempo dei picchi SPR, abbiamo effettuato un fitting degli spettri con le gaussiane. L’analisi mostra come, mentre lo spettro delle nanoparticelle libere può essere fittato con una singola curva, la banda ottenuta immediatamente dopo l’aggiunta dell’Ub risulta essere formata da due gaussiane: la prima corrisponde a quella delle nanoparticelle libere, mentre la seconda può essere attribuita a particelle aggregate che aumentano di dimensione e alla fine precipitano. Nel tempo la prima curva gaussiana diminuisce di intensità mentre la seconda aumenta e si sposta verso lunghezze d’onda maggiori (Figura 8). Ag-NPs Lorentzian Fitting Ag-NPs+Ub Peak1 Peak2 PeakSum Gaussian Fitting Absorbance 1.0 peak 2 0.5 peak 1 0.0 300 350 400 450 500 550 Wavelength (nm) 600 650 177 Figura 8. Deconvoluzione degli spettri SPR di AgNPs prodotte attraverso PLAL e incubate con Ub in assenza di citrato per 24 ore. Quando il contributo di scattering allo spettro di estinzione è basso rispetto all’assorbimento (come nel caso di NPs più piccole di 20 nm) può essere usato un fitting Lorentziano, mentre quando il contributo di scattering è alto (come per gli aggregati AgNPs/Ub) risulta più corretto utilizzare un fitting Gaussiano. Successivamente è stato valutato l’effetto della transtiretina (TTR), un noto inibitore dell’aggregazione amiloide. Una sospensione di AgNPs (2nM) è stata preincubata con TTR (3µM) e quindi trattata con Ub (25µM). Le misure di SPR e TEM hanno mostrato come l’aggiunta della TTR prima dell’Ub prevenga completamente la formazione dei cluster di nanoparticelle di argento (Figura 9). Inoltre l’aggiunta della TTR a una sospensione di AgNPs e Ub, nella quale si stanno formando aggregati di NPs e Ub, determini una dissociazione dei cluster AgNPs/Ub preformati (Figura 10). Figura 9. Aggiunta di Ub ad una sospensione di AgNPs prodotte tramite PLAL e preincubate con TTR causa il red-shift del picco SPR, tipico della formazione della corona e rimane costante nel tempo (A). L’ immagine TEM acquisite dopo 24 ore di incubazione confermano l’assenza di aggregati nel campione. La barra dell’immagine TEM è di 50 nm (B). A B 1.0 1.0 0.8 0.6 AgNPs + Ub t= 5 min 0.4 Absorbance Absorbance 0.8 0.2 0.6 (AgNPs + Ub)5min + TTR t= 6 h 0.4 0.2 t= 6 days t=0 0.0 300 350 400 0.0 450 500 550 600 300 Wavelength (nm) 350 400 450 500 550 600 Wavelength (nm) Figura 10. Evoluzione nel tempo degli spettri SPR di AgNPs incubate con l’UB (fino a 5 min di incubazione) (A) e AgNPs incubate per 5 min con Ub e poi trattate con TTR (B). La TTR determina la distruzione degli aggregati formati da AgNPs e Ub. La presenza negli aggregati AgNPs/Ub di strutture di tipo amiloide è stata inoltre confermata attraverso l’uso di un saggio specifico per aggregati amiloidi che sfrutta l’uso della Tioflavina T fluorescente. Solo il campione in cui le AgNPs non rivestite di citrato sono incubate con l’Ub mostra un forte segnale fluorescente, indice di una transizione di tipo amiloide della proteina, mentre tutti gli altri campion, compresi quelli trattati con la TTR, non evidenziano alcuna risposta positiva alla Tioflavina T (Figura 11). A B Figura 11. Immagini di microscopie a fluorescenza rappresentative di AgNPs incubate con Ub (A) e AgNPs incubate con TTR e poi con Ub (B). Per entrambi i campioni è stata usata la sonda fluorescenza Tioflavina T che riconosce strutture di tipi amiloide. La barra è di 15 µm 178 L’interazione tra AgNPse Ub è stata anche monitorata tramite spettroscopia NMR. Il campione per l’NMR è stato preparato aggiungendo 30 µl di una soluzione 500 µM di Ub marcata 15N (15 nmol) a 500 µl di una sospensione di AgNPs 2nm (1 pmol). Assumendo che ogni AgNPs venga decorata con una corona di circa 100 molecole di Ub, ci sono in soluzione circa 150 molecole di Ub libera per ogni Ub assorbita sulla superficie delle nanoparticelle. In queste condizioni è difficilmente pensabile di osservare qualche variazione significativa nei chemical shift della proteina poiché ogni effetto causato dalla NPs sull’Ub adsorbita dev’essere diviso per 150 in un regime di scambio veloce. In effetti nelle prime tre ore abbiamo osservato solo piccolissime variazioni dei chemical shift. Gli spettri 15N-1H HSQC NMR della sola Ub e del campione di Ub e AgNPs sono riportati in Figura 12A. Le pur piccole variazioni di chemical shift interessano solo pochi cross-peaks, corrispondenti ai residui 3, 6–7, 13-14, 17, 39, 42–44, 55, 61, 64, 66–67, 69–70, mentre i restanti residui non sembrano evidenziare variazioni significative (Figura 12B). Inoltre, gli aminoacidi interessati risultano posizionati su una specifica regione della proteina, in particolare su un beta sheet, come riportato in Figura 12C. A 15N 55 39 64 3 7 66 17 61 14 42 44 43 70 13 69 6 67 1H B C C Glu18 Glu16 N Figura 12. (A) Sovrapposizione degli spettri 2D 15N-1H-HSQC NMR dell’Ub marcata 15N prima (blu) e dopo l’incubazione (3 ore) con AgNPs (rosso), (B) istogramma che evidenzia le differenze di chemical shift medio ∆δavg(HN) tra i due campioni, (C) rappresentazione grafica della localizzazione dei residui proteici che evidenziano chemical shift perturbation significative (in rosso). Le catene laterali dei residui Glu 16 e Glu 18 sono evidenziate in blu. 179 Tuttavia non è possibile discriminare se tali variazioni siano conseguenti all’adesione tra le molecole di Ub e la superficie delle AgNPs, quindi alla formazione della corona proteica (un processo molto veloce), oppure siano dovute all’interazione proteina-proteina, conseguente all’interazione con la superficie e che determina la transizione amiloide dell’Ub. Queste analisi sembrano mostrare come l’adsorbimento dell’Ub sulle NPs sia guidato da interazioni di tipo elettrostatico, dato che le cariche negative (come quelle date dal citrato sulla superficie delle AgNPs), sembrano giocare un ruolo importante nel comportamento nel tempo dell’incubazione tra Ub e NPs. Con l’obiettivo di verificare questa ipotesi, abbiamo espresso e purificato due Ub mutate (E16V e E18V), nelle quali un residuo negativo (il glutammato) è stato sostituito da un residuo neutro (la valina) rispettivamente in posizione 16 e 18. La sostituzione ha interessato, nel primo caso, una regione esterna della proteina e in particolare un foglietto beta, e, nel secondo caso, un loop. Le incubazioni tra le proteine mutate e le AgNPs in assenza di citrato, hanno evidenziato come mentre l’E16V, interagendo con le NPs, determina la formazione della corona ma non mostra alcun segnale di aggregazione amiloide (Figura 13), l’E18V provoca la formazione di cluster di AgNPs, in modo molto simile a quanto succede con l’Ub non mutata (Figura 14). Il diverso comportamento tra E16V e E18V è stato inoltre confermato tramite i saggi di fluorescenza con la Tioflavina T e immagini TEM (B e C della Figura 13 e della Figura 14). AgNPs + E16V, t = 0 h SPRMAX = 405 nm 0,8 Absorbance B AgNPs, SPRMAX = 399 nm 1,0 A 0,6 AgNPs + E16V, t = 24 h SPRMAX = 407 nm 0,4 C 0,2 0,0 300 350 400 450 500 550 600 Wavelength (nm) Figura 13. Spettri SPR di AgNPs incubate con l’Ub mutata E16V (A). Immagini TEM (B) e di fluorescenza (C) confermano l’assenza degli aggregati nel campione. Le barre sono rispettivamente di 50 nm (B) e 15 µm (C). 1,0 0,8 Absorbance B AgNPs SPRMAX= 399 nm A AgNPs + E18V, t = 0 h SPRMAX= 407 nm 0,6 AgNPs + E18V, t = 24 h SPRMAX= 434 nm 0,4 C 0,2 0,0 300 350 400 450 500 550 600 Wavelength (nm) Figura 14. Spettri SPR di AgNPs incubate con l’Ub mutata E18V (A). Immagini TEM (B) e di fluorescenza (C) confermano la presenza degli aggregati nel campione. Le barre sono rispettivamente di 50 nm (B) e 15 µm (C). Questo sembra sottolineare come il glutammato 16 sia essenziale per la transizione amiloide e come basti la variazione della posizione della carica negativa di solamente due aminoacidi (dalla posizione 16 alla 18) per determinare effetti notevolmente diversi nell’interazione con la superficie della nanoparticella. 180 Abbiamo anche studiato l’interazione tra l’Ub e My2_CA, nanoparticelle paramagnetiche a base di fluoro (NaYF4: Er 2%, Yb 20 %). Queste nanoparticelle, realizzate in collaborazione con la Prof.ssa Maria Marta Natile dell’Università di Padova, hanno il vantaggio di essere paramagnetiche e di essere stabili a concentrazioni notevolmente più alte rispetto alle AgNPs prodotte per PLAL e non stabilizzate con citrato, che a causa della mancanza di cariche negative sulla superficie vanno in contro a precipitazione già a concentrazioni superiori a circa 5 nM. Queste caratteristiche sono risultate particolarmente utili ai fini dello studio NMR dell’interazione tra My2_CA e Ub. Infatti la natura paramagnetica ha permesso di osservare meglio i residui proteici interessati alla formazione della corona mentre la stabilità ha permesso di monitorare le variazioni nella proteina all’aumentare della concentrazione di nanoparticelle utilizzando concentrazioni tali da assicurarsi che tutta la proteina sia legata allea nanoparticelle, riducendo, quindi, l’effetto sui cross peaks dell’Ub free in soluzione. Le nanoparticelle My2_CA sono state innanzitutto sintetizzate e funzionalizzate con acido oleico, successivamente sostituito con lo stabilizzante acido citrico (Figura 15). Figura 15. Immagine rappresentativa della funzionalizzazione con acido citrico delle nanoparticelle NaYF4: Er 2%, Yb 20 %. Il ligando acido oleico viene sostituito dall’acido citrico, in modo da ottenere le nanoparticelle My2_CA. La caratterizzazione è stata effettuata tra mite XRD (Figura 16), DRIFT (Figura 17) e misure di fluorescenza Up Conversion (Figura 18). Le nanoparticelle My2_CA di dimensioni 15 nm così ottenute e caratterizzate, sono state aggiunte progressivamente ad una campione 50 µM di Ub marcata 15N fino ad ottenere un campione contenente l’1% di My2_CA . Figura 16. Caratterizzazione XRD delle nanoparticelle NaYF4: Er 2%, Yb 20 %. Le NPs risultano avere una size di circa 15 nm. 181 Figura 17.Caratterizzazione DRIFT delle NPs My2_CA (in grigio) e del CA (in rosa). Gli spettri evidenziano i -COO- che legano il CA alla nanoparticella, i –COOH liberi e i .COOH che interagiscono mediante legami idrogeno. Figura 18. Esempio di caratterizzazione Up-conversion di NaYF4: Er 2%, Yb 20 %. Gli spettri evidenziano i segnali dell My2_OA all1% in toulene (in rosso) e dell’MY2_CA all’1% in acqua (In rosa). L’interazione è stata monitorata tramite esperimenti 15N-1H HSQC NMR. L’istogramma in Figura 19. mostra le costanti di decadimento esponenziale dell’intensità dei segnali (valore k) di tutti i residui dell’Ub ottenute titolando con My2_CA. Le variazioni significative interessano solo pochi cross-peaks, corrispondenti ai residui 6, 11, 13, 45-49, 52, 60-62, 69-71 mentre i restanti residui mostrano variazioni ridotte. Figura 19. Istogramma delle costanti di decadimento dell’intensità dei segnali 15N HSQC NMR dei residui di Ub interessati dalla titolazione con My2_CA. L’intensità del colore è proporzionale al valore della costante k. Il valore di K corrispondente alla media più una deviazione standard è indicato dalla linea orizzontale (K= 16.8). 182 I residui che mostrano una variazione significativa (considerando valori di k corrispondenti al valore medio più una deviazione standard) sono stati riportati e colorati in rosso sulla struttura della Ubiquitina, al fine di evidenziare la regione proteica interessata al binding con la nanoparticella (Figura 20). Figura 20. Rappresentazione grafica della localizzazione dei residui proteici che mostrano allargamento di banda in seguito alla titolazione con My2_CA (in rosso). Conclusioni Il lavoro di questi mesi è stato principalmente incentrato sullo studio e la comprensione dell’interazione tra strutture nanoparticellari e proteine. In particolare tra l’Ubiquitina (Ub), utilizzata come sistema modello, e nanoparticelle di argento (AgNPs), prodotte attraverso ablazione laser, o nanoparticelle paramagnetiche a base di fluoro (NaYF4: Er 2%, Yb 20 %), ponendo particolare attenzione all’effetto determinato da mutazioni aminoacidiche nella proteina e variazioni di carica superficiale delle nanoparticelle sull’interazione proteine/nanoparticelle. Abbiamo preparato NPs metalliche usando l’ablazione laser in liquido (PLAL). Tecnica che ci ha permesso di ottenere soluzioni di nanoparticelle di dimensioni e concentrazione voluta senza l’utilizzo di riducenti o stabilizzanti che possono interferire nell’interazione con la proteina. Abbiamo comunque voluto monitorare l’interazione tra Ub e AgNPs stabilizzate con il citrato, molto simili a quelle vendute commercialmente e maggiormente utilizzate. Abbiamo verificato come la banda SPR di queste ultime, una volta incubate con l’Ub, mostra un piccolo e stabile redshift di circa 5 nm indice della formazione di una “corona” di Ub intorno alla NP. Le immagini TEM hanno confermato l’adsorbimento dell’Ub sulla superficie delle AgNPs. D’altra parte l’incubazione dell’Ub con AgNPs non rivestite di citrato ma prodotte in acqua tramite ablazione laser, ha evidenziato come in seguito all’inziale formazione della corona, il sistema evolva a formare cluster di AgNPs tenute insieme da una forma amiloide della proteina, come confermato dalle immagini TEM e dagli esperimenti fluorescenti con la Tioflavina T. Specifiche variazioni strutturali della proteica, derivanti dall’interazione con la superficie delle AgNPs, e la vicinanza con gli altri monomeri di Ub, dovuta alla formazione della corona sulla superficie delle NPs, hanno prodotto la transizione amiloidogenica dell’Ub, l’aggregazione proteica e il conseguente clustering nanoparticellare. Tale clustering risulta inoltre, inibito e distrutto dalla Transtiretina, un ben noto inibitore dell’aggregazione amiloide. Lo studio di spettroscopia NMR ha rivelato solo piccolissime variazioni nei chemical shift della proteina, come atteso a causa della necessaria presenza di un largo eccesso di proteina libera in scambio veloce con quella assorbita (in rapporto di circa 150 a 1). Tuttavia i residui che mostrano variazioni significative di chimical shift, tra i campioni di Ub con e senza le AgNPs, risultano localizzati tutti in uno specifico β-sheet proteico. Considerando 183 l’importanza della carica negativa, data dal citrato, nel evitare la formazione dell’aggregato amiloide, abbiamo espresso e purificato due mutanti della proteina che specificatamente neutralizzano una carica negativa in due posizioni diverse (residui 16 e 18), attraverso la sostituzione, in entrambi i casi di un glutammato con una valina. Mentre l’interazione della proteina mutata E16V con le AgNPs causa solamente la formazione della corona proteica, l’incubazione con l’altra proteina mutata E18V determina un effetto molto simile a quello riscontrato per la proteina non mutata, con la formazione di grandi aggregati di NPs tenuti insieme da una forma amiloide dell’Ub. La variazione di carica è la stessa per i due mutanti, quindi non può essere sufficiente a spiegare il diverso comportamento delle proteine. Tuttavia, il sito specifico in cui viene effettuata la mutazione sembra essere determinante (la superficie di un beta strand per il Glu16 e un loop per il Glu18). Questo sottolinea come specifiche modifiche localizzate sulla proteina possano avere grandi effetti sulle interazioni supramolecolari con superfici nanoparticellari. Questi risultati mostrano come il Glu16 non sia necessario per l’assorbimento dell’Ub sulla superficie dell’AgNPs ma sia indispensabile per la conversione amiloide della stessa proteina, essendo probabilmente direttamente coinvolto nell’interfaccia di aggregazione proteina-proteina o comunque necessario ad orientare la proteina assorbita sulla NP in modo da favorire le interazione amiloidogeniche. Al contrario il Glu18, sembra non essere necessario né per la formazione della corona né per la successiva formazione di aggregati amiloidi, in quanto anche andando a mutare questo sito si ottiene lo stesso effetto visto con l’Ub non mutata. Lo studio invece dell’interazione tra l’Ub e My2_CA, nanoparticelle paramagnetiche a base di fluoro (NaYF4: Er 2%, Yb 20 %) ha permesso di analizzare in maniera dettagliata i siti di interazione proteina/nanoparticella attraverso esperimenti NMR. In quanto queste nanoparticelle, realizzate in collaborazione con la Prof.ssa Maria Marta Natile dell’Università di Padova, hanno il vantaggio di essere paramagnetiche e di essere stabili ad alte concentrazione. La natura paramagnetica ha permesso di osservare meglio i residui proteici interessati alla formazione della corona, mentre la stabilità ha permesso di monitorare le variazioni nella proteina all’aumentare della concentrazione di nanoparticelle utilizzando concentrazioni tali da assicurarsi che tutta la proteina sia legata allea nanoparticelle, riducendo, quindi, l’effetto sui cross peaks dell’Ub free in soluzione. L’analisi, in questo caso, delle variazioni di intensità dei segnali NMR ha mostrato come i residui aminoacidici maggiormente influenzati dall’aggiunta della nanoparticella paramagnetica siano tutti localizzati in una regione specifica dell’Ub, molto probabilmente la regione direttamente implicata nell’interazione tra proteina e nanoparticella. 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L’ idrossiapatite costituisce la frazione inorganica di ossa e denti:esistono varie strategie per sintetizzare idrossiapatite, anche con svariate sostituzioni ioniche (Na+, K+, Mg2+, CO3- e Cl-), che permettono di intervenire sulle dimensioni, sul grado di cristallinità o sulla morfologia (aciculare o a piattine). Può essere altresì funzionalizzata con molecole biologicamente attive, allo scopo di lavorare come “drug carrier”: occorre però tenere in considerazione che le sue caratteristiche chimiche e strutturali influenzano l’adsorbimento e il rilascio delle molecole bioattive. SCOPO Lo scopo di questa ricerca è, la sintesi di idrossiapatite nanometrica, la sua caratterizzazione chimico-fisica, e lo studio dell’adsorbimento di due complessi di platino con attività antitumorale, nonché il loro rilascio a diverse condizioni di pH acido. In un secondo momento è stata testata la citotossicità dei complessi sintetizzati nei confronti di due gruppi cellulari (A549 e LoVo). PARTE SPERIMENTALE e RISULTATI Le principali caratteristiche dell’idrossiapatite sono: • piccole dimensioni dei cristalli • area superficiale molto elevata, 100 m2/g • forte orientazione dei cristalli • SINTESI di IDROSSIAPATITE (morfologia aciculare) In un pallone da 500mL si introducono 125 mL di acqua e 15,46 g di idrossido di calcio, mantenendo un’agitazione vigorosa per evitare la formazione di grumi. Si lascia in agitazione per un’ora. Si lascia gocciolare lentamente all’interno del pallone 125 mL di acido fosforico 1M ( 14,10 g di H3PO4 all’85% in 125 mL di acqua). Si lascia in agitazione per 24 ore. • SINTESI di IDROSSIAPATITE (morfologia a piattine) In un pallone da 500mL si introducono 250 mL di acqua e 73,48 g di acetato di calcio, mantenendo un’agitazione vigorosa per evitare la formazione di grumi ed agglomerati. Si lascia in agitazione per un’ora, quindi si inizia a gocciolare lentamente all’interno del pallone 250 mL di diammonio fosfato alla concentrazione 1M ( 33,00 g di (NH4)2HPO4 all’85% in 125 mL di acqua). Durante il gocciolamento il pH tende a diminuire, quindi per mantenere un pH basico si aggiunge all’ambiente di reazione una opportuna aliquota di soluzione di sodio idrossido 5M per mantenerlo sopraal valore di 10. Al termine dei questa fase si lascia in agitazione per 24 ore. • CARATTERIZZAZIONE STRUTTURALE e CHIMICO-FISICA L’analisi al DRX mostra il basso grado di cristallinità dell’idrossiapatite sintetizzata rispetto ad un’idrossiapatite naturale: 187 Con la caratterizzazione al TEM si può osservare la morfologia ad aghetti (figura a sinistra) e la morfologia a piattine (figura a destra): I singoli nanocristalli (lunghezza tra 20-30 žm ed una larghezza tra 5-10 žm) si aggregano a formare strutture di dimensioni maggiori (lunghezza di 200 žm ed una larghezza tra 20-40 žm), ma pur sempre nanostrutturate. A loro volta i nanocristalli si aggregano in strutture di dimensioni maggiori, come si può ben vedere dall’analisi di distribuzione dimensionale(DLS) riportata di seguito: 188 L’idrossiapatite di aggrega a formare cristalli di circa 425žm (picco più alto) ma si possono notare anche aggregati di dimensioni maggiori. L’analisi BET permette mediante adsorbimento fisico e desorbimento di azoto alla temperatura dell'azoto liquido, pari a 77 gradi Kelvin di determinare l'area superficiale specifica. Nel caso specifico si ottiene un’area superficiale di 106,448 m2/g 189 Con l’analisi SEM si può notare invece la struttura microcristallinananostrutturata. L’analisi chimica viene realizzata misurando l’energia e la distribuzione delle intensità dei raggi X generati dal fascio elettronico sul campione utilizzando un rivelatore a dispersione di energia EDS. Con questa tecnica si può si può determinare la composizione di un determinato punto di interesse del campione. Il rapporto Ca/P è di 1,58: 190 • FARMACI UTILIZZATI In figura sono riportati i due complessi antitumorali a base di platino utilizzati con alcuni dati chimico-fisici EP230 (Kiteplatin) [PtCl2(cis-1,4-DACH)] C H Cl N Pt 6 14 2 2 MW=380,17 u Water solubility ≈ 2mg/mlL SMF30 [Pt(1,1-CBDCA)(cis-1,4-DACH)] C12H20N2O4Pt MW=451,38 u Water solubility ≈ 1 mg/ml • ADSORBIMENTO-preparazione complesso HA-FARMACO Si sciolgono 15 mg di ciascun farmaco in 10 mL di acqua bi-distillata. A parte si prepara il latte di idrossiapatite agitando 100 mg di di idrossiapatite aciculare in 5 mL di acqua sempre bi-distillata. Si uniscono le due soluzioni e si lascia agitare. Da questo momento di effettuano prelievi regolari di 1 mL dopo 5, 10, 15, 30, 45, 60, 120, 240 e 360 minuti. Dopo ogni prelievo si riaggiunge 1 ml di acqua bi-distillata in modo da mantenere costante il volume della soluzione. Ogni aliquota è raccolta in un’eppendorf e viene analizzata la soluzione surnatante, previa centrifugazione. Le varie aliquote vengono analizzate per determinare la concentrazione di platino presente in soluzione: 191 Dal grafico si può vedere come la concentrazione del metallo cali subito drasticamente, in seguito al’adsorbimento di ciascun farmaco sull’idrossiapatite. La percentuale di assorbimento di entrambi i farmaci, dopo 6 ore di agitazione supera il 60%: % di assorbimento EP230 62,2 SMF30 61,5 Si lascia in agitazione per 20 ore totali, si centrifuga la soluzione e si lascia asciugare il solido a 37°C. Il solido seccato sarà poi utilizzato per lo studio dei rilasci. • RILASCIO DEL FARMACO in diverse condizioni di pH Si procede quindi con il rilascio di ciascun farmaco dal complesso con l’idrossiapatite. In particolare si studia l’effetto dei diversi valori di pH per vedere se e come influiscono sul rilascio del farmaco. Sono stati utilizzati 2 tipi di tampone (in ottica dello studio di citotossicità) 1. Tampone citrato, pH 5,5 2. Tampone citrato, pH 5,00 Si trita finemente il complesso idrossiapatite-farmaco preparato come descritto sopra. Se ne disperde circa 80 mg in 10 mL di ciascun tampone e si lascia sotto agitazione. Da questo momento di effettuano prelievi regolari di 1 mL dopo 5, 10, 15, 30, 45, 60, 120, 240 e 360 minuti. Dopo ogni prelievo si riaggiunge 1 ml di ciascun tampone. Ogni aliquota è raccolta in un’eppendorf e viene analizzata la soluzione surnatante, previa centrifugazione. Di seguito sono riportati i grafici della percentuale del farmaco rilasciato ai vari intervalli temporali, viene cioè monitorata la cinetica di rilascio di ciascun farmaco in assenza di cellule tumorali. 192 FARMACO EP230: FARMACO SMF30: Dai grafici ottenuti si possono ricavare i milligrammi di farmaco rilasciato: valori di pH 5,00 5,50 EP230 % max di rilascio 37,7 15,5 EP230 mg rilasciati 2,6 1,1 SMF30 % max di rilascio 8,9 6,3 SMF30 mg rilasciati 0,47 0,32 • STUDIO DI CITOTOSSICITA’ Per prima cosa si è acidificato il terreno di cultura F12 Ham’s medium a pH 5.00 e 5.50. Questo tipo di terreno è stato scelto perché contiene livelli di ioni Ca2+ fino a 40 volte inferiori rispetto ad altri terreni di coltura, in modo da minimizzare le interferenze con gli ioni calcio dell’idrossiapatite. La citotossicità dei due complessi antitumorali è stata valutata a pH 5,0 e 5,5 con un MTT test su due linee cellulari, A549 e LoVo. L’MTT test è un test colorimetrico largamente utilizzato in vari protocolli di drug screening per la determinazione dell’attività biologica di nuove sostanze. Questo test permette di valutare la vitalità cellulare, dopo il trattamento con la sostanza in esame, in funzione dell’attività mitocondriale delle 193 cellule stesse. Viene, infatti, utilizzato un indicatore, il sale solubile di tetrazolio, 3-(4,5dimetiltiazol-2-il)-2,5-difeniltetrazolio bromuro (MTT), che, nelle cellule vive, viene ridotto ad opera dell’enzima mitocondriale succinato tetrazolio reduttasi, formando un cristallo di formazano, insolubile in acqua e di colore viola. Le due linee cellulari (5-8*104 mL-1) sono state trattate per 72 ore aggiungendo in ciascuna 10 mg di complesso EP230-HA e SMF30-HA. Le soluzioni vengono mantenute in agitazione a 37°C e vengono effettuati prelievi di 300 µL a 5, 30, 60, 120, 240 e 360 minuti. Prima delle analisi, il pH di tutte le aliquote viene portato a 7.4 per evitare citotossicità dovuta al pH. Nei seguenti grafici sono riportati gli effetti dei due complessi in termini di vitalità cellulare nel tempo. Vitalità delle cellule post trattamento con SMF30 adsorbito su nanocristalli di idrossiapatite 194 Vitalità delle cellule post trattamento con EP230 adsorbito su nanocristalli di idrossiapatite 195 In un secondo momento, è stata valutata, a parità di condizioni (stessa concentrazione di platino) la citotossicità dei due farmaci non adsorbiti sull’idrossiapatite (i valori sono espressi come µgPt/mL): pH 5 pH 5.5 196 Come è possibile osservare dai grafici precedentemente riportati, a parità di condizioni sperimentali, il complesso HA-EP20 risulta più efficace del complesso HA-SMF30: infatti dopo un’ora di interazione con il complesso HA-EP230 entrambe le linee cellulari, ad entrambi i pH risultano avere una vitalità dello 0%, mentre le linee trattate con il complesso HA-SMF30 risultano mantenere una vitalità del 70%. Questi risultati appaiono evidenti nei primi 4 grafici riportati. Al termine di questi primi 2 test di vitalità, si è deciso di valutare, come il farmaco venisse rilasciato dal nanocristallo di idrossiapatite e se, visto il legame aspecifico che si crea tra farmaco e cristallo, questa interazione ne modificasse la conformazione quindi la sua attività antitumorale. E’ stato quindi effettuato un ulteriore prova in cui si è valutata la vitalità delle linee cellulari con il farmaco adsorbito sul nanocristallo di idrossiapatite e con la stessa quantità di farmaco utilizzato da solo. I dati riportati negli ultimi due grafici di questo report mostrano come la vitalità delle due linee cellulari sia la medesima, indipendentemente che il farmaco sia adsorbito sul nanocristallo di idrossiapatite o che sia libero. L’andamento della vitalità, quindi, è indipendente dall’adsorbimento o meno del farmaco sull’idrossiapatite. Si evince quindi che l’idrossiapatite non modifica l’efficacia dei due farmaci. CONCLUSIONE Lo studio mostra la capacità dei nanocristalli di idrossiapatite di adsorbire i due farmaci al platino nonché si liberarli in opportuni ambienti acquosi. Il farmaco EP230 si adsorbe più facilmente sui cristalli di HA, probabilmente grazie al minor ingombro sterico. A parità di concentrazione di platino rilasciata, i risultati ottenuti con i due farmaci adsorbiti sull’idrossiapatite sono del tutto paragonabili a quelli ottenuti con il farmaco tal quale: questo ci suggerisce che viene rilasciato esattamente il farmaco stesso e non vengono indotte modifiche strutturali. 197 NARDULLI MARIANNA Tutor: Prof. Giovanni Natile Caratterizzazione di Complessi di Inclusione Ciclodestrina/Farmaco da Utilizzare in Nuove Forme Farmaceutiche Parenterali Introduction Trazodone (TRZ), known as 2-(3-(4-(3-chlorophenyl)piperazin-1-yl)propyl)[1,2,4]triazolo[4,3a]pyridine-3(2H)-one (Figure 1a) is atriazolopyridine derivative and belongs to the group of second-generationnon-tricyclic antidepressants. It has been shown to be effectivein patients with major depressive disorders. It is generally more useful in depressive disorders associated with insomnia and anxiety. N N N N O N Cl N N N H Cl N O N Cl Figure 1. Chemical structure of TRZ-B (a) and TRZ-HCl (b). Trazodone may be present as hydrochloride (TRZ-HCl, MW=408.31 g/mol) or as the free base (TRZ-B, MW=371.864 g/mol, Figure 1b)). TRZ-HCl is the active ingredient of Trittico (Italy) and of Desyrel (US) and was synthesized in 1964 in the Chemistry Laboratories of the F. Angelini Research Institute and patented in U.K. [Brit. Patent No. 1,117,068 (1966)], and in U.S.A. [U.S. Patent No. 3,381,009 (1968)]. Trittico is present on the pharmaceutical market in three different formulations: tablet (50, 75, 100 or 150 mg), drops (2.5 g/100 ml) and solution for i. m. or e.v. injection (50 mg/5ml). The latter contains only sorbitol and water for injection as excipients and is characterized by pain at the injection site. The aim of this work was to develop a new TRZ-HCl formulation for parenteral administration in order to reduce both the pain at the injection site and the volume of solution to be injected,maybe 199 reaching the objective to solubilize 50 mg of trazodone in only 1 ml of solution.To do this might be helpful to use cyclodextrins or cosolvents. Cyclodextrins (CDs) are cyclic oligosaccharides which provide an interesting organic host system, since they have a hydrophobic inner cavity available to form non-covalent host-guest inclusion complexes with a wide variety of organic molecules of appropriate shape and size. This property has attracted considerable attention in the field of the encapsulation of molecules because some physicochemical properties of the guest, such as water solubility and stability, can be notably changed by its inclusion. In this context, the pharmaceutical industry has successfully used this distinctive aspect of CDs in different pharmaceutical applications [1]. However, only some natural cyclodextrins and their derivatives are approved from FDA for parenteral use and on the pharmaceutical market different injectable formulations are already present (Table 1) [2]. Based on these considerations, this work is organized as follows: 1. Evaluation of TRZ-HCl and TRZ-B solubility at 25 °C in water without pH control and at two different pH value (pH=7.4 and pH=5.0). 2. Determination of the stability constantof TRZ-HCl and TRZ-B with α-CD (PM=972.86 g/mol), 2-HP-β-CD (PM=1400 g/mol), and SBE-β-CD (PM=2163 g/mol) by the HiguchiConnors phase solubility diagram and/or by potentiometric titration. 3. Development of a parenteral formulation ofTRZ-HCl (50 mg/ml) containing one of the above cyclodextrins and other excipients for pH and osmolarity control. Table 1. Parenteral formulations containing cyclodextrins on the pharmaceutical market. Drug/Cyclodextrin Trade Name Formulation Company/Country PGE1/αCD Prostavastin i.v. solutions and infusions Ono, Japan Schwarz, USA Germany, Itraconazole/HPβCD Sporanox i.v. solutions Janssen, Belgium and USA Alprostadil/αCD Rigidur i.v. solution Ferring, Denmark Voriconazole/SBEβCD Vfend i.v. solution Pfizer, USA Ziprasidonemesylate/ SBEβCD Geodon, Zeldox imsolution Pfizer, USA & Europe Mitomycin/HPβCD MitoExtra Mitozytrex i.v. infusion Novartis, Switzerland Aripiprazole/SBEβCD Abilify im solution Bristol-Myers Squibb, USA Otsuka Pharm. Co., Japan 200 Solubility studies Solubility measurements of TRZ-HCl and of TRZ-B were carried out at 25 °C in water, in phosphate buffer 50 mM pH=7.4 and in acetate buffer pH=5. A large excess of each compound was added to 2 mL of the appropriate vehicle, the mixtures were vortexed for about 5 minutes and shaken in a thermostatically controlled water bath shaker for 3 days. After this time, an aliquot of the aqueous phase of each mixture was transferred in a 5 mL glass syringe and filtered through a 0.22 µm membrane filter (Millipore® cellulose acetate ). The filtrate were allowed to stand at the appropriate temperature until analyzed by HPLC. HPLC conditions for TRZ-HCl and TRZ-B analysis were the following: a reversed phase Zorbax C18 (25 cm x 4.6 mm; 5 mm particles) column was eluted by using a mixture (70:30) of acetonitrile and deionized water containing 0.01% of trifluoroacetic acid solution, at a flow rate of 1.5 mL/min and monitoring continuously the column effluent at 254 nm. Under these conditions, the retention times were 3 min and 3.5 min for TRZ-B and TRZ-HCl, respectively. Table 2 shows solubility values (S0) obtained for both compounds. Table 2. Solubility values (S0) of TRZ-HCl and TRZ-B. Data are the means of at least three determinations. water phosphate buffer 50 mM pH=7.4 TRZ-HCL 21.49 ± 3.4 (mg/ml) 0.053 (M) 2.57± 0.79 (mg/ml) 0.0063 (M) TRZ-B 0.21 ± 0.015 (mg/ml) 5.64 x 10-4 (M) 0.19 ± 0.013 (mg/ml) 5.11 x 10-4 (M) acetate buffer pH=5.0 4.41± 0.7 (mg/ml) 0.012 (M) As can be seen from the data in Table 2, TRZ-HCl exhibits a water solubility equal to about 21.49 mg/ml and this value is 100 times higher than that of TRZ-B (0.21 mg/ml). Instead, in phosphate buffer 50 mM pH=7.4, the solubility of TRZ-HCl decreases up to 2.57 mg/ml and this finding is due to the partial conversion of the salt form of TRZ into the base form, that posses a lower solubility. On the contrary, TRZ-B exhibits a water solubility equal to about 0.21 mg/ml while at pH=5.0 this value is greater (4.41 mg/ml) because it turns partially into the salt form that is more soluble. Evaluation of the stability constant of TRZ-B with α-CD,2-HP-β β -CD and SBE-β β-CD using the phase solubility diagram method [3]. The apparent 1:1 stability constants (Kc) for the inclusion complexes among TRZ-B and the three selected cyclodextrins were estimated from the slope of the straight line of the phase solubility diagram according to equation 1 : eq: 1 Kc=slope/S0(1-slope) A large excess of TRZ-B was added to 2 mL of the appropriate CDs solution in water or in phosphate buffer 50mM pH=7.4, the mixtures were vortexed for about 5 minutes and shaken in a thermostatically controlled water bath shaker at 25 °C for 3 days. After this time, an aliquot of each 201 mixture was transferred in a 5 mL glass syringe and filtered through a 0.22 µm membrane filter (Millipore® cellulose acetate ). The filtrate were allowed to stand at the appropriate temperature until analyzed by HPLC as described above. Regarding the CDs concentration, we used the following ranges: 0-12 % p/v for α-CD (taking into account that the water solubility of this cyclodextrin is equal to 14.5 % p/v), 0-22.5 % p/v for 2-HPβ-CD and SBE-β-CD. Tables 3, 4 and 5 show the solubility increase obtained for TRD-B in the presence of α-CD, 2-HPβ-CD and SBE-β-CD in water solutions, respectively, while in Figure 2 (a, b and c ) are reported the corresponding phase solubility diagrams. Data corresponding to the results of the same studies conducted at pH= 7.4 and at pH= 5 are not shown . Table 3. Water solubility values of TRZ-B in presence of different percentages of α-CD. α-CD (% p/v) α-CD (M) TRZ-B (mg/ml) TRZ-B (M) 0 0 0.21 5.64 x 10-4 0.75 7.71 x 10-3 0.33 8.87 x 10-4 1.5 0.015 0.34 9.14 x 10-4 3 0.031 0.50 1.34 x 10-3 6 0.062 0.66 1.77 x 10-3 12 0.12 1.36 3.66 x 10-3 Table 4. Water solubility values of TRZ-B in presence of different percentages of HP-β -CD. 2-HP-β β -CD (% p/v) 2-HP-β β -CD (M) TRZ-B (mg/ml) TRZ-B (M) 0 0 0.21 5.64 x 10-4 1.4 0.01 0.90 2.42 x 10-3 2.8 0.02 1.71 4.6 x 10-3 5.6 0.04 4.3 1.16 x 10-2 11.2 0.08 7.5 2.02 x 10-2 22.5 0.16 16.88 4.54 x 10-2 202 Table 5. Water solubility values of TRZ-B in presence of different percentages of SBE-β-CD. SBE-β β -CD (% p/v) SBE-β β -CD (M) TRZ-B (mg/ml) TRZ-B (M) 0 0 0.21 5.64 x 10-4 1.4 6.47 x 10-3 0.59 1.59 x 10-3 2.8 0.013 0.98 2.63 x 10-3 5.6 0.0259 2.22 5.97 x 10-3 11.2 0.052 4.06 1.09 x 10-2 22.5 0.10 9.53 2.56 x 10-2 As evidenced in the tables above, the TRZ-B water solubility at 25 °C is affected by the presence of CDs and it is observed a linear increase of the same as the concentration of cyclodextrin increase. In particular, the ciclodextrin with the better solubilizing power toward TRZ-B seems to be the 2-HPβ-CD one, that involves a solubility increase of about 80 times (from 0.21 mg/ml to 16.88 mg/ml). All the phase solubility diagrams reported in Figure 2 can be classified as AL type, as defined by Higuchi and Connors [3], suggesting the formation of 1:1 complexes in all cases. The values of the apparent 1:1 stability constants (K1:1) obtained on the base of eq. 1 are reported in Table 6 that shows also the apparent stability constants obtained at pH=7.4 and at pH=5.0. Table 6. Stability constants of the complexes TRZ-B/α-CD, TRZ-B/2-HP-β -CD, TRZ-B/SBE-β CD at 25 °C in water and at pH=7.4. K1:1 in water (M-1) K1:1 at pH=7.4 (M-1) K1:1 at pH=5.0 (M-1) TRZ-B/α α-CD 46.92 51.58 18.4 TRZ-B/2-HP-β β -CD 663.46 1110.85 75.59 TRZ-B/SBE-β β-CD 438.56 1062.56 29.96 203 a) b) c) Figure 2. Phase solubility diagrams. a) TRZ-B/α α-CD; b) TRZ-B/2-HP-β β-CD; c) TRZ-B/SBEβ-CD. 204 As might be expected, the TRZ-B/2-HP-β-CDis characterized by the highest value of K1:1 stability constant since this cyclodextrin determines the higher increase in TRZ-B solubility. Moreover, it is evident that stability constant values are greater at pH= 7.4 while decrease at pH=5.0 because TRZB is partially convert into the salt form which is characterized by a higher solubility and this consequentlydisadvantages the inclusion process into CDs. Regarding the TRZ-HCl, it was impossible to use the phase solubility diagram method to evaluate the stability constants because a) it has a high water solubility and b)crystallization occurred in the samples. So, we used the method of the pH-potentiometric titration in order to evaluate the apparent stability constants of TRZ-HCl and the three selected CDs. Complex constants determination by pH-potentiometric titration The pKa and the apparent acid dissociation constants pKa' were determined at 25°C by titration at the half-neutralization by graphical method using the eq. 2: eq. 2 where [HA] and [A-] are respectively the concentrations of the acid and the conjugate base and pH is the corresponding value of pH measured after each addition of titrant. The parameter C (=∆Ka) measures the effect of the concentration of CD on the acid dissociation and was defined by the eq. 3: Log C = pKa'- pKa eq. 3 The pKa and pKa' can be determined by titration midpoint. Particularly, pKa is obtained measuring the acid dissociation constant in the absence of CD and pKa' measuring the acid dissociation constants at the same temperature, in the presence of a CD concentration equal to Lt. For processing our data,we have applied the theoretical elaboration developed by Gadre [4, 5] and reported in equation 4: eq: 4 Some special cases have been reported and provide a simplified form of eq.. 4 in which one or more constants have a negligible value. In particular, this equation can be simplified as follows: eq. 5: CASE I eq. 6: CASE II eq. 7: + CASE III In particular, an initial potentiometric titration was carried out in order to evaluate the pKa of TRZHCl and Figure 3 shows the relative titration curve. 205 Figure 3. Potentiometric titration curve of TRZ-HCl The experimental pKa value of TRZ-HCl obtained by potentiometric titration was equal to 6,61 ± 0,25 and this result is in agreement with the pKa value calculated by ACD Labs 7.0 (pKa = 6,73 ± 0,70). In a second time, the pKb’ values of TRZ-HCl in presence of the CDs selected for this study was determined by titration and Figure 4 shows titration curves obtained with 2-HP-β-CD. 7.0 TZ 1.0x10-3 M + 20.0x10-3 M HP-β-CD pH 6.5 TZ 1.0x10-3 M + 10.0x10-3 M HP-β-CD 6.0 TZ 1.0x10-3 M + 5.0x10-3 M HP-β-CD 5.5 TZ 1.0x10-3 M + 2.5x10-3 M HP-β-CD TZ 1.0x10-3 M + 1.25x10-3 M HP-β-CD -0.3 -0.2 -0.1 -0.0 0.1 0.2 TZ in absence of HP-β-CD Log (mmol [BOH]/([B-]-[BOH]) Figure 4. Potentiometric titration curve of TRZ-HCl in presence of 2-HP-β β -CD at different concentration. TRZ-HCl belongs to the Case I of the Gadre elaboration. So, eq. 5 was used to evaluate the apparent stability constants of TRZ-HCl. Figure 5 shows Gadre elaboration applied to the system TRZ-HCl/2-HP-β-CD while in Table 7 are reported point by point the results of this elaboration. 206 Figure 5. Gadre elaboration (CASE I) applied to the system TRZ-HCl/2-HP-β β -CD. Table 7. Point by point Gadre’s elaboration applied to the systemTRZ-HCl/2-HP-β-CD. Sample C0 2-HP-β β -CD[M] pKa’ - C=Ka-Ka' - 6,5459 C1 0,00125 6,3371 1,617335 C2 0,00250 6,2246 2,09556 C3 0,0050 6,116 2,690915 C4 0,0100 6,0674 3,009539 C5 0,0200 5,986 3,629945 Table 8 shows the apparent stability constant obtained by pH-potentiometric titration for the complexes of TRZ-HCl and the three selected CDs. Table 8. Stability constant of TRZ-HCl evaluated by potentiometric titration. K11b (M-1) K11a (M-1) TRZ-HCl/α α-CD negligible 0 TRZ-HCl/2-HP-β β -CD 821 192 TRZ-HCl/SBE-β β-CD 503 negligible 207 Formulative studies Different formulative studies were performed in order to develop a new parenteral formulation of TRZ-HCl using CDs. Our attention is focused in particular on 2-HP-β-CD and SBE-β-CD because they have shown to better complex TRZ. Various attempt were performed in phosphate buffer pH=6.0 but an immediate precipitation e/o crystallization of the drug in these conditions is observed, both with 2-HP-β-CD that with SBE-βCD. For this reason, we decided to formulate TRZ-HCl in water and later to check and correct the pH and osmolarity using the most appropriate agent. Table 9 and Table 10 show the results of the formulative studies. As is evident in Table 10, it is possible to set the concentration of HP-β-CD at the values of 6 % and 8% using only one or both the cosolvents in appropriate quantities in order to obtain the correct osmolarity. Further and systematic investigation will be needed to develop the most appropriate formulation. Table 9. Preliminary formulative studies. pH osmolarity NaOH (mosm) (µ µl) NaCl (mg) sorbitol (mg) remarks TRZ-HCl (%) CD (%) 0.5 2 Crystallization 0.5 4 Crystallization 0.5 5 0.5 6 5.096 268.6 120 8.12 crystal. after one night 0.5 8 5.058 267 120 7.685 no crystallization 0.5 8 5.195 291 200 0.5 10 269 13.64 82 43.03 Crystallization no crystallization crystallization 208 Table 10.Formulative studies using some cosolvents such as propilenglicole and Peg 400. Cosolvente TZ-HCl (%) aqueoussol ution HPβ β CD NaOH (0.1M) (%) - 5 8 - 5 Propilen glicole 0.5% v/v pH Sorbitol (mg) 150 µl (in 2.5 ml) 5.183 46.91 8 - - - 5 8 100 µl (in 2.5 ml) 5.026 14.86 Propilen glicole 1% v/v 5 8 125µl 5.025 PEG 400 1% v/v PEG 400 2% v/v 5 5 8 8 150 µl 80 µl (in 2.5 ml) 5.151 5.119 PEG 400 5% v/v 5 8 PEG 400 10% v/v 5 Propilen glicole 0.5% v/v +PEG 400 1% v/v NaCl (mg) osmolarity (mOsm) 275 7.68 285 309 20.5 - - 282 253 - - - - 8 - - - - 5 8 150µl 5.070 280 Propilen glicole 0.5% v/v +PEG 400 2% v/v 5 8 125µl 5.108 304 Propilen glicole 1% v/v +PEG 400 2.5% v/v 5 6 125µl 5.093 404 References [1] Loftsson T., Duchene D.,(2007). Cyclodextrins and their pharmaceutical applications. Int. J. Pharm. 329, 1-11. [2]http://addiandcassi.com/wordpress/~hhempel/addiandcassi/wordpress/wpcontent/uploads/2007/1 2/Cyclodextrins-in-products.pdf [3] Higuchi T., Connors K.A., (1965). Phase solubility techniques. Adv. Anal. Chem. Instrum. 4, 117-212. [4] A. Gadre, V. Rüdiger, H.J. 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BREVETTI “Processo di denaturazione biochimica di materiale contenente amianto” Norberto Roveri, Isidoro Giorgio Lesci, Sandra Petraroia data di deposito: 29 aprile 2014 numero di domanda: MI2014A000789 “Antibacterial polymers and method for obtaining the same” Nocerino Nunzia, Mercuri Rocco, Fulgione Andrea, Norberto Roveri, Francesca Rinaldi, Fiori Michele, Medaglia Chiara, Lelli Marco, Van der Jagt Michael, Capparelli Rosanna, Marchetti Marco PCT/IB2013/052491-23.P0326.12.WO.1 Depositato il 28.marzo.2013 PCT/IB2013/052491-23.P0326.12.CA.1W - 2825299 Depositato il 17.ottobre.2013 PCT/IB2013/052491-US 13/984.782 Depositato il 321.ottobre.2013 (estensione usa) PCT/IB2013/052491-201310103486.7 Depositato il 28.marzo.2013 (estensione cina) 217 STRUMENTAZIONE Laboratorio Centrale di Bari Spettrofotometro UV-Vis Varian Cary 100 con controllo della temperatura con effetto Peltier, Spettrometro AA Varian 880Z con fornetto di grafite, generatore di idruri Varian VGA77, controller elettronico della temperatura Varian ETC-60 e autocampionatore Varian GTA100Z, Spettrometro di massa con sorgente al plasma (ICP/MS) Varian 820 MS, HPLC Hewlett-Packard Series 1100, Gascromatografo Hewlett-Packard 5890 Series II, Sistema LC/MS Q-TOF Accurate Masses Agilent 6530, Cromatografo FPLC (Fast Protein Liquid Chromatography). Unità di Ricerca: BARI L’unità del CIRCMSB che opera presso il Dipartimento di Chimica dell’Università di Bari dispone Tre spettrometri NMR: BRUKER AVANCE 300 MHz, BRUKER AVANCE 600 MHz, BRUKER AVANCE 700 MHz, Probe per la rilevazione di diversi nuclei (1H, 13C, 15N, 31P, 19F, 195Pt ed altri), Laboratorio di sintesi chimica. Laboratorio biotecnologico attrezzato con: Cappa a flusso laminare, Camera a guanti per reazioni anaerobiche, Incubatori per colture cellulari eucaristiche e batteriche, Sistema FPLC per la purificazione di proteine, Termociclatore, Strumentazione per gel elettroforesi di DNA e proteine, Spettropolarimetro CD-ORD, JASCO mod. J-810, FT-IR Perkin-Elmer mod. Spectrum One System, Analizzatore elementare CHN Eurovektor EA 3011, Polarimetro Perkin-Elmer mod. 341, Gas-Massa Hewlett-Packard HP6890-5973MSD, Liquido-Massa 1100 LC/MSD Trap system AGILENT, Idrogenatore ad Alta Pressione Büchi 300 ml 60 bar, Spettrofluorimetro LS55 Perkin-Elmer, Camera di fotostabilità. Unità di Ricerca: BOLOGNA n.° 3 diffrattometri a raggi X a polveri, n.°4 diffrattometri a raggi X a film piano e cilindrico per spettro di fibra, Diffrattometro a raggi X a cristallo singolo, Spettrometro UV-visibile, Spettrometro FTIR, ATR, Spettrometro CD, Spettrometro AA con fornetto di grafite, Spettrometro Raman, Termobilancia TGA-DSC, Microscopio elettronico a scansione, Microscopio elettronico a trasmissione, Microscopio a forza atomica, Cromatografo ionico, Cromatografo liquido, Gas cromatografo, 219 Spettrometria ICP, Microscopie ad alta risoluzione TEM, SEM, AFM, Diffrattometrie con luce di sincrotrone (Elettra, Trieste, Italy; ESRF, Grenoble, France; Brookhaven national laboratories, USA), Campionatore PF 11033PM-01 flusso costante ZB1 (Zambelli – acquistato nel 2011). Unità di Ricerca: CAMERINO Microscopio Elettronico A Scansione (Cambridge Stereoscan 360), Microscopio Elettronico A Trasmissione (Philips Cm10), Diffrattometro Per Polveri (Anodo Rotante Rigaku Ru-300), Xrd (X-Ray Diffraction), Spettrometro Icp Sequenziale Veloce (Jobin Yvon Jy 24r), Cromatografo Ionico (Dionex 4500i), Analisi Termogravimetrica Setaram Tag 24, Ultramicrotomo Leica Ultracut R, Ft-Nmr (Varian Gemini 200), Ft-Nmr (Varian Mercury Plus 400), Analisi Elementare (Fisons Ea 1108), Sistema Hplc-Dad-Ms (Hplc: Hp 1090 Liquid Chromatograph Series Ii; Ms: Hp 1100 Mass, Spectrometer Series 1100 Msd; Diode Array Detector), Sistema Hplc-Ms-Ms (Ion Trap) (Equipaggiato Anche Con Rivelatori Dad Ed Indice Di Rifrazione), Sistema Gc-Ms (Gc: Agilent 6890n; Ms: Ei5973n), Sistema Gc-Fid-Ecd, Spettrofotometro Uv-Vis (Varian Cary 1e), Spettrofotometro Ft-Ir (Perkin-Elmer Rx Ft-Ir System), Assorbimento Atomico (Analytik Yena Aaszenit 60), Assorbimento Atomico (Varian Spectra Aa 10). Unità di Ricerca: CATANIA Analizzatore VoltammetricoBioanalytical System Bas Cv-50w, ElettroforesiCapillare Beckman P/Ace Mdq (Dad Detector), HPLC-Massa Thermo- Finnigan LC-MS LCQ DECA XP MAX, Microscopio confocale a scansione laser Olimpus FV-10-147-010, Nanocalorimetro ITC2G TA, Sintetizzatore di peptidi a micronde CEM, Sistema di laser flash photolysis per misure UV-Vis risolte nel tempo, Spettrofotometro UV-Vis Jasco V 530, Spettrofluorimetro accessoriato di polarizzatori, SpettrofluorimetroJobinYvon Horiba-Fl3-11, Spettrometro Bruker E 500 Cw-Epr (Elexsys) A Banda X, Spettrometro di massa ThermoLxqFinnigan (Sorgente Esi), SpettropolarimetroJasco J 810, SpettropolarimetroJasco J 710, SpettropolarimetroJasco J 1560, Surface Plasma Resonance SPR Imager GWC Technologies, AFM microscope, Mycroarray per DNA, Sistema automatizzato per Flash Cromatography Combiflash Rf Plus UV-VIS, Rivelatore Sedex CombiFlash Rf200, Misuratore di fluorescenza in scansione, Microscopio AFM Cyper con modulo "Small Spot Laser Diode" 220 Sintetizzatore di peptidi Initiator + UV Alstra. Unità di Ricerca: FERRARA Spettrometro Bruker Vertex 70, Analisi Elementare Carlo Erba Flash 2000, Spettrometro NMR Varian Gemini 300 MHz, Spettrometro NMR Mercury 400 plus Varian, Spettrometro di massa Hewlett-Packard MALDI TOF mod. G2025A, Diffrattometro raggi-X (presso il centro di strutturistica del Dip. di Scienze Chimiche e Farmaceutiche). Unità di Ricerca: FIRENZE Spettrofotometro Lambda 20 BIO (Perkin Elmer) che opera nell’intervallo 200/700 nm equipaggiato con una cella termostatica 298-373 K, Spettrofotometro Cary 50 Win-UV (Varian) equipaggiato di accessorio multicella, Spettropolarimetro J-600 (Jasco). che opera nell’intervallo 200-700 nm, Spettrofluorimetro L55 (Perkin Elmer) equipaggiato con una cella termostatica che opera nell’intervallo 298-373 K, SX.18MV-R Analizzatore Stopped Flow (Applied-Photophysics, UK) oer studi in assorbimento oppure emissione di reazioni veloci (msec-sec), Spettrometro NMR ad alta risouzione 400 MHz, Bruker. Unità di Ricerca: INSUBRIA Bruker NMR Avance 400, Bruker AXS D8 Advance, Enraf Nonius Cad-4, Perkin-Elmer series II analyzer, Icp plasmaquad ICP-massa, Gbc 908 aa Assorbimento Atomico, Metrohm 761 compact IC Cromatografia Ionica, Shimadzu GC-17A, rivelatore fid e tcd Gascromatografo Capillare, Shimadsu GC-17A, rivelatore quadrupolo QP-5000 gas/massa, Shimadzu LC-10AC, rivelatore UV diode array HPLC, Shimadzu FT-IR Prestige 21, Netzsch Luxx sta 409 pc, Minipal Panalytical, Spettrofluorimentro quanta ray gcr-3-10. Unità di Ricerca: MESSINA Spettrometro NMR Bruker ARX-300 con probe broad band e gradienti di campo, Spettrometro Varian 500 MHz con gradienti di campo, SpettrofotometroUV/Vis HP8452-A, n.° 2 Spettrofotometri UV/Vis HP8453 con sistema di termostatazione Haake D8, Spettrofotometro UV/Vis Jasco V560 con sistema di termostatazione Haake C25, Spettrofluorimetro Jobin-Yvon Fluoromax 4 con misura dei tempi di vita ed anisotropia risolta nel tempo, Spettrofluorimetro Jasco FP-750, Spettropolarimetro Jasco J-500 A, Spettropolarimetro Jasco J-810, Spettrometro diode-array Ocean Optics SF2000 doppio canale di acquisizione con fibre ottiche, Apparato Stopped-Flow Tritech SF-3L, Apparato Stopped-Flow a 3 siringhe Biologic SFM-3, 221 Omogenizzatore ad ultrasuoni a penna Sonoplus HD2070, Bilancia Analitica Mettler Toledo AL204, Bilancia Analitica Mettler Toledo AL204 con accessorio per misure di tensione superficiale, Stufa Ecocell55 683/10000 Medcenter. Unità di Ricerca: NAPOLI Sintetizzatore di peptidi Shimadzu PSSM-8, Sintetizzatore di peptidi Applied Biosystem ABI 433, Sintetizzatore di peptidi Advanced Chemtech 348 Omega, Sintetizzatore di DNA e PNA, Spettrometro di Massa Perspective Maldi Tof, n.° 2 Sistemi HPLC analitici Hewlett Packard 1100, Sistema HPLC biocompatibile Waters 625, Sistema HPLC analitico Shimadzu LCA10, n.° 2 Sistemi HPLC preparativi Shimadzu LC8A, Sistema HPLC preparativo Water Deltaprep 4000, Elettroforesi capillare Waters Quanta 4000, Sistema LC/MS, Spettrometro di Risonanza Magnetica Nucleare Varian 600 Mhz, Spettrometro di Risonanza Magnetica Nucleare Varian 400 MHz, Dicroismo circolare Jasco J715 con controllo di temperatura, Spettrofluorimetro Varian, Spettormetro UV-Vis Jasco, Biacore, Citofluorimetro, Diffrattometro ad anodo rotante con area detector, Diffrattometro 4 cerchi Noius CAD4-Turbo, Calcolatore parallelo a 6 CPU SGI Challenge, n.° 15 workstation grafiche SGI (O2, Indigo2, Octene), Calcolatore parallelo Compaq Alpha, Cluster di PC sotto Linux per calcolo intensivo. Unità di Ricerca: PADOVA Spettrometro NMR VARIAN Gemini 200, Spettrometro NMR AMX-3 300 Bruker, Spettrometro NMR BRUKER, MOD. FT-NMR AVANCE DMX 600 con sistema Shim, Amos, acquis. dati, controllo digitale,GRASP III, unità radiofreq. e temp. Spettrometro FT-NMR BRUKER mod. AC 300 completo di accessori, Spettrometro Bruker, mod. FT-NMR completo di criomagnete superconduttore, schermato e generatore di radiofrequenza,trasmettitore, lineare e multi Spettrometro di massa a quadrupolo Hiden, mod. 553021, Spettrometro di Massa “Mariner”, Perkin Elmer, Spettrometro di massa AGILENT-Technologies Mod. G1725A, Microscopio Elettrochimico a scansione, IJ CAMBRIA, Gas massa "VARIAN" mod. SATURN 2100 T., Spettrometro FT-IR "Bruker" mod. Equinox 55, Sistema calorimetrico mod. TAM, Qi, Sintetizzatore Automatico di Peptidi, Advanced Chemtech, MOD. 348 OMEGA, dotato di cappa di protezione, Diffrattometro modulare con goniometro 0/0 Philips mod. X'Pert Pro, attrezzato con una camera Anton Paar TKK 450 per media e bassa temperatura, 222 Diffrattometro a raggi X per monocristallo, Oxford Diffraction Gemini E, doppia sorgente sealedtube Cu e Mo, equipaggiato con rivelatore areale EOS CCD e dispositivo per raccolta a bassa temperatura a getto di N2 (range 90-300 K), Spettrofotometro UV/VIS Lamba 40, Perkin Elmer, Spettrofuorimetro, PERKIN ELMER, MOD. LS-50B completo di torretta termostabile con agitatore incorporato, polarizzatore e fotomultiplicatore, Gamma Counter Cobra II Perkin Elmer, Cyclone Phosphorous Imaging instrument Packard, Meridien, CT, Sistema HPLC AGILENT-Technologies, con rivelatore Fotodiode Array e Radioattivo (Raytest), Sistema HPLC Beckman System Gold, con rivelatore UV e radiometrico (Biorad), Sistema HPLC Thermo, con rivelatore UV e radiometrico (Raytest), Citofluorimetro FACSCanto II, Beckton-Dickinson. Unità di Ricerca: PALERMO Spettrometri FTIR, Spettrometri ad assorbimento atomico con fornetti di grafite, Mineralizzatori, Spettrometri Mössbauer, Spettrofotomeri UV-visibile, Spettrofluorimetro, HPLC-massa, Voltmetro-polarografo, Ball mill per sintesi in stato solido, Sonicatore ad immersione, Raggi X di polveri, Analisi Termogravimetrica: Q5000 IR (TA Instruments), IsothermalTitrationCalorimetry: ultrasensitive nano-ITC200 (MicroCal), Differential scanning calorimetry: micro-DSC III (SETARAM), Differential scanning calorimetry: 2920 CE (TA Instrument), Dynamic mechanical analysis: DMA Q800 (TA Instruments) with humidity controller unit, Apparato per misurare angolo di contatto (OCA 20, Data Physics Instruments) dotato di videocamera ad alta risoluzione CCD, Tensiometro programmabile (KSV Sigma 70), Misuratore di densità e di velocità del suono: DSA 5000 M (Anton Paar), Impedanceanalyzer HP 4294A (HewlettPackard) dotato di HP 16451B dielectric test fixturesper misure dielettriche e di conducibilità di campioni solidi, Dynamic light scattering (DLS): Brookhaven Instrument with a BI-9000AT correlator and a He-Ne laser (75 mW), Zetasizer NANO-ZS (Malvern Instruments). Unità di Ricerca: PARMA Spettrometro FT-IR Nexus Nicolet equipaggiato con microscopio Nicolet Continuum, Spettrofotometro UV-Visibile Thermo Fisher Evolution 260 Bio, HPLC preparativo con Rivelatore UV-VIS a λ variabile, Sistema per titolazioni potenziometriche Metrohm, Sistema per l'analisi quantitativa dell'immagine - FLUOR-S Multimager, Diffrattometro SMART 1000 Bruker AXS, Diffrattometro Bruker AXS APEX 2, Spettrometro NMR BRUKER AVANCE 300 MHz, Spettrometro NMR BRUKER AMX-400 MHz, Spettrometro NMR VARIAN INOVA 600 MHz, Spettrometro di Massa M@LDI-TOF, 223 GC-Spettrometro di Massa FINNIGAN SSQ 710, Spettropolarimetro JASCO J 715, ENRAF NONIUS CAD4 con OXFORD CRYOSYSTEMS 600, SIEMENS AED, PHILIPS PW 1100, Diffrattometro per polveri PW 1050. Unità di Ricerca: PAVIA Spettrofotometro Infrarosso Jasco FT-IR-5000, spettrofotometri UV-visibile a diodi HP8452A e HP8453, Spettrometro NMR Bruker AVANCE 400 MHz, Spettrometro di massa LCQ DECA a trappola ionica e sorgente ESI della Thermo-Finnigan, HPLC Jasco MD-1510 con rivelatore ottico diode array. Unità di Ricerca: PIEMONTE ORIENTALE Spettrometro ESR in banda X JEOL FA-200, Spettrometro NMR JEOL Eclipse Plus con magnete superconduttore da 9,4 T, Spettrometro NMR Bruker Avance III con magnete superconduttore da 11,7 T, Spettrofotometro UV-visibile a doppio raggio JASCO V-550, Spettrometro di massa con plasma accoppiato induttivamente X Series 5 – THERMO, Spettrofluorimetro FP-2020 Plus JASCO, Gascromatografo THERMO Trace GC Ultra con analizzatore di massa a singolo quadrupolo THERMO Trace DSQ, Sistema cromatografico HPLC Spectra System con autocampionatore e rivelatore Photo- DiodeArray accoppiato con uno spettrometro di massa LCQ Duo (analizzatore a trappola ionica e doppia sorgente di ionizzazione ESI e APCI), Sistema cromatografico HPLC-MS Waters con modulo separatore Alliance 2695, rivelatore UVvisibile 2487 dual lambda e rivelatore di massa 3100, Cromatografo HPLC con pompa a 4 canali JASCO PU2089, rivelatore UV-visibile ed elettrochimico (ESA Coulochem II), Rilassometro STELAR Spin Master operante nel range 16-70 MHz, Rilassometro Fast-Field Cycling SmarTracer (Stelar) operante nel range 0-15 MHz, Sistema elettrochimico modulare composto da n. 5 potenziostati, Raman portatile System 100 Remshaw, Stereoscopic microscope SMZ-U Nikon Corporation, Reattore a microonde CEM Discover, Spettrometro di massa quadrupolo TOF (QqTOF) Applied Biosystems QSTAR® XL, Spettrometro di massa Applied Biosystems Voyager-DE™ PRO MALDI-TOF, Sistema confocale Zeiss LSM 510 su Microscopio Axiovert 100 M, Microscopio Zeiss Axiovert 100 M con telecamera digitale Axiocam, Microscopio Elettronico Philips EM210, Microscopio Leica DM RB associato a sistema di analisi d’immagine, Citometro a flusso Partec PAS (fonte d’illuminazione Laser Argon e lampada HBO100), Fluorimetro Perkin-Elmer LS50B. Unità di Ricerca: PISA Scintillatore in fase liquida (Packard 1600 TR), spettrofotometro Cary 13(Varian), Strumentazione per colture cellulari e laboratorio di biologia molecolare, Apparecchio Biacore-X, Spettrometro di Risonanza Magnetica Nucleare (NMR) Brucher 400 MHz, 224 Spettrometro di massa ThermoQuestFinnigan GCQ plus con DEP, accoppiato con GC Trace 2000 series, Scintillatore gamma counter e beta counter (Perkin Elmer), Elettroforesi bidimensionale (Amersham), CitofluorimetroFACScalibur (Becton Dickinson), Spettroscopio Perkin-Elmer UV-visibile Victor-3 MultilabelPlate Reader, BiotageInitiator 2.5 Exp EU per sintesi mediante microonde. Unità di Ricerca: POLITECNICA DELLE MARCHE Spettrometro Perkin Elmer Spectrum GX1 equipaggiato con un microscopio AUTOIMAGE per determinazioni in riflessione e trasmittanza (micro-ATR objective). Accessori Spectra Tech: ATR verticale ad angolo variabile, ATR orizzontale, ATR CIRCLE (riflettanza interna cilindrica), DRIFT (riflettanza interna diffusa), Spettrometro Infrarosso Perkin Elmer NTS Spectrum One, Spettrometro EPR EMX Bruker, Spettrometro di massa Fisons QMD1000, Spettrofotometro UV-Vis Varian Cary 50 scan, Sintetizzatore Beckman Oligo 1000 DNA Synthesizer, Gas cromatografo Chromopack CP 9001, Spettrometro Spotlight FT-IR Imaging System 300 con risoluzione spaziale fino a 6.25µm, Spettrometro Bruker Vertex 70 equipaggiato con microscopio Hyperion 3000 Vis-IR, Si dispone inoltre di vari programmi per il trattamento dati e per l’analisi (Spectrum Image 6.1 e Spectrum 6.3 by Perkin Elmer; Opus 6.5 by Bruker; Pyrouette 2.1 by Informetrix; Grams AI 7.02 by Galactic Industries; CytoSpec 1.4.02; HyperSpec), Accessorio U-ATR per spettrometro Perkin Elmer Spectrum GX1. Unità di Ricerca: ROMA “La Sapienza” Spectrophotometer per fluorescenza Cary Eclipse, Spettrofotometro UV-visibile Varian Cary 3E accessoriato con Peltier 1X1 Cell Holder Varian, Spettrofotometro UV-visibile-IR Varian Cary 5E, Spettrofotometro UV-visibile-IR Varian Cary 50, Spettrofotometro FT-IR Bruker Vertex 70, Spettrofotometro Varian 660-FT-IR Analizzatore elementare CHNS-O (Strumenti CE, EA1110) (Dipartimento di Chimica) Diffrattometro EDXD non commerciale per LAXS e SACS (brev. 0126484, 23/05/96, specifico per lo studio di materiali amorfi), Dry box Braun con accessorio per la misura in ppm di O2 e H2O, Spettrofotometro NMR Varian 300 MHz (Dipartimento di Chimica), Termoanalizzatore simultaneo Stanton-Redcrof mod. STA 781, Bilancia magnetica Sherwood Scientific, Spettrofotometro EPR Varian E-9 (banda X) accessoriato con computer (Dipartimento di Chimica), Electrochemical computerized system AMEL SYSTEM 5000, HPLC Varian Prostar con detector UV-visibile modello 320, Spettropolarimetro CD Jasco J-715 (Dipartimento di Fisica), Spettrofotometro FTIR Jasco 401 (Dipartimento di Fisica), Spettrofotometro ATR Pro Jasco (Dipartimento di Fisica). Unità di Ricerca: ROMA “Tor Vergata” Cappa a flusso laminare Heraeus, Incubatore a 37° per crescita batteri, Centrifuga refrigerata Sorvall, Microcentrifuga Heraeus, 225 Apparecchi per elettroforesi di DNA e proteine, Lettore ELISA per micropiastre DAS, PCR, Gas cromatografo ThermoFinnigan, HPLC di ultima generazione Surveyor ThermoFinnigan, HPLC-FPLC Aktapurifier, G-Healthcare Spettrofluorimetro Varian Eclypse, Spettrofotometro Jasco V-530, Stopped-flow SX.18MV Applied Photophysics. Unità di Ricerca: SALENTO Spettrometro UV-VIS Perkin Elmer Lambda 16, Spettrometro NMR Bruker AVANCE III 400 con Magnete Ultrashield PLUS, Spettrometro NMR Bruker Avance 600 MHz Ascend/Prodigy con smart probe multinucleare tuttoin-uno e cryoprobe Prodigy raffreddato ad azoto liquido (TCI inverse Triple Resonance Cryoprobe Prodigy), con autocampionatore da 60 posizioni, LC SPE NMR (cromatografia solid phase exctraction), Spettrometro di Massa (MS) Micro TOF Q ESI Q TOF, HPLC in fase inversa (modello 1260 Infinity Agilent, colonna analitica C18), Spettrometro di massa con sorgente al plasma Varian ICP-MS 820-MS con autocampionatore-/autodiluitore SPS3, Spettrometro ICP-OES Thermo Scientific iCAP 6000, Microscopio confocale (C1 NIKON), Microscopio ottico (TE 300 NIKON), Set up per cortocircuitazione (DVC-1000, WPI), Centrifuga (Beckman J-25), Camere per colture cellulari con incubatori, cappe a flusso laminare, microscopi invertiti, centrifughe da banco, Apparati per elettroforesi e western blotting, Microscopi ottici e a fluorescenza, Fluorimetri e spettrofotometri, Camere per l’uso di radioisotopi con scintillatore, Microscopio ottico a fluorescenza Nikon Eclipse 80i (Nikon, Japan) con obiettivi Plan Fluor (Nikon), equipaggiato di una fotocamera digitale DXM1200F: l’acquisizione delle immagini è effettuata con un ACT-1 software per Nikon DXM 1200F (Nikon), Microscopio invertito TE2000-E (Nikon, Japan), Microscopio ottico Olympus (Japan), 1 cappa a flusso laminare (Nicostra SpA, Milano), 3 cappe chimiche, 1 incubatore per colture cellulari Modello 2123TC CO2 (pbi International, Milano), Dispositivi per gel-elettroforesi proteine e DNA e per Western Blotting (Biorad, Hercules California, US), Centrifuga per eppendorf, Sigma, 1-15 (Baar, Svizzera), Centrifuga per tubi 4236 CWS (ALC, Milano, Italia), Microtomo Reichert-Jung 2050, Ultramicrotomo ULTRAMICROTOME SYSTEM 2128 ULTROTOME LKB, Bromma (Ontario, Canada), Taglialame 7800 Knifemaker, LKB Gromma, Balzer 020 Critical Point Dryer, Balzer 040 Sputter Coater, Strumentazione per l'isolamento e la purificazione delle cellule epatiche, Camera oscura per sviluppo e stampa foto, 226 Mineralizzatore a microonde Milestone START D, Cromatografo ionico Metrohm 883 Basic IC Plus. Unità di Ricerca: SIENA NMR Bruker DRX 600, NMR Varian VXR 300, NMR Bruker AMX 400, NMR Bruker 400, NMR Varian 300, EPR BRUKER 200D-SRC, Microwave CEMM, Spettrometro UV-Vis HP8453, Spettrofotometro UV-vis-NIR Perkin Elmer Lambda 900, Spettrometro CD Jasco J-815, MS VG 70-250S (Micromass, Manchester) LSIMS, HPLC/MS SATURN GC/MS 2000 / CP-3800 (Varian), MS Electrospray LCQ DECA (ThermoFinnigan), HPLC/MS Agilent , Apparato elettrochimico BAS 100 A, Apparato elettrochimico BAS 100 W. Unità di Ricerca: TORINO Bruker Avance 300 spectrometer (7 T), Bruker Avance 600 spectrometer (14T), High-resolution 400 MHZ, JEOL EX-400, Field Cycling Relaxometer, Stelar, Variable field (20 - 80 MHz) Stelar Spinmaster, UV-Visible Spectrophotometer U-2800 Hitachi, Malvern Zeta-sizer Instruments, Malvern, UK, Sintetizzatore automatico di peptidi Liberty Microwave-Enhanced (CEM), Fluoromax-4 Spectofluorometer Horiba Jobin Yvon, HPLC Amersham AKTA, Bruker Icon MRI IT, Aspect M2 1T Imager, Tomowave Photoacustic Imager. 227 PERSONALE AFFERENTE UNITA’ DI RICERCA DI BARI Personale Qualifica Agostiano Angela Prof. Ordinario Livrea Paolo Prof. Ordinario Natile Giovanni Prof. Ordinario Catucci Lucia Prof. Associato Coluccia Mauro Prof. Associato Lopedota Angela Assunta Prof. Associato Massimo Franco Prof. Associato Pacifico Concetta Prof. Associato Storelli Maria Maddalena Prof. Associato Ceci Luigi Ruggiero Primo Ricercatore Saviano Michele Primo Ricercatore Arnesano Fabio Ricercatore Boccarelli Angelina Ricercatore Caliandro Rocco Ricercatore Casalino Elisabetta Ricercatore Cutrignelli Annalisa Ricercatore Denora Nunzio Ricercatore Intini Francesco Paolo Ricercatore Laquintana Valentino Ricercatore Margiotta Nicola Ricercatore Trotta Massimo Ricercatore Iacobazzi Rosa Maria Dottorando Lasorsa Alessia Dottorando Perrone Mara Dottorando Saltarella Teresa Dottorando Savino Salvatore Dottorando Rosato Antonio Dottorando Curci Alessandra Dottorando Galliani Angela Co.Co.Pro. Mangini Vincenzo Co.Co.Pro. Cannito Francesco Tecnico Di Masi Nicola Giovanni Tecnico Racaniello Francesco Responsabile Amministrativo Bottalico Simona Coll.re d’Amm.ne Dipartimento Dip. di Chimica Scienze Neurolog. e Psichiatriche Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. Farm.- Sci. del Farmaco Dip. Farm.- Sci. del Farmaco Dip. Farm.- Sci. del Farmaco Dip. di Chimica Dip. Bios., Biot. e Sci. Farmac. CNR CNR Dip. di Chimica Dip. Farm. - Sci. del Farmaco CNR Medicina Veterinaria Dip. Farm.- Sci. del Farmaco Dip. Farm.- Sci. del Farmaco Dip. di Chimica Dip. Farm.- Sci. del Farmaco Dip. di Chimica CNR Dip. Farm.- Sci. del Farmaco Dip. di Chimica Dip. Farm.- Sci. del Farmaco Dip. di Chimica Dip. Di Chimica Dip. di Chimica Dip. Di Chimica C.I.R.C.M.S.B. C.I.R.C.M.S.B. C.I.R.C.M.S.B. Dip. di Chimica Dip. Farm.- Sci. del Farmaco C.I.R.C.M.S.B. Dip. Farm.- Sci. del Farmaco: Dipartimento di Farmacia – Scienze del Farmaco Dip. Bios., Biot. e Biofarm.: Dip.to Bioscienze, Biotecnologie e Biofarmaceutica UNITÀ DI RICERCA DI BOLOGNA Personale Qualifica Ripamonti Alberto Prof. Emerito Roveri Norberto Prof. Ordinario Cristino Sandra Prof. Associato Fabbri Daniele Prof. Associato Falini Giuseppe Prof. Associato Taddia Marco Prof. Associato Fermani Simona Ricercatore Caroselli Alessio Dottorando Balducci Giulia Dottorando Dipartimento Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. di Medicina e Sanità Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. di Ing. dell’En.. Elet. dell’Inf. Dip. Chimica “G. Ciamician” 229 D’Amen Eros De Laurentis Francesco Llukacej Altin Pignatelli Daniela Ragazzini Nicola Lelli Marco Lesci Giorgio Isidoro Losacco Maurizio Petraroia Sandra Marchetti Marco Pierini Filippo Merli Selene Merini Odila Fracasso Guido Modelli Stefano Montebugnoli Giulia Morselli Silvana Rinaldi Francesca Cecchini Alice Gallerani Roberto Molinas Maria Dottorando Dottorando Dottorando Dottorando Dottorando Assegnista Assegnista Assegnista Assegnista Co.Co.Co. Co.Co.Co. Co.Co.Pro. Co.Co.Pro. Tecnico di Laboratorio Tecnico di Laboratorio Tecnico di Laboratorio Tecnico di Laboratorio Tecnico di Laboratorio Collaboratore esterno Collaboratore esterno Segretaria Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. di Scienze Odontostom. Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. di Scienze Odontostomatol. Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. Chimica “G. Ciamician” Dip. di Ing. dell’En.. Elet. dell’Inf.: Dip. di Ingegeneria e dell’Energia Elettrica e dell’Informazione “G. Marconi DEI” UNITA’ DI RICERCA DI CAMERINO Personale Qualifica Marchetti Fabio Prof. Ordinario Pettinari Claudio Prof. Ordinario Angeletti Mauro Prof. Associato Burini Alfredo Prof. Associato Lupidi Giulio Prof. Associato Pellei Maura Prof. Associato Pettinari Riccardo Prof. Associato Santini Carlo Prof. Associato Galassi Rossana Ricercatore Pucciarelli Stefania Ricercatore Dipartimento Scuola di Scienze e Tecnologie Scuola di Scienze del Farmaco Scuola di Bioscienze e Biotecnol. Scuola di Scienze e Tecnologie Scuola di Bioscienze e Biotecnol. Scuola di Scienze e Tecnologie Scuola di Scienze del Farmaco Scuola di Scienze e Tecnologie Scuola di Scienze e Tecnologie Scuola di Bioscienze e Biotecnol. UNITÀ DI RICERCA DI CATANIA Personale Docente Qualifica Arena Giuseppe Prof. Ordinario Bonomo Raffaele Prof. Ordinario Condorelli Daniele Prof. Ordinario Rizzarelli Enrico Prof. Ordinario Spoto Giuseppe Prof. Ordinario Vecchio Graziella Prof. Ordinario Barresi Vincenza Prof. Associato Copani Agata Prof. Associato De Guidi Guido Prof. Associato Nicoletti Vincenzo Prof. Associato Satriano Cristina Prof. Associato Sciuto Sebastiano Prof. Associato Grasso Giuseppe Ricercatore Dipartimento Dip. Scienze Chimiche Dip. Scienze Chimiche Dip. Scienze Biomediche Dip. Scienze Chimiche Dip. Scienze Chimiche Dip. Scienze Chimiche Dip. Scienze Biomediche Dip. Scienze del Farmaco Dip. Scienze Chimiche Dip. Scienze Biomediche Dip. Scienze Chimiche Dip. Scienze Chimiche Dip. Scienze Chimiche 230 Attanasio Francesco Bellia Francesco Di Natale Giuseppe Grasso Giulia Magrì Antonio Miliardi Danilo Pappalardo Giuseppe Santoro Anna Maria Tabbì Giovanni Giuffrida Alessandro Giuffrida Maria Laura Grasso Giuseppa Greco Valentina Ricercatore CNR Ricercatore CNR Ricercatore CNR Ricercatore CNR Ricercatore CNR Ricercatore CNR Ricercatore CNR Ricercatore CNR Ricercatore CNR Assegnista CNR Assegnista CNR Assegnista CNR Assegnista CNR IBB CNR – Sezione Catania IBB CNR – Sezione Catania IBB CNR – Sezione Catania IBB CNR – Sezione Catania IBB CNR – Sezione Catania IBB CNR – Sezione Catania IBB CNR – Sezione Catania IBB CNR – Sezione Catania IBB CNR – Sezione Catania IBB CNR – Sezione di Catania IBB CNR – Sezione di Catania IBB CNR – Sezione di Catania IBB CNR – Sezione di Catania UNITÀ DI RICERCA DI FERRARA Personale Docente Qualifica Duatti Adriano Prof. Associato Marchi Andrea Prof. Associato Remelli Maurizio Prof. Associato Bergamini Paola Ricercatore Marvelli Lorenza Ricercatore Dipartimento Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica UNITA’ DI RICERCA DI FIRENZE Personale Qualifica Scozzafava Andrea Prof. Ordinario Smulevich Giulietta Prof. Ordinario Bilia Anna Rita Prof. Associato Messori Luigi Prof. Associato Ginanneschi Mauro Prof. Associato Modesti Alessandra Prof. Associato Bergonzi Maria Camilla Ricercatore Feis Alessandro Ricercatore Ferraroni Marta Ricercatore Innocenti Massimo Ricercatore Supuran Claudio Ricercatore Isacchi Benedetta Dottorando Vullo Daniela Borsista Pratesi Alessandro Assegnista Magherini Francesca Tecnico Massai Lara Dottorando Marzo Tiziano Dottorando Dipartimento Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Scienze Biomediche Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. Neurofarba Dip. Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Scienze Biomediche Dip. di Chimica Dip di Chimica UNITA’ DI RICERCA DELL’INSUBRIA Personale Qualifica Palmisano Giovanni Prof. Ordinario Fumagalli Alessandro Prof. Associato Tollari Stefano Prof. Associato Maspero Angelo Ricercatore Dipartimento Dip. Scienza e Alta Tecnologia Dip. Scienze Teoriche e Applicate Dip. Scienza e Alta Tecnologia Dip. Scienza e Alta Tecnologia 231 UNITA’ DI RICERCA DI MESSINA Personale Qualifica Bruno Giuseppe Prof. Ordinario Cusumano Matteo Prof. Ordinario Monsù Scolaro Luigi Prof. Ordinario Rotondo Enrico Prof. Ordinario Teti Giuseppe Prof. Ordinario Giannetto Antonino Prof. Associato Nicolò Francesco Prof. Associato Di Pietro Letizia Ricercatrice Lo Passo Carla Ricercatrice Romeo Andrea Ricercatore Rotondo Archimede Ricercatore Dipartimento D.S.C. D.S.C. D.S.C. D.S.C. D.S.P.G.M.B. D.S.C. D.S.C. D.S.C. D.S.B.A. D.S.C. D.S.C. D.S.C.: Dipartimento di Scienze Chimiche D.S.P.G.M.B.: Dipartimento di Scienze Pediatriche, Ginecologiche, Microbiologiche e Biomediche D.S.B.A.: Dipartimento di Scienze Biologiche ed Ambientali UNITA’ DI RICERCA DI NAPOLI Personale Qualifica Pedone Carlo Prof. Emerito Morelli Giancarlo Prof. Ordinario Fattorusso Roberto Prof. Ordinario Pedone Paolo Vincenzo Prof. Ordinario Zollo Massimo Prof. Ordinario Abrescia Paolo Prof. Associato D’Auria Gabriella Prof. Associato Falcigno Lucia Prof. Associato Isernia Carla Prof. Associato Rossi Filomena Prof. Associato Berisio Rita Primo Ricercatore CNR De Simone Giuseppina Primo Ricercatore CNR Ruvo Menotti Primo Ricercatore CNR Vitagliano Luigi Primo Ricercatore CNR Aloj Luigi Ricercatore Pascale Antonella Accardo Ricercatore Univ. Cigliano Luisa Ricercatore Univ. D’Andrea Luca Domenico Ricercatore CNR De Luca Stefania Ricercatore CNR Esposito Luciana Ricercatore CNR Galdiero Stefania Ricercatore Univ. Leone Marilisa Ricercatore CNR Marasco Daniela Ricercatore Univ. Palumbo Rosanna Ricercatore CNR Pedone Emilia Maria Ricercatore CNR Romanelli Alessandra Ricercatore Univ. Tesauro Diego Ricercatore Univ. Zaccaro Laura Ricercatore CNR Ringhieri Paola Assegnista C.I.R.Pe.B.: Centro Interuniversitario di Ricerca su Peptidi Bioattivi 232 Dipartimento C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. C.I.R.Pe.B. UNITA’ DI RICERCA DI PADOVA Personale Qualifica Dipartimento Formaggio Fernando Prof. Ordinario Dip. di Scienze Chimiche Zanotti Giuseppe Prof. Ordinario Dip. di Scienze Biomediche Dalla Via Lisa Prof. Associato Dip. di Scienze del Farmaco Dolmella Alessandro Prof. Associato Dip. di Scienze del Farmaco Fregona Dolores Prof. Associato Dip. di Scienze Chimiche Gia Ornella Maria Prof. Associato Dip. di Scienze del Farmaco Marzano Cristina Prof. Associato Dip. di Scienze del Farmaco Rigobello Maria Pia Prof. Associato Dip. di Scienze Biomediche Trevisan Andrea Prof. Associato Dip. di Medicina Mol. Tossic. Ind. Toninello Antonio Studioso Senior già Prof. Ass. Dip. di Scienze Biomediche Chiara Federica Ricercatore Dip. di Medicina Mol. Tossic. Ind. Gandin Valentina Ricercatore Dip. di Scienze del Farmaco Giron Maria Cecilia Ricercatore Dip. di Scienze del Farmaco Bolzati Cristina Ricercatore CNR IENI Galenda Alessandro Ricercatore CNR IENI Porchia Marina Ricercatore CNR IENI Refosco Fiorenzo Ricercatore CNR IENI Tisato Francesco Ricercatore CNR IENI Bindoli Alberto Associato al centro di Neuroscienze del CNR Carta Davide Assegnista Dip. di Scienze del Farmaco Citta Anna Assegnista Dip. di Scienze Biomediche Montagner Diego Assegnista Dip. di Scienze Chimiche Nardon Chiara Assegnista Dip. di Scienze Chimiche Boscutti Giulia Dottorando Dip. di Scienze Chimiche Garcia Aida Nelly Dottorando Dip. di Scienze del Farmaco Martinis Pamela Dottorando Dip. di Scienze Biomediche Salvarese Nicola Dottorando Dip. di Scienze del Farmaco Folda Alessandra Tecnico Laureato Dip. di Scienze Biomediche Gambalunga Alberto PhD Personale Tecnico Dip. di Medicina Mol. Tossic. Ind. Nicolli Annamaria PhD Personale Tecnico Dip. di Medicina Mol. Tossic. Ind. Grancara Silvia Borsista post doc Dip. di Scienze Biomediche IENI: Istituto per l’Energetica e le Interfasi UNITA’ DI RICERCA DI PALERMO Personale Qualifica Milioto Stefania Prof. Ordinario Chillura Martino Delia F. Prof. Associato Barone Giampaolo Antonio Ricercatore Casella Girolamo Ricercatore Fiore Tiziana Ricercatore Pellerito Claudia Ricercatore Scopelliti Michelangelo Ricercatore Sciacca Ivan Diego Tecnico Di Prima Maria Segretaria Amministrativa Dipartimento Dip. di Fisica e Chimica SteBiCef SteBiCef DiSTeM Dip. di Fisica e Chimica Dip. di Fisica e Chimica Dip. di Fisica e Chimica Dip. di Fisica e Chimica Dip. di Fisica e Chimica SteBiCef : Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche, Chimiche e Farmeceutiche DiSTeM: Dipartimento di Scienze della Terra e del Mare 233 UNITÀ DI RICERCA DI PARMA Personale Qualifica Ugozzoli Franco Prof. Ordinario Carcelli Mauro Prof. Associato Lodi Tiziana Prof. Associato Massera Claudia Prof. Associato Pelosi Giorgio Prof. Associato Restivo Francesco Maria Prof. Associato Rivetti Claudio Prof. Associato Tarasconi Pieralberto Prof. Associato Bisceglie Franco Ricercatore Buschini Annamaria Ricercatore Marchiò Luciano Ricercatore Rogolino Domina Ricercatore Tegoni Matteo Ricercatore Alinovi Rossella Assistente tecnico Pinelli Silvana Assistente tecnico Dipartimento Dip.to di Chimica Dip.to di Chimica Dip.to di Bioscienze Dip.to di Chimica Dip.to di Chimica Dip.to di Bioscienze Dip.to di Bioscienze Dip.to di Chimica Dip.to di Chimica Dip.to di Bioscienze Dip.to di Chimica Dip.to di Chimica Dip.to di Chimica Dip.to di Med. Clin. e Sperim. Dip.to di Med. Clin. e Sperim. UNITA’ DI RICERCA DI PAVIA Personale Qualifica Casella Luigi Prof. Ordinario Licchelli Maurizio Prof. Associato Monzani Enrico Prof. Associato Pallavicini Piersandro Prof. Associato Poggi Antonio Prof. Associato Taglietti Angelo Prof. Associato Amendola Valeria Ricercatore Dell’Acqua Simone Ricercatore Nicolis Stefania Ricercatore Dipartimento Dip.to di Chimica Dip.to di Chimica Dip.to di Chimica Dip.to di Chimica Dip.to di Chimica Dip.to di Chimica Dip.to di Chimica Dip.to di Chimica Dip.to di Chimica UNITA’ DI RICERCA DEL PIEMONTE ORIENTALE Personale Qualifica Botta Mauro Prof. Ordinario Osella Domenico Prof. Ordinario Prat Maria Prof. Ordinario Viano Ilario Prof. Ordinario Giovenzana Giovanni B. Prof. Associato Ravera Mauro Prof. Associato Rimondini Lia Prof. Associato Carniato Fabio Ricercatore Colangelo Donato Ricercatore Digilio Giuseppe Ricercatore Fracchia Letizia Ricercatore Gabano Elisabetta Ricercatore Tei Lorenzo Ricercatore Rolla Gabriele Postdoc Cavallo Massimo Assegnista di Ricerca Iafisco Michele Assegnista di Ricerca Negri Roberto Assegnista di Ricerca Palazzo Barbara Assegnista di Ricerca Zanellato Ilaria Assegnista di Ricerca Bonarrigo Ilaria Borsista Dipartimento DiSIT DiSIT DiSM DiSM DSF DiSIT DiSM DiSIT DiSM DiSIT DSF DiSIT DiSIT DiSIT DSF DiSM DSF DiSM DiSIT DiSIT 234 Bianco Sabrina Forgacs Attila Fregonese Federico Guanci Claudia Giani Arianna Perin Elena Tinello Stefano Cassino Claudio Musso Davide Dottorando Dottorando Dottorando Dottorando Dottorando Dottorando Dottorando Tecnico D Tecnico C DiSIT DiSIT DiSIT DSF DSF DiSIT DiSIT DiSIT DiSIT DiSIT: Dipartimento di Scienze e Innovazione Tecnologica DiSM: Dipartimento di Scienze Mediche DSF: Dipartimento di Scienze del Farmaco UNITA’ DI RICERCA DI PISA Personale Qualifica Da Settimo Federico Prof. Ordinario Macchia Marco Prof. Ordinario Martini Claudia Prof. Ordinario Concettina La Motta Prof. Associato La Mendola Diego Prof. Associato Orlandini Elisabetta Prof. Associato Rossello Armando Prof. Associato Biver Tarita Ricercatore D’Andrea Felicia Ricercatore Da Pozzo Eleonora Ricercatore Gabbiani Chiara Ricercatore Marchetti Fabio Ricercatore Nencetti Susanna Ricercatore Nuti Elisa Ricercatore Salerno Silvia Ricercatore Taliani Sabrina Ricercatore Trincavelli Maria Letizia Ricercatore Barresi Elisabetta Assegnista di Ricerca Giacomelli Chiara Assegnista di Ricerca Camodeca Caterina Post-doc Ciccone Lidia Dottoranda Cuffaro Doretta Dottoranda Rosalia Lea Dottoranda Dipartimento Dipartimento di Farmacia Dipartimento di Farmacia Dipartimento di Farmacia Dipartimento di Farmacia Dipartimento di Farmacia Dipartimento di Farmacia Dipartimento di Farmacia Dip.to di Chim e Chim. Ind. Diaprtimento di Farmacia Dipartimento di Farmacia Dip.to di Chim e Chim. Ind. Dip.to di Chim e Chim. Ind. Dipartimento di Farmacia Dipartimento di Farmacia Dipartimento di Farmacia Dipartimento di Farmacia Dipartimento di Farmacia Dipartimento di Farmacia Dipartimento di Farmacia Dipartimento di Farmacia Dipartimento di Farmacia Dipartimento di Farmacia Dipartimento di Farmacia UNITA’ DI RICERCA POLITECNICA DELLE MARCHE Personale Qualifica Giorgini Elisabetta Ricercatore Sabbatini Simona Ricercatore Conti Carla Tecnico Dipartimento DISVA SIMAU SIMAU DISVA: Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente SIMAU: Dipartimento di Scienze e Ingegneria della Materia, dell'Ambiente ed Urbanistica UNITA’ DI RICERCA DI ROMA “LA SAPIENZA” Personale Qualifica Ercolani Claudio Ex Prof. Ordinario Monacelli Fabrizio Ex Prof. Associato Moretti Giuliano Prof. Associato Donzello Maria Pia Ricercatore 235 Dipartimento Dipartimento di Chimica Dipartimento di Chimica Dipartimento di Chimica Dipartimento di Chimica Sciscione Fabiola Viola Elisa Dottorando Assegnista di Ricerca UNITA’ DI RICERCA DI ROMA “TOR VERGATA” Personale Qualifica Coletta Massimo Prof. Ordinario Fiorucci Laura Prof. Associato Marini Stefano Prof. Associato Santucci Roberto Prof. Associato Erba Fulvio Ricercatore Gambacurta Alessandra Ricercatore Ciaccio Chiara Funz. Tecnico Di Pierro Donato Funz. Tecnico Gioia Magda Funz. Tecnico Fasciglione Giovanni F. Assist. Tecnico Sbardella Diego Borsista Tundo Grazia Raffaella Borsista Dipartimento di Chimica Dipartimento di Chimica Dipartimento Dip. Sci. Clin. e Med. Trasl. Dip. Sci. Clin. e Med. Trasl. Dip. Sci. Clin. e Med. Trasl. Dip. Sci. Clin. e Med. Trasl. Dip. Sci. Clin. e Med. Trasl. Dip. Sci. Clin. e Med. Trasl. Dip. Sci. Clin. e Med. Trasl. Dip. Sci. Clin. e Med. Trasl. Dip. Sci. Clin. e Med. Trasl. Dip. Sci. Clin. e Med. Trasl. Dip. Sci. Clin. e Med. Trasl. Dip. Sci. Clin. e Med. Trasl. Dip. Sci. Clin. e Med. Trasl.: Dip.to di Scienze Cliniche e Medicina Traslazionale UNITA’ DI RICERCA DEL SALENTO Personale Qualifica Dini Luciana Prof. Ordinario Fanizzi Francesco Paolo Prof. Ordinario Schettino Trifone Prof. Ordinario Ciccarese Antonella Prof. Associato Maffia Michele Prof. Associato Marsigliante Santo Prof. Associato Benedetti Michele Ricercatore Lionetto Maria Giulia Ricercatrice Muscella Antonella Ricercatrice Papadia Paride Ricercatore De Riccardis Lidia Dottorando Girelli Chiara Roberta Dottorando Indraccolo Mersia Lucia Dottorando Izzo Daniela Dottorando Urso Emanuela Dottorando Vergallo Cristian Dottorando Carata Elisabetta Assegnista Caricato Roberto Assegnista Coluccia Maria Luce Assegnista Del Coco Laura Assegnista Rizzello Antonia Assegnista Vergara Daniele Assegnista Vetrugno Carla Assegnista De Castro Federica Borsista De Riccardis Lidia Borsista Inguscio Valentina Borsista Latorre Dominga Borsista Toto Claudia Borsista De Pascali Sandra Angelica Tecnico Laureato Giordano Maria Elena Tecnico Laureato Migoni Danilo Tecnico Laureato Dipartimento D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. 236 Moretti Massimo Danieli Antonio Tenuzzo Bernardetta Panzarini Elisa Mosticchio Anna Maria Tecnico Laureato Tecnico Tecnico Contrattista Collaboratore Tecnico D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A. D.I.S.T.E.B.A.: Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali UNITA' DI RICERCA DI SIENA Personale Campiani Giuseppe Cini Renzo Valensin Gianni Anzini Maurizio Laschi Franco Savini Luisa Butini Stefania Casolaro Mario Fabrizi de Biani Fabrizia Gemma Sandra Germano Giuliani Valensin Daniela Corsini Maddalena Gaggelli Nicola Draghi Sara Qualifica Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Ricercatore Ricercatore Ricercatore Ricercatore Ricercatore Ricercatore Tecnico Laureato Tecnico Laureato Tecnico Dipartimento Dip. Farmaco-Chimico-Tecnol. Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. Farmaco-Chimico-Tecnol. Dip. di Chimica Dip. Farmaco-Chimico-Tecnol. Dip. Farmaco-Chimico-Tecnol. Dip. Farmaco-Chimico-Tecnol. Dip. di Chimica Dip. Farmaco-Chimico-Tecnol. Dip. Farmaco-Chimico-Tecnol. Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica UNITA’ DI RICERCA DI TORINO Personale Aime Silvio Terreno Enzo Dastrù Walter Delli Castelli Daniela Reineri Francesca Alberti Diego Arena Francesca Catanzaro Valeria Longo Dario Stefania Rachele Boffa Cinzia Canapè Carolina Di Gegorio Enza Ferrauto Giuseppe Garello Francesca Bardini Paola D’angeli Luca Esposito Giovanna Consolino Lorena Pagoto Amerigo Ruggiero Maria Rosaria Geninatti Crich Simonetta Gianolio Eliana Viale Alessandra Qualifica Prof. Ordinario Prof. Associato Ricercatore Ricercatore Ricercatore Post-Doc Post-Doc Post-Doc Post-Doc Post-Doc PhD Student PhD Student PhD Student PhD Student PhD Student Assegnista Assegnista Assegnista Borsista Borsista Borsista Tecnico Laureato Tecnico Laureato Tecnico Laureato Dipartimento Dip. di Biot. Mol. e Sci. per la Sal. Dip. di Biot. Mol. e Sci. per la Sal. Dip. di Biot. Mol. e Sci. per la Sal. Dip. di Biot. Mol. e Sci. per la Sal. Dip. di Biot. Mol. e Sci. per la Sal. 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Mol. e Sci. per la Sal.: Dip. di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute 237 UNITA’ DI RICERCA DI TRIESTE Personale Sava Gianni Alessio Enzo Dreos Renata Geremia Silvano Iengo Elisabetta Milani Barbara Zangrando Ennio Bergamo Alberta Gianferrara Teresa Tavagnacco Claudio Brancatelli Giovanna De Baseggio Paolo Qualifica Prof. Ordinario Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. a contratto Ricercatore Ricercatore Borsista Tecnico Dipartimento Dip.to di Scienze della Vita Dip.to di Sci. Chim. Farmac. Dip.to di Sci. Chim. Farmac. Dip.to di Sci. Chim. Farmac. Dip.to di Sci. Chim. Farmac. Dip.to di Sci. Chim. Farmac. Dip.to di Sci. Chim. Farmac. Dip.to di Scienze della Vita Dip.to di Sci. Chim. Farmac. Dip.to di Sci. Chim. Farmac. Dip.to di Sci. Chim. Farmac. Dip.to di Sci. Chim. Farmac. 238