Roggia, Pensare per analogie, similitudini e metafore

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Roggia, Pensare per analogie, similitudini e metafore
Carlo Enrico Roggia
La lingua della poesia
nell’età dell’illuminismo
Carocci editore
1a edizione, agosto 2013
© copyright 2013 by Carocci editore S.p.A., Roma
Realizzazione editoriale: Progedit Srl, Bari
Finito di stampare nell’agosto 2013
dalla Litografia Varo (Pisa)
ISBN
978-88-430-0000-0
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Pensare per analogie:
similitudine e metafora nell’Ossian
Qu’Ossian soit ancien ou non, il le sera toujours par le
style. Ceux qui le jujent de ce côté-ci sont bien sûrs de
ne s’y pas méprendre.
Cesarotti, lettera a J. Macpherson
6.1. Ha scritto efficacemente Francesco Orlando (1997) che la metafora,
dopo essere stata regina delle figure nel barocco europeo, vive nel Settecento in un regime di «libertà sorvegliata». L’eredità della contestazione antibarocca condotta tra Sei e Settecento dal razionalismo preilluminista pesa infatti a lungo sul gusto settecentesco, ispirando tra l’altro
una tendenziale diffidenza nei confronti dell’uso dei traslati in generale
e della metafora in particolare. Le basi di tale contestazione sono, prima
che di gusto, conoscitive e filosofiche: la metafora, in quanto fenomeno
che attenta al principio di identità, era venuta in sospetto perché razionalmente regressiva; lo “stile figurato” era stato via via associato all’errore ragionativo e alla menzogna, e come tale respinto, per essere infine
relegato all’estrema periferia della civiltà: l’oriente delle Lettres persanes
e di Zadig dove, diceva Voltaire, «il semble que [...] on n’ait presque jamais parlé que pour ne pas être entendu» 1. La metafora, confinata entro
l’ambito poetico, era sopravvissuta all’offensiva razionalista regolarizzata e convenzionale: una metafora “saggia”, come l’ha definita Orlando
in contrapposizione alla metafora “pazza” del barocco; è la metafora
limpida, coerente e improntata a rigorosa distinzione di piani del Muratori teorico e delle arie del Metastasio 2. Questa metafora “ragionevole”
cara al gusto settecentesco obbedisce ad alcuni principi regolatori largamente condivisi, che potremmo così elencare:
1. «Les Orientaux ont toujours prodigué la métaphore sans mesure et sans art. On
ne voit dans leurs écrits que des collines qui sautent, des fleuves qui sèchent de crainte,
des étoiles qui tressaillent de joie. Leur imagination trop vive ne leur a jamais permis
d’écrire avec méthode et sagesse; [...]. Il semble que dans ces pays on n’ait presque jamais
parlé que pour ne pas être entendu» (Connaissance des beautés et des défauts de la poésie
et de l’éloquence dans la langue française, cit. in Orlando, 1997, p. 50).
2. Cfr. Orlando (1997, pp. 235-43); su Metastasio, soprattutto Benzi (2005, pp. 230-43).
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a) trasparenza semantica: «nelle belle Metafore – scrive Muratori – il
nome trasportato ci conduce per la chiarezza della simiglianza a facilmente intendere l’altra cosa» (Perfetta poesia, p. 303);
b) distinzione dei piani: bisogna evitare che l’associazione di comparante e comparato sconfini dagli attributi comuni a quelli non comuni,
applicando al comparato proprietà che sono solo del comparante, e viceversa. Se si compara l’amore al fuoco, «stolta cosa è dappoi l’attribuire all’Amore, o sia a questo Fuoco immaginario, tutte le qualità naturali
del Fuoco Vero», ad esempio che «possa asciugare, scottare, ed ammorzarsi con acqua, come accade al Fuoco naturale» (ivi, p. 337: è il principio su cui si basava il concetto barocco) 3;
c) bassa intensità, nel senso di moderazione nello sviluppo descrittivo
dei traslati e nel loro accumulo: «le Traslazioni stesse debbono essere
modeste, non troppo amplificate, né può fabbricarsi una Traslazione sopra Traslazione» (ivi, p. 336);
d) coerenza sintagmatica: l’associazione di più metafore deve rispettare
alcuni requisiti di compatibilità tra i figurati, che non devono appartenere a campi semantici troppo lontani né avere proprietà conflittuali,
«comme si l’on disoit d’un orateur – l’esempio è di Du Marsais –, c’est
un torrent qui s’alume, au lieu de dire, c’est un torrent qui entraine» (Des
tropes, pp. 140-1) 4.
Assai prima dell’Ottocento romantico, tuttavia, che segna su nuove
basi una rivincita della metafora, i poemi di Ossian si caratterizzano in pieno Settecento illuminista per un uso ben altrimenti spregiudicato dei traslati, aprendo uno spiraglio su una vicenda che è di fatto un po’ più complessa di quella appena schizzata. Nel celebre “falso” di Macpherson,
comparso in inglese tra il 1760 e il 1763 e immediatamente tradotto dal giovane Cesarotti 5, praticamente nessuno dei principi sopra menzionati è generalmente valido: la metafora (e la similitudine, in stretta relazione, come subito vedremo) vi è usata in modo ampio e intensivo, non di rado semanticamente opaco o ambiguo, non sempre coerente; spesso ricercando
deliberatamente la fusione più che la distinzione razionalista dei piani.
3. Cfr. Orlando (1997, pp. 236-7).
4. Trascuro la prescrizione di origine classica (Cicerone, Quintiliano) di evitare paragoni tratti da ambiti “bassi” o “sconvenienti”, comune a molti trattatisti (Perfetta poesia, p. 289; Des tropes, p. 138) e presente anche in alcune note di Cesarotti all’Ossian (Fg I
435 e IV 154), ma estranea al discorso che qui si svolge.
5. Per la storia editoriale dell’Ossian inglese e della traduzione cesarottiana, cfr. CAP. 5,
nota 3. Diversamente da quanto fatto nel precedente saggio, il testo sarà dato qui secondo la
lezione definitiva consegnata ai voll. II-V dell’edizione pisana delle Opere di Cesarotti (1801).
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L’Ossian apre dunque una breccia nel sistema retorico e stilistico del
classicismo settecentesco, ed è evidente che una tale possibilità gli è aperta solo in virtù del suo preteso collocarsi all’esterno del sistema letterario
settecentesco: un esterno sia geografico (il Nord anticlassico), sia antropologico (un’umanità arcaica, situata agli albori della società e del linguaggio). Tuttavia, come ben sappiamo, tale posizione è in buona parte
frutto di un falso perpetrato a tavolino, a partire sì da fonti manoscritte e
orali, ma interpretate e rielaborate sulla spinta di forti a priori culturali:
così è appunto per il linguaggio, che solo in parte può dirsi modellato su
quello delle ballate gaeliche maneggiate dal Macpherson, il resto essendo
attribuibile a una sintesi originale influenzata dagli schemi concettuali sul
primitivo e sulle lingue arcaiche messi a disposizione dalla cultura del tempo 6. Le radici dell’idiosincrasia linguistica e stilistica dell’Ossian (e ciò vale sia in generale che specialmente nel campo della figuralità che qui si indaga) vanno dunque cercate a loro volta nella riflessione estetica e linguistica del Settecento. Decisiva, in questo senso, appare l’abbondante speculazione intorno allo sviluppo e all’evoluzione del linguaggio umano maturata nella prima metà del secolo all’incrocio di correnti di lunga durata
nella storia del pensiero europeo, quali la disputa tra gli Antichi e i Moderni e l’affermarsi, con l’empirismo lockiano, del problema filosofico
dell’origine del linguaggio 7. Uno dei cardini di questa riflessione, che ritroviamo come denominatore comune di speculazioni anche assai diversamente orientate, è appunto l’idea “vichiana” di un’infanzia dell’umanità
come condizione caratterizzata dalla preponderanza delle facoltà immaginative e fantastiche su quelle razionali, e perciò votata a forme di comunicazione intrinsecamente e spontaneamente poetiche 8.
6. Cfr. Moore (2004, p. XLIV): «As for the second question [from whence can
Macpherson’s style be most accurately traced], the issue seems to be a question of the
relative weight placed on inspiration from Gaelic balladry and on eighteenth-century
understandings of the poetic structure of ancient verse». In generale cfr. Moore (2004,
pp. I-XLVIII) e Gilardino (1982, pp. 33-55) per un resoconto dell’ambiente culturale entro
cui avvenne l’elaborazione dell’Ossian inglese; Thomson (1952) per il rapporto del testo
inglese con le fonti gaeliche.
7. Cfr. rispettivamente Fumaroli (2005) e Aarsleff (1984).
8. Cfr. Vico: «I primi popoli della gentilità, per una dimostrata necessità di natura,
furon poeti, i quali parlaron per caratteri poetici» (Scienza Nuova, p. 440). Ma con varie
sfumature lo stesso principio si rintraccia nelle opere di Wartburton, Condillac, Rousseau, Blair e nell’Encyclopédie. Il problema della diffusione di idee “vichiane” in pensatori e aree (in particolare Inghilterra e Scozia) estranei a ogni conoscenza diretta del pensatore napoletano è un vero topos della storia delle idee, su cui cfr. Wellek (1969) e Rossi
(1999, in particolare pp. 279-80 e 333-96), da risolversi nei termini di una poligenesi a partire da fonti comuni. Cfr. anche PAR. 6.7 per ulteriori rimandi bibliografici. Gilardino
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In questo quadro di pensiero, che costituisce il punto di partenza per
qualsiasi indagine linguistica sull’Ossian, quelle che i moderni chiamano
figure di stile non sarebbero in origine che prodotti spontanei della natura, modalità necessarie dell’esprimersi che il successivo sviluppo della razionalità e del pensiero discorsivo ha progressivamente circoscritto all’ambito del linguaggio poetico. Come scrive nella sua Critical Dissertation
on the Poems of Ossian, the Son of Fingal (1765), Hugh Blair, il professore
scozzese che fu il primo autorevole mentore dell’operazione ossianica 9,
le figure sono comunemente considerate come modi artifiziali di parlare, immaginati dagli Oratori e dai Poeti, dopo che il mondo fu giunto allo stato di raffinamento. La verità è che la cosa è tutta all’opposto. Gli uomini non hanno mai usate
tante figure di stile, quanto in quei secoli rozzi, nei quali, oltre alla forza d’una fervida immagginazione che suggeriva loro immaggini vivaci, la scarsezza dei propri
e precisi termini per l’idee che volevano esprimere, gli obbligava a ricorrere alla circonlocuzione, alla metafora, alla comparazione, e a tutte quelle forme sostitutive
d’espressione che trasfondono nel discorso un’aria poetica (Dissertazione, p. 53).
Queste idee, appunto, circolavano in Europa fin dalla prima metà del secolo. Quando sulla scena europea fece la sua comparsa l’Ossian, il fitto intreccio di antropologia, linguistica ed estetica, che nelle opere dei filosofi
del primo e medio Settecento si era fatto sistema, ne divenne la naturale
chiave d’accesso e nello stesso tempo ricevette da quei testi, che parevano scaturire direttamente da un mondo arcaico, una sostanziale conferma: con Ossian, più ancora che con Omero, parve al civilizzatissimo secolo dei Lumi di avvicinarsi ai primordi del linguaggio e della società, e
insieme di scendere fino alle autentiche radici del poetico. Naturalmente
è impossibile a posteriori non rilevare il fondamentale equivoco di queste
posizioni: perché l’idea di antichità che si trova realizzata così compiutamente nei poemi del bardo scozzese era in fondo la stessa che aveva dato
(1982, pp. 35-6) e Moore (2004, pp. XXX-XXXII) documentano la presenza dei temi fondamentali del primitivismo (compresi i topoi sul linguaggio figurato) nel dibattito critico sul
gaelico anteriore a Macpherson, il cui accesso a queste idee, in particolare relativamente
ai caratteri delle lingue antiche, è provato (se non altro) dalla stretta collaborazione con
Hugh Blair, di cui parleremo subito.
9. Blair aveva scritto la presentazione ai Fragments of Ancient Poetry Collected in the
Highlands of Scotland (1760), prima uscita a stampa dei testi ossianici del Macpherson;
comparsa in prima edizione nel 1763, la Critical Dissertation fu ampiamente rimaneggiata
e aggiunta all’Ossian del 1765, seguendolo poi in tutta Europa: la citazione a testo è secondo la traduzione inclusa da Cesarotti nell’Ossian del 1772. Per i rapporti BlairMacpherson cfr. Gilardino (1982, p. 48) e Moore (2004, pp. XLIII-XLVIII).
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forma al lavoro di confezione di quei poemi da parte del Macpherson; il
Settecento ritrova così in Ossian quello che vi aveva immesso, in una curiosa petizione di principio, che però costituisce allo stesso tempo anche
un caso assai interessante di intreccio fra teoresi e scrittura letteraria.
6.2. A un secondo livello, un fitto intreccio di teoresi e scrittura, testimoniato da una quantità di note e osservazioni al testo, caratterizza anche l’operare di Cesarotti che tra il 1762 e il 1772 traduce in versi italiani
le prose del Macpherson. Come hanno mostrato Bigi (1959) e Battistini
(2004), è soprattutto attraverso la Scienza Nuova e le teorie vichiane che
Cesarotti legge e interpreta l’Ossian: un po’ com’era accaduto in prima
istanza al Macpherson, queste gli garantiscono sia una chiave d’accesso
(perfetta, ormai) per il mondo arcaico degli antichi caledoni che gli giungeva filtrato dalla ricostruzione del letterato scozzese, sia alcune fondamentali coordinate per orientare retoricamente e stilisticamente la propria resa linguistica in italiano. Una resa che, com’è noto, è proverbialmente libera e appropriativa, opera di un mediatore che definisce sé
stesso (nel Discorso premesso all’Ossian del 72) «un personaggio di
mezzo tra il traduttore e l’autore». Tale atteggiamento era legittimato da
una teoria della traduzione che privilegiava la fedeltà allo spirito dell’opera rispetto alla lettera, ma anche (soprattutto) dal particolare statuto
del testo di Macpherson: non un originale, ma a sua volta la traduzione
di un originale inaccessibile. Questo contribuiva a dispensare dalla fedeltà il traduttore italiano eventualmente autorizzandolo a scavalcare il
suo ipotesto diretto ricercando il vero originale oltre il testo inglese10: il
che naturalmente poteva avvenire solo sulla base delle evasive indicazioni offerte dalle note di Macpherson, e soprattutto di una ricostruzione “filosofica” della personalità e dello stile del bardo scozzese nuovamente nei termini delle teorie sull’antico di cui sopra.
Si veda a titolo di esempio cosa scrive Cesarotti proprio a proposito
delle comparazioni (metafore e similitudini), pressoché in limine alla raccolta, in un’osservazione al Fingal (I 87):
Ossian è abbondantissimo di comparazioni: qualità la quale è comune ai poeti
più antichi di tutte le nazioni. L’imperfezion della lingua le introdusse, e il grande effetto che fanno, le accreditò nella poesia. La loro soverchia frequenza può
bene esser disapprovata dai critici che meditano a sangue freddo: ma qualora
questo magnifico difetto ci si presenta, esso abbaglia e seduce nel punto che si
10.Così Baldassarri (1989-90, I, p. 49). Desumo da Genette (1997) l’uso occasionale di
ipotesto per indicare l’originale da cui è tratta una traduzione-adattamento.
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vorrìa condannarlo; e il sentimento, com’è dritto, la vince sopra il riflesso. Giova qui di osservare che lo spirito di comparazione è forse la qualità più essenziale della poesia. L’ufizio del poeta, come rappresentatore fantastico, è di raccoglier tutte le somiglianze delle cose: e il corpo del linguaggio poetico è in gran
parte composto di comparazioni ristrette.
Ritroviamo qui in forma compendiaria le idee cui si è accennato sopra,
ma soprattutto una decisa apologia dello stile metaforico di Ossian, che
l’abate sentiva evidentemente esposto a censura in nome dei principi razionalisti menzionati in apertura del paragrafo precedente. Ciò che è notevole in questo passo, tuttavia, è soprattutto che l’esuberanza comparativa viene difesa non solo sulla base di un criterio per così dire di storicità
(giustificandola cioè come connaturata alle lingue antiche), ma più sulla
base di motivazioni estetiche generali: la superiorità in poesia del sentimento sul riflesso, e soprattutto il carattere intrinsecamente comparativo
della stessa attività poetica e del suo linguaggio; come se in virtù della sua
vicinanza all’origine poetica della lingua, Ossian fosse portatore nel suo
modo di esprimersi e nel suo stile di caratteri profondi dell’espressione
poetica tout court, universali e dunque validi anche per l’oggi. È questo
un aspetto rilevante della questione ossianica, che interessa il ruolo dell’Ossian come modello linguistico e la sua ricezione entro il dibattito, vivace in Italia a metà secolo, sul rinnovamento della poesia e del suo linguaggio cui Cesarotti (come si è ben visto nel CAP. 5) fu certamente sensibile. Così anche nell’abate padovano analisi filosofica del linguaggio e
pratica di una scrittura poetica secondo schemi innovativi rispetto alla
tradizione finiscono per costituire due facce della stessa medaglia.
Questa consistente serie di premesse la dice lunga sulla complessità
dei problemi posti da un’analisi linguistica dell’Ossian italiano. Le pagine seguenti affrontano il tema da due punti di vista diversi e complementari 11: dapprima (PARR. 6.3-6.8) prendendo in considerazione il solo
testo italiano, al di qua di ogni distinzione di responsabilità tra autore e
traduttore, e per così dire nell’autonomia delle sue strutture (ma sempre
citando l’originale inglese accanto agli esempi italiani); in un secondo
momento (PARR. 6.9-6.10) considerando invece i modi della traduzione
cesarottiana, ossia del percorso che conduce dall’originale inglese al testo italiano. Si tratta di due approcci appunto complementari e ugualmente necessari, il primo dei quali si giustifica soprattutto in nome di
due ragioni: la prima è la spiccata autonomia dell’Ossian italiano che,
11. Gli stessi già enunciati nel PAR. 5.1, punto a.
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PENSARE PER ANALOGIE : SIMILITUDINE E METAFORA NELL’ OSSIAN
svincolato per le ragioni viste sopra da un legame di stretta dipendenza
dal suo ipotesto e privato di ogni possibile riscontro con l’autentico originale, finisce per vivere sostanzialmente di vita propria; la seconda è l’esigenza metodologica di evidenziare nell’analisi i rapporti che intercorrono tra l’Ossian italiano e il suo autore implicito, il bardo Ossian, così
come costruiti dal dibattito critico e presentati ai lettori nelle introduzioni e annotazioni varie che costellano le edizioni cesarottiane. Questa
relazione fu infatti prioritaria nella ricezione dell’opera, ed è imprescindibile per il suo inserimento nel dibattito critico e retorico italiano.
6.3. Entriamo dunque nel merito 12. Similitudini e metafore formano nell’Ossian un sistema compatto, come vedremo: tuttavia, per ragioni di comodità espositiva, verrà considerata dapprima separatamente la similitudine per poi progressivamente estendere il discorso alla metafora.
La similitudine associa all’immagine primaria (comparato) una o più
immagini secondarie (comparanti), istituendo un rapporto di analogia;
in questo modo essa agisce alla stregua di un moltiplicatore di sensazioni e di un potente stimolo all’immaginazione: poteva quindi essere vista
come un tipico prodotto dell’esuberanza immaginativa del poeta arcaico, diventando uno dei terreni privilegiati dell’incontro-scontro tra
Omero e Ossian, i due grandi primitivi. Rifare ora questo vessatissimo
confronto può consentire di mettere in luce da un punto di vista per così dire interno al dibattito settecentesco i caratteri della similitudine ossianica, che al di fuori delle frequenti coincidenze risulta obbedire a una
logica in buona parte diversa da quella dell’epica classica.
Iniziamo da alcune osservazioni quantitative. Innanzitutto Ossian ricorre alla similitudine molto più spesso di Omero: le similitudini si presentano nell’Ossian sovente in cumuli, con più similitudini aggregate intorno a uno stesso comparato o riferite a comparati narrativamente contigui, fino a formare in alcune zone del testo un tessuto compatto. Se n’era accorto già Blair, che aveva osservato che di similitudini «ve ne sono in
questa Raccolta per lo meno tante quante in tutta l’Iliade d’Omero, benché questa sia un’opera più lunga» (Dissertazione, p. 173) 13. In realtà, an12. Il lavoro si basa sullo spoglio sistematico nel testo inglese e italiano (nell’edizione definitiva del 1801) di Fingal, Comala, La morte di Cucullino, Dartula, Temora, Oscar e
Dermino, Sullmalla, Callin di Cluta, Carritura, Cartone, I canti di Selma: nel complesso
più della metà del corpus ossianico, con testi apparsi sia nel 1763 che nel 1772). Sugli altri
poemi sono state effettuate schedature non sistematiche a fini di controllo.
13. Così Cesarotti; l’originale andava oltre: «as many, at least, as in the whole Iliad
and Odyssey of Homer» (Gaskill, 1996, p. 384).
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che solo nei due principali poemi epici inclusi nella traduzione di Cesarotti, Fingal e Temora, troviamo ben 400 similitudini esplicite: 222 nei tremila versi del primo e 178 nei quasi quattromila del secondo; nei primi tremila versi dell’Iliade le similitudini sono invece 56, e 328 in tutto il poema
(15.693 esametri) 14. Lo stesso Blair aveva anche osservato che a compenso della loro maggiore frequenza rispetto ai poemi omerici, le similitudini di Ossian «interrompono poco la sua narrazione» (ibid.). Di fatto le similitudini ossianiche sono mediamente più ridotte di quelle omeriche:
abbondano soprattutto le similitudini brevi («In mezzo a mille, / qual balena che ’l mar frange col pondo, / slanciasi» Fg II 238-240) e minime («Cucullin recide / come cardi gli eroi» Fg II 247-248), tipicamente integrate
nella compagine sintattica e discorsiva del testo. Non che manchi dai poemi ossianici la similitudine estesa tipica dell’Iliade, prolungatamente descrittiva e isolata dalla compagine narrativa come pezzo a sé stante, ma
questa similitudine, frequente soprattutto nel più tardo Temora, emerge
da un tessuto i cui valori medi sono piuttosto attestati sulla similitudine
breve e discorsiva, che appartiene alla normalità del testo 15. Un ultimo
confronto che interessa fare riguarda la distribuzione delle similitudini
tra le diverse voci della narrazione. Nell’Iliade vige infatti la preoccupazione di riservare le similitudini alla voce oggettiva e impersonale del narratore: solo 30 su 328 (il 9%) compaiono nelle parti mimetiche del testo,
e si tratta per lo più, com’è ovvio, di similitudini brevi e minime. Nell’Ossian viceversa non v’è traccia di preoccupazioni analoghe, qui anzi sono proprio i discorsi riportati a contenere il maggior numero di similitudini: 119 su 222 (54%) nel Fingal, e 95 su 178 (53%) in Temora 16.
L’ultimo dato si inserisce in una tendenza di fondo dell’Ossian, che è
quella ad avvicinare la voce del narratore a quella dei personaggi, assotti14. Mentre sono 121 quelle dell’Odissea (12.110 esametri): faccio riferimento per i poemi omerici alle tabelle di Lee (1964, pp. 50-61); nel calcolo relativo a Ossian sono inclusi
anche i paragoni con modalizzatore essere (tipo X è Y): 18 nel Fingal e 26 in Temora. Come vedremo (PAR. 6.9), il passaggio dal testo inglese a quello italiano non incrementa, semmai diminuisce le similitudini a favore delle metafore.
15. Alcuni dati numerici: nell’Iliade sono il 36% del totale le similitudini di estensione
non superiore a un verso; nel Fingal sono il 57% e il 43% in Temora: pur essendo l’endecasillabo più breve sillabicamente dell’esametro (calcoli sempre basati sulle tabelle di Lee,
1964). Nell’Odissea il valore sale fino al 60%, ma il secondo poema omerico conta in questo caso assai meno del primo come termine di confronto proprio a causa del suo impiego
moderato e complessivamente blando delle similitudini (per cui cfr. ancora Lee, 1964).
16. Il dato resta significativo anche se si tiene conto dell’incidenza del discorso riportato all’interno del testo: altissima in Ossian (2.043 versi su 3.000 in Fingal, il 68%; 2.185
su 3.966, il 55%, in Temora: cfr. per questo aspetto Roggia, 2007), ma alta già nell’Iliade
(7.344 versi su 15.693: il 47%).
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gliando il confine tra diegesi e mimesi, entrambe portate verso una sorta
di oralità mimata di tono enfatico e oratorio; ma l’insieme dei dati appena illustrati porta soprattutto a una conclusione di ordine generale: la similitudine nell’Ossian appartiene alla normalità comunicativa più che all’eccezionalità dei procedimenti retorici; è cioè intesa come un procedimento linguistico connaturato al discorso, necessario all’espressione.
6.4. Spostiamo ora il confronto su un piano qualitativo. Innanzitutto le
similitudini dell’Ossian risultano assai più ripetitive di quelle omeriche,
essendo più limitato sia il repertorio dei comparati, sia quello delle situazioni narrative e descrittive cui si applicano. I detrattori di Ossian
non mancarono di osservarlo, ma si trattava di un limite in certo modo
necessario una volta recepito il postulato empirista dell’origine esperienziale delle idee: necessariamente povero è il repertorio di immagini
a disposizione di un popolo che non ha mosso che i primi passi sulla via
della civiltà, tanto più se costretto a vivere in un ambiente poco variato
quale quello nordico; povero, di conseguenza, anche il repertorio lessicale e sintattico del suo codice espressivo 17. Coerentemente con queste
premesse, è quindi la natura il grande serbatoio da cui sono tratte pressoché tutte le similitudini ossianiche. Uno dei più tipici contributi dell’Ossian all’imagery romantica, il paesaggio nordico verde, semisepolto
nelle brume o agitato da una natura violenta e da bruschi contrasti luministici, entra nell’immaginario europeo anche attraverso il mezzo delle similitudini; e con esso una nuova sensibilità per la corrispondenza
emotiva tra natura e interiorità, non di rado esplicitamente promossa
proprio per via di similitudine: «Siccome pioggia del mattin, che lenta /
scende soavemente in valle erbosa, / mentre pian pian la diradata nebbia / lascia libero il varco al nuovo sole, / tale all’anima mia scende il tuo
canto» (Tm II 535-540).
Passiamo dunque in rassegna i principali campi nozionali e semantici dei paragoni ossianici 18:
17. Cesarotti: «Non può negarsi che non si trovi qualche uniformità nelle comparazioni di Ossian. Ma questo difetto non è più suo che degli altri più antichi poeti, e distintamente di Omero. Ossian per altro ha dei titoli ben più giusti di lui per giustificarsi
appresso i lettori discreti. La sfera dell’idee del poeta celtico doveva essere senza confronto più ristretta che quella del greco. La natura e l’arte erano più feconde delle loro
ricchezze per Omero, di quello che fossero per Ossian e gli presentavano molto maggior
copia d’oggetti di tutti i generi» (osservazione a Fg IV 154).
18. Sono costretto a omettere salvo rare eccezioni il rinvio ai testi, che per ogni comparante comporterebbe la menzione di diversi luoghi.
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LA LINGUA DELLA POESIA NELL’ ETÀ DELL’ ILLUMINISMO
Tra gli ambiti più frequentemente sollecitati troviamo il mondo vegetale, con boschi e piante d’alto fusto (querce e pini), vegetazione palustre (giunchi, canne), tipicamente nordica (cardi); rarissima, invece, la similitudine lirica del fiore. Un
numero limitato di comparanti, ma ad alta ricorrenza, rimanda al mondo animale, quasi sempre chiamato a rappresentare il singolo eroe isolato (aquila, cervo, capriolo, ma anche balena, tipica espressione di dismisura nordica); l’ape è
montana (Fg II 231) e isolata, tutt’altro dall’animale sociale virgiliano; episodico
anche il riferimento allo stormo di uccelli in volo (Fg II 136-138); il corvo è comparante per il nero richiesto ai capelli femminili da un canone estetico ribaltato
rispetto ai clichés di tradizione medievale. Il gruppo più numeroso di comparanti
appartiene tuttavia all’ambito dei fenomeni atmosferici, specie se estremi e come tali adeguati all’iperbole e all’elazione tipiche delle descrizioni belliche dell’Ossian: tra questi, la tempesta o bufera che colpisce il bosco o il mare. In associazione ad essa o isolatamente trovano spazio vari fenomeni atmosferici correlati: vento, folgore (talora meteora, calco dell’ingl. meteor 19 a volte reso anche con
vapore), lampo (o baleno, ma spesso ancora meteora), tuono, nubi, accumulate o
isolate, trasportate dai venti o incombenti e foriere di temporali. Compaiono anche fenomeni che mettono in scena una natura più pacata e malinconica, a tratti opprimente, ma talora idillica: la nebbia, elemento caratterizzante del paesaggio nordico, può fare da ostacolo alla luce solare, lambire un colle o una pianura, oppure ristagnare su una palude (in questo caso spesso vapore, ingl. vapour);
la pioggia ha generalmente connotati vivificanti; l’arcobaleno (arco piovoso, o con
mediazione francese arco del cielo) è immagine ricorrente di bellezza e giovinezza, specialmente maschile. Il vento ha talora anche valore debole e positivo di
brezza (aura piacevole o gentile, spesso in associazione a un immaginario e a un
repertorio lessicale tipicamente arcadici); infine, la caduta della neve in un paesaggio attonito e silenzioso è efficace comparante, anche tonale, per descrivere
la morte femminile in Fingal e Dartula (rispettivamente III 123-127 e 580-581).
Sono strettamente legati al mondo dei fenomeni naturali, fino a essere talora indistinguibili da essi, anche i comparanti attinti (come già nell’epica classica) dalla sfera religiosa: le manifestazioni del soprannaturale sono infatti quasi
sempre legate nell’Ossian agli spiriti o alle ombre (spettri) dei trapassati, entità
incorporee che risiedono nell’aria e si rendono visibili foggiando antropomorficamente nubi e altri elementi atmosferici, cosicché la loro rappresentazione non
fuoriesce dalla sfera degli elementi naturali, e si fa ricondurre in particolare a
quella dei fenomeni meteorici (tempesta, folgori, nubi, nebbia), spesso confondendosi con essa.
Più in generale, grandi protagonisti della natura ossianica sono l’acqua e il
fuoco. La prima, presente nella maggior parte dei fenomeni atmosferici evocati
sopra, ha un ruolo caratterizzante nel paesaggio nordico: il mare e il lago sono
tra i comparanti più evocati, spesso in associazione alla tempesta, ma anche come superfici su cui si riflette la luce notturna degli astri (Tm II, 266-268 ecc.); i
19. Cfr. PAR. 5.5.
156
6.
PENSARE PER ANALOGIE : SIMILITUDINE E METAFORA NELL’ OSSIAN
fiumi (rivi) e i torrenti sono quasi sempre colti in momenti di impeto o piena, a
evocare fragore o azioni belliche smisurate, ma anche stati d’animo opposti di
gioia (Fg IV 459-460; Tm VIII 320) o tristezza (Tm VIII 331-332). Talora l’acqua si
rapprende in ghiaccio, e il paesaggio che ne scaturisce, immagine di una forza
sorprendentemente bloccata nell’atto stesso del suo esplicarsi, riesce di potente
novità (Tm VIII 1-14). Il fuoco è invece nelle folgori e nei lampi già menzionati,
ma soprattutto prende la forma dell’incendio devastatore di boschi o della colonna di fuoco, a rappresentare l’eroe in azione o la mischia della battaglia; la
fiamma isolata è talora figurante degli occhi, dell’animo e dell’energia vitale, se
non addirittura, con efficacia visionaria, dei capelli sciolti di Cucullino in corsa
(«Volagli fuor come vibrante fiamma / del capo il crin» Fg I 367: «His hair flies
from his head like a flame»).
A completare il paesaggio schiuso al lettore dalle similitudini ossianiche, intervengono infine gli elementi orografici e minerali (monti, rupi e scogli, tutti figuranti per l’eroe isolato), e naturalmente i corpi astrali, privi del tradizionale corredo mitologico e restituiti a un naturalismo più immediato. Prevale numericamente il sole, o i suoi raggi, immagini di forza maschile o di bellezza femminile; ma
è soprattutto il cielo notturno a dare il tono a molte delle più celebri similitudini
ossianiche: la conca stellata, le singole stelle, comparanti di eroi o fanciulle (e le stelle cadenti ne rappresentano all’occorrenza la morte); infine la luna, «la quale è molto frequentemente introdotta nelle sue comparazioni siccome nelle contrade Settentrionali, ove le notti sono lunghe, la Luna è un oggetto d’attenzione più grande di quello che nel clima d’Omero» (Blair, Dissertazione, p. 176). L’astro compare come atteso comparante di bellezza femminile, ma anche in associazioni meno
scontate, ad esempio a rappresentare gli scudi dei guerrieri nell’oscurità (Fg I 2122, II 300-302, Tm I 69-70 ecc.), l’aspetto sereno di un eroe (Fg VI 231-234), il seno
intravisto dietro la veste (Fg I 579-580). Sorprendentemente nuova è la similitudine di MdC 88-91 dove la luna crescente oscurata da un’eclissi è comparante per il
destino spezzato del giovane Cormac: «Fosca alle spalle / già la morte ti sta, come
di Luna / tenebrosa metà, che alla crescente / luce sta dietro, e la minaccia e preme» («Death stands dim behind thee, like the darkened half of the moon behind
its growing light»). Sorprende, la similitudine, non solo per l’esattezza e la molteplicità dei legami comparante-comparato (la luna cresce, come il giovane e la sua
fama; la parte oscura è invisibile ma solidale con quella luminosa, come il destino
di morte che incombe su di lui senza abbandonarlo ecc.), ma soprattutto per le
nozioni astronomiche che presuppone: tutt’altro che ingenue e “antiche”.
Ciò che vistosamente manca in questo repertorio è l’universo sociale con
le attività ad esso legate. L’unico riferimento al lavoro umano è in due similitudini che nel Fingal (I 466-469 e IV 248-251) paragonano i colpi delle spade al colpire dei martelli sul ferro rovente della fornace: ma è immagine tradizionalmente ctonia e connessa al campo semantico del fuoco, oltre che non priva di pertinenza con l’ambito della guerra, i cui stru157
LA LINGUA DELLA POESIA NELL’ ETÀ DELL’ ILLUMINISMO
menti si forgiano appunto nella fucina. Due volte in Temora (V 257-261 e
VIII 138-144) si fa poi riferimento alla navigazione attraverso l’immagine
della nave in balia dei flutti; ed è occasionalmente sollecitato (Fg III 8183 e V 388-389) anche l’ambito della musica e del canto che rapisce e placa, una delle occupazioni predilette dei caledoni. Ma si tratta di eccezioni: in generale domina la natura, ed è una natura che si qualifica rispetto all’uomo per la sua alterità primigenia, anteriore a qualsiasi antropizzazione; il massimo di interferenza è dato dalla caccia, attività che
comunque in Ossian è rigorosamente individuale, mai sociale e di gruppo come di norma nei poemi omerici.
Nei poemi omerici, appunto (per non parlare poi dell’Eneide), le cose vanno affatto diversamente: non solo l’universo sociale e del lavoro
umano fornisce di per sé materia ad alcune delle più belle similitudini,
ma la stessa natura è quasi sempre concepita in relazione strumentale o
antagonistica all’uomo, anche nelle sue manifestazioni di rovina e dismisura. Ad esempio: mentre in Ossian il fiume in piena, comparante
dell’eroe in azione, travolge le sponde o i fianchi scoscesi dei monti trasportandone a valle i detriti, in Omero l’associazione è invece piuttosto
con il lavoro agricolo travolto dalle acque 20; il crollo di una quercia, associato all’eroe che cade in battaglia, è causato dalla tempesta in Ossian,
mentre in Omero è opera di un artigiano per farne lo scafo di una nave
o la ruota di un carro 21; l’animale solitario, altro comparante per l’eroe
in azione, agisce in Ossian sempre su sfondi naturali, mentre in Omero
devasta stalle e recinti difesi dagli allevatori 22, e così via.
Proprio questa alterità e separatezza della natura ossianica, del resto, la predispone a instaurare un diverso tipo di relazione con l’uomo:
non economica e agonistica, ma contemplativa e di rispecchiamento sentimentale. È un tipo di relazione frequentemente tematizzato nelle similitudini naturali attraverso figure topiche, come il nocchiero, il pellegrino, il cacciatore, prefigurazioni del Wanderer romantico, introdotte nel
ruolo di spettatori delle epifanie naturali, la cui reazione emotiva (stupore, indifferenza, pena, paura) agisce da commento e da guida per l’interpretazione del lettore:
20. Cfr. Fg II 260-262; Tm II 353-357, III 95-110 ecc. Per l’Iliade cfr. V 87-94 (ma anche
Aen IV 308).
21. Cfr. Dt 553-560; Tm I 642-646 ecc. Sul versante omerico: Il IV 482-488, XIII 389-393.
22. Il singolo eroe è per lo più paragonato in Ossian a un’aquila (MdC 386-387, Tm
II 344-349, VII 164-170 ecc.), a un cervo (Fg II 145-147, Dt 201-202 ecc.), a una balena (Fg I
303-304, II 239). Nell’Iliade è invece topica l’immagine del leone che aggredisce il bestiame difeso dagli allevatori: Il V 136-143, V 554-558, X 485-488 ecc.
158
6.
PENSARE PER ANALOGIE : SIMILITUDINE E METAFORA NELL’ OSSIAN
«Ah tu cadesti / come stella fra tenebre che striscia / per lo deserto, e ’l peregrin
soletto / di così passaggier raggio si dole» (Fg I 194-197); «Fermo e grande si sta,
qual quercia annosa / di tempesta accerchiata [...] e radicata e vasta / sbatte e
soverchia coll’aerea cima / la nebbia che l’ingombra, asilo e segno / di meraviglia al cacciator pensoso» (Tm III 300-306); «Così talor vampeggia / il torrente di
Brumo a’ rai riflessi / d’infocati vapori; in suo viaggio / notturno peregrin trema
e s’arresta, / e i rai più puri del mattin sospira» (Tm II 201-205) ecc. 23.
Ciò che soprattutto emerge da questa rassegna è in definitiva la coerenza
del sistema delle similitudini ossianiche sul piano dei figuranti, i quali formano un mondo compatto e ideologicamente orientato, del tutto omogeneo a quello entro cui si muovono i personaggi primari, che ne viene così
potenziato da un effetto di ridondanza. Ossian, per citare nuovamente
Blair, «copia dalla natura» e quindi prende le sue allusioni «da quegli oggetti ch’egli vede intorno di sé, e che hanno più spesso colpita la sua fantasia» (Dissertazione, p. 172). Questa autenticità di visione emerge in modo quasi programmatico nel frequentissimo ricorrere di determinazioni localizzanti che accompagnano le similitudini (alberi di navi folti «quanto
canne del Lego» Fg I 117; «bella a vedersi / siccome il variato arco che spunta / di sopra il Lena» Fg IV 1-3; «bianco / come in Arven la neve» Cm 98-99
ecc.), che alludono alla resistenza del poeta primitivo a ogni forma di astrazione concettuale e al suo mantenersi invece saldo all’individualità degli
oggetti percepiti. In ciò, continua Blair, Ossian è molto diverso dai moderni, in cui «l’introduzione d’immagini forastiere mostra che il Poeta non
copia dalla natura, ma dagli altri scrittori» (ibid.): la lezione implicita nelle similitudini ossianiche non è così solo nell’ampliamento (pure notevole)
del repertorio dei comparabili, ma anche in un nuovo modo di guardare
alla natura, e in un’idea nuovamente vergine del costruire letteratura.
6.5. Se il repertorio dei comparanti è circoscritto a un cerchio ristretto di
elementi naturali, non meno limitato è l’insieme dei soggetti e delle situazioni narrative oggetto di comparazione, cosicché la loro associazione tende a cristallizzare dei clichés e a produrre la già notata monotonia
paraformulare del paragone ossianico. Questa monotonia, del resto, non
23. «Thou hast fallen in darkness like a star, that shoots athwart the desart, when the
traveller is alone, and mourns the transient beam»; «as an oak in the skirts of a storm,
which now is clothed on high in mist: then shews its broad, waving head; the musing
hunter lifts his eye from his own rushy field»; «Like the fall of the stream of Brumo, when
the metheor lights it before the nightly stranger. Shuddering, he stops in his journey, and
looks up for the beam of the morn».
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LA LINGUA DELLA POESIA NELL’ ETÀ DELL’ ILLUMINISMO
è senza regola, e merita senz’altro un’analisi ravvicinata, che consentirà
tra l’altro di cogliere alcuni aspetti notevoli del funzionamento della similitudine in Ossian. A una prima osservazione siamo guidati nuovamente da un acuto rilievo di Blair:
È stato supposto dai lettori disattenti che ovunque la luna, la nebbia, o il tuono
ritornano in una similitudine, sia quella la similitudine istessa, e la stessa luna, la
stessa nuvola, lo stesso tuono, ch’essi hanno incontrato poche pagine avanti. E
pure assai spesso le similitudini sono molto differenti. L’oggetto da cui sono state prese è veramente in sostanza lo stesso: ma l’immagine è nuova, perché l’apparenza dell’oggetto è cangiata; ella è presentata alla fantasia in un altro atteggiamento, e vestita di nuove circostanze, acciò s’adatti a quella differente illustrazione per la quale viene impiegata (Dissertazione, pp. 175-6).
In altre parole, se da un lato la limitatezza dei due repertori messi in relazione dalla similitudine finisce inevitabilmente per sedimentare delle associazioni fisse tra comparanti e comparati, tali analogie ricorrenti, che
chiameremo d’ora in poi “fondamentali”, sono tuttavia disponibili a essere declinate in modi diversi, come per variazione sul tema, in modo da aderire più esattamente alle situazioni narrative in cui di volta in volta sono inserite. Data ad esempio l’analogia fondamentale guerriero → albero (per lo
più quercia), motivata da caratteri quali l’imponenza e la robustezza, avremo l’eroe bloccato in un’immobilità assoluta rappresentato come quercia
colpita dal fulmine (Fg IV 324-328); il guerriero accerchiato dalla mischia
come quercia che agita la chioma nella bufera (Tm III 299-306); la morte di
un guerriero come il crollo di una quercia (Fg III 228-230, Tm I 641-647: già
topos omerico); il vecchio guerriero come quercia annosa e piegata (Dt 237238); il giovane guerriero, viceversa, come quercia giovinetta e rigogliosa
(Tm III 238-240); l’improvviso risorgere dell’ispirazione giovanile nel guerriero-bardo Ossian sarà quindi il rinverdire di una pianta al vento primaverile (Tm III 492-500), e così via. E naturalmente a una pluralità di guerrieri, un esercito, corrisponde una pluralità di piante: bosco o foresta (Fg
II 311-313, IV 264-265, Tm I 53-54 e 261-264 ecc.).
La seconda osservazione riguarda invece il modo in cui sono costruite le similitudini più ampie e complesse, spesso riconducibili a una
combinazione di due o più analogie fondamentali opportunamente adattate. Così, ad esempio, associando la similitudine guerriero → albero in
una delle sue declinazioni già viste (quella che riguarda un giovane guerriero) con l’altra fecondissima guerra → tempesta 24, si ha l’immagine di
24. Cfr. Fg I 435-438, II 242-247, IV 61-62 e 402-413; Tm VII 183, VIII 207-216 ecc.
160
6.
PENSARE PER ANALOGIE : SIMILITUDINE E METAFORA NELL’ OSSIAN
una giovane quercia sradicata dal vento a rappresentare un giovane eroe
morto in battaglia (Fg V 323-327, Dt 553-560); mentre associando la stessa analogia guerriero → albero con l’altra non meno diffusa e articolata
eroe → sole 25, si ottiene l’ampia similitudine di Tm III 341-348:
Come s’allegra il sole in oriente / sopra un fecondo e vivido arboscello, / in ch’ei
col genial raggio possente / sparse il vital vigor che lo fa bello: / ei le fiorite chiome alteramente / spiega, dolce lusinga al venticello; / cedon le minor piante, e ’l
cielo arride: / così Fingallo al suo Fillan sorride 26.
Similitudine, se si bada, tutta all’insegna dell’esattezza, nel senso di precisa corrispondenza tra elementi del comparante ed elementi del comparato: come il sole, Fingal segue la battaglia da posizione rilevata, senza prendervi parte; l’arbusto è cresciuto grazie all’apporto vivificante del
sole (come il genitore educa, “fa crescere”, il figlio), e il sole splende ora
sereno su di esso (come il genitore gode nell’assistere al trionfo del figlio); l’arbusto, cresciuto, soverchia le minor piante (come Fillano primeggia in battaglia su compagni e avversari a lui inferiori).
Ma se si associa la stessa analogia fondamentale eroe → sole all’altra
battaglia → tempesta, il risultato sarà la similitudine di Fg III 218-220, riferita a Fingal che interviene a risolvere un conflitto dubbio («Oh venga
tosto a noi / qual vivo sole, e le tempeste nostre / sgombri coi raggi, e rassereni il colle») 27; mentre l’associazione con l’analogia nebbia → angustia
interiore può produrre un’immagine appropriata per l’afflizione di
Crothar, cui il ricordo di una sconfitta avvelena la gioia per le innumerevoli vittorie («Ei poscia in Ata / splendette ancor, ma d’una torba luce; /
come d’autunno il sol qualora ei move / nella sua veste squallida di nebbia / a visitar di Lara i foschi rivi»: Tm II 360-366) 28. Analogamente, partendo da un’altra fortunata analogia fondamentale, voce → vento, in una
delle sue varie declinazioni, la si può associare all’ultimo paragone citato (nebbia → angustia interiore) per ottenere l’immagine dell’urlo di Fin25. Fg I 636-637, III 219-220, VI 162 e 359-362; MdC 279-280; Tm I 620-622 ecc.
26. «As the sun rejoices, from his cloud, over the tree his beams have raised, as it
shakes its lonely head on the heath; so joyful is the king over Fillan»: notare l’acquisto in
traduzione di molti dettagli descrittivi scelti in modo da accentuare l’esattezza comparativa, che tuttavia è già del testo inglese (cfr. PAR. 6.10).
27. «O let him come like the sun in the storm, when he shines on the hill of grass».
28. «He, afterwards, shone in the south; but dim as the sun of Autumn when he visits, in his robes of mist, Lara of dark streams. The withered grass is covered with dew: the
field, tho’ bright, is sad»: per l’associazione nebbia → preoccupazione, cfr. Dt 155-157 (piuttosto “tristezza”, qui), Tm VII 236-237, oltre a Tm IV 12-15 citato più oltre.
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LA LINGUA DELLA POESIA NELL’ ETÀ DELL’ ILLUMINISMO
gal che incita i suoi a partire per l’Irlanda («ai lor dubbiosi / spirti era
dessa, quasi all’aer soffio, / di nebbia sgombrator» Tm IV 13-15) 29; oppure a quella diffusissima della battaglia come incendio devastante per narrare, con esatta resa dei rapporti di causalità, l’effetto euforizzante sulle
truppe dell’urlo di guerra di Foldano:
Urlò Foldano / al soccorso improvviso, e ’l feroce urlo / tutto raccese il campo
suo, qual suole / soffio di vento, che solleva e spande / pel frondoso di Lumo
arido bosco / rapida spaziosa ala di fiamma (Tm III 278-283) 30.
Va poi aggiunto che il singolo elemento narrativo è raramente associato a
un solo comparante: per lo più il narratore ha a disposizione più associazioni fondamentali per uno stesso comparato (più “sinonimi comparativi”, per così dire); una medesima situazione narrativa si offre così ad essere rappresentata con similitudini differenti, evidenziando un’ulteriore
diversa manifestazione del principio della variazione sul tema che rappresenta il modo tipico di funzionamento della similitudine nell’Ossian.
Così, ad esempio, la situazione ricorrente in cui l’eroe è chiamato a contenere l’assalto di una moltitudine di nemici può essere resa da diverse associazioni di similitudini fondamentali e di conseguenza da immagini diverse: guerriero → monte + esercito → fiume in piena (Tm II 118-121; ma cfr.
anche Fg II 260-268); oppure guerriero → scoglio (o magari → balena) +
armati → onde (Fg I 458-461, II 307-308, III 231-235, IV 242-246, MdC 312, Tm
II 27-28, III 17-19); o ancora guerriero → monte + battaglia → tempesta (Fg
I 384-387, II 263-268); o infine guerriero → aquila + battaglia → tempesta
(Tm II 344-349). Analogamente lo scontro tra due guerrieri può dare origine all’immagine di due rupi che franano verso la stessa valle (Fg V 55-65),
della confluenza di due torrenti montani (Fg I 391-398), dello scontro tra
due correnti marine (Tm VIII 207-216), tra due venti (Fg I 388-391), tra due
spiriti (Fg V 31-35, Tm II 409-411, VIII 272-274), tra due aquile (Tm V 287292). È quello che rilevava lo stesso traduttore in un’osservazione a MdC
90 che si legge nell’edizione del ’63, poi caduta nell’edizione definitiva:
Luna, sole, nebbia, torrente, tempesta, meteore: ecco tutti gli oggetti delle comparazioni di Ossian. Da che scarso fondo che gran ricchezza! Gli oggetti si mol29. «They wait for the bursting forth of my voice: it was to them a wind from heaven
to roll the mist away». Per l’associazione voce → vento, cfr. Fg II 406-407, V 260-261; Cm
382; Dt 154; Tm II 375-377, VII 129-130 ecc.
30. «Foldath sent his shout abroad, and kindled all the field: as a blast that lifts the
broad-winged flame, over Lumon’s echoing groves».
162
6.
PENSARE PER ANALOGIE : SIMILITUDINE E METAFORA NELL’ OSSIAN
tiplicano tra le mani d’un tal Poeta. Così pochissimi elementi variamente combinati bastano a produrre tutta la vasta e molteplice scena della natura.
Tutte queste osservazioni ci consentono comunque di mettere più chiaramente in rilievo due caratteristiche fondamentali della similitudine dell’Ossian, che dall’originale inglese discendono direttamente al testo italiano, con le eventuali accentuazioni che vedremo meglio ai PARR. 6.9-6.10.
La prima riguarda l’ormai più volte menzionata esattezza o “aggiustatezza” razionalista della similitudine, che consiste in una fitta ricerca di corrispondenze tra il piano del comparante e quello del comparato che le osservazioni e gli esempi di questo paragrafo dovrebbero avere sufficientemente illustrato: così impiegata, la similitudine si presta a descrivere la
realtà cui si applica con relativa precisione, tanto che il comparante diventa quasi un tessuto segnico, una cifra della realtà. Questo d’altra parte favorisce spesso il contrarsi del comparato, che lascia il posto a una narrazione o descrizione per via prevalentemente analogica: è il caso, per
portare un esempio già visto, della similitudine analizzata sopra di Tm III
341-348, oppure del seguente cumulo di similitudini nel Fingal:
Già Svaran cresce, e già soverchia, come / torrente che trabocca, e i minor poggi
/ schianta e travolve, e i maggior pesta e sfianca. / Ma s’attraversa Cucullin, qual
monte / di nembi arrestator: cozzano i venti / sulla fronte di pini, e i massi informi / la ripercossa grandine flagella: / quello in sua possa radicato e fermo / stassi,
ed adombra la soggetta valle. / Tal Cucullino ombra faceasi, e schermo / ai figli
d’Inisfela: a lui d’intorno / di palpitanti eroi zampilla il sangue, / come fonte da
rupe: invan; ch’Erina / cade pur d’ogni parte, e si dilegua / Siccome neve a caldo
sol (Fg II 260-274) 31;
dove il comparante sopporta da sé gran parte del carico descrittivo della scena anche perché lo stesso piano del comparato è in gran parte occupato da metafore coerenti con il comparante della similitudine (Svarano cresce e soverchia come torrente; Cucullino fa ombra come un monte; il sangue zampilla come fonte: tutte iniziative del traduttore, ma su
questo torneremo). Talvolta il comparato si contrae fino di fatto a scom31. «Still Swaran advanced, as a stream that bursts from the desart. The little hills are
rolled in its course; and the rocks half-sunk by its side. But Cuchullin stood before him
like a hill, that catches the clouds of heaven. The winds contend on its head of pines; and
the hail rattles on its rocks. But, firm in its strenght, it stands and shades the silent vale of
Cona. So Cuchullin shaded the sons of Erin, and stood in the midst of thousands. Blood
rises like the fount of a rock, from panting heroes around him. But Erin falls on either
wing like snow in the day of the sun».
163
LA LINGUA DELLA POESIA NELL’ ETÀ DELL’ ILLUMINISMO
parire, come nell’esempio seguente, dove l’intera descrizione della morte del re Cormac II avviene per via analogica, mediante un’antitesi dei
comparanti:
Egli non cadde, / Lamor soggiunse, come suol talora / tacita stella per l’oscura
notte, / che striscia, e più non è; simile ei cadde / a focoso vapor, nunzio di guerra / in suol remoto, il cui vermiglio corso / morte accompagna (Dt 363-369) 32.
C’è qui una sorta di elementare argomentazione volta a sostenere il valore del giovane re: ma è un’argomentazione tutta di natura analogica e
non discorsiva, che chiamando in causa l’immaginazione più che l’intelletto allude a modalità di pensiero e di concettualizzazione arcaiche, antitetiche rispetto al metodo filosofico e alla razionalità dei moderni e invece appropriate alla mens primitiva dei guerrieri caledoni.
La seconda caratteristica del paragone ossianico che si vuole mettere in evidenza si lega strettamente alla prima: quanto osservato circa le
“analogie fondamentali” e la loro variazione e combinazione in immagini complesse indica una significativa tendenza delle similitudini ossianiche a strutturarsi in “sistema” con spiccati caratteri di regolarità, quasi
un codice segnico, come si è detto, attraverso cui passa la verbalizzazione degli eventi e degli oggetti dell’universo narrato. Siamo sempre, come si vede, nei pressi di quell’impiego linguistico più che retorico della
similitudine di cui si è già detto al PAR. 6.3, che fa parte integrante della
costruzione di un linguaggio primitivo basato sulle somiglianze, e che assumerà maggiore pregnanza quando si saranno prese in considerazione
anche le metafore, per cui valgono di fatto le stesse osservazioni appena
svolte per le similitudini.
6.6. Prima di occuparci senz’altro delle metafore, tuttavia, è necessario
esplorare quelle aree di sovrapposizione e interferenza tra metafora e similitudine che testimoniano a favore della fondamentale solidarietà delle due figure nel segno del medesimo “spirito di comparazione”. La responsabilità dell’incremento metaforico delle similitudini è spesso a carico del traduttore (cfr. PAR. 6.10), ma pur sempre dietro legittimazione
di un usus già macphersoniano. Il primo caso di interferenza (1) è quello in cui si ha una superfetazione metaforica del comparato di una simi32. «He fell not, Lamhor replied, like the silent star of night, when it shoots through
darkness and is no more. But he was like a meteor that falls in a distant land; death attends its red course, and itself is the sign of wars».
164
6.
PENSARE PER ANALOGIE : SIMILITUDINE E METAFORA NELL’ OSSIAN
litudine: contraddicendo il divieto razionalista al cumulo verticale di traslati (PAR. 6.1, punto c). Questo può avvenire in due modi. Il primo (1.a)
prevede semplicemente l’applicazione al comparante di un lessico metaforico (più o meno coerente) senza alcun rapporto con il comparato,
quasi elevando al quadrato le sollecitazioni immaginative con la creazione di tre piani distinti (del racconto, del figurato, della metafora):
«Alza scudo orrendo qual nembo, / che di morte ha gravido il grembo» (Fg IV 294295); «Tal si scuotono, s’alzano, rimbombano / i flutti intorno ad un aereo spirto, / [...]: torreggian l’onde imbizzarrite, e fanno / dell’inquiete terga archi spumosi» (Tm VIII 33-41); «Qual la rupe di Runo, allor che afferra / le scorrevoli nuvole pei lembi / della lurida veste e le si addossa, / sembra ingrandir sopra la piaggia ondosa / in sua raccolta oscuritade» (Tm VI 66-70); «Arrestossi Catmorre. In
tale aspetto / rupe vid’io, sopra i cui fianchi il nembo / sbatte le penne, e i suoi
correnti rivi / con nodi aspri di gelo afferra e stringe» (Tm II 177-180) ecc. 33.
Diverso è il caso (1.b), assai frequente, in cui la metafora compie a ritroso il percorso della similitudine entro cui è incastonata, per così dire ritornando dal comparante al comparato (“metafora di ritorno”). Si veda
il seguente esempio: «dei nemici all’urto / siate quai rupi del terren natio, / che baldanzosamente alle tempeste / godon di farsi incontro, e stendon tutti / al vento irato i tenebrosi boschi» (Fg I 383-387) 34. Qui le
espressioni in corsivo valgono metaforicamente per le rupi (comparante), ma letteralmente per i soldati di Cucullino (comparato), col risultato di un massimo di compenetrazione tra i due piani, che spinge la consueta ricerca di adeguatezza del comparante al comparato fino al punto
di dar vita a una sorta di realtà intermedia, di natura ibrida. Altri esempi di tali metafore di ritorno sono contenuti nella similitudine già analizzata al PAR. 6.5: «Come s’allegra il Sole in oriènte / sopra un fecondo e
vivido arboscello, / in ch’ei col genial raggio possente / sparse il vital vigor che lo fa bello: / ei le fiorite chiome alteramente / spiega, dolce lusinga al venticello; / cedon le minor piante, e ’l cielo arride» (Tm III 341348). E ancora:
33. «Lift thy shield like the flame of death»; «So rise the green seas round a spirit,
that comes [...]. The waves sport, unwieldly, round, with all their backs of foam»; «As the
rock of Runo, which takes the passing clouds for its robe, seems growing, in gathered
darkness, over the streamy heath»; «Gleaming he stood, like a rock, on whose sides are
the wandering of blasts; which seize its echoing streams and clothe them over with ice. So
stood the friend of strangers».
34. «Strong as the rocks of my land; that meet the storm with joy, and stretch their
dark woods to the wind».
165
LA LINGUA DELLA POESIA NELL’ ETÀ DELL’ ILLUMINISMO
«La picciol’alma / sembra basso vapor, che a paludoso / lago sovrasta, e di poggiar sui colli / non s’attenta giammai, che di scontrarsi / teme coi venti» (Tm I
630-635); «S’arresta / fermo e grande a veder: rupe il diresti, / che sotto il ghiaccio incanutisce e il vento / frange coi boschi; dall’irsuta fronte / spiccian lucidi
rivi» (Tm VIII 158-163); «scendiamo adunque / a pugnar soli [...] Simili a rimugghianti onde [...]: al periglioso aspetto / fugge il nocchier pien di spavento, e
stassi / l’aspro conflitto a risguardar da lungi» (MdC 271-278) ecc. 35.
Una seconda e diversa forma di interferenza (2) si ha quando è il comparante a sconfinare metaforicamente nel comparato (che è l’opposto di
1.b), sfumando i contorni della similitudine con effetti ancora una volta
di osmosi e indistinzione tra i due piani. Come ha notato Orlando (1997,
p. 117), in questi casi «è come se, per contagio, gli attributi comuni invadessero lo spazio degli attributi non comuni attentando alle identità da
un tale spazio garantite»: ancora una volta in violazione delle regole della metafora ragionevole (PAR. 6.1, punto b) 36. Nell’Ossian è questo un caso frequentissimo, con diverse realizzazioni. La prima (2.a) si ha quando
una metafora, semplice o continuata, innesca una similitudine in cui il
paragone è esplicitato e arricchito di dettagli:
«Già Svaran cresce, e già soverchia, come / torrente che trabocca» (Fg II 260-261);
«Ei [il re] poscia in Ata / splendette ancor, ma d’una torba luce, / come d’autunno
il sol» (Tm II 360-362); «Balzò Foldan che abbarbagliollo il vivo / raggio [scil. Fillano], che, qual da nube, uscìo repente» (Tm V 281-283); «Egli sedea sul lido / sopra
uno scoglio, annubilato in volto, / come nebbia sul colle» (Fg I 22-24); «Svarano /
rasserenossi, e risplendè, qual suole / colma luna talor, quando le nubi / sgombran
dalla sua faccia» (Fg VI 230-233); «Mortifero campo, ove la pugna / spazza dal suol
le affastellate squadre, / qual forte soffio accavallate nubi» (Tm IV 325-327) ecc. 37.
35. «The little soul is a vapour that hovers round the marshy lake: it never rises on
the green hill, lest the winds should meet it there: its dwelling is in the cave»; «A rock he
seemed, grey over with ice, whose woods are high in wind. Bright streams leap from its
head, and spread their foam on blasts»; «Like roaring waves [...]: the mariners hasten
away, and look on their strife with fear».
36. L’osservazione di Orlando si riferisce a due versi di Shakespeare («It seems she
hangs upon the cheek of night / like a rich jewel in an Ethiop’s ear»: il comparato è Giulietta al balcone).
37. «Still Swaran advanced, as a stream that bursts from the desart»; «He, afterwards,
shone in the south; but dim as the sun of Autumn»; «Three paces back Foldath withdrew;
dazzled with that beam of light, which came, as issuing from a cloud»; «He sat on a rock
on the shore: like a cloud of mist on the silent hill»; «The face of Swaran brightened like
the full moon of heaven, when the clouds vanish away, and leave her calm and broad in
the midst of the sky»; «Dreadful plains: where broken hosts are rolled away, like seas before the wind».
166
6.
PENSARE PER ANALOGIE : SIMILITUDINE E METAFORA NELL’ OSSIAN
Il caso simmetrico (2.b) è quello dell’effettivo prolungamento del comparante sul piano del racconto, con un movimento comparativo che, iniziato da una similitudine, è poi ripreso sul piano della diegesi da una o
più metafore semanticamente coerenti:
«Ve’ com’ei passa, / qual colonna di foco, e tutto incende!» (Fg V 15-16); «Le
tribù, quai solchi / d’onde ammontate, riversar con gioja / la gorgogliante possa» (Tm III 188-190); «Sembrava il volto suo la liscia e piana / faccia del chiaro
sol, nè nube alcuna / vedeasi errar sulle serene ciglia» (Tm I 620-622); «Oh venga tosto a noi / qual vivo sole, e le tempeste nostre / sgombri coi raggi, e rassereni il colle» (Fg III 218-220); «Egli del Luba nella possa adegua / la correntìa; ma
non ispuma o mugge» (Tm III 73-74) ecc. 38.
Si arriva per questa via a casi (2.c) in cui la similitudine esplicita affiora
in un coerente contesto metaforico che la precede e segue, e che sopporta da sé quasi tutto il carico comparativo, come in Dt 234-240: «A me
stesso dicea: fia la tua sera / placida, e in calma, [...]. / Ma tornò la tempesta: io già mi piego / come una quercia annosa, i rami miei / in Selama
cadèro, e tremo in mezzo / del mio soggiorno»; dove è notevole, oltre all’accumulo comparativo (la similitudine eroe → quercia è preceduta dalla metafora vecchiaia → sera), la puntigliosa ricerca di corrispondenze,
di nuovo all’insegna dell’esattezza, nella metafora continuata che ingloba l’ultima similitudine: la guerra come tempesta; i figli morti come rami caduti; il tremito del corpo come il vacillare dell’albero nella bufera,
in una forte compenetrazione di umano e vegetale (i rami miei!) 39.
L’ultima possibilità (3) è infine la completa autonomia della metafora prolungata, che prende senz’altro il posto delle similitudini esplicite
realizzando un massimo di compenetrazione tra il piano del comparan38. «But behold the king of Morven; he moves below like a pillar of fire»; «The tribes,
like ridgy waves, dark pour their strenght around»; «His face was like the plain of the sun,
when it is bright; no darkness travelled over his brow»; «O let him come like the sun in
a storm, when he shines on the hills of grass»; «He is strong as Lubar’s stream, but never
foams and roars».
39. «I said to my soul, thy evening shall be calm, [...]. But the storm has returned; I
bend like an aged oak. My boughs are fallen on Selama, and I tremble in my place». Altri esempi: «La stagion del periglio è dessa appunto / la stagion del mio cor; gonfiasi allora / qual torrente spumoso, e mi sospinge / a rovesciar la poderosa piena / sopra i nemici»
Tm VII 145-149 («The time of danger, O maid, is the season of my soul; for then it swells,
a mighty stream, and rolls me on the foe»); «O ramicello di Lumon gentile [la giovane Sulmalla], / a che ti scuoti per terrore, e chini, / quasi ad irreparabile tempesta, / le verdi cime?» Tm VII 181-184 («Young branch of green-headed Lumon, why dost thou shake in the
storm?») ecc.
167
LA LINGUA DELLA POESIA NELL’ ETÀ DELL’ ILLUMINISMO
te e quello del comparato. Così è, ad esempio, in Cr 420-423: «Uscì de’
suoi col rapido torrente, / ma rupe riscontrò: Fingallo immoto / stettesi:
rotte rotolaro addietro [ingl. rolled back] / le schiere sue» 40, dove è evidente la corrispondenza esatta con le similitudini menzionate al PAR. 6.5
(Fg II 260-274 ecc.), basate sulla medesima associazione di coppie comparante-comparato.
6.7. Il nostro discorso verte ormai sulla metafora, intorno alla quale il Settecento aveva avviato una profonda revisione teorica, come si è iniziato a
vedere al PAR. 6.1, promuovendola da fatto retorico e artificiale di ornatus
a meccanismo segnico fondamentale, connaturato al linguaggio se non alla conoscenza. Alla base della metafora è lo stesso meccanismo analogico
che presiede alla similitudine, ma a differenza di quest’ultima, che colloca comparato e comparante lungo la linea del discorso secondo un rapporto di successione, nella prima vige un rapporto di simultaneità: comparato e comparante sono colti istantaneamente e tendono a fondersi in
una rappresentazione sintetica 41. Il movimento unificante proprio di questa percezione istantanea è operato dall’immaginazione: la metafora appartiene quindi di diritto all’uso poetico del linguaggio, e alle lingue arcaiche più che a quelle dei moderni, nei quali le risorse analitiche e discorsive hanno finito per prevalere su quelle immaginative e fantastiche.
Nei teorici settecenteschi, al di là delle divergenze di pensiero, la riconsiderazione della metafora nasce da una più vasta riflessione sul modo in cui si venne fissando il legame segnico tra parole e cose al momento
della formazione del linguaggio. In un regime di inopia verborum quale
era quello delle origini, i tropi (metonimia, sineddoche, ma soprattutto
metafora) si offrirono all’uomo come mezzi del tutto naturali di estensione lessicale, attraverso cui era possibile ampliare la portata delle parole sul mondo: l’espressione figurata fu dunque in origine una necessità; con parole di Vico, «i fonti di tutta la locuzion poetica si truovano
questi due, cioè povertà di parlari e necessità di spiegarsi e farsi inten40. «He went forth with the stream of his people, but they met a rock: Fingal stood
unmoved, broken they rolled back from his side». Identica sequenza di metafore in Tm
I 103-105, II 118-121.
41. «Questo modo d’espressione, che sopprime il segno della comparazione, e sostituisce la descrizion figurata in luogo dell’oggetto descritto, dà una gran vivezza allo
stile. Dinota esso quell’ardore e rapidità di fantasia, che senza fermarsi a formare una similitudine regolare, dipinge l’oggetto in un sol colpo» (Blair, Dissertazione, p. 198). Per
l’opposizione simultaneo-successivo nel dibattito linguistico ed estetico settecentesco,
cfr. PAR. 1.6.
168
6.
PENSARE PER ANALOGIE : SIMILITUDINE E METAFORA NELL’ OSSIAN
dere» (Scienza Nuova, p. 441) 42. Prova ne sia che non solo la lingua poetica, ma anche il linguaggio comune, la locutio propria, sono intessuti di
metafore, che costituiscono un residuo di fasi arcaiche di formazione
delle lingue. Così Vico trova nel lessico designante cose inanimate abbondanza di metafore desunte dal corpo umano o dalle sue “passioni”:
bocca detto di ogni apertura, dente del rastrello e dell’aratro, lingua di
mare, fianchi e lati di vari oggetti, vena d’acqua, viscere della terra, fino
al ridere del cielo e del mare, al fischiare del vento, al mormorare dell’onda, e così via: «lo che tutto va di séguito a quella Degnità: che “l’uomo ignorante si fa regola dell’universo”, siccome negli esempli arrecati
egli di se stesso ha fatto un intiero mondo» (ivi, p. 589). In direzione solo apparentemente opposta, Condillac individua nel lessico comunemente usato per designare i fenomeni interiori varie espressioni metaforiche desunte da oggetti ed eventi concreti e sensibili: «le mouvement, le
repos, l’inclination, et le penchant de l’ame»; «l’esprit s’agite, se trouble,
s’éclaircit, se développe, se fortifie, s’affoiblit» 43; e anche qui cade opportuno il commento di una degnità vichiana: «La mente umana è inchinata naturalmente co’ sensi a vedersi fuori nel corpo, e con molta difficultà
per mezzo della riflessione ad intendere se medesima. Questa Degnità
ne dà l’universal principio d’etimologia di tutte le lingue, nelle qual’i vocaboli sono trasportati da’ corpi e dalle propietà de’ corpi a significare
le cose della mente e dell’animo» (ivi, pp. 518-9).
E proprio Vico, per Cesarotti all’altezza dell’Ossian «uno de’ più sublimi ingegni d’Italia», è l’autore che senza dubbio si spinge più avanti
in questa direzione, fino a fare della metafora un meccanismo non semplicemente linguistico, ma senz’altro cognitivo e di strutturazione del
42. Stesso concetto in Condillac: «Dès les commencements les figures et les métaphores furent, comme nous l’avons vu, nécessaires pour la clarté», come analogo è il riferimento all’originaria «peu d’abondance des langues» (Essai, pp. 96 e 79 rispettivamente). Sulle convergenze tra i sistemi di Vico e di Condillac relativamente a questi temi
cfr. Rosiello (1967, pp. 60-79) e Gensini (1987, pp. 54-74). Anche la «lingua muta per cenni o corpi ch’avessero naturali rapporti all’idee ch’essi volevan significare» (Scienza Nuova, p. 439), prima manifestazione segnica secondo Vico, trova una precisa corrispondenza nel langage d’action di Condillac.
43. «L’imagination travailla pour trouver dans les objets qui frappent les sens des
images de ce qui se passoit dans l’intérieur de l’ame. Les hommes ayant toujours aperçu
du mouvement et du repos dans la matière; ayant remarqué le penchant ou l’inclination
des corps; ayant vu que l’air s’agite, se trouble et s’éclaircit, que les plantes se développent, se fortifient et s’affoiblissent: ils dirent le mouvement, le repos, l’inclination et le penchant de l’ame; ils dirent que l’esprit s’agite, se trouble, s’éclaircit, se développe, se fortifie,
s’affoiblit» (Essai, p. 87).
169
LA LINGUA DELLA POESIA NELL’ ETÀ DELL’ ILLUMINISMO
pensiero. È infatti attraverso il mezzo intuitivo dell’accostamento analogico operato dall’ingegno e linguisticamente traducentesi in metafora
che secondo il pensatore napoletano i primi uomini poterono far fronte
all’informe molteplicità del reale, organizzandola in schemi concettuali
e costruendo le prime categorizzazioni. La metafora viene a situarsi così addirittura all’origine e al centro del processo gnoseologico: il caso visto sopra, per cui il principio organizzativo del corpo umano è esteso lessicalmente alla realtà esterna all’uomo, offre un esempio lampante, cosicché si può parlare di un vero e proprio pensiero metaforico, rientrante in quella logica poetica di cui parla la Scienza Nuova, «non ragionata
ed astratta qual è questa or degli addottrinati, ma sentita ed immaginata quale dovett’essere di tai primi uomini» (p. 569). Di tale logica poetica tutte le lingue, e soprattutto le lingue antiche, portano impresso il segno proprio nell’uso abbondante di tropi e in particolare della metafora, che delle lingue costituisce la cellula generatrice, ed è di tutti il più
«necessari[o]», e dunque il «più spess[o]» 44.
Certo un’analisi dell’Ossian non richiede che si seguano fino in fondo le complesse implicazioni gnoseologiche e semiotiche delle teorie vichiane 45; e tuttavia queste ultime possono bene offrirci qualche utile
chiave di lettura, così come senza dubbio la offrirono a Cesarotti ai tempi della “lotta” linguistica (la metafora è sua) col bardo caledone. Non è
un caso infatti se le teorie vichiane, e in particolare il collegamento tra
metafora e origine del linguaggio, continuano a essere un punto di riferimento per tutte le opere dell’abate padovano anteriori al Saggio sulla
filosofia delle lingue, e anche qui (dove Vico è almeno in parte accantonato a favore dei teorici francesi) è tutt’altro che difficile rintracciarne
l’influenza, ad esempio, nelle affermazioni sull’originario carattere traslato del lessico, in particolare del lessico indicante le operazioni intellettuali, desunto dall’ambito corporale o concreto per via (appunto) di
metafora; o in generale sul traslato di senso come «libertà originaria e
coessenziale alle lingue», e alla conseguente libertà riconosciuta agli
scrittori di ogni epoca di generare nuovi traslati e «nuove frasi metafori-
44. «Di questa logica poetica sono corollari tutti i primi tropi, de’ quali la più luminosa e, perché più luminosa, più necessaria e più spessa è la metafora, ch’allora è vieppiù
lodata quando alle cose insensate ella dà senso e passione, per la metafisica sopra qui ragionata: ch’i primi poeti dieder a’ corpi l’essere di sostanze animate, sol di tanto capaci di
quanto essi potevano, cioè di senso e di passione, e sì ne fecero le favole, talché ogni metafora sì fatta viene ad essere una picciola favoletta» (Scienza Nuova, pp. 587-8).
45. Per cui cfr. Di Cesare (1988) e Gensini (2005).
170
6.
PENSARE PER ANALOGIE : SIMILITUDINE E METAFORA NELL’ OSSIAN
che ed allusive» 46. L’espressione metaforica rientra così per Cesarotti nelle prerogative di quella «facoltà vitale e generativa» che costituisce uno
dei poli della sua riflessione sulla lingua: il che, per inciso, configura anche un atteggiamento nuovo, potenzialmente più spregiudicato, di porre
il problema della metafora poetica, nonché una via per superare l’approccio prettamente logico-retorico della critica razionalista al concettismo di fine Seicento.
6.8. Non sarebbe fuori luogo chiedersi quanto in questa maturazione del
pensiero linguistico di Cesarotti intorno alla metafora abbia pesato l’esperienza diretta di una lingua ad altissimo tasso di creatività metaforica quale quella dell’Ossian 47. Si sono già visti esempi eloquenti di tale creatività
al PAR. 6.6, parlando delle commistioni tra similitudine e metafora, dove
appariva già chiaramente come metafora e similitudine cooperassero all’interno di una modalità di espressione la cui caratteristica principale consiste appunto nel percepire e nel significare una cosa nei termini di un’altra, ossia analogicamente, come volevano le teorie sul primitivo. Conseguenza di tale contiguità e identità di orientamento è che anche le metafore nell’Ossian obbediscono all’impianto schizzato al PAR. 6.5 delle analogie
ricorrenti o “fondamentali”. Per una dimostrazione dell’assunto, basterà il
rinvio agli esempi di contiguità tra metafora e similitudine discussi al PAR.
6.6, più qualche ulteriore specimen relativo a metafore isolate o in associazione, dove si nota tra l’altro che tale corrispondenza tra metafore e similitudini dipende anche dal fatto che non poche metafore del testo italiano
condensano similitudini esplicite del testo inglese (cfr. PAR. 6.9):
Guerra → tempesta: «qualor di guerra / ruggia tempesta» Tm VIII 117-118 («in
the midst of the stormy field»); «il turbine di guerra» Fg I 624 («the storm of
war»); «tempesta / d’aste» Fg III 446-447 («storm of spears»); «né già dalla passata aspra tempesta / era del tutto abbonacciato il mare / della guerra d’Erina»
Tm VI 270-272 («Nor settled, from the storm, is Erin’s sea of war»). Guerriero
→ fiume (anche al plurale: guerrieri → fiume): «a rivi / Sgorga valor. L’alto tor46. Cfr. Cesarotti, Saggio sulla filosofia delle lingue, rispettivamente II, IV, pp. 324-36
(origine del lessico da traslati); II, X, pp. 329-30 (origine concreta del lessico intellettuale);
III, V, pp. 369 ss. e III, XIV, pp. 383 ss. (libertà di arricchire la lingua di nuovi traslati); I,
IV, p. 314 («facoltà vitale e generativa» della lingua). Sull’influenza del pensiero vichiano
su Cesarotti cfr. Bigi (1959), Battistini (2004), Roggia (2012). Sul rapporto con il sensismo
cfr. invece, oltre al citato saggio di Bigi, Brioschi (2002).
47. In effetti è questa la direzione tenuta da Ugo Perolino nel suo commento al Saggio (Perolino, 2001).
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LA LINGUA DELLA POESIA NELL’ ETÀ DELL’ ILLUMINISMO
rente udiro / i figli di Loclin» Fg I 305-307 («poured valour forth as a stream [...].
The sons of Lochlin heard the noise as the sound of a winter stream»); «Uscir
con forte impetuosa piena / di Bolga i figli» Tm III 413-414 («Like the bursting
strenght of a stream, the sons of Bolga rushed to war»); «versata avea la gorgogliante piena / delle sue squadre» CdC 146-147 («had poured his tribes»).
Guerriero → incendio: «quando Fingallo / nella sua ardente struggitrice fiamma
/ divorava Loclin» Fg III 369-371 («when Fingal, burning in his wrath, consumed
the sons of Lochlin»). Guerriero → pianta: «tra’ miei fidi / scorgo una breccia:
d’una pianta altera / bassa è la cima» Tm III 381-383 («I behold a breach among
my friends. The head of one tree is low»). Eroe → sole: Sol della pugna Fg II 409
(«The sun-beam of battle»); «chiaro Sol degli eroi, scudo d’Erina» MdC 422
(«chief of Erin’s wars»); «l’eccelso eroe / sfidator di perigli, il sol raggiante / dissipator di bellicosi nembi» Fg IV 117-119 («he is like the sun of heaven that rises
in a storm»). Eroe → aquila: «sovra penne d’aquila m’inalzo / ad afferrar della
mia gloria il raggio» Tm IV 312-313 («I rush forth, on eagle wings, to seize my
beam of fame») ecc.
Vale poi la pena di verificare sui testi la consistenza dei tipi metaforici
additati da Condillac e Vico presi in considerazione al paragrafo precedente. Ricchissimo in primo luogo è il campionario di metafore antropomorfizzanti o personificanti relative a fenomeni naturali, in cui rientrano sia originali innovazioni espressive, sia metafore largamente convenzionali, di koinè poetica, parzialmente riscattate e rese funzionali
proprio per via di tale impiego sistematico 48:
Abbiamo così metafore fisionomiche: rupi irto-cigliute Tm V 125 («dark-browed
rocks»); capo irsuto di Cromla Fg II 338 («the head of Cromla»); irsuta fronte di
una rupe «che sotto il ghiaccio incanutisce» Tm VIII 160-161 («a rock [...] grey over
with ice»); «masso, / che sul rivo sporgea la grigia fronte» Tm VI 120-121 («which
bent its grey head over the stream») ecc., tutte da confrontare con le similitudini,
in direzione opposta, del tipo eroe → monte/rupe. Ancora: arboscello che «le fiorite chiome alteramente / spiega» Tm III 345-346 («shakes its lonely head»); faccia
azzurra dell’oceano MdC 25 («face of ocean»), del lago Fg III 6, della piaggia Fg I
316. Metafore uditive: voce della notte Fg II 5 («voice of night»), del ruscello Fg II
64-65, delle balze Tm VI, 18; «mormora la possa / dell’oceàn» Fg III 455-456 (sounds);
lo stesso di fiumi o del vento Fg II 73 (murmured), Fg V 158, Dt 108; «sussurrar de’
venti» Dt 106 e 474 («rustling blasts»); «[il vento] nelle sarte / parlami, e nelle ve48. Il tipo qui esaminato del resto costituisce effettivamente, come aveva intuito Vico, uno degli universali metaforici più diffusi nel linguaggio comune, dato che «permette di dare un senso a fenomeni del mondo in termini umani, cioè in termini che siamo in
grado di comprendere sulla base delle nostre stesse motivazioni, azioni, scopi e caratteristiche» (Lakoff, Johnson, 1998, pp. 53-4).
172
6.
PENSARE PER ANALOGIE : SIMILITUDINE E METAFORA NELL’ OSSIAN
le» Fg I 525-526 (speaks); «il vento intorno / geme, e ti piange» Tm I 361-362 («the
mournful wind is there»); «le sospira il crine / al marin vento» Dt 38-39 («her hair
sighs on ocean’s wind»; cfr. anche Fg I 620, V 419); «l’albero piegasi, e bisbiglia / su
la grotta di Tura» Fg III 264-265 (resounds). La natura sconvolta e burrascosa cara
alla sensibilità ossianica attiva invece per lo più metafore animali: si ha così «urlante possa de’ torrenti alpini» Fg IV 412 (roaring); «urla tempesta in Selma» Tm
III 383 («the squally wind pours in on Selma»); ma poi «muggito dell’onde» e del
vento Dt 49 (roar), Fg I 30, 407, III 233, 456, Dt 76, MdC 183 ecc.; «voci ululabili dei
venti» Tm VIII 246 («voice of squally winds); «il tuono / rotola, ulula» Fg IV 407408 («rolls in peals»); «rugghio / del notturno torrente» Tm VI 179-180 (roar), degli scogli Fg III 171 ecc. All’opposto: «Stan muti i campi ad aspettar la pioggia» Fg
IV 318 («fields expect the shower»); le valli «giacean mute co’ lor poggi in grembo»
Tm III 486 («silence dwells in the vales») ecc. Metafore psicologiche: vento irato
Fg I 387 (wind); flutto irato Fg II 137 (waves), III 334-335; mare furibondo Dt 425 (roaring); «pigra nebbia» Tm V 212 (mist); «triste le rupi e i boschi / son or d’Erina»
Tm I 581-582 (mournful); «invido mar» Fg I 616 (sea); «i venti ingrati / le tue vele
ingannarono» Dt 100-101 («the winds have deceived thy sails»); «veggo affollarsi /
l’onde tremanti, impaurite, o Sole, / all’appressar de’ tuoi splendidi passi» Tm II
503-505 («the waves crowd away for fear: they hear the sound of thy coming
forth»); «impauriti alla terribil zuffa / fuggir travolti dal suo corso i rivi» Fg I 3940 («rivulets, changing their course, fled murmuring from our strife»); rupi «che
baldanzosamente alle tempeste / godon di farsi incontro» Fg I 385-386 («that meet
the storm with joy») ecc. Personificazioni vere e proprie: «Qual la rupe di Runo,
allor che afferra / le scorrevoli nuvole pei lembi / della lurida veste e le si addossa»
Tm VI 66-68 («which takes the passing clouds for its robe»); «nebbia del Lano, a
cui dan caccia / i venti del deserto» Dt 404-405 («driven by the winds of the desart»); «Due mesti tassi solitarj usciro / di questa tomba, e s’affrettàr l’un l’altro /
ad abbracciarsi con le verdi cime» Fg I 595-597 («these two lonely yews sprung from
their tombs, and wish to meet on high»); «l’antica / quercia sentì la sua partenza,
e ’l capo / sibilante crollò» Tm IV 291-293 («the old oak felt his departure, and shook
its whistling head»). Congruente con le analogie viste sopra (eroe → sole, eroe →
luna, fanciulla → luna o stella) è infine la personificazione degli astri: il sole sorride Fg I 606 (looks), s’allegra Tm III 341 (rejoices), risguarda con grazioso raggio Tm
V 46-47 («the sun is there in silence»); «stella, che là sul balzo d’oriente / s’allegra,
e scote di rugiada aspersi / i giovinetti suoi tremuli raggi» Tm I 452-454 («morning
star, when it rejoices on the eastern hill, and its young beams are bathed in
showers»); «esci da’ nembi, o luna; / mostra la bella faccia» Fg III 141-142 («shew
thy face from a cloud, o moon»); «Come d’autunno il sol qualora ei move / nella
sua veste squallida di nebbia / a visitar di Lara i foschi rivi» Tm II 362-364 («when
he visits, in his robes of mist, Lara of dark streams») ecc.
Punto culminante, in un certo senso, di questi procedimenti personificanti è allora l’appello lirico dell’io agli elementi naturali, soprattutto agli astri,
retoricamente tradotto in apostrofi così energiche e vive – commenta Ce173
LA LINGUA DELLA POESIA NELL’ ETÀ DELL’ ILLUMINISMO
sarotti in una nota a Dt 11 – «che sembra realmente ch’egli [Ossian] prendesse la luna per un corpo animato capace dei sentimenti e degli affetti degli uomini»: e anche in questo caso l’abate avrà trovato significativa la conferma di Vico, secondo cui «il più sublime lavoro della poesia è alle cose
insensate dare senso e passione, ed è propietà de’ fanciulli di prender cose
inanimate tra mani e, trastullandosi, favellarvi come se fussero, quelle, persone vive» (Scienza Nuova p.509)49. Così è nelle memorabili allocuzioni alla luna (Dt 1-31), alle stelle (CdS 1-18) e al sole (Tm II 519-534, Ct 583-619), intessute delle metafore antropomorfizzanti viste sopra e già preleopardiane,
compreso il dubbio sull’indifferenza della natura al dolore umano:
Ma dimmi, o Sole, sino a quanto ancora
vorrai tu rischiarar battaglie e stragi
con la tua luce? e sino a quanto andrai
rotando per lo ciel, sanguigno scudo?
Veggio morti d’eroi per la tua fronte
spaziar tenebrose, e ricoprirti
la chiara faccia di lugubre velo.
Carilo, a che vaneggi? al Sole aggiunge
forse tristezza? Inviolato e puro
sempre è ’l suo corso, ed ei pomposo esulta
nel rotante suo foco: esulta, e rota
secura lampa. Ah tu fors’anche un giorno
spegner ti puoi: caliginosa veste
di rappreso vapor puote allacciarti
stretto così, che ti dibatta indarno,
ed orbo lasci e desolato il cielo (Tm II 519-534) 50.
49. Il debito con Vico era del resto esplicito in un’osservazione a Fg II 49 contenuta
nella prima edizione delle Poesie di Ossian e poi soppressa a partire dal 1772: «Vediamo,
che i fanciulli parlano alle cose inanimate come avessero senso; danno a tutti gli oggetti
simili lo stesso nome; e credono che ogni romore straordinario proceda da qualche fantasma. Gli uomini nello stato primitivo erano i fanciulli del genere umano: perciò dovevano aver idee, e sentimenti analoghi a quei de’ fanciulli. Stimolati dalla curiosità, ed immersi nell’ignoranza non potevano che far se stessi regola, e norma della natura. Quindi
per ispiegarne i fenomeni, non avevano altro mezzo, che o di trasformar in uomini tutti
gli oggetti che li colpivano gagliardamente, e spezialmente gli oggetti in moto; o di supporre che varj enti simili all’uomo, e dotati delle stesse affezioni, popolassero tutte le parti dell’universo; e producessero quelle meraviglie, ond’erano colpiti. Così, secondo il Vico, il Cielo divenne un vasto corpo animato, e il tuono fu la sua voce ecc.».
50. «How long shalt thou rise on war, and roll, a bloody shield, thro’ heaven? I see
the deaths of heroes dark-wandering over thy face! – Why wander the words of Carril!
Does the sun of heaven mourn! He is unstained in his course, ever rejoicing in his fire. –
Roll on, thou careless light; thou too, perhaps, must fall. Thy dun robe may seize thee,
struggling, in thy sky».
174
6.
PENSARE PER ANALOGIE : SIMILITUDINE E METAFORA NELL’ OSSIAN
La faccia complementare di questo sistematico riversamento dell’umano sul naturale (ampiamente incrementato dal traduttore italiano, come
si sarà notato) è il riversamento simmetrico del naturale nello psichico,
attraverso la resa in termini concreti o sensibili di stati psicologici soggettivi: è l’altro importante campo metaforico additato da Vico e Condillac, di cui ritroviamo nell’Ossian numerosissimi esempi. Si attiva a
questo scopo soprattutto l’opposizione luce-buio, piegata a esprimere
una pluralità di stati d’animo in forma binaria, secondo parametri di una
psicologia semplificata per cui la luce, eventualmente associata al sole o
al fuoco ma per lo più evocata come puro fenomeno ottico, significa
gioia, entusiasmo, coraggio, affetto, mentre oscurità e ombra (spesso associate alle nubi) sono metafore di volta in volta di dolore, preoccupazione, paura, furore, malvagità; con un massimo di indeterminatezza, come facilmente si intuisce:
«di gioja / brillivi l’alma» Fg I 290-291 (rejoice); «Brillami l’alma / entro i perigli»
Fg III 162-163 («my soul brightens in danger, and exults in the noise of battle»);
«sfavilla / su i loro spirti sanguinosa zuffa» Tm VII 54-55 («the wide-tumbling strife is gleaming over their souls»); «ad un punto / l’anima isfavillò» Tm III 488-489
(il repentino sorgere dell’ispirazione poetica: «I felt the kindling of my soul»);
«alle paterne imprese / mi sfavillava il cor» Fg III 360 («I exulted in the strenght
of the king»); «tu mi splendi nell’alma» Dt 328 («thou shinest on my soul»; cfr.
anche Tm VII 373). Sul fronte opposto, cfr.: «l’alma / oscuritade di dolor gl’ingombra» Dt 217-218 («his soul is darkened with grief»); «ho grave e negra / l’anima di dolor» Fg II 403-404 («my soul is laden with grief»); «l’anima le si abbuja»
Tm IV 383 («her soul is darkly sad»); «oscuritade / l’anima quasi nuvola gli adombra» Tm VI 296-297 («darkness is blown back on his soul»); «Non riversar bujo
di tema in petto» Tm IV 57 («roll no darkness [...] of the young in war»); «dentro
il buio d’alterezza involti» Tm II 107 («in the darkness of their pride»); «intenebrato / di furor» Tm V 70-71 («darkened into wrath»); e anche ossimoricamente
tenebrosa gioia MdC 318-319 («the joy of his face was dark») ecc.
Associato all’opposizione luce-tenebre è l’altro campo metaforico volentieri proiettato sui fatti interiori, che è quello dei fenomeni atmosferici, attraverso cui si realizza un ulteriore collegamento tra io e paesaggio nel senso già esposto al PAR. 6.4, a volte con ampi sviluppi descrittivi e al limite sconfinando nella similitudine:
«nube di tema / su te non soffio» Tm IV 61-62 («I roll no cloud before thee»); «A
che quest’atra nuvola di doglia / sopra l’alma ti sta?» Tm II 29-30 («why this cloud
on Ossian’s soul»); «raggio / se’ tu di luce al nubiloso spirto / dell’afflitto Cormano» Tm IV 44-46 («thou art a beam of light to Cormac’s darkened soul»);
175
LA LINGUA DELLA POESIA NELL’ ETÀ DELL’ ILLUMINISMO
«battaglia [...] via qual nembo / sgombrò la nebbia dal suo spirto» Tm VII 236237 («like a tempest [...] drove the mist from his soul»); «già spuntava in quella
[alma] / l’amabil calma, e ’l bel seren natìo» Tm IV 257-258 («he strode [...] amidst his settling soul»); «fera tempesta / m’accerchia l’alma» Tm VII 139-140 («my
soul is folded in a storm»). La metafora della nube, integrata a quella del ricordo come visione, rende efficacemente l’idea di vecchiaia: «io seggo / nella nube
degli anni; e pochi, amico, / sono i spiragli, ove s’affacci e guati / lo spirto mio
ver le passate etadi; / e vision, se viene, è fosca e tronca» Tm V 9-13 («I stand in
the cloud of years: few are its openings towards the past, and when the vision
comes it is but dim and dark»).
La condizione psicologica nell’Ossian è peraltro assai spesso esteriorizzata
a livello fisionomico, ma il sistema metaforico evocato è lo stesso: ciglia oscure e
torve Fg I 221 («dark and terrible»); ciglio di notte Fg I 236 («dark [is] thy terrible brow»); torbido sembiante Fg V 278 («like a roaring storm»); tenebroso aspetto Fg V 289 («dark-brown cheek»); torbida fronte Tm VI 263; «avea sul ciglio /
funesta nube, atro vapor negli occhi» Fg III 111-112 («the king’s dark brows were
like clouds. His eyes like meteors of night»); «nel tuo volto / splenda letizia» Fg
VI 153-154 («let thy face brighten with gladness»); «io vidi / sulla sua crespa annuvolata fronte / errar sovente di letizia un raggio» Tm II 259-261 («I marked the
bright beams of joy, which travelled over his cloudy mind») ecc.
Altre metafore, infine, significano l’interiorità per via di terminologia
concreta, desunta dal piano fisico o comunque sensibile, ancora una volta in continuità con stereotipi della tradizione lirica (ferita, sospiri, incendio, volo del cuore, e simili), ma anche con soluzioni affatto nuove:
«rivo di gioja / ti scontri, o duce» Tm III 388-389 («joy meet thee, O warrior, like
a stream of light»); «nell’alma / gli ardea battaglia» Tm VI 253-254 («battle burnt
within his soul»; anche Tm VI 333, Dt 182); «il mio core [...] calca / l’ampio sentier della tua fama» Tm III 307-308 («my soul pursues thee, O Fillan, thro’ the
path of thy fame»); «il suo spirto / sgorga nel cor de’ bellicosi eroi» Fg II 216-217
(«he [...] pours his soul into the mind of heroes»); «i suoi gran fatti / scorrean
per l’alma, e gli scoteano il core» Fg III 389-390 («his actions were swelling in his
soul»); «mi s’aggiràr per l’alma / tenebrosi pensieri» Tm IV 8-9 («dusky thoughts
rolled over my soul»); «battaglia / di pensier in pensier fosca si volve / lungo la
poderosa anima audace» Tm VIII 19-21 («from thought to thought rolled the war,
along his mighty soul»); «il pianto / di vedove e di figli è a me torrente / vernal
che scende a desolarmi il core» Tm VIII 330-332 («tears are wintry streams that
waste away my soul»); «s’alzò, s’espanse / l’anima dell’eroe» Tm II 479-480
(«Cathmor’s swelling soul arose»); «gonfiasi [il cuore] allora / qual torrente spumoso» Tm VII 146-147 («for then it swells, a mighty stream»); «pensieri e sensi /
di zuffe e sangue avviluppati e intrisi» Tm IV 218-219 («strife is folded in their
thoughts») ecc.
176
6.
PENSARE PER ANALOGIE : SIMILITUDINE E METAFORA NELL’ OSSIAN
Ma se una certa coerenza sistemica, più o meno rigorosa, rientra tra i caratteri della metafora nell’Ossian italiano, non è d’altra parte meno caratterizzante la propensione ai salti categoriali, anche violenti, cui vengono
sottoposti i realia attraverso il processo metaforico, nonché all’accumulo
di figure di senso che può dare origine talora a potenti condensazioni. Era,
questo della lontananza tra i due termini congiunti dalla metafora e della
conseguente forzatura dell’associazione, un altro tratto esplicitamente
censurato dai teorici razionalisti: Du Marsais significativamente biasimava l’uso di metafore «quand elles sont forcées, prises de loin, et que le rapport n’est point assez naturel ni la comparaison assez sensible» (Des tropes, p. 138: è la stessa «chiarezza della simiglianza» invocata da Muratori,
cfr. PAR. 6.1, punto a). Qualche esempio. Ci sono metafore che attribuiscono tratti di liquidità all’acciaio: «degli eroi su i passi / sgorgano scintillanti onde d’acciaro» Tm VIII 218-219 («The gleaming waves of steel are
poured on either side»); «nelle tempeste dell’acciar bollente» Fg I 345
(«among the stormy sons of the sword»), vero e proprio grumo semantico da sciogliere incrociando la consueta analogia battaglia → tempesta con
l’altra, attivata anche nell’esempio precedente, tra i gruppi di armati e le
onde di un oceano sconvolto dai venti (cfr. «mar che bolle» Fg III 476). In
Tm I 411-412 «La mia vita / fia torrente di luce ai dì futuri» («my life shall
be one stream of light to bards of other times») si incrociano la usatissima metafora gloria → luce (MdC 333, Tm II 361, V 78-79 ecc.) con l’altra
non meno ossianica, e poi romantica e simbolista, luce → liquido (cfr. anche fonti di luce Tm II 466; «corrente / d’orata luce» Tm IV 64-65; l’«acciaro [...] sgorga i suoi raggi» Tm V 122-123 ecc.). Altri notevoli addensamenti figurali partono dalla ricorrente metafora visiva del fiammeggiare
delle armi nel buio della mischia (Fg I 81, IV 256 ecc.): in Dt 308-309 la metafora è trasferita metonimicamente al braccio che vibra la spada («la destra mia qual fiammeggiante / braccio di morte»: «flaming arm of death»);
in Fg IV 260-261 viene lessicalmente variata dal traduttore in ardere: «scorgea ’l tuo brando / arder sul petto dei nemici ancisi» («his sword flamed
over the slain»), con il risultato che da un lato sono trasmesse all’acciaio
proprietà combustibili, dall’altro si attiva l’associazione con analoghe metafore psicologiche («nell’alma / gli ardea battaglia» Tm VI 253-254, e simili), riuscendo insomma in un’immagine energicamente condensata della voluttà della strage. Si veda infine il cortocircuito astratto-concreto in
Fg I 284-285 «dolcemente / t’affaccia allo sportel del mio riposo» («near the
window of my rest»), riferito all’apparizione in sogno; e la potente concrezione figurale di Tm II 506-509 «Sole del ciel, quanto è terribil mai / la
tua beltà, [...] quando la morte oscura / sta ne’ tuoi crini raggruppata e at177
LA LINGUA DELLA POESIA NELL’ ETÀ DELL’ ILLUMINISMO
torta!» («O Sun! Terrible is thy beauty, son of heaven, when death is folded in thy locks»), riferita ai raggi del sole che tramonta tra vapori sanguigni. Nulla di strano nell’ottica settecentesca: «quanto più una nazione
è selvaggia, tanto meno vedendo le differenze degli oggetti, tanto più le
di lei metafore saranno ardite e forti» (Ricerche, p. 128). Esempi analoghi
di vera e propria oltranza metaforica potrebbero facilmente essere prodotti: alcuni saranno presentati nel PAR. 6.10, esaminando la tecnica traduttoria di Cesarotti che, come in parte si è visto, di tali oltranze è spesso responsabile in prima persona.
Ci fermiamo qui con l’esemplificazione relativa all’uso delle metafore 51. In generale andrà senza dubbio rilevata la novità di alcune associazioni metaforiche ignote alla tradizione italiana, e anche di certe potenti
concrezioni figurali del tipo di quelle viste da ultimo, il cui gusto vagamente barocco era da Cesarotti giustificato in nome della creatività linguistica e del fatto che «la locuzione in tutte le lingue ha molte bizzarrie
contraddittorie», e insomma dell’uso 52; tuttavia conta anche notare, e una
volta di più, come tali punte si inseriscano in una compagine coerente,
che ingloba e in parte rifunzionalizza anche molto materiale convenzionale, per lo più introdotto dal traduttore. Tra le costanti che emergono da
questo accentuato metaforismo, sicuramente notevole è la forte tendenza allo sconfinamento dell’umano nel naturale (del soggetto nell’oggetto)
e viceversa, con la conseguente attenuazione di un confine ontologico
fondamentale qual è quello tra io e mondo: si torna all’osservazione già
fatta per le similitudini (PAR. 6.4) a proposito della percezione non economica e utilitarista, ma contemplativa e sentimentale della natura, qui
spinta fino all’intuizione di quella che sarà una costante della sensibilità
51. Gilardino (1982, pp. 31-2), poi ripreso da Baldassarri (1989-90), ha anche accennato all’impiego nell’Ossian inglese di perifrasi metaforiche affini alle kenningar norrene.
L’argomento sarebbe pertinente a un’analisi delle metafore ossianiche, ma l’uso della kenning andrebbe dimostrato e spiegato nel testo inglese prima di poter essere preso in considerazione per la traduzione italiana: cosa che a quanto ne so non è stata fatta dopo i cenni interessanti ma fugaci di Gilardino. Cfr. comunque quanto già detto a questo proposito nel PAR. 5.4, p. 122.
52. Nota a Dt 38 (sospira il crine): «Questa metafora o catacresi celtica può sembrar
alquanto strana alle orecchie italiane. Io però non ho creduto necessario di cambiarla. Un
antro ulula il mar sorride, la terra geme, un albero lagrima: in tutto ciò non si guarda che
alla rassomiglianza fisica degli effetti, senza pensar alle cause. Perché non poteva sembrar
ai Celti che uscisse un sospiro da una folta e lunga massa di capelli, agitata alternamente
da un leggerissimo soffio di vento? Io però non intendo di giustificare quest’espressione.
Ma la locuzione in tutte le lingue ha molte bizzarrìe contraddittorie; e i retori sarebbero
ben imbarazzati a renderne una ragione adeguata».
178
6.
PENSARE PER ANALOGIE : SIMILITUDINE E METAFORA NELL’ OSSIAN
romantica, vale a dire il senso di una fondamentale continuità e al limite
osmosi tra uomo interiore e natura (Mengaldo, 2006).
6.9. Si è finora fatto riferimento solo occasionalmente alle differenze tra
l’Ossian inglese e quello italiano; del resto la sistematica citazione del testo di partenza ha permesso di verificare quanto e dove la traduzione italiana se ne discosti: è ora di affrontare direttamente il problema, riprendendo e integrando le osservazioni sparse nella descrizione linguistica,
per isolare infine alcune costanti del tradurre cesarottiano nello specifico campo di analisi di queste pagine 53.
Una prima costante è data dalla forte tendenza alla dissimilazione, e
ciò si capisce bene: se c’era un testo che poteva irritare l’idiosincrasia per
la repetitio connaturata alla tradizione linguistico-letteraria italiana 54,
questo era l’Ossian, con la sua ristrettezza lessicale e formularità pseudoarcaica. La tendenza dissimilante incontra d’altra parte due limiti: il
primo deriva dalla necessità di non tradire completamente una caratteristica fondante del testo d’origine, appunto quella ripetitività in cui, come si è già detto, trova applicazione l’idea che le lingue primordiali fossero vichianamente «ridondanti per indigenza». Il secondo limite è dato da una tendenza di segno opposto alla dissimilazione, riassumibile
nella massima del «far che l’autor medesimo supplis[ca] a se stesso»
enunciata nell’importante osservazione introduttiva a Comala 55: in base
a questo principio, il traduttore interviene autonomamente sul testo avvalendosi delle stesse “maniere” (lessico e stilemi) impiegate altrove dal
poeta celtico, o comunque di “maniere” «conformi al modo di pensare,
e d’esprimersi» dell’originale, in senso dunque assimilante, e introducendo quindi ripetizione.
Un settore dove la spinta alla dissimilazione agisce tuttavia senza contrappesi è la resa in italiano dei cosiddetti “modalizzatori comparativi”
(Genette, 1976), ossia delle varie espressioni (per lo più connettivi) che mediano il passaggio dal piano del comparato a quello del comparante. Nel
testo inglese si tratta di un insieme assai ristretto: quasi sempre i semplici
53. Sul Cesarotti traduttore il lavoro di riferimento è Baldassarri (1989-90), da integrare con Matarrese (2002) per le traduzioni da Voltaire e (2011) per le traduzioni da Omero, e con Goldin Folena (2002) e Melli (2002) per le idee cesarottiane sulla traduzione.
54. Cfr. Mengaldo (2001, pp. 102-4). Su questo aspetto del Cesarotti traduttore, si veda Baldassarri (1989-90, III, pp. 27-8).
55. Baldassarri (1989-90, II, p 22 e III, pp. 55-6). In particolare, si veda alla nota 168 l’elenco dei vari luoghi del commento in cui compare il principio del “correggere Ossian
con Ossian”.
179
LA LINGUA DELLA POESIA NELL’ ETÀ DELL’ ILLUMINISMO
like e as (eventualmente accompagnati dal correlativo so, such), con poche
alternative a bassissima frequenza 56. Il passaggio all’italiano vede invece
una moltiplicazione di questi modalizzatori, in omaggio a un gusto umanisticamente educato alla varietà in questo settore almeno fin da Petrarca 57.
Se si prendono in esame ancora i dati relativi ai soli Fingal e Temora, si assiste alla diffrazione sinonimica degli equivalenti di like e as (il
numero indica le occorrenze): come 76 (19% del totale) e siccome 11, quale 94 (23,5%), quasi 21, pari a 5 e a paro di 9, simile a 9, quanto 4. Gli equivalenti di so e such sono: così 5, tale 3 e cotale 1, in cotal guisa 1. La similitudine bilanciata o correlativa si trova espressa con tutta la gamma di
forme della tradizione italiana: come ... così/sì 5, come ... tale 3, come ...
in cotal guisa 3, quale ... così/sì 6, quale ... tale/cotale 9, in tale aspetto ...
cotale 1, non con più forza ... di quel che 1, con tale o con minor fracasso ...
di quel con cui 1, con quel fragor che ... così 1, parea ... tale 1. Altri nessi di
natura più occasionale sono il paragone di maggioranza più ... che/di 3
(«più candida e fresca / della neve di Cromla» Fg V 308-309 < «fairer
than the snow»: 3); o il nesso genitivo 7 («avea la possa / della corsìa del
Lora» Fg III 21-22 < «he was strong as the waters of Lora»). Soprattutto
ampia e variegata è l’area dei modalizzatori verbali (il 28% del totale, includendo il verbo essere): sembrare e il derivato rassembrare 18, parere 17,
somigliare e rassomigliare 18, agguagliare 2 e uguagliare 1, pareggiare 3, adeguare 2 (“uguagliare”, lat. adaequare), imitare 1, vincere 1. Altri modalizzatori verbali come dire 4, vedere 3, credere 1 relativizzano il paragone
chiamando in causa un soggetto percettore: «irata ombra il diresti, /
che...» Fg II 211-212 («like an angry ghost...»); «Dillo un irato spirito» Tm
V 408 («Fillan is like a spirit»); «avresti appunto viste [...] due smisurate
ed orride colonne» Tm IV 245-247 («like two columns»); «Sul nemico avventatevi, ond’ei creda / che a lui dall’alto si rovescin sopra / tutti i notturni tempestosi spirti» Fg II 204-206 («rush on the foe [...] as the spirits of stormy nights»); «spesso hai visto / [...] Tal della pugna era il fragor» Fg IV 402-413 («Thou hast seen [...] Such was the noise of battle»).
56. Prendendo come campione l’insieme delle similitudini tradotte da Cesarotti in
Fingal e Temora, risulta che like e as coprono da soli l’88% dei casi. Più analiticamente (ciascuna forma è seguita dal numero di occorrenze): like 245 (65,1%), as 54 (13,9%), like ... so
3 (0,8%), as ... so / such 32 (8,2%), to be 32 (8,2%), to seem 6 (1,5%). Restano occasionali
such 2, thus 1, so 1 (1% in tutto), l’accostamento appositivo o predicativo («my soul swells, a mighty stream» 5: 1,3%), il comparativo («fairer than the snow» 3: 0,8%), la preposizione in («rolled, in smoak, from the fields» 2: 0,5%), il riferimento a un testimone («Thou
hast seen ... so was...» 1).
57. Cfr. Berra (1992, pp. 73-114).
180
6.
PENSARE PER ANALOGIE : SIMILITUDINE E METAFORA NELL’ OSSIAN
Tra i modalizzatori verbali un posto a parte spetta infine al verbo essere
(42: il 10,5%), più frequente che nell’originale e quindi spesso guadagnato in traduzione, che fa slittare il rapporto tra i due piani dalla comparazione all’identificazione, avvicinandosi alla metafora, come accade
anche più chiaramente quando l’operatore lessicale scompare senz’altro, riducendosi ai due punti: «i valorosi, amico, / benchè vinti, son chiari: il sol tra i nembi / cela il capo talor, ma poi ridente / torna a guardar
su le colline erbose» Fg VI 259-262 («they are like the sun in a cloud»);
oppure senz’altro alla virgola, col che si completa la trasformazione della similitudine in metafora appositiva: «Che più dunque pugnar, palustri
canne / contro il vento del cielo?» Fg II 276-277 («Why strive we as reeds
against the wind?»); «indi comparve / la metà del brocchier, meteora in
notte / su la valle dell’ombre» Tm VIII 201-203 («the half of his burnished
shield: like the rising of a nightly meteor»).
Ma l’impazienza nei confronti della ripetitività del testo inglese
emerge in ogni aspetto della traduzione e influenza il nostro campo di
indagine ben al di fuori dell’ambito ristretto dei modalizzatori: non si
tratta solo di fenomeni minimi di diffrazione lessicale, per cui una stessa metafora inglese è resa da una pluralità di equivalenti italiani (si veda,
dalla stessa esemplificazione di questo saggio, il caso di roar, reso di volta in volta come rugghiare, muggire e rimugghiare, urlare, furibondo [roaring], e spesso semplicemente tralasciato), ma anche di interventi più
macroscopici, come è il caso di intere similitudini o parti di similitudini
che sono lasciate senz’altro cadere (primo gruppo di esempi seguenti), o
condensate in veloci metafore (secondo gruppo), spesso accompagnandole con un drastico giudizio nelle note:
«Perché vi state / sì lagrimosi, taciturni, immoti?» Tm VIII 54-55 < «Why are ye
dark, like two rocks, each with its trickling waters» (NOTA: «S’è creduto bene sostituir il senso della comparazione alla comparazione medesima; tanto più che non
è questa la prima volta ch’ella comparisce»); «Fingal che i forti / sperde, qual turbo la minuta arena» Fg I 123-124 < «Fingal that scatters the mighty, as stormy winds
the heath; when the streams roar thro’ echoing Cona: and night settles with all her
clouds on the hill» (NOTA: «Nelle edizioni precedenti tutto il luogo fu tradotto letteralmente [...]. Ora si è pensato di omettere questo strascico imbarazzante di circostanze oziose, che affogano l’idea principale, e ne smaccano la forza invece di
accrescerla»); «... / del Re la voce, ella somiglia a suono / d’alpestre rio» Tm III 1314 < «... the voice of the king. It is like the bursting of a stream, in the desart, when
it comes between its echoing rocks, to the blasted field of the sun» ecc.
«Salì sul colle in torbido sembiante» Fg V 278 < «like a roaring storm, ascended the hill»; «innanzi a me rotte e disperse / sfuman le schiere» Tm VIII 263-264
181
LA LINGUA DELLA POESIA NELL’ ETÀ DELL’ ILLUMINISMO
< «The foe is rolled before me, like a wreath of smoak»; «in sul mio spirto ardea /
vampa di gioja» Tm VIII 308-309 < «Joy rose, like a flame, in my soul»; «Molti
prodi fur vinti, e poi di nuovo / scintillaron di gloria» Fg VI 256-257 < «many
have been overcome in battle, that have shone afterwards like the sun of heaven»; «Ma che? da quell’abisso / uscì Gruma e rifulse» Fg VI 285-286 < «But afterwards he shone like a pillar of the light of heaven»; «E gli aquilini suoi vigili
sguardi / non si parton da noi» Tm II 215-216 < «they are watchful, as eagles, on
their mossy rocks»; «rivo di gioja / ti scontri, o duce» Tm III 388-389 < «Joy meet
thee, O warrior, like a stream of light» ecc.
Il passaggio dalla similitudine alla metafora attestato dall’ultimo gruppo
di esempi merita attenzione specifica, dato che costituisce un altro asse
rilevante della traduzione di Cesarotti, che in generale vede un consistente aumento del tasso di metafore rispetto al testo inglese. Una parte
di queste metafore deriva, come vedremo, dal generale ampliamento descrittivo riscontrabile nel testo italiano, altre invece vengono appunto
dalla condensazione di similitudini, in continuità con la tendenza già osservata sopra a erodere lo spazio della similitudine esplicita allargando
l’uso dei modalizzatori di identificazione (il verbo essere, la virgola, i due
punti) 58. Si tratta di una tendenza abbastanza sorprendente in un traduttore complessivamente noto piuttosto per le inclinazioni razionalizzanti ed esplicitanti rispetto a un originale implicito e a tratti oscuro: infatti, se analizzando i singoli esempi è spesso possibile individuare motivazioni locali per l’eliminazione di una similitudine (dissimilazione e alleggerimento; attenuazione dei contrasti semantici ecc.), sta però di fatto che nel complessivo movimento dalla similitudine alla metafora Cesarotti mostra di privilegiare la fusione analogica rispetto alla distinzione razionalista dei piani, non di rado con risultati di efficace condensazione, ma talora senz’altro di oscurità:
58. Rari, viceversa, i casi in cui Cesarotti introduce una similitudine esplicita in sostituzione o in appoggio a una metafora di Macpherson: «Guarda il figlio, / quasi raggio
mattutin. / Raggio che splende, / ma fere e incende: / luce nemica al suo chiaror non dura» Tm V 381-385 < «Behold that early beam of thine. The host is withered in its course»;
«Egli qual turbo le schiere travolve» Tm V 401 < «Striding midst the ridgy strife, he pours
the deaths of thousands forth»; «oscuritade / l’anima quasi nuvola gli adombra» Tm VI
296-297 < «Darkness is blown back on his soul»; « O ramicello di Lumon gentile, / a che
ti scuoti per terrore, e chini, / quasi ad irreparabile tempesta, / le verdi cime?» Tm VII 181184 < «Young branch of green-headed Lumon, why dost thou shake in the storm?»; «qual
per nebbia, / travide i fatti di venture etadi» Tm VII 353-354 < «dimly beheld the times to
come»; «avanza il passo / come tuon fragoroso» Tm VIII 154-155 < «In thunder are his
mighty strides».
182
6.
PENSARE PER ANALOGIE : SIMILITUDINE E METAFORA NELL’ OSSIAN
d’Inisfela i guerrier. Precede il duce,
siccome immensa d’oceàn balena,
che gran parte di mar dietro si tragge.
lungo la spiaggia ei va rotando, e a rivi
sgorga valor. L’alto torrente udiro
i figli di Loclin (Fg I 302-307).
The chief like a whale of ocean,
whom all his billows follow, poured
valour forth as a stream rolling his
might along the shore. The sons of
Lochlin heard the noise as the
sound of a winter stream.
Vibra il raggiante suo brando, cui dietro
striscia spavento. Egli da lungi adocchia
un guerrier di Loclin (Fg V 83-85).
His sword is before him, as a sunbeam, terrible as the meteor of night.
He came toward a chief of Lochlin.
Uscìr con forte impetuosa piena
di Bolga i figli: precedea Colculla,
il signor d’Ata; su la piaggia inonda
la marea della zuffa: ivi Cormano
brillò di viva luce, e de’ suoi padri
la fama non tradì (Tm III 413-418).
Like the bursting strenght of a
stream, the sons of Bolga rushed to
war: Colc-ulla was before them,
the chief of blue-streaming Atha.
The battle was mixed on the plain,
like the meeting of two stormy seas.
Cormac shone in his own strife,
bright as the forms of his fathers.
Agiscono in questi esempi due concomitanti tendenze traduttorie: una
è quella già notata alla dissimilazione, che porta a sciogliere i cumuli di
similitudini molto ravvicinate del testo inglese (si veda in particolare il
primo esempio, con la stessa similitudine ripetuta due volte); l’altra è
quella a riassorbire, mediante la trasformazione in metafora, alcune incoerenze comparative che spesso ricorrono nell’Ossian. È il caso del secondo esempio, dove la spada di Fingal è paragonata a brevissima distanza a un raggio di sole e a un fulmine notturno, e del terzo, in cui si
ha in rapida successione il paragone di un esercito a un fiume, e poi dello scontro dei due eserciti allo scontro di due mari. Si noti tuttavia come l’esito italiano sia di marcata concentrazione figurale nel secondo
esempio («cui dietro striscia spavento» < «terrible as the meteor of night»), di effettiva oscurità nel primo, almeno per quanto riguarda il duro anglismo va rotando (< rolling [his might]), riferito metaforicamente al fiume-guerriero.
6.10. Il fatto è che se si volesse indicare una caratteristica cardinale del
tradurre cesarottiano questa sarebbe probabilmente la sua natura intimamente dialettica, se non contraddittoria, per cui non è possibile renderne conto se non in termini di contrasto, mai del tutto risolto, tra
183
LA LINGUA DELLA POESIA NELL’ ETÀ DELL’ ILLUMINISMO
principi costruttivi e organizzativi di segno opposto. La compresenza di
tendenze dissimilanti e assimilanti cui si è accennato in apertura del paragrafo precedente è già indicativa di questo modo di procedere; ma i
contrasti più significativi sono quelli che possono essere sussunti nell’opposizione tra pulsioni razionalizzanti ed esuberanza immaginativa:
una dialettica interna già all’originale inglese, ma che il traduttore rivive in proprio, assecondando pendolarmente ora l’una ora l’altra delle
due inclinazioni, ma spesso provandone la contraddizione nello stesso
tratto testuale. Per dare un nome a queste antinomie, diciamo, semplificando: riduzione e sfoltimento vs amplificazione descrittiva; esplicitazione vs agglutinazione e accumulo di senso; distinzione razionalizzante vs unificazione fusiva.
Così è ben noto, come evidenziato da Binni (1975) e da Baldassarri
(1989-90, II, pp. 7-10 e III, pp. 31-5), che una delle istanze più vive nel traduttore è quella razionalista che si traduce da un lato in ricerca di coerenza, dall’altro in esplicitazione che porta a espressione discorsiva l’implicito delle similitudini di Macpherson, seguendo indicazioni dello
stesso Cesarotti («chi è in caso d’intender l’originale, e conosce quanto
spesso le espressioni del Bardo caledonio sieno ripiene d’ambiguità e
d’imbarazzo, troverà forse che il traduttore ha fatto uso di qualche sagacità non dispregevole per fissarne il senso, e d’una industria non indifferente per farlo gustare»: nota a Fg II 217). La traduzione si fa quindi spesso interpretazione, scioglimento semantico, talora anche correzione del testo inglese laddove lo si ritenga carente o non abbastanza
esatto:
«Egli sedea sul lido / sopra uno scoglio, annubilato in volto, / come nebbia sul
colle» Fg I 22-24 < «He sat on a rock on the shore, like a cloud of mist on the silent hill» (NOTA: «Il testo ha: simile a nuvola di nebbia sul colle. Non sempre è facile scorger il rapporto di questi modi comparativi assai spesso vaghi e confusi.
Io cerco di fissarne il senso possibilmente. La rupe di ghiaccio rappresentava la
statura; ho creduto che la nuvola di nebbia non possa riferirsi che al volto»); «Egli
la muta oscurità degli anni / signoreggia col nome; alla sua fama / serpe un garrulo rivo, ella rinverde» Tm VI 304-306 < «The heath, thro’ dark-brown years, is
theirs; some blue stream winds to their fame» (NOTA: «Anche quest’ella rinverde
è una piccola aggiunta del traduttore, per dar proprietà e vivezza ad un sentimento, che senza di essa non sembra nè chiaro nè aggiustato abbastanza. La loro fama, si vien a dire, rinverdirà, come rinverdisce la pianura bagnata da un serpeggiante ruscello»); «avanza il passo / come tuon fragoroso» Tm VIII 154-155 < «In
thunder are his mighty strides» (NOTA: «Non so qual altro senso ragionevole possano aver le parole dell’originale: nel tuono sono i poderosi suoi passi»); «dall’infocata rabbia / del feroce Foldan» Tm V 195-196 < «before the dark-red rage of
184
6.
PENSARE PER ANALOGIE : SIMILITUDINE E METAFORA NELL’ OSSIAN
Foldath»; «Quelli mirarlo [un toro] / trescar bizzarro, e saltellar sul prato, / candido come neve» Fg I 564-566 < «they saw him leaping like the snow» ecc.
Ma si è già visto come altrove (ultimi esempi del paragrafo precedente)
la tendenza sia piuttosto quella contraria, cioè alla condensazione rispetto alla “borra” ossianica, e al conseguente acquisto di implicitezza.
E in generale la spinta più sostanziosa che misuriamo dal confronto tra
originale e traduzione non è tanto quella alla chiarificazione più spesso
esplicitamente denunciata nelle note, quanto piuttosto quella alla pura e
semplice amplificazione espressiva e tonale delle immagini 59. C’è una
notevole osservazione al testo in cui Cesarotti commenta questa sua infedeltà alla lettera, che vuole essere rigorosa fedeltà allo spirito immaginativo e “sentimentale” del poeta primitivo:
Del resto io non dissimulo d’aver aggiunto qualche tratto pittoresco e animato
a questa scena terribile. Quelli, in cui la lettura di Ossian mette in fermento lo
spirito, mi compatiranno certamente, se trasportato dall’agitazione interna, ho
fatto talora senza avvedermene un innesto della mia fantasìa con quella di Ossian. Quanto a quell’anime apatiche, che non conoscono le tentazioni nè dell’immaginazione, nè del sentimento, confesso che hanno tutto il diritto di censurarmi, ma non so decidere se abbiano quello di leggermi (nota a Tm VIII 251).
Parlando di amplificazione espressiva intendo essenzialmente tre cose,
in genere concomitanti in uno stesso movimento linguistico e testuale: a)
intensificazione semantica (went > volò, Fg II 454; red cheek > guancia
infocata Fg IV 221); b) arricchimento descrittivo, con l’aggiunta di particolari estranei o impliciti nell’originale («like a wave on a rock» > «col
tuono / d’un’infranta allo scoglio, e mugghiant’onda» Fg I 29-30); c) aumento del tasso figurale o metaforico («laid them low in blood» > «atterrasti / entro tombe di sangue armate intere» Tm IV 212-213; «darkened
moons» > «lune pregne d’orror» Tm VIII 357).
Una delle manifestazioni più evidenti di tale apertura all’immaginazione è appunto l’ampliamento testuale, nel senso dell’ingresso di sintagmi e parole non direttamente desumibili dal testo inglese. Tra i mol59. Su cui si sofferma Goldin Folena (2002, p. 367). Si vedano anche le osservazioni
di Tina Matarrese (2002, pp. 396-9), a proposito del «gusto per l’iterazione e l’amplificazione» e dell’«intento di enfatizzazione al fine di un più forte movimento degli affetti»,
che segnano anche la traduzione (altra traduzione-ricreazione) delle tragedie di Voltaire.
Analoga, ma con modalità anche più nettamente marcate, debitrici dell’ormai pregressa
esperienza ossianica, è poi l’operazione condotta su Omero con la Morte di Ettore: cfr.
Matarrese (2011).
185
LA LINGUA DELLA POESIA NELL’ ETÀ DELL’ ILLUMINISMO
tissimi estraggo di seguito alcuni esempi minimi, e poi due più estesi, desunti dall’ambito privilegiato di questo tipo di amplificazioni, ovvero le
similitudini prolungate destinate all’espressione per mezzo di comparanti naturali dell’iperbole epica o della sublime dismisura (in corsivo le
parti sviluppate dal traduttore):
«d’autunno [...] iscatenati turbini focosi» Fg I 388-389 < «autumn’s dark storms»;
«ho grave e negra / l’anima di dolor» Fg II 403-404 < «my soul is laden with grief»;
«Qual sanguigno notturno vapor» Fg IV 297 < «as a meteor at night»; «benchè il
suo spirto / nero fosse e sanguigno» Tm I 590-591 < «though his soul was dark»;
«Dalle sale del turbine e del tuono» Tm II 136 < «from the halls of thunder»; «allor che un’irata ombra, / torbida furibonda esce» Tm I 262-263 < «when an angry
ghost rushes»; «qual presaga di tempeste e venti / aquila rapidissima del cielo» Tm
II 344-345 < «like the eagle of heaven»; «Tempestano gli eroi, quai sconvolte onde
/ sconcia balena d’espugnar fan prova» Fg II 307-308 < «Like waves behind a whale behind them rushed the foe»; «l’alato / mostro novel cavalcator dell’onde» Tm
VII 333-334 < «a ship dark rider of the wave» ecc.
S’avviluppan gli eroi; come dall’alto
di rotte rupi rotolon cadendo
due torrenti spumosi urtansi in giostra
con forti cozzi, e giù con le miste onde
van rovinosi a tempestar sul piano;
sì romorose, procellose, e negre
Inisfela, e Loclin nella battaglia
corronsi ad incontrar (Fg I 391-398).
As two dark streams from high
rocks meet, and mix and roar on
the plain; loud, rough and dark in
battle meet Lochlin and Innis-fail.
Pareano appunto (altera vista e bella)
due luminosi spiriti del cielo [...]
sotto i lor occhi s’accavalla e infrange
fiotto con fiotto; mostruose moli
scoppiano di balene, e d’immensa orma
stampan l’ondoso disugual sentiero
(Tm III 222-230).
They were like two spirits of heaven
[...]. The blue-tumbling of waves is
before them, marked with the paths
of whales.
Qui il traduttore si trova ad aggiungere proprio quelle «circostanze oziose» che altrove recide senza esitazioni. Spesso questa spinta all’amplificazione descrittiva ed espressiva riesce ad armonizzarsi con le già menzionate preoccupazioni esplicitanti e razionalizzanti del traduttore italiano: l’aggiunta di dettagli è in genere attenta alle esigenze dell’esattezza
comparativa e spesso utile alla disambiguazione; così in Tm VI 24-26.
186
6.
PENSARE PER ANALOGIE : SIMILITUDINE E METAFORA NELL’ OSSIAN
No, figliuol mio, non sarà mai che sorga
sulla tua luminosa alma di foco
nube per me, che la raggeli o abbui
No cloud of mine shall rise, my
son, upon thy soul of fire
l’implicito della metafora inglese è risolto scindendo la componente visiva (→ gloria) e quella termica (→ aggressività, valore bellico) compresenti nell’immagine del fuoco e riprendendo entrambe nella dittologia
finale. O ancora, e un solo esempio può valere per vari altri, l’incremento descrittivo del comparante di una similitudine può servire a moltiplicare o precisare i rapporti analogici col comparato, con un acquisto di
esattezza:
Curvansi nella mischia; egli nel mezzo
fermo e grande si sta, qual quercia annosa
di tempesta accerchiata; in giù dai venti
pende fiaccato un noderoso ramo:
ella non cura, e radicata e vasta
sbatte e soverchia coll’aerea cima
la nebbia che l’ingombra, asilo e segno
di meraviglia al cacciator pensoso
(Tm III 299-306)
Himself stood tall, amidst the war,
as an oak in the skirts of a storm,
which now is clothed, on high, in
mist: then shews its broad, waving
head; the musing hunter lifts his
eye from his own rushy field
dove la parte in corsivo è aggiunta del traduttore «affine che la comparazione riuscisse viva ed esatta»: e infatti, il particolare del ramo spezzato aggiunge sì un tratto pittoresco all’immagine, ma nel contempo attiva
una precisa corrispondenza con il braccio ferito del guerriero Gaulo,
comparato della similitudine, mentre la metafora personificante ella non
cura riferita alla quercia ne rafforza ancora il legame con il comparato
umano (di nuovo una “metafora di ritorno”), all’insegna di quelle fusioni tra i due piani che abbiamo visto spesso perseguite dal paragone
dell’Ossian 60.
Ma non è sempre di questo tipo il risultato che consegue a Cesarotti dall’assecondare quelle che chiama «tentazioni dell’immaginazione»:
60. Un altro esempio in Tm III 169-172: «Proteso ho un piè, sospeso l’altro, e d’alto /
splendea d’acciar: tale il ruscel di Tormo / mentre sta per cader, notturni venti / l’inceppano di ghiaccio», con analoga nota esplicativa: «L’originale: il mio passo è avanzato verso la pianura [my feet is forward on the heath]. Ciò non parea che bastasse per somigliar
al ruscello che sta per cedere e s’agghiaccia per aria. Il picciolo tratto aggiunto rende e
più pittoresco l’atteggiamento, e più esatta la comparazione che segue».
187
LA LINGUA DELLA POESIA NELL’ ETÀ DELL’ ILLUMINISMO
soprattutto l’inserimento di ulteriori livelli figurali (terza tra le componenti elencate sopra) porta non di rado alla formazione proprio nel testo italiano di alcuni di quegli energici salti categoriali, e addensamenti
semantici, che si sono descritti come tipici del linguaggio ossianico e che
altrove sono lasciati cadere o sciolti discorsivamente dal traduttore.
Qualche ulteriore esempio a complemento di quelli già mostrati fin qui:
in Fg II 154-156, «D’Inisfela i guerrier schierati, e stretti, / qual catena infrangibile di scogli / lungo la spiaggia» (< «like a ridge of rocks on the
shore»), l’aggettivo infrangibile aggrega per iniziativa del traduttore al
lessema catena il senso di sbarramento metallico, che si fonde col significato orografico del testo inglese (ridge), raddoppiando l’iperbole; in Dt
386-387, un’interpretazione concreta della preposizione with crea solo in
italiano una visionaria mescolanza di sangue e luce («col loro sangue /
vider frammista del mattin la luce» < «they saw their blood with morning’s light»). Iniziativa del traduttore è l’ossimoro di Fg III 330 («alzate
i scudi / qual tenebrosa luna» < «darkened moon», cioè “offuscata”, come il medesimo sintagma è infatti tradotto in Fg II 40). Ancora, in Tm III
471-472 la credenza secondo cui le anime dei trapassati non possono salire al cielo se non dopo il canto dei bardi produce l’azzardata metafora
di una nebbia che si ciba di anime: «ah non si lasci / giacer pasto di nebbia alma di prode», laddove il testo inglese era assai più convenzionale
(«let not the soul of the valiant wander on the winds»); in Tm VIII 212215 è il traduttore a sviluppare ai limiti del concettismo la più neutra metafora inglese del foamy path per la scia delle balene sulla superficie dell’oceano («sul profondo / precipitosi piombano spezzati / diradicati boschi, e fansi inciampo / delle sconce balene ai passi ondosi» < «from the
blast fall the torn groves on the deep, amidst the foamy path of whales»).
E varrà la pena di riproporre in chiusura qualche esempio già citato: Fg
I 345 «Nelle tempeste dell’acciar bollente» < «among the stormy sons of
the sword»; Fg V 83-84 «brando, cui dietro / striscia spavento» < «terrible as the meteor of night»; Tm IV 212-213 «atterrasti / entro tombe di sangue armate intere» < «laid them in blood», e così via.
6.11. Tanta spregiudicatezza dell’Ossian originario, e più ancora del suo
traduttore italiano, colpisce se inserita nel contesto di un gusto e di una
cultura che – come si è già detto – si mantengono tendenzialmente antimetaforici e antifigurali per tutto l’arco del secolo. Ancora nel 1784, Rivarol, l’apologeta della clarté del francese, ribadiva le istanze espresse all’inizio di questo saggio parlando dello stile metaforico come di «perpétuel mensonge de la parole», e associando «les erreurs dans les figures
188
6.
PENSARE PER ANALOGIE : SIMILITUDINE E METAFORA NELL’ OSSIAN
ou dans les métaphores» a «fausseté dans l’esprit» 61; più sobriamente, la
voce Métaphore dell’Encyclopédie, quasi interamente composta di citazioni da Du Marsais, accoglie la metafora come il più bello e utile dei tropi, ma a patto che sia «assujettie aux lois que la raison et l’usage de chaque langue lui prescrivent»: precisamente la «libertà sorvegliata» di cui
parlava Orlando. A metà Settecento, d’altra parte, un apparato concettuale e una filosofia del linguaggio in parte rinnovati rendono possibile
per altre vie anche una riconsiderazione del problema della metafora e
del suo impiego poetico. È in questa prospettiva che va collocata l’esperienza dell’Ossian inglese e (soprattutto) della sua traduzione italiana, la
cui oltranza analogica lacera il tessuto di una lingua poetica classicizzante e stilizzata non solo per l’alta frequenza d’uso delle figure di analogia, ma anche per i violenti salti categoriali, le agglutinazioni di senso
poco controllate, le frequenti incoerenze sintagmatiche di cui nelle pagine precedenti si è data ampia documentazione 62. È chiaro d’altra parte che tale intemperanza non configura in alcun modo un ritorno al barocco, soprattutto perché del barocco non conosce la deliberata e intellettualistica ricerca dell’inusitato, la meraviglia che sta al fine di ogni acutezza: se emergono talora associazioni brusche e contrasti semantici,
questo non avviene a freddo, per deliberato calcolo, ma per mal controllata esuberanza associativa, vera o riflessa che sia. Gli stessi frequenti sconfinamenti tra comparante e comparato, con il conseguente trasferimento di attributi da uno all’altro, mirano in genere a moltiplicare i
punti di contatto tra i due piani sviluppandone il più possibile l’analogia, mentre nessun interesse emerge per quegli sviluppi conflittuali
espressamente orientati all’aporia che erano cari ai concettisti e che Muratori aveva censurato in nome del rigore logico nel secondo libro della
Perfetta poesia. Piuttosto si può parlare per l’Ossian in questo campo di
una proiezione in avanti, verso una nuova crisi del principio di distinzione che si consumerà col romanticismo, e verso il conseguente gusto
per l’indistinto, portato fino a coinvolgere il rapporto soggetto-oggetto
e uomo-natura 63.
61. De l’universalité de la langue française, cit. in Orlando (1997, p. 118).
62. In questo campo, e in generale, lo sperimentalismo linguistico cesarottiano fa
tutt’uno con l’eccezionale sperimentalismo metrico (Zucco, 2002, p. 307: «il maggiore
sperimentatore metrico della sua epoca»).
63. Cfr. per questo Mengaldo (2006, pp. 128-37): eccellente punto di partenza anche
per affrontare il problema dell’eredità (scarsa, sembrerebbe) lasciata da questa specifica
componente del linguaggio ossianico alla poesia italiana.
189
LA LINGUA DELLA POESIA NELL’ ETÀ DELL’ ILLUMINISMO
Ma a ben vedere quella dell’oltranza analogica non è che una componente del problema qui fatto oggetto di studio: sull’altro piatto della
bilancia pesa quella che si vorrebbe chiamare una strenua volontà razionale e costruttiva, come se l’analogia dell’Ossian nel momento stesso in cui rimette in discussione il principio razionalista di distinzione e
di identità non rinunciasse ad essere almeno in parte “saggia”. Cadono
qui la più volte evidenziata preoccupazione di esattezza o “aggiustatezza” del comparante, nel senso di ricerca di precise e multiple corrispondenze tra i suoi singoli elementi e la situazione narrativa oggetto di
comparazione; l’attenzione rilevata poc’anzi a evitare sconfinamenti
contraddittori degli attributi tra i piani di comparazione; lo stesso impiego frequentissimo della metafora continuata, che è quanto dire un
uso costruttivo e strutturante della metafora. Né la cosa sfuggiva ai partigiani di Ossian, come il solito Blair, che nell’analizzare il paragone nei
Poems ne rileva sì la ricchezza di immaginazione (richness of imagination), ma subito dopo anche la proprietà di giudizio (propriety of judgment: cfr. Gaskill, 1996, p. 386). Si tratta di una delicata ricerca di equilibrio ben caratteristica di un clima culturale che sente con urgenza il
problema di accordare le istanze dell’immaginazione, dell’entusiasmo,
della pluralità e profondità di sensazioni, che le nuove teorie estetiche
venivano mettendo a fuoco, con un’istanza di ordine e di controllo sentita in fondo come irrinunciabile all’arte 64. È un equilibrio tendenzialmente precario, perché difficile sia sul piano della teoresi che su quello
della pratica compositiva, alla ricerca del quale Cesarotti si muove autonomamente rispetto al suo originale, come si è visto; ma in fondo il
traduttore non fa che ridistribuire i pesi all’interno di una dialettica che
già era costitutiva del testo inglese. Non a caso il suo autore, in una nota al settimo canto di Temora, aveva sentenziato che «true genius and
judgment must be inseparable. The wild flights of fancy, without the
guidance of judgement, are, as Horace observes, like the dreams of a
sick man, irksome and confused. Fools can never write a good poem»
(Gaskill, 1996, p. 514).
E tra gli elementi che più giocano a favore della regolarità e per così dire della coesione nell’analogia ossianica è la sua tendenza più volte
rilevata nelle pagine precedenti a funzionare linguisticamente, a presentarsi cioè come modalità primaria di significazione della realtà, organizzandosi di conseguenza in codice, ossia in insieme strutturato e coeren64. Su questo contrasto di fondo delle retoriche settecentesche, cfr. Battistini, Raimondi (1984, pp. 150 ss.) e quanto detto nel PAR. 1.7.
190
6.
PENSARE PER ANALOGIE : SIMILITUDINE E METAFORA NELL’ OSSIAN
te: è a questo livello che si colgono più chiaramente i rapporti con le idee
sul primitivo che guidano l’originaria confezione del “falso” inglese, e
poi soprattutto l’interpretazione e la riscrittura cesarottiane. Attraverso
queste teorie, e il filtro razionalizzante che di fatto comportano, il Settecento illuminista si affaccia con l’Ossian sul mondo indifferenziato e
magmatico che soggiace alle classificazioni logico-categoriali del linguaggio, ne sperimenta l’attrazione e le potenzialità poetiche: né è un caso se questo avviene riparandosi dietro lo sguardo di un “primitivo” costruito a tavolino, con la stessa coerenza di un’ipotesi o di un esperimento filosofico di quelli così cari al secolo dei Lumi.
191
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