2 Lenti assorbenti

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2 Lenti assorbenti
2 Lenti assorbenti
All’interno dei trattamenti una parte rilevante è occupata dalle lenti assorbenti, che
sono in grado di selezionare le varie lunghezze d’onda, proteggendo così l’occhio da
effetti nocivi, e potendo anche in certe circostanze migliorare le performance visive.
2.1 Caratteristiche delle radiazioni elettromagnetiche
Per comprendere l’azione dei vari tipi di trattamento è necessario ricordare la
composizione dello spettro elettromagnetico. Un raggio luminoso non è generalmente
formato solo dalla radiazione visibile, che (Fig.2.1) rappresenta solo una piccola parte
della radiazione elettromagnetica, ma anche dall’ultravioletto e dall’infrarosso che
hanno lunghezze d’onda assai vicine a quelle del visibile e, pur non contribuendo a
formare immagini sulla retina, possono però interagire con i mezzi oculari.
Un trattamento, e in particolare modo i trattamenti protettivi, dovranno tenere conto
di questo fatto, proteggendo anche dalle radiazioni che non appartengono alla zona
visibile e che, per questo motivo, sono ancora più insidiose, non essendo di facile
individuazione.
Non tutte le radiazioni risultano ugualmente dannose per l’occhio umano. I mezzi
oculari sono fatti in modo da lasciare passare la radiazione visibile, ma possono
assorbire radiazioni che, pur non appartenendo alla zona del visibile, hanno una
lunghezza d’onda vicina, quali la radiazione infrarossa e ultravioletta. Queste
radiazioni non riescono ad eccitare i fotorecettori dell’occhio in modo da fornire uno
stimolo visivo, ma possono danneggiare alcuni mezzi oculari; in particolare la
radiazione ultravioletta ha lunghezze d’onda λ inferiori alla radiazione visibile,
mentre la radiazione infrarossa ha lunghezze d’onda superiori a quelle del visibile.
E’ noto che la lunghezza d’onda λ e la frequenza ν di una radiazione elettromagnetica
sono grandezze legate tra loro, dato che possiamo scrivere che, nel vuoto:
# !" = c
dove con c abbiamo indicato la velocità della radiazione nel vuoto (circa 300.000
Chilometri al secondo). Questa formula ci dice che radiazioni di lunghezza d’onda
più grande hanno frequenza minore rispetto a radiazioni di lunghezza d’onda più
corta.
Se poi ricordiamo la formula di Planck, che ci fornisce l’energia di un quanto (in
pratica un “pacchetto”) di radiazione elettromagnetica:
E = h!
ne segue che:
c
E=h
!
Abbiamo quindi che l’energia di una radiazione è inversamente proporzionale alla
sua lunghezza d'onda λ; più corta è la lunghezza d’onda di una radiazione, e
maggiore sarà il suo contributo energetico. Ecco perché è necessario dedicare molta
attenzione alla radiazione UV, che, avendo lunghezza d’onda minore rispetto al
visibile presenta di conseguenza un contenuto energetico maggiore.
In funzione degli effetti biologici, si è soliti dividere la radiazione ultravioletta in tre
fasce, UV-A, UV-B, UV-C (Fig.2.2). La radiazione UV-C è quella più energetica, e
potrebbe essere assai dannosa per il nostro occhio nonché per la nostra pelle, ma
fortunatamente viene quasi interamente bloccata dalla nostra atmosfera. Infatti la
radiazione UV-C viene assorbita, con un picco intorno ai 150 nm, dalle molecole di
O2 presente nell’atmosfera, che si scindono in due atomi di ossigeno che possono
ricombinarsi con altre molecole dando luogo all’ozono O3.
L’ozono è la seconda difesa fornita dall’atmosfera ai nostri occhi, visto che può
assorbire le radiazioni UV-C più “lunghe” e parte dello spettro UV-B, con un picco
massimo di assorbimento intorno ai 260 nm. Ecco perché, come vedremo nella parte
dedicata alle sorgenti, la radiazione ultravioletta che arriva sulla terra ha sempre
lunghezze d’onda superiori ai 280 nm. Uno dei motivi per cui si è creato tanto
allarme attorno alla produzione del ben noto “buco dell’ozono”, cioè alla riduzione
dell’ozono presente nell’atmosfera ad altezze comprese tra 15 e 35 Km, è proprio
legato al fatto che la radiazione UV-B potrebbe in questo modo giungere fino a noi in
quantità assai superiori al dovuto.
Le tre fasce di radiazione ultravioletta non sono assorbite allo stesso modo dai vari
mezzi oculari e il fattore di assorbimento è decisivo per capire i danni che possono
essere provocati dalla radiazione.
La radiazione UV-B viene assorbita quasi per intero dalla cornea (Fig.2.3). E’ per
questo motivo che la radiazione UV-B si può rendere colpevole di cheratiti e
congiuntiviti. La radiazione UV-A invece, pur essendo la meno energetica tra le tre,
viene assorbita in grande parte dal cristallino (ad esempio in Fig.2.3 si vede che la
radiazione a 360 nm viene assorbita per il 52% dal cristallino). Per questo motivo tale
radiazione può rendersi colpevole di quello che viene chiamato lo “stress
fotoossidativo”, che provoca cataratte di tipo corticale, assai pericolose anche perché,
mentre la congiuntivite è un effetto di cui ci si accorge abbastanza presto, la cataratta
agisce su tempi lunghi e in maniera più difficile da riscontrare.
Meno importanti sono i problemi causati dalla radiazione infrarossa, che diventa
pericolosa solo in caso di sorgenti ad alta temperatura, forni, altiforni e simili.
La radiazione blu, assai energetica e molto presente in natura, è stata vista poter
essere responsabile della progressiva riduzione dell’acuità visiva, tramite processi
simili al primo stadio della degenerazione maculare senile. E’ un effetto detto “blue
light hazard”, che ha condotto alla necessità di una filtratura anche delle radiazioni
blu dello spettro, filtratura che è comunque utile poiché la radiazione blu tende a
scatterare all’interno dell’occhio, diminuendo la capacità di vedere i contrasti. Si
tratta ovviamente di una filtratura che deve essere compiuta in maniera intelligente,
dato che la radiazione blu, che appartiene pur sempre allo spettro del visibile, non
deve essere eliminata completamente, pena un affaticamento visivo e un’alterazione
nella visione dei colori. Vedremo in seguito le lenti più adatte a tale scopo.
Infine tra i danni possibili per il sistema oculare possiamo citare quelli determinati
dall’esposizione a radiazioni particolari come i raggi X, che agiscono sui
fotorecettori, e le radioterapie, che determinano la siderazione della retina.
2.2 Sorgenti di radiazioni elettromagnetiche
Tutte le sorgenti di luce, tranne alcune assai particolari come i laser, oltre a emettere
radiazione visibile emettono anche radiazione ultravioletta e infrarossa La sorgente
più comune al mondo, cioè il nostro sole, emette gran parte della sua energia nella
zona dell’ultravioletto (Fig.2.4). E’ questo il motivo per cui diventa necessaria una
protezione degli occhi dalla radiazione solare. Ovviamente il rischio indotto nei
mezzi oculari da parte del sole dipende da molti fattori. Ad esempio in alta montagna,
dove la radiazione deve attraversare uno strato di atmosfera più sottile rispetto al
livello del mare, l’esposizione alla radiazione ultravioletta è più elevato. In queste
situazioni il rischio è assai aumentato anche dalla presenza di neve e ghiaccio. Questi
materiali sono infatti in grado di riflettere quasi per intero la radiazione ultravioletta e
sono quindi da considerarsi assai pericolosi per il sistema oculare, anche più della
sabbia e dell’acqua. Addirittura, nel caso di una giornata di sole la presenza di neve
può far si che bastino due ore di esposizione per avere insorgenza di fotocheratiti,
mentre in caso di sabbia sarebbero necessarie tra le 6 e le 8 ore.
L’angolo di incidenza del sole fa si che il rischio di radiazione ultravioletta sia
maggiore durante la stagione estiva, come pure durante le ore centrali della giornata.
Allo stesso modo si possono considerare principalmente a rischio le zone equatoriali.
Lo smog provoca una diminuzione dell’ultravioletto. La nebbia invece non ha un
grosso effetto filtrante sulle radiazioni UV, mentre riduce l’effetto di abbagliamento.
E’ in queste circostanze che si tende ad allentare la protezione, per ritrovarsi poi alla
fine della giornata con gli occhi rossi e doloranti. Ovviamente anche la radiazione
elettromagnetica è soggetta a quello che viene definito il principio di reciprocità, o
legge di Bunsen-Roscoe, secondo la quale l’effetto della radiazione elettromagnetica
è dato dal prodotto dell’intensità e della durata della radiazione. Cioè una certa
quantità di radiazione UV per un certo tempo provoca lo stesso effetto di una quantità
doppia di radiazione ricevuta però per metà tempo (Sliney).
Da tutte queste considerazioni possiamo ricavare un elenco di soggetti maggiormente
a rischio dal punto di vista del danno da radiazione. In primo luogo dovranno
proteggersi le persone che trascorrono un numero elevato di ore all’aria aperta, e in
particolare modo in presenza di neve.
Una rigida protezione richiedono gli afachici: se infatti il cristallino non assorbe più
la radiazione ultravioletta, ecco che essa può arrivare a colpire direttamente la retina,
con effetti assai nocivi. Nel caso dei bambini la maggiore permeabilità del cristallino
agli UV potrebbe permettere l’instaurarsi di danni molecolari che si possono
manifestare clinicamente a distanza di tempo con una riduzione della funzione visiva.
Anche i soggetti che fanno uso di farmaci fotosensibilizzanti, come la tetraciclina,
molti antidepressivi e la fenotiazioina, dovrebbero usare un’attenta protezione
(Pescosolido).
2.3 Protezione dalle radiazioni elettromagnetiche
Un occhiale da sole deve certo ridurre l’abbagliamento, ma deve anche proteggere
dalle radiazioni nocive quali l’ultravioletto e nello stesso tempo non deve essere così
filtrante da alterare la percezione dei colori. E’ da notare che mentre il livello di
protezione relativo all’abbagliamento varia da persona a persona, il livello di
radiazione UV che i mezzi oculari possono assorbire prima di risultarne danneggiati è
assai simile per tutte le persone. Se quindi il livello di assorbimento di un occhiale
nel visibile dipende molto da una questione di gusto personale, non così deve essere
per la filtratura delle radiazioni nocive. Le lenti devono quindi essere in grado di
assorbire la radiazione in uno spettro compreso tra 300 e 400 nm.
La normativa europea distingue i vari tipi di filtri solari in base alle caratteristiche di
trasmittanza utilizzando, oltre al fattore luminoso di trasmissione τv che abbiamo
descritto precedentemente, i valori di trasmittanza nella fascia UV-B (τsUVB) e nella
fascia UV-A (τsUVA). Questi valori corrispondono al rapporto tra la radiazione
ultravioletta che arriva sull’occhio in presenza del filtro e in assenza del filtro stesso.
La tabella relativa alla normativa europea EN 1836:1997 è riprodotta in Tab.2.1, e i
valori sono relativi a un filtro di spessore 2 mm con la luce che incide
perpendicolarmente alla lente.
Le lenti da sole possono essere realizzate in diverse colorazioni e con diverse
condizioni di filtratura. Come abbiamo visto precedentemente, infatti, la necessità di
protezione non è la stessa, ad esempio, nel caso di una persona alla guida di un
automobile, in cui una buona parte delle radiazioni dannose sono già assorbite dal
vetro del parabrezza, o nel caso di una persona che stia compiendo una scalata su un
ghiacciaio, con tutte le complicazioni prima esposte.
Filtrare la luce implica una riduzione della luminosità complessiva della scena, ma è
proprio a causa delle variazioni della sensibilità dell’occhio umano che vi sono grandi
differenze tra tagliare certe radiazioni invece di altre. Tagliare la radiazione compresa
tra i 380 e i 430 nm corrisponde generalmente a una riduzione della luminosità di
solo lo 0,05%, mentre un taglio tra i 380 e i 480 nm equivale a una riduzione del
2,63%. Se però estendiamo ulteriormente il taglio fino ai 530 nm la luminosità
diminuisce del 21%.
E’ assai importante ribadire la necessità di un accurato controllo sulla scelta di un
occhiale da sole. Un occhiale da sole sbagliato può ridurre la luce visibile che arriva
sull’occhio, provocando un allargamento della pupilla ed eliminando il fastidio
provocato dall’abbagliamento, ma non taglia l’ultravioletto, risultando così
paradossalmente più pericoloso rispetto all’assenza di qualsiasi protezione. Infatti la
pupilla ha una sensibilità il cui massimo risulta essere più spostato verso le corte
lunghezze d'onda (530 nm) rispetto alla sensibilità fotopica dell'occhio umano. Per
questo motivo una lente che taglia le radiazioni corte lascia la pupilla più dilatata,
permettendo di conseguenza il passaggio di più radiazioni. Se tale effetto è più
importante rispetto all'azione di filtraggio si ha un'esposizione rischiosa alla
radiazione UV. Questo effetto può però anche spiegare la sensazione di maggiore
luminosità della scena che si percepisce usando lenti gialle (Chung).
Il fastidio dell’abbagliamento è dunque la difesa che la natura ci ha fornito per
proteggerci dall’effetto delle radiazioni ultraviolette, che colpiscono senza immediati
effetti, almeno apparentemente. Non si deve pensare che la protezione dagli UV di
una lente sia strettamente legata alla sua colorazione scura. Esistono purtroppo lenti
assai scure che si comportano però come finestre per l’ultravioletto. Inoltre lenti che
appaiono dello stesso colore possono avere spettri di trasmissione assai diversi, più o
meno utili per una corretta difesa dalle radiazioni (Ancherson). Solo un’analisi
scientifica della lente, quale quella condotta dalle principali ditte e richiesta dalle
principali organizzazioni per la sanità, può rassicurare sulle proprietà assorbenti.
Vediamo le caratteristiche di alcune lenti colorate osservandone gli spettri di
trasmittanza.
Lenti assai usate per la protezione dalle radiazioni elettromagnetiche sono le lenti
verdi (Fig.2.5) e le lenti grigie (Fig.2.6). Entrambe queste lenti sono disponibili con
diverse condizioni di filtratura (si vedano le curve più o meno alte nei grafici) e
consentono una ridotta distorsione dei colori. Per motivi di refrazione interna un
miope potrebbe preferire una lente marrone, visto che tale ametropia conduce a
focalizzare meglio la parte dello spettro di luce visibile più vicina all’infrarosso,
mentre per ragioni complementari una lente verde è da preferirsi per la correzione di
un ipermetrope.
Le lenti gialle (Fig.2.7) e le lenti rosa (Fig.2.8) sono usate essenzialmente poiché
tagliano la radiazione blu dello spettro. Sono quindi colorazioni adatte a lenti da
“riposo” da utilizzare anche in interni e nei casi, che abbiamo analizzato
precedentemente, in cui la radiazione blu può risultare fastidiosa, particolarmente per
le persone anziane, ottenendo anche una riduzione della diffusione della luce
all’interno dell’occhio, con effetti positivi sulla percezione del contrasto (Lerman).
Le lenti di colorazione blu invece, dato che permettono il passaggio delle radiazioni
di corta lunghezza d’onda, hanno un uso esclusivamente estetico, dato che non
svolgono alcuna funzione di protezione.
Le lenti assorbenti possono essere utili non solo per la protezione di un occhio sano
dalle radiazioni dannose, ma anche in tutte quelle patologia oculari quali cataratta,
afachia, retinopatia, degenerazione maculare o simili. Le lenti assorbenti possono
infatti alleviare la sintomatologia visiva associata alle patologie oculari sopra
descritte, quali fotofobia, abbagliamento e perdita di contrasto. Molte ditte hanno
prodotto lenti specifiche per tale uso.
Va ricordato che talvolta, a causa delle forti caratteristiche protettive richieste, tali
lenti sono fortemente colorate e quindi non possono essere utilizzate per la guida.
Infatti la forte colorazione potrebbe alterare la percezione dei colori e in particolare
quella dei segnali stradali. Un tale rischio è presente anche per i normali occhiali da
sole. Si è quindi introdotto un parametro Q, detto rapporto di segnale, che permette
di valutare se la lente modifica eccessivamente la percezione dei colori dei segnali,
definito come
! sign
Q=
!v
In questa espressione τv è il fattore luminoso di trasmissione precedentemente
definito, mentre τsign è il fattore luminoso del segnale. Per ottenere il τsign utile nella
definizione di Q basta sostituire a SD65(λ) nell'equazione relativa a τv, l'emissione
spettrale del segnale considerato (si veda l'Appendice A).
Generalmente si calcolano 4 valori di Q, relativi al rosso, giallo, verde e blu. Se il
valore di Q in ognuno di questi 4 casi è superiore a 0,8 si considera che la lente non
modifichi troppo la percezione cromatica.
Altro aspetto importante per una lente è che le condizioni di trasmittanza non si
modifichino eccessivamente nel tempo, a causa dell’ingiallimento dei pigmenti
causato dall’assorbimento dell’UV.
Spesso ai trattamenti di colorazione si tende ad aggiungere un trattamento di
specchiatura, che riflette la radiazione impedendone la trasmissione e l’arrivo sui
mezzi oculari, utilizzando così un materiale riflettente invece che assorbente.
La trasmittanza di una lente dipende anche dallo spessore, per una trattazione
matematica di questo aspetto si veda l'Appendice B.
2.4 Lenti polarizzate
Un altro modo per ottenere la riduzione della radiazione che arriva sull’occhio è
quello di utilizzare delle lenti polarizzate. Le lenti polarizzate sono lenti che
permettono il passaggio della radiazione polarizzata in una sola direzione, impedendo
il passaggio di tutte le altre. Senza approfondire gli aspetti fisici della questione, che
possono essere studiati su testi specifici (Jenkins), ricordiamo qui che la luce emessa
dalle sorgenti luminose è generalmente non polarizzata, assume cioè svariate
direzioni di polarizzazione che cambiano senza regolarità nel corso del tempo.
Quando però la radiazione viene riflessa su qualche superficie essa si polarizza
parzialmente, a seconda dell’angolo di incidenza. E’ questo il motivo per cui le lenti
polarizzate sono particolarmente indicate per eliminare la radiazione riflessa, e che le
rende di conseguenza molto usate ad esempio dai pescatori, dato che l’eliminazione
della radiazione riflessa dall’acqua permette di individuare meglio tutto ciò che è in
acqua.
Figure
Categoria del filtro
0
1
2
3
4
Trasmittanza
nell'UV-B
τv
0.125 τv
0.125 τv
0.125 τv
0.1 τv
Trasmittanza
nell'UV-A
τv
τv
τv
0.5 τv
0.5 τv
Trasmittanza nel
visibile τv (%)
100-80
80-43
43-18
18-8
8-3