DALLA PANGEA AL MONFERRATO di Geologo Andrea Ferrarotti

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DALLA PANGEA AL MONFERRATO di Geologo Andrea Ferrarotti
DALLA PANGEA AL MONFERRATO
A cura di Andrea Ferrarotti (Geologo libero professionista)
Per raccontare la storia geologica del Monferrato occorre fare un salto indietro nel tempo di 250 milioni di
anni, ripercorrendo progressivamente le varie fasi evolutive della Terra, sin da quando tutte le terre emerse
erano unite in un unico supercontinente chiamato Pangea fino ai giorni nostri.
250 – 130 MILIONI DI ANNI FA (TRIASSICO – JURASSICO) - FASE PRE ALPINA
Durante il Triassico, ovvero circa 250 milioni di anni fa, a seguito di una fase distensiva (rifting) causata da
profondi movimenti tettonici dovuti alla risalita di magma dalle viscere della Terra, iniziò la frammentazione
del supercontinente Pangea, che radunava tutte le terre emerse.
Fig. 1 - Pangea
A seguito del rigonfiamento si formarono dapprima rilievi, fratture e valli (graben), che portarono alla
separazione del supercontinente Pangea, il quale iniziò lentamente a separarsi e a formare due ampi
paleocontinenti chiamati Laurasia e Gondwana.
Fig. 2 – Separazione della Pangea
Tali movimenti produssero uno stiramento con il conseguente assottigliamento della crosta terrestre: in un
primo momento si formarono ambienti costieri e di mare basso (sabbie ed evaporiti), in seguito, col tempo ed
il procedere della trasgressione marina, questi vennero sostituiti da depositi di mare via via più profondo
(sedimenti di piattaforma e di bacino). Sui margini dei due continenti in via di formazione, ormai separati dal
mare della Tetide, si accumularono spessi prismi di rocce sedimentarie prevalentemente calcaree e calcareo
marnose.
LAURASIA
OCEANO DELLA
TETIDE
GONDWANA
Fig. 3 – Laurasia e Gondwana
Nel tardo Giurassico si ebbe il culmine della trasgressione marina. Questa fase di assottigliamento della
crosta terrestre e di conseguente progressione delle acque comportò l'apertura del cosiddetto Bacino od
Oceano Ligure – Piemontese, il quale produsse la definitiva separazione tra Africa ed Europa. Durante la
fase di espansione di questo oceano, che durò fino al Cretacico inferiore/medio, sui suoi fondali si generò
dapprima una dorsale medio-oceanica simile a quelle presenti negli oceani attuali, la quale diede il via alla
produzione di crosta basaltica, in seguito un accumulo di depositi fini di mare profondo i quali testimoniano il
periodo di relativa calma tettonica. L'Oceano Ligure - Piemontese era un mare molto più profondo rispetto
alla Tetide Triassica dal momento che era costituito da una grande depressione dovuta alla lacerazione della
crosta oceanica. Il processo di espansione durò fino al Cretaceo inferiore alla velocità di circa 2 cm l'anno
(quasi la stessa velocità con cui oggi si espande l'Oceano Atlantico) e portò alla scomparsa di parte delle
terre emerse fino ad allora.
Fig. 4 – Formazione dell’Oceano Ligure - Piemontese
130 - 60 MILIONI DI ANNI FA (CRETACEO – PALEOCENE) - FASE OROGENETICA EOALPINA
A partire dal Cretaceo ebbe inizio la cosiddetta Orogenesi Alpina, durante la quale l'apertura progressiva
dell'Oceano Atlantico portò ad una variazione del movimento tra le placche europea ed africana che
incominciarono a convergere tra di loro.
In questa fase si formò una zona di sottoscorrimento (subduzione) che spinse la crosta oceanica presente
all‟interno della Tetide al di sotto della placca africana. Al contempo, su una porzione della placca africana
chiamata Adria si depositarono, su sedimenti di mare profondo, spesse frane sottomarine (sequenze
torbiditiche): queste, in una fase successiva, daranno origine alla struttura dell'Appennino, del quale il
Monferrato rappresenta il prolungamento verso nord-ovest.
La subduzione al di sotto della placca africana causò un primo corrugamento della crosta terrestre con
l‟emergere di falde di ricoprimento separate da piani di sovrascorrimento (trusts). Tale fase proseguì fino alla
completa scomparsa dell'oceano con il conseguente scontro tra le placche europea e africana (collisione
continentale).
Fig. 5 – Chiusura dell’Oceano Ligure – Piemontese e inizio fase di collisione continentale
60 - 23 milioni di anni fa (Eocene – Oligocene Inferiore) - Fase Orogenetica Mesoalpina
Il sovrascorrimento della placca africana sopra quella europea causò un raddoppio dello spessore della
crosta e, di conseguenza, il movimento di avvicinamento fra le due zolle rallentò. In questa fase di collisione,
estese coltri rocciose facenti parte delle crosta continentale, della crosta oceanica e del mantello vennero
strappate dalle loro zone di origine e traslate per decine di chilometri verso la superficie, accavallandosi le
une sulle altre lungo la zona di subduzione.
Fu in questo periodo (35 milioni di anni fa, durante l‟Eocene superiore) che, a causa di questa collisione, si
assistette alla compressione di ampi volumi rocciosi con il conseguente innalzamento e l‟espansione laterale
della catena alpina.
Fig. 6 – Progressione della fase di collisione continentale
23 - 5 milioni di anni fa (Oligocene Inferiore – Miocene) - Fase Orogenetica Neoalpina
In questa fase la placca africana proseguì nella sua spinta contro l'Europa provocando la formazione delle
ultime falde di ricoprimento con vergenza meridionale (Falde Sudalpine). Alla fine del Miocene le Alpi
emersero definitivamente e la loro storia successiva sarà caratterizzata dall'azione di modellamento da parte
degli agenti atmosferici, specialmente durante le grandi glaciazioni del Quaternario.
Fig. 7 – Attuale catena alpina
Circa 20 milioni di anni fa, all'interno dell'arco alpino soggetto alle azioni di erosione e smantellamento da
parte degli agenti atmosferici, si formò un bacino marino più o meno profondo denominato Bacino Terziario
Piemontese (BTP), il quale ricopriva le aree del Piemonte centrale (attuali rilievi della Collina di Torino, del
Monferrato e delle Langhe e la pianura Padana) e la cui esistenza trova testimonianza nelle rocce
attualmente affioranti in Monferrato.
In questa fase i fiumi trasportavano grandi quantità di sedimenti accumulandoli ai piedi delle Alpi fino a
raggiungere il Bacino Terziario Piemontese. In acqua, questi sedimenti venivano poi ridistribuiti dalle correnti
marine profonde (correnti di torbida).
Al contempo, nell‟area mediterranea occidentale si produsse una nuova risalita di calore dal mantello
terrestre. Si determinò così l‟inarcamento e la rottura della crosta europea dalla quale si staccò una zolla
chiamata “blocco sardo-corso”. Questa zolla, posizionata nel Golfo Ligure, eseguì una rotazione antioraria
formando, a nord, il mare ligure-balearico.
La geografia risalente a quel periodo vedeva quindi la catena alpina occidentale lambita ad est da un mare
che copriva le zone attualmente coincidenti con la Pianura Padana, le Langhe, la Collina di Torino ed il
Monferrato, ad ovest dal mare ligure-balearico, appena formatosi.
Fig. 8 – Distribuzione dei mari e delle terre emerse durante il Miocene
La rotazione antioraria del blocco sardo-corso fu contrastata dal limite occidentale del continente africano:
questo contrasto di forze diede origine ad una compressione a seguito della quale si sollevarono gli
Appennini.
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Fig. 9 – Rotazione del blocco sardo – corso e formazione degli Appennini
Intorno a 8 milioni di anni fa, ad est del blocco sardo-corso avvenne un fenomeno simile a quello della
formazione del mare ligure-balearico. Da nord a sud si determinò infatti un‟ampia frattura, che separò la
penisola italiana dalle terre oggi coincidenti con le isole Corsica e Sardegna. Questa frattura si allargò
lentamente fino a diventare un nuovo mare, il Tirreno, che provocò lo spostamento della penisola verso est.
Questo movimento, in senso antiorario, è tuttora in corso e continua a comprimere ed a sollevare gli
Appennini.
Quasi contestualmente alla formazione del Tirreno, un nuovo evento coinvolse l‟area mediterranea. Tra i 7 e
i 5 milioni di anni fa, a causa di una nuova fase di collisione tra le placche europea e africana, il
Mediterraneo divenne un mare chiuso e separato dall‟Oceano Atlantico.
Le nuove condizioni climatiche produssero una intensa evaporazione, che determinò l‟abbassamento del
livello delle acque e la conseguente emersione di vaste aree. Questa condizione, definita come crisi di
salinità, si protrasse per diverse centinaia di migliaia di anni: in questo lasso di tempo si depositarono
sedimenti di tipo salino chiamati evaporiti, in particolare gessi messiniani, parte dei quali sono tuttora
presenti nel Monferrato.
Fig. 10 – Massima crisi di salinità durante il Messianiano
FOCUS SCIENTIFICO: COSA ACCADDE IN MONFERRATO
A partire dall‟Oligocene inferiore (circa 33 milioni di anni fa), all‟interno del Bacino Terziario Piemontese
(BTP), in corrispondenza dell‟attuale Monferrato, si deposita, al di sopra del Flysch calcareo Appenninico
(Complesso inferiore) rappresentante il basamento inferiore del Monferrato, un serie di sedimenti di origine
terrigena e successivamente marina (Complesso superiore). Tali sedimenti sono tuttora visibili lungo i pochi
affioramenti rocciosi che si scorgono percorrendo le strade che attraversano le colline del Monferrato.
II Bacino Terziario Piemontese (BTP) può essere suddiviso in alcune grandi unità
geometricopaleogeografiche: a) il BTP s.s., comprendente il Bacino delle Langhe (LA), l'Alto Monferrato
(AM), la zona Borbera-Grue; b) il Monferrato (MO); c) la Collina di Torino (Gelati & Gnaccolini,1988; Biella et
al., 1997).
Fig. 11 - Schema strutturale del BTP e del settore ovest dell’Appennino settentrionale. Sono rappresentati in
dettaglio i diversi domini del Bacino Terziario Piemontese. AM = dominio Alto Monferrato; BG = dominio
Borbera-Grue; WM = dominio Monferrato Occidentale; TH = dominio Collina di Torino; IL = linea Insubrica;
SVZ = Zona Sestri- Voltaggio; LVV = linea Villalvernia-Varzi; PTF = fronte di sovrascorrimento padano; a =
sovrascorrimenti mio-plio-pleistocenici; b = sovrascorrimenti post-eocenici all’interno delle unità alpine
interne; SB = pozzo S.Benigno; SV = pozzo Sali Vercellese; AT = pozzi Asti 1 e Asti 2; A-B e C-D tracce di
profilo riportate in figura 3 e 5 (da BIGI et al., 1990 modificato).
Fig. 12 - Sezione regionale N-S della configurazione crostale nella zona di raccordo tra Alpi ed Appennini
(da Polino et al., 1992. modificato). A/AB. limite Alpi/Appennini; PQTF: fronti di sovrascorrimento plioquaternari della Pianura Padana; PQ: depositi plio-quaternari; Mi: Miocene; Pg-Mz. Paleogene-Mesozoico
sup.
L‟Unità del Monferrato viene attualmente distinta dalla Collina di Torino (un tempo venivano considerate
come una struttura unica), dalla quale differisce sia per quanto riguarda la successione stratigrafica sia per
l'assetto strutturale. I due domini sono separati da una zona di taglio transpressiva di orientazione NNW-SSE
di estensione plurichilometrica (zona di deformazione di Rio Freddo o ZDRF,) che ha fortemente
controllato la sedimentazione delle successioni oligo-mioceniche.
Il Monferrato è quindi contraddistinto da un assetto stratigrafico e strutturale che riflette un'evoluzione
avvenuta in un contesto caratterizzato da una notevole mobilità tettonica, esplicatasi in maniera continua
durante la sedimentazione marina.
Dal punto di vista strutturale, il sistema principale di faglie (fratture della roccia che mostrano evidenze di
movimento relativo tra due masse rocciose separate) caratteristico del Monferrato ha una direzione
compresa tra WNW-ESE e NNW-SSE ed è costituito da superfici di scorrimento plurichilometriche, in genere
molto inclinate. Il movimento di queste strutture è principalmente trascorrente (con prevalenza di movimenti
sinistri) e subordinatamente inverso. Esse sono spesso associate a pieghe dei terreni asimmetriche (ripetute
a scala chilometrica) che costituiscono l'elemento strutturale caratteristico del Monferrato.
Fig. 13 - Schema strutturale del Bacino Terziario Piemontese (da Piana et al., 1997, modificato). BTP s.s.:
Bacino Terziario Piemontese s.s.: AM: Alto Monferrato; BG: Zona Borbera- Grue; LVV: Linea VillalverniaVarzi; ZSV: Zona Sestri-Voltaggio; ZDRF: Zona di deformazione di Rio Freddo. Legenda: a, b:
sovrascorrimenti (a) e faglie (b) del basamento magnetico (da Cassano et al., 1986); c: sovrascorrimenti
plio-pleistocenici dell'avanfossa padana: d: isobate della base del Pliocène (da Structural Model of Italy,
1990).
Volendo ripercorrere idealmente l‟evoluzione che ha portato alla formazione delle rocce che ancora
caratterizzano le colline del Monferrato, spesso utilizzate per realizzare case (vedi Formazione della Pietra
da Cantoni) o sfruttate per la produzione del cemento (vedi Formazione di Casale Monferrato), occorre
capire cosa è accaduto all‟interno del Bacino Terziario Piemontese a partire da circa 23 milioni di anni fa.
Fig. 14 – Schema geologico – strutturale del Monferrato (tratto da: Inquadramento tettonico - Carta
Geologica d’Italia alla scala 1:50.000 – Foglio 157 Trino modificato)
Fig. 15 – Schema geologico – strutturale del Monferrato
(tratto da: Note illustrative della Carta Geologica d’Italia alla scala 1:50.000 – Foglio 157 Trino)
Le rocce più antiche affioranti in Monferrato sono costituite dal Complesso caotico di La Pietra, e dalla
Formazione di Casale Monferrato, confrontabili con le rocce mesozoiche appartenenti al dominio ligure
esterno dell‟Appennino settentrionale. Tali depositi sono seguiti da marne emipelagiche (Marne di Monte
Piano) dell‟Eocene superiore, presenti nella zona di Piancerreto e Odalengo Grande, che rappresentano i
primi termini deposti dopo la fase mesoalpina in risposta ad un rapido sollevamento del livello marino
relativo, controllato da un elevato tasso di subsidenza tettonica.
Fig. 16 – Affioramento del Complesso Caotico di la Pietra a Piancerreto (Cerrina)
Fig. 17 – Particolare delle Pietre Verdi (serpentiniti basaltiche) all’interno del Complesso Caotico di la Pietra
a Piancerreto (Cerrina)
Visti i riflessi sulla storia socio – economica del Monferrato, è opportuno fare un approfondimento per quanto
riguarda la Formazione di Casale Monferrato: si tratta di una successione di argille grigio-brune, talora
nere o verdastre (dette localmente tufo), di arenarie giallastre o bluastre spesso compatte (prea) e di calcari
più o meno marnosi e di calcari a fucoidi chiari (madre o pè d‟oca). La litologia prevalente è quella argillosa
con banchi che possono raggiungere i 50 metri. Tuttavia l‟importanza e la notorietà di questa serie
stratigrafica è legata alle intercalazioni calcaree che tra il 1890 e la metà degli anni 60 sono state oggetto di
una fiorente attività estrattiva volta alla produzione di calce e cemento. I banchi calcarei oggetto della intensa
coltivazione presentano potenza variabile sino ad un massimo di 6 m e sono sempre delimitati al letto da uno
strato arenaceo e al tetto da uno strato di calcari a fucoidi (Lovari, 1912). La Formazione di Casale
Monferrato presenta una potenza totale di circa 600 m e costituisce buona parte dei versanti che si
affacciano sul letto del fiume Po nei Comuni rivieraschi di Camino, Coniolo e Casale.
Sin dall‟800 gli affioramenti marnosi della Formazione di Casale Monferrato sono stati sfruttati
industrialmente per la produzione del cemento Portland naturale e delle calci idrauliche naturali. La potenza
dei banchi calcarei coltivati, compresi tra strati di calcare a fucoidi a tetto, e strati di arenaria a letto, varia da
pochi centimetri a 6 e più metri; la pendenza, da pochi gradi alla verticale. Nella serie stratigrafica solo una
piccola parte di tali banchi possiede però le caratteristiche di composizione richieste dalla produzione dei
leganti idraulici naturali (76 – 78% di calcare e 22 – 24% di argilla per il cemento Portland, 86% di calcare e
14% di argilla per le calci idrauliche), e le caratteristiche di potenza e continuità richieste dallo sfruttamento
industriale.
Questi banchi erano particolarmente pregiati nell‟800 e nella prima metà del „900, in quanto la tecnologia di
produzione del cemento Portland e della calce idraulica artificiali era poco diffusa e non ancora a punto. Era
quindi necessario disporre di una materia prima che avesse già in giacimento la composizione adatta, in
termini di percentuali di calcare ed argilla, di omogeneità e di costanza.
Con l‟affermarsi della tecnologia di produzione dei leganti idraulici da miscela artificiali di calcare e rocce
silicatiche che afferiscono le necessarie percentuali di silice, allumina, ossido di ferro, l‟interesse per le
marne naturali si è ridotto fino a determinare l‟abbandono dell‟attività estrattiva nel Casalese dopo il 1965.
Oltre all‟accentuata diminuzione di interesse per il materiale, dovuta al cambiamento del processo produttivo
del cemento, la cessazione è stata determinata dalla bassa produttività e la pericolosità del lavoro. Le
miniere di marna erano infatti soggette a venute di grisou, oltre che a problemi statici.
Nei Comuni di Camino e Coniolo la presenza dell‟attività estrattiva ha causato in passato sprofondamenti
superficiali per cedimento, anche parziale, delle volte delle sottostanti gallerie minerarie che spesso si
spingevano fin sotto ai centri abitati. Tali fenomeni hanno causato ingenti danni alle abitazioni soprastanti,
come nel caso di Brusachetto, frazione del comune di Camino; in altri casi hanno causato veri e propri crolli,
come a Coniolo Rotto in comune di Coniolo, dove l‟abitato è stato completamente abbandonato.
Ritornando all‟evoluzione stratigrafica e strutturale del Monferrato, la successione sovrastante al basamento
risulta molto articolata ed è stata suddivisa in sette sintemi, delimitati a base e a tetto da superfici di
discontinuità di significato regionale.
Fig. 18 – Schema dei rapporti stratigrafici
(tratto da: Carta Geologica d’Italia alla scala 1:50.000 – Foglio 157 Trino)
Fig. 19 – Profilo geologico tracciato attraverso l’antiforme di Villadeati-Cardona e di Ponzano
(tratto da: Carta Geologica d’Italia alla scala 1:50.000 – Foglio 157 Trino)
Il SINTEMA I (Oligocène - Burdigaliano p.p.) è rappresentato, a partire dal basso, dalla Formazione di
Cardona, ampiamente visibile nel territorio di Villadeati, costituita da depositi grossolani continentali e di
mare basso, passanti verso l'alto ad alternanze arenaceo-pelitiche deposte in un contesto di piattaforma.
Questi depositi sono seguiti verso l‟alto dalla Formazione di Antognola e dalle Marne a Pteropodi
Inferiori), costituite da depositi di scarpata che denunciano un progressivo approfondimento del bacino di
sedimentazione. Le formazioni comprese in questo sintema sono caratterizzate da brusche variazioni laterali
composizionali e soprattutto di spessore che testimoniano come il bacino di sedimentazione presentasse
delle zone più rilevate e altre più depresse. Nei primi, la successione é poco potente (150-200 m) ed é priva
di intercalazioni terrigene, mentre nei secondi si osservano spessori di circa 400-500 m con faune a
Radiolari, spicole di Spugna e Foraminiferi planctonici e la presenza di corpi arenitici risedimentati a marcata
geometria lenticolare.
Il SINTEMA II (Burdigaliano p.p.- Langhiano p.p.), nel settore occidentale del Monferrato, è costituito da
depositi terrigeni di scarpata noti come Arenarie di Moransengo. Nel settore centro-occidentale invece, è
caratterizzato dai depositi carbonatici di piattaforma noti come Pietra da Cantoni che poggiano in
discordanza angolare con i depositi più antichi. Nella Pietra da Cantoni sono stati rinvenuti numerosi livelli
vulcanoclastici di spessore e aspetto differente. A partire dal Burdigaliano, i caratteri della sedimentazione
cambiano, infatti, a seguito di un evento tettonico regionale collegato ad una importante fase di costruzione
della catena appenninica. In Monferrato, questo evento è legato ad una fase di sollevamento accompagnata,
in vasti settori, da una brusca variazione della composizione dei sedimenti. I sedimenti sono infatti
essenzialmente carbonatici e, pur mostrando una distribuzione più omogenea rispetto a quelli costituenti il
primo sintema, evidenziano ancora una distribuzione laterale delle caratteristiche congruente con un bacino
articolato in settori a diversa mobilità. Infatti, all'estremità occidentale del Monferrato (Marmorito), il sintema
non è rappresentato, a testimoniare come questo settore costituisse, anche nel Burdigaliano, un alto
strutturale soggetto a scarsa o nulla sedimentazione. Immediatamente più a Est, si osserva invece una
potente successione di scarpata ("Arenarie di Moransengo"), che evidenzia la presenza di un solco
subsidente alimentato da vicine aree in erosione. Nel Monferrato centro - orientale si osservano infine i
sedimenti carbonatici della Pietra da Cantoni, che testimoniano l'instaurarsi di un ambiente di piattaforma
carbonatica di tipo "foramol". Nei settori più orientali sono presenti facies prossimali di piattaforma interna
(biocalciruditi ad alghe e molluschi) passanti verso ovest a facies di piattaforma esterna, rappresentate da
calcareniti a foraminiferi planctonici e glauconia e marne calcaree con intercalazioni silicee.
Nel Monferrato questo evento si é espresso con una tettonica che ha portato ad importanti movimenti
tettonici lungo sistemi di sovrascorrimento spesso già esistenti.
Occorre fare un breve approfondimento relativo alla Formazione della Pietra da Cantoni, in quanto la
roccia che la costituisce è stata ampiamente utilizzata dalla popolazione monferrina come materiale lapideo
da costruzione per molti secoli, fino all‟esaurimento della cave. Grazie proprio alle caratteristiche fisiche ed
alla compattezza delle arenarie marnoso-calcaree o siliceo-calcaree che la costituiscono é stata, infatti, il
materiale lapideo "ornamentale" per eccellenza, che ancora può essere facilmente visibile visitando le
antiche dimore e le cascine che costellano gli abitati del Monferrato ed in particolare della Valle Ghenza
(Camagna, Cella Monte, Frassinello, Olivola, Ottiglio, Rosignano, Sala, Vignale, etc.). Negli ultimi anni le
facciate delle vecchie dimore realizzate in Pietra da Cantoni sono state recuperate e portate a vista. Non
bisogna dimenticare inoltre i numerosi infernot scavati al di sotto delle vecchie abitazioni con lo scopo di
conservare i famosi vini del Monferrato. Le vecchie cave di materiale lapideo da costruzione sono ubicate
proprio lungo gli affioramenti della Formazione della Pietra da Cantoni riportati sulle carte geologiche del
territorio, e sono concentrate lungo dorsali disposte nordovest – sudest da Vignale a Odalengo Piccolo e da
Rosignano a Camino.
Fig. 20 – Carta geologica della Pietra da Cantoni (tratto da: Sassone P. (2005) - La "Pietra da Cantoni" del
Monferrato Casalese (AL): ripresa produttiva e conservazione della tradizione edilizia locale. GEAM,
Politecnico di Torino, n° 115, pp.15-24.)
Fig. 21 – Affioramento di Pietra da Cantoni, scavato dall’uomo, nel territorio di Camino
Fig. 22 – Affioramento di Pietra da Cantoni nel territorio di Ponzano
Fig. 23 – Edifici in Pietra da Cantoni caratteristici del Monferrato
Il SINTEMA III (Langhiano p.p. - Serravalliano), è costituito dalla Formazione delle Areniti di Tonengo
costituita da sedimenti carbonatici di piattaforma, seguiti dalla Formazione delle Marne di Mincengo,
costituita da marne di scarpata che indicano un approfondimento del bacino.
Il regime tettonico associabile a questa evoluzione è di tipo compressivo e si ipotizza che esso abbia portato
all'innesco di sovrascorrimenti vergenti a SE. Tali deformazioni avrebbero portato al sollevamento dei settori
occidentali del Monferrato. Tali formazioni sono ampiamente diffuse nel Monferrato.
Il SINTEMA IV (Tortoniano) è interamente costituito dalla Formazione delle Marne di Sant’Agata Fossili,
costituita da una sequenza monotona di marne argillose che poggiano, tramite una discordanza angolare,
sulle formazioni sottostanti. Questi depositi sono legati a depositi di piattaforma esterna e di scarpata
continentale. Gli affioramenti principali si hanno lungo due fasce che corrono da Pontestura a Gabiano e da
Grazzano Badoglio a Castelletto Merli.
Il SINTEMA V (Messiniano) è costituito dal Complesso caotico della Valle Versa, un intervallo caotico
costituito da blocchi di varia composizione e dimensione inglobati in una matrice argillosa fine. Tali blocchi
sono stati distinti in diverse litofacies: gessi selenitici in banchi di 8-9 m, intercalati a peliti; calcari dolomitici
vacuolari, con cavità di forma regolare corrispondenti a cristalli di minerali evaporitici (gesso) poi dissolti;
calciruditi bioclastiche a lumachelle e conchiglie riferibili al Messiniano inferiore; calcari e brecce
carbonatiche molto cementati con resti di faune oligotipiche a grandi bivalvi (Lucinidi). La genesi di queste
rocce è da attribuire alla fuoriuscita, sul fondo marino, di fluidi ricchi in metano. Tali terreni sono ampiamente
presenti nella fascia che corre tra Grazzano e Cocconato d‟Asti.
I gessi sono attualmente coltivati in cave nei territori di Alfiano Natta, Calliano, Moncalvo e Castelletto Merli.
Fig. 24 – Affioramenti di gessi nell’ex cava di Murisengo
Durante il periodo Messiniano si sono verificate ripetute oscillazioni del livello marino, ma a scala regionale è
anche documentata un'intensa deformazione tettonica che ha determinato il sovrascorrimento delle
successioni cenozoiche del BTP sull'avanfossa padana, a causa della propagazione verso N del Thrust
Frontale Padano (TFP), attualmente visibile presso il settore più rilevato delle Grange di Trino Vercellese.
Fig. 25 – Thrust Frontale Padano (TFP): sovrascorrimento del fronte appenninico al di sopra della pianura
padana (Tratto da: The seismic landscape of the Monferrato Arc - NW Po Plain (N Italy)- Rend. Online Soc.
Geol. It., Vol. 21 (2012), pp. 339-342, 4 figs. - Società Geologica Italiana, Roma 2012)
Fig. 26 – Thrust Frontale Padano (TFP): sovrascorrimento del fronte appenninico al di sopra della pianura
padana (Tratto da: Geological cross-section of the Trino Vercellese Area (Monferrato Hill eastern sector)
based on detailed lithostratigraphic (exploration wells) and geophysical (seismic lines) data, fully described in
Irace et al. (2009).)
5 – 2,5 MILIONI DI ANNI FA (PLIOCENE)
Circa 5 milioni di anni fa il mare tornò ad occupare tutto il territorio dell‟odierna Pianura Padana. Si formò un
vasto golfo a forma triangolare che ricopriva tutta l‟attuale pianura e costituiva un‟ampia insenatura del mare
Adriatico. Si pensa che il veloce ritorno alle condizioni iniziali sia stato permesso da una riapertura dei
collegamenti con l‟Oceano Atlantico più ampia e profonda dell‟attuale Stretto di Gibilterra.
Fig. 27 – Distribuzione dei mari e delle terre emerse durante il Pliocene
I depositi marini risalenti a questo periodo sono osservabili in modo esteso in tutta l‟area piemontese e
testimoniano come il mare arrivasse fino ai piedi delle catene alpina ed appenninica insinuandosi anche
lungo le valli montane e collinari.
Solo alcune isole si stagliavano sul “mare piemontese”, corrispondenti agli attuali rilievi della Collina di Torino
e del Monferrato, che iniziavano a formarsi proprio allora. I resti fossili degli organismi vissuti in quel periodo
e ritrovati sul territorio indicano che il clima era di tipo subtropicale, più caldo e umido di quello odierno.
Fig. 28 – Scheletro di balena rinvenuto nell’Astigiano
MONFERRATO
Fig. 29 – Emersione del Monferrato durante il Pliocene
Fig. 30 – Estensione del golfo Padano durante il Pliocene (tratto da: Modello digitale DTM del Piemonte con
evidenza del sistema Collina di Torino e Monferrato al centro del “golfo padano”. Dipartimento di Scienze
della Terra, Università di Torino)
.
Fig. 31 – Modello digitale del Golfo Padano durante il Pliocene (tratto da: Modello digitale DTM del Piemonte
con evidenza del sistema Collina di Torino e Monferrato al centro del “golfo padano”. Dipartimento di Scienze
della Terra, Università di Torino)
FOCUS SCIENTIFICO: COSA ACCADDE MONFERRATO
Durante questa fase hanno origine il VI e VII Sintema.
Il SINTEMA VI (Pliocene) è costituito dalla Formazione delle Argille di Lugagnano, costituita da depositi
pliocenici: argille, silt, sabbie fini di colore grigio, prive di una evidente stratificazione, complessivamente
riferibili ad un ambiente di piattaforma esterna. La distribuzione delle facies indica un progressivo
approfondimento verso Sud: i depositi più grossolani infatti, corrispondenti a silt, sabbie fini e subordinate
ghiaie e arenarie in corpi canalizzati, sono distribuiti nel settore settentrionale, a ridosso del Monferrato, dove
poggiano generalmente sui depositi messiniani del Complesso caotico della Valle Versa; la frazione argillosa
prévale invece verso Sud, dove non è però possibile osservarne la base.
Al tetto di tale formazione è presente la Formazione delle Sabbie di Asti, costituita da sabbie medio-fini,
omogenee, di colore giallo e spesso cementate, caratterizzate da locali strutture da moto ondoso ed evidenti
tracce di bioturbazione, complessivamente attribuibili ad un ambiente da litorale a infra-circalitorale.
La diffusione areale di questi sedimenti è legata ad un apparato deltizio sommerso e successivamente di
una vasta pianura costiera. La composizione essenzialmente quarzitica di questo termine unitamente al
notevole spessore, fino a circa un centinaio di metri, suggerisce inoltre condizioni di relativa subsidenza.
Fig. 32 – Fossili presenti all’interno della Formazione delle Sabbie di Asti
Il SINTEMA VII (Pliocene inferiore - medio) è costituito dalla Formazione delle Sabbie di Ferrere e dei Silt
di S. Martino. Si tratta di depositi transizionali e continentali del Pliocene Medio di ambiente deltizio, legati
ad un periodo di forte sollevamento. Tali depositi sono marginali del settore di Monferrato in esame.
2,5 – 0 MILIONI DI ANNI FA (PLEISTOCENE - OLOCENE)
Circa 2 milioni di anni fa il continuo sollevamento di tutta l‟area piemontese causò il progressivo ritiro del
mare che portò allo sviluppo di piane costiere, ricoperte da boschi e praterie, dove pascolavano elefanti,
rinoceronti, cervi, cavalli, ecc. I corsi d‟acqua si impadronirono dei territori che erano occupati dal mare ed
iniziarono ad asportare con la loro forza erosiva uno strato di sedimenti deposti nell‟intervallo di tempo
precedente, strato che in alcuni luoghi era spesso oltre un centinaio di metri. A questa, seguì una fase di
sedimentazione importante, in cui si formarono degli enormi conoidi allo sbocco in pianura delle principali
valli alpine.
Fig. 33 – Distribuzione dei mari e delle terre emerse durante il Pleistocene
Il definitivo ritiro del mare, lo scivolamento sempre più a nord sotto la spinta del continente africano, che
provocava il lento sollevamento del territorio originando i sistemi collinari attuali, la continua erosione dei
corsi d‟acqua, il raffreddamento del clima con la conseguente differenziazione nel corso dell‟anno fra periodi
aridi e periodi umidi, provocarono nuovi e significativi mutamenti nel paesaggio.
Era iniziata l‟era Quaternaria, l‟ultima in ordine di tempo nella quale ancora ci troviamo.
L‟era Quaternaria fu anche quella in cui si verificarono le glaciazioni, che costrinsero all‟estinzione o alla
migrazione verso le zone più calde della terra le flore e le faune plioceniche, che vennero gradualmente
sostituite con piante ed animali di origine artica. Periodi di clima freddo si alternavano a periodi di clima
temperato caldo.
Fig. 34 – Distribuzione dei mari e delle terre emerse durante il Pleistocene Inferiore
L‟ultima glaciazione (wurmiana), che terminò circa 15.000 anni fa, diede vita all‟attuale periodo post –
glaciale definito Olocene. Le lingue glaciali, spesse centinaia di metri, fluivano lungo le valli scavandole ed
allargandole, spingendosi in alcuni casi fino allo sbocco in pianura. Qui depositavano il materiale detritico
prelevato a monte, edificando imponenti anfiteatri morenici.
Nel Monferrato, la bassa altitudine non permise l‟avanzata dei ghiacciai, di conseguenza sono assenti i
depositi morenici, mentre sono presenti gli accumuli di löss, limo argilloso, che sotto l‟azione dei venti che
spazzavano le morene durante i momenti di ritiro dei ghiacci, sono giunti sino alle nostre zone.
Durante i periodi glaciali la pianura piemontese era simile ad una steppa, su cui pascolavano mammut,
rinoceronti lanosi, cervi, bisonti, renne.
Fig. 35 – Paesaggio pleistocenico (tratto da: wiki common Mauricio Antón)
Nelle fasi interglaciali, caratterizzate da un clima più mite, alla steppa si sostituiva la foresta di conifere,
faggi, querce e lecci, tra cui pascolavano cavalli selvatici, cervi, buoi.
Fig. 36 – Paesaggio pleistocenico (tratto da: State Archives of Florida, Florida Memory)
Il Po, che attualmente scorre a nord dei rilievi del Basso Monferrato, fino a circa 60.000 anni fa scorreva a
sud delle stesse colline. Questa situazione era legata sia ai movimenti tettonici che coinvolgevano tutta
l‟area in oggetto, sia alla presenza del ghiacciaio della Valle di Susa che in quel periodo si trovava alle porte
di Torino. Infatti i sedimenti deposti alla fronte del ghiacciaio segusino si appoggiavano alla Collina di Torino,
in continuo sollevamento, ed impedivano il passaggio verso nord all‟antico Po (detto paleo-Po). Quest‟ultimo
era un grande fiume che raccoglieva le acque di tutti i fiumi ed i torrenti che scendevano dai monti
occidentali e meridionali del Piemonte e scorreva in modo sinuoso verso est.
Successivamente, i movimenti tettonici inclinarono leggermente la pianura in senso opposto alla direzione
del paleo-Po e la direzione di massima pendenza locale si invertì diventando quella del percorso attuale.
Nel corso degli ultimi 10.000 anni, nelle aree collinari, gli eventi piovosi intensi e/o prolungati sono stati e
sono tuttora responsabili di importanti fenomeni erosivi lungo i corsi d‟acqua e dell‟inizio di una intensa
attività di modellamento dei versanti, che hanno portato all‟attuale morfologia ed aspetto delle colline del
Monferrato. In questo periodo si sono innescate numerose frane, anche di entità rilevante, spesso ancora
visibili nel territorio monferrino.
Fig. 37 – Paesaggio collinare monferrino
FOCUS SCIENTIFICO: COSA ACCADDE MONFERRATO
Durante il Pleistocene inferiore continua il sollevamento e la strutturazione del settore collinare del
Monferrato, con passaggio da un ambiente di sedimentazione localmente ancora marino – deltizio ad un
ambiente continentale, aumentando significativamente l'attività erosiva ad opera dei corsi d'acqua. In questo
periodo l'aspetto del margine settentrionale del Monferrato era molto diversa dall‟attuale, soprattutto in
riferimento alla fascia collinare compresa tra gli abitati di Gabiano e Camino, la quale non risultava ancora
sollevata rispetto al livello di base della Pianura Padana ed era solcata da una serie di corsi d‟acqua.
Durante questa fase hanno origine i seguenti sintemi:
Il SINTEMA DI MORIALDO (Pleistocene inferiore) è costituito da un complesso di modesto spessore di
sedimenti fluviali sabbiosi e sabbioso-ghiaiosi, corrispondenti alla parte superiore della successione
villafranchiana e presenti al di sopra della successione deltizia. Questi depositi sono presenti in un‟area
molto marginale nel settore di Monferrato in esame.
Il SINTEMA DI CERRINA (Pleistocene inferiore) è costituito da una successione di depositi alluvionali
sabbioso-ghiaiosi e siltosi, affioranti quasi esclusivamente nel tratto terminale della Val Cerrina, depositatisi
all'interno di in una vasta incisione valliva modellata nel substrato miocenico, dal quale sono separati tramite
un'importante discontinuità erosiva. All'interno di tale sedimenti sono stati rinvenuti resti di rinoceronti e
mastodonti. La natura litologica di tale successione consente di ipotizzare che la valle originariamente
costituisse il prolungamento verso Sud dell'attuale bacino idrografico della Dora Baltea, in un periodo
caratterizzato dall'assenza del Fiume Po lungo il margine settentrionale dell'area collinare. Il tratto terminale
della Val Cerrina rappresenta quindi il relitto di un lembo di pianura che separava l'estesa porzione del
Monferrato già emersa da un rilievo isolato in incipiente sollevamento localizzabile nell'area attualmente
compresa tra gli abitati di Gabiano e di Camino. Tale settore di pianura relitto, solo recentemente inglobato
nei rilievi collinari, è sintomatico di una sensibile deformazione pleistocenica differenziale del margine
settentrionale dell'area collinare, ricollegabile alla strutturazione e alla migrazione verso Nord del thrust
padano. L'innalzamento del rilievo isolato di Gabiano-Camino ha infine determinato la diversione del corso
d'acqua e il passaggio da un reticolato idrografico di importanza régionale (rappresentato dalla paleo-Dora)
all'attuale reticolato locale (il Torrente Stura di Cerrina). La testimonianza morfologica più evidente di tale
variazione è rappresentata dalla sella di Gabiano, relitto più settentrionale conservato in ambito collinare
dell'originario fondovalle modellato della paleo-Dora. Quest'ultimo è stato interessato da una progressiva
decapitazione, legata inizialmente alla migrazione verso Sud della paleo-Dora e successivamente, a partire
dalla parte alta del Pleistocene sup. dall'attuale Fiume Po, episodio che oltre a smantellare una parte dei
rilievi collinari ha determinato il modellamento dell'antistante platea sepolta di Trino.
Il SINTEMA DI ZANCO (Pleistocene medio-superiore) è costituito da depositi riconducibili alle fasi di
modellamento fluviale da parte di corsi d'acqua di carattere regionale, contestualmente al progressivo
sollevamento del Monferrato. Tali depositi sono osservabili quasi esclusivamente nei settori più elevati del
settore N della catena monferrina.
Durante il Pleistocene superiore si è osservato un progressivo instaurarsi di un reticolato idrografico in
erosione, responsabile dell'incisione e smembramento della copertura alluvionale esistente, tutt'ora visibile
principalmente nei settori più elevati delle dorsali collinari relitte. In tale periodo si registrava un aumento
della velocità di sollevamento e migrazione del settore nord del Monferrato rispetto a quello Sud in
prossimità del fronte di sovrasccorrimento padano: proprio a causa di questo maggiore sollevamento si è
quindi sviluppata una maggiore azione erosiva che ha portato ad un maggiore approfondimento dei solchi
vallivi con corsi d'acqua aventi direzione Ovest-Est ed una minore tendenza alla migrazione. Al contrario nel
settore meridionale si è verificata un minor sollevamento con formazione di un reticolo idrografico poco
inciso e con maggior tendenza alla divgazione, portando quindi ad un cambio di direzione da Ovest-Est a
Nord-Sud, congruente con le attuali direzioni di massima pendenza: questo fenomeno è responsabile sia
della conservazione sospesa dei relitti delle idrografie precedenti, sia dei numerosi fenomeni di cattura da
parte del reticolato idrografico nei confronti delle forme precedenti, non più congruenti con le inclinazioni
attuali.
Il SINTEMA DI GAMBARELLO – SUBSINTEMA DI PONTESTURA (Pleistocene - Olocene) è costituito da
depositi siltosi e siltoso-sabbiosi con sporadiche intercalazioni ghiaiose rappresentanti lembi di superfici
terrazzate sospesi di pochi metri sugli attuali fondovalli. Rappresenta l'intero fondovalle del torrente Stura del
Monferrato depositatosi sul fondovalle della Valcerrina.
Il SINTEMA DI GAMBARELLO – SUBSINTEMA DI GAMINELLA (Olocene – Attuale) è costituito da depositi
siltosi e siltoso-sabbiosi, di colore giallo - marrone, depositatisi in occasione di eventi alluvionali dei corsi
d'acqua e tributari minori a pertinenza collinare.
COLTRI ELUVIO – COLLUVIALI (Olocene – Attuale), ai piedi dei versanti e sul fondo delle vallecole
modellate dal reticolo idrografico minore si accumulano depositi costituiti da materiali eluvio – colluviali. Tali
depositi formano più o meno sottili coltri limoso - sabbiose che raccordano i versanti con il fondovalle.
Gli ACCUMULI DI FRANA sia essi attivi (frane attive e frane quiescenti) che inattivi (paleofrane) sono
costituiti principalmente da materiale sciolto a litologia limoso-argillosa, inglobanti frammenti o blocchi di
natura marnoso-argillosa o arenacea, a struttura spesso caotica. La composizione litologica e strutturale di
tale ammasso è legata al fatto di avere subito trasporto o, in certi casi, fenomeni di colamento durante
l‟evento o gli eventi franosi. Spesso le colline monferrine sono segnate da ondulazioni e contropendenze,
indizio che porterebbe a far supporre la presenza di antiche frane.
Fig. 38 – Ondulazioni delle colline dovute ad accumuli di paleofrane o frane quiescenti con evidenti segni di
riattivazione
Le frane individuate nel terriotrio collinare monferrino, suddivise in base alla tipologia di movimento, possono
essere così riassumubili:
Frane di colamento: si tratta di frane in cui il movimento interessa solitamente gran parte dello spessore
della massa coinvolta la quale si comporta in maniera simile ad un flusso di un liquido più o meno viscoso
che subisce deformazioni importanti durante il movimento in presenza di acqua. I complessi rocciosi sciolti
pseudocoesivi, anche alternati a livelli lapidei, le coperture eluvio - colluviali, ma anche le rocce lapidee a
debole cementazione con bassa resistenza al taglio lungo i livelli marnosi, possono essere interessati da tale
tipologia di frana. Perlopiù la nicchia di distacco dei colamenti può avere forma poco accennata o mancare
del tutto. Possono essere suddivise in:
colamento lento: dove i movimenti sono generalmente caratterizzati da bassa velocità e coinvolgono
terreni ad elevato contenuto argilloso e perlopiù basso contenuto d'acqua. Si tratta di fenomeni, anche di
grandi dimensioni, che interessano prevalentemente versanti non molto ripidi costituiti da rocce argillose
o da rocce alterate con matrice argillosa.
colata rapida (debris flow): dove i movimenti sono generalmente caratterizzati da velocità elevata e
interessano per lo più terreni sciolti in presenza di un significativo contenuto d'acqua. Si tratta di tutti quei
fenomeni, generalmente di dimensioni non rilevanti, che si innescano in conseguenza di precipitazioni
intense e coinvolgono normalmente i terreni sciolti di copertura, in tutta la loro gamma granulometrica, di
versanti caratterizzati da pendenze piuttosto elevate.
Fig. 39 – Frana di colamento in terra in Comune di Villadeati
Fig. 40 – Frana di colamento in roccia in Comune di Pontestura (calanchi fronte Po)
Frane di scivolamento: si tratta di frane in cui il movimento della massa movimentata avviene lungo zone di
taglio aventi in genere uno spessore modesto rispetto all‟intera massa. Sono caratterizzate in superficie dalla
presenza di scarpate di altezza variabile alle quali sono spesso associate verso valle aree a minore acclività
o disposte in contropendenza, che corrispondono alla porzione di testata della massa spostata, e sono
legate alla parziale rotazione del corpo in movimento su una superficie di scorrimento curva e concava verso
l‟alto. Nella porzione inferiore del versante in frana, caratterizzata da fenomeni di compressione del materiale
spostato, sono presenti generalmente rigonfiamenti del terreno marcati da rotture del pendio e, dove
presenti, dall‟inclinazione dei fusti degli alberi verso valle.
Fig. 41 – Frana di scivolamento in Comune di Cerrina
Frane prevalentemente composite: si tratta di frane caratterizzate da meccanismi combinati per movimenti
di tipo rotazionale passanti a colate. Tali fenomeni si attivano per superamento della resistenza al taglio dei
complessi geologico - tecnici implicati lungo una o più superfici, a volte visibili, più spesso presunte,
generalmente concave verso l‟alto. Le formazioni soggette a questo tipo di frana sono tutte le sedimentarie a
comportamento prevalentemente plastico. Il materiale traslato è normalmente molto scompaginato e
caoticizzato, ricco d‟acqua e tende a franare esso stesso dando luogo a colamenti, tanto che le frane per
scorrimento rotazionale spesso si possono considerare delle frane complesse.
Le cause predisponenti questo tipo di dissesto sono essenzialmente legate alla scadente natura geologico tecnica dei terreni ed alla evoluzione geomorfologica e neotettonica dell‟area in cui si manifestano. Si tratta
di frane lente, spesso intermittenti, poichè le cause scatenanti sono soprattutto legate alla presenza di acqua
di infiltrazione per eventi di pioggia prolungati, specie se in concomitanza con la fusione del manto nevoso.
Fig. 42 – Frana composita in Comune di Casale (scivolamento + colamento)
Fig. 43 – Frana composita in Comune di Pontestura (scivolamento + colamento)
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