Amici miei, voi avete già conosciuto l`infelice

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Amici miei, voi avete già conosciuto l`infelice
ai mie amici
P. Cézanne e J.-B. Baille
Amici miei, voi avete già conosciuto l’infelice giovane del
quale oggi ho deciso di pubblicare le lettere. ma questo giovane non c’è più. Egli ha voluto costruire la propria grandezza attraverso la morte. La mia decisione di pubblicare queste
pagine è stata una decisione estremamente tormentata.
Dubitavo di avere il diritto di mettere a nudo le delicate vicende private di un’altra persona; mi sembrava inoltre di commettere un’odiosa prevaricazione nel divulgare una storia
segreta che, in qualche modo, mi era stata offerta come una
confessione. Quando poi leggevo queste lettere, palpitanti e
febbrili, scarsamente legate le une alle altre, non caratterizzate dal racconto di fatti precisi e concreti, mi preoccupavo pensando a un’eventuale accoglienza dei lettori davanti a un testo
tanto inusuale e apparentemente segnato dalla follia. Di solito
il dolore induce la persona che ne è colpita alla disperazione,
all’urlo: queste pagine hanno invece la cadenza di un lamento.
Esitavo, dunque, tanto come uomo che come scrittore.
Infine, un giorno ho pensato che la nostra epoca sembra
sempre essere in attesa di lezioni esemplari, e forse non mi
ero accorto ancora di avere tra le mani una storia che, se rivelata, avrebbe potuto concorrere a sollevare dall’angoscia
qualche mio contemporaneo. Si chiede a noi scrittori, poeti o
romanzieri, di contribuire con le nostre opere alla costruzione della morale pubblica. Non ho né la vocazione né l’attitudine del maestro, ma avendo tra le mani un’opera fatta di
lacrime e di sangue, ho pensato di poter offrire anch’io una
risposta alle domande che vengono rivolte oggi agli scrittori.
Infatti le confessioni di Claude esprimono come poche altre il
linguaggio inconfondibile del dolore, della sconfitta e del riscatto morale.
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Ho compreso definitivamente il significato e il valore di
quelle lettere. Non so come il pubblico le accoglierà, ma confido nella sincerità assoluta del loro linguaggio. Rappresentano davvero un messaggio umano.
Amici miei, mi sono dunque convinto a pubblicare questo
libro. Ciò in nome della verità e del pubblico interesse. ma,
in verità, non pensavo solo al pubblico, pensavo molto anche
a voi, ero orgoglioso di tornare a raccontarvi con maggiore
ricchezza di dettagli questa triste storia che già vi ha tanto
commosso.
Questo racconto ha la caratteristica di essere tanto spietatamente vero quanto spietatamente crudele. Le anime belle e
svenevoli saranno indignate. Non ho omesso nulla, anche per
rispettare la volontà dell’autore. Sono pagine scritte da una
persona innamorata che non ha risparmiato nulla del proprio
patrimonio sentimentale e passionale. L’autore ha una particolare e complessa personalità, continuamente oscillante tra il
desiderio di frequentare la realtà, per quello che essa è, e la
ricerca di un’opposta strada capace di farlo fuggire nei sogni
e nelle illusioni. Il libro, appunto, consiste in questo dilemma
tra sogno e realtà. Se gli amori licenziosi di Claude dapprima
lo faranno giudicare severamente anche da voi, dovrete ricredervi, perché c’è un’indiscutibile spiritualità in Claude. Oggi
addirittura penso che in lui, nascosta, ci fosse un’autentica
vocazione religiosa. Forse un giorno si prosternerà davanti a
Dio. Pochi più di lui, infatti, hanno cercato con tanta solerzia
e con tanta speranza la verità.
In queste pagine ci racconta la sua giovinezza, i suoi errori e le sue sofferenze, determinate, appunto, da scelte profondamente sbagliate. Claude desidera che altri non subiscano le
sue umiliazioni. I nostri tempi, infatti, non annunciano nulla
di buono per i caratteri che somigliano al suo.
Io posso soltanto, come scrittore, elogiare questa sua confessione, e naturalmente rispondere a tutte le obiezioni che ci
saranno rivolte: non dimentichiamoci mai che Claude ha vissuto alla luce del sole.
émile Zola
15 ottobre 1865
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I
L’inverno sta per raggiungerci: al mattino l’aria è già
più fresca, e anche Parigi si accuccia nella nebbia.
Cominciano le serate dove ci si incontra con gli amici
fraterni. Le labbra screpolate dal freddo cercano un
bacio che possa scaldarle, gli amanti, che si sono lasciati alle spalle la campagna, trovano rifugio nelle mansarde accoglienti, vanno a sedersi accanto al camino, e neppure il rumore della pioggia li disturba, solo l’amore li
fa vivere nell’atmosfera di un’eterna primavera.
Io, invece, vivo nella tristezza; avverto intorno a me
tutti gli inconvenienti dell’inverno, la primavera non mi
sfiora: sono solo, non ho un’amante. La mia soffitta è al
culmine di una scala umida: una grande stanza, con gli
angoli che si perdono nell’ombra, i muri stretti e obliqui
che in certi momenti sembrano formare una bara. I
mobili sono di ben modesta fattura, dipinti con una
sgradevole tinta rossastra; che non appena vengono
sfiorati, scricchiolano come se volessero trasmetterti un
loro cupo risentimento. Sul letto pendono lembi scolorati di damasco, la finestra, che non è protetta dalle tendine, si affaccia su un muro grezzo, severo.
Per me le ore più pesanti sono quelle della sera,
quando il vento bussa con monotonia alla porta e la
fiamma della lampada sembra che stia per spegnersi.
Trascorro quelle ore girando intorno al camino spento,
sfioro la carta dipinta delle pareti, sfioro la maiolica dei
vasi ancora colmi di fiori da tempo appassiti, e tutto ciò
che tocco, o che semplicemente osservo, si stringe nel
significato di due sole parole: povertà e solitudine. Tutto
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intorno a me è opprimente. A volte, assurdamente, ho la
sensazione che la soffitta mi rimproveri per la mia ignavia, per non saperle restituire la dignità e i caratteri dell’accoglienza che caratterizzano le altre soffitte: il camino chiede una fiamma viva, i vasi vogliono fiori freschi;
è il letto, soprattutto, a sospirare pateticamente nel ricordo di capelli biondi e spalle bianche.
Ascolto tutti questi messaggi angosciati e naturalmente la mia disperazione si fa più grande. Non ho più
un lampadario né un tappeto per coprire le mattonelle
scompaginate del pavimento. Perché, quando mi rendo
conto di non poter rispondere concretamente al coro di
richieste che viene rivolto dagli oggetti e dai muri di
questa stanza infelice, allora il freddo mi sembra addirittura più aggressivo, il buio dilagante, la polvere presidia ogni angolo, la carta da parati si stacca mettendo a
nudo lo squallore dell’intonaco. Sono questi i momenti
più dolorosi.
Ricordate, amici, i giorni della nostra grande felicità? Quando vivevamo tra grandi amori e quando pensavamo di avere la gloria a portata di mano? Ricordate le
tiepide serate in Provenza, quando le stelle cominciavano a biancheggiare e i sentieri conservavano ancora il
calore del sole? I grilli stridevano, l’armonia della notte
profonda accompagnava i nostri discorsi. Quando ci
rivelavamo ogni nostra suprema aspirazione: amore e
gloria in nome dell’arte. Voi mi raccontavate i vostri
sogni. Io vi rivelavo i principi che regolavano la mia
vita; una vita che era assolutamente consacrata al lavoro e alla lotta; e voi, ascoltandomi, dimostravate di
apprezzare il mio coraggio. L’ardore ideale prevaleva in
me, interponendosi tra i miei occhi e la realtà: neppure
mi accorgevo della povertà materiale che accompagnava la mia esistenza. Anche voi salivate le scale delle
mansarde, anche voi avevate grandi aspirazioni che vi
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LA CONFESSIONE DI CLAUDE
appagavano pienamente; ignorando problemi e malesseri del mondo pensavate seriamente che l’avvenire
avrebbe premiato la sagacia degli artisti.
Quando le stagioni si addolcivano scoccava infallibilmente il tempo dell’amore. Ciascuno aveva la sua
bella. Le vostre erano brune e allegre ragazze che trionfavano nelle giornate della vendemmia; correvano sui
sentieri e sembravano volare con le ali della loro meravigliosa giovinezza. La mia era pallida e bionda, amava
il silenzio dei laghi, l’altezza delle nuvole, camminava
sempre con un passo languido, come se stesse per
librarsi dalla terra. Ricordate, amici miei? Fino al mese
scorso ci piaceva andare in campagna per sognare, perché lì ci sembrava di trovare intatte tutte le speranze e le
illusioni del fanciullo. ma io non ho più fiducia nel
sogno, ho pensato che sia giunto il momento di misurarmi con la realtà. Sono già trascorse cinque settimane
da quando ho lasciato i nostri luoghi, il tepore del
mezzogiorno. Ci siamo congedati fraternamente, mi
sono accomiatato dal campo, dal luogo di tanti nostri
incontri, vi ho detto che andavo lontano per prendermi
tutto quel che Dio concede a chi ha vent’anni: la fortuna e l’amore.
“Claude”, mi avete detto al momento della partenza,
“adesso affronti il tuo destino. Da questo momento non
possiamo più esserti accanto per infonderti coraggio. In
certi momenti ti renderai conto che soltanto i ricordi
possono sconfiggere la solitudine. La prova che stai per
affrontare, così ci raccontano, è assai dura, ma parti
comunque, perché è irresistibile e sacrosanto il tuo desiderio di misurarti con la vita. Non rinnegare i tuoi progetti, ricordati di vivere l’azione con la lealtà e la fermezza che sempre ti accompagnava nel sogno. L’uomo
che stai per diventare non dovrà mai rinnegare l’ingenuo ragazzo che sei stato fino a ieri. Coraggio, non man-
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cheremo dal consolarti nei momenti più dolorosi, sia
pure da lontano né ti risparmieremo i rimproveri quando li riterremo utili nel tuo interesse. Noi, oggi, non
siamo in condizione di seguirti, perché non abbiamo il
tuo coraggio; non pensiamo di metterlo in gioco nello
scontro con la realtà.”
Potete già rivolgermi i vostri rimproveri, fratelli, ma
continuate anche a consolarmi. La mia nuova vita è
appena incominciata e già mi sono imbattuto nella tristezza. Com’era candida la mansarda presente nei nostri
sogni! Quanto sole entrava da quella finestra e come la
povertà e la solitudine, invece di abbatterci, aiutavano a
rendere la nostra vita più tranquilla e più disciplinata
nello studio! Forse voi non conoscerete mai lo squallore di una vera soffitta. Non potete conoscere il gelo che
porta con sé la solitudine, senza avere un fiore intorno,
senza nulla su cui posare lo sguardo che, disperato, continua a girare febbrile nel vuoto.
Dove si sono perduti i miei prati e i miei ruscelli?
Dove sono finiti quegli indimenticabili tramonti che mettevano l’oro nelle cime dei pioppi e che facevano scintillare le rupi più lontane nell’orizzonte? Ho forse sbagliato, amici, distaccandomi da voi e dai nostri luoghi? Forse
sono soltanto un ragazzo che ha preteso di essere uomo
prima del tempo. Ho troppo confidato nella mia forza, e
forse avrei fatto meglio continuando a sognare con voi.
Ecco, una nuova giornata sta incominciando. Ho trascorso la notte nella nuda soffitta, davanti al camino
spento, ricordando a me stesso tutte le difficoltà che mi
opprimono. Una pallida luce accarezza i tetti, qualche
fiocco di neve continua a cadere dal cielo grigio e profondo. Ascolto i suoni che accompagnano il risveglio
inquieto della città.
Questa finestra sembra addirittura volermi negare la
luce del sole, il pavimento ha la stessa umidità di un
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LA CONFESSIONE DI CLAUDE
vicolo desolato, tutta la soffitta porta con sé l’immagine
dello squallore e dell’umiliazione. Non posso sentirmi
vivo qui, non posso più sperare se resto qui.
II
Voi deplorate il mio scarso coraggio, mi accusate di
vagheggiare ogni esteriorità e il falso potere della ricchezza, in una parola mi dite che ho tradito quella decorosa umiltà che deve sempre accompagnare la vocazione di un vero poeta. è così! Io amo i grandi palazzi, i bei
marmi che li riempiono, i candelabri. In una parola:
amo tutto ciò che splende, tutto quel che le infinite
immagini della ricchezza sanno prepotentemente imporre. Desidero i palazzi principeschi, i grandi prati che
li contornano, i loro grandi giardini profumati.
Non mi vergogno di confidarvi, amici miei, che sono
sempre disposto a infatuarmi mentre osservo la delicatezza della seta, la leggerezza del merletto, il solare
splendore che vibra nell’oro e nei cristalli. Lasciatemi
dunque, almeno, la libertà del sogno.
La notte scorsa il vento risuonava malinconicamente nelle strade, la lampada era fioca, il fuoco stava per
spegnersi, l’insonnia disponeva di me a suo piacere,
pallidi fantasmi sembravano circondarmi nell’oscurità.
Quello scenario così miserabile mi ha completamente
terrorizzato, e ho voluto descrivervelo senza nulla omettere, perché pensavo che così facendo me ne sarei liberato. ma poi, in realtà, è stato il primo raggio di sole a
cancellare definitivamente l’incubo. La paura è svanita.
Accetto la lotta.
Voglio trasferirmi nel deserto, nel silenzio che lì
domina ogni cosa, per poter meglio ascoltare il mio
cuore, per poter meglio dare seguito alle mie speranze e
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ai miei progetti. Ho deciso di dimenticare gli uomini:
intendo interrogare me stesso; è a me stesso che voglio
rispondere. Ogni poeta, quando è veramente ispirato,
deve trovare l’ambiente ideale perché la sua ispirazione
possa imporsi.
Io sono povero: quindi ho giustamente scelto di
vivere in solitudine. Il mio orgoglio sarebbe ferito nel
ricevere caritatevoli soccorsi, la mia mano stringe
volentieri soltanto un’altra mano che sia altrettanto
nuda. Non conosco molto le regole del mondo, ma mi
accorgo che il gelo avvolge del tutto il cuore di chi è
caduto in miseria, fino a portarlo a vivere appunto con
orgoglio la propria condizione.
Povertà e solitudine, siate dunque benvenute nella
mia vita! Vi scongiuro di proteggere questa mia dimessa esistenza come due angeli custodi, come due muse
ispiratrici provvidenziali nel rimproverarmi e nell’incoraggiarmi. Vi prometto che nelle lunghe e fredde notti
invernali accenderò la lampada per ritrovarvi accanto a
me, vigili. E quando sarò stanco e incapace di sopportare ancora la solitudine e il silenzio, quando butterò lontano da me la penna maledicendovi, il vostro sorriso
malinconico mi farà forse dubitare di tutti i miei sogni.
In quel momento sarete così belle da non essere più soltanto muse, ma amanti feconde, a me invidiate da ogni
giovane desideroso di incontrare l’amore.
ma intanto, miei cari, indosserei volentieri un mantello di porpora e d’oro, non per mortificare quelli che
me lo vedono indossare, ma per avvolgermi beatamente nel ricco e magnifico tessuto. Altrettanto gradirei
essere re dell’Asia per poter sognare giorno e notte su
un letto di rose. I bagni di marmo con le fontane profumate, le gallerie di caprifoglio, le immense sale con i
soffitti disseminati di stelle: questo è il palazzo che gli
angeli dovrebbero donare a ogni giovane di vent’anni.
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