Cattedra Nicola Spedalieri
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Cattedra Nicola Spedalieri
Cattedra Nicola Spedalieri per la memoria storica in Bronte Noi e la storia: concorso fra gli studenti di Bronte per un saggio su Nicola Spedalieri, un filosofo brontese da conoscere Prima edizione settembre 2013 Organizzazione Cattedra Nicola Spedalieri per la memoria storica in Bronte www.cattedranicolaspedalieri.altervista.org e_mail: [email protected] Con il patrocinio Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Ufficio Scolastico per la Provincia di Catania Con il sostegno di Real Collegio Capizzi Con la collaborazione di www.bronteinsieme.it CONOSCERE IL PASSATO PER VIVERE IL FUTURO Nei secoli della sua storia, la città di Bronte ha dato i natali a non pochi illustri uomini, che si sono distinti nell’arte, nelle scienze, nelle lettere, nella religione, nella politica. Di questa storia, di questi illustri figli di Bronte,del loro patrimonio culturale, noi brontesi di oggi siamo figli ed eredi. Talvolta inconsapevoli, ma pur sempre eredi. Capita spesso di verificare che i Brontesi di oggi non sempre e non tutti conoscono le vicende passate della propria comunità cittadina, o la biografia di uomini di valore che in Bronte hanno avuto la loro nascita e ricevuto la loro formazione. Di queste figure eccellenti vediamo le statue,leggiamo i nomi delle vie e delle piazze loro dedicate, ma non sempre siamo in grado di dire le ragioni per le quali viene loro tributato il pubblico riconoscimento. Questa inconsapevolezza costituisce una perdita individuale e collettiva. Infatti, per la comunità cittadina vale quel che succede alle famiglie e agli individui: non avendo adeguata coscienza dell’eredità che hanno ricevuto, non sanno dare importanza a ciò di cui dispongono. La memoria del passato è strumento essenziale per meglio vivere il presente e supporto per guardare al futuro. Per contribuire a colmare questo vuoto di conoscenza, è nata l’Associazione “Cattedra Nicola Spedalieri per la memoria storica in Bronte” che con il generoso impegno di alcuni volenterosi concittadini, e con il sostegno economico di benemerite Istituzioni e Associazioni, ha chiamato gli studenti delle scuole superiori di Bronte al concorso per una ricerca su uno fra i più illustri brontesi, Nicola Spedalieri. E a tale iniziativa si propone di dare continuità per il futuro,richiamando l’attenzione e lo studio su altri celebri concittadini del passato. In questo impegno abbiamo pensato di partire dalle giovani generazioni, le più esposte ai “vuoti di memoria” ;perché riteniamo che per loro sia fondamentale più che per altri avere cognizione dell’eredità culturale proveniente da quanti li hanno preceduti. E che ciò li possa aiutare a migliorare e completare la loro formazione culturale, civile, umana.; e,quindi,ad essere protagonisti del loro domani. In questa direzione la “Cattedra Nicola Spedalieri” si propone di proseguire, con il contributo di idee e di energie, di quanti, singoli e istituzioni, operano nella realtà cittadina. E’ compito di tutti contribuire a stimolare la formazione delle nuove generazioni di brontesi, prestando speciale cura ai giovani, specie i più deboli economicamente, la cui crescita culturale e civile costituisce un patrimonio collettivo. L’impegno per la cultura e la formazione dei cittadini brontesi del domani costituisce un investimento per il futuro ed è ragione per sperare che la comunità di Bronte continui ad essere patria di uomini e donne capaci di ben affermarsi nella società. In tale impegno la “Cattedra Spedalieri” confida di poter coinvolgere le migliori risorse e le persone più sensibili che, ancor oggi, rappresentano la ricchezza della comunità brontese. Bronte, 5 aprile 2014 per il Comitato promotore Piero Martello Cattedra Nicola Spedalieri per la memoria storica in Bronte Noi e la storia: concorso fra gli studenti di Bronte per un saggio su Nicola Spedalieri, un filosofo brontese da conoscere Prima edizione settembre 2013 Progetto grafico e impaginazione Elia Caterina Mazza Stampa Simeto Docks s.r.l. - Catania Materiale iconografico reperito con la collaborazione di: Nino Liuzzo (Associazione Bronte Insieme Onlus) e di Gigi Longhitano Immagini del concorso “Cattedra Spedalieri”: Progetto grafico: Gigi Longhitano REGOLAMENTO Il concorso è rivolto a tutti gli studenti delle Scuole d’Istruzione Secondaria di II° grado di Bronte e richiede l’elaborazione di un saggio breve, la cui estensione non deve superare le 15000 (quindicimila) battute, spazi inclusi, sulla figura di Nicola Spedalieri, sacerdote e filosofo italiano nato a Bronte nel 1740. [NB: eventuali modalità espressive diverse da quella scritta dovranno essere concordate con il Comitato organizzatore] MODALITÀ DI VALUTAZIONE I lavori presentati saranno valutati da una Giuria di qualità che segnalerà i più meritevoli, decretando il podio con i quattro vincitori della “Cattedra Nicola Spedalieri”. Tale Giuria sarà composta da esponenti del mondo scolastico, fra i quali docenti in pensione, e da un docente in servizio presso ognuna delle Scuole d’Istruzione Secondaria di secondo grado di Bronte. PREMI I premi sono: € 400,00 al primo classificato; € 300,00 al secondo classificato; € 200,00 al terzo classificato; € 150,00 al quarto classificato. I migliori 10 saggi, inoltre, saranno pubblicati in un libro che verrà distribuito a tutti gli studenti delle scuole superiori di Bronte. Ciascun concorrente riceverà un attestato di partecipazione, realizzato a mano su pergamena dal M° Pietro Bongiorno. Agli autori dei primi 10 saggi verrà, inoltre, fatto omaggio del volume: Gustavo Chiesi La Sicilia illustrata, offerto da 7 Busto del filosofo brontese conservato a Bronte nei locali del Real Collegio Capizzi. L’opera, del 1886, è dello scultore Biagio Salvatore, abruzzese. COMITATO PROMOTORE della Cattedra Nicola Spedalieri per la memoria storica in Bronte Laura CASTIGLIONE, Associazione Bronte Insieme Onlus Sebastiano CIRALDO, dirigente scolastico Nino LIUZZO, Associazione Bronte Insieme Onlus Gaetano LONGHITANO, docente Piero MARTELLO, magistrato Vincenzo PAPPALARDO, dirigente scolastico Giuseppina RADICE, docente universitario Aldo RUSSO, chirurgo Nino TRAVAGLIANTE, medico www.cattedranicolaspedalieri.altervista.org e_mail: [email protected] COMITATO D’ONORE Simona LAUDANI, prof. ordinario di Storia Moderna, Università di Catania Bruno MONTANARI, prof. ordinario di Filosofia del Diritto, Università di Catania e Milano Attilio PISANÒ, prof. aggiunto di Diritti Umani, Università del Salento Gino SAITTA, già prof. ordinario di Storia Medievale, Università di Catania Pina TRAVAGLIANTE, prof. ordinario di Storia del pensiero economico, Università di Catania. COMMISSIONE ESAMINATRICE Lucia BONACCORSO, docente. I.I.S.S. “Ven. Ignazio Capizzi” Ugo CATANIA, docente in pensione Sebastiano CIRALDO, dirigente scolastico in pensione - presidente Letizia DI NATALE, docente in pensione Carmela GRASSIA, docente. I.I.S.S. “Benedetto Radice” Gaetano LONGHITANO, docente in pensione Giusi LONGHITANO, docente Istituto paritario “Mons. A. Longhitano” Giuseppina LUCA, docente in pensione Nunzio LUPO, docente in pensione Maria MALAPONTE, docente in pensione Maria Grazia PARISI, docente in pensione Angelo SANFILIPPO, docente in pensione La Commissione è composta da docenti in servizio, designati dagli Istituti superiori di Bronte, e da docenti brontesi in pensione, che hanno dato il loro prezioso apporto per la valutazione dei saggi presentati dagli studenti. 9 Particolari del monumento funebre nella Chiesa dei Frisoni, accanto al Colonnato della Basilica di San Pietro, in Vaticano. In alto ritratto a mosaico posto sopra la tomba. Alla morte i resti di Nicola Spedalieri furono tumulati a Roma in un monumento eretto nell’oratorio attiguo all’antica chiesa dei Santi Michele e Magno. Oggi, del monumento resta solo la lapide ed un ritratto a mosaico del filosofo murati nella navata destra della chiesa accanto alla sacrestia. I SAGGI PREMIATI IN ORDINE DI GRADUATORIA 1o Nicola Spedalieri: parallelismi, tra analogie e divergenze, con Hobbes, Rousseau e Machiavelli 2o L’importanza del Cristianesimo nei Diritti dell’uomo 3 o Nicola Spedallieri, un moderno che viveva nel ‘700 4 o DVD su “I Diritti dell’Uomo” di Nicola Spedalieri, 5o L’uomo: “essere intoccabile” 6o L’avvelenamento del filosofo brontese: leggenda o realtà? 7o Lo stato e il diritto in Nicola Spedalieri 8 La storia della statua di Nicola Spedalieri o 9o Perché il rispetto dei diritti umani è importante? 10o Analisi e commento dell’opera “De’ diritti dell’uomo” e della rispettiva dottrina del filosofo Nicola Spedalieri 11 SAGGIO 1° CLASSIFICATO Nicola Spedalieri: parallelismi, tra analogie e divergenze, con Hobbes, Rousseau e Machiavelli Alessandra Schilirò 5aB Liceo Classico “Ven. Ignazio Capizzi” La cittadina di Bronte ha dato i natali a molti illustri personaggi e, tra i filosofi, spicca certamente la figura di Nicola Spedalieri. Questi nacque a Bronte nel 1740 e in seguito si trasferì a Monreale, dove portò a termine gli studi, ricevette l’ordinazione sacerdotale e insegnò filosofia, teologia e matematica. Nel 1774 si ti trasferì a Roma e vi morì improvvisamente, forse per avvelenamento, nel novembre del 1795. Diverse sono le opere pubblicate, “De’ Diritti dell’Uomo”, composta di sei libri ne’ quali si dimostra, che la più sicura custode de’ medesimi nella Società Civile è la Religione Cristiana; e che però l’unico Progetto utile alle presenti circostanze si è di far rifiorire essa Religione, è la più nota. Il libro I dell’opera si compone di venti capitoli: i primi sei incentrano la trattazione sull’individuo, con l’enunciazione dei suoi diritti e doveri; dal settimo al dodicesimo, oggetto della trattazione è la società e, secondo un procedere logico, il rapporto tra questa e l’individuo è argomento del capitolo dodicesimo e tredicesimo. La parte conclusiva dell’opera è schiettamente politico-filosofica ed è incentrata sull’organizzazione della Società Civile, sul legame fra governanti e governati. Dai capitoli settimo, ottavo e nono, emerge chiaramente l’influenza esercitata sullo Spedalieri dalle teorie contrattualistiche, che sono al centro della riflessione di filosofi quali Thomas Hobbes e Jean-Jacques Rousseau e secondo le quali il HYPERLINK “http:// it.wikipedia.org/wiki/Potere”potere politico si fonda su un contratto sociale che pone fine allo stato di natura, segnando l’inizio dello HYPERLINK “http://it.wikipedia.org/wiki/ Stato”stato sociale e politico. Il mostruoso sistema1 di Hobbes, esposto nel Leviatano, individua nello stato di natura una guerra di ogni uomo contro tutti gli altri (bellum omnium contra omnes) per cui gli uomini, stabilendo un contratto sociale tra di loro, rinunciano ai propri diritti naturali per costruire una società efficiente, che è condizione primaria per il perseguimento dei desideri, a sua volta condizione per il perseguimento della felicità. Al contrario, Rousseau vedeva nella civilizzazione un prodotto artificiale, causa di degenerazione, nocivo per il benessere dell’uomo che è definito un buon selvaggio e solo nello stato di natura vive libero, sano, buono, felice 2. La posizione di Nicola Spedalieri espressa in merito appare distante da ambedue i pensatori precedenti: per quanto riguarda Hobbes, egli sembra accusare il pensatore d’ideologia, nel senso marxista e negativo del termine per 1 N. Spedalieri, De’ Diritti dell’Uomo, libro I, cap. III, par. 13 2 J. J. Rousseau, Discorso sull’ineguaglianza 13 cui ideologica è ogni concezione che voglia rivestire di idee e principi astratti la concreta realtà dei fatti materiali, affermando che Obbes turbò l’ordine naturale delle conseguenze, per accomodarle al sistema già prima architettato nella sua fantasia3. Lo Spedalieri trova paradossale, dal momento che la natura mira alla conservazione della specie, che lo status quo dell’uomo in natura, in accordo alle teorie di Hobbes, non sia la pace, ma la guerra; quest’ultima secondo Spedalieri deve essere una conseguenza (Se il fine della natura, ch’è la conservazione degli uomini, partorisse il supposto diritti di tutti a tutto, partorirebbe pure, qual seguela legittima, una guerra di tutti contro tutti4). Per quanto concerne invece Rousseau, Spedalieri confuta le sue tesi, più o meno implicitamente, affermando che nello stato di natura gli uomini, al contrario di quanto generalmente si crede, dal momento che hanno stessi diritti e stesse obbligazioni naturali, non potrebbero godere di libertà illimitata perché la libertà illimitata del singolo limiterebbe paradossalmente quella altrui, per cui l’uomo non trarrebbe dal ritorno allo stato di natura alcun minimo vantaggio. Nei capitoli VII, VIII e IX, Spedalieri fornisce al lettore una serie di confronti tra Stato di pura Natura e stato civile (quello in cui una moltitudine di uomini coesisterebbe co’ vincoli di alcuni patti ordinati alla felicità di ciascuno in comune) che analizzano pro e contro di ambedue gli stati e le dimensioni della corporeità e della mente in rapporto ad essi. Spedalieri riprende, a tal proposito, una tesi della Satira X di Giovenale: Interrogato un filosofo, che si dovesse chiedere alla Divinità per menare vita felice, rispose, mens sana in corpore sano. Per questo l’uomo sapiente, rendendosi conto della vacuità di beni come la fama o la ricchezza, dovrebbe aspirare a due beni soltanto, la sanità dell’anima e la salute del corpo. Giungendo alla conclusione che l’uomo sta infinitamente meglio nella società civile, di quel, che starebbe nello stato di pura natura, quanto al corpo e che lo stesso vale anche riguardo allo spirito, Spedalieri afferma che la Società Civile è l’unica in cui l’uomo può realizzare i propri bisogni di felicità e che quindi l’uomo è destinato dalla sua natura alla Società Civile. La Società Civile, a sua volta, trova fondamento nel Contratto Sociale, che ne è ragione intrinseca ed è necessario a regolare il vivere civile perché senza di esso, giacché la ragione varia in acume tra i diversi individui (non splende in tutti egualmente) e non è in grado, da sola di governare le passioni che sono parte dell’uomo, tacerebbe la legge di natura, e regnerebbe la forza, la quale, essendo variabile, terrebbe gli uomini in ondeggiamento perpetuo, e, lungi dal conciliare amicizia, ed unione, sarebbe funesta sorgente di nemistà, e di discordia5. Per questo, se non si vuole assistere all’imposizione della legge del più forte, bisogna che l’uomo ceda i propri diritti naturali a una Mente, che giudichi, una Volontà, che decreti, e una forza ch’eseguisca, allorché è tale che obblighi ad ubbidire, importa vera autorità, o potestà, o giurisdizione; e suprema, se obblighi tutti6, identificata dallo Spedalieri nella figura del Principe. A riguardo, si può istituire un parallelismo tra il principe spedalieriano e il principe machiavellico, evidenziando le inevitabili differenze dovute al contesto socio-politico nel quale gli autori si trovano ad elaborare le rispettive riflessioni. Entrambi, Spedalieri e Machiavelli, arrivano a concludere la necessità della figura del Principe, ma per vie e motivazioni differenti: Spedalieri visse nella seconda metà del 3 N. Spedalieri, De’ Diritti dell’Uomo, cap. III, par. 18 4 Ibidem 5 Ibidem, cap. XII, par. 15 14 6 Ibidem, cap. XIV, par. 1 Settecento, un periodo in cui l’Italia, seppur priva di unità politica, vide una lunga stagione di tranquillità e di graduale ripresa economica che consentì ai sovrani di dare maggior compattezza ai propri stati; Machiavelli, vissuto tra 1469 e 1527, considerato l’iniziatore della scienza politica, alla luce della gravità de’ tempi7, che vede la crisi morale, militare e politica dell’Italia, si convince della necessità del Principe per costruire una compagine statale abbastanza forte da contrastare le mire espansionistiche degli stati europei, barbari, sul territorio italiano. Machiavelli, a differenza dello Spedalieri che credeva che tutti gli uomini tendessero naturalmente alla felicità e quindi al bene, muove da una concezione fortemente pessimistica della natura umana: crede che gli uomini (da lui definiti ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, fuggitori de’ pericoli, cupidi di guadagno) siano malvagi, e benché non indaghi la causa di ciò, contesta a partire dall’esperienza sensibile gli effetti nella realtà. Lo stato, dal punto di vista di Machiavelli, si pone dunque come rimedio alla malvagità dell’uomo, annulla le spinte individualistiche, ma ha come fine il bene comune, alla maniera di Spedalieri. Diversa è la posizione riguardo alla religione: per Machiavelli questa non è altro che instrumentum regni, la cui utilità è di collante del vivere collettivo perché spinge i cittadini, sulla base di principi comuni quali l’onestà o la solidarietà, a rispettarsi gli uni con gli altri. Machiavelli pone l’accento, inoltre, su come, presso i romani, questa acquistasse immensa importanza perché, con i suoi insegnamenti, spingeva gli uomini alla forza virile, al coraggio, allo sprezzo del pericolo. Nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, egli critica invece apertamente la religione cristiana, ritenuta responsabile dell’atteggiamento di mitezza e rassegnazione degli uomini che porta al tanto criticato atteggiamento fatalista dei suoi contemporanei: gli uomini, credendo che le cose del mondo siano regolate dalla Fortuna e da Dio, ritengono di non avere alcun margine d’azione e si confinano nello scetticismo e nella passività. La Religione Cristiana è invece per Nicola Spedalieri essenziale agli affari anche temporali degli uomini ed è la più sicura custode8 dei Diritti dell’Uomo nella Società Civile. La Sovranità non può che venire da Dio, il quale la conferisce al Principe, scelto dal popolo affinché la eserciti in suo nome, per cui Spedalieri sostiene che la Sovranità temporale abbia la stessa origine, che la Sovranità spirituale. In quest’ottica, si giustifica il diritto di dare la morte, che secondo Spedalieri compete al Principe: è la prova che l’autorità viene direttamente da Dio perché l’uomo non ha diritto di dare la morte neanche a se stesso (Insistono principalmente sul diritto di dar la morte, e pretendono, che l’uomo non può trasferire un diritto che non ha, non essendo padrone neppure della propria vita, e che perciò bisogna ripeterlo da Dio, in mano di cui è la vita, e la morte di tutti gli uomini9). Riguardo alla posizione sulla pena di morte, è rintracciabile un’ulteriore analogia tra Spedalieri e Machiavelli: per quest’ultimo, l’uomo politico, agendo su una realtà composta di uomini malvagi, deve adattarvisi e deve assumere la caratteristica di essere centauro, mezzo uomo e mezzo bestia, deve cioè saper usare sia la legalità sia la forza per dare fondamento allo Stato. Pertanto, affinché l’integrità e la pace siano mantenute costanti, Machiavelli ammette la necessità della pena di morte, seppur non la metta in relazione in alcun modo alla religione. Crudeltà e violenze possono quindi essere scelte obbligate per il politico che vuole perseguire l’utile della comunità. Machiavelli si cura però di fornire una distinzione fondamentale: individua “principi” e “tiranni”. L’uso di metodi 7 N. Machiavelli, Il Principe 8 N. Spedalieri, De’ Diritti dell’Uomo, Prefazione 9 Ibidem, cap. XVII, par 24 15 riprovevoli è giustificato nell’agire del principe che opera a vantaggio del bene pubblico, mentre il tiranno è definito vituperevole dal momento che commette nefandezze solo a suo vantaggio personale. Nell’ottica di Machiavelli infatti, criterio morale, fondato sulla distinzione tra bene e male, e criterio politico, fondato sulla distinzione tra utile e danno, non coincidono: ciò che è bene moralmente, non deve necessariamente essere bene politicamente e viceversa, e ciò porta ad una forte allontanamento dell’etica politica dall’etica religiosa e per questo Machiavelli venne tacciato dalla Chiesa con accuse che richiamano quelle controriformistiche di empietà, ateismo e blasfemia e Il Principe è sempre stato nell’Indice dei libri proibiti dalla Chiesa Cattolica, sin dal 1559 per volere del Pontefice Paolo IV. Nel trattare la figura del tiranno, Machiavelli fa riferimento al tiranno di Siracusa Agatocle, che esemplifica coloro che ascendono al principato per mezzo di scelleratezze: ha il regno, ma non la gloria che ne è il fine; assente dalla riflessione machiavelliana è invece la questione della legittimità del governo, che viene semplicemente identificata nella sua effettività storica. Nicola Spedalieri si chiede invece se il Popolo ha facoltà di disfare il Principato10 e arriva alla conclusione che il popolo non può disfarlo e non dovrebbe voler cambiare la forma di governo perché approderebbe ad uno stato di anarchia, che è non è conforme alla sua natura ed, essendo l’Anarchia uno stato peggiore di quel che sarebbe lo stato di pura natura, gli uomini sarebbero costretti di riedificar con fretta il demolito edificio. Il popolo può però privare del Principato la persona che aveva in precedenza investito, se sussistono le adeguate motivazioni, che vedono il principe violare il contratto stipulato col popolo sulla base del do ut facies. Condizione essenziale del Contratto sociale è, infatti, che è il principe custodisca i diritti naturali di ciascuno e miri ad ottenere benessere e felicità per i sudditi, per cui se il principe non rispettasse tale condizione, e sostituisse il capriccio alle leggi, il contratto sociale sarebbe sciolto per il venir meno della sua condizione intrinseca. La figura del principe assume le caratteristiche del Tiranno se poi il disordine è nella volontà del Governante, che mira non al bene, ma al male degli uomini, e questi perde di conseguenza la Sovranità, che torna al Popolo, il quale può conferirla a chi giudica meglio, e può altresì cangiare la forma del Governo come più espediente gli sembra. Potrebbe altresì verificarsi che il soggetto esautorato, voglia mantenersi al potere con la forza e allora diviene diritto della collettività, della Nazione, opporre la propria forza per intraprendere una guerra giusta. Si potrà legittimamente giungere fino all’estrema soluzione di condannare il Principe a morte: licet occidere regem tyrannum; mai però per volere del singolo cittadino. Come nel caso di Machiavelli, anche l’opera dello Spedalieri venne “oscurata” alla sua uscita: il riconoscimento che la sovranità derivi dal popolo e che questi possa giungere a rovesciarne il potere, il giustificare, quindi, la ribellione all’autorità, suscitò scalpore nelle corti assolutistiche dell’epoca e fu fonte per Nicola Spedalieri di violente critiche a tal punto che De’ Diritti dell’Uomo ottenne il divieto di pubblicazione in tutta Europa e poté circolare liberamente solo dopo la seconda metà dell’Ottocento. 10 Ibidem, cap. XVI, par 8 BIBLIOGRAFIA Nicola Spedialieri: De Diritti dell’Uomo Thomas Hobbes: Leviatano Jean-Jacques Rousseau: Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini 16 Niccolò Machiavelli: Il Principe SAGGIO 2° CLASSIFICATO L’importanza del Cristianesimo nei Diritti dell’uomo Francesco Saitta 5 B Liceo Classico “Ven. Ignazio Capizzi” a « La religione è la più legittima custode dei diritti dell’uomo». Con questa affermazione, tratta dai Diritti dell’uomo, Nicola Spedalieri (Bronte 1740Roma 1795) riassume la valenza che la religione ha per uno Stato Civile. Civiltà e religione sono per il filosofo un binomio inscindibile, poiché i valori di fratellanza, concordia, unità, libertà che stanno alla base della religione cristiana sono valori validi anche per la costruzione di una qualsiasi società civile. La religione cristiana, proclamando l’uguaglianza degli uomini porta avanti uno dei valori cardini del pensiero illuminista, pensiero del quale è intrisa l’opera dello Spedalieri. Il filosofo evita sempre di cadere nel deismo e nell’ateismo che caratterizzarono il secolo dei lumi. Nel Libro V dei Diritti dell’uomo, infatti,contro il deismo egli stesso afferma: «…il Deismo lascia l’uomo nella sua infermità…,il cristianesimo lo guarisce in affetto e ne accresce realmente le forze e per questo è veramente vantaggioso alla società civile». Il deismo era una corrente filosofica razionalista sviluppatasi prima in Gran Bretagna tra il XVII e il XVIII secolo e poi in Francia. Il deismo riconosce sì l’esistenza di un ente supremo ordinatore dell’universo, ma nega ogni forma di rivelazione storica e di provvidenza, rifiuta perciò qualsiasi dogma o autorità religiosa. Inoltre ritiene che l’uso della ragione consenta all’uomo di elaborare una religione naturale completa ed esauriente, capace di spiegare il mondo e l’uomo. Il deista fonda la propria ideologia non sui testi sacri ma sulla ragione. Da ciò si può evincere la critica che lo Spedalieri fa al deismo che, negando i testi sacri, nega anche quei principi etici in essi contenuti e per il filosofo fonte di ispirazione per una società più giusta. La condanna di Spedalieri al deismo è espressa in maniera sistematica nel Libro IV dove egli dice: «Che il deismo in apparenza colla sua pretesa religione naturale promette molto, ma che è assolutamente incapace di realizzare ciò che promette e quel ch’è peggio, che i suoi principi terminano nell’ateismo, e che lo stesso difetto contiene lo spirito privato dell’eresia». Se Spedalieri condanna il deismo ,che pur sempre ammetteva l’esistenza di una superiore entità, a maggior ragione condanna l’ateismo che negando totalmente una qualsiasi dimensione ultraterrena porta l’uomo a non porre alcun freno etico alla sua vita. Questa condanna dell’ateismo viene esplicitata dallo Spedalieri nel Libro III della sua opera dove scrive: « Che sarebbe peggio affidato alla irreligione, cioè all’ateismo, al materialismo e al fatalismo, tre mostri che vanno sempre insieme :che rendono non solo inutili ma anche assurdi i mezzi naturali dell’umana provvidenza; e che inoltre sono cagioni di infiniti pericoli e d’innumerevoli disordini lor propri». Partendo così dalla critica che lo Spedalieri fa nei confronti delle varie tendenze, che in quegli anni 17 18 si ergevano contro il Cristianesimo, è possibile intuire come egli sia avverso, per certi aspetti, anche nei confronti di quella corrente in seno alla quale queste si sono sviluppate, ossia l’Illuminismo. Di quest’ultimo il filosofo elogia tutti quegli aspetti che sembrano un riscontro diretto nel Cristianesimo come per esempio gli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità. Egli però non può fare a meno di osservare che il razionalismo illuminista stava minando il Cristianesimo stesso, a tal punto da intitolare l’ottavo capitolo del VI Libro “E’ piano concertato distruggere la religione cristiana e i presenti governi” e sempre nel medesimo capitolo scrive: «Non mai la Chiesa si è trovata simile a quello che presentemente la sovrasta», volendo appunto dire che l’odierna cultura illuminista stava sovvertendo la Chiesa e, sovvertendo questa, capovolgeva anche quei principi etici che per l’autore dei diritti dell’uomo sono alla base dello Stato. In virtù di ciò, nei capitoli successivi, il filosofo si scaglia prima contro i provvedimenti che la Francia post-rivoluzionaria e culla dell’Illuminismo stava prendendo contro la Chiesa di Roma, poi contro l’anglicanesimo inglese ed infine contro tutti quei sovrani “illuminati”, ossia quelli che avevano abbracciato le idee illuministe e di conseguenza stavano ridimensionando anche il ruolo della Chiesa, uno fra tutti Federico II di Prussia. Quello che stava accadendo a dire dello Spedalieri era una sorta di “congiura” illuminista ai danni della Chiesa, congiura che ha “dementato” i francesi ed è stata propugnata da uomini illustri, nel suo libro egli si riferisce principalmente a Voltaire. Insieme all’Illuminismo altra corrente che stava danneggiando, secondo lo Spedalieri, la Chiesa era il Giansenismo. Il Giansenismo era stato fondato da Giansenio nel XVII secolo, il quale basò la sua costruzione teologica sull’idea che l’uomo nasce essenzialmente corrotto e quindi destinato a fare necessariamente il HYPERLINK “http://it.wikipedia. org/wiki/Male”male, e che, senza la HYPERLINK “http://it.wikipedia.org/wiki/Grazia_ divina”grazia di Dio, l’uomo non può far altro che HYPERLINK “http://it.wikipedia.org/ wiki/Peccato”peccare e disobbedire alla sua volontà; in virtù di ciò Giansenio proponeva una profonda riforma della Chiesa Cattolica con delle idee non dissimili da quelle abbracciate dalla Chiesa Protestante. Ed è contro di questo che lo Spedalieri afferma, sempre nel libro VI, che: « Il giansenismo non può qualificarsi con altra denominazione che con quella d’ipocrisia, perché a considerarlo in tutte le sue parti e negl’intimi rapporti che ha coll’ateismo,non pare che verun uomo di senno possa essere giansenista di persuasione; che possa cioè persuadersi che la religione da Dio rivelata sia il giansenismo».Naturalmente, il fatto che il filosofo vada contro tutte quelle correnti anticristiane e proponga i valori del cristianesimo come base per lo Stato fa intuire l’alto ufficio che il filosofo dà alla religione. Religione che lo Spedalieri dice, riprendendo un principio di San Tommaso D’Aquino, di avere l’idea della Rivelazione: « La religione cristiana è tutta fondata sulla base della Rivelazione. Cioè a dire, noi crediamo avere Dio per vantaggio degli uomini parlato diverse volte, cominciando da Adamo sino a Gesù Cristo». L’insistere dello Spedalieri sulla “Rivelazione” e quindi sull’autenticità della religione cristiana è probabilmente segnale della volontà di affermare la validità del suo principio, secondo il quale alle fondamenta dello stato sociale perfetto vi debbano essere i valori etici del Cristianesimo. Valori quindi rivelati all’uomo da Dio stesso e perciò infallibili. Gli uomini seguendo tali valori sono sicuramente nel giusto e certamente destinati alla salvezza come Spedalieri stesso afferma: « Lo scopo principale della religione rivelata è quello di santificare gli uomini e di mantenerli costanti nella vita sino al termine del terreno pellegrinaggio, e quindi far loro godere la beatitudine eterna nel cielo». Spedalieri riconduce, pertanto i diritti dell’uomo ai principi etici del Cristianesimo rivelati da Dio stesso ed in seguito riconduce questi alla “beatitudine eterna”, ponendo così come fine ultimo nella vita etica dell’uomo la felicità ultraterrena. Per questa idea egli sembra essere l’anticipatore della “ Critica della Ragion pratica “ di Kant, ma il filosofo quasi sicuramente si ispira in ciò all’etica “Nicomachea” di Aristotele, in cui egli poneva la felicità come fine ultimo delle azioni dell’uomo e riconduceva tutti gli altri fini a semplici mezzi in vista di quello. Nella prefazione ai “Diritti dell’uomo” Spedalieri infatti, afferma: « Comincerò dallo stabilire che l’uomo tende essenzialmente alla felicità; e da questo fonte deduco i diritti che competono per natura ad ogni uomo». Naturalmente questo discorso sulla felicità dell’uomo, pur partendo da una base religiosa, prescinde volutamente da qualsiasi considerazione teologica. Spedalieri stesso afferma di volersi discostare dall’essere cristiano, per dare alle sue affermazioni un valore puramente razionale. I diritti che per il filosofo scaturiscono dalla legittima ricerca di felicità dell’uomo sono i seguenti: il diritto di conservare il proprio individuo, il diritto di perfezionarlo, il diritto di proprietà, il diritto di libertà di fare e di pensare, ed infine il diritto di usare la forza per difendere i diritti sopraelencati. Questi diritti sono di chiara ispirazione rousseauniana; il filosofo francese li aveva ampliamente elencati nel suo “Contratto sociale” ma vengono qui ripresi dallo Spedalieri partendo però da una base religiosa. In particolare l’ultimo di questi diritti elencati è pur vero che viene preso in considerazione da Rousseau ma un uomo retto dai valori del Cristianesimo come lo Spedalieri non lo avrebbe trattato se a seguire questo non fosse stata anche un’organizzazione in seno alla Chiesa stessa ossia l’ordine dei Gesuiti che nelle loro scuole insegnavano addirittura il “regicidio”, quale extrema ratio qualora il sovrano non si fosse conformato alle esigenze del popolo. Il fatto che il sovrano debba conformarsi a ciò , che debba essere un “giusto principe”, è un altro motivo di natura rousseauniana ampiamente trattato da Nicola Spedalieri, sempre prendendo, al contrario del francese, come punto di partenza il Cristianesimo. Infatti “il Cristianesimo è nemico nato del despotismo”questo è il titolo del capitolo XXII del Libro V. E in esso lo Spedalieri dimostrava l’antitesi inconciliabile tra l’amore del Cristianesimo e la ferocia della tirannide : «… Con che voglio significare che i principi del cristianesimo sono incompatibili con i principi del despotismo; che il cristianesimo vieta severamente qualunque abuso del principato: e che presenta ai Principi i più forti motivi ond’esercitino rettamente l’autorità loro» . Nel medesimo capitolo il filosofo dà anche la definizione di despotismo e Cristianesimo, il primo è un “ governo arbitrario” dove si riconosce solo la legge di chi comanda; il secondo invece è “ la legge di Dio rivelata che obbliga tutti gli uomini senza eccettuarne per uno”. Pertanto il Cristianesimo, per molto tempo sostegno passivo del despotismo e nemico di ogni principio di libertà , doveva divenire propulsore dei diritti dell’uomo, senza per questo farsi negatore dei cardini dell’idea di sovranità e sollecitando così l’azione di quanti intendevano indebolire l’autorità degli Stati. Proprio per evitare che accuse di giacobinismo venissero fatti nei confronti della sua persona, lo ospedalieri scrive: «Tutte le massime di religione che rendono il cristiano il più socievole di tutti ,lo rendono per conseguenza il più amico dell’ordine della tranquillità della subordinazione ». Tranquillità e subordinazione sono per lo Spedalieri scelte individuali attraverso cui i cittadini concorrono alla proclamazione di una giusta .Se il Cristianesimo è nemico del despotismo ,esso è amico del “giusto principato”. Per “giusto principato” egli intende:«… quello che nell’esercizio delle sue funzioni corrisponde esattamente il fine della sua istituzione ,conformandosi alle regole che quinci scaturiscono». Il giusto principato garantiva in tal modo ai cittadini una libertà che non fosse licenza e offriva a tutti una protezione che teneva sempre conto delle scelte di ognuno. Quindi ciò di cui si parla nell’opera dello Spedalieri è considerato come implicito nell’esistenza stessa 19 della società civile fondata da Dio. La volontà divina e non l’uomo si presenta come elemento costitutivo dei diritti dell’uomo; all’uomo e alla sua volontà compete la scelta del principe. Ed è proprio nell’enfatizzare l’aspetto religioso che l’opera di Spedalieri di differenzia maggiormente dalla filosofia rousseauniana da cui prende evidentemente le mosse. Nel capitolo finale del quinto libro egli appunto dice :«Infatti dopo aver esposto nel Libro primo i diritti naturali e la formazione della società civile ,perché ognuno avesse netta idea di quel che si trattava ,cominciammo a tessere la nostra dimostrazione ,e dicemmo che la custodia dei diritti dell’uomo nella società civile sarebbe male appoggiata ai puri mezzi naturali ,rinvenuti dalla prudenza umana nel fondo stesso della società … La conseguenza che naturalmente risulta da tutto ciò è che la religione cristiana è la più sicura custode dei dell’uomo nella società civile. Ch’è quello che doveva dimostrarsi».Da ciò si può evincere come la religione cristiana sia alla base di tutta l’opera ,ed è questo il motivo per cui la Chiesa di Roma ,in quegli anni fortemente reazionaria,abbia dato il consenso ad un opera così innovativa , pur non facendola pubblicare nel 1791 a Roma ma ad Assisi, come per volerla mettere in secondo piano per la sua vicinanza alle idee rivoluzionarie illuministe. Tuttavia risulta molto interessante il lavoro di Spedalieri ,soprattutto per la sua caratteristica di voler creare un connubio tra le spinte nuove rivoluzionarie e i valori tradizionali del Cristianesimo. 20 SAGGIO 3° CLASSIFICATO NICOLA SPEDALIERI, UN MODERNO CHE VIVEVA NEL ‘700 Lucia Anastasi, Chiara Anastasi Liceo scientifico della comunicazione “Mons. Antonino Longhitano” Il paese di Bronte vanta tra le sue personalità illustri Nicola Spedalieri, nato il 6 dicembre 1740, prete, teologo e filosofo, insegnante presso il seminario di Monreale ed esponente di una scuola di pensiero chiamata “sicula” per la sua originalità; scuola che si colloca in quel clima culturale dominato dall’Illuminismo, forse il movimento più fecondo di idee ed innovazioni dell’epoca moderna, movimento di cui lo Spedalieri fu seguace e oppositore allo stesso tempo. «[...] la funzione storica dello Spedalieri acquista importanza, proprio perché la sua opera si inserisce in un momento di transizione e di grandi tensioni ideologiche, in cui termini quali “democrazia” e “progresso” possono presentarsi come antitetici. Nel grande dibattito acceso dalla rivoluzione francese, il trattato Dei diritti dell’uomo [...] occupa un posto non marginale, se riesce a trasmetterci una meditazione filosofica comunque sinceramente travagliata, e necessariamente ambigua, sui rapporti tra illuminismo e cristianesimo»1. Se, da una parte, molti conoscono gli studi di Nicola Spedalieri come filosofo e teologo, dall’altra sicuramente, non si può dire altrettanto della sua attività di artista. Egli si potrebbe definire infatti un personaggio eclettico, che si cimentò nella pittura e nella produzione lirica e musicale. Di certo queste caratteristiche non lo facevano apparire come un modello all’epoca in cui era ancora seminarista, anzi erano ritenute delle “imperfezioni”, ma oggi sono un’ulteriore prova della validità intellettuale del brontese. Il pittore Nicola Spedalieri è ricordato soprattutto per la realizzazione di un autoritratto giovanile, nel 1773. Esso può essere classificato come “autoritratto fisiognomico”, il cui scopo è quello di mostrare un uomo che si guarda allo specchio; perciò è facile capire perchè quest’opera è della mano propria di Spedalieri: nelle altre raffigurazioni il protagonista è di profilo mentre in questa lo vediamo in una posa di tre quarti e con lo sguardo obliquo, posizione obbligata perché, appunto, l’autore deve “copiare” il suo riflesso. Sicuramente l’intento dell’artista non era quello di volersi immortalare mentre svolge la sua attività, dato che non vediamo né oggetti né le mani, un dettaglio fondamentale nello studio dei quadri di questo genere: «Mostrare la mano, l’organo che impugna il pennello, per l’artista significa elevarla a strumento simbolico di una nuova coscienza di sé, che a partire dalla metà del secolo XVI, diventa il vessillo della auto-rappresentazione, segno di emancipazione culturale e sociale. Insieme allo sguardo essa è il punto focale su cui lo spettatore è 1 Salvatore Rossi, presentazione al libro Omaggio a Nicola Spedalieri di Giuseppe Cimbali, Bronte, Dicembre 1990 21 indotto a soffermare l’attenzione dinanzi ad un dipinto, elemento visivo strategico dunque per la costruzione iconografica della leggenda dell’artista»2. Se quindi si è portati a pensare che il fine dell’opera non fosse quello di far vedere al pubblico come egli lavorava ne’ tanto meno voleva essere simbolo di un’auto-caratterizzazione psicologica, probabilmente l’autoritratto era solo una sorta di “esperimento”, se così si può definire, che Spedalieri fece prima di toccare l’apice della sua carriera di filosofo, e magari per vedere se la sua passione per l’arte potesse avere un qualche sviluppo concreto. Indipendentemente dalla motivazione che portò il filosofo a cimentarsi in un autoritratto, la fisionomia del personaggio del quadro in oggetto coincide perfettamente con quella delle altre immagini, sia pittoriche sia scultoree, che ritraggono Spedalieri mentre indossa l’abito talare, essendo già stato ordinato sacerdote, e con un atteggiamento «altero, col possente naso aquilino dalle narici dilatate, con le labbra screpolate e atteggiate a un’amara espressione intellettuale, che si rivela anche nello sguardo e nella fronte circondata da capelli ricciuti e cadenti in zazzera dietro il collo3 [...]»;egli emerge da uno sfondo neutro, artificio pittorico sicuramente utilizzato per non distogliere lo sguardo e l’attenzione dello spettatore dalla figura dell’uomo. L’autoritratto è stato definito pregevole da alcuni critici, e oggi è collocato nel Real Collegio Capizzi di Bronte dal 1886, anno in cui gli eredi del filosofo(i fratelli Arcangelo, Giuseppe e Antonino Spedalieri) lo donarono all’istituto. Nicola non frequentò tale scuola poiché studiò al seminario di Monreale, il quale però venne preso a modello dal venerabile Ignazio Capizzi per la fondazione del collegio (la cui prima pietra fu posata il 1° maggio del 1774), «tanto è vero che, da lì a poco, le due così dette Accademie di Monreale e di Bronte si contendevano il primato della cultura letteraria in Sicilia. Né Monreale vedeva di malocchio il fiorire degli studi in Bronte; che anzi ne godeva come de’ progressi d’un diletto figliuolo» 4. Esistono inoltre altri due lavori pittorici eseguiti da Spedalieri: il Sacro Cuore di Gesù dipinto sullo sportello di un tabernacolo della Chiesa Madre “SS. Trinità” in Bronte e un’icona con il volto della Madonna Immacolata. Per quanto riguarda il Cristo, probabilmente qualcuno ne ha rifinito recentemente il colore dello sfondo; oggi è stato rimosso dalla sede originale in seguito a dei tentativi di furto. Anche l’icona dell’Immacolata era stata dipinta dall’autore per la stessa chiesa, ma qualche decennio fa venne donata ad un ignoto seminarista messinese, per cui non si conosce la sua attuale collocazione, ne’ le scelte stilistiche e/o iconografiche dello Spedalieri, in quanto non possediamo alcuna immagine che la raffiguri. Per quanto riguarda l’attività poetica, Nicola Spedalieri si dedicò alla composizione di sonetti, rime, canti, stanze e altri ad ulteriore testimonianza della vastità dei campi di conoscenza dell’artista. L’interesse che suscitò negli ambienti letterari gli permise di essere ammesso all’Arcadia, in Roma, il 27 Ottobre 1774, con diploma gratuito, sotto il nome di Melanzio Alcioneo; è probabile che la sua attività letteraria prese avvio proprio quando fu ammesso alla scuola romana. Egli «nelle sedute arcadiche non portò che sagaci contributi di pensiero»5, anzi se ne distaccò, o meglio «fu un protestante e fece parte perciò dell’Ac- 2 Tommaso Casini, La mano “parlante” dell’artista, Predella n° 29 3 Luigi Capuana, Roma di Roma, 30 agosto 1896 4 Giuseppe Cimbali, Omaggio a Nicola Spedalieri, Bronte, Dicembre 1990 22 5 De’ diritti dell’uomo, Nicola Spedalieri, edizione curata da V. Schilirò cademia de’ Forti, di cui era anche censore...» 6; tuttavia lo stile dei poeti di quella cerchia è riscontrabile in un’opera del 1794, quindi molto tempo dopo la sua ammissione: “Ragionamento recitato all’adunanza degli Arcadi nel Bosco Parrasio sul verso di Orazio”. La più valida testimonianza dell’attività poetica di Spedalieri è l’opera del 1768 I componimenti recitati nell’Accademia di Monreale per le augustissime nozze di Re Ferdinando delle Due Sicilie con Maria Carolina arciduchessa d’Austria, conservata nella biblioteca del Collegio Capizzi, di cui fa parte Idillio: «Idillio, scritto in elegante stile poetico ed in perfetta lingua italiana, che precorse i contemporanei ed i postumi cercano di imitare, è composta di 416 versi sciolti. Vasta, in essi, è la sua profonda conoscenza storica e mitologica che lo porta ad una sublime immaginazione»7. Vi si narra la contesa tra Venere, dea della bellezza, e Minerva, che rappresenta invece la saggezza: le due infatti non sono d’accordo circa la futura sposa del Re Ferdinando. La prima vuole che la fanciulla sia bella, mentre la seconda vuole che sia saggia. In realtà la prescelta è la stessa per entrambe, ma esse non ne sono a conoscenza fino a quando la Concordia non rivela loro la verità. La scelta di entrambe ricade infatti sulla bella e saggia Carolina Principessa d’Austria, si legge «Alla fine dell’opera troviamo incisa una corona reale stringente due rami d’ulivo, dai quali si partono una coppia di colombi che si posano sulla corona, in atto di accarezzarsi» 8. E’ impossibile non notare che tali versi sono di ispirazione classica, alla cui tradizione Nicola Spedalieri poteva sicuramente attingere in virtù dell’istruzione ricevuta. D’altro canto però, il brontese era pur sempre influenzato dalle tendenze dell’era illuminista che sembrano trasparire nel componimento intitolato “Satira contro i medici”. Il titolo chiarisce abbastanza bene il contenuto della lirica: la prima critica che l’autore muove contro i “signori dottori” è a proposito del linguaggio, che è difficile da comprendere, anzi sembra quasi che sia magistralmente adattato a questo scopo: «la gran questione sta nel non esser compresi»9. Cosa c’entra questo con l’Illuminismo? Si sa che non erano pochi gli intellettuali del ‘700 che, pur apparentemente mirando al progresso della società, mantenevano il popolo ai margini della cultura, in modo tale che la classe aristocratica rimanesse comunque al vertice della piramide sociale. Proseguendo la lettura delle novantanove quartine, la vena ironica si accentua laddove viene sottolineata la presunzione dei medici che restano amanti della propria opinione e che si irritano quando vengono contraddetti risultando quindi incapaci di cedere al parere di altri: «Guai quando sono i medici più d’uno! / Gran miracolo sarà se l’ammalato / non anticiperà l’estremo fiato»10. Leggendo tra le righe, si potrebbe ritrovare ancora un’affinità con l’età dei Lumi: la convinzione che la scienza fosse al di sopra di tutto, che potesse arrivare a scoprire qualsiasi cosa; una posizione non molto gradita da Spedalieri che, sappiamo, era decisamente più propenso verso la sfera religiosa che verso quella scientifica, in un’epoca in cui queste due ambiti erano considerati antitetici. Il poeta comunque si “addolcisce” un po’ nei versi successivi rendendosi conto di non poter estendere il suo giudizio ad ogni singolo dottore, per poi arrivare addirittura ad inveire contro i pazienti che attribuiscono la colpa ai medici delle malattie o della morte, ma non danno loro il merito in caso di guarigione andando a 6 Op. cit. 4 7 Francesco Longhitano, Bronte Insieme 8 Op. cit. 7 9 Op. cit. 4 10 Nicola Spedalieri, Satira contro i medici, Monreale 23 “disturbare i santi”. Il tutto è completato da un leggero tocco di umiltà: l’abate confessa di aver forse esagerato, ma si mostra disposto ad ascoltare chi abbia argomentazioni sufficienti per smentirlo. Cosa chiedere di più di un augurio di pace ad un buon cristiano? La sua propensione per la religione si mostrò anche in ambito musicale. Nicola Spedalieri, infatti, scrisse alcune composizioni sacre. I manoscritti a noi pervenuti sono oggi interamente conservati negli Archivi della Cappella Giulia in Roma. La raccolta di manoscritti attribuiti allo Spedalieri è divisa in tre fascicoli in latino, che recano il titolo Spedalieri Nicola, IV. La prima parte del repertorio è composta da un versetto, due salmi, due messe, delle quali una è dedicata all’Illustrissimo Mons. D. Alessandro Lante, Prefetto della Cappella Giulia, e un mottetto. La messa è una composizione musicale comprendente le parti fisse della liturgia che sono, in ordine, Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Benedictus e Agnus Dei; il mottetto era invece uno scritto di carattere inizialmente profano, poi di uso religioso. Il secondo fascicolo è composto da quattordici mottetti composti per un numero di voci che va da due a sei, per soprano o basso. Quasi tutti hanno la partitura e tutti sono con accompagnamento. La parte finale comprende infine undici offertori di cui uno, intitolato RegesTharsis, fu composto in occasione della solennità dell’Epifania. Tutti gli offertori possiedono le parti d’organo e di canto e lo spartito. Ma Spedalerisi dedicò alla musica anche in altri modi. Egli acquistò due strumenti a corda: un clavicembalo e una spinetta, uno strumento simile al primo con la sola differenza che ha una sola tastiera; entrambi sono conservati nel Collegio Capizzi di Bronte. La spinetta risale al 1679 e fu acquistata dall’abate nel 1730; inizialmente mal tenuta, venne restaurata e ne fu costruita una copia funzionante che si trova nelle sale del Collegio. Il procedimento di restauro venne effettuato anche sul clavicembalo, e fu lungo e complesso. L’unica data riportata è sotto la prima leva della tastiera, ma nulla si sa sull’arrivo del manufatto a Bronte, paese natale dello Spedalieri. «Tutta la cassa è decorata pittoricamente con evidenti interventi posteriori, in particolare il dipinto all’interno del coperchio che è anche firmato: Sac. Niccolò Spedalieri»11. Essere a conoscenza del fatto che in questa parte della Sicilia qualcuno suonasse tale strumento è notevole poiché fino ad allora infatti nell’isola «lo studio degli strumenti musicali a tastiera è stato sempre dominato dall’organo»12. Comprendiamo quindi il grande genio del brontese, che introdusse l’uso del clavicembalo in una regione in cui questo era a malapena conosciuto. Non solo: il fatto che Spedalieri si dedicò così tanto alla musica mostra quanto egli sia stato un personaggio eclettico, che non si limitò semplicemente a scrivere di filosofia, attività per cui è maggiormente conosciuto. In conclusione, Nicola Spedalieri si mise senza dubbio alla prova attraverso il suo spaziare tra le diverse arti, ma sicuramente questo può essere interpretato come manifestazione di una grande apertura della mente e dei suoi orizzonti, e quindi sintomo di modernità. 11 Ugo Casiglia, Progetto di restauro di un clavicembalo sito presso il “Real Collegio Capizzi”, Cinisi 24 12 Op. cit. 11 SAGGIO 4° CLASSIFICATO DVD su “I Diritti dell’Uomo” di Nicola Spedalieri Opera colletiva degli studenti della classe 1aA del Liceo scientifico della comunicazione “Mons. Antonino Longhitano” 25 Biglietto autografo di Nicola Spedalieri SAGGIO 5° CLASSIFICATO L’UOMO: “ESSERE INTOCCABILE” Nunzio Minissale, Cristina Longhitano e Nunzio Lupica 4aB Liceo Classico “Ven. Ignazio Capizzi” Nicola Spedalieri nacque da Vincenzo e da Agostina Dinaro, studiò nell’Oratorio di S. Filippo Neri di Bronte. A causa dei contrasti avuti in Sicilia, dei nemici implacabili e degli odii preteschi si trasferì a Roma, e nel 1774 entrò a par parte dell’Arcadia con il nome di Melanzio Alcioneo. Egli nelle sue opere polemizzò contro i giansenisti che accusò di “giacobinismo” e di “spirito sovvertitore dei troni”. La morte improvvisa di Nicola Spedalieri fece nascere la diceria che il decesso fosse avvenuto per avvelenamento. Dopo la sua morte lo Stato Pontificio coniò in suo onore una medaglia e fece erigere un mosaico davanti al suo sepolcro nella cui epigrafe si legge: “Memoriae Nicolai Spedalieri presbiteri natione siculi domo Bronte…”. Tra le sue opere (si ricordino l’Analisi dell’esame critico del sig. Nicola Fréret sulle prove del cristianesimo, 1778; e la Confutazione dell’esame critico del cristianesimo fatto dal sig. E. Gibbon, 1784), particolarmente famosa è quella “Dei diritti dell’uomo” con la quale per primo in Italia parlò dei diritti naturali dell’uomo e proclamò da Roma la sacralità dei principi quali eguaglianza e libertà. Ogni uomo ha il diritto di usar la forza, quante volte essa è necessaria alla difesa, o alla reintegrazione de’ cinque diritti enunciati. In altre parole, chi ha diritto ad un fine, lo ha pure ai mezzi, senza i quali non può conseguirlo. Ognuno ha diritto di custodire o di ristabilire i divisati cinque diritti, come quelli, i quali sono inalienabili, imprescrittibili, sempre vivi, sempre derivanti dall’umana natura. Onde, allorchè non può difenderli, o reintegrarli, se non con la forza, ha diritto di adoperare la forza. Ciò che si nota maggiormente all’interno dell’opera è la sua profonda fede, anche se nell’introduzione lui stesso dice che “Mi scorderò quasi di essere Cristiano, metterò da parte la persuasione che ho della divinità della Rivelazione, e mi limiterò solo a considerarla dalla parte della politica, per vedere se essa giovi agli affari anche temporali degli uomini”, poiché la sua sincera preoccupazione fu per il bene della Società e dell’Uomo. Infatti l’unico comandamento che poteva essere eseguito all’interno della società è quello “onora il padre e la madre”. Malgrado egli avesse una profonda fede, prevedeva una levata di scudi contro il suo libro, soprattatto che le più severe critiche gli sarebbero giunte dai ceti cattolici, non dai liberi pensatori e ne fa menzione nella sua lettera a Monsignor Fabrizio Ruffo. Nicola Spedalieri enumera i diritti dell’uomo, iniziando con quello che è il motivo dominante, la ragione di questi diritti: la felicità, poiché “la felicità è il gran fine di tutte le nostre operazioni, la natura ci ha forniti del necessario per conseguirla.” Ma per evitare malintesi egli 27 28 spiega che i diritti umani sono necessari, ma devono essere regolati dalla ragione e non dalla forza. Infatti “lo stesso principio naturale che fa nascere il diritto ad una cosa, conforme alla ragione, nello stesso tempo, fa nascere in tutti gli altri l’obbligo di lasciar godere a quello tranquillamente la cosa su cui cade il di lui diritto.” Ciò indica che ad ogni diritto ne segue un dovere. 1 – Ogni uomo ha diritto di conservare il proprio individuo… L’uomo sarebbe infelicissimo al solo pensare che non è in sua balia di sostentare la propria vita. La facoltà di provvedere alla propria conservazione è conforme alla ragione, cioè a dire è un vero diritto naturale, ciò comporta l’obbligo di rispettare la vita degli altri. 2 – Ogni uomo ha diritto di perfezionare il proprio individuo… Ciascuno ha un impulso interno di migliorare il suo stato. Capace di paragonare un bene con un altro, l’uomo aspira al sommo bene maggiore e si sforza di conseguirlo. Dunque dalla tendenza alla felicità scaturisce il potere, conforme alla ragione, di perfezionare sé stesso ne segue l’obbligo di non impedirlo agli altri. 3 – Ogni uomo ha diritto di proprietà sopra tutto quello che acquista… Proprietà mia è ciò che non può essere di altri. Se non potessi dire di ciò che acquisto: “Questo è mio” non avrei il potere di perfezionare me stesso; il che andrebbe contro i diritti uno e due. Spedalieri spiega: Tutti hanno il diritto di aspirare, di pretendere e di concorrere all’acquisto di una cosa, ma solo chi è riuscito ad acquistarla ha il diritto di possederla. Da questo diritto ha origine l’obbligo del rispetto della proprietà altrui 4 – Ogni uomo ha un diritto di libertà di fare tutto ciò che concerne i diritti della conservazione e della perfezione di se stesso e della sua proprietà… Libertà è indipendenza dall’altrui volere. Se non avessi questo potere non potrei avere diritto sui tre punti considerati sopra ammette l’obbligo di non intralciare libertà degli altri. 5 – Ogni uomo ha diritto di libertà anche in pensare e in giudicare riguardo ai punti di cui si è parlato… Cioè, il giudicare di ciò che si riferisce alla mia conservazione, alla mia perfezione e alla mia proprietà, appartiene a me e non ad altri determina l’obbligo di lasciare pensare e giudicare. 6 – Ogni uomo ha il diritto di usare la forza, quando è necessario, per la difesa o per la reintegrazione dei 5 diritti citati… L’autore spiega tuttavia che la forza deve essere l’ultima risorsa da usare dopo avere provato la via pacifica della persuasione. E nell’usare la forza non è permesso di fare più male di quel che giovi, infatti, vi è l’obbligo di lasciar fare e di non punire colui che usa tal diritto, sempre che tal diritto è usato secondo ragione. 7 – Ogni uomo, nei riguardi dei primi 5 diritti enunciati, ha diritto di essere aiutato dagli altri uomini… ma questo, benché sia naturale, è un diritto imperfetto, non si può cioè ottenere con la forza, eccetto che nel caso di estrema necessità determina l’obbligo di aiutare, ma quest’obbligo è lasciato al giudizio dell’individuo, non può essere imposto con la forza, mentre le 5 prime obbligazioni possono essere imposte con la forza. Tra questi diritti i primi cinque sono detti “Perfetti” in quanto possono essere difesi con la forza, ma l’eccesso non è conforme alla ragione e quindi è fuori di diritto. “Questi diritti sono gli strumenti della nostra felicità e ne è garante la ragione giudice del vero e del falso”. Spesso gli studiosi, trovatisi a contatto con l’opera dello Spedalieri, si sono concentrati esclusivamente sull’ analisi delle riflessioni che il filosofo elabora sulla figura del principe e sul suo rapporto col popolo, tralasciando questi punti, forse ancora più importanti, che toccano da vicino la cultura, la morale e il pensiero dell’autore. Infatti, si può ben dire che il vero scopo dello scrittore brontese fosse, come lui stesso afferma nel sottotitolo dell’opera, “Dimostrare che la Religione Cristiana è la più sicura custode dei Diritti Umani.” Cosa intendesse dire il filosofo con questa sua affermazione ci è spiegato (seppur con un accenno di ammirazione forse fuori luogo) dal suo discendente Bruno Spedalieri, che in un saggio dell’ 11 ottobre 2005 intitolato “La visuale di Nicola Spedalieri sui diritti dell’ uomo” afferma che: “Dopo avere presentato i vari tipi di Società, quella Puramente Naturale (Libro 2), quella dei Senza Dio (Libro 3), quella Deistica (Libro 4) e quella Cristiana (Libro 5), il Filosofo Siciliano conclude che solo la Religione Cristiana ha tutta la forza morale e i mezzi per arginare l’Amor Proprio, vero nemico del benessere umano, per controllare l’abuso del Potere e per proteggere i Diritti Umani del Cittadino.” Secondo Nicola Spedalieri, dunque, è la morale cristiana l’unica via per la salvaguardia dei diritti umani, perché essa fissa anche i limiti e i doveri dell’uomo e, si sa, tra doveri e diritti c’è una relazione indissolubile, e solo quando i primi vengono rispettati, si può usufruire dei secondi. Quando i doveri non sono rispettati, cessa qualunque tipo di libertà, di ordine, di moralità. Per fare in modo che essi siano rispettati c’è bisogno di una guida, di un’autorità che governi il popolo saggiamente. Dice ancora Bruno Spedalieri: “Questa autorità è voluta da Dio, in quanto inerente alla natura umana, ed in questo senso si dice che viene da Dio”. Possiamo qui notare che il filosofo non consideri il ruolo del re come concesso con un atto divino, ma che invece ritenga che è l’uomo a scegliere a chi conferire l’autorità, Dio la sancisce e basta. Chi è investito del potere politico inoltre non può mai abusarne, il filosofo lo dice espressamente: “Ora avverandosi sempre che il popolo ha diritto di togliere il Principato a chi gravemente ne abusi, quanto nel sistema di quegli, che fanno nascere la Sovranità dal contratto sociale degli uomini stessi, tanto nel sistema di quegli altri, che ne fanno Dio autore ad esclusione degli uomini; chi ha fior di senno in capo ,dee confessare essere di niun momento, essere affatto sterili, e di pura specolazione tutte le dispute, che si fanno sull’ Origine del Principato, e che per conseguenza non meritano che alcuno prenda il minimo impegno piuttosto per l’ una, che per l‘altra opinione”( L1, C17, PAR.29) L’uomo che è posto al potere, quindi, non ha più diritti degli altri cittadini e non può usare del potere conferitogli per il proprio vantaggio a scapito degli altri. In questo caso il mandato perde la sua funzione e non ha più ragione di esistere. L’incoronazione e l’unzione dei principi e dei papi non è un sacramento, non è un’investitura divina e intoccabile; è semplicemente un rito, una preghiera rivolta a Dio chiedendo il suo beneplacito e la sua divina assistenza, una consacrazione personale del principe al compito per cui è eletto, eletto per voto o confermato per eredità. Ma si badi, al popolo non è concesso di ribellarsi al principe se non quando egli si dimostri indegno del suo titolo. Ed è bene che esso venga subito sostituito da un’altra autorità, altrimenti si corre il rischio di cadere nell’ anarchia, che per Spedalieri è ancor peggio della tirannide. Una tale riflessione sarà stata sicuramente il frutto di avvenimenti contemporanei alla stesura del testo, uno su tutti la Rivoluzione Francese, che agli occhi del filosofo sovvertiva le leggi naturali dettate da Dio in nome di una “filosofia degli empi che sta spingendo tutta l’Europa verso il baratro!” (Libro 6). La forte carica anticlericale della rivoluzione stessa era infatti, secondo il brontese, la causa “che ha provocato la caduta dello Stato Civile.” (Libro 6) Il filosofo invoca anche l’unica soluzione che a lui sembra possibile: “Si ristabilisca la Religione e cesseranno tutte le tempeste!” afferma con vigore. Questo perché la morale cristiana è ben preposta all’acquisizione della virtù, che ci permette un corretto vivere civile, come spiega Bruno Spedalieri.” L’uomo virtuoso rispetta gli altri senza bisogno di costrizioni. È proprio per la mancanza di virtù fra gli uomini che si fa necessaria e si impone l’Autorità. 29 30 Il principio della convivenza risiede nella lotta ai nostri desideri scorretti: il desiderio del bene materiale degli altri e del bene personale degli altri. La convivenza vuole che l’uomo sia veritiero, che rispetti la persona degli altri e la roba degli altri, che rispetti sé stesso, la propria salute corporale, mentale e spirituale, che rispetti l’Autorità, e siamo saliti al quarto Comandamento. L’uomo giusto non può non riconoscere l’Autorità Suprema di Dio, e non mancherà di onorare Dio e sottomettersi al suo Volere. Dio, di fatto, è il movente della convivenza e del progresso dell’uomo: Progresso Sociale e Progresso Spirituale. “De’ diritti dell’uomo” è pertanto un’opera che presenta una figura di principe innovativa e diversa da quella delineata dai predecessori e opposta al modello che caratterizzò il secolo precedente, cioè quello di Machiavelli. Le divergenze riscontrabili a tal proposito riguardano livelli del pensiero più profondi e sostanziali: se lo Spedalieri fu avverso ad ogni forma di dispotismo e si pose in difesa della Chiesa e delle idee democratiche, per Machiavelli le condizioni politiche della sua epoca non erano favorevoli all’affermazione di un regime repubblicano. Alla base del suo modo di accostarsi alla politica vi è infatti una concezione pessimistica dell’uomo, visto come soggetto che non è in grado di rispettare delle autorità e di porsi delle regole che tutelino i suoi diritti naturali e i suoi doveri politici. In un passo famoso del Principe, egli afferma che gli uomini dimenticano più facilmente l’uccisione del padre che la perdita del patrimonio, cioè che la molla che li spinge ad agire è l’interesse materiale ed egoistico, non i valori e i sentimenti disinteressati e nobili. Il principe di Machiavelli si trova dunque ad agire su questo terreno, per cui deve saper commisurare ad esso le sue azioni. Dovendo agire “infra tanti che non sono buoni”, non può praticare “in tutte le parti la professione di buono”, perché andrebbe incontro alla rovina. Dove lo richiedano le esigenze dello Stato, il principe deve dunque essere umano oppure feroce come una bestia. Da qui il principio “il fine giustifica i mezzi”, che riassume al meglio il pensiero machiavelliano riguardo a questo suo trattato: nel mantenere ordine, pace e sicurezza e nel garantire ai cittadini tranquillità e benessere, il principe potrebbe dover violare alcuni diritti naturali, ricorrendo a pratiche brutali e violente (come l’omicidio) ed essere giustificato, poiché fine delle sue azioni è il bene dello Stato. Per lo Spedalieri invece l’uomo tende alla felicità e alla perfezione, e non può vivere felice e perfezionarsi che in una società civile formata da uomini “pari”, cioè posti tutti sullo stesso piano, che godono degli stessi diritti. Il governo che li viola, diventa illegale e può essere rovesciato dal popolo sovrano. Come si è già detto, a tal proposito assume un ruolo importante la Chiesa, custode e promotrice di questa sorta di “contratto sociale”: essa infatti non può assolutamente spogliare il cittadino dei suoi diritti naturali come l’amore verso il prossimo, la fratellanza, l’uguaglianza, il rispetto (…), tutti principi civili posti a fondamento della religione cristiana. Risulta dunque chiaro il compito preponderante che, in accordo con gli assetti di potere tipici della mentalità dell’epoca, lo Spedalieri attribuisce all’istituzione ecclesiastica a livello politico. Questo suo rapporto con la Chiesa Cattolica determina ancora una volta un netto distacco dal pensiero machiavelliano, che tende a concepire la politica come scienza autonoma dalla religione e da ogni considerazione ultraterrena. Per Machiavelli, essendo la politica “nozione dei fini e sapiente uso dei mezzi”, poiché non esiste una sovranità che possa imporsi senza un minimo uso di forza e senza consenso, anche la Chiesa è uno dei molteplici mezzi attraverso cui il principe potrebbe adempiere al fine di mantenere l’obbedienza del popolo. Tuttavia il pensiero di entrambi si configura come una sorta di “lotta alla tirannia”: Machia- velli distingue infatti tra “principi” e “tiranni”, dicendo che principe è chi opera a vantaggio dello Stato e, se usa metodi riprovevoli, lo fa esclusivamente per il bene pubblico; tiranno è chi è crudele senza necessità e, da despota folle, compie atti solo a suo vantaggio. Questo giudizio si evolve e giunge alle estreme conseguenze in Spedalieri, che si schiera nettamente contro l’assolutismo, quasi incitando la sovranità e i diritti del popolo ad abbattere la tirannia in nome del potere democratico. Con questo atteggiamento di valorizzazione e accentramento della Chiesa, lo Spedalieri si aggiudicò l’appoggio del pontefice Pio VI, che permise la pubblicazione del libro a Roma, seppure con la falsa indicazione di Assisi e con il frontespizio privo delle consuete approvazioni ecclesiastiche. L’opera ebbe un grande successo libraio, testimoniato dalle ristampe che, nel giro dei primi anni, furono ben quattro in diverse città. Non mancarono tuttavia le ristampe non autorizzate, una delle quali è conservata presso la biblioteca del Real Collegio Capizzi. L’opera suscitò anche aspre critiche negative da parte di alcuni pensatori contemporanei, che cercavano di confutare le tesi del filosofo. Tra questi ritroviamo anche il commento del compaesano Gesualdo De Luca, frate cappuccino che definì Spedalieri “un miserabilissimo copista delle più empie teorie che quei forsennati avevano scritto intorno all’origine e qualità de’ diritti e doveri naturali degli uomini…” e loro “ombra nefasta” “… si avvolse in tante contraddizioni che produssero la sventura di vederlo bersaglio delle più amare derisioni e censure di scrittori cattolici Magni nominis …”. In seguito, riconosciuta come opera eccessivamente rivoluzionaria, “De’ diritti dell’uomo” divenne un testo proibito in tutti i Regni e le Corti dell’epoca, fino all’anno 1860. “All’abate Spedalieri - scrisse Salvatore Rossi - toccò, nelle vicende della filosofia italiana, il singolare destino di un uomo che seppe suscitare qualche entusiasmo, ma per lo più una profonda ripulsa, tra i contemporanei, godette di una rinata attenzione nell’ultimo decennio dell’Ottocento e nei primi due del Novecento, per poi risprofondare in un oblio pressoché totale”. 31 Frontespizio della prima edizione dell’opera fondamentale di Nicola Spedalieri SAGGIO 6° CLASSIFICATO L’AVVELENAMENTO DEL FILOSOFO BRONTESE: LEGGENDA O REALTA’? Sara Arena, Alessia Catania, Alessia Cordaro, Giordano Maria Galati, Adriana Malaponti, Maria Elena Paparo, Bruna Sanfilippo. Liceo scientifico della comunicazione “Mons. Antonino Longhitano” Il pensatore brontese Nicola Spedalieri spirò nelle braccia dell’abate Nicola Nicolai il 26 Novembre 1795 nella casetta di Via Borgo Vecchio, 16 in Trastevere. Nicola Spedalieri, il cui nome è inciso nella cultura e nella memoria brontese, nacque a Bronte il 6 Dicembre 1740. Studiò nel seminario di Monreale; conseguì, poi, i titoli di Maestro delle arti liberali e di Dottore in Sacra Teologia. Fu consacrato sacerdote nel 1764. Insegnò per un breve periodo teologia e filosofia nel seminario di Monreale. Nel 1733 si trasferì a Roma: la sua presenza nella città destò un così vivo interesse che, nell’Ottobre del 1774, venne ammesso nell’Accademia dell’Arcadia. Intorno al 1790 scrisse quella che viene considerata la sua più famosa opera dal titolo Dei Diritti dell’uomo in sei libri, dove l’autore esamina la parte più significativa del pensiero filosofico, giuridico e teologico dei secoli XVII e XVIII. Lo Spedalieri propose in quest’opera di avvicinare la chiesa alle idee democratiche. In particolare, nel primo libro, il pensatore brontese mira a dimostrare che quanto affermato dalla rivoluzione francese era già stato anticipato dalla dottrina cristiana: l’amore del prossimo, la fratellanza, l’uguaglianza, il rispetto, la carità, che sono i principi della società civile, non sono altro che i cardini del cristianesimo. Inoltre sia la rivoluzione francese che la religione cristiana hanno come fine ultimo il benessere e la libertà del popolo. L’uomo tende essenzialmente alla felicità, alla perfezione, all’unione con gli altri uomini, e non può vivere felice e perfezionarsi che nella società civile. Il governo che non tutela i cittadini, ma viola questi diritti, diventa illegale e può essere rovesciato dal popolo sovrano. La forza “rivoluzionaria” del pensiero appassionato dello Spedalieri gli causò non poche critiche ed inimicizie, sia da parte degli Illuministi (è noto infatti che tale corrente filosofica si definisce totalmente laica) che da parte dei cattolici (spaventati dalla diffusione delle idee della rivoluzione francese). Non è inoltre da sottovalutare l’ostilità proveniente dalle corti assolutistiche, che più di tutti potevano sentirsi minacciate dalle affermazioni dell’abate siciliano. L’opera dello Spedalieri non suscitò, comunque, solo antipatie nei contemporanei: non mancarono infatti gli apprezzamenti. Addirittura il pontefice Pio VI permise la pubblicazione dell’opera a Roma, «sebbene con la falsa indicazione di Assisi e col frontespizio privo delle rituali, solenni approvazioni ecclesiastiche,sostituite dalla più sbrigativa formula Con licenza dei superiori»1. Alcuni 1 Salvatore Rossi, PRESENTAZIONE in OMAGGIO A NICOLA SPEDALIERI – Pubblibronte – dicembre 1990 33 studiosi ritengono che anche Giacomo Leopardi abbia espresso un suo giudizio: «Questo libro parla molto bene; ma disgraziatamente per gli uomini tutti, o non s’intende affatto o si intende molto male»2. Lo stesso Spedalieri era consapevole che la sua opera gli avrebbe procurato molti avversari, infatti, egli stesso afferma: « Io ho sottisfatto al mio cuore: ho ubbidito alla voce della coscienza: ho detta la verità quale l’ho conosciuta nella solitudine in che vivi a me stesso. Ho renduto a Dio quel che è di Dio; al Popolo quel che è del Popolo ed ai Principi quel ch’è dè Principi. E se ho dichiarata guerra ai nemici di Dio, del Popolo e dè Principi, ho imitato quei generosi campioni i quali segnavano il loro nome sulle freccie che nell’ostile campo lanciavano. Lungi dal temere, provo nel terminare quest’opera quel piacere che accompagna una buona azione. E che deggio io temere? Gli effetti della censura ateistica, massonica, giansenistica? O grandi vescovi della Francia, degni successori degli antichi martiri, e perché non avrò io coraggio di seguire le vostre orme? Si; son pronto a seguirle e sono anche tranquillo: non tocca di tremare se non a’ colpevoli»3. Da ciò appare evidente come l’abate, uomo dallo spirito eroico, sfidasse il pericolo: egli non aveva paura dei suoi avversari, delle critiche che essi sicuramente avrebbero mosso al suo pensiero, anzi «pregustava con dolcezza infinita la santa voluttà del sacrificio» 4. Infatti, come quasi previsto dall’abate, De’ Diritti dell’uomo fece sorgere nei confronti del suo autore un odio tale da far pensare che la sua morte fosse avvenuta per avvelenamento: qualcuno pensò che si trattasse solo di una tragica leggenda, però essa sembra trovare conferma nella significativa testimonianza del Conte Alessandro Morone che affermò di aver trovato la seguente nota di un diarista dell’epoca: «La morte di Spedalieri ha suscitato un vivo mormorio. E’ corsa voce che sia stato avvelenato». Altro documento che potrebbe avvalorare tale ipotesi è la lettera scritta da lui stesso al fratello Erasmo: «Ricevo con questo Ordinario una vostra de’ 5 luglio, che certamente mi sarà giunta per miracolo, dalla quale ricavo l’ansietà arrecatavi dal Seminarista di Monreale che certissimamente ha riferito il falso, poiché non sono stato altrimenti ammalato, anzi ho goduto e godo perfettissima salute». Tale lettera risale al 23 luglio 1793, quindi circa 2 anni prima della morte dell’abate. Leggendo la sopra citata testimonianza si può quindi pensare che già da anni qualche avversario avesse messo in circolo la voce che Spedalieri fosse malato, in modo tale da far sembrare normale un’improvvisa morte. Ulteriore elemento che può dare valore a tale tesi, quasi a darne conferma, è la notizia che sei giorni prima di morire, lo Spedalieri avesse dettato, nella casa di Via Borgo Vecchio in Trastevere, il suo testamento. Non esiste alcun documento che renda ufficiale l’avvelenamento di cui probabilmente fu vittima lo Spedalieri, è però da rilevare una discordanza tra le fonti a noi pervenute. Dai registri della Basilica vaticana risulta che Spedalieri morì afflitto da una malattia di lunga durata, morbo diuturno consumputus, mentre il suo potente e fedele amico Monsignor Nicolai sostenne, qualche anno dopo, che la causa della sua morte fu una improvisa ac gravis valetudo. Inoltre, lo studioso Pisanò afferma: « Le uniche cose certe sono che egli morì so2 Salvatore Rossi, op. cit. 3 Attilio Pisanò, ASPETTI DEL PENSIERO GIUSFILOSOFICO DI NICOLA SPEDALIERI con una riedizione del Libro I de I Diritti dell’Uomo. Dott. A. Giufré Editore-Milano-2006 34 4 Giuseppe Cimbali, OMAGGIO A NICOLA SPEDALIERI – Pubblibronte – dicembre 1990 stanzialmente giovane, colpito da una malattia fulminante e non vi è notizia alcuna nei giornali dell’epoca della sua prematura scomparsa» . Vera o non vera, la tragica leggenda sull’avvelenamento di Spedalieri, è indissolubilmente legata al ricordo dell’illustre pensatore brontese, quasi a voler riconoscere al personaggio la grandezza e l’importanza del suo pensiero, mirabile sintesi di ragione e religione. 35 Nicola Spedalieri, incisione del 1883 di Angelo Colombo da un disegno di Agostino Attinà. SAGGIO 7° CLASSIFICATO LO STATO E IL DIRITTO IN NICOLA SPEDALIERI Paola Francesca Leanza, Maria Chiara Castiglione 3aA C.A.T, Istituto Tecnico Superiore “Benedetto Radice” Interpretazione Spedalieri fu colui che portò nell’ambito della filosofia politica cattolica del settecento le nuove idee illuministe, egli si propone di combattere i filosofi del periodo con la loro stessa arma, la ragione e vuole dimostrare che l’uomo per vivere in una società civile non può fare a meno della religione cristiana. Ciò gli attirò le critiche della cultura reazionaria cattolica. Presentando la sua opera lo Spedalieri afferma: “ in perciocché è mio intendimento di trattare questa gravissima causa da puro filosofo, al tribunale dell’umana Ragione: mi scorderò quasi di esser cristiano; metterò in disparte la persuasione, che ho della divinità della Rivelazione, e mi limiterò solo a considerarla dalla parte della politica, per vedere, se essa giovi agli affari anche temporali degli uomini”. Da questa frase e da altre simili ne è venuto fuori una grande diversità di interpretazioni che lo hanno condannato e a volte esaltato. G. Cimbali nella sua opera “L’ ANTISPEDALIERI” predomina una visione di Spedalieri rivoluzionario, precursore del risorgimento e questa interpretazione viene sfruttata in chiave anticlericale; in tal senso fu organizzata l’erezione di un monumento a Roma. In Cimbali si riscontra un eccessivo spirito di parte che lo porta ad una sviscerata adulazione. Attorno agli anni quaranta del ‘900 si ha, invece, un’interpretazione in un certo senso più pacata e si inizia a parlare di Spedalieri come un’illuminista cattolico. Però al di là della validità del concetto, certamente questa non fu un’interpretazione che chiariva la filosofia del nostro autore. Anche da parte di coloro che non accettarono le sue tesi, teologi, regalisti, si incontra una grande incomprensione. Questi non compresero che lo scopo dell’opera spedaleriana era fondamentalmente apologetico e che se all’inizio prescinde dalla Rivelazione e da ogni idea religiosa, lo fa per potersi mettere su una base comune con i suoi interlocutori, i quali erano nella maggior parte atei. Certo è comprensibile che si vedesse in Spedalieri un rivoluzionario, in quanto il suo fu un discorso riformista all’interno di una generazione di uomini che con il loro spirito rivoluzionario riformarono per sempre la cultura e la vita in Europa. B. Croce afferma, invece, che lo scopo dell’opera dei Spedalieri era quello di “rinsaldare la Chiesa di Roma, avvicinandola alle nuove idee democratiche e avversando perciò 37 stesso i monarchici illuministi, regalisti, e giansenisti”. Lo Spedalieri vede negli illuministi suoi contemporanei gli esecutori di un piano per ingannare il popolo. Egli non manca di far notare che i diritti dell’uomo non sono una scoperta della Rivoluzione Francese, poiché essi erano già noti molto tempo prima, ed il cristianesimo incarnandoli li ha sempre difesi. Egli comprende che la filosofia illuminista non è completamente errata, ma contiene del buono e del vero e perciò si fa incontro con fiducia verso quelle idee moderne, anche se deve correre il rischio di attirarsi le critiche più astiose fra i reazionari. Però con il proclamare che la vera democrazia non può che essere cristiana; che soltanto nella società cristiana si possono realizzare l’uguaglianza, la fratellanza e la libertà fa si che il nostro autore sia collocato tra coloro che, utilizzando anche la dialettica illuminista, in un periodo non facile per la chiesa, voleva difendere la religione cristiana. Per cui la ragione e la logica debbono essere messe al servizio della religione cattolica. Stato di diritto e contratto sociale 38 Spedalieri sapeva certamente che con la sua opera avrebbe suscitato scalpore. La tematica dei diritti umani, implicava che si fosse ben coscienti dell’origine dei motivi e del contesto originario in cui erano stati elaborati. Il diritto aveva subito una profonda evoluzione. Nel XVI secolo si era elaborato una concezione del diritto naturale che ancorava a Dio la natura comune che è di ogni uomo. È Dio stesso che ha emanato questo diritto creando la natura razionale. La concezione del diritto naturale che si afferma nel XVII secolo prescinde da questo legame con Dio. Ugo Grozio, espliciterà questo diritto in una forma che resterà classica: è la natura che ha impresso nell’uomo un diritto non scritto che conserverebbe la sua validità anche nell’ipotesi che Dio non esistesse. Partendo dalla naturale tendenza dell’uomo alla felicità, lo Spedalieri poteva fondare un’idea del diritto naturale congiunta più all’idea di rettitudine che a quella di forza e capacità in quanto tale. Il motivo della felicità era centrale in tutta la cultura settecentesca, allo Spedalieri il motivo veniva sia dalla filosofia leibniziana sia dal giusnaturalismo tedesco. Fanno parte dei diritti naturali: il diritto alla conservazione e al perfezionamento; il diritto alla proprietà; il diritto di libertà nel far tutto ciò che concerne i diritti della conservazione del perfezionamento e della proprietà, il diritto nel pensare e nel giudicare tutto ciò che si riferisce alla propria conservazione perfezione e proprietà; il diritto di usare la forza tutte le volte che sia necessario per la difesa o la reintegrazione dei propri diritti . Infine Spedalieri formula un diritto imperfetto, ma pur sempre facente parte dei diritti naturali di ogni uomo: il diritto ad essere aiutato dagli altri uomini , imperfetto perché non implicita il diritto di ricorso alla forza. I diritti enunciati, perché possano essere adempiuti , esigono che l’uomo passi dallo stato di natura allo stato di diritto. Per stato di natura lo Spedalieri intende: “ una maniera di esistere, in cui gli uomini vivrebbero isolati gli uni dagli altri, ovvero convivrebbero insieme, come porterebbe il caso, sciolti da qualunque patto, ed attendendo ciascuno a sé solamente. Questo si chiama stato di pura natura, appunto perché gli uomini non sarebbero soggetti , se non alle mere obbligazioni naturali” . Per stato di diritto intende: “ lo stato di società civile è quello, in che una moltitudine di uomini coesisterebbe co’ vincoli di alcuni patti ordinati alla felicità di ciascuno in comune”. Spedalieri conosce lo stato di natura teorizzato da G.G.Rousseau, in cui l’uomo primitivo sarebbe vissuto prima che un malaugurato susseguirsi di combinati avvenimenti non lo obbligasse a costituirsi in società. Spedalieri insiste nel far notare che, tanto nello stato di natura quanto nella società civile, l’uomo porta con sé tutti i diritti e tutte le obbligazioni naturali., appunto perché non si potrà mai snaturare. Perciò se si avesse una società in cui questi diritti fossero conculcati non sarebbe opera della ragione, ma opera arbitraria e quindi innaturale. Dal confronto tra lo stato di natura e lo stato di diritto dobbiamo rispettare l’organo politico di governo a dispetto anche dei mali che in esso si trovano, in quanto lo stato di natura supposto che possa esistere,sarebbe uno stato infinitamente più dannoso per l’uomo. Quindi l’uomo è destinato per sua natura alla società civile. A sostegno di questa tesi lo Spedalieri porta tre argomenti: L’uomo tende essenzialmente alla felicità e non può essere felice dove non gode con sicurezza dell’esercizio dei suoi diritti che sono i mezzi necessari per vivere felici. Secondo il principio di perfettibilità ciascuno di noi sente l’impulso di migliorare sempre la propria condizione. L’ultimo argomento è rappresentato da alcuni fatti che ci indicano che lo stato naturale dell’ uomo è la società politica. Tali fatti sono: l’uomo teme i bruti e per difendersi da loro si procura di unire le sue forze con le forze altrui. L’uomo tema l’uomo ed ama fare amicizia con alcuni al fine di tenere in soggezione coloro che gli mostrano inimicizia. L’uomo ha bisogno del suo simile e perciò ne ama la compagnia. L’amore del sesso e della prole sono due vincoli naturali della società. Il linguaggio è l’indice più sicuro della socialità umana. In uno stato asociale la lingua non avrebbe senso. Dice Spedalieri: “Conchiudiamo dunque che ne abbiamo troppa ragione: Lo stato a noi conveniente, a noi destinato dalla natura, è la società civile. Ed ammiriamo la materna sollecitudine di essa natura, la quale ci manifesta la vocazione nostra al viver sociale colla stessa chiarezza con che ci scopre nella felicità il fine delle nostre azioni. Ella grida altamente: “Uomini, vivete felici; ed altamente grida nel medesimo tempo: Uomini, non potete viver felici che in società civile”1. Secondo lo Spedalieri poichè gli uomini in uno stato di natura non sarebbero stati capaci di ideare il contratto sociale la società civile risulta essere opera di Dio, ma comunque il fondamento della società è un contratto. Per quanto riguarda il diritto, gli uomini non possono vivere in società se non in virtù di un contratto. La dottrina del contratto sociale ha in Spedalieri un’importanza fondamentale che lo vide seguire o meglio continuare l’opera di Rosseau. in questa teoria lo Spedalieri nega che vi sia stato storicamente, prima uno stato di natura e quindi la società civile. In questo non condivide la posizione di Rosseau, egli afferma che l’uomo è di natura socievole e che per legge naturale deve vivere nella società civile. Ora mentre per Rosseau il contratto sociale è opera del puro arbitrio umano, per lo Spedalieri è qualcosa che sgorga dalla stessa essenza dell’uomo e consiste nella libera accettazione delle leggi da parte degli uomini. 1 Cfr. Nicola Spedalieri: DE’ DIRITTI DELL’UOMO; lib. I, cap. X-9 39 La sovranità politica Lo Spedalieri ci dice che la questione dell’origine della sovranità può essere già vista nella soluzione del problema dell’origine della società civile. Per sovranità egli intende:”una mente che giudichi, una volontà che decreti, ed una forza che eseguisca, allorché è tale, che obblighi a ubbidire, obblighi tutti. E pè termini imperio, principato, sovranità questo stesso s’intende; e però esso consiste nell’unione delle tre facoltà di giudicare, di decretare e di eseguire”2. Se nella società, dice lo Spedalieri, ogni uomo entrando a farne parte pretendesse di averne la totale libertà nel giudicare, nel volere e nell’eseguire, come l’avrebbe nello stato di natura, vivrebbe non nella libertà, ma nella più assoluta illibertà. E perciò necessario che tutti, rinunziando ad una parte dei diritti che si avrebbero in uno stato di natura, si accontentino di quelli che sono compatibili con la vita civile, affinché la società sia possibile. La società civile non può formarsi senza l’autorità politica: “Imparerà ognuno a rispettarla, se vedrà con evidenza, che non può sussistere, nè tanto poco formarsi la società civile senza la sovranità. Come formare quella se non col mettere e col far agire in comune la facoltà di giudicare, di decretare e di eseguire, proprie di ogni individuo? Ciò fu sopra abbastanza chiarita consistendo in tanto la sovranità nell’esercizio delle dette tre facoltà, si rende evidente che senza la sovranità la società civile non può nè anche fermarsi. Questa è il corpo e quella l’anima: un corpo senz’anima è cadavere, i cui componenti non possono stare più insieme” 3. L’autorità politica, democraticamente, nasce dai contraenti, in altre parole dal popolo. Quando lo Spedalieri enunciava queste idee si viveva in un periodo in cui sono in vigore politiche assolutistiche ed in cui le idee democratiche sono presentate da uomini che vengono chiamati rivoluzionare nel senso più propriamente negativo. I vari modi di realizzare nella società il potere sovrano costituiscono le diverse forme di governo. Abbiamo un governo monarchico se la sovranità viene conseguita ad una sola persona; repubblicano se viene data a più persone, e può essere democratico, quando le persone sono scelte tra le classi popolari; aristocratica, quando il governo è dato alle classi degli ottimati. Un’ altra forma di governo è costituita dal cosiddetto governo misto in cui la sovranità è esercitata in parte dal re e in parte dal parlamento. I modi di scegliere questo sistema politico sono vari, ecco in proposito cosa dice: “Varie poi son le maniere di scegliere. Possono consultarsi i pareri di tutti gli individui, e decidere colla pluralità dei suffragi. Può il popolo a pluralità di voti scegliere un determinato numero di persone, ed obbligarsi per patto di ricevere dalle lor mani la forma del Governo, come se fosse stabilita da tutti gli individui. Può ricorrere a qualche famoso Legislatore, o ad un altra Nazione. Può anch’esser prevenuto da qualche Savio, e scegliere per via di accettazione il sistema politico che quelli crede a proposito” 4. Oltre le suddette forme di governo legittime, ve ne sono delle altre in cui la sovranità non è esercitata secondo le leggi di natura, e, quindi, per il bene comune, ma arbitrariamente; tali sono il dispotismo o tirannia, che è la degenerazione della monarchia, e l’oli- 2 Cfr. Nicola Spedalieri: DE’ DIRITTI DELL’UOMO; lib. I, cap. XIV-1 3 Cfr. Nicola Spedalieri: DE’ DIRITTI DELL’UOMO; lib. I, cap. XIV-3 40 4 Cfr. Nicola Spedalieri: DE’ DIRITTI DELL’UOMO; lib. I, cap.XV-11 garchia, che consiste nel governo di pochi tiranni o despoti, che poi siano nobili o plebei, non ha molta importanza. L’anarchia più che un governo è una privazione di governo. Non vi è un governo migliore di un altro, è importante che nella società civile ci sia una sovranità politica legittimamente eletta dal popolo. Al popolo spetta anche il diritto di scegliere: “Sierchè un pò è, che rimanga in pieno arbitrio del popolo. Altronde si è veduto che le tre facoltà di giudicare, di decretare, di eseguire, le quali costituiscono il principato, sono quelle stesse degl’individui depositate in comune. Or quel ch’è mio da chi deve amministrarsi, se non da chi voglio io? Io stesso non posso amministrarlo, son obbligato a servirmi di un altro. Tutto ciò è vero: ma non ne segue che io sia pure obbligato a servirmi di una determinata persona” 5. Tra il popolo e la persona a cui si offre la direzione politica intercorre un vero e proprio contratto politico distinto dal patto sociale. A questo punto egli ci presente tre questioni strettamente legate. 1. Il popolo ha facoltà di disfare lo stato sociale? 2. Ha il diritto di cambiare forma di governo? 3. Ha la facoltà di togliere il governo alla persona o all’assemblea che erano state prima da lui investiti di tale potere? La risposta alla prima domanda è negativa perché altrimenti il popolo agirebbe contro le esigenze della propria natura che lo vuole in società civile. Alla seconda domanda risponde in maniera positiva, perché egli sceglie ha anche il diritto di cambiare. Alla terza domanda, lo Spedalieri, risponde in maniera positiva, perché chi sceglie ha anche il diritto di cambiare. Alla terza domanda. lo Spedalieri; risponde dividendola in due parti: 1. Il popolo non può togliere il governo al principe per motivi futili poichè in forza del contratto il Principe ha acquisito dei diritti che il popolo non può calpestare se non ha sufficienti ragioni. E quali sono queste ragioni? 2. Il popolo può togliere il governo al Principe quando questo ha violato le condizioni essenziali del contratto politico. Perciò se il Principe diventa tiranno il contratto si scioglie da se stesso. Spedalieri sa che questa teoria va contro il parere di molti filosofi cattolici che sostenevano la teoria del “diritto divino” e quindi dà una risposta ai suoi avversari dicendo che la sovranità viene da Dio, è Dio che la vuole, ma con quella volontà generale con la quale vuole tutto ciò che segua spontaneamente dalla natura degli esseri. E poiché la natura vuole che l’uomo viva in società, e la società non esiste senza sovranità, Dio non può non volere la sovranità. Il potere politico, quindi, è voluto da Dio non con volontà positiva come dicono i regalisti e come è per il potere religioso, ma come punto particolare della legge di natura. La dottrina spedaleriana della sovranità è stata giudicata, nel tempo, nei modi più vari, ai giorni nostri, in seguito alle tristi esperienze dei regimi totalitari, che hanno calpestato ogni diritto della persona umana, il pensiero di Nicola Spedalieri è attualissimo indipendentemente dal fatto che lo scopo dell’opera era quello della difesa della dottrina cristiana contro le nascenti teorie razionaliste. L’uomo è nato libero e tale deve rimanere per tutta la sua vita, questo in fondo è il succo del pensiero di Nicola Spedalieri. 5 Cfr. Nicola Spedalieri: DE’ DIRITTI DELL’UOMO; lib. I, cap.XVI-1 41 Statua di Nicola Spedalieri in Roma, piazza Sforza Cesarini. La statua (la prima di un siciliano eretta nella Capitale), posta nel 1901 nella Piazza di Sant’Andrea della Valle, nel 1903 fu spostata nel luogo attuale. E’ opera dello scultore siciliano Mario Rutelli. La scritta posta alla base del monumento recita: “La Nuova Italia a Nicola Spedalieri - MCMIII”. SAGGIO 8° CLASSIFICATO LA STORIA DELLA STATUA DI NICOLA SPEDALIERI Mattia Triscali 2 A Liceo Classico “Ven. Ignazio Capizzi” a Nicola Spedalieri, illustre sacerdote brontese vissuto nel XVIII secolo, nonché insegnante di teologia, filosofia e matematica ci è oggi noto soprattutto per la sua opera “I diritti dell’uomo”, stampata e pubblicata per volontà del papa nel 1791. Il pensiero di Spedalieri era stato più volte travisato e confutato, tanto da ricevere critiche negative sia da parte liberale che dal versante clericale. Dopo la sua morte la figura di Spedalieri precipitò in un oblio, ma la sua rivendicazione fu opera personalissima di un altro brontese: Giuseppe Cimbali, che per un trentennio sfornò sul sacerdote opuscoli e cospicue monografie, imponendolo all’attenzione nazionale e internazionale. Cimbali, però, non fu pago di aver eretto un siffatto monumento cartaceo e si fece anche promotore di un autentico monumento in bronzo, da erigersi in Roma. All’iniziativa aderirono altri illustri del tempo come Re Umberto, Crispi, Salandra e il poeta catanese Mario Rapisardi; il primo, in particolare, dopo aver proibito l’opera “I diritti dell’uomo” per riscattare la casa sabauda inviò cinquecento lire come contributo, affinchè l’opera si realizzasse. Dietro questi consensi covava la protesta degli avversari politici e accademici, i quali fecero scoppiare il “caso” Cimbali e sull’onda di questo il “caso” Spedalieri”. Quest’ultimo era visto come un prete reazionario che aveva considerato la religione come “sola e vera” salvezza degli stati; Cimbali era visto, invece, come un mistificatore. Per tanto il monumento non si doveva fare. Il comitato promotore, anche se notevolmente rallentato da questo polverone che s’era levato, era riuscito ad andare avanti. Si era bandito un primo concorso al quale furono presentati ben ventiquattro bozzetti tutti impietosamente scartati; un secondo concorso si tenne nel 1885, i bozzetti furono esposti nel palazzo delle belle arti e infine si scelse quello dello scultore palermitano Mario Rutelli. Nel marzo del 1893, nel frattempo fra G. Cimbali e lo scultore c’era stato un fitto carteggio (Rutelli dovette vedersela con l’incontentabilità del committente), il monumento era già pronto e issato sul piedistallo, a Piazza Sant’Andrea della Valle; ma si tardava ad inaugurarlo, anche perché le polemiche, anziché affievolirsi sembravano montare di tono e farsi aspre e acide. Passarono aprile, maggio, giugno, luglio, ma il monumento non sembrava poter essere inaugurato senza suscitare grande clamore e un ondata di generale esecrazione. Ci fu chi propose di abbattere la statua, chi passandole davanti faceva gesti demigratori, e Cimbali fu addirittura trascinato in un teatro di Trastevere, in un pubblico contraddittorio. Nel frattempo le fila dei sostenitori del monumento si andavano assottigliando: i massoni sul principio erano sembrati entusiasti dell’iniziativa e avevano aderito al comitato, ma dopo quel bailamme non vollero più saperne. In effetti essi di Ni- 43 cola Spedalieri avevano conosciuto soltanto quello che G. Cimbali aveva furbescamente loro propagandato e cioè il primo libro de “I diritti dell’uomo” dove non c’era quasi nulla che un massone del tempo potesse non condividere. Allo scoppiare delle polemiche essi dovettero procurarsi qualche edizione integrale de “I diritti dell’uomo” ed è facile immaginare il loro sconcerto di fronte a quei cinque libri che il Cimbali aveva cercato di lasciare in ombra: essi vi trovarono non soltanto una difesa del cattolicesimo ma anche una lunga arringa contro le massonerie. Se pronta era stata la loro adesione prontissima adesso fu la defezione e “l’amico” Cimbali diventò un raggiratore di allocchi. Soltanto nel novembre del 93 in qualche maniera il controverso bronzo rutelliano fu inaugurato; i massoni che nel frattempo si erano ravveduti non c’erano, i liberali non c’erano, non c’erano ovviamente i socialisti e soprattutto non c’era nessuno di quei nomi così illustri che avevano spedito complimentose adesioni di circostanza. La cerimonia non ebbe fanfare né discorsi ufficiali. Qualcuno tirò un telo e finì là. Cimbali vide la tanto sospirata cerimonia, per la quale aveva forse sognato il concorso popolare, svolgersi alla chetichella, in un’atmosfera nervosa e di semi-clandestinità. Nei mesi avvenire il trambusto non si sedò e c’era ancora chi voleva abbattere la statua del filosofo e chi sosteneva che Cimbali aveva solamente scovato una mezza nullità filosofica (Spedalieri) e l’aveva esaltata per poterne approfittare sotto il profilo accademico. Ma Cimbali rispondeva ruggendo alle accuse, poiché non era il primo a riconoscere la grandezza di Spedalieri. La disputa sembrò infinita e a trent’anni di distanza da quando la sfortunata statua era stata messa sul piedistallo, ancora se ne discuteva con una certa lena. I fascisti riproposero di abbatterla, ma ci fu un altro brontese (Cimbali era morto) che cercò di difendere il monumento del suo illustre paesano: Vincenzo Schilirò. Lo Schilirò riprese per intero le argomentazioni del Cimbali e addirittura scrisse che Mussolini, al tempo considerato salvatore della patria, era un sincero apprezzatore della figura di Spedalieri e che sembrava realizzare a puntino la sua filosofia politica. Questo tipo di difesa, in quei tristi anni, non ammetteva contraddittorio, da allora non ci fu più nessuno che scrisse contro il monumento, essendo stato ormai associato il nome di Spedalieri a quello augusto del dittatore. Ancora oggi la statua si trova a Roma in Piazza Sforza Cesarini e si spera che resti lì ancora a lungo , ma qualora qualcun altro decidesse di farla buttare giù molto probabilmente un altro brontese sarebbe pronto a difenderla. 44 SAGGIO 9° CLASSIFICATO Perché il rispetto dei diritti umani è importante? M. Caprino, D. Currenti, E. D’Agate, M. Scrivano, G. Turrisi 4a A Istituto Tecnico Superiore “Benedetto Radice” L’uomo ha sempre combattuto per il riconoscimento dei propri diritti poiché da sempre c’è stata la necessità di affermarli e difenderli, e lo ha fatto non perché è stato indottrinato da altri, ma perché fossero valori intramontabili tali da guidarlo fino alla morte “a testa alta” e affinché le generazioni successive potessero proseguire sulla strada indicata. Il rispetto dei diritti umani è importante perché questi ci permettono di custodire il tesoro più grande che abbiamo, ovvero la nostra vita e quella degli altri. Nell’antichità classica il primo ad affrontare questo tema fu il filosofo Aristotele che affermava l’esistenza di un diritto naturale, cioè di un insieme di norme di comportamento la cui essenza l’uomo ricava dallo studio delle leggi naturali, la legge causa-effetto, ovvero quella in cui considera il sapere legato alla conoscenza delle cause. Durante l’età medievale le teorie di San Tommaso d’Aquino contengono il riconoscimento di alcuni diritti fondamentali e la prima formulazione di una dottrina della disobbedienza civile, che consiste nel resistere ai poteri iniqui. Egli affermava che la legge naturale è conosciuta da ogni uomo ed è indipendente da ogni tempo, da ogni luogo e dalle evoluzioni culturali, dunque tutti gli uomini prima di agire devono decidere cosa sia bene e cosa sia male fare; a tal proposito si serve della fede e della ragione. Nel primo caso l’uomo trova i principi generali dell’agire formulati in termini di precetti nella rivelazione divina. Nel secondo caso l’uomo deve trovare con la ragione il fondamento della morale ossia i criteri per cui qualcosa è buono e qualcosa è male. Il cammino dei diritti è stato lungo e faticoso, ogni epoca ha dovuto combattere contro tradizioni radicate, teorie statiche, si è dovuti arrivare al 1700 “Secolo dei Lumi” affinché l’uomo venisse posto al centro della visione del mondo e che tutto si fondasse sul principio della ragione e della libertà di giudizio. Il lavoro di molti secoli e la determinazione di molti uomini ha dato come risultato nel 1776 e successivamente nel 1789 alla “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, dall’America all’Europa le moderne ideologie liberali e gli illuministi affermano l’uguaglianza e il valore della persona al di là della classe sociale di appartenenza. Nel periodo illuminista, si inseriscono la figura e gli studi del sommo filosofo Nicola Spedalieri, autore dell’opera “De’ diritti dell’Uomo”, con la quale, per primo in Italia, promuove i diritti naturali dell’uomo e proclama la sacralità dei principi quali eguaglianza e libertà. Cimbali sottolinea che “I diritti dell’uomo di Nicola Spedalieri sono l’unico libro con cui l’Italia contribuì in modo decisivo, al rinnovamento politico del mondo moderno… per opportuna coincidenza di tempo, per singole condizioni di persona e per fortune circo- 45 46 stanze del luogo, fu in virtù di questo libro che venne combattuta l’estrema battaglia contro i vecchi regimi, che viene chiuso definitivamente il medioevo e vinta per sempre la causa dell’umanità”. Molti sono i diritti indispensabili nella nostra vita, come il diritto di conservare il proprio individuo, l’uomo nella sua vita terrena ha bisogno di custodire la sua dignità poiché senza di essa la vita risulterebbe scevra. “Questo è il primo di tutti a manifestarsi al lume del rammentato principio. E nel vero egli è della più grande evidenza, come senza il potere di conservare il proprio individuo l’uomo sarebbe infelicissimo al solo pensare, che non ha in sua balla di sostentar la sua vita, di far continuare sé stesso nella esistenza sino al termine”, Un altro diritto è quello di perfezionare il proprio individuo, ovvero tutelare sempre di più i diritti della persona; troviamo poi il diritto di proprietà: tutto ciò che l’uomo acquista, ha il diritto di definirlo suo, di conseguenza nessuno potrà privarlo del bene “...sopra tutto ciò che si acquista è intimamente connesso co’ diritti della conservazione e della perfezione di sé stesso”. L’uomo possiede molteplici diritti, chiamati personalissimi, quali il diritto alla vita, al nome, della personalità... In quell’epoca era necessario difendere i propri diritti con la forza, unico mezzo a disposizione. Il filosofo tra i diritti pone quello di Usare la forza senza eccesso per difendere e reintegrare i diritti già enunciati e il Diritto di essere aiutati dagli altri uomini per raggiungere questi diritti. Spedalieri, mette in evidenza il diritto di libertà distinguendolo in “libertà in fare” e “libertà anche in pensare”; la prima concerne i diritti della conservazione della perfezione di se stessi e della sua proprietà “qui s’intende per libertà un’indipendenza dall’altrui volere…”, la seconda consiste “in giudicare circa ciò di che si è parlato. Voglio dire che il giudicare di tutto ciò che si riferisce alla mia conservazione, alla mia perfezione, alla mia proprietà, appartiene a me e non ad altri...”. Se Dio ci ha dotati di libero arbitrio e quindi la libertà di scegliere, chi è l’uomo che può impedirci questa liberta donataci da un essere superiore? Oggi essa viene violata e calpestata, in contesti e situazioni differenti. La libertà nasce dalla conoscenza, dalla cultura, che nel tempo riusciamo a crearci; più riusciremo ad aprire la nostra mente ed addentrarci in una visione più profonda dell’essere e dell’esistere, più riusciremo a comprendere questo diritto e soprattutto a custodirlo. Sempre nel passato, il filosofo greco Socrate scelse di morire piuttosto che rinunciare alla libertà di esprimere il proprio pensiero, trasmettendolo alle generazioni future. Spedalieri sostenne che la religione cristiana è “la più sicura custode de’ diritti dell’uomo” e nelle sue opere la figura di Dio viene citata spesso. “Dio creò gli uomini socievoli, ... e dotati di tendenze egocentriche, la sovranità risulta di assoluto bisogno” cosi il Nostro sostiene nel “Contratto Sociale”. L’uomo lasciato a se stesso persegue un proprio interesse non tenendo conto degli interessi altrui, rischiando di lederli; per questo ha bisogno di qualcuno che lo diriga e lo ammaestri. Nonostante ciascuno si spoglia d’una porzione di arbitrio in parte può essere considerata una forma di libertà in quanto abbiamo la facoltà di scegliere colui che ci guidi e ci rappresenti per difendere i nostri diritti. “ Ciascun individuo si spoglia d’una porzione di arbitrio, di volontà, di forza; e affida tali porzioni a una o più persone, le quali, giudi- cando, decretando ed eseguendo, le amministrano a nome e a vantaggio di tutti, col titolo di governanti, di principi, di sovrani.” Questo non è sempre accaduto e non accade ancora oggi perché, tra il popolo e il governante può esserci un contratto, con il quale il governante si impegna a far rispettare tutti i diritti dei sudditi, nel momento in cui questo contratto crolla o per volontà del governante o perché il popolo si ribella, nessun diritto è più garantito e si torna al “ Homo homini lupus”. Come dimostrano i periodi bui della storia Europea e Mondiale sconvolta da guerre territoriali, religiose, etniche e da due guerre mondiali, durante le quali, i diritti umani sono stati calpestati, intere categorie di persone ritenute “diverse”, ingiustamente discriminate. Non esistono alternative: bisogna raggiungere l’uguaglianza e il rispetto dei diritti contro ogni ingiustizia e inutile crudeltà. Ecco perché anche la Costituzione Italiana nel 1948 ha ritenuto necessario sancire l’Art. 3 c. 1 della Costituzione Italiana sancisce che: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali...”. A poco serve la libertà se non è affiancata dall’uguaglianza. L’uguaglianza è una situazione per cui tutti gli individui all’interno di società debbano avere lo stesso stato di rispettabilità sociale; l’uguaglianza comprende la parità di diritti umani e individuali. Essa non è una semplice regola matematica, ma indica che tutte le persone, benché possano essere politicamente divise, diciamo politicamente e non fisicamente, a prescindere dal loro retaggio culturale, dal loro modo di vivere e di essere, sono tutti uguali di fronte a questa entità pubblica. L’uguaglianza sarà forse un diritto, ma nessuna potenza umana saprà convertirlo in fatto. In base ad un’analisi effettiva della realtà ogni uomo non è eguale ad un altro in diversi contesti: a partire dalla legge, in ambito scolastico, in ambito lavorativo, in ambito religioso e in ambito sociale. Basti pensare alle disuguaglianze sociali che derivano dalle diverse religioni, piaga che investe l’intera comunità. Come afferma Pisano “Spedalieri... è un cattolico che condivide lo sforzo, giusrazionalistico e rivoluzionario, di procedere ad un universalizzazione dei diritti dell’uomo dimostra con ciò la presenza di un comune denominatore tra liberismo e cattolicesimo, anche nel settecento”. Ogni essere umano, rispettando i propri diritti e gli altrui diritti potrebbe raggiungere la felicità; l’indole dell’essere umano è quella di raggiungerla durante la sua vita, infatti è questo il fine ultimo. Felicità, ovvero lo stato d’animo positivo di chi ritiene soddisfatti tutti i suoi desideri, aspirazioni, ma può essere considerata un’utopia, poiché l’uomo nella sua vita terrena non la raggiunge facilmente. E’ una benedizione a volte, ma generalmente è una conquista; essa è il sentimento più meraviglioso di tutta la vita perché ci permette di capire se stiamo seguendo la nostra vera essenza. Anche Spedalieri sosteneva “Asserisco anche con tutto rigore ch’essendo l’uomo sempre intelligente è sempre appetente; facendosi cioè il desiderio della felicità sentire in tutti i momenti della sua esistenza anche temporale; anche in tutti i momenti della medesima è dalla natura chiamato alla felicità; e se non gli è dato di rinvenirla perfetta in questa vita mortale per la qualità del suo soggiorno, non per tanto egli è nato per esser felice comunque può”. 47 Nicola Spedalieri, quadro di Agostino Attinà conservato nel Real Collegio Capizzi SAGGIO 10° CLASSIFICATO Analisi e commento dell’opera “De’ diritti dell’uomo” e della rispettiva dottrina del filosofo Nicola Spedalieri Alessandro Santangelo 5aD Liceo Scientifico “Ven. Ignazio Capizzi” Nicola Spedalieri nacque a Bronte il 6 Dicembre 1740, svolse i suoi studi nel seminario di Monreale, affermandosi poi come filosofo, oratore, storico, matematico e poeta nel periodo precedente la Rivoluzione Francese. Trasferitosi a Roma nel 1773 si diede al giornalismo pubblicista, che lo portò a divulgare celeberrime opere quali l’ “Analisi dell’Esame critico” del Fréret e, suo capolavoro, “De’ diritti dell’uomo”, risalente al contesto appena successivo alla Rivoluzione, in cui afferma le sue idee riguardanti, i diritti umani oscurati dalla presa di posizione popolare, dichiarandoli già presenti all’interno del Vangelo, e asserendo che la religione e i suoi principi fossero il più saldo, se non l’unico, sostegno per i popoli. Si noti che, per quanto concerne il logos riguardante i diritti dell’uomo, il periodo in cui si contestualizza Spedalieri è caratterizzato dalla presenza della dottrina giusnaturalistica e giusfilosofica, ossia appunto del diritto naturale, tra i quali maggiori esponenti troviamo Rousseau, Locke e Hobbes. Ed è proprio alla luce di questa corrente che Spedalieri scelse di promuovere la sua opera “De’ diritti dell’uomo”, opera in cui lui stesso sostiene di voler «provare che l’unica custode dei diritti dell’uomo nella società civile è la religione cristiana» (Ibidem, pag.141). Un’ipotesi piuttosto suggestiva riguardante la ragione per cui Spedalieri avrebbe composto quest’opera sostiene che il pontefice in carica, Pio VI, avesse incaricato il filosofo di reinterpretare le teorie giusnaturalistiche a favore delle istituzioni ecclesiastiche, ma, non essendo confermata da alcun elemento ufficiale, l’ipotesi resta tale. Abbiamo dunque la certezza che il pontefice conoscesse l’opera e che quest’ultima fosse stata accettata dall’istituzione ecclesiastica. All’interno del concetto espresso da Spedalieri in quest’opera troviamo numerosi aspetti riscontrabili nel pensiero di Giordano Bruno, suo predecessore in quanto vissuto tra il 1548 ed il 1600, anno in cui venne arso vivo dopo essere stato bollato come eretico dal Tribunale d’Inquisizione. Tali aspetti riguardano la visione della natura come essere libero, di cui l’uomo è parte e non possessore, e la visione dell’uomo tra gli uomini, di cui l’uomo è compagno e non superiore. Allo stesso tempo, però, riscontriamo un’analogia col pensiero emerso prima da 49 50 Plauto, e poi riadottato in varie forme da vari filosofi quali Erasmo da Rotterdam o Francesco Bacone, ossia la celebre frase “Homo homini lupus”. Anche secondo il pensiero di Spedalieri, infatti, l’uomo è per natura egocentrico e portato all’amor proprio, ed è quindi bisognoso di un’autorità superiore in grado di guidarlo. Quest’autorità è voluta da Dio e chiesta dall’uomo, e rappresentata dalle istituzioni ecclesiastiche, simbolo della fede cristiana. Spedalieri suddivide la società in quattro parti: Puramente Naturale, Senza Dio, Deistica e Cristiana, e specifica che solo con la religione cristiana l’uomo può arginare ciò che lo porta ad essere “lupo” agli altri uomini, nonchè l’amor proprio e l’egocentrismo, appunto. Scrive dunque nella sua lettera a Monsignor Ruffo: «Io ho bisogno di un uomo che m’insegni a non temere, che m’ingrandisca l’animo, che m’ispiri fermezza e costanza nel sostenere, contro gli urti delle irate passioni, la causa della verità.» Notiamo che, seppur non potendo definire “principio” quanto “fine” la ricerca ultima di Spedalieri, l’oggetto conclusivo del cammino di ogni uomo affonda le sue radici sull’utopico concetto di “felicità”. Spedalieri sostiene che l’uomo, al fine della felicità e per ragione di essa, ha bisogno di determinati diritti. Egli addirittura definisce l’insieme di uomini come Signoria Naturale Umana, bisognosa dei propri diritti in quanto «In tutti vi è un impeto che ci trasporta necessariamente a procurarci la felicità. Il che posto come principio, ne segue […] che la natura ci dà diritto sopra tutto ciò che la ragione considera essere mezzo opportuno per conseguire quel fine.» (De’ diritti dell’uomo, N. Spedalieri) Ad ogni diritto umano Spedalieri affianca, poi, un obbligo, necessario a difendere e preservare il diritto stesso. Ad esempio, il diritto alla vita, il primo diritto di ogni uomo, comporta il dovere, l’obbligo, di rispettare la vita altrui. O il diritto di pensare, il diritto di giudicare e di ragionare, comporta l’obbligo di lasciar pensare, giudicare e ragionare il prossimo. Il tutto a dimostranza che i diritti dell’uomo, ancor prima della Rivoluzione, ancor prima di qualunque altra idea o corrente filosofica, erano racchiusi in uno dei più importanti passi del Vangelo «Fai agli altri quello che vuoi che gli altri facciano a te.» (Mt. 6, 12 e Lc. 6, 31). Qualora io, da semplice studente, potessi, dovessi, oppure più semplicemente provassi a dare una mia opinione strettamente critica sulla morale, sul pensiero o sull’etica di Spedalieri, sosterrei pienamente la sua tesi, seppur aggiungendo un modestissimo parere. Che Spedalieri abbia voluto dimostrare, tramite questa celeberrima opera, che il Vangelo e la fede racchiudessero la custodia della società, è più che appurato. Ma ponendo, come pone lo stesso filosofo, alla fine del cammino spirituale di ciascun essere umano, e perciò essere in quanto essere pensante, e non in quanto materia esistente ma non pensante, la felicità, non evidenzierei solo e soltanto la presenza della religione quanto quella dell’etica morale, albergante all’interno dello spirito di ogni singolo essere umano, come garante e custode dei diritti stessi. Supponendo che la tesi “homo homini lupus” riguardi un insieme ristretto di uomini, e ponendo questi uomini fuori da qualunque ambito religioso, essi qualora affidassero le loro menti al concetto di etica, di ricerca della felicità quale fine ultimo, e al bisogno ciascuno di qualcun altro perchè l’essere in quanto essere pensante ha la stretta necessità di confrontarsi con i suoi simili, allora la tesi non si verificherebbe. Perchè in un sistema libero, privo di alcuna legge, l’uomo è lupo all’altro uomo. Ma se, al di là delle leggi scritte e di quelle dettate dalla fede, al di là dei diritti e dei doveri umani, l’uomo si affidasse alla sua stessa esistenza, ed alla sua stessa etica, sarebbe sopraffatto da una legge morale molto più efficace di una qualunque legge scritta, di una qualunque religione, e di un qualunque diritto. Il tutto si riferisce, ovviamente, ad un’idea utopica di un’altrettanto utopica società in cui l’uomo non ha bisogno di altro che di sé stesso e della sua naturale sete di conoscenza e felicità per vivere. Pongo questo mio umile parere in coda all’analisi del pensiero di questo grande filosofo siciliano, e mi scuso con chiunque possa trovare il mio azzardato commento scortese, fuori luogo o semplicemente inutile. 51 Particolare di una grande tela, conservata presso il Collegio Capizzi opera del pittore trapanese Giuseppe Errante (1760-1821) Lettera autografa di Nicola Spedalieri scritta da Roma al fratello Erasmo il 23 Luglio 1793. (conservata nel Collegio Capizzi) Modello dell'attestato di partecipazione, vergato a mano su pergamena dal M° Pietro Bongiorno Autoritratto di Nicola Spedalieri, conservato fra le reliquie Spedalieriane nel Real Collegio Capizzi. Il dipinto fu eseguito all’età di 33 anni. E’ stato donato al Collegio nel 1886 dagli eredi del filosofo, i fratelli Arcangelo, Giuseppe e Antonino Spedalieri. Nella scritta in basso si legge: «Nicolaus Spitaleri aetat suae XXXIII - Hanc sui suàmet manu pinxit effigiem». Spitaleri, infatti, era il nome originario del filosofo, cambiato successivamente dallo stesso in Spedalieri nella sua permanenza a Roma. www.cattedranicolaspedalieri.altervista.org e_mail: [email protected] Finito di stampare marzo 2014