Il metodo sperimentale nelle Scienze Umane
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Il metodo sperimentale nelle Scienze Umane
Paragrafi: 1.Il metodo sperimentale nelle scienze umane. 2.Differenze tra il pensiero dogmatico, autoritario e scientifico. 3.Presupposti per una reale scientificità nelle scienze umane. 4.Procedere nella ricerca sulle scienze umane, i metodi, l’osservazione, i test, i questionari, le interviste, gli esperimenti. Descrivi ognuno di questi nel dettaglio. 5.L’Osservazione a scuola. 6.L’esperimento in psicologia, procedure , il concetto di variabile, i possibili errori. 7.Diversi tipi di test psicologici. 8. Descrivi gli esperimenti più celebri in psicologia. Paragrafo 1 Il metodo sperimentale nelle scienze umane. Cos’è il metodo scientifico? Se facciamo questa domanda ad un gruppo di scienziati, probabilmente otterremo tutte risposte diverse. Ma se notiamo bene una risposta frequente dataci può essere questa: ” È un interrogativo al quale non si può rispondere, inoltre non esiste un metodo scientifico unico ma ce ne sono molti”. Tuttavia se ne vogliamo dare una definizione generale possiamo dire che con il termine metodo scientifico si definisce il metodo utilizzato per spiegare e descrivere i fenomeni, il quale per fare queste ricerche si avvale di regole ben precise: 1.OSSERVAZIONE: L'osservazione serve a inquadrare il fenomeno che si vuole studiare e a raccogliere informazioni al suo riguardo,ed inoltre ce ne sono diversi tipi: A. Naturalistica: l’osservatore non è visibile ai soggetti sperimentali, non intrusiva; B. Partecipante: l’osservatore è inserito nel contesto osservato; C. Sistematica: osservazione ripetuta nel tempo (es. nell’arco di un anno) di una stessa situazione (la II classe della scuola X) per rilevare determinati fenomeni (es. disattenzione:parlare con il vicino, fare altre attività da quelle scolastiche ecc..). 2.DETERMINAZIONE DEL PROBLEMA: Consiste nell'individuazione delle variabili significative: in ogni esperimento si sceglie una sola variabile indipendente e si individuano tutte le variabili dipendenti da essa, poi nella realizzazione di esperimenti elaborati mediante tabelle e grafici; 3.FORMULAZIONE DELLE IPOTESI: Dall'elaborazione dei dati si formulano delle ipotesi; 4.VERIFICA SPERIMENTALE DELLE IPOTESI FORMULATE: Successivamente il modello deve essere confermato da un'ulteriore indagine; 5.RACCOLTA DATI; 6.ELABORAZIONE DEI RISULTATI: Se l'ipotesi formulata viene confermata si può formalizzare un modello ed eventualmente inserirlo in una teoria più completa; 7.PUBBLICAZIONE DEI RISULTATI: Alla fine i risultati dell' esperimento vanno pubblicati su una rivista scientifica. Il metodo scientifico viene utilizzato per lo studio di diverse scienze,ma soprattutto in psicologia e nelle scienze cognitive in generale viene utilizzato in una forma leggermente diversa da quella utilizzata nelle scienze della natura. Ed il motivo è l’intrinseca ineliminabile variabilità inerente gli esseri umani. Le ricerche che non rispettano le regole del metodo sperimentale, vengono definite non sperimentali. Tra queste c’è la ricerca osservativa, dove lo sperimentatore può decidere di osservare sul campo o in laboratorio, e scegliere se procedere con un osservazione completa, o solo determinati aspetti. Quando l’osservatore non partecipa all’esperimento si parla di “osservazione naturalistica”, quando invece interagisce, parliamo di “osservazione partecipante”. Naturalmente la ricerca osservativa non permette di manipolare la variabile indipendente e quindi non assicura la relazione di causa effetto. Quindi si può confermare che il metodo sperimentale si basa sul rapporto tra variabili (dove per variabile si intendono attributi o condizioni di persone o situazioni che possono variare a seconda delle condizioni): la variabile indipendente (quella che viene manipolata dallo sperimentatore, su cui egli agisce) e la variabile dipendente (quella che subisce gli effetti dei cambiamenti agiti sulla variabile indipendente). Le variabili possono poi essere distinte tra quelle quantitative o qualitative, dove le prime variano in grandezza mentre le seconde cambiano il genere – un buon esempio di variabile quantitativa potrebbe essere il tempo di reazione a uno stimolo, mentre una variabile qualitativa potrebbe essere la professione dei soggetti che partecipano a una ricerca. Vi sono poi variabili continue o discontinue (in questo le prime possono assumere qualsiasi valore, mentre le seconde non prevedono valori intermedi, l'altezza di una persona può essere considerata una variabile continua perché generalmente si misura con precisione, senza arrotondare, mentre il colore dei capelli, che può assumere solo determinati valori, è discontinua). Il ricercatore che decide di utilizzare il metodo sperimentale, il quale offre l'opportunità di andare ad agire su determinate variabili, si pone come scopo quello di stabilire un preciso rapporto di causa effetto tra due o più caratteristiche o eventi. Non ci si accontenterà più dunque di vedere se due aspetti sono tra loro in qualche modo correlati, ma si cercherà, manipolando uno dei due fattori (variabile indipendente), di vedere come e se variano di conseguenza gli attributi del secondo fattore interessato dalla ricerca (variabile dipendente). Portando un esempio su come viene utilizzato il metodo sperimentale/scientifico in psicologia possiamo descrivere l’esperimento di uno psicologo;lo psicologo decide di provare a vedere se e come la quantità di tempo passata davanti alla televisione e il tipo di programmi seguiti agiscono sul livello di aggressività dei bambini. In questo caso egli andrà ad agire sul numero di ore che i bambini passano davanti al video e controllerà anche i programmi che vedono e andrà poi a misurare il livello di aggressività che essi manifestano a scuola, nei giochi con gli amici o in famiglia. Naturalmente tutto questo dovrà essere fatto mantenendo stabili, per quanto possibile, tutte le condizioni di contorno, in modo da poter essere certi che eventuali cambiamenti registrati dopo o durante l'intervento siano dovuti solamente all'intervento dello sperimentatore e non da situazioni di contorno. Questo controllo potrà essere effettuato con l'introduzione di un termine fisso di paragone, affiancando quindi alla situazione sperimentale (situazione dove lo sperimentatore agisce) una situazione di controllo (dove tutto è paragonabile alla situazione sperimentale, a parte l'intervento dello sperimentatore sulla variabile indipendente), i cui cambiamenti – dovuti a variabili non controllabili come il passare del tempo, l'influenza di fattori esterni o altro – saranno poi paragonati a quelli del gruppo sperimentale, avendo così la possibilità di concludere che ogni cambiamento aggiuntivo del gruppo sperimentale potrà essere ragionevolmente imputabile alle condizioni sperimentali. Naturalmente le influenze esterne possono (e dovrebbero) essere controllate anche cercando di limitare o guidare in qualche modo le possibili sorgenti di variabilità. Per esempio, se sto svolgendo una ricerca volta a indagare l'influenza di materiale visivo come supporto ai libri di testo per la comprensione di materie particolarmente ostiche per gli studenti, seguendo gruppi di studio di ragazzi liceali, cercherò di tenere fissi durante il corso della ricerca aspetti che potrebbero influire sul rendimento dei ragazzi coinvolti nella ricerca: li farò, per esempio, studiare tutti in ambienti simili come livello di rumorosità, e in orari paragonabili. Paragrafo 2 Differenze tra il pensiero dogmatico, autoritario e scientifico. Il pensiero scientifico è molto importante nella ricerca di oggi però dobbiamo anche sapere che questo non è l’unico tipo di sapere della cultura umana, bensì si sono create altre diverse forme di pensiero più o meno “libere” ed altre invece “autoritarie”. Possiamo affermare che con il pensiero scientifico ci si spiega com’è fatto il mondo, ma non è un tipo di pensiero che può pronunciarsi su ciò che è bene o ciò che è male. Inoltre esso non indica valori né fini da raggiungere e purtroppo di questa situazione cercano di approfittare le ideologie e le religioni che si propongono alla gente come guida cercando di spingerli a credere ai loro valori e al loro senso delle cose. Le ideologie e le religioni successivamente si rendono autoritarie nei confronti della mente umana dando vita appunto a quello che si chiama pensiero dogmatico-autoritario, in quanto “obbligano” l’essere umano a credere in determinati valori, regole e culture rendendoli appunto schiavi. A questo punto possiamo individuare un’enorme differenza tra il pensiero scientifico ed il pensiero dogmatico- autoritario: il pensiero scientifico (di cui ne fanno parte la scienza, la filosofia e la letteratura) è una forma di pensiero libero in cui viene promossa l’espressione delle genti, mentre il pensiero dogmatico e autoritario fanno sono forme di pensiero appunto autoritario in quanto le persone sono subordinate al sistema e la loro vita privata viene annullata addirittura spesso la loro esistenza stessa viene sacrificata per il rafforzamento dello Stato. Si può anche dire che mentre le ideologie e le religioni (appartenenti al pensiero dogmaticoautoritario) sono attivamente propagandate, il pensiero scientifico non è difeso molto spesso da nessuno e può essere la conquista personale di alcuni individui che rifiutano la massificazione. La scienza è una parte molto importante del pensiero libero perché essa contribuisce anche a formare una mentalità positiva, fiduciosa della ragione, consapevole delle difficoltà di comprendere la realtà, consapevole della presenza di numerosi punti di vista, consapevole della necessità che i cittadini partecipino alle scelte politiche e che i diversi poteri dello Stato si equilibrino l’un l’altro. Mentre il pensiero dogmatico e autoritario tutto questo non lo rende possibile in quanto cerca molto spesso di “obbligare” la gente a credere in determinate cose per raggiungere dei fini. Molto spesso questo tipo di atteggiamento autoritario viene utilizzato dallo Stato e dalla Chiesa in quanto, per raggiungere determinati obbiettivi, vuole persuadere le tesi della gente. Paragrafo 3 Presupposti per una reale scientificità nelle scienze umane. La psicologia è definita ,dal suo specifico oggetto di studio complesso e indagabile, da differenti prospettive con metodi tra di loro molto diversi; pertanto non costituisce un'unica disciplina, ma un insieme di scienze molteplici e differenziate. La scientificità di ognuna è affidata alla struttura e alla coerenza dello specifico metodo. Essenzialmente le critiche alla scientificità della psicologia riguardano il confronto con le altre materie scientifiche e le differenze, all'interno della psicologia stessa, fra le varie prospettive. La scienza si caratterizza rispetto ad altre attività umane per la ricerca di regolarità. Sebbene nel senso comune pochi abbiano dubbi sulla scientificità della fisica, molti nutrono dubbi sulla scientificità della psicologia. Malgrado gli argomenti di studio siano molto differenti, vi è un nucleo essenziale di elementi epistemologici e metodologici comuni. La psicologia presenta tutte le caratteristiche per essere definita una scienza perché possiede: Empirismo; Obiettività; Possibilismo; Parsimonia. Inoltre possiede interessamento privilegiato per la teoria. Qui di sotto è riportato uno schema esemplificativo della pianificazione di una ricerca in psicologia: Molto spesso vengono rivolte delle critiche alla psicologia, soprattutto riguardanti la sua metodologia. Un aspetto specifico della ricerca in psicologia è che il ricercatore, per poter studiare “ l'oggetto" che ha in esame, interagendo con esso lo modifica. Seppure questa affermazione sia in alcuni casi vera, essa lo è per un limitato settore della psicologia il cui ambito di applicazione è abbastanza ristretto. Una considerazione simile è effettuabile anche in merito “all'osservazione". Tutti i soggetti, in un certo senso, "osservano" continuativamente, in ogni momento ed ogni luogo, e per questa caratteristica la ricerca osservativa era stata bandita dalla scienza. In seguito, si è focalizzato come il problema di fondo sia cosa si doveva intendere per "osservazione"; si è quindi passati da un tipo di ricerca ad un metodo di ricerca, con regole e limiti per la raccolta di dati altrimenti non ottenibili. A questo punto per produrre una reale scientificità nelle scienze umane si fa affidamento a dei test psicologici. Si tratta dunque di una misurazione oggettiva e standardizzata di un campione di comportamento, che si ritiene essere indicativo di un costrutto teorico. Ad esempio un test che vuole misurare la socievolezza (costrutto teorico), prende in considerazione comportamenti che sono associati a questo tratto di personalità (essere loquaci, amare la compagnia, ecc...). Difatti la caratteristica insita nella misurazione in psicologia è che l'oggetto che si ha intenzione di misurare spesso non ha caratteristiche fisiche dirette e concrete, ma è un costrutto teorico, di cui vengono valutati gli indicatori comportamentali. Un esempio può essere la creatività. La "creatività" è un costrutto teorico, non un oggetto fisico: coerentemente, si dovrà affermare che il test psicologico somministrato differenzia le persone più creative da quelle meno creative, in base ad un certo tipo di definizione di creatività. In altre parole, l'atto del misurare (mediante test psicologici) è strettamente connesso al significato del costrutto teorico stesso (l'oggetto di misura); perciò lo psicologo quando misura deve tener conto: Del test psicologico utilizzato per misurare (cioè le caratteristiche psicometriche dello strumento quali attendibilità, validità standardizzazione); Del significato del costrutto teorico (il costrutto sottoposto a misura). Sebbene possano sembrare limitanti, un qualsiasi comportamento è composto da segni e sintomi caratteristici. L'insieme di questi segni e sintomi caratteristici possono essere presi come riferimento per la creazione di un test riferito a quel dato comportamento. Ovviamente intervengono diversi fattori inerenti allo strumento, che può essere più o meno adatto a rilevare quel tipo di comportamento. Va anche detto che un dato comportamento può essere rilevato nella popolazione scelta per quel test. Poiché vi sono differenze genetiche e culturali nelle diverse culture, possono esserci delle differenze nei risultati dei test somministrati a gruppi diversi. Paragrafo 4 Procedere nella ricerca sulle scienze umane, i metodi, l’osservazione, i test, i questionari, le interviste, gli esperimenti. Descrivi ognuno di questi nel dettaglio. Alla base della ricerca psicologica come ho affermato varie volte nei capitoli precedenti, c’è l’osservazione. L’osservazione più precisa è quella controllata. Negli esperimenti, lo sperimentatore per controllare la riuscita dell’esperimento, può confrontare i dati rilevati prima di effettuare un esperimento con quelli rilevati dopo. Molti sperimentatori preferiscono usare un “gruppo di controllo”, ossia due gruppi di soggetti, su uno si sperimenta e sull’altro no. La prima cosa da fare quando si vuole intraprendere una ricerca è quella di selezionare i campioni. Essi sono soggetti estrapolati da una popolazione che presentano le stesse caratteristiche di tutta la popolazione. Per fare questo è necessario procedere con una selezione casuale. Anche nella somministrazione degli esperimenti bisogna procedere in modo casuale, per evitare e/o minimizzare gli errori. L’errore, nel nostro caso, errore sperimentale, lo abbiamo quando la variabile dipendente non è generata dalla variabile indipendente. L’errore sperimentale minaccia la validit{ interna, ossia la certezza di causaeffetto tra la variabile indipendente e dipendente. Nel momento in cui abbiamo un errore, possiamo fare due cose per correggerlo: controllo e randomizzazione. Per controllo intendiamo, tenere costante la variabile che influisce sulla nostra variabile indipendente. Per randomizzazione intendiamo, la distribuzione degli esperimenti hai soggetti in modo casuale. Nell’esperimento è importante tener conto della validit{ esterna, ossia la possibilità di estendere la ricerca; ogni volta che ripetiamo la ricerca i risultati devono essere gli stessi. Successivamente durante la ricerca psicologica si fanno delle interviste; l’intervista è una tecnica attraverso il quale il ricercatore cerca di “accedere” alla prospettiva del soggetto studiato in modo da cogliere le sue categorie mentali, le sue interpretazioni, le sue percezioni e sentimenti. Queste si differenziano per il loro grado di standardizzazione, cioè per il diverso grado di libert{ che viene concesso ai due attori, l’intervistato e l’intervistatore. Una prima distinzione da fare riguarda l’intervista quantitativa e intervista qualitativa. L’approccio qualitativo predilige, invece, conversazioni “estese” durante il quale il ricercatore cerca di ottenere informazioni dettagliate e approfondite. L’intervista è guidata dall’intervistatore secondo uno schema di interrogazione flessibile e non standardizzato. L’intervistato viene scelto sulla base di determinate caratteristiche che attengono al suo vissuto personale o all’appartenenza ad un determinato gruppo sociale. Le domande che l’intervistatore pone sono finalizzate a spingere l’intervistato verso l’osservazione critica di sé e del proprio agire e a esplicitare gli esiti di questa riflessione. Esistono tre tipi di intervista qualitativa: interviste strutturate, semi-strutturate e non strutturate. La scelta del tipo di intervista dipende dagli obiettivi della ricerca. Generalmente si ricorre ad un’intervista strutturata quando il disegno della ricerca prevede un numero considerevole di interviste, mentre se il numero di interviste è meno consistente si ricorre a interviste semi-strutturate e non-strutturate. L’intervista strutturata prevede un insieme fisso e ordinato di domande aperte che vengono sottoposte a tutti gli intervistati nella stessa formulazione e nella stessa sequenza, l’intervistato è lasciato libero di rispondere come crede. L’intervista strutturata è la più rigida dei tre tipi: anche se la domanda non vincola l’intervistato, il fatto che le domande vengono poste a tutti nello stesso ordine rende l’intervista poco flessibile e adattabile alla specifica situazione. E’ una tecnica “ibrida” che raccoglie informazioni, da un lato, in modo standardizzato e, dall’altro, in modo aperto e destrutturato. Questa sua ambivalenza fa sì che l’intervista strutturata possa essere utilizzata quando si vuol procedere in modo standardizzato ma nello stesso tempo la conoscenza limitata del fenomeno non consente l’utilizzo di un questionario a risposte chiuse; L’intervista semi strutturata prevede una traccia che riporta gli argomenti che necessariamente devono essere affrontati durante l’intervista; essa può essere costituita da un elenco di argomenti o da una serie di domande a carattere generale. Nonostante sia presente una traccia fissa e comune per tutti, la conduzione dell’intervista può variare sulla base delle risposte date dall’intervistato e sulla base della singola situazione. L’intervistatore, infatti, non può affrontare tematiche non previste dalla traccia ma, a differenza di quanto accade nell’intervista strutturata, può sviluppare alcuni argomenti che nascono spontaneamente nel corso dell’intervista qualora ritenga che tali argomenti siano utili alla comprensione del soggetto intervistato; L’intervista non strutturata, detta anche in profondità, libera o ermeneutica, invece è costituita dall’individualit{ degli argomenti e dall’itinerario dell’intervista. In questo tipo di intervista, infatti, il contenuto delle domande non è prestabilito ma varia da soggetto a soggetto; l’unico elemento stabilito è il tema generale, gli altri argomenti, correlati a quello generale, emergono spontaneamente nel corso dell’intervista. L’intervistatore ha il compito di proporre, inizialmente, i temi del colloquio lasciando che l’intervistato, mantenendo l’iniziativa della conversazione, esponga liberamente il suo punto di vista. L’intervistatore deve, inoltre, far sì che la conversazione non si orienti su argomenti irrilevanti e, qualora l’intervistato accenni ad argomenti ritenuti interessanti per la ricerca, egli può incoraggiarlo ad approfondire ulteriormente. Tale classificazione si riferisce alle interviste di tipo individuale, ma esistono anche interviste di gruppo o “focus Group” cioè una tecnica di rilevazione per la ricerca sociale basata sulla discussione tra un piccolo gruppo di persone, alla presenza di uno o più moderatori, focalizzata su un argomento che si vuole indagare in profondità. Oltre alle interviste c’è un altro mezzo utilizzato nella ricerca psicologica ossia , il questionario. Si tratta di un elenco di domande a cui il candidato è tenuto a rispondere; le domande possono essere aperte o chiuse. La cosa importante nel questionario è quella di evitare domande doppie, dove il candidato non può dare una doppia risposta. Inoltre nella struttura del questionario è importante fornire le giuste istruzioni per la compilazione; esistono i cosiddetti questionari auto-compilati e sono quelli che il soggetto compila da solo, senza l’intervento dell’intervistatore. Il vantaggio principale di questa tecnica è l’enorme risparmio dei tempi di rilevazione. I limiti invece consistono nel fatto che deve essere breve, conciso e il più semplice possibile per venire incontro al maggior numero possibile di persone; inoltre di solito coloro che restituiscono il questionario sono un segmento particolare della popolazione in esame (autoselezione), cosa che limita l’estensibilit{ dei risultati. Oltre ai questionari auto-compilati esistono i questionari telefonici, ma in entrambi sono da escludere le domande aperte. Infine ci sono i test psicologici. Un test psicologico è una tecnica standardizzata di valutazione, che permette di posizionare un individuo, relativamente ad una data caratteristica psicologica, all’interno dello spettro di variabilit{ che quella caratteristica possiede nella popolazione. I test in psicologia possono essere utilizzati per valutare il funzionamento psichico, normale o patologico, o singole funzioni di esso; rilevare tratti di personalità che si presume siano predittivi di comportamenti futuri, normali o patologici. I test, dunque, forniscono dati per: o formulare una diagnosi.; o individuare il trattamento più adeguato per quel determinato paziente od il punto focale del trattamento; o valutare l’andamento del trattamento od il suo esito finale in termini di miglioramento della funzione esaminata; o effettuare uno screening, ad esempio all’interno del metodo epidemiologico. Le scelta dell’utilizzo di un test o di una batteria di test non deve seguire le “simpatie” dello psicologo, ma deve essere effettuata in base al tipo di informazione che si vuole ottenere ed in base all’obiettivo per il quale è stato richiesto l’uso del test. Prima di utilizzare qualsiasi test lo psicologo dovrebbe conoscerne l’orientamento teorico, le caratteristiche pratiche, la validit{, l’attendibilit{ e la standardizzazione. Ogni test ha come suo fondamento la definizione del costrutto teorico all’interno del quale è inserita la variabile che si vuole misurare, pertanto ciascun test può dare solo un predeterminato tipo d’informazione, che a sua volta assume senso solo se è inserita all’interno di un paradigma compatibile con quello che è alla base della costruzione del test. L’attendibilit{ di un test indica in che misura le fluttuazioni nei punteggi riportati dallo stesso oggetto in occasioni diverse possano essere attribuite ad errori casuali di misurazione, e in che misura –invece questi errori siano da attribuire a differenze reali nelle caratteristiche prese in esame. La standardizzazione, invece, implica uniformità di procedura nella somministrazione del test e nella determinazione del punteggio relativo (siglatura, valutazione e interpretazione del test) per evitare una deviazione sistematica rispetto ad un andamento generale(in questo caso l’intervento della variabile sperimentatore) dato dalla variabile sperimentatore. Se si vuole che i punteggi ottenuti da persone differenti siano comparabili è ovvio che le condizioni di somministrazione devono essere uguali per tutti. Allo scopo di assicurare l’uniformit{ delle condizioni di somministrazione, chi costruisce il test fornisce istruzioni particolareggiate. La formulazione di tali istruzioni costituisce una parte notevole della standardizzazione di un nuovo test. Tale standardizzazione si estende fino alla precisazione dei materiali da impiegare, dei limiti di tempo, delle dimostrazioni preliminari, dei criteri da seguire per rispondere alle domande dei soggetti e di ogni altro particolare relativo alla somministrazione di quel test. Un altro passo importante per la standardizzazione di un test e’ la determinazione delle norme statistiche. Senza norme non si possono interpretare i punteggi. Durante il processo di standardizzazione, è necessario applicare il test ad un ampio campione, rappresentativo del tipo di soggetti ai quali e’ destinato il test stesso. Tale gruppo, detto campione di standardizzazione, serve per determinare le norme. Queste ultime indicano non solo il rendimento medio, ma anche la frequenza relativa dei vari gradi di scostamento al di sopra o al di sotto della media. La standardizzazione di un test comporta dunque: 1) Che le istruzioni siano uguali per tutti i soggetti.; 2) Che tutti i soggetti vengano sottoposti con modalità costanti alle stesse domande, alle stesse prove,o alle stesse situazioni stimolo; 3) Che l’attribuzione dei punteggi o la siglatura del test sia definita in anticipo e in modo chiaro; 4) Che siano disponibili i dati normativi relativi alla popolazione generale a cui il soggetto sottoposto al test appartiene. Senza questi dati non sarebbe possibile dare significato alla siglatura del test. Paragrafo 5 L’Osservazione a scuola. Che cosa è l’osservazione ? È la capacità di osservare un ( target ) un elemento o un gruppo di elementi utilizzando in modo sistematico un insieme di Procedure e si strumenti. L’osservazione si basa sulle 5 w Errori più frequenti Guardare solo alcuni aspetti del problema Farsi scoprire effetto pigmalione L’effetto pigmaglione : (Dal nome del miotico scultore greco che si innamorò perdutamente di una statua da lui stesso scolpita , da lui stesso tanto da riuscire a renderla vivente ). Esperimento condotto da Robert Rosenthal e Leonore Jacobson si dimostro che bambini di provenienza socio-culturale svantaggiata riuscivano a raggiungere un maggiore successo scolastico se agli insegnanti veniva riferito che si trattava di alunni con potenzialità di apprendimento superiore alla media ( in realtà questi alunni erano stati scelti a caso dagli sperimentatori ) . Strumenti : risorse proprie Strumenti : risorse da usare o Occhi , orecchie bene aperti o Schede preparatorie dell’osservazione o Attenzione sostenuta o Un diario dell’osservazione o Essere al posto giusto al momento giusto o Videocamere , registratore o Specchio unidirezionale Stabilire da subito cosa vado a osservare Un bambino la classe Due bambini Insegnante e bambini Reazione dei bambini al rimprovero Alimentazione Linguaggio Leadership \ sottomissione Il Contesto A scuola, A casa , centri riabilitativi , posizione della classe . Paragrafo 6 L’esperimento in psicologia, procedure , il concetto di variabile, i possibili errori. Il concetto di variabile : Definire il problema Formulazione ipotesi Raccolta dei dati Elaborato dei dati in modo scientifico I tipi di variabile possono essere : Variabili: eventi che sono suscettibili di modificazione all’ interno di una situazione sperimentale La variabile dipendente : è quella che il ricercatore manipola . Essa rappresenta la causa alla base dei fenomeni particolari che si osservano nella situazione sperimentale La variabile indipendente : è la misura della modificazione che avvengono nel compito dei soggetti la situazione sperimentale L’ipotesi sperimentale : modifica della variabile indipendente produrrà una determinata modifica in quella dipendente L’ipotesi nulla : non ci sono variazioni nella variabile dipendente dovute all’azione sulla variabile indipendente Hp : (Vera) la mia ipotesi di partenza è vera Ho : (Nulla ) la mia ipotesi e negativa ovvero Hp L’esperimento del piccolo Albert. “Datemi una dozzina di bambini sani e farò di ognuno uno specialista a piacere, un avvocato, un medico. A prescindere tal suo talento, dalle sue inclinazioni, tendenze, capacità, vocazioni e razza”. [John Broadus Watson ] John Broadus Watson (Greenville, 9/1/1878 – New York, 25/9/1958) fu uno psicologo statunitense, precursore del comportamentismo (chiamato anche behaviorismo), cioè quella corrente della psicologia che studia il comportamento degli esseri viventi valutando anche quanto gli agenti esterni possano influire sulla crescita e la psiche dell’individuo. I suoi esperimenti furono tanto importanti per tutto il mondo scientifico quanto morbosamente controversi; sopratutto il più famoso (tenuto con la collega Rosalie Rayner) che fu denominato Piccolo Albert. Riguardava il comportamento infantile e come i traumi potessero influire nello sviluppo psicologico e si svolse tra il 1919 e il 1920. Albert era un bambino di undici mesi, alla quale furono mostrati diversi animali: una scimmia, un cane e una cavia bianca da laboratorio, un coniglio, varie maschere con o senza barba, giornali infuocati, batuffoli di cotone, ecc… Il piccolo Albert non sembrava aver paura di nessuno di questi elementi introdotti nell’ambiente circostante, anzi allungava la mano per toccarli e scoprirne la consistenza, proprio come ogni bambino nell’et{ della scoperta. Insomma: imparò a giocarci. Ecco che arriviamo all’esperimento vero e proprio: sostenendo di poter programmare la personalità di un individuo agendo nella tenera età, posizionò una lastra di metallo nelle vicinanze ed ogni volta che l’infante allungava una manina verso uno degli animali con cui aveva imparato a giocare il professore ci picchiava sopra con un martello producendo un forte rumore. Ogni volta che si avvicinava al cagnolino BUM. Ogni volta che si avvicinava al coniglietto: BAM. E così via. Le reazioni del piccolo Albert furono (ovviamente) di pianto isterico, ed avendo intuito che ad ogni tentativo di avvicinamento corrispondeva al rumore molesto, tentava di scappare. Dopo 17 giorni di esperimenti si instaurò un transfert avverso verso tutti gli oggetti di natura simile: Pellicce, coperte, cotone, fino ad avere addirittura delle crisi di panico alla vista di una maschera di Babbo Natale. Il passo successivo sarebbe stato quello di “deprogrammare” il bambino, ma la madre lo portò via prima che gli esperimenti potessero proseguire. Per anni il mistero sull’identit{ della donna rimase tale finchè, dopo una lunga ed accurata ricerca, si scoprì che non si trattava della madre naturale del piccolo Albert, bensì una bambinaia che allattava e curava i bambini alla Phipps Clinic presso la Johns Hopkins University di Baltimora, guarda caso il luogo ove avvenne l’esperimento. Viene naturale chiedersi quanti altri bambini furono utilizzati per “test” simili. C’è da aggiungere che la donna era consenziente e portò via l’infante quando vide i risultati che la ricerca produceva su di lui. Non ci è dato sapere se il piccolo Albert è guarito o se ha avuto ripercussioni fobiche per tutta la vita. La scimmietta di Harlow. Harry Harlow e dei suoi cuccioli di scimmia usati come cavie per dimostrare quanto l’amore materno sia importante per lo sviluppo e la sopravvivenza di un infante. Egli era docente presso l’Università del Wisconsin, ed intuì che il legame madre-figlio andava aldilà del semplice bisogno nutrizionale istituendo di fatto l’affetto come bisogno primario. Iniziò col prendere dei cuccioli di macaco e separarli dalla madre, chiudendoli in piccole celle buie (denominate pits of dispair, “pozzi della disperazione”) per periodi di tempo prolungati, anche della durata parecchi mesi. Naturalmente non reagirono bene: depressione, aggressività e turbamenti comportamentali caratterizzarono lo sviluppo dei cuccioli, ma non solo… Egli notò che staccavano i tappetini dal fondo delle gabbie per abbracciarli sviluppando di fatto un attaccamento, allora ritenuto insensato, per una figura che potremmo denominare “madre surrogata”. Ecco l’illuminazione: Sar{ più importante lo stimolo della fame o quello dell’attaccamento materno? Dal 1957 al ’63 si susseguirono una serie di esperimenti nella quale divise dalle madri naturali le scimmiette appena nate dotandole di differenti tipi di madri surrogate. In particolare due: la prima denominata “madre di pezza”, era soffice e riscaldata ma senza latte e la seconda, denominata “madre di ferro”, era formata da fili d’accaio ed assolutamente inadatta a dare alcun tipo di “calore” ma possedeva un biberon contenente l’alimento liquido. Bene, le scimmiette rimanevano tutto il tempo abbracciando la “madre di pezza”, quando avevano fame correvano dalla “madre di ferro”, si nutrivano per pochi secondi e tornavano subito dalla “soffice scultura” (il video è nell’approfondimento).Egli aveva dimostrato come il bisogno affettivo fosse più importante di quello nutrizionale, ma i disturbi comportamentali proseguivano mostrando comportamenti antisociali, si nascondevano rannicchiate in un angolo e venivano evitate e escluse dalle altre scimmie. Quelle allevate dalla sola “madre di ferro” invece presentavano gravi squilibri mentali che le portavano anche a tentare il suicidio in presenza di altri esemplari. Ecco che il dottor Harry Harlow decise di continuare con altri esperimenti per capire scientificamente quali caratteristiche dovesse avere una madre. Costruì altre madri-surrogato utilizzando diversi materiali, cambiandone quindi la consistenza, notando che più la madre era soffice più veniva apprezzata. Successivamente provò a far passare dell’acqua fredda tramite una serpentina inserita all’interno della “madre preferita” ed i cuccioli iniziarono ad evitarla come se fosse morta. Ma se fosse stata semovente? Appese dei morbidi sacchi a circa un metro da terra e… SORPRESA: le adoravano!Per ora è arrivato a capire che una mamma deve essere soffice, calda e non statica. Ecco che volle quantificare quanto fosse importante la presenza di una madre, costruendo delle vere e proprie torture: “Madri di pezza” dotate di congegni a molla che scattavano quando il cucciolo le abbracciava, scaraventandolo letteralmente a metri di distanza, altre che lanciavano getti d’aria compressa ed infine costruì anche madri stile “Vergine di Norimberga”, con spuntoni che uscivano dal corpo che trafiggevano il malcapitato ad ogni tentativo di ricevere quel po’ di calore materno, spuntando al momento opportuno. Nessun cucciolo demorse dal provare ad abbracciarle, ripetendo la stessa scena periodicamente. Dolore, spavento ed umiliazione erano meno forti del bisogno di ricevere calore materno. Naturalmente l’esperimento aveva oltrepassato ogni limite etico e morale, e questo ebbe un effetto sulla “sensibilit{ popolare”, al punto che il dottor Harry Harlow cercò di “risollevare” la propria reputazione interrompendolo e tentando di riabilitare le scimmiette (senza successo) ma non servì a nulla. Fu etichettato come scienziato sadico, continuando a ricevere feroci critiche dai colleghi e dalla carta stampata. Non entro nel merito definendo il dottor Harry Harlow un sadico o un genio, mi limito a riportare che oltre alla ricerca psicologica questi esperimenti ebbero un altro effetto: iniziarono a spuntare come funghi le associazioni animaliste ed altre che si batterono per la tutela degli animali utilizzati come cavie da laboratorio, chiedendone oltre che la salvaguardia fisica (finchè possibile) anche il rispetto etico e morale (sempre). Paragrafo 7 Diversi tipi di test psicologici. In psichiatria, per fortuna per certi aspetti, non è possibile avere dei test diagnostici, non esistono esami più o meno invasivi che esplorino la psiche, fornendo dei dati oggettivi. Se si fa una radiografia, una TAC, una RMN, troverete un riscontro visivo che vi da' informazioni su qualche cosa, su aspetti anatomici o fisiologici. In psichiatria non esistono esami di questo tipo. Esistono dei test, delle scale di valutazione, sulle quali non si fa mai diagnosi (è una premessa importante)., nessuno psichiatra si sognerebbe di fare diagnosi su una scala di valutazione, su un test, su un questionario. Possiamo distinguere le scale di valutazione secondo alcune categorie. Una prima categoria potrebbe essere "chi fa" questa scala: test autosomministrati: si da' un questionario al paziente, che lo compila e poi lo restituisce, (ad es. il TCI, distribuito a lezione); un problema è che il paziente risponde un po' come vuole; le domande possono essere: - a risposta aperta (tre righe, cinque righe, una pagina…): in genere sono poco confrontabili - a risposta chiusa (sì/no, vero/falso, quale delle tre…): si prendono, si contano i numeri, si fa un'analisi statistica, quindi sono più semplici, ma più aridi; - test eterosomministrati: sono le classiche scale di valutazione (es. scala di valutazione della depressione di Hamilton, HAM-D); il terapeuta, lo specialista, intervista il pz e alla fine del colloquio prende la scheda, in cui ci sono delle domande, e da' lui le risposte (ad es. "il pz soffre di insonnia?" se sì mette la crocetta su "insonnia"), lo compila per dare una valutazione del suo paziente; in genere occorre un certo grado di addestramento per fare bene una scala di valutazione, perché se non siamo d'accordo su cosa voglia dire "insonnia", che cosa voglia dire "idee di morte", che cosa voglia dire "umore depresso", può darsi che due colleghi diano diverse valutazioni dello stesso paziente; inoltre a volte non c'è solo il sì/no ma occorre dare un punteggio; perciò occorre un addestramento: spesso si fanno dei seminari, delle giornate di addestramento sulle principali scale. - Un'altra distinzione che possiamo fare è tra test di tipo proiettivo e test di tipo non proiettivo: - - Test proiettivi: (es. test di Rorschach) si da' uno stimolo non strutturato, una cosa indefinita e si permette al pz di dare una sua interpretazione; nessuno ha stabilito delle risposte esatte, le immagini sono indefinite, è una proiezione di chi fa il test vederci una farfalla, un pipistrello… I test proiettivi sono molto ricchi di informazioni sulla personalità, sulla fantasia, sul grado di intelligenza, su elementi di tipo dinamico cioè di tipo inconscio (io proietto parte delle mie dinamiche consce e inconsce su uno stimolo non perfettamente strutturato e ne do' un'interpretazione). C'è il problema della codifica, della confrontabilità: è un test difficile da validare, cioè è difficile ottenere dei dati attendibili confrontabili con altri pz o con altri gruppi; questa difficoltà ha fatto sì che negli ultimi tempi questo tipo di test non venga molto usato nella ricerca; continua invece ad essere molto utilizzato in ambito clinico. C'è anche il problema delle influenze culturali (somministrare degli stimoli non strutturati è uguale per noi, per uno statunitense, per una persona dell'Africa?). Test non proiettivi: quelli di voi di sesso maschile hanno fatto la visita di leva, a un certo punto si fa un test in cui ci sono un sacco di domande, bisogna mettere le crocette: quel test si chiama MMPI, è un test proiettivo, non a risposta chiusa, che indaga molte aree della psicologia, viene molto usato negli screening di massa e dovrebbe evidenziare chi ha dei tratti psicotici, chi ha dei tratti nevrotici e chi è "normale". Al suo interno ha delle scale di verifica; tutte le risposte sono coordinate in circa 11 scale, una di queste è per controllare se il pz dice bugie: ci sono domande a cui il pz deve rispondere in un certo modo, se non risponde così o sta simulando o va a caso, (ad es. "vuoi bene al papà e alla mamma?" uno dovrebbe rispondere sì, se uno risponde no bisogna vedere perché ha risposto di no) se ha risposto in modo stravagante a tutte queste domande è probabile che abbia cercato di dare la risposta peggiore, se ha risposto a metà in modo stravagante è probabile che stia rispondendo a caso. Quindi ci sono all'interno dei grandi questionari delle scale interne di controllo dell'attendibilità, questo perché un limite di questi questionari è che chi risponde al questionario non sempre risponde in modo conforme a quello che davvero pensa, pensate all'importanza della simulazione nelle perizie medico-legali (ad es. una perizia psichiatrica per capire se uno che ha commesso un reato è capace di intendere e di volere). Il test psicoattitudinale Il test psicoattitudinale è un test standardizzato progettato per misurare l'idoneità di una persona a ricoprire determinate posizioni lavorative, se l'ambito di applicazione è quello dei concorsi o dei colloqui di assunzione, oppure a sviluppare abilità specifiche o ad acquisire nuove conoscenze nel caso l'ambito sia quello scolastico. Nei settori della formazione, della certificazione e della consulenza e anche in altri settori, un test psicoattitudinale è uno strumento inteso a misurare nell'individuo esaminato l'espressione delle conoscenze, capacità e abilità. Un test contiene più domande solitamente con livello di difficoltà crescente e richiede generalmente più tempo per essere completato, rispetto ad un semplice quiz. Un test è di solito suddiviso in due o più sezioni ciascuna delle quali copre una area specifica nell'ambito dell'argomento principale. Un test psicoattitudinale è di solito un test standardizzato, cioè un test che ha lo scopo di confrontare i risultati forniti dal singolo individuo con determinati parametri statistici ritenuti standard rispetto all'universo della popolazione. La differenza fondamentale tra i test psicoattitudinali e i test della personalità è che i primi sono o dovrebbero essere incentrati sulle specifiche competenze richieste per ricoprire un ruolo professionale o per essere ammessi a determinati percorsi di studio, mentre i secondi sono incentrati sulla personalità in generale. Un problema che si pone subito è il seguente: i test psicoattitudinali sono scientificamente validi? La validità statistica degli standard presi a riferimento è importante per numerose ragioni, la più importante delle quali è la scelta del campione di persone sulle quali il test viene preliminarmente costruito. Un altro problema è quello del peso relativo che viene dato ai differenti parametri valutativi dal momento che è impossibile prescindere da un certo grado di soggettività. I pesi infatti vengono stabiliti da chi ha progettato il test, di solito una società di consulenza specializzata. I test psicoattitudinali sono utilizzati in molti paesi come base per autorizzare l'ammissione degli studenti a università e istituzioni formative. I test psicoattitudinali appartengono alla categoria più generale dei test psicometrici. Esistono test psicometrici di 3 tipologie: 1) test di abilità; 2)test psicoattitudinali; 3)test della personalità. Spesso i termini “test di abilità” e “test psicoattitudinali” vengono utilizzati come sinonimi ma in realtà ci sono delle differenze sostanziali. I test di abilità misurano il potenziale di una persona, per esempio la capacità potenziale di apprendere le competenze necessarie per svolgere un nuovo lavoro o per essere ammessi ad un corso di formazione. I test psicoattitudinali o di conseguimento invece certificano quello che le persone hanno già imparato, ad esempio una preparazione matematica di base o saper battere a macchina. Naturalmente quello che le persone hanno appreso dipende dalle loro capacità o abilità generali in quel campo, quindi i punteggi nei due tipi di test sono legati concettualmente. Molti quesiti sembrano identici ma quelli relativi ai test psicoattitudinali hanno una caratteristica particolare: la retrospettività. I test psicoattitudinali si focalizzano sulle competenze già acquisite dal candidato e quindi su ciò che egli può fare ora. I test di abilità sono invece prospettivi, essi si focalizzano piuttosto su ciò che la persona è potenzialmente in grado di fare in futuro o sul potenziale di apprendimento. I test di intelligenza I test di intelligenza sono degli strumenti, costituiti da domande e compiti, usati per misurare le capacità mentali superiori. E' necessario, innanzi tutto, definire il concetto di “intelligenza”. Molti studiosi si sono occupati di questo problema, proponendone ognuno una differente definizione e conseguenti differenti modalità di misurazione. L’intelligenza sembrerebbe essere il risultato di abilità strettamente cognitive, quali capacità logiche, di ragionamento e memoria, combinate a tratti di personalità e altri tratti non intellettivi quali la concentrazione, la perseveranza e l’ansia che influiscono sulle prestazioni. L’intelligenza varia con il passare del tempo perché è legata all’apprendimento e alla stimolazione che l’ambiente offre all’individuo, ma un forte peso è dato anche dalle componenti genetiche che ne stabiliscono i limiti. Un bambino opportunamente stimolato dalla scuola, dalla famiglia e dagli amici è destinato ad arricchire le sue conoscenze con un conseguente aumento delle potenzialità di successo nella vita, ma allo stesso tempo non si può pretendere che quel bambino impari cose per cui non è assolutamente portato. Le possibilit{ di imparare e affrontare stimoli con successo cambiano con l’avanzare dell’et{, per cui si usa convenzionalmente la distinzione tra: A. “intelligenza fluida” data dalla capacit{ di reagire adeguatamente di fronte a stimoli nuovi, aumenta fino a circa 30 anni per poi declinare lentamente; B. “intelligenza cristallizzata”: implica il sapere usare strategie, esperienze e conoscenze per affrontare le situazioni, accresce durante tutto il corso della vita. Paragrafo 8. Descrivi gli esperimenti più celebri in psicologia. l test di Rorschach Che cos'è? Il test di Rorschach è un noto strumento 'reattivo' per l'indagine della personalità. Il test si basa sull'interpretazione delle macchie di Rorschach (così chiamate dal nome del loro creatore, lo psicologo svizzero Hermann Rorschach) da parte dei soggetti esaminati. A cosa serve? Il test di Rorschach è un reattivo proiettivo di personalità: attraverso le risposte fornite a stimoli indeterminati, quali costituiti dalle macchie, un soggetto evidenzia le caratteristiche che costituiscono la propria personalità. Attraverso lo studio di queste caratteristiche, si giunge ad una definizione delle modalità comportamentali e a una diagnosi psicologica, utile anche a fini terapeutici. E' un test molto usato in ambito clinico ma anche a livello giuridico e ovunque sia necessario esplorare le dinamiche interpersonali. Il test di Rorschach sfrutta il meccanismo inconscio della proiezione e si basa sull'antico principio secondo cui, dato uno stimolo ambiguo, il soggetto vede nella macchia più un prodotto della sua fantasia - che prende a pretesto lo stimolo per 'proiettare' immagini e memorie - che non una percezione diretta e oggettiva. Il test si compone essenzialmente di 10 tavole, su ciascuna delle quali è riportata una macchia d'inchiostro simmetrica: 5 monocromatiche, 2 bicolori e 3 colorate. Le tavole vengono sottoposte all'attenzione del soggetto una alla volta; per ciascuna di esse senza limiti di tempo - viene chiesto al soggetto di esprimersi su ciò cui la macchia somiglia. Non esistono risposte giuste o sbagliate, ma dall'interpretazione delle risposte date è possibile delineare un profilo di personalità e identificare eventuali nodi problematici del soggetto. Viene conteggiato però il tempo di risposta. Le parole dell'intervistato vengono tradotte in una specie di stenografia, detta anche'siglatura', che permette di formulare un profilo della natura profonda del soggetto.