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Alla Corte Suprema di Cassazione - Cancelleria Centrale Penale Richiesta di rimessione (artt. 45 sgg. c.p.p.). (rif. proc. penale n.4269/13 R.G. PM) Deduce di persona e richiede quanto segue il sottoscritto Ugo GIGLI, nato a Viterbo il 30 novembre 1939 ed ivi residente in via del Recinto n.9, località La Quercia, in qualità di imputato nel procedimento penale indicato in epigrafe a seguito di richiesta del p.m. dott. Renzo Petroselli recante la data del 24 luglio 2014. A seguito di tale richiesta e dopo le vicende descritte in prosieguo è stata fissata l’udienza preliminare, per la data del ….. poi differita a quella del 27 marzo, davanti al g.u.p. dott. Salvatore Fanti. Lo scrivente ha ricoperto per diversi anni l’incarico di direttore generale dell’Istituto Autonomo Case Popolari (oggi Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale) di Viterbo, essendo stato in passato sempre confermato nell’incarico in scadenza; ed esercitando da ultimo, dopo il pensionamento, la medesima funzione in forza di contratti di diritto privato approvati dal Consiglio d’Amministrazione dell’Azienda, il più recente con scadenza alla fine del 2016. Tra i dipendenti dell’Azienda figurava la ing. Angela Birindelli, rientrata in servizio dopo un periodo di distacco presso la Regione Lazio dove era stata chiamata a ricoprire l’incarico di assessore all’Agricoltura nella giunta Polverini. I dipendenti tecnici, secondo il regolamento dell’ATER, possono assumere incarichi professionali esterni, a condizione che essi siano stati denunciati all’Azienda e dalla stessa autorizzati. Costituisce illecito disciplinare lo svolgimento di incarichi non autorizzati, i cui eventuali proventi debbono essere devoluti all’Azienda. Accertato pertanto, in occasione di uno dei periodici controlli di routine, che la Birindelli aveva assunto alcuni incarichi non autorizzati, le veniva contestato l’addebito con invito a presentare le proprie giustificazioni. In luogo di ciò la Birindelli si poneva in malattia e inoltrava una prima denuncia contro lo scrivente. Le ulteriori vicende relative alla risoluzione del rapporto di lavoro tra l’ATER e la Birindelli, rimasta assente dall’ufficio per un anno circa, non rilevano nella presente sede; e sono comunque oggetto di due cause di lavoro, promosse l’una dalla Birindelli e l’altra dall’ATER. Lamentava la Birindelli nella propria denuncia di essere vittima di iniziative gratuitamente persecutorie, qualificate come “mobbing”; e sosteneva che tutti gli incarichi assunti erano stati regolarmente autorizzati dallo scrivente. Depositava a conferma di tale assunto copia di autorizzazioni apparentemente a mia firma; ma una consulenza tecnica da me affidata ad un grafologo (d.ssa Tiziana Agnitelli) accertava agevolmente che questa era stata estrapolata con mezzi informatici da un atto a mia firma autografa e trasferita sui documenti depositati dalla Birindelli a corredo della denuncia. Sporgevo pertanto a mia volta formale denuncia contro la stessa; e altre denunce venivano, per eventi successivi, inoltrate in tempi diversi dall’una e dall’altra parte. Tutti i procedimenti originati dalle reciproche denunce sono stati di volta in volta assegnati al sostituto dott. Petroselli. Quelle della Birindelli sono state subito iscritte e sono state seguite da indagini a tamburo battente. Le mie denunce, invece, sono state ritenute indegne dell’attenzione del p.m. e pertanto iscritte con notevole ritardo, senza poi - a quel che se ne sa - trovare alcun seguito di indagine; tant’è che è stato necessario di recente, scaduti i termini massimi, sollecitarne l’avocazione da parte del Procuratore Generale. Il comportamento del dott. Petroselli è apparso immediatamente anomalo e comunque lontano da quella obiettività che dovrebbe distinguere l’operato di qualsiasi magistrato; e lontano in particolare dal rispetto del dovere istituito per il pubblico ministero dall’art. 358 c.p.p., che gli prescrive di indagare anche nell’interesse della persona cui è attribuito il reato. Più precisamente, il dott. Petroselli rispetta anche ben al di là dell’obbligo di legge i diritti della Birindelli; ma ignora del tutto quelli dello scrivente, che al pari della Birindelli riveste la qualità contemporanea di indagato e di persona offesa dal reato. Vi è invero una vistosissima disparità di trattamento tra i protagonisti della vicenda: le mie denunce non hanno avuto finora alcun seguito e sono state, per quel che se ne sa, sistematicamente ignorate quando addirittura non iscritte o iscritte con enorme ritardo (ho consumato molto tempo in pellegrinaggi quasi quotidiani presso gli uffici della Procura per avere le notizie cui avevo diritto ai sensi dell’art. 335 c.3 c.p.p.); e neppure, per quel che se ne sa, degnate ad oggi di una richiesta di archiviazione. Quelle della Birindelli, invece, hanno avuto effetto sempre immediato, al punto di essere seguite da pressoché contestuali decreti di perquisizione (ovviamente senza esito apprezzabile), redatti in tutta fretta dal dott. Petroselli e accompagnati da un avviso di garanzia parimenti redatto in tanta fretta da non contenere neppure la menzione del titolo di reato ipotizzato a mio carico. Ne deriva che io attendo, dopo la richiesta di rinvio a giudizio, l’udienza preliminare e dovrò affrontarla nella veste di imputato; mentre la Birindelli, non disturbata affatto dalle mie denunce, vi parteciperà nella candida veste di persona offesa. Come ovvio, eserciterò nella sede naturale il mio diritto di difesa, sperando di trovare migliore attenzione di quella che mi è stata riservata dal dott. Petroselli; ma ho ragione di nutrire qualche dubbio al riguardo, per quanto mi accingo ad esporre di seguito. Ad onta della moltiplicazione artificiosa dei capi di imputazione, per cui i pretesi episodi di abuso d’ufficio, di calunnia e di diffamazione vengono contestati tre o quattro volte ciascuno al probabile scopo di avvalorare all’esterno l’immagine di una imponente condotta criminale posta in essere dallo scrivente, l’indagine da compiere sarebbe stata una soltanto e non avrebbe comportato particolare difficoltà: si trattava nella sostanza di accertare, mediante una perizia grafica da eseguire in sede di incidente probatorio o almeno mediante una consulenza tecnica, se fossero autentici o meno i documenti prodotti dalla Birindelli per provare l’esistenza dell’autorizzazione all’assunzione di incarichi esterni. Nella seconda ipotesi decadevano automaticamente, oltre a quella di falso per soppressione, tutte le collegate imputazioni di abuso d’ufficio, di diffamazione e di calunnia. Si trattava, pertanto, di un accertamento decisivo ai fini della verifica del fondamento dell’accusa; e non già di una proposta dilatoria dell’indagato, il cui assunto era comunque avvalorato da una motivatissima e documentatissima relazione tecnica, della quale si sollecitava la verifica da parte del p.m. procedente. Non si pretendeva certamente di attribuire valore di prova ad una consulenza di parte; ma si richiedeva soltanto che essa fosse presa in considerazione e verificata nel suo fondamento. Il dott. Petroselli dichiara invece piena fiducia nelle dichiarazioni della Birindelli e su di esse soltanto fonda l’accusa, ritenendole tanto attendibili da dover essere accettate a scatola chiusa e da rendere superfluo qualsiasi accertamento tecnico. E ciò, non si può fare a meno di osservare, quando la stessa Procura di Viterbo, nella persona di altro sostituto, ha chiesto il rinvio a giudizio della Birindelli per gravissimi reati contro la pubblica amministrazione commessi con abuso del suo mandato di assessore della Regione Lazio; e quando, almeno secondo notizie di stampa, penderebbero nei suoi confronti altri procedimenti penali per reati della stessa indole anche a Roma e a Civitavecchia. Ad onta di ciò Il dott. Petroselli non pare essere sfiorato nondimeno dal minimo dubbio circa la attendibilità assoluta della Birindelli, al punto di ignorare addirittura l’operato del “collega della porta accanto” e di trasformare automaticamente in imputazioni di calunnia le denunce dello scrivente, senza neppure essersi scomodato a richiederne preventivamente l’archiviazione. E veniamo a quanto accaduto in seguito. La difesa dello scrivente, constatata la inutilità assoluta degli esposti al Procuratore della Repubblica dott. Pazienti sull’operato del dott. Petroselli, si era risolta da ultimo a presentare richiesta di incidente probatorio per l’espletamento di una perizia sulla autenticità dei documenti prodotti dalla Birindelli onde dimostrare l’esistenza della autorizzazione all’espletamento di incarichi esterni. Il g.i.p. aveva nominato due periti e fissato udienza per gli incombenti di legge. Compariva a tale udienza il dott. Petroselli; il quale, in un intervento protrattosi per un’ora abbondante, si opponeva furiosamente alla perizia perché a suo dire inutile e comunque esperibile anche in dibattimento senza determinarne apprezzabile ritardo. Formulava anche alcune eccezioni in rito, tra cui l’incompetenza “funzionale” del g.i.p. d.ssa Franca Marinelli. Si trattava in realtà, a quanto pare di capire, della pretesa (ed inesistente) violazione di norme tabellari, la cui inosservanza non rileverebbe comunque sulla capacità del giudice secondo il disposto espresso dell’art. 33 c.2 e c.3 c.p.p. A seguito di tali eccezioni l’udienza veniva rinviata al 2 ottobre. In apertura della stessa la d.ssa Marinelli leggeva un’ordinanza con la quale veniva rigettata l’eccezione di incompetenza sollevata dal p.m. L’ordinanza provocava la scomposta reazione del dott. Petroselli, il quale proclamava di fronte agli allibiti presenti (periti compresi) che il provvedimento era “da Consiglio Superiore della Magistratura”. Dopo di ciò l’udienza veniva rinviata al 16 ottobre; ma a quest’ultima udienza la d.ssa Marinelli, che aveva nel frattempo informato per iscritto dell’accaduto il presidente del Tribunale, formulava dichiarazione di astensione e rinviava ancora una volta ad altra udienza. Si registra a questo punto una ulteriore vistosissima anomalia. La richiesta di astensione poteva essere accolta, con contestuale assegnazione del procedimento ad altro giudice, o rigettata; ma il presidente del Tribunale, seguendo una prassi inedita, non ha fatto né l’una, né l’altra cosa; o, se si vuole, ha fatto tutte e due le cose insieme. Non ha accolto, cioè, la dichiarazione di astensione, non ravvisandone i presupposti; ma ha nominato altro giudice, nella persona del dott. Salvatore Fanti per la trattazione del procedimento incidentale, con ciò spogliando dalla sua cognizione la d.ssa Marinelli. Ciò in quanto, a suo avviso, la sentenza 10.3.1994 n. 77 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale egli artt. 392 e 393 c.p.p., affermerebbe che l’incidente probatorio può sì essere richiesto anche dopo la chiusura delle indagini preliminari, ma in tal caso soltanto per l’udienza preliminare; e, dato che la richiesta di rinvio a giudizio (per la cronaca notificata allo scrivente e ai suoi difensori soltanto il ****) reca la data del 24 luglio 2014, la decisione sull’incidente probatorio competeva al dott. Fanti, designato quale giudice dell’udienza preliminare già fissata (anche ciò si è appreso con l’occasione). Si è con ciò spogliata della cognizione del procedimento la d.ssa Marinelli, che il p.m. Petroselli aveva mostrato di non gradire; e si è designato al suo posto altro giudice al p.m. più accetto (il dott. Fanti è suo coetaneo e, pare, compagno di scuola). Ci si consenta di aprire a questo punto una breve parentesi sul conto del dott. Fanti, che è pure una figura essenziale nel quadro della presente vicenda. Si tratta di un anzianissimo magistrato che, al pari del dott. Petroselli, ha trascorso in massima parte a Viterbo la propria vita professionale; e sempre nell’esercizio delle funzioni di primo grado. Una modifica dell’ultima ora apportata al d.l. Renzi gli ha risparmiato il pensionamento anticipato al 31.10.2014 previsto in una prima versione del testo; e lo ha trattenuto in servizio fino alla fine dell’anno corrente, sempre al pari del dott. Petroselli. Dalle cronache giudiziarie risulta che molto spesso, per non dire abitualmente, egli è chiamato a decidere, come g.i.p. o come g.u.p., sulle richieste del dott. Petroselli. Uno di questi casi è il cosiddetto “caso Manca”, relativo alla morte di un giovane e valentissimo medico di origine siciliana operante presso l’ospedale di Viterbo, da loro liquidata come fatto accidentale nonostante le perplessità enormi legittimate da emergenze obiettive. Tale caso ha fatto balzare entrambi agli onori della cronaca nazionale, avendo largamente interessato i mass media anche con trasmissioni televisive importanti e provocato una serie di interrogazioni parlamentari sull’operato dei due magistrati; nonché l’interesse della Commissione Antimafia, che ha convocato il dott. Petroselli e il Procuratore della Repubblica dott. Pazienti per una audizione e che dovrà sentirli ancora. Sul caso ha rilasciato di recente un’intervista l’on. Claudio Fava, vicepresidente della Commissione, che esprime enorme perplessità sull’operato della magistratura viterbese. Non si pretende certamente di istituire un parallelo tra un caso di enorme gravità quale il caso Manca e la vicenda dello scrivente; ma il modus operandi dei magistrati interessati appare molto simile. Non inganni il fatto che il dott. Fanti abbia presentato dichiarazione di astensione dall’udienza preliminare, poi rigettata dal pres. Pacioni, perché la Birindelli è imputata in altro procedimento in cui sua figlia si è costituita parte civile. Se non si tratta di un giuoco delle parti, resta comunque il fatto che il dott. Petroselli è riuscito a pilotare, con la collaborazione del dott. Pacioni, la decisione sulla richiesta di incidente probatorio in mani più familiari ed a lui più accette di quelle della d.ssa Marinelli; ed è ciò che conta. Ciò si evidenzia allo scopo di far risaltare che il pregiudizio ambientale dedotto a fondamento della richiesta di rimessione non dipende già dall’isolato comportamento del dott. Petroselli, anche se costui ne è l’attore principale, ma è imputabile anche ad altri magistrati, due dei quali ricoprono incarichi direttivi a Viterbo. Si tratta già, quindi, di un gruppo tutt’altro che insignificante, tenuto conto dell’organico degli uffici giudiziari di un piccolo capoluogo di provincia; e tenuto conto altresì che gli interessati, per gli incarichi direttivi ricoperti o per la loro anzianità di servizio sul posto, sono indubbiamente in grado di condizionare l’operato dei colleghi meno anziani e meno legati al territorio e di influire sulle loro determinazioni. Si deve aggiungere per la cronaca che l’infaticabile Petroselli, avendo appreso che il giudice del lavoro investito della decisione sulla legittimità dei provvedimenti dell’ATER sulla Birindelli aveva disposto una perizia grafologica sulla autenticità dei documenti prodotti dalla stessa, ha preso a frequentare assiduamente quell’ufficio, a parlare con i magistrati ad esso addetti e addirittura ad impartire ordini al personale amministrativo, come i miei legali hanno personalmente constatato; nonché ad interferire con l’operato dei consulenti tecnici da me nominati, come meglio si vedrà appresso. Vi sono poi più che sospette sinergie con ambienti esterni all’amministrazione della giustizia. Ed invero, è in atto da tempo in danno dello scrivente diretta al fine una campagna di delegittimazione ostinata, diretta al fine apertamente perseguito di costringere lo scrivente alle dimissioni o di provocarne la rimozione dall’incarico. Tale incarico è senz’altro appetito da molti e rientra in un “risiko” le cui pedine sono costituite da una serie di incarichi di prestigio e di potere (primari ospedalieri, amministratori di società partecipate da enti locali, presidenti di ASL, etc.), gestito dal potere politico e dai suoi esponenti locali in competizione tra loro; ed ogni incarico ha una valenza sulla cui base possono essere avviate negoziazioni nonché operati scambi e compensazioni. Ora, l’inopportunità di una mia permanenza nell’incarico era stata sostenuta già qualche tempo prima dei fatti, in diverse interviste alla stampa locale, dalla allora presidentessa dell’ATER Gabriella Grassini, amica intima della Birindelli; e le vicende processuali fin qui riassunte sono state puntualmente anticipate o seguite da interrogazioni dei consiglieri regionali Francesco Storace e Daniele Sabatini, che richiedono la mia testa al presidente Zingaretti. Gli stessi si mostrano così informati dell’iter delle indagini, da esserne informati prima dei difensori dello scrivente; così come se ne mostra informato in tempo reale un sito locale, che pubblica un “giornale” on line (“Etruria News”), gestito da tale Paolo Gianlorenzo, balzato di recente agli onori delle cronache (vedi “Il Fatto quotidiano” dello scorso 13 marzo, pag.2) per aver aggredito un inviato della trasmissione “Servizio Pubblico” che riprendeva una manifestazione davanti a Palazzo Grazioli. Si tratta di un fascista dichiarato, reduce dalle patrie galere ed attualmente imputato di gravissimi reati, alcuni dei quali ascrittigli in concorso con la Birindelli. Frequenta nondimeno, pare, gli uffici della locale Procura in cerca di notizie e di confidenze; e vi è ben ricevuto. Difende accanitamente le iniziative del dott. Petroselli nei miei confronti. Venendo al passato più recente, le pressioni del dott. Petroselli hanno alla fine prodotto almeno temporaneamente i loro effetti. Lo stesso aveva più volte assunto a sommarie informazioni testimoniali l’attuale commissario straordinario dell’ATER, avv. Pierluigi Bianchi; il quale si era sentito chiedere se trovasse normale la mia permanenza per tanti anni nell’incarico ricoperto, se non trovasse troppo elevato il mio stipendio, se non esistesse la possibilità di ottenere le mie dimissioni e se non fosse il caso che egli sollecitasse in tal senso il presidente della Regione. Obbedendo alla fine all’invito (ed anche, pare, su input di due funzionari della Regione, mandatari dello Storace), il Bianchi si è alla fine adattato a fare quanto gli si chiedeva; e ha rimosso dall’incarico lo scrivente. Quest’ultimo, come ovvio, si è immediatamente rivolto al giudice del lavoro, chiedendo l’adozione di un provvedimento d’urgenza che lo restituisse alle sue funzioni. Il giudice designato, nella persona della d.ssa Angela Damiani, si è riservata la decisione; ma, ad un mese di distanza dalla richiesta non ha ancora sciolto la riserva. Ciò induce a ritenere che il pregiudizio ambientale denunciato dallo scrivente contagi ormai qualsiasi magistrato del Tribunale di Viterbo che si accosti alle sue vicende. Ed invero, come si è già esposto dianzi, il dott. Petroselli ha preso a presidiare anche gli uffici del giudice del Lavoro; tant’è che da ultimo ne ha allontanato i miei consulenti, presenti per prendere visione del fascicolo della causa, come era loro diritto, affermando che il fascicolo non poteva essere visionato che in sua presenza (!!) e invitandoli a tornare dopo qualche giorno perché quella mattina era impedito e non si poteva trattenere a lungo fuori del proprio ufficio. Il fatto supera qualsiasi fantasia e denuncia il delirio di onnipotenza da cui l’interessato sembra ormai affetto. Non pago di quanto fin qui operato, il dott. Petroselli ha aperto da ultimo un nuovo fascicolo processuale contro “ignoti”, nel quale viene ipotizzato il reato di peculato; ed occupa quasi ogni giorno gli uffici dell’ATER a mezzo della Guardia di Finanza, che formula domande (sempre sul conto dello scrivente, battezzato nell’occasione come persona ignota) e acquisisce documenti a casaccio, nella speranza che qualcuno di essi possa giovare all’ipotesi accusatoria e nella assenza totale di motivazione circa la fonte dell’iniziativa di indagine e la natura degli indizi da cui la stessa è stata originata. Si tratta, ad ogni evidenza, di una indagine “esplorativa”; e cioè diretta non già a verificare la fondatezza di una notizia di reato, bensì a fabbricarne una. La gravità di tale comportamento sfacciatamente illegittimo sarebbe inaudita; ma il dott. Petroselli ci ha ormai abituato a tutto. Si omettono, per doverosa brevità, altri fatti pur significativi non dedotti nella esposizione precedente. Non si vede, nella situazione fin qui descritta, come possa ancora confidarsi nella giustizia del Tribunale di Viterbo e porre in discussione il pregiudizio ambientale denunciato. Esso riguarda innanzi tutto non il dott. Petroselli soltanto, ma anche diversi altri magistrati degli uffici giudiziari di Viterbo; e in particolare il Procuratore della Repubblica e il Presidente del Tribunale. Il primo, cui i fatti erano stati puntualmente e ripetutamente segnalati, non ha fatto nulla per impedirne la reiterazione, pur avendo il dovere e il potere di intervenire. Il secondo non soltanto non ha fatto nulla per tutelare uno dei suoi giudici, dal dott. Petroselli addirittura minacciato e forzato all’astensione nel corso di una udienza camerale, ma ha poi (sulla base di una pretestuosa interpretazione della sentenza della Corte Costituzionale indicata in narrativa) pilotato il processo nelle mani del dott. Fanti, in cui il dott. Petroselli voleva che pervenisse. Da parte del giudice del lavoro d.ssa Damiani si attende ancora, al momento in cui viene ultimata la redazione della presente richiesta, lo scioglimento della riserva sull’istanza di sospensione urgentissima del provvedimento impugnato; ed è trascorso ormai un mese abbondante. Eventi recentissimi ci obbligano ad un ulteriore aggiornamento del testo della richiesta di rimessione, sperando vivamente che sia l’ultimo. La mattina del 19 marzo alcuni ufficiali di polizia giudiziaria si sono portati ancora presso la sede dell’ATER, in esecuzione di un ordine di esibizione della Procura, ed hanno acquisito la documentazione più disparata (tra cui vecchi bilanci non si immagina a qual fine utili). Con l’occasione hanno sequestrato un computer in dotazione ad una dipendente; e ciò in evidente violazione di legge, avendo agito sulla base di un ordine di esibizione che non prevedeva ovviamente il sequestro di cose. Ma non è ciò che conta. Importa invece notare che prima del loro intervento (e fin dal primo mattino) si era già radunata davanti alla sede un gruppetto di cronisti di giornali locali, tra i quali si distingueva il noto Gianlorenzo, sopra nominato. E’ dunque evidente che la notizia dell’accesso era stata diffusa già in precedenza presso la stampa locale; e che esiste un filo diretto tra quest’ultima e la Procura, in barba al segreto delle indagini. Il Gianlorenzo si intratteneva poi a colloquio con gli operanti, mostrando familiarità con essi. Ciò è senza dubbio inquietante; così come è inquietante un altro episodio verificatosi nella stessa giornata. Il legale che mi assiste davanti al giudice del Lavoro (avv. ………………….) si era spostata a Viterbo il 19 marzo per sollecitare lo scioglimento della riserva sulla richiesta di provvedimento d’urgenza. La dott.ssa Damiani riteneva di giustificare il vistosissimo ritardo, affermando che era in corso un procedimento penale per gravi reati. All’ovvia obiezione che non si vedeva come un fatto del genere potesse condizionare la sua decisione, replicava reiterando quanto già detto; e con ciò terminava il colloquio. Si osserva tra parentesi che la rimozione dello scrivente dal servizio era stata adottata non già per la commissione di illeciti da parte sua, ma sulla base di una norma regionale che prevedeva la decadenza dagli incarichi di matrice politica nel caso di mutamento della maggioranza di governo; norma inapplicabile allo scrivente, che aveva ottenuto il rinnovo del contratto non già per decisione della precedente maggioranza, ma in forza di regolarissima delibera adottata dal Consiglio di amministrazione dell’epoca. Il pregiudizio ambientale si tocca quindi con mano. Disse il mugnaio di Postdam che esistono giudici a Berlino. A Viterbo, invece, pare proprio di no. Non si dica che il pregiudizio lamentato può essere eliminato attraverso l’esercizio dei rimedi ordinari e dei mezzi di impugnazione previsti dal codice di rito. Innanzi tutto una sentenza di assoluzione, che interverrebbe a distanza di almeno due anni da oggi, non costituirebbe rimedio al danno ormai irreparabile costituito dal rinvio a giudizio per le conseguenze che lo stesso produrrebbe sul piano amministrativo. Di ciò sembra ben rendersi conto il dott. Petroselli, che ha fatto di tutto (per ora riuscendovi) per evitare quella perizia che proverebbe immediatamente la totale infondatezza delle accuse e renderebbe obbligatorio il proscioglimento immediato dello scrivente. Sintomatica in tal senso la furibonda opposizione, trascesa addirittura nella minaccia rivolta alla d.ssa Marinelli (sul fatto pende procedimento penale a Perugia): opposizione diretta ad ogni evidenza ad evitare un accertamento risolutivo che egli stesso avrebbe potuto e dovuto a suo tempo richiedere. Ma l’accertamento della verità sembra essere l’ultima cosa che gli sta a cuore. Ancora più preoccupante, infine, pare il comportamento dei capi degli uffici giudiziari interessati; i quali, in luogo di intervenire per ripristinare la legalità, usando dei poteri che l’ordinamento giudiziario loro conferisce, hanno di fatto avallato il comportamento del Petroselli e lo hanno aiutato a raggiungere il suo scopo. Certo, la richiesta di incidente probatorio verrà rinnovata nella ormai imminente udienza preliminare; ma sarebbe ingenuo attendere che essa venga accolta dal dott. Fanti, stanti i suoi rapporti con la persona del p.m. Per la rimozione del pregiudizio non esiste pertanto altra possibilità che l’intervento della Corte Suprema. Tanto premesso, si richiede la rimessione del procedimento al giudice competente; e ci si riserva la produzione di documenti e la presentazione di memorie illustrative. Con ossequio Ugo Gigli