BERGAMO PENSIONI E LIQUIDAZIONI: UNA VERA E PROPRIA

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BERGAMO PENSIONI E LIQUIDAZIONI: UNA VERA E PROPRIA
BERGAMO
PENSIONI E LIQUIDAZIONI: UNA VERA E PROPRIA MAZZATA PER I
DIPENDENTI PUBBLICI
Si riporta di seguito un lungo articolo apparso sulla rivista “Guida al pubblico impiego” del
mese di settembre c.a. a cura Fabrizio Bonalda, esperto in materia previdenziale, che analizza
le conseguenze della vera e propria riforma del sistema pensionistico avvenuta con
l’approvazione della manovra estiva.
L’articolo è lungo e di difficile lettura, tuttavia si ritiene che valga la pena per tutti i lavoratori
fare uno sforzo, almeno per rendersi conto, più o meno, di quale futuro li attende,
considerato che la platea dei dipendenti pubblici tende sempre più ad invecchiare.
La citata rivista appartiene al gruppo “Il sole 24 ore”, quindi non certo vicina ai soliti
“comunisti della CGIL”, e, pertanto, dovrebbe poter superare possibili atteggiamenti di
prevenzione.
Chi avrà la pazienza, magari con calma, di arrivare alla fine della lettura una volta di più potrà
chiedersi se davvero con la conversione del D.L. 78/2010 sono state eliminate le “asperità del
pubblico impigo” come ha sostenuto Raffaele Bonanni, Segretario Generale della CISL o se,
invece, si tratta di un provvedimento vessatorio nei confronti dei pubblici dipendenti.
G.M.B
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Dal 2011, una nuova finestra mobile ritarderà di 12 mesi l’uscita di tutti i lavoratori
dipendenti, incrementando di fatto i requisiti di un anno. Ma la vera novità sta
nell’introduzione di requisiti “dinamici”: in pratica, potremo sapere solo poco tempo prima
se e quando andremo in pensione, in quanto dal 2015 in poi, i requisiti, senza risparmiare
nemmeno quelli per l’assegno sociale, varieranno (nel senso dell’aumento o della stabilità,
ma non in quello della diminuzione) ogni tre anni in relazione alla variazione della
speranza di vita. Particolarmente bersagliate dalla manovra, in nome delle pari opportunità,
sono state le dipendenti pubbliche per le quali è stato introdotto un “muro” di 4 anni in
un colpo solo per il requisito anagrafico della pensione di vecchiaia, che si potrà ottenere non
prima dei 65 anni.
Questi in sintesi i principali interventi in campo previdenziale contenuti nel Dl n. 78/2010,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122/2010, che, comunque, nell’opera di
vessazione a 360 gradi del pubblico impiego, non si è dimenticato né della buonuscita né
delle ricongiunzioni e della totalizzazione.
Considerando le novità introdotte con la manovra unitamente ad interventi meno recenti, quali
la revisione triennale dei coefficienti di trasformazione per il calcolo della pensione con il
metodo contributivo, ne esce una vera e propria riforma in cui il nuovo look del sistema
pensionistico si basa su un mix di allungamento senza precedenti della permanenza al
lavoro, contestualmente ad un alleggerimento non indifferente delle tasche dei
lavoratori mediante una riduzione dell’assegno pensionistico.
Gli effetti, che saranno pesanti per tutti i dipendenti, colpiranno in modo particolare i
pubblici per i quali non è neppure possibile correre ai ripari con la previdenza
complementare il cui avvio è perseguito senza successo dall’ormai lontano 1999, causa
l’insufficienza delle risorse finanziarie.
Una riforma, uscita dall’ormai permanente cantiere previdenziale, con due obiettivi: fare
cassa nel breve periodo e correggere il trend dei conti di un sistema pensionistico
divenuto ormai insostenibile, trascurando, peraltro, gli aspetti umani e sociali legati
all’allungamento della permanenza al lavoro.
Manca, cioè, la possibilità di “scambiare” un anticipo volontario dell’uscita con una
riduzione della pensione da determinarsi secondo criteri di equivalenza attuariale, e la
ricerca di nuovi istituti in grado di consentire l’abbandono della “vita attiva” con criteri di
gradualità, sia per contemperare le esigenze professionali con gli inevitabili “acciacchi”
dell’età, sia per favorire un salutare ricambio generazionale.
Un anno in più per l’uscita effettiva
Le novità sono rilevanti: il Dl n. 78 del 2010 non risparmia alcuna tipologia di pensione. Sia i
lavoratori con 40 anni di contributi, sia quelli in possesso della quota per l’anzianità che del
requisito per la vecchiaia, si troveranno una finestra mobile personalizzata di 12 mesi dalla
data di maturazione del diritto. In pratica, l’assegno potrà essere percepito a decorrere dal
primo giorno del 13° mese successivo a quello di maturazione del requisito.
Per i dipendenti con 40 anni la finestra unica, rispetto alle quattro oggi previste, porterà ad
un incremento dell’attesa che va dai 7 ai 9 mesi. Infatti, per calcolare l’incremento effettivo,
dai 12 mesi vanno tolti i mesi di attesa già previsti dalle attuali finestre.
Un ritardo doppiamente penalizzante se si pensa che, dopo i 40 anni, l’aliquota di pensione
non cresce più e, per effetto del congelamento della base retributiva al dato 2010 e del
mancato rinnovo dei Ccnl 2010-2012, nemmeno la retribuzione pensionabile potrà generare
un aumento dell’assegno pensionistico in grado di compensare la maggiore permanenza al
lavoro.
Anche sul fronte anzianità, le due finestre annuali di gennaio e luglio verranno chiuse
per sempre ed il pagamento della pensione scatterà 12 mesi dopo la maturazione del
requisito, con uno slittamento, rispetto ad oggi, che va da un minimo di un mese ad un
massimo di 6 mesi.
Paradossalmente i più penalizzati, nonostante la maggiore età, saranno i pensionati per
vecchiaia, vale a dire quei lavoratori, 65enni uomini e 60enni donne nel privato e, dal 2012,
65enni donne del pubblico impiego, che, per effetto del Dl n. 78/2010, si troveranno a dover
stare al lavoro dai 7 ai 9 mesi in più.
Unico aspetto positivo sta nell’omogeneizzazione dei tempi di attesa che diventeranno
uguali per tutti, rispetto a quanto avviene, invece, con il sistema attuale in vigore fino al 31
dicembre in cui tali tempi variano in relazione al momento di maturazione dei requisiti.
Quando rimangono le vecchie finestre
Non tutti i lavoratori saranno, comunque, costretti a ritardare il momento della pensione per
effetto della finestra mobile. L’uscita con le finestre attuali viene, infatti, garantita ad
alcune categorie di lavoratori; in particolare:
ƒ lavoratori che maturano il diritto a pensione entro il 31 dicembre 2010;
ƒ per il personale del comparto Scuola viene confermata l’uscita unica di settembre
prevista dall’art. 59, co. 9, della legge n. 449 del 1997, che consente di andare in
pensione di anzianità o di vecchiaia se si maturano i requisiti entro il 31 dicembre dello
stesso anno;
ƒ lavoratori che maturano i requisiti per la pensione nel 2011, ma risultano in preavviso
alla data del 30 giugno 2010. In pratica, trattasi di casi di preavviso lungo, di almeno
6 mesi: in queste ipotesi, nonostante il lavoratore sconfini nel 2011 ai fini della
maturazione, può beneficiare delle finestre attuali. Nello specifico, la direzione centrale
Previdenza dell’Inpdap ha chiarito che tale deroga è applicabile esclusivamente ai
lavoratori dipendenti che al 30 giugno 2010 abbiano in corso il preavviso sulla
base delle disposizioni e nei termini previsti dai Ccnl; in altri termini, nella deroga non
rientrano i lavoratori che alla data del 30 giugno 2010 abbiano presentato il prescritto
preavviso in termini più ampi rispetto a quelli previsti contrattualmente;
ƒ lavoratori in mobilità, qualora l’uscita dall’azienda sia stata stabilita da accordi
sindacali stipulati prima del 30 aprile 2010 e qualora maturino i requisiti per la pensione
prima della scadenza del periodo di fruizione dell’indennità;
ƒ lavoratori collocati in mobilità lunga con accordi collettivi stipulati entro il 30 aprile
2010;
ƒ lavoratori esodati del credito e di altri settori che beneficiano di un assegno a
carico dei fondi di solidarietà di categoria;
ƒ soggetti per i quali al raggiungimento del limite di età viene meno il titolo per lo
svolgimento di una specifica attività lavorativa. Trattasi, in particolare, del brevetto
di volo per i piloti e della patente speciale per gli autisti di mezzi pubblici;
ƒ l’esclusione dovrebbe riguardare anche militari e Forze dell’ordine, considerato che
la nuova finestra di 12 mesi per la vecchiaia si applica ai soggetti che dal 2011
maturano i 65 anni se uomini ed i 60 se donne (61 anni fino al 31 dicembre 2011 e 65
dal 2012 nel pubblico impiego), mentre per tali categorie sono previsti limiti di età
diversi.
Vale la pena ricordare le regole ante manovra in base alle quali continueranno a funzionare
le finestre per queste categorie di lavoratori esclusi.
Le finestre con i 40 anni
Per quei lavoratori, sia pubblici che privati, che maturano il tetto dei 40 anni entro il 31
dicembre 2010, le finestre d’uscita rimangono 4, come previsto dalla normativa ante Dl 31
maggio 2010, n. 78. In pratica, le finestre di gennaio ed aprile 2011 si continueranno ad
aprire per quei dipendenti che hanno acquisito il diritto entro il terzo trimestre (30
settembre) e il quarto (31 dicembre) dell’anno.
Le decorrenze delle pensioni di anzianità
Il meccanismo introdotto dall’art. 1, co. 6, lett. c), della legge 28 agosto 2004, n. 243, prevede
che i lavoratori che possiedono i requisiti richiesti:
ƒ
entro il secondo trimestre dell’anno, possono accedere al pensionamento dal 1°
gennaio dell’anno successivo;
ƒ entro il quarto trimestre, possono accedere al pensionamento dal 1° luglio dell’anno
successivo.
Pertanto, per chi matura quota 95 [cioè (59 anni + 36 di contributi) o (60 + 35) con un’età
minima di 59 anni] nel secondo semestre 2010, si aprirà la finestra del 1° luglio 2011.
Le uscite per vecchiaia
Come noto, dal 1° gennaio 2008, per effetto della legge n. 247/2007, anche per i
pensionati per vecchiaia sono state introdotte 4 finestre. Pertanto, a favore di coloro che
maturano il requisito di età e di contribuzione (almeno 20 anni nel sistema retributivo e
misto) entro il terzo trimestre 2010 (30 settembre) ed entro il quarto trimestre 2010 (31
dicembre) si apriranno le finestre, rispettivamente, il 1° gennaio e il 1° aprile del 2011.
Requisiti dinamici dal 2015
La manovra introduce poi l’aggiornamento automatico dei tempi di maturazione dei
requisiti in relazione alla speranza di vita, in attuazione dell’art. 22-ter, co. 2, del Dl
n.78/2009, che aveva previsto, a decorrere dal 1° gennaio 2015, un radicale cambiamento del
sistema delle decorrenze, con l’adeguamento dei requisiti anagrafici per l’accesso alle varie
tipologie di trattamento pensionistico in base all’incremento della speranza di vita, accertato
dall’Istat e convalidato dall’Eurostat, con riferimento ai 5 anni precedenti.
L’art. 12, co. 12-bis, della manovra prevede che a decorrere dal 10 gennaio 2015 i requisiti
di età ed i valori somma di età anagrafica e di anzianità contributiva previsti dalla tabella
B allegata alla legge 23 agosto 2004, n. 243, i requisiti anagrafici di 65 anni per gli uomini e
di 60 anni per le donne per il conseguimento della pensione di vecchiaia nel settore privato, e
65 per le donne del settore pubblico, il requisito anagrafico dei 65 anni previsto dall’art. 1,
co. 20 (sistema contributivo) e dall’art. 3, co. 6 (assegno sociale), della legge 8 agosto
1995, n. 335, devono essere aggiornati a cadenza triennale, con decreto da emanarsi
almeno 12 mesi prima della data di decorrenza di ogni aggiornamento, con responsabilità
erariale in caso di omissione di tale adempimento.
Per consentire l’aggiornamento, l’Istat, a partire dal 2013, renderà annualmente
disponibile entro il 30 giugno la variazione nel triennio precedente della speranza di
vita corrispondente a 65 anni in riferimento alla media della popolazione residente in Italia.
A decorrere dal 10 gennaio 2015 scatterà il primo aggiornamento che, comunque, non
potrà essere superiore a 3 mesi, termine massimo già fissato dall’art. 22-ter, co. 2, del Dl n.
78/2009. L’incremento della speranza di vita si applicherà sul requisito di età, o sul
valore di somma di età anagrafica e di anzianità per chi lascerà il lavoro con la pensione di
anzianità. Con una sinistra precisazione: qualora la speranza di vista dovesse diminuire,
circostanza peraltro non da escludere, non si torna indietro, come equità vorrebbe, ma,
semplicemente, non verrà fatto alcun aggiornamento.
Il secondo aggiornamento, in deroga al principio di revisione triennale, scatterà il 10 gennaio
2019, dopo che l’Istat avrà reso disponibile, entro l 30 giugno 2017, il dato relativo alla
variazione della speranza di vita nel triennio precedente.
Lavoratrici pubbliche doppiamente penalizzate
Almeno fino a quando la questione della disparità di trattamento pubblico-privato non finirà
davanti alla Corte costituzionale, come probabile, oltre ad incappare nella finestra mobile di
12 mesi, per le donne del pubblico impiego il futuro lungo i corridoi degli uffici appare grigio: è
arrivato il promesso emendamento (art. 12, co. 12-sexies) che ha introdotto un maxiscalone di 4 anni in un colpo solo, che scatterà dal 1° gennaio 2012.
In pratica, se tali lavoratrici potevano, fino a pochi mesi fa (31 dicembre 2009), andare
in pensione a 60 anni (ovviamente con il requisito contributivo dei 20 anni), in soli due anni
si troveranno, tra incremento dell’età anagrafica a 65 anni e finestra mobile di 12 mesi, a
poter lasciare il posto di lavoro per vecchiaia a ben 66 anni compiuti.
Si ricorda, infatti, che Bruxelles ha richiesto all’Italia un’accelerazione dei tempi di
allineamento dei requisiti per la vecchiaia di uomini e donne, stranamente solo nel
pubblico impiego, arrivando alla parità nel 2012 anziché nel 2018. Il Consiglio dei ministri ha
prontamente accolto l’invito, inserendo un emendamento nella manovra, che ha introdotto
i 65 anni già dal 2012. La nuova disposizione prevede che continui ad applicarsi la
normativa previdente in materia di diritto all’accesso alla pensione sia per quelle
lavoratrici pubbliche che hanno già maturato i 60 anni di età e 20 di contributi entro il 31
dicembre 2009, sia per quelle che maturino entro il 31 dicembre 2011 il requisito dei 61
anni (oltre che quello contributivo di 20 anni), come previsto dall’art. 22-ter del Dl 1° luglio
2009, n. 78 (convertito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102), che, si ricorda, aveva già
incrementato progressivamente da 60 a 65 anni nel 2018, per le lavoratrici iscritte alle forme
pensionistiche obbligatorie di base relative ai dipendenti pubblici, il requisito anagrafico per il
trattamento di vecchiaia, anche per quello liquidato esclusivamente con il sistema
contributivo.
Si scontreranno in pieno con la modifica le travet che, avendo iniziato a lavorare con
un’età superiore ai 29 anni, dovranno attendere i 65 anni per la pensione, a cui vanno
aggiunti i 12 mesi della finestra mobile, come precisato nella nota divulgativa 11 giugno
2010 prot. n. 7627 dell’Inpdap.
Per le lavoratrici del pubblico impiego, pertanto, le uniche possibilità per anticipare l’uscita
saranno o quella di maturare prima dei 65 anni una delle quote per la pensione di
anzianità retributiva o l’opzione dell’anzianità contributiva prevista dall’art. 1, co. 9, della
legge n. 243/2004, riservata a quelle che maturato 35 anni di contributi e 57 di età, tenendo,
però, presente, che in questo caso il trattamento pensionistico è calcolato secondo le più
sfavorevoli regole del sistema contributivo di cui al Dlgs n. 180/1997.
Come si dirà più avanti è stata, invece, eliminata la possibilità di trasferire la posizione
contributiva all’Inps, prevista dalla legge n. 322/1958.
Stop alle ricongiunzioni in entrata e in uscita
Alcuni degli emendamenti introdotti in sede di conversione del Dl n. 78 del 2010 sono andati a
colpire in modo piuttosto pesante i lavoratori con contribuzione mista (ad esempio Inps,
Inpdap) o quei lavoratori iscritti all’Inpdap in caso di cessazione senza requisiti.
Nella sostanza, con le modifiche introdotte viene di fatto totalmente inibita la mobilità
pensionistica tra pubblico e privato in considerazione dei nuovi costi che deriveranno
dalla ricongiunzione dei periodi assicurati in gestioni differenti. Disposizioni che
denunciano la schizofrenia legislativa degli ultimi anni, con provvedimenti che da una lato
sembrano favorire, con grandi celebrazioni, l’aumento della copertura e l’unione di tutte le
contribuzioni ai fini di un’unica pensione (totalizzazione) e dall’altro congelano la possibilità di
concretizzare tali processi.
In particolare, per effetto degli emendamenti introdotti:
ƒ con l’art. 12, co. 12-septies, diventa oneroso, addirittura con decorrenza retroattiva
dal 1° luglio 2010, la ricongiunzione a norma dell’art. 1 della legge 7 febbraio
1979, n. 29, che, si ricorda, prevedeva la possibilità di chiedere la ricongiunzione
gratuita di tutti i periodi di contribuzione obbligatoria, volontaria e figurativa dall’Inpdap
all’Inps, costituendo presso quest’ultima la corrispondente posizione assicurativa. In
pratica il lavoratore che, dopo alcuni anni alle dipendenze di un ente pubblico,
decideva di passare al privato con iscrizione all’Inps, poteva portarsi dietro
gratuitamente il proprio “zainetto” previdenziale; non si trattava, comunque, di un
“regalo”, in quanto le aliquote di contribuzione ai due Istituti previdenziali, nella
sostanza e in ambito lavoro dipendente, sono del tutto simili.
Dunque, una norma vessatoria che, di fatto, impone un doppio pagamento per lo
stesso periodo al lavoratore in mobilità e agisce nel senso di ridurre la copertura
previdenziale di quei lavoratori che, non avendo le disponibilità economiche per pagare
le ricongiunzioni, non potranno utilizzare periodi di lavoro oggetto di regolare
contribuzione. E il conto potrà essere molto salato, considerato che l’onere da porre
a carico dei richiedenti verrà determinato applicando il criterio della riserva
matematica previsto dall’art. 2, co. 3, 4 e 5, del Dlgs n. 184/1997, analogamente al
riscatto dei periodi universitari di studio. Una batosta che sarà la risultante di un
complesso e opaco conteggio basato su diverse variabili quali l’età
dell’interessato, la retribuzione percepita alla data della domanda e il sesso. A
tale proposito va sottolineato che già con Dm 31 agosto 2007, le tariffe per il calcolo
della riserva matematica, a decorrere dal 6 novembre 2007, erano state adeguate con
un conseguente maggior costo di circa il 15-20% per gli uomini e del 30-35% per le
donne;
ƒ l’art. 12, co. 12-decies, prevede, poi, la modifica dei criteri di determinazione
dell’onere di ricongiunzione di cui all’art. 2 della legge n. 29/1979, che consente il
passaggio dei contributi dall’Inps all’Inpdap, adottando gli stessi coefficienti per il
calcolo della riserva matematica applicati nel settore privato;
ƒ con il comma 12-undecies del medesimo articolo, è stata poi disposta l’abrogazione
della legge n. 322/1958, che consentiva il trasferimento gratuito all’Inps della
contribuzione Inpdap in caso di cessazione dal servizio senza diritto a pensione. Una
norma a cui stavano ricorrendo con sempre maggior frequenza le lavoratrici del
pubblico impiego che, per evitare l’incremento dell’età anagrafica per la
pensione di vecchiaia disposta dal Dl n. 78/2009, compiuti i 60 anni, trasferivano
la posizione all’Inps, accettando il calcolo della pensione con le regole Ago.
Il Governo, questa volta senza fare grande pubblicità, è subito corso ai ripari, non con una
disciplina organica che equiparasse pubblico e privato eliminando così l’ingiustificata, sotto
ogni profilo, disparità di requisiti, ma semplicemente chiudendo le possibilità di trasferimento
tra casse pensionistiche. Con questa modifica, il “pianeta previdenza” sarà interessato da una
nuova categoria di lavoratori scoperti, cioè quelli con posizione “silente” che, avendo
lavorato per periodi più o meno lunghi presso un datore di lavoro pubblico, si trovano, di fatto,
senza contribuzione in quanto nel regime dei fondi esclusivi (come quello Inpdap) non è
prevista la pensione differita.
Cosa può allora fare il dipendente pubblico che non matura il diritto a pensione autonoma
Inpdap per non perdere i contributi versati? Le alternative possibili sono tre:
1. pagarsi l’onere della ricongiunzione in entrata o in uscita;
2. chiedere l’autorizzazione alla prosecuzione volontaria versandosi i contributi
all’Inpdap fino alla maturazione dei requisiti;
3. chiedere la totalizzazione a norma del Dlgs n. 42/2006, se in possesso dei
necessari requisiti ed accettando le eventuali riduzioni dell’importo della pensione
derivanti dal possibile calcolo di alcuni periodi con il sistema contributivo, anziché con
quello retributivo.
Totalizzazione secondo le regole degli autonomi
Con la legge n. 122/2010 si allunga di ben 18 mesi l’attesa per la pensione di chi
raggiunge il diritto con la totalizzazione. Infatti, la decorrenza non sarà più il mese
successivo alla presentazione della domanda, ma in corrispondenza delle finestre previste
per i lavoratori autonomi iscritti all’Inps.
Ciò si aggiunge al fatto che la totalizzazione non sempre risulta conveniente a causa del
calcolo contributivo imposto sulle singole quote che formano il trattamento complessivo:
infatti, il calcolo retributivo si applica solo sulle quote maturate nei fondi dove si raggiunge,
senza totalizzazione, il requisito minimo per la pensione (Dlgs 42 del 2006).
Vale la pena ricordare le condizioni per l’esercizio della facoltà di totalizzazione dei periodi
assicurativi per la pensione di vecchiaia e di anzianità:
ƒ compimento del 65° anno di età (sia uomini che donne) e possesso di un’anzianità
contributiva almeno pari a 20 anni per la pensione di vecchiaia;
ƒ possesso di un’anzianità contributiva che non risulti inferiore a 40 anni,
indipendentemente dall’età anagrafica per la pensione di anzianità;
ƒ la totalizzazione è consentita per i periodi assicurativi non coincidenti di durata
non inferiore a 3 anni.
I controlli sugli invalidi
Rimane, invece, fissata nel 74% la percentuale di invalidità prevista dall’art. 9, co. 1, del
Dlgs 509 del 1988, che, nella versione iniziale del decreto era stata elevata all’85%.
Scatteranno, in tale ambito,100mila verifiche nel 2010 e 250mila per ciascuno degli anni
2011 e 2012 da parte dell’Inps sui titolari di invalidità.
Operazione cassa sulle buonuscita
Rilevanti sono le novità anche in materia di buonuscita sia con riferimento alle modalità di
liquidazione che di computo.
Per quanto riguarda il primo aspetto, il trattamento di fine servizio (Tfs), l’indennità premio
servizio (Ips) ed il trattamento di fine rapporto (Tfr) saranno erogati “a rate”; in particolare,
l’art. 12, co. 7, 8 e 9, prevede:
ƒ un unico importo annuale se l’ammontare complessivo della prestazione lorda è
pari o inferiore a 90mila euro;
ƒ due importi annuali, se tale ammontare è compreso tra 90mila e 150mila euro; in
tale caso la prima rata sarà pari a 90mila e la seconda al rimanente.
ƒ tre rate annuali se il trattamento lordo è maggiore o superiore ai 150mila euro.
Il primo, il secondo ed il terzo importo annuale saranno pari, rispettivamente, a 90mila, 60mila
euro e all’importo residuo.
Non è chiarito se nell’ammontare complessivo della prestazione lorda vadano considerati
anche eventuali anticipazioni corrisposte al dipendente nel corso della carriera, per quegli
enti pubblici già in regime di Tfr ex art. 2120 c.c.
In tutte e tre le ipotesi, la prima scadenza utile per il riconoscimento delle prestazioni
avviene secondo la vigente normativa (art. 3 della legge n. 140/1997), dunque entro 105
giorni nei casi di cessazione per limiti di età e di servizio, per collocamento a riposo d’ufficio
in base ai regolamenti delle amministrazioni, per inabilità e decesso.
In tutti gli altri casi, come ad esempio in quello di dimissioni volontarie, il termine è di 270
giorni. Pertanto, l’eventuale secondo e terzo importo annuale vengono erogati a distanza di
12 e 24 mesi dal predetto termine previsto per il primo importo annuale.
Restano esclusi dalle disposizioni in questione i collocamenti a riposo per
raggiungimento dei limiti di età entro la data del 30 novembre 2010 e conseguenti a
domande di cessazione presentate prima della data di entrata in vigore del Dl n. 78 del 2010
a condizione che la cessazione avvenga, comunque, entro il 30 novembre 2010.
Relativamente al secondo aspetto, l’art. 12, co. 10, manda in pensione, dal 1° gennaio
2011, la buonuscita dei dipendenti pubblici (Tfs-Ips) introducendo, per le anzianità
contributive maturate dopo tale data, il computo secondo le regole del Tfr ex art. 2120 c.c.
con un’aliquota di computo del 6,91%. Tale disposizione ha l’evidente scopo di riportare in
equilibrio la fallimentare gestione Inpdap dei trattamenti di fine servizio, eliminando il
perverso meccanismo (si veda tabella di confronto) che prevedeva il calcolo della buonuscita
utilizzando la retribuzione dell’ultimo anno e che comportava, per definizione, uno squilibrio
attuariale tra contributi versati nel corso della carriera e prestazioni ottenute alla cessazione.
Rimane, peraltro, da capire, e per questo bisognerà attendere le circolari dell’Inpdap, come
sarà applicata la disposizione. Infatti, le indennità di fine servizio, dall’anno prossimo,
saranno composte di due quote:
Ips fino al 31 dicembre 2010 e Tfr dal 1° gennaio 2011 in poi. Come si calcolerà l’importo
complessivo? Un sistema “logico” potrebbe essere quello di “cristallizzare” l’importo
dell’Ips al 31 dicembre 2010 sulla base della retribuzione utile dei 12 mesi antecedenti il 31
dicembre 2010 e cumulandolo, ai fini della rivalutazione, con quello del Tfr accantonato
dal 2011 in poi.
Da un punto di vista tributario, le due quote dovrebbero essere oggetto di distinta
tassazione. In sostanza, tornerebbero utili le regole, fino ad oggi rimaste inutilizzate a causa
del mancato avvio dei fondi pensione nel pubblico impiego, introdotte con il Dpcm 20
dicembre 1999 e del 2 marzo 2001, per disciplinare l’esercizio dell’opzione per l’adesione ad
una forma pensionistica complementare e, con la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 8
marzo 2002, n. 80/E, per il trattamento fiscale.