Tentativo di identificazione delle zone sismiche italiane più esposte

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Tentativo di identificazione delle zone sismiche italiane più esposte
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Tentativo di identificazione delle zone sismiche
italiane più esposte ai prossimi terremoti forti
(come strumento per la riduzione del rischio sismico)
Enzo Mantovani, Viti Marcello, Daniele Babbucci, Caterina Tamburelli
Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente – Università di Siena
Nicola Cenni
Dipartimento di Fisica e Astronomia - Università di Bologna
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In copertina
I cerchietti indicano gli epicentri dei terremoti con magnitudo maggiore di 5 avvenuti
dal 1000. Le zone che in base alle evidenze descritte in questo studio sono ritenute le
più esposte alle prossime scosse forti (Appennino umbro-romagnolo e Sicilia
orientale) sono evidenziate dai simboli rossi pieni. Da questa indicazione di prorità
relativa sono escluse alcune zone italiane (Altopiano delle Puglie, Alpi occidentali,
Pianura piemontese/lombarda, Fascia interna, tirrenica, della catena appenninica),
per le quali non è ancora possibile fare previsioni. Nessuna informazione viene
fornita sui tempi attesi delle scosse, per cui questo rapporto non implica nessun tipo
di allarme. L’unico obiettivo è agevolare la gestione più efficace delle risorse
disponibili per la riduzione del rischio sismico in Italia.
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Indice
Premessa: obiettivo, metodologia, risultati e possibile impatto sociale
1. Quadro tettonico attuale ed evoluzione recente dell’area mediterranea centrale 8
2. Campo di velocità nella regione italiana da misure geodetiche (GPS)
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3. Cinematica a breve termine della placca adriatica e distribuzione spaziotemporale dei terremoti principali nelle zone circostanti
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4. Interazione tra le sorgenti sismiche delle Dinaridi meridionali e dell’Appennino
meridionale
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5. Interazione tra le sorgenti sismiche della Calabria e delle Ellenidi
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6. Migrazione della sismicità lungo la catena appenninica
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7. Zone sismiche prioritarie nella catena appenninica e Alpi orientali
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8. Zone sismiche prioritarie in Calabria e Sicilia
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9. Zone sismiche italiane in cui non è attualmente possibile fare previsioni
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10. Distribuzione spazio-temporale della sismicità minore
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11. Tasso di deformazione da misure geodetiche
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12. Attendibilità delle previsioni proposte e approcci alternativi
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Appendice 1: Dati geodetici
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Appendice 2: Dati di sismicità
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Ringraziamenti
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Riferimenti bibliografici
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Premessa: obiettivo, metodologia, risultati e possibile impatto sociale
Una larga parte del patrimonio edilizio in Italia non ha i requisiti per resistere agli scuotimenti
sismici prodotti dai terremoti del passato, che verosimilmente potranno ripetersi nel futuro. Per cui,
la messa in sicurezza degli edifici in tutto il territorio nazionale richiederebbe un impegno
economico largamente superiore alle risorse disponibili. Un modo per raggiungere questo obiettivo
potrebbe essere comunque identificato contando sull’ipotesi, molto probabile, che nelle prossime
decine di anni solo poche zone italiane saranno colpite da scosse forti e che perciò per tale periodo
la necessità di mettere in sicurezza il patrimonio edilizio riguarderà solo una parte molto limitata
dell’Italia. Quindi, se le conoscenze scientifiche attualmente disponibili consentissero di individuare
con ragionevole attendibilità le zone in oggetto, potrebbe diventare praticabile, sia dal punto di vista
economico che organizzativo, una pianificazione mirata ad una consistente riduzione del numero di
vittime e dell’entità dei danni da terremoto in Italia. La speranza di vedere realizzata una così
allettante prospettiva dovrebbe fortemente rafforzare l’interesse della Protezione Civile per le
ricerche capaci di fornire le informazioni sopra citate. Per aprire la strada verso questa nuova
strategia, la presente trattazione descrive una procedura che, sfruttando le conoscenze recentemente
acquisite sulla connessione tra processi tettonici e attività sismica nell’area mediterranea centrale,
potrebbe portare all’identificazione delle zone italiane più esposte alle prossime scosse forti.
Siccome i terremoti sono un fenomeno deterministico, strettamente legato al progressivo
sviluppo dei processi tettonici, qualsiasi tentativo di prevedere il futuro percorso della sismicità in
un dato sistema può fornire risultati attendibili solo nei casi in cui venga adottata una metodologia
basata sul sopracitato legame di causa-effetto e sia disponibile una profonda conoscenza sull’assetto
geodinamico/tettonico e sui meccanismi sismogenetici in atto nella zona in esame. Quindi, il
presente rapporto inizia con una sintetica descrizione degli elementi sopra citati, facendo
riferimento alle varie pubblicazioni (qui citate) che forniscono spiegazioni molto più dettagliate ed
esaustive. A sostegno del quadro tettonico adottato, viene poi messo in evidenza che le sue
implicazioni sullo sviluppo a breve termine dei processi deformativi possono fornire spiegazioni
plausibili e coerenti per la distribuzione delle scosse peri-adriatiche che si sono verificate dal 1400.
Utilizzando le conoscenze così acquisite sul comportamento passato del sistema, si cerca di
capire come lo stesso quadro sismotettonico si svilupperà nel prossimo futuro, partendo dalla
situazione attuale che è stata creata dalla recente distribuzione di terremoti forti. In particolare,
vengono avanzate ipotesi su dove lo sforzo e la deformazione sono attualmente più intensi, e dove
conseguentemente esistono condizioni più favorevoli all’attivazione sismica delle faglie rispetto alle
altre zone del sistema. Questa procedura ha portato all’identificazione di alcune zone
dell’Appennino settentrionale e della Sicilia orientale, dove nel breve termine l’impiego delle
risorse eventualmente disponibili per la messa in sicurezza del patrimonio edilizio e delle
infrastrutture vitali potrebbe essere privilegiato e incentivato rispetto alle altre zone sismiche
italiane.
Per aumentare la probabilità di successo delle scelte proposte, la procedura sopra descritta può
essere coadiuvata dall’osservazione di evidenze complementari, che possono fornire informazioni
sul tasso di deformazione presente nelle zone implicate, consentendo un possibile controllo
dell’attendibilità delle indicazioni proposte. Per esempio, l’individuazione delle zone sismiche
attualmente più solecitate potrebbe essere coadiuvata dall’analisi della sismicità cosiddetta minore,
anche se l’interpretazione di questa attività non è semplice. In linea di massima, è ragionevole
pensare che un incremento di questa sismicità sia causato da un aumento del carico tettonico. Però,
per capire la complessa distribuzione delle scosse va tenuto presente che ogni faglia è costituta in
parte da segmenti su cui lo scorrimento è poco resistito e in parte da segmenti dove invece l’attrito
supera ampiamente l’effetto delle forze tettoniche. Nel primo tipo di segmento si ritiene che lo
scorrimento sia più o meno continuo (essendo quasi asismico e associato con uno scarso accumulo
di deformazione elastica). Questo tipo di segmento può comunque generare piccole fratture
sismiche quando la velocità di scorrimento supera il valore consentito dalle proprietà reologiche
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della struttura. Nei segmenti di faglia dove l’attrito è elevato lo scorrimento è invece trascurabile,
mentre l’accumulo di deformazione elastica è relativamente veloce, con il conseguente incremento
dello sforzo sulla faglia. Questa fase si sviluppa fino ad arrivare al punto di rottura delle rocce, dopo
di che si verifica un repentino scorrimento lungo la faglia, con liberazione di energia sismica.
Quindi, per tentare di individuare le zone dove si sta preparando una scossa forte è necessario
riconoscere sia i settori di faglia a scorrimento quasi asismico (rivelate da accelerazioni della
sismicità minore) sia i settori che sono attualmente bloccati, ma che possono attivarsi con la
generazione di scosse forti (riconoscibili dalla localizzazione dei terremoti storici pregressi). In
questo rapporto è riportata una discussione sui vari aspetti del problema in oggetto e sulle possibili
implicazioni della sismicità minore avvenuta negli ultimi 35 anni (cioè nel periodo per cui esiste la
più completa e attendibile documentazione). I risultati di questa indagine rivelano che le zone
sismiche prioritarie riconosciute in base alle evidenze sismotettoniche descritte in precedenza sono
state interessate da un aumento significativo della sismicità minore nel periodo considerato.
Un altro osservabile che potrebbe aiutare a capire dove si stanno sviluppando condizioni
favorevoli all’attivazione sismica di faglie è costituito dal monitoraggio geodetico (GPS) del campo
di velocità nell’area in esame, da cui si può dedurre il tasso di deformazione e le sue eventuali
variazioni nel tempo. Anche l’interpretazione di questo tipo di informazione non è semplice, poiché
non è ancora molto chiara (sia dal lato teorico che sperimentale) la connessione tra i valori che
questo parametro può assumere e la probabilità di scosse nella zona considerata. A questo riguardo,
viene riportata una discussione sugli aspetti principali del problema sopra citato e sulle possibili
implicazioni delle misure geodetiche GPS effettuate negli ultimi 15 anni. Si sottolinea comunque
l’importanza di queste ultime osservazioni, in quanto il loro utilizzo potrebbe consentire la
rilevazione delle perturbazioni dello stato di sforzo e deformazione innescate da terremoti avvenuti
nelle zone sismiche peri-adriatiche, che potrebbero indurre sismicità nella regione italiana.
Dato che la decisione di utilizzare o meno le indicazioni qui proposte sarà ovviamente
condizionata dalla misura in cui le autorità preposte saranno convinte della loro attendibilità, la
descrizione del presente tentativo si conclude con una discussione sulle incertezze che possono
essere plausibilmente associate alla scelta delle zone prioritarie.
In ogni caso, è opportuno considerare che nonostante le inevitabili incertezze coinvolte la
strategia di privilegiare in poche zone limitate le operazioni per la riduzione del rischio sismico
sarebbe comunque conveniente.
Nel caso in cui la prossima scosse forte in Italia non si verifichi in una della zone prioritarie
indicate (caso che non si può escludere, considerata la complessità del problema) le conseguenze
negative di tale insuccesso sarebbero limitate, perché il fatto di avere impiegato risorse nelle zone
previste ma non colpite comporterebbe per la zona effettivamente colpita una differenza minima
rispetto all’impegno economico che avrebbe ricevuto in un programma di distribuzione omogenea
degli stanziamenti. Invece, nel caso in cui il terremoto avvenisse nelle zone prioritarie proposte, i
vantaggi pratici sarebbero consistenti, in quanto gli interventi effettuati in quelle zone
comporterebbero un notevole miglioramento del livello di sicurezza, permettendo di salvare vite
umane e limitare i danneggiamenti irreversibili di molti edifici e infrastrutture di primaria
importanza.
Inoltre, va considerato che la plausibilità delle evidenze e argomentazioni presentate a
sostegno delle scelte qui proposte incoraggiano fortemente a credere che le zone indicate siano da
considerare tra quelle più a rischio. Per cui, le risorse impiegate in tali zone non potrebbero essere
considerate uno spreco. Comunque, data l’importanza del problema in oggetto e la notevole
rilevanza delle scelte che la Protezione Civile è tenuta a fare per la difesa dai terremoti in Italia,
sarebbe opportuno promuovere approfonditi confronti pubblici tra i vari esperti del settore, per
rendere sempre più espliciti gli elementi che possono agevolare la scelta della più efficace strategia
di difesa.
E’ infine doveroso precisare che le indicazioni qui fornite non comportano nessun tipo di
allarme, in quanto non forniscono alcuna informazione su quando le zone indicate come prioritarie
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potrebbero essere colpite da scosse forti. E’ quindi evidente che l’unico scopo di questo studio è
agevolare la politica di riduzione del rischio sismico in Italia. E’ sperabile che la descrizione dei
risultati che possono essere ottenuti con la metodologia deterministica qui proposta possa aumentare
l’attenzione della comunità scientifica verso questo tipo di ricerche. Un aumento del numero degli
esperti di vari settori (dalle Scienze della Terra all’Ingegneria) che possano contribuire
all’avanzamento delle conoscenze sul problema qui trattato può ovviamente incrementare la
possibilità di ottenere informazioni attendibili sulle zone sismiche da individuare.
Siena, Giugno 2016
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1.Quadro tettonico attuale ed evoluzione recente dell’area mediterranea centrale
Il quadro dell’attività tettonica nell’area mediterranea centrale è schematizzato in figura 1.
Fig.1. Quadro tettonico/cinematico del Mediterraneo centrale (Mantovani et alii, 2006, 2007a, 2009, Viti et
alii, 2006, 2011). 1,2) Domini continentali africano ed adriatico 3) Dominio oceanico ionico 4) Settore
esterno della catena appenninica, trascinato e sollecitato dalla placca adriatica 5,6,7) Principali lineamenti
tettonici estensionali, trascorrenti e compressionali, 8) Fronte esterno delle catene neogeniche. Le frecce
verdi indicano il quadro cinematico rispetto all’Eurasia (Mantovani et alii, 2007a; Viti et alii, 2011).
AC=Appennino centrale, AM=Appennino meridionale, Amd=sistema di faglie di Amendolara,
AS=Appennino settentrionale, ASO=Alpi sud-orientali, Ce=faglia di Cefalonia, Gi=faglia delle Giudicarie,
Pa=faglia di Palinuro, Pu=Puglia, PV=pianura veneta, Si=sistema di faglie di Siracusa, SV=faglia SchioVicenza, VH=discontinuità tettonica Victor Hensen, Vu=sistema di faglie di Vulcano.
Come discusso in varie pubblicazioni, l’attività tettonica nell’area considerata è controllata
dallo spostamento dell’Africa e del Sistema anatolico-egeo-balcanico rispetto all’Eurasia
(Mantovani et alii, 2006, 2007a, 2009, 2014; Viti et alii, 2006, 2011). La convergenza delle placche
è prevalentemente assorbita dalle deformazioni che si sviluppano nelle catene che circondano la
placca adriatica (Adria). Lungo i suoi bordi orientale e settentrionale, la litosfera adriatica si
immerge sotto le Ellenidi settentrionali, le Dinaridi meridionali e le Alpi sud-orientali (e.g., Louvari
et alii, 2001; Bressan et alii, 2003; Galadini et alii, 2005; Benetatos e Kiratzi, 2006; Aliaj, 2006;
Kokkalas et alii, 2006; Kastelic et alii, 2013). Il moto relativo tra la porzione settentrionale di Adria
e le Dinaridi settentrionali è permesso da un sistema di faglie transpressive destre (e.g., Markusic ed
Herak, 1999; Kuk et alii, 2000; Poljak et alii, 2000; Burrato et alii, 2008). Lo slittamento di Adria
sotto il complesso orogenico alpino avviene per lo più ad est del sistema di faglie Schio-Vicenza
(e.g., Galadini et alii, 2005; Burrato et alii, 2008). L’interazione di Adria con la catena appenninica
è caratterizzata da un contesto tettonico molto più complesso, prevalentemente generato dal
Pleistocene medio (e.g., Viti et alii, 2006; Mantovani et alii, 2009), come si è tentato di ricostruire
nello schema prospettico mostrato in figura 2.
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Fig.2. Schema prospettico della placca adriatica (Adria) e dei suoi bordi sepolti sotto le catene orogeniche
circostanti. A) Quadro strutturale nel Pleistocene inferiore, dove è messa in evidenza la catena appenninica
che ha sovrascorso il bordo occidentale di Adria B) Dal Pleistocene medio, la fascia più esterna (orientale)
della catena appenninica, sollecitata da Adria, ha subito un raccorciamento longitudinale, assorbito dal
sollevamento e l’estrusione laterale di alcuni settori (evidenziati dai colori). La spiegazione del meccanismo
tettonico responsabile di questa deformazione è riportata nel testo e da alcune pubblicazioni (e.g., Viti et
alii, 2006; Mantovani et alii, 2009). La separazione tra la fascia appenninica esterna mobile (colorata) e la
fascia interna quasi fissa ha prodotto elementi tettonici estensionali e transtensionali nella porzione assiale
della catena.
Il settore esterno dell’appennino, pressato a sud da Adria e confinato a nord dalla struttura
relativamente fissa delle Alpi occidentali, ha subito un raccorciamento longitudinale che ha
prodotto sollevamenti ed estrusione laterale di cunei orogenici a spese del dominio adriatico
adiacente (Viti et alii, 2006, 2011; Mantovani et alii, 2006, 2009, 2016; Cenni et alii, 2012). I
principali cunei in estrusione, identificati dalle fasce colorate in figura 3, sono il Molise-Sannio
(MS), la parte orientale della Piattaforma carbonatica laziale-abruzzese (LAO), le Unità della Laga
(La), Romagna-Marche-Umbria (RMU) e Toscana-Emilia (TE).
L’estrusione ha coinvolto solo la copertura sedimentaria, disaccoppiata dal sottostante
basamento a profondità dell’ordine di 6-10 km (quindi sismogenetiche) per mezzo di livelli
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meccanicamente deboli (e.g., Finetti et alii, 2005; Mirabella et alii, 2008). La Formazione di
Burano, formata da evaporiti facilmente deformabili del Triassico superiore (e.g., Martinis e Pieri,
1964), si trova alla base della copertura sedimentaria meso-cenozoica che forma i cunei RMU e TE
(e.g., Anelli et alii, 1994; Ciarapica e Passeri, 2002, 2005). La debolezza meccanica di tale
formazione è legata alla presenza di sottili e frequenti livelli di anidrite, intercalati tra i più spessi
strati dolomitici (e.g., De Paola et alii, 2008).
Il disaccoppiamento transtensivo sinistro tra i cunei appenninici in estrusione laterale e la
catena interna si è sviluppato grazie alla formazione di vari bacini intermontani disposti lungo la
porzione assiale della catena (e.g., Piccardi et alii, 2006). Contemporaneamente, il fronte esterno dei
cunei in estrusione (che sovrascorrono il dominio adriatico), ha subito un’evidente deformazione
compressiva (e.g., Scisciani e Calamita, 2009; Boncio e Bracone, 2009; Mazzoli et alii, 2014,
2015).
Fig.3. Cunei orogenici che formano il settore esterno mobile della catena appenninica: 1) Molise-Sannio
(MS), 2) Parte orientale della Piattaforma laziale-abruzzese (LAO), 3) Unità della Laga (La), 4) RomagnaMarche-Umbria (RMU), 5) Toscana-Emilia (TE), 6) Sistemi esterni di pieghe e sovrascorrimenti sepolti. Il
settore esterno del cuneo RMU (ERMU) è delimitato dai sistemi di faglie Norcia-Colfiorito-GualdoTadinoGubbio (No-Cf-GT-Gu) e Romagna-Forlì (Ro-Fo). a,b,c) Principali lineamenti tettonici compressionali,
estensionali e trascorrenti d) Fronte esterno della catena. Le frecce indicano la cinematica a lungo termine
di Adria e dei cunei appenninici che è ritenuta più compatibile con le deformazioni quaternarie osservate
(e.g., Viti et alii, 2006; Mantovani et alii, 2009). Aq=sistema di faglie dell’Aquila, AVT=Alta Valtiberina,
Be=sistema di faglie del Beneventano, Ca=Cagli, Fu=sistema di faglie del Fucino, Ga=fossa tettonica della
Garfagnana, GS=arco del Gran Sasso, Ir=sistema di faglie dell’Irpinia, Lu=fossa della Lunigiana,
Ma=Maiella, Mt=sistema di faglie del Matese, Mu=fossa del Mugello, OA=fronte del sovrascorrimento
Olevano-Antrodoco, PSAd=Pieghe adriatiche sepolte, PSEm=Pieghe emiliane sepolte; PSFe=Pieghe
ferraresi sepolte; Ro,Ne=vulcanismo romano e napoletano; Sa-Vo=fronte del sovrascorrimento SangroVolturno, Si=sovrascorrimento del Sillaro. Altri simboli e sigle come indicato in figura 1.
Nell’Appennino meridionale, il cuneo MS si è distaccato dalla catena interna per mezzo di
una deformazione transtensiva che ha generato importanti sistemi di faglie in Irpinia, nel Matese e
nel Beneventano (e.g., Ascione et alii, 2003, 2007; Brozzetti, 2011; Amoroso et alii, 2014).
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Nell’Appennino centrale, il disaccoppiamento tra il settore esterno mobile e la parte
occidentale della catena è in gran parte consentito dall’attività di due sistemi di faglie transtensive
sinistre, dirette a SE-NO (L’Aquila e Fucino, e.g., Cello et alii, 1997, 1998; Amoruso et alii, 1998;
Piccardi et alii, 1999, 2006; Elter et alii, 2012). Dal Pleistocene superiore, il settore più esterno del
cuneo RMU (ERMU in figure 3) si è distaccato dalla catena interna per mezzo dei sistemi di faglie
di Norcia-Colfiorito-GualdoTadino-Gubbio, Alta Valtiberina e Romagna-Forlì (e.g., Boncio e
Lavecchia, 2000; Piccardi et alii, 2006).
Il fatto che numerosi terremoti forti siano avvenuti nell’Appennino romagnolo (Fig.4), lungo
una stretta fascia orientata circa N-S, suggerisce la presenza di un sistema di faglie di primaria
importanza (Ro-Fo in figura 3). Lo sviluppo di tale frattura ha probabilmente permesso il
disaccoppiamento tra il settore umbro-marchigiano del cuneo RMU (pressochè parallelo alla placca
adriatica) e la parte rimanente dell’Appennino settentrionale che, essendo disposta circa E-O, non
può essere trascinata da Adria con altrettanta facilità (Mantovani et alii, 2009, Viti et alii, 2012).
L’assenza di chiare indicazioni geologiche e morfologiche sul sistema di faglie Ro-Fo può essere
dovuta all’età molto recente (tardo Pleistocene) della sua formazione. E’ verosimile che lo sviluppo
del lineamento tettonico Ro-Fo sia avvenuto in stretto rapporto con la generazione dei sistemi di
faglie No-Cf-GT-Gu e AVT, che permettono il disaccoppiamento del cuneo ERMU dalle strutture
appenniniche interne (Fig.3).
Fig.4. Terremoti principali (M≥5.0)
avvenuti nella catena appenninica
dall’anno 1000. Dati presi da Rovida et
alii (2011).
Come argomentato in diversi lavori (e.g., Viti et alii, 2006, 2011; Mantovani et alii, 2007b,
2009), il meccanismo geodinamico proposto, fondato sull’ipotesi che l’attività tettonica
nell’Appennino sia guidata dalla compressione longitudinale della catena, giustifica in modo
plausibile il complesso quadro deformativo osservato.
- Dal Pleistocene medio, un veloce sollevamento ha interessato la parte esterna della catena
appenninica (Calamita et alii, 1999; Ghisetti e Vezzani, 1999; Argnani et alii, 2003; Bartolini, 2003;
Mayer et alii, 2003), come anche indicato dalle misure di geodesia spaziale (e.g., Devoti et alii,
2011; Cenni et alii, 2013).
- I bordi dei cunei orogenici in estrusione (Molise-Sannio, Lazio-Abruzzi e Romagna-MarcheUmbria in figura 3) corrispondono a fronti di sovrascorrimento circa ortogonali alla catena (SangroVolturno ed Olevano-Antrodoco, e.g. Mazzoli et alii, 2005; Ascione et alii, 2008).
- Nella catena appenninica sono riconoscibili vari archi strutturali, compatibili con l’azione di una
compressione longitudinale, come per esempio gli archi Campania-Lucania, Matese-Benevento e
Gran Sasso, discussi da Viti et alii, (2006).
- Varie ricostruzioni (Castellarin et alii, 1982; Costa, 2003, Elter et alii, 2012, Piccardi et alii, 2006)
suggeriscono che il regime tettonico quaternario dell’Appennino settentrionale è compatibile con
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una compressione longitudinale della catena. In particolare, la grande finestra tettonica
dell’Appennino romagnolo, situata a sud del sovrascorrimento del Sillaro, deriva dall’erosione della
originaria copertura delle Liguridi (almeno 2-4 km). Tale finestra è stata interpretata come un
effetto locale della compressione longitudinale, che avrebbe causato il piegamento ed il
sollevamento della copertura sedimentaria, determinando l’erosione delle unità tettoniche più
superficiali (Liguridi). Inoltre, tale processo sembra aver subito un accelerazione dal Pleistocene
medio (e.g., Cerrina Ferroni et alii, 2001; Boccaletti e Martelli, 2004; Boccaletti et alii, 2010).
- L’intenso vulcanismo pleistocenico delle province magmatiche romana e napoletana (figura 3,
Peccerillo, 2005) è compatibile con il regime transtensivo indotto in quelle aree dall’estrusione
laterale dei cunei orogenici Molise-Sannio e Romagna-Marche-Umbria (Tamburelli et alii, 2000;
Viti et alii, 2006; Mantovani et alii, 2009).
Una descrizione molto dettagliata dei lineamenti tettonici tardo-pleistocenici, compatibili con
l’interpretazione geodinamica qui proposta, è fornita da Viti et alii (2006).
Il movimento relativo tra il cuneo Molise-Sannio ed il cuneo calabro (Fig. 5) è permesso dal
sistema di faglie trascorrenti sinistre, orientate circa NO-SE, identificate nell’Appennino lucano
(e.g., Catalano et alii, 2004; Viti et alii, 2006; Caputo et alii, 2008; Ferranti et alii, 2009). Ancora
più a sud, tale sistema di fratture è interrotto dalla faglia di Palinuro (e.g., Finetti e Del Ben, 1986,
2005; Viti et alii, 2006; Del Ben et alii, 2008).
Fig.5. Schema tettonico della
regione italiana meridionale. 1)
Arco calabro 2) Blocchetto
peloritano 3) Blocco ibleo 4)
Fronte esterno della catena
alpina. Le frecce verdi indicano
la cinematica proposta rispetto
all’Eurasia. Am=sistema di
faglie di Amendolara, Ca=
sistema di faglie di Catanzaro,
Cr=fossa del Crati, Lu= sistema
di
faglie
della
Lucania,
Me=fossa di Messina, Ms=fossa
del Mesima, Pe= Peloritani,
Ta= sistema di faglie di
Taormina. Altri simboli come
indicato nelle figure 1 e 3.
All’estremità meridionale della regione italiana, l’attività tettonica è in gran parte legata
all’estrusione laterale, in direzioni opposte, dei cunei calabro ed ibleo, indotta dalla convergenza
delle placche confinanti (Africa, Eurasia e Sistema egeo-balcanico). L’estrusione della Calabria,
permessa dai sistemi di faglia di Vulcano ed Amendolara, avviene a spese del dominio oceanico
dello Ionio (Finetti, 2005; Guarnieri, 2006; Del Ben et alii, 2008). Inoltre, una parte del
raccorciamento longitudinale della catena è assorbito dal sollevamento e dalla considerevole
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frammentazione della Calabria, che ha generato vari lineamenti tettonici sia longitudinali (come le
fosse del Crati e del Mesima) che trasversali (come la faglia di Catanzaro), dove sono avvenuti
terremoti forti (Fig. 6).
Fig.6.
Terremoti
principali
(M≥5.0)
avvenuti
nell’Italia
meridionale dall’anno 1000. Dati
presi da Rovida et alii (2011). La
posizione epicentrale dell’evento
sismico più forte (M=7.4),
avvenuto nella Sicilia orientale
nel 1693, è tuttora dibattuta (e.g.,
Gutscher et alii, 2006).
Il cuneo ibleo (comprendente la Sicilia) sta subendo un’estrusione orientata circa verso NNO,
che induce deformazioni compressive e trascorrenti destre rispettivamente lungo i bordi
settentrionale ed orientale del cuneo, come indicato dai meccanismi di sorgente dei terremoti (figura
5, e.g., Giunta et alii, 2004; Neri et alii, 2005).
Il quadro cinematico ed i lineamenti tettonici riportati in figura 1 (e con maggior dettaglio
nelle figure 3 e 5), sono compatibili con le deformazioni osservate attuali e recenti. Tuttavia, vincoli
importanti sui processi tettonici in atto sono stati dedotti anche dalla ricostruzione evolutiva
neogenica presentata in vari lavori (e.g., Mantovani et alii 2006, 2009, 2014; Viti et alii, 2006,
2009, 2011). Pertanto, nel seguito si riporta una sintesi di tale ricostruzione, per lo più riferita al
Mediterraneo centrale.
Dal Miocene inferiore-medio, l’evoluzione della regione mediterranea è stata controllata dagli
spostamenti (rispetto all’Eurasia) circa verso NNE dell’Africa (Nubia secondo De Mets et alii,
2010) e circa verso Ovest del Sistema anatolico-egeo-balcanico (figura 7, Mantovani et alii, 2006,
2007a,b, 2009, 2014).
Tale convergenza di placche è stata verosimilmente consentita da quei processi tettonici
capaci di ridurre al minimo la resistenza opposta dalla gravità e dagli attriti, in linea con il principio
della minima azione (Cloos, 1993; Masek e Duncan, 1998; Mantovani et alii, 2009, 2014). Spesso
tale condizione è stata soddisfatta dalla subduzione della litosfera più densa presente nell’area
mediterranea in corrispondenza del dominio oceanico della Tetide. Fino al Miocene superiore, la
convergenza tra Adria ed il sistema anatolico-egeo è stata permessa dalla subduzione della litosfera
ionica, relativamente densa e assottigliata (Mercier et alii, 1987). Tuttavia, dopo la completa
scomparsa di quel dominio, la subduzione del dominio rimanente ha incontrato una resistenza
sempre maggiore da parte delle forze gravitazionali, sino a raggiungere una fase critica. Ciò ha
14
comportato una drastica riorganizzazione del quadro tettonico nel Mediterraneo centrale,
determinando una serie di eventi tettonici di prim’ordine. L’effetto principale è stato il
disaccoppiamento della placca Adriatico-Ionio-Iblei dal blocco principale africano (Nubia in Fig.
7b), permesso dall’attivazione delle discontinuità trascorrenti/transtensive riconosciute come Victor
Hensen e Canale di Sicilia. Il raccorciamento circa E-O, richiesto dalla convergenza tra la placca
Adria-Ionio ed il dominio africano nord-occidentale (Tunisia), è stato consentito dall’estrusione
laterale (circa verso NO) dell’interposto cuneo ibleo. L’indentazione di tale cuneo sulla catena
alpino-appenninica (che all’epoca era situata a est della Sardegna), ha poi causato l’espulsione verso
l’esterno di cunei orogenici della catena a spese del margine continentale assottigliato dell’Adriatico
e del dominio oceanico ionico (Fig. 7b). Il disaccoppiamento del cuneo ibleo dalla placca AdriaIonio è avvenuto mediante l’attivazione di sistemi di faglie trascorrenti e transtensive (Siracusa)
situati lungo il bordo orientale del blocco in oggetto (Finetti, 2005; Del Ben et alii, 2008).
L’evoluzione proposta rende conto dell’attuale configurazione della catena alpina situata lungo il
bordo settentrionale del cuneo ibleo (Fig. 5).
Come discusso da Mantovani et alii (2009, 2014), il quadro sopra descritto può spiegare in
modo plausibile e coerente la complessa distribuzione spazio-temporale degli eventi tettonici
principali del Mediterraneo centrale, che cominciarono in modo quasi contemporaneo nel Miocene
superiore, per poi svilupparsi sino al Pliocene superiore. Tali eventi si possono così sintetizzare:
- formazione dei sistemi di faglie Victor Hensen e Canale di Sicilia, ovvero due grandi discontinuità
situate all’interno dell’avampaese africano che non esistevano prima del Miocene superiore;
- attività estensionale nel Tirreno centrale, che ha portato alla formazione del bacino MagnaghiVavilov;
- accelerazione dell’accrezione orogenica nella catena appenninica;
- attivazione di un’importante discontinuità trascorrente nell’area adriatica settentrionale,
corrispondente al sistema di faglie Schio-Vicenza;
- lo spostamento circa verso Nord del settore della catena appennino-maghrebide che giaceva a nord
del cuneo ibleo.
La documentazione relativa agli eventi tettonici suddetti è riportata nei riferimenti indicati in
Mantovani et alii (2009, 2014) e Viti et alii (2006, 2011).
L’evoluzione appena discussa è perdurata sino al Pliocene superiore-Pleistocene inferiore
(Fig. 7c), quando l’arrivo della spessa litosfera continentale adriatica nella zona di subduzione
Appenninica ha bloccato, o fortemente rallentato questo processo. Ciò ha causato anche la
cessazione dell’estrusione laterale di quella porzione della catena. Da quel momento, l’unico settore
appenninico in grado di estrudere lateralmente è stato l’Arco calabro, in quanto tale settore
fronteggiava la porzione ancora non subdotta del dominio oceanico ionico. La tettonica estensionale
sviluppata sul retro del cuneo calabro in estrusione (delimitato dalle guide laterali trascorrenti di
Palinuro e Vulcano), ha generato la parte più meridionale del Tirreno (bacino di Marsili).
Contemporaneamente, l’accrezione orogenica ha interessato il bordo esterno del cuneo calabro,
formando il cosiddetto Arco calabro esterno. Infine, la compressione parallela alla catena,
responsabile dell’estrusione, ha determinato il veloce sollevamento e la frammentazione della
Calabria, messa in evidenza da vari sistemi di faglie paralleli e trasversali alla catena (e.g.,
Westaway, 1993; Van Dijk e Scheepers, 1995; Del Ben et alii, 2008; Zecchin et al., 2015).
Durante la stessa fase evolutiva l’Adriatico meridionale, sollecitato sia dalla spinta verso
Ovest della Penisola balcanica, che dalla spinta circa verso NNE dell’Africa (trasmessa dall’Arco
Calabro), ha subito un marcato inarcamento verticale e un sollevamento (e.g., Moretti e Royden,
1988; Argnani et alii, 2001). Il fatto che solo la porzione meridionale di Adria sia stata sollecitata
dalla spinta verso Ovest del Sistema anatolico-egeo-balcanico può aver indotto uno sforzo di taglio
destro nella parte centrale di Adria. Ciò è compatibile con la deformazione visibile nella zona del
Gargano, ove il sistema di faglie di Mattinata-Gondola è stato riattivato con movimenti destri (e.g.,
Chilovi et alii, 2000; Di Bucci e Mazzoli, 2003; Tondi et alii, 2005). La localizzazione di tale
sistema di faglie nella zona del Gargano potrebbe essere dovuta al fatto che in tale alto strutturale la
15
pressione di confinamento è minore che nelle zone adiacenti, il che implica una minore resistenza
alla frattura.
Fig.7. Ricostruzione evolutiva del Mediterraneo centrale proposta da Mantovani et alii (2009, 2014) A)
Miocene superiore. CAL=Calabria, Gi=sistema di faglie delle Giudicarie, TS=bacino del Tirreno
settentrionale B) Pliocene superiore. Ap=scarpata apulica, ASO=Alpi sud-orientali, Si= Sistema di faglie di
Siracusa, SV=sistema di faglie Schio-Vicenza, TC=Tirreno centrale (bacini Magnaghi e Vavilov) C)
Pleistocene inferiore. ACE=Arco calabro esterno, Ga=Gargano, IBL=cuneo ibleo, MG=faglia di
Mattinata-Gondola, Pa=faglia di Palinuro, SAP=sollevamento apulico, TM=Tirreno meridionale (bacino
Marsili), Vu=faglia di Vulcano. D) Attuale. Am=dorsale di Amendolara, DMA=dorsale medio-adriatica. 1)
Dominio continentale europeo 2,3) domini continentali ed assottigliati africani ed adriatici 4) dominio
oceanico della Neotetide 5) catena alpina 6) catene orogeniche neogeniche 7,8) bacini estensionali e zone
oceanizzate del Neogene 9) magmatismo quaternario 10,11,12) Principali lineamenti tettonici
compressionali, estensionali e trascorrenti. Le linee sottili indicano i contorni geografici attuali. La paleoposizione della costa tunisina (linea spessa) è riportata per riferimento nelle carte evolutive. Le frecce blu
rappresentano i movimenti delle placche rispetto all’Eurasia (Mantovani et alii, 2009; Viti et alii, 2011).
16
Dal Pleistocene inferiore (Fig. 7d), il contatto diretto tra la parte settentrionale del cuneo
calabro e lo spesso dominio continentale adriatico ha causato un notevole rallentamento
dell’estrusione laterale della Calabria. Tale fenomeno, riconosciuto da vari autori (e.g., Guarnieri,
2006; Zecchin et alii, 2015), ha accentuato il disaccoppiamento del settore settentrionale della
Calabria, bloccato, dal settore meridionale, ancora in estrusione. In questa fase, la direzione di
estrusione della Calabria è cambiata da circa ESE a circa SE (Del Ben et alii, 2008).
Dopo il rallentamento della Calabria settentrionale, il ruolo di disaccoppiamento del sistema
di faglie di Palinuro è quasi del tutto cessato, ma l’estrusione della Calabria settentrionale non è
finita. Infatti, dal Pleistocene superiore si è attivata una nuovo sistema di faglie transpressive,
orientate circa NO-SE e ubicate nel Golfo di Taranto al largo della costa calabra (Dorsale di
Amendolara, Fig. 7d, Ferranti et alii, 2014). La suddetta zona di deformazione ha consentito alla
Calabria settentrionale limitati spostamenti verso il dominio oceanico ionico. Tale estrusione,
accompagnata da una rotazione antioraria del cuneo calabro, potrebbe essere responsabile del
regime estensionale che ha allargato la fossa del Crati nella Calabria settentrionale (e.g., Tansi et
alii, 2005; Zecchin et alii, 2015).
Dal Pleistocene superiore (Fig. 7d), il movimento della placca Adria-Ionio rispetto alla Nubia
ha considerevolmente rallentato, a causa dell’incremento della resistenza al raccorciamento opposta
dalle poco dense strutture orogeniche adiacenti (Ellenidi, Dinaridi, Alpi ed Appennini). Lo sviluppo
di tale processo suggerisce che attualmente il movimento della Nubia non può essere molto diverso
da quello dell’Adriatico meridionale.
Come discusso in precedenza, la ricostruzione proposta prevede che dal Pleistocene medio il
settore esterno dell’Appennino, sollecitato da Adria, subisca una compressione longitudinale
consentita dal sollevamento e dall’estrusione laterale di cunei orogenici (Fig. 3). Inoltre,
l’interpretazione descritta (Viti et alii, 2006; Mantovani et alii, 2009, 2014) implica che anche il
settore interno dell’Appennino sia caratterizzato da mobilità, seppure con velocità nettamente
inferiori rispetto al settore esterno e con un orientazione verso nord-ovest (Fig. 5). Tale processo è
indotto dalla spinta esercitata dalla Nubia, che è trasmessa alle strutture appenniniche dal cuneo
calabro.
2. Campo di velocità nella regione italiana da misure geodetiche (GPS)
Per determinare il campo delle velocità orizzontali sono state considerate le osservazioni di
geodesia spaziale ottenute da più di 500 stazioni permanenti GPS, operanti nella regione italiana e
dintorni (Fig. 8) nel periodo 1/1/2001-30/7/2015. Per ciascuna stazione, i dati di fase e pseudocodice sono stati analizzati con il codice di calcolo GAMIT (versione 10.5, Herring et alii 2010a),
adoperando una procedura distribuita (Dong et alii 1998), descritta da Cenni et alii (2012, 2013).
Mediante un semplice criterio geometrico, e cercando di mantenere la più breve linea di base,
la rete geodetica è stata suddivisa in 43 raggruppamenti. Per ogni stazione appartenente a tali
raggruppamenti, è stato assegnato un vincolo debole (100 m) alle coordinate della posizione
giornaliera della stazione stessa. Le soluzioni orbitali precise fornite dallo Scripps Orbit and
Permanent Array Center (note come dati IGS da International GPS service for Geodynamics), sono
state incluse nella procedura di trattamento dei dati mediante vincoli stretti come l’Earth
Orientation Parameter. Le soluzioni giornaliere, debolmente vincolate, sono state combinate in
un’unica soluzione per mezzo del codice di calcolo GLOBK (Herring et alii 2010b). Tale soluzione
è stata poi riportata nel sistema di riferimento globale ITRF2008 (Altamimi et alii, 2012), mediante
una trasformazione a 6 parametri (3 traslazioni e 3 rotazioni) e usando le coordinate e le velocità
ITRF2008 delle 13 stazioni IGS di alta qualità, indicate nel riquadro della figura 8. Infine, le serie
temporali sono state analizzate per determinare le tre componenti (verso Nord, verso Est e verticale)
delle posizioni geografiche di ogni stazione, secondo la procedura descritta da Cenni et alii (2012,
2013).
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Fig.8. Velocità orizzontali (vettori rossi) delle stazioni GPS rispetto al sistema di riferimento eurasiatico
ITRF2008 (polo euleriano di rotazione assoluta dell’Eurasia con latitudine 54.23°N, longitudine 98.83°W e
velocità angolare ω=0.257°/Ma; Altamimi et alii, 2012). Il riquadro mostra la posizione delle 13 stazioni
IGS che sono state usate per riportare le soluzioni giornaliere della rete nel sistema di riferimento
ITRF2008 (Altamimi et alii, 2012).
I vettori di velocità orizzontale ottenuti dall’analisi suddetta, espressi rispetto al sistema di
riferimento eurasiatico ITRF2008 (Altamini et alii, 2012), sono tabulati nell’Appendice 1 e riportati
in figura 8.
E’ importante notare che il campo di velocità definito dai dati sopra descritti è abbastanza
compatibile con la cinematica a lungo termine derivante dal complesso delle deformazioni
pleistoceniche (figure 1 e 7d). Nella catena appenninica, il campo di velocità GPS conferma la
caratteristica principale della cinematica a lungo termine, ovvero il fatto che il settore esterno della
catena si muove più rapidamente (4-5 mm/anno) e con una maggiore componente verso Est rispetto
alla fascia interna tirrenica (1-2 mm/anno). Per meglio illustrare tale similarità, entrambi i campi di
velocità sono riportati in figura 9.
La considerevole variazione della velocità tra i settore esterno ed interno della catena è messo
in evidenza con maggior dettaglio nella figura 9b, dove si tenta di identificare domini cinematici più
o meno omogenei. Le velocità più grandi (3-5 mm/anno), con direzione prevalente verso NE,
caratterizzano la fascia più esterna, che include i sovrascorrimenti e le pieghe sepolte sotto la
Pianura padana. Le velocità più piccole (<2 mm/anno), con direzione da NO a N, sono invece
stimate per la fascia più interna della catena. Le due fasce suddette sono separate da una zona
assiale, caratterizzata da velocità con ampiezze e direzioni intermedie.
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Nella zona padana posta a Nord delle pieghe appenniniche sepolte, i valori della velocità
mostrano una diminuzione significativa rispetto alla catena esterna. Inoltre, nella zona padana ad
ovest del sistema di faglie delle Giudicarie, le ampiezze e direzioni dei vettori GPS sono piuttosto
diverse da quanto stimato per la parte principale del dominio adriatico (Fig. 8). Una discussione
sulle possibili cause di tale discrepanza si trova in Cenni et alii (2013).
Fig.9. Confronto tra la cinematica a lungo termine, geologica (A) e quella a breve termine, geodetica (B)
nell’Italia centrale e settentrionale. Le linee blu e verdi in B delimitano in modo approssimativo i domini
cinematici omogenei dell’Appennino. Commenti nel testo. Simboli come nella figura 3.
La distribuzione della sismicità nella catena appenninica (Fig.10) mostra un’interessante
corrispondenza tra la distribuzione degli epicentri dei terremoti principali e la zona di transizione tra
i domini con maggiore e minore velocità geodetica (Fig. 9).
Fig.10. Distribuzione dei principali
terremoti (M≥5.0) avvenuti nella catena
appenninica dall’anno 1000 (Rovida et
alii, 2011). Le linee blu e verdi
corrispondono a quelle riportate nella
figura 9.
19
Nell’Italia meridionale (Fig. 11), il campo di velocità geodetico conferma la direzione circa
verso NE del movimento a lungo termine della Calabria, nonché l’andamento circa verso N/NNO
del cuneo ibleo (che comprende la Sicilia). Lo spostamento verso NE della Calabria può essere
interpretato come la somma vettoriale di due componenti, l’una diretta circa NNE e compatibile con
il movimento della Nubia, l’altra orientata a SE e dovuta all’estrusione del cuneo calabro verso il
dominio ionico. Infine, il movimento verso N/NNO del cuneo ibleo può essere considerato come la
somma dello spostamento circa a NNE della Nubia e dell’estrusione circa a NO del cuneo suddetto.
Fig. 11 Confronto tra la cinematica a lungo termine, geologica (A) e quella a breve termine, geodetica (B)
nei cunei calabro ed ibleo. Si veda la didascalia della figura 5.
3. Cinematica a breve termine della placca adriatica e distribuzione spaziotemporale dei terremoti principali nelle zone circostanti
La geodinamica ed il contesto tettonico attuale descritti in precedenza suggeriscono che la
placca adriatica, sollecitata dalla convergenza delle placche confinanti (Africa-Nubia, Eurasia e
Sistema anatolico-egeo-balcanico), tende a spostarsi rispetto alle strutture circostanti (Fig. 1). Tale
movimento, verosimilmente molto lento nei periodi di scarsa attività sismica, accelera localmente
durante le fasi co-sismiche e post-sismiche dei principali terremoti di disaccoppiamento che si
verificano lungo i bordi peri-adriatici (Fig. 12). Questa ipotesi è in accordo con il noto concetto di
accelerated plate tectonics, suggerito da diversi autori (e.g., Bott e Dean, 1973; Anderson, 1975;
Pollitz, 2003; Heki e Mitsui, 2013).
Ogni forte scossa che colpisce una zona sismica peri-adriatica innesca una perturbazione dei
campi di sforzo e deformazione, nota come rilassamento post-sismico (e.g., Pollitz et alii, 2006;
Ryder et alii, 2007; Ergintav et alii, 2009; Ozawa et alii, 2011). Propagandosi attraverso la placca,
20
tale perturbazione può investire faglie mature (cioè orientate favorevolmente e prossime allo
slittamento) situate nei bordi contigui. In tal caso, la probabilità di attivazione sismica di tali fratture
può aumentare in modo significativo (Rydelek e Sacks 1990; Pollitz et al 1998, 2004, 2012;
Mikumo et al 2002; Viti et alii, 2003, 2012, 2013; Freed 2005; Freed et alii, 2007; Mantovani et
alii, 2008, 2010, 2012; Brodski, 2009; Lay et alii, 2009; Durand et alii, 2010; Luo e Liu, 2010).
Fig.12. Distribuzione della sismicità nel Mediterraneo centrale. I cerchi ed i triangoli indicano
rispettivamente gli epicentri dei terremoti superficiali e profondi (h>60 km) avvenuti dal 1400. Dati sulla
sismicità sono presi dai riferimenti riportati nell’Appendice 2 e dai cataloghi seguenti: Ergin et alii (1967);
Rothé (1971); Ben-Menahem (1979); Papazachos e Comninakis (1982); Iannaccone et alii (1985);
Comninakis e Papazachos (1986); Ambraseys e Finkel (1987); Anderson e Jackson (1987); Eva et alii
(1988); Jackson e McKenzie (1988); Benouar (1994); Godey et alii (2006); ISC Catalogue
(http://www.isc.ac.uk/iscbulletin/). Si veda la didascalia della figura 1.
Considerando il quadro tettonico sopra discusso, e ricordando che l’attivazione sismica di una
zona peri-adriatica può incrementare il carico tettonico e quindi la probabilità di scosse forti nelle
altre zone, si può sperare di osservare regolarità nella distribuzione spazio-temporale della sismicità
lungo i bordi dell’Adriatico. Per verificare la plausibilità di questa ipotesi, abbiamo analizzato la
distribuzione della sismicità nelle principali zone peri-adriatiche dal 1400 (Fig. 13). A tal fine, si
poteva considerare il rilascio di energia sismica nel tempo, ma si è ritenuto più utile utilizzare la
21
somma annuale degli slittamenti sismici, stimati per mezzo di un’opportuna relazione empirica tra
magnitudo e slittamento (Wells e Coppersmith, 1994), poiché tale informazione rappresenta in
modo più efficace l’effetto dei terremoti di disaccoppiamento sul movimento locale della placca
adriatica rispetto alle strutture circostanti (Fig.13).
Gli stessi diagrammi mostrano anche lo slittamento sismico totale avvenuto in intervalli
decennali, allo scopo di meglio illustrare la concentrazione dello scorrimento sismico nel tempo.
Tale informazione può essere utile per valutare con quale rapidità i terremoti hanno sollecitato le
strutture adiacenti mediante i processi di perturbazione post-sismica. A tal proposito, è importante
ricordare che l’incremento del tasso di deformazione comporta un’accentuazione del
comportamento fragile delle rocce, cioè della loro tendenza ad assorbire le deformazioni tramite
fratture (Kato et alii, 2003; Niemeijer e Spiers 2007; Savage e Marone 2007).
Gli andamenti mostrati in figura 13 mettono in evidenza che nelle zone considerate la
sismicità è per lo più discontinua nel tempo, con periodi di intensa attività sismica separati da fasi
quasi quiescenti. Inoltre, si può individuare una tendenza alla progressiva migrazione verso Nord
delle crisi sismiche, lungo i margini di Adria sia orientali (Ellenidi settentrionali e Dinaridi
meridionali) che occidentali (Appennini), sino a raggiungere i bordi più settentrionali (Dinaridi
settentrionali ed Alpi sud-orientali).
In figura 13, le presunte sequenze di migrazione sono evidenziate con colori differenti (grigio,
arancio, verde, giallo e blu). E’ ragionevole pensare che l’insieme dei terremoti di
disaccoppiamento peri-adriatici, durante ogni ciascuna sequenza, possa aver comportato un
avanzamento di Adria verso l’Europa di circa 1-2 metri.
Qualche traccia di una possibile sequenza iniziale (grigia in figura 13) può essere identificata
nelle zone peri-adriatiche centrali e settentrionali, ove un incremento significativo dell’attività
sismica (Fig. 13) è riconoscibile dalla metà del XV secolo (in Albania e nelle Dinaridi meridionali)
all’inizio del XVI secolo (nel fronte adriatico settentrionale). Il confronto tra la sismicità avvenuta
dal 1456 (Fig. 14a) e quella dei periodi precedenti (Fig. 14b) mostra che l’attività sismica è molto
aumentata nelle zone peri-adriatiche centrali e settentrionali dopo le grandi crisi sismiche
dell’Albania-Dinaridi meridionali (1444-1451) e dell’Appennino meridionale (1456). Dato che le
scarse informazioni disponibili sulla storia sismica delle Ellenidi settentrionali e della Calabria
prima del 1600, l’inizio della presunta sequenza non può essere determinato con sicurezza. Tale
sequenza fu seguita da un lungo intervallo di attività sismica moderata in gran parte delle zone periadriatiche (Fig. 13).
La prima sequenza verosimilmente completa (verde in figura 13) potrebbe essere stata
innescata dalla sismicità che si è sviluppata nelle Ellenidi settentrionali durante le prime decadi del
XVII secolo. Tale crisi sismica fu seguita da un incremento significativo dell’attività in quasi tutte
le altre zone peri-adriatiche, sino ad investire il fronte settentrionale di Adria nella seconda metà del
XVIII secolo (Fig.13). In quest’ultima zona un’intensa attività sismica è perdurata sino alla fine del
XVIII secolo, per poi subire un netto calo per un periodo relativamente lungo (sino al 1870).
________________________________________________________________________________
Fig. 13 Andamento temporale dello scorrimento sismico associato ai terremoti forti superficiali (M≥5.5 e
h≤30 km), avvenuti dal 1400 nelle principali zone sismiche peri-adriatiche. La geometria delle zone
considerate è mostrata nel riquadro. Le barre rosse nei diagrammi indicano lo scorrimento sismico totale
(in metri) avvenuto nell’anno corrispondente, calcolato mediante la relazione log u = - 4.8 + 0.69M, dove
u è lo scorrimento medio sulla faglia (in metri) ed M è la magnitudo del terremoto (Wells e Coppersmith,
1994). L’altezza dei rettangoli verticali indica la somma degli scorrimenti sismici avvenuti nell’arco delle
decadi corrispondenti. I colori mettono in evidenza le possibili sequenze sismiche, durante le quali i
principali terremoti di disaccoppiamento hanno subito una migrazione progressiva dalle zone adriatiche
meridionali a quelle settentrionali (si veda il testo per commenti). I dati sulla sismicità sono riportati
nell’Appendice 2.
22
23
Un drastico incremento della sismicità nelle Ellenidi settentrionali durante le ultime decadi
del XVIII secolo può aver innescato una nuova sequenza sismica (gialla in figura 13). Altri periodi
di marcata sismicità sono avvenuti nella stessa zona ellenica sino alla metà del XIX secolo,
accompagnati da vari terremoti forti in Albania, nelle Dinaridi meridionali e nell’Appennino
meridionale. Nell’Appennino centrale, un periodo piuttosto lungo di sismicità moderata è stato
interrotto da una scossa fortissima nel 1915 (Fucino, M=7.0), seguita da parecchi terremoti forti
nell’Appennino settentrionale nell’intervallo 1916-1920. La distribuzione spazio-temporale dei
terremoti principali durante la crisi sismica del 1915-1920 è in accordo con le implicazioni del
meccanismo tettonico in atto nella catena appenninica, discusso in precedenza (Mantovani et alii
2010, 2012). In particolare, la valutazione quantitativa degli effetti del rilassamento post-sismico
indotto dalla scossa del Fucino (1915) e da quelle successive (1916-1920) indica che ogni evento di
tale crisi è avvenuto nel momento in cui la sorgente sismica implicata è stata investita dalla
massima ampiezza della perturbazione post-sismica indotta dalle scosse precedenti (sia in termini
della deformazione che della velocità di deformazione, Viti et alii, 2012, 2013). Inoltre, tali risultati
mettono in evidenza che i regimi di deformazione associati con le varie fasi della perturbazione
post-sismica sono grosso modo compatibili con la cinematica delle faglie sismiche nelle zone
appenniniche che si sono attivate durante la sequenza 1916-1920.
Fig. 14. A) Distribuzione dei terremoti principali avvenuti durante l’intervallo 1444-1511, eventualmente
da attribuire alla prima sequenza di figura 13. B) Attività sismica (1380-1443) che ha preceduto la fase
sismica mostrata in A. 1) Dominio adriatico-africano 2) dominio oceanico ionico 3) fascia metamorfica
alpina 4) catene orogeniche 5) Pianura abissale del Tirreno. Dati sismici presi dalle fonti indicate nella
didascalia della figura 12. I numeri in blu indicano l’anno e la magnitudo degli eventi con M  5.5. Altri
simboli come in figura 1.
L’ultima sequenza sismica (blu in figura 13) è stata innescata da una fase di attività molto
intensa nelle Ellenidi settentrionali attorno alla fine del XIX secolo. Come in casi precedenti (1638
per la sequenza verde e 1783 per la sequenza gialla), la crisi suddetta è stata accompagnata da
terremoti molto forti in Calabria (1905 M=6.9, 1908 M=7.2).
Successivamente, l’attività sismica ha interessato le Dinaridi meridionali e centrali e
l’Appennino, le cui porzioni settentrionali da allora sono state interessate da sismicità relativamente
scarsa, costituita da un’importante crisi sismica nelle Alpi sud-orientali (1976, M=6.5, 6.0) e poche,
sporadiche scosse nella parte più settentrionale dell’Appennino (1971, M=5.7 e 2012, M=5.9, 5.8).
Tale evidenza potrebbe implicare che la sequenza in oggetto non si è ancora pienamente sviluppata,
come anche suggerito dalla distribuzione spaziale dei terremoti più importanti avvenuti nelle ultime
tre sequenze di migrazione (Fig. 15).
24
Riassumendo, le evidenze riportate nelle figure 13 e 15 e le argomentazioni finora discusse
suggeriscono che attualmente le zone peri-adriatiche settentrionali (Appennino settentrionale,
Dinaridi settentrionali ed Alpi sud-orientali), sono più esposte a scosse forti rispetto a quelle
meridionali (Calabria ed Appennino meridionale).
Siccome nell’Appennino centrale un’attività sismica significativa è già avvenuta durante la
sequenza sismica attuale, seppure con minore ampiezza rispetto a quelle precedenti, si potrebbe
supporre che in tale la probabilità di ulteriori scosse sia inferiore alle zone settentrionali, anche se
non si può certo escludere un’ulteriore attivazione sismica.
Altre indicazioni sulla possibile localizzazione dei prossimi terremoti nella penisola italiana si
possono ottenere dallo studio di due significative correlazioni tra le principali crisi sismiche che
hanno interessato l’Italia meridionale ed il settore ellenico-dinarico (Viti et alii, 2003; Mantovani et
alii, 2010, 2012), come discusso nei due paragrafi che seguono.
Fig. 15 Distribuzione dei terremoti con
M ≥ 5.5, avvenuti nel corso delle ultime
tre sequenze di migrazione indicate in
figura 13. Si veda la didascalia delle
figure 13 e 14.
4. Interazione tra le sorgenti sismiche delle Dinaridi meridionali e
dell’Appennino meridionale
La possibilità che il verificarsi di terremoti forti nella prima zona favorisca l’attività sismica
nella seconda è stata inizialmente suggerita dal fatto che l’ultimo forte terremoto delle Dinaridi
meridionali (Montenegro 15 Aprile 1979, M=7.0) è stato seguito da una scossa distruttiva
nell’Appennino meridionale (Irpinia 23 Novembre 1980, M=6.9, figura 16). Tale possibilità è stata
poi corroborata dalle implicazioni del quadro tettonico nell’area considerata (schematizzata nella
sezione trasversale in figura 16) e dai risultati della valutazione quantitativa del rilassamento postsismico innescato dall’evento del Montenegro, come discusso sotto.
25
Fig. 16 Sezione trasversale schematica della struttura dell’Adriatico meridionale (S-S’), che mette in
rilievo la flessione verticale della litosfera adriatica sovrascorsa dalla catena dinarica, al bordo orientale,
e dalla catena appenninica presso il bordo occidentale (e.g., Moretti e Royden, 1988; De Alteriis 1995). La
scala verticale è esagerata rispetto all’orizzontale, per far risaltare il possibile effetto di uno scorrimento
sismico relativo tra la litosfera adriatica e la catena dinarica (freccia rossa). La linea tratteggiata indica in
modo schematico il profilo della litosfera adriatica prima dello slittamento sismico nel Montenegro. Gli
epicentri delle scosse del Montenegro (1979, M=7.0) e dell’Irpinia (1980, M=6.9) sono indicati nella
mappa, assieme alla traccia della sezione.
Il verificarsi di un cospicuo slittamento sismico presso un sovrascorrimento delle Dinaridi
meridionali (1-2 metri per la scossa del Montenegro 1979 secondo Benetatos e Kiratzi, 2006),
implica uno spostamento repentino dell’adiacente dominio adriatico meridionale, con la
conseguente riduzione della sua flessione verticale, come schematizzato in figura 16. E’ plausibile
che tale processo induca una deformazione estensionale nell’appennino meridionale, che può
favorire l’attivazione delle faglie normali parallele alla catena identificate in quella zona, come per
esempio quella che si è attivata con il terremoto irpino del 1980 (e.g., Ascione et alii 2007).
Tale ipotesi è confermata dai risultati della modellazione numerica della perturbazione post
sismica indotta in Irpinia dal terremoto del 1979 in Montenegro (Viti et al 2003; Mantovani et al
2010, 2012). In particolare, i risultati ottenuti indicano che la velocità di deformazione indotta
nell’Appennino meridionale avrebbe raggiunto la sua massima ampiezza dopo 1-2 anni dalla scossa
del Montenegro che ha innescato il fenomeno, un ritardo del tutto confrontabile con l’intervallo di
tempo trascorso tra gli eventi sismici del Montenegro (Aprile 1979) e dell’Irpinia (Novembre 1980).
A tale proposito, il rapporto tra l’incremento della velocità di deformazione/sforzo e l’innesco
dell’attività sismica è stato suggerito da vari Autori (e.g., Pollitz et alii, 1998; Toda et alii, 2002;
Viti et alii, 2003, 2012, 2013).
La possibilità che l’interazione tra le sorgenti sismiche delle Dinaridi meridionali e
dell’Appennino meridionale sia un fenomeno sistematico è suggerita dal confronto tra le serie di
scosse forti avvenute negli ultimi due secoli nelle due zone suddette (Fig. 17).
L’elenco riportato in figura 17 mette in rilievo che nel periodo considerato tutte le scosse con
M≥6.0 avvenute nell’Appennino meridionale sono state precedute entro pochi anni (meno di 5) da
uno o più terremoti con M≥6 nelle Dinaridi meridionali. Poiché la probabilità che una tale
corrispondenza regolare sia dovuta al caso è piccolissima (Mantovani et alii, 2010, 2012), è
verosimile che l’interrelazione osservata derivi da una connessione tettonica tra le due zone. Inoltre,
tale corrispondenza non cambierebbe in modo significativo se si considerasse una soglia di
magnitudo inferiore (M=5.5). In tal caso, solo uno dei 15 terremoti dell’Appennino meridionale non
è preceduto da scosse forti nelle Dinaridi meridionali. Ciò potrebbe indicare che difficilmente una
26
faglia appenninica si può attivare senza il contributo della perturbazione post-sismica indotta da uno
o più terremoti forti dinarici.
Fig. 17 Geometria delle zone implicate
nella possibile interrelazione tra le
sorgenti sismiche delle Dinaridi
meridionali
e
dell’Appennino
meridionale. In tabella è riportato
l’elenco degli eventi sismici più
importanti avvenuti nelle due zone dal
1810. Le scosse con M≥6.0 sono
indicate in rosso. I dati sulla sismicità
sono descritti nell’Appendice 2.
Il fatto che la significativa correlazione temporale sopra descritta sia identificabile nella parte
più recente, completa ed affidabile della storia sismica fa sperare che tale fenomeno possa fornire
uno strumento efficace per riconoscere i periodi in cui la probabilità di scosse forti nell’Appennino
meridionale è in aumento. A tal proposito, il fatto che dal 1996 nessuna scossa forte abbia colpito le
Dinaridi meridionali implica che attualmente la probabilità di terremoti distruttivi nell’Appennino
meridionale dovrebbe essere relativamente bassa. Una descrizione dettagliata della correlazione
sismica sopra descritta, assieme alla discussione delle incertezze associate, è riportata in alcuni
lavori (Viti et alii, 2003; Mantovani et alii, 2010, 2012).
5. Interazione tra le sorgenti sismiche della Calabria e delle Ellenidi
Un’altra correlazione significativa è stata riconosciuta tra i terremoti principali della Calabria
e le scosse del settore ellenico compreso tra le Isole ioniche e l’Albania (Fig. 18). L’ipotesi che
un’intensa attivazione sismica delle faglie che consentono alla catena delle Ellenidi settentrionali di
sovrascorrere la piattaforma adriatica meridionale possa aumentare la probabilità di terremoti forti
in Calabria è coerente con il quadro strutturale e cinematico schematizzato in figura 18. Infatti, tale
schema prevede che un significativo slittamento sismico nella zona di sovrascorrimento ellenica
27
produca una riduzione dell’inarcamento della litosfera adriatica. Questo processo può favorire il
sovrascorrimento del cuneo calabro verso il dominio ionico, che si può sviluppare tramite
l’attivazione sismica delle faglie normali e trascorrenti presenti in Calabria (Mantovani et alii, 2008,
2009, 2012).
Fig.18. Geometria delle due zone sismiche verosimilmente correlate (Calabria ed Ellenidi). La traccia della
sezione trasversale S-S’ è indicata sulla carta. I cerchi rossi indicano gli epicentri dei terremoti avvenuti
nelle due zone dal 1600. Tali scosse sono riportati nella tabella, dove gli eventi con M≥6.0 in Calabria e
M≥6.5 nelle Ellenidi sono scritti in rosso. La sezione illustra schematicamente (con scala verticale
esagerata) la riduzione dell’inarcamento (linea tratteggiata) che la placca adriatica può avere subito come
effetto di un forte terremoto di disaccoppiamento nella faglia di subduzione sotto le Ellenidi. Tale
deformazione può favorire l’estrusione laterale del cuneo calabro (sollevato) a spese del dominio ionico. Il
non uniforme sviluppo di questa migrazione può causare l’attivazione sismica dei principali sistemi di faglie
che tagliano trasversalmente e longitudinalmente il cuneo calabro. I dati sulla sismicità sono presi
dall’Appendice 2.
L’interpretazione suddetta e le sue implicazioni sull’interazione tra sorgenti sismiche calabre
ed elleniche è inoltre coerente con la valutazione quantitativa degli effetti del rilassamento postsismico indotto da terremoti forti nelle Ellenidi (Mantovani et alii, 2008, 2012). Ciò suggerisce che
tale fenomeno può aver influenzato le scosse calabre avvenute qualche anno dopo gli eventi sismici
ellenici.
La possibilità che la correlazione sopra descritta abbia un carattere sistematico è suggerita dal
confronto tra le storie sismiche delle due zone considerate (Fig. 18), da cui emerge che le scosse
calabre con M≥6.0 sono state precedute, entro 10 anni al più, da almeno un evento sismico con
M≥6.5 nelle Ellenidi. Anche se si considerano le scosse meno intense (M≥5.5), la corrispondenza
rimane significativa, dato che solo 2 scosse calabre su 26 non sono state precedute da scosse
28
egualmente forti nelle Ellenidi e quindi il numero di mancati allarmi rimane esiguo. Tali
considerazioni sostengono l’ipotesi che difficilmente un terremoto forte può colpire la Calabria
senza che un tale evento sia preceduto da scosse intense nella zona ellenica (Mantovani et alii,
2012).
L’ interrelazione sopra discussa peggiora quando si considera l’aspetto opposto. Infatti si nota
che solo 12 su 20 scosse elleniche con M≥6.5 sono state seguite da un terremoto calabro con
M≥6.0. Ciò indica che il ruolo dei terremoti ellenici come precursori di scosse calabre è incerto, con
possibilità di falsi allarmi. A tale proposito, è importante notare che dal 1948 nessun evento ellenico
con M≥6.5 è stato seguito da una scossa forte in Calabria. Questo incremento considerevole di falsi
allarmi coincide con la fase più recente, che dal 1947 non ha più visto terremoti con M≥5.5 in
Calabria (Fig. 18). Tale lungo periodo di quiescenza sismica (68 anni) è alquanto anomalo rispetto
al comportamento della Calabria nella storia sismica precedente. In particolare, dal 1626 al 1947
l’intervallo di tempo tra due eventi forti consecutivi (M≥5.5) è stato mediamente di 12 anni e
comunque mai superiore a 41 anni.
Fig. 19 Configurazione proposta del sistema di placche e microplacche nel Mediterrraneo centrale e nella
regione egeo-anatolica, assieme al quadro cinematico di lungo termine (Viti et alii, 2011). Le frecce bianche
indicano il presunto campo di velocità rispetto all’Eurasia. Le caratteristiche morfologiche delle terre
emerse e sommerse sono tratte da Le Pichon e Biju-Duval (1990). Le linee rosse spesse delimitano la parte
interna della catena metamorfica alpina (Fig. 20). Al=Albanidi, Cal=Arco calabro, DM=Dinaridi
meridionali, DS=Dinaridi settentrionali,
ES=Ellenidi settentrionali, FNA=Faglia nord-anatolica,
Ma=Marmara, Si=Sicilia. Altri simboli e sigle come in figura 1.
Tale quiescenza prolungata, assieme al peggioramento della correlazione sismica tra Calabria
ed Ellenidi dalla metà del XX secolo, identificano un comportamento anomalo che richiederebbe
una spiegazione. A tale proposito avanziamo l’ipotesi che detta anomalia sia dovuta agli effetti di
un raro evento tettonico di prim’ordine, che ha cambiato drasticamente i campi di sforzo e
deformazione nelle zone sismiche considerate. L’evento in questione è il considerevole spostamento
verso Ovest che il sistema anatolico-egeo (Fig. 19) ha subito in risposta all’attivazione dell’intero
sistema di faglie nord-anatoliche (FNA), innescata dal fortissimo terremoto (M=8) avvenuto nel
1939 presso l’estremità orientale della FNA (e.g., Barka, 1996). Sebbene le estremità orientale ed
29
occidentale della FNA siano state attivate più volte nei secoli precedenti (e.g., Ambraseys e Jackson
1998), è molto raro lo slittamento sismico del settore centrale della FNA che si è verificato dopo il
terremoto del 1939. In sostanza, il cedimento progressivo di tutta la FNA ha favorito lo spostamento
verso Ovest dell’intero cuneo orogenico anatolico, rafforzando considerevolmente il regime
compressivo E-W nell’area egea, pressata tra il Sistema anatolico, e la litosfera adriaticoafricana.Informazioni importanti sul contesto tettonico dell’area in esame possono essere tratte dalla
ricostruzione evolutiva dal Miocene superiore (Fig. 20).
Fig. 20 Ricostruzione schematica dell’evoluzione post-Miocene superiore della catena
metamorfica alpina (in viola chiaro e scuro) e
delle più giovani fasce orogeniche adiacenti
del sistema anatolico-egeo-balcanico (in
giallo). Tale complesso orogenico ha
trasmesso la spinta esercitata dal cuneo
anatolico sull’Adriatico meridionale (frecce
blu; modificato da Viti et alii, 2011). A)
Miocene superiore: la convergenza tra il il
promontorio adriatico ed il blocco anatolico
(espulso lateralmente dell’indentazione della
Placca araba) è permessa dal raccorciamento
longitudinale della catena metamorfica alpina,
associato all’arcuamento orizzontale della
stessa verso Sud. Nella zona di massimo
piegamento, tale deformazione determina la
separazione della catena ellenica in due
tronconi. Ciò induce un regime tettonico
estensionale alle spalle dell’arco, generando il
Bacino cretese occidentale (BCO). B)
Pliocene medio: la continua divergenza tra la
catena metamorfica ed i due tronconi della
catena ellenica (Peloponneso e Creta-Rodi)
causa l’ulteriore allargamento del Bacino
cretese occidentale. C) dal Pleistocene
inferiore: il troncone Creta-Rodi, spinto
dall’Anatolia in estrusione, collide con il
dominio continentale adriatico (promontorio
libico, PL) e subisce ulteriore fratturazione ed
arcuamento verso Sud a spese del dominio
oceanico levantino. Alle spalle dell’arco in
piegamento si sviluppa la deformazione
estensionale che genera il Bacino cretese
orientale (BCE). Il troncone ellenico del
Peloponneso, pressato tra la catena
metamorfica e l’Adriatico meridionale, subisce un’intensa frammentazione. Le scaglie tettoniche prodotte da tale deformazione ruotano ed estrudono
verso Sud, a spese del dominio oceanico ionico. La divergenza tra i frammenti in estrusione e le strutture più
settentrionali (Epiro) forma delle fosse tettoniche orientate circa E-O, come i graben di Corinto (Co) e
dell’Eubea (Eu). Le frecce rosse indicano il movimento dell’Africa rispetto all’Eurasia. Per riferimento sono
riportate in rosso le linee di costa attuali. Altri simboli come in figura 14
Tenendo conto del principio di minima azione (e.g., Cloos, 1993; Masek e Duncan, 1998;
Mantovani et alii, 2014), è ragionevole supporre che il veloce raccorciamento richiesto dalla
30
repentina compressione in senso E-O sia stato in gran parte assorbito dall’estrusione verso Sud della
zone egee (Peloponneso ed Egeo centrale) che fronteggiano la densa litosfera oceanica dello Ionio.
Al contrario, il raccorciamento delle Ellenidi settentrionali e dell’Adriatico meridionale ha
incontrato molta più resistenza, essendo tali settori confinati da litosfera continentale e catene
orogeniche relativamente leggere. Tale ipotesi è in accordo col fatto che dal 1945 l’attività sismica
ha per lo più interessato le strutture situate a Sud del sistema di faglie di Cefalonia e delle fosse
dell’Egeo settentrionale, mentre la sismicità è stata piuttosto debole presso i sovrascorrimenti delle
Ellenidi settentrionali (fig. 21).
Fig.21. Distribuzione dei terremoti principali avvenuti in due intervalli di tempo consecutivi: A) 1900-1947,
B) 1948-2015. Tali periodi hanno rispettivamente preceduto e seguito l’arrivo nell’Egeo delle conseguenze
dello spostamento verso Ovest del blocco anatolico, innescato dal fortissimo terremoto (M=8) avvenuto nel
1939 presso la terminazione orientale della Faglia nord-anatolica (Mantovani et alii, 2001; Cenni et alii,
2002). I cerchi ed i triangoli indicano gli epicentri dei terremoti rispettivamente più superficiali e più
profondi di 60 km. I dati sulla sismicità sono presi dall’Appendice 2. Simboli come in figura 14.
31
E’ ragionevole supporre che a nord della Faglia di Cefalonia il raccorciamento in senso E-O
indotto dal meccanismo sopra discusso sia avvenuto mediante l’ispessimento ed il sollevamento del
dominio adriatico meridionale. Tale processo può aver aumentato la resistenza all’estrusione
laterale della Calabria, ostacolando la fratturazione interna di tale blocco e quindi rallentando lo
sviluppo dell’attività sismica. Ciò può spiegare perché dal 1947 nessun terremoto forte ha colpito la
Calabria (Fig. 18). Durante questo periodo, i terremoti principali avvenuti nel sistema di faglie
transpressive di Cefalonia (1953 M=7.0 ed M=6.6; 1983 M=6.7) potrebbero risultare dallo
spostamento verso Sud-ovest del cuneo del Peloponneso. Tale spostamento, tuttavia, avrebbe effetti
molto limitati sulla cinematica delle Ellenidi settentrionali e quindi sull’attivazione sismica delle
faglie della Calabria (Fig. 21).
Le informazioni e le interpretazioni sopra discusse suggeriscono che l’attuale situazione del
campo di sforzo in Calabria è piuttosto diversa da quella che dovrebbe caratterizzare la
preparazione di un terremoto forte in tale zona. Inoltre, tale situazione potrebbe persistere sino al
verificarsi di un incremento dell’attività sismica presso la zona ellenica di sovrascorrimento situata
a Nord della sistema di faglie di Cefalonia.
Il caso considerato offre un esempio interessante di quanto possano divergere le previsioni
basate su approcci differenti, cioè di tipo probabilistico o deterministico. Le previsioni
probabilistiche trattano spesso l’attività sismica come un processo di Poisson (e.g., Stucchi et al
2011). Nel caso della Calabria, tale ipotesi porterebbe a prevedere una elevata probabilità di
terremoti futuri, poiché il lungo intervallo di tempo trascorso dall’ultima scossa forte (circa 70 anni)
è ben maggiore del periodo medio tra due eventi consecutivi (circa 12 anni). Al contrario,
l’approccio deterministico sopra discusso prevede una scarsa possibilità di scosse forti in Calabria
nell’immediato futuro. Ciò perché l’attuale quadro tettonico non favorisce, come si è detto,
l’attivazione delle principali faglie sismogenetiche di quella zona.
6. Migrazione della sismicità lungo la catena appenninica
Dato il particolare interesse nell’individuare eventuali andamenti regolari della sismicità nel
territorio italiano, abbiamo attentamente analizzato la distribuzione dei terremoti forti avvenuti nella
catena appenninica durante le sequenze sismiche peri-adriatiche mostrate in figura 13. Questa
indagine è mirata soprattutto a verificare la compatibilità tra la distribuzione spazio-temporale delle
scosse principali e le implicazioni della tettonica a breve termine del settore più mobile
dell’Appennino (Mantovani et alii, 2009, 2012, 2014; Viti et alii, 2011, 2015).
Quando un terremoto di disaccoppiamento avviene nell’Appennino meridionale (solitamente
nelle zone estensionali/transtensive dell’Irpinia, Matese o Beneventano), il cuneo orogenico MoliseSannio subisce un’accelerazione, che incrementa la spinta longitudinale sul settore orientale della
Piattaforma laziale-abruzzese situata nell’Appennino centrale (cuneo LAO in figura 3). Ciò causa
un incremento dello sforzo di taglio tra il settore sollecitato e quello interno non sollecitato della
suddetta Piattaforma, creando le condizioni per uno slittamento sismico lungo i sistemi di faglie
longitudinali (in particolare quelli dell’Aquila e del Fucino). Quando tale slittamento si verifica, il
settore disaccoppiato della Piattaforma accelera, causando un aumento del carico tettonico sul
cuneo Romagna-Marche-Umbria dell’Appennino settentrionale (RMU in figura 3) e un conseguente
incremento della probabilità di terremoti forti ai bordi dello stesso cuneo.
L’effetto che tale repentino incremento dello sforzo può produrre sul cuneo RMU dipende
però da quale sistema di faglie si attiva nell’Appennino centrale. Se il disaccoppiamento sismico si
sviluppa lungo la faglia dell’Aquila (come è avvenuto durante la crisi sismica dell’Aprile 2009), il
settore della LAO che accelera è relativamente ristretto e comprende per lo più l’arco del Gran
Sasso (Fig. 3). Per cui, anche il settore sollecitato del cuneo RMU è parimenti ristretto. Questa
interpretazione consente di spiegare la formazione nel Quaternario dell’importante sistema
longitudinale di faglie Norcia-Colfiorito-Gualdo Tadino-Gubbio (No-Cf-GT-Gu) all’interno del
cuneo RMU. Tale sistema, e la sua eventuale prosecuzione nell’Alta Valtiberina e nell’Appennino
32
romagnolo-forlivese, potrebbero costituire il bordo estensionale/transtensivo occidentale della parte
esterna del cuneo RMU, indicata come ERMU in figura 3.
Se invece si attiva il sistema di faglie del Fucino, il settore disaccoppiato ed accelerato della
LAO è più largo. Così, anche la porzione sollecitata del cuneo RMU è più ampia (Fig. 3). Le
possibili conseguenze di questo contesto sono efficacemente illustrate dall’andamento della
sismicità che ha seguito il forte terremoto (M=7) che ha colpito la zona del Fucino nel 1915 (Fig.
22).
Fig.22. Distribuzione dei terremoti principali (M≥5.5) avvenuti nell’Appennino settentrionale dopo la forte
scossa del 1915 nel Fucino. Dati da Rovida et alii (2011).
Una possibile ricostruzione dello sviluppo a breve termine del quadro tettonico e cinematico
che ha determinato la distribuzione delle scosse forti nell’Appennino settentrionale tra il 1916 ed il
1920 è illustrata in figura 23. Una differenza sostanziale rispetto al caso dell’attivazione della faglia
dell’Aquila è che nel periodo suddetto nessun segmento del sistema No-Cf-GT-Gu si è attivata
simicamente (figure 22 e 23). L’ipotesi che dopo il terremoto del 1915 nel Fucino il cuneo RMU si
sia rapidamente spostato come un corpo unico è suggerita dal fatto che nel breve intervallo 19161920, ben 8 scosse con M≥5.5 hanno colpito i principali bordi sismici della porzione settentrionale
del cuneo RMU e del cuneo Toscana-Emilia (TE in figura 3): Riminese nel 1916, Alta Valtiberina
nel 1917, Appennino romagnolo nel 1918, Mugello nel 1919 e Garfagnana-Lunigiana nel 1920
(Viti et alii, 2012, 2013).
Nel seguito viene discusso di come il meccanismo tettonico appena descritto può aver
controllato la migrazione dell’attività sismica lungo l’Appennino nell’ambito delle sequenze periadriatiche mostrate in figura 13.
33
Fig.23. Implicazioni tettoniche della sequenza sismica che ha interessato l’Appennino centrale e
settentrionale dal 1915 al 1920 (Fig. 22). A) Dopo il forte terremoto del 1915 presso il sistema di faglie del
Fucino (M=7), il settore orientale della Piattaforma laziale-abruzzese (in viola) accelera, incrementando il
carico tettonico che grava sul cuneo Romagna-Marche-Umbria (RMU, in verde). B) In risposta al
meccanismo suddetto, lo sforzo aumenta lungo i margini del cuneo RMU, dove si verificano presto forti
terremoti, sia al bordo compressivo/transpressivo esterno (1916 nel Riminese) che al bordo
estensionale/transtensivo interno (1917 in Alta Valtiberina). C) La mobilità del cuneo RMU causa
l’attivazione di altri importanti sistemi di faglia che bordano quel blocco (1918 nell’Appennino romagnolo
e 1919 nel Mugello). D) La compressione esercitata dalla mobilità del cuneo RMU causa deformazione
estensionale al bordo interno del cuneo Toscana-Emilia (TE, in blu), ed il forte terremoto del 1920 presso le
fosse della Garfagnana e Lunigiana. La connessione tettonica tra le sorgenti sismiche attivate è stata
accentuata dal cospicuo slittamento sismico della scossa del 1915 nel Fucino, che ha presumibilmente
innescato la sequenza (circa 1-2 metri, Amoruso et alii, 1998; Viti et alii, 2012). Gli esperimenti numerici
indicano inoltre che la distribuzione nel tempo delle scosse forti sopra citate può essere interpretata come
un effetto del rilassamento post-sismico (Viti et alii, 2012, 2013).
34
La prima sequenza (grigia in figura 13) ebbe inizio nel 1456 e fu possibilmente innescata da
tre terremoti forti nell’Appennino meridionale (Molise, M=7.2, 7.0 e 6.3 in figura 24A), seguiti nel
1466 da un’alteriore scossa intensa in Irpinia (M=6.1, figura 24A). Nello stesso periodo, eventi
sismici rilevanti colpirono l’Appennino centrale (Aquilano nel 1456 con M=5.8 e nel 1461 con
M=6.4) e l’Appennino umbro-marchigiano (Alta Valtiberina nel 1458 con M=5.8). La prosecuzione
di questa sequenza (Fig. 24B) mostra una evidente migrazione della sismicità verso Nord, con il
coinvolgimento dei bordi esterni dell’Appennino romagnolo e tosco-emiliano (Romagna
meridionale nel 1483, M=5.7; Garfagnana nel 1481, M=5.6; Lunigiana nel 1497, M=5.9;
Appennino modenese nel 1501, M=6.0; Bologna nel 1505, M=5.6). Un’intensa attività sismica ha
poi colpito il bordo settentrionale di Adria all’inizio del XVI secolo (Dinaridi settentrionali,
Slovenia nel 1511, M=7.0).
Fig.24. Distribuzione delle scosse
forti
nella catena appenninica
durante la prima sequenza periadriatica mostrata in figura 13.
L’andamento
temporale
della
sismicità è suddiviso in due fasi: A
(1456-1466) e B (1467-1511) per
mettere in rilievo la progressiva
migrazione della sismicità verso
Nord. I dati sono riportati nella
tabella;
M
ed
I
sono
rispettivamente la magnitudo e
l’intensità macrosismica nella scala
Mercalli-Cancani-Sieberg (Rovida
et alii, 2011; Guidoboni e
Comastri, 2005)
La sequenza successiva (arancione in figura 13) non ha coinvolto terremoti molto forti,
diversamente da quanto avvenuto nella sequenza precedente. Inoltre, la migrazione della sismicità
non appare così ben definita. Si potrebbero identificare due sotto-sequenze, mostrate
rispettivamente nelle figure 25A e 25B.
35
Fig. 25 Distribuzione dei terremoti principali avvenuti nella catena appenninica durante la seconda
sequenza (arancione in figura 13). Si possono identificare due sotto-sequenze: la prima si è sviluppata
nell’intervallo 1561-1624 (A), la seconda comprende due fasi successive distinte, 1625-1657(B) e 1658-1721
(C). I dati di sismicità sono riportati nella tabella. Si veda anche la didascalia della figura 24.
Durante la terza sequenza (verde in figura 13), l’attività sismica nell’Appennino ha subito una
chiara migrazione da Sud a Nord (Fig. 26). Nella prima fase, durata circa 15 anni (Fig. 26A), le
scosse forti sono avvenute prima nell’Appennino meridionale e poi nell’Appennino centrale. Nella
seconda fase (Fig. 26B), la sismicità ha interessato soprattutto il settore umbro-marchigiano
dell’Appennino settentrionale, mentre una certa attività è continuata nell’Appennino meridionale
(1732). Nella terza fase (Fig. 26C), le scosse hanno prima colpito l’Appennino centrale (1752), poi
dal 1768 al 1799 parecchi terremoti forti hanno attivato sia il bordo estensionale interno del cuneo
RMU, corrispondente al sistema di faglie Colfiorito, Alta Valtiberina, Cagli, Appennino romagnolo
e Forlivese e il bordo compressionale esterno dello stesso cuneo (Appennino marchigiano,
Riminese e Pieghe ferraresi sepolte).
Nell’ultima fase (Fig. 26D) la sismicità ha colpito in prevalenza i bordi interno (GarfagnanaLunigiana) ed esterno (padano) del cuneo Toscana-Emilia, collocato nella parte più settentrionale
dell’Appennino. Nello stesso periodo, due scosse importanti sono avvenute nell’Appennino umbro-
36
marchigiano (1815 e 1832). Una caratteristica peculiare di questa sequenza è la lunga durata, circa
150 anni, della migrazione della sismicità dall’Appennino meridionale all’estremità settentrionale
della catena appenninica.
Fig. 26 Distribuzione dei terremoti principali (M≥5.5) avvenuti nella catena appenninica durante la terza
sequenza sismica peri-adriatica (verde in figura 13). L’andamento della sisimicità nell’Appennino è
suddiviso in 4 fasi, per mettere in rilievo la progressiva migrazione verso Nord della sismicità nella catena.
Si veda anche la didascalia della figura 24.
37
Durante la quarta sequenza sismica peri-adriatica (gialla in figura 13), la sismicità intensa
nell’Appennino può essere suddivisa in tre fasi. Nella prima fase (Fig. 27A), l’attività sismica ha
interessato soprattutto l’Appennino meridionale. Nella seconda fase (fig. 27B), terremoti rilevanti
Fig. 27. Distribuzione dei terremoti principali (M≥5.5) avvenuti nella catena appenninica durante la quarta
sequenza peri-adriatica (Fig. 13). L’andamento della sismicità è suddiviso in 3 fasi, per porre in evidenza la
migrazione progressiva della sismicità verso Nord. Si veda anche la didascalia della figura 24.
sono avvenuti nell’Appennino settentrionale e nelle Alpi sud-orientali, saltando per così dire
l’Appennino centrale, colpito in settori marginali da poche scosse moderate. A tal proposito, è
importante notare che la forte sismicità dell’Appennino centrale ha subito la più lunga fase di
quiescenza della storia sismica nota (dal 1762 al 1904). Perciò, il fatto che tale quiescenza sia
terminata con la più forte scossa mai avvenuta in tempi storici nell’Appennino centrale (1915,
M=7.0) potrebbe non essere un caso. Inoltre, l’evento suddetto ha coinvolto il sistema di faglie del
Fucino che, per quanto conosciamo della storia sismica, non si era mai attivato con pari magnitudo
(Rovida et alii, 2011).
38
Come discusso sopra ed in precedenti contributi (e.g., Mantovani et alii, 2012), le
implicazioni tettoniche del terremoto del 1915 nel Fucino possono spiegare l’eccezionale attività
sismica che ha colpito l’Appennino settentrionale (Fig. 27C), con ben 8 scosse forti (M≥5.5) in soli
5 anni (1916-1920). Inoltre, la valutazione quantitativa del rilassamento post-sismico innescato
dalla scossa del Fucino (Viti et alii, 2012, 2013) ha fornito una plausibile spiegazione dell’intervallo
temporale che ha separato le scosse avvenute nel periodo 1916-1920. Un’altra informazione che
convalida l’interpretazione tettonica proposta è il fatto che l’attività sismica successiva al terremoto
del Fucino non ha coinvolto il sistema di faglie No-Cf-GT-Gu. Infatti, la mobilità del settore della
Piattaforma laziale-abruzzese disaccoppiato dal resto attraverso la scossa del 1915 non comporta un
sostanziale incremento dello sforzo di taglio presso il suddetto sistema di faglie. L’attività sismica
nell’Appennino settentrionale è stata poi seguita da scosse forti nelle Alpi sud-orientali.
Nell’ultima sequenza sismica (blu in figura 13), i terremoti principali sono sinora avvenuti
nell’Appennino meridionale e centrale e nel settore umbro-marchigiano dell’Appennino
settentrionale (Fig. 28A,B). Solo poche scosse importanti hanno colpito le zone più settentrionali
(Parmense nel 1971; Alpi sud-orientali nel 1976 e 1998; Pianura padana, 2012; Rovida et alii,
2011). Come ricordato in precedenza, tale andamento suggerisce che lo sviluppo futuro della
sequenza potrebbe coinvolgere le faglie dell’Appennino settentrionale non ancora attivate.
Fig.28. Distribuzione dei principali eventi
sismici nell’Appennino durante l’ultima
sequenza peri-adriatica (blu in figura 13).
Nella prima fase (A), l’attività sismica ha
per lo più coinvolto l’Appennino meridionale
e centrale, aumentando il carico tettonico
nell’Appennino settentrionale. La sismicità
di tale settore ha poi interessato l’Appennino
umbro (B). Recen-temente, scosse forti sono
avvenute presso il sistema di faglie
dell’Aquila (2009), aumentando la mobilità del cuneo del Gran Sasso, e presso le Pieghe ferraresi sepolte (2012). Si veda anche la didascalia della
figura 24.
39
Nella parte più remota della storia sismica si nota che un’altra migrazione di sismicità è
avvenuta attorno alla metà del XIV secolo, con terremoti forti nell’Appennino meridionale, centrale
e settentrionale (Fig. 29). Si può notare una sostanziale similarità tra questa sequenza e quella
mostrata in figura 24, soprattutto per quanto riguarda il breve intervallo di tempo trascorso tra
l’attivazione dei differenti settori dell’Appennino (pochi anni) e per il fatto che, per quanto è dato
sapere, la risposta dell’Appennino settentrionale ha coinvolto solo l’Alta valtiberina.
Fig. 29 Distribuzione dei terremoti principali (M≥5.5)
avvenuti nella catena appenninica durante un’altra
possibile sequenza sismica sviluppata attorno alla metà
del XIV secolo (i dati sono riportati in tabella). Si veda
anche la didascalia della figura 24.
7. Zone sismiche prioritarie nella catena appenninica e Alpi orientali
Le evidenze e le argomentazioni descritte nei capitoli precedenti possono essere usate per
tentare il riconoscimento delle zone appenniniche dove si stanno sviluppando condizioni favorevoli
al verificarsi di terremoti forti. Per esempio, prendendo in considerazione quello che è successo
nella catena appenninica durante le prime 4 sequenze sismiche (Figg. 24-29) si potrebbe cercare di
prevedere la prosecuzione più probabile della sequenza sismica attuale (Fig. 28b). Soprattutto
andrebbe considerato che il settore della Piattaforma laziale-abruzzese (LA) che ha subito la
maggiore mobilizzazione durante la sequenza attuale è quello del Gran Sasso, come è suggerito dal
fatto che alcuni forti terremoti sono avvenuti lungo il fronte esterno compressionale di tale cuneo
(1933 M=5.7, 1943 M=5.8, 1950 M=5.7). Questo implica che il settore del cuneo RMU che ha
accelerato in seguito ai disaccoppiamenti sismici sopra citati, corrisponde alla parte esterna di tale
cuneo (ERMU in figura 3), separato dalla catena interna dai sistemi di faglie Aquila-NorciaColfiorito-Gualdo Tadino-Gubbio (Aq-No-Cf-GT-Gu) e Alta Valtiberina-Romagna-Forlì (AVTRo-Fo). Questa ipotesi è basata sul fatto che i segmenti più meridionali del sistema sopra citato
sono già stati attivati da terremoti forti (Norcia 1979 M=5.9; Colfiorito 1997 M=5.7, 6.0, 5.5, 5.7;
40
Aquila 2009 M=6.3). Dopo tali disaccoppiamenti, uno potrebbe aspettarsi che il settore ERMU
abbia accelerato causando un aumento del carico tettonico lungo i suoi margini settentrionali
(sistemi di faglia ATV e Ro-Fo), che quindi possono essere considerati come le zone
maggiormente esposte alle prossime scosse forti nell’Appennino settentrionale.
Tra le sequenze sismiche precedenti, quella che mostra le più evidenti somiglianze con la
sequenza in corso è la terza (Figg. 13 e 23), che è stata caratterizzata dalla mobilizzazione del
settore LA esterno nell’Appennino centrale (Gran Sasso) e poi dall’attivazione sismica delle faglie
che si trovano lungo il margine del cuneo ERMU meridionale (1719-1751, figura 26B). Poiché la
fase sismica sopra citata è stata seguita da terremoti forti nelle zone che bordano la parte nord del
settore ERMU (1768-1796, figura 26C), si potrebbe supporre che tale comportamento potrebbe
caratterizzare il proseguimento della sequenza attuale. I terremoti che si sono verificati nella pianura
padana nel maggio 2012 (M=5.9, 5.8) potrebbero rappresentare un effetto del contesto tettonico
sopra citato.
Prendendo in considerazione la precedente storia sismica ci si potrebbe aspettare che i bordi del
settore ERMU che risultano attualmente più esposti alle prossime scosse forti (M>5.5) sono i
sistemi di faglie ATV e Ro-Fo (Fig. 3). Questa convinzione è basata sulle seguenti considerazioni:
-Il campo di velocità geodetico (Fig. 9) suggerisce che la velocità relativa tra il settore ERMU e la
catena interna è di circa 3-4 mm/anno. Poiché l’ultimo forte terremoto nel sistema di faglie ATV si
è verificato circa 100 anni fa (1917, M=5.9) si può stimare che la rispettiva deformazione
estensionale accumulata lungo quella faglia sia di circa 20-30 cm, una lunghezza che può
corrispondere allo scorrimento che avviene per un terremoto di magnitudo 5.5-6.0 (come suggerito
dalla relazione riportata nella didascalia di figura 13). Invece, lungo i bordi esterni del settore
ERMU il tasso di deformazione dovrebbe essere più limitato poiché la velocità relativa
(convergente) è più bassa (1-2 mm/anno) rispetto a quella che caratterizza il margine interno dello
stesso settore (ATV e Ro-Fo).
Alla luce dei numerosi esperimenti numerici effettuati per altri terremoti nell’Appennino
settentrionale (Viti et al., 2012, 2013), gli effetti del rilassamento post-sismico indotti dai terremoti
di Norcia del 1979 e di Colfiorito del 1997 sono attualmente più intensi nei sistemi di faglia ATV e
Ro-Fo.
- Le faglie sopra citate hanno già ospitato numerosi terremoti forti (Rovida et alii, 2011).Si
potrebbe obiettare che questa potenzialità sismogenetica è condivisa da altri margini del settore
ERMU, come i fronti Rimini-Ancona e Marche, ma si deve considerare che i bordi esterni del
settore ERMU sono sottoposti a un tasso di deformazione più basso di quello che sta sollecitando il
margine interno (ATV, Ro-Fo), come discusso sopra.
Le principali zone sismiche del settore più avanzato dell’Appennino settentrionale (cuneo TE,
fig. 3), con particolare riferimento alla Lunigiana-Garfagnana, hanno subito alcuni terremoti forti
(1481 M=5.6, 1497 M=5.4, 1834 M=5.6, 1837 M=5.7, 1920 M=6.5) durante le sequenze sismiche
periadriatiche marcate in grigio, verde e giallo in figura 13, cioè quelle che sono state innescate da
terremoti molto intensi nell’Appennino meridionale e centrale. Solo terremoti di magnitudo
intermedia si sono invece verificati nelle faglie del cuneo TE durante la sequenza sismica arancione
di figura 13, che non è stata innescata da forti scosse nell’Appennino meridionale e centrale. I casi
appena discussi potrebbero implicare che l’attivazione sismica delle faglie in Lunigiana e
Garfagnana richiede il verificarsi di terremoti forti nella parte centrale e meridionale della catena.
Quando questa condizione non si verifica, la deformazione che si propaga lungo la catena potrebbe
non essere sufficiente a indurre sismicità significativa nelle faglie del cuneo TE. La sequenza
attuale è stata finora caratterizzata da tre terremoti forti nell’Appennino meridionale (1930 M=6.7;
1962 M=6.0; 1980 M=6.9) e un numero di scosse intermedie nel’Appennino centrale (1933 M=5.7,
1943 M=5.8; 1950 M=5.7; 1984 M=5.9,5.5; 2009 M=6.3). Però, il fatto che tali eventi sono stati
separati da intervalli abbastanza lunghi suggerisce che il loro effetto nell’Appennino settentrionale
potrebbe esser stato meno intenso di quelli prodotti da sequenze di scosse forti molto ravvicinate nel
41
tempo (Fig.13). Infatti, si sa che il comportamento fragile delle rocce cresce con l’aumentare del
tasso di deformazione (e.g., Toda et alii, 2002; Kato et alii, 2003; Niemeijer and Spiers, 2007;
Savage and Marone, 2007). Gli argomenti descritti sopra suggeriscono che attualmente la
probabilità di forti scosse nel settore più avanzato del cuneo TE è più bassa di quella che esiste
lungo i bordi del settore ERMU.
Una volta individuate le due zone AVT e Ro-FO come le più esposte ai prossimi terremoti forti,
è opportuno prendere in considerazione la storia sismica pregressa di tali zone (Tab.1) per cercare di
acquisire informazioni sulla potenzialità sismica di tali strutture, sia in termini di intensità massima
(Imax) che di tempi di ritorno (TR) per scosse forti.
Per il sistema di faglie AVT la storia sismica che risale al 1000 D.C. (Rovida et alii, 2011) indica
una Imax di IX-X MCS. TR è di 53 anni per I≥7, 145 anni per I≥VIII e 203 anni per I≥IX. Gli
ultimi eventi con I=VII e I=IX si sono verificati 68 anni fa (1948) e 99 anni fa (1917)
rispettivamente. Il minimo e il massimo tempo di inter-evento sono 1 e 134 anni per I=VII e 1 e 400
anni per I=IX rispettivamente. Questi valori suggeriscono che le possibilità di prevedere il tempo
che ci separa dalla prossima scossa in questa zona sono molto scarse.
Per il sistema di faglie Ro-Fo Imax è X, TR è 44 anni per I≥VII, 113 anni per I≥VIII e 169 anni
per I≥IX. Gli ultimi eventi con I=VII e I= IX si sono verificati 60 anni fa (1956) e 98 anni fa (1918)
rispettivamente. Il massimo e il minimo tempo di inter-evento sono 4 e 104 anni per I≥VII e 13 e
137 anni per I≥IX. Ovviamente, è opportuno considerare che i valori elencati sopra possono essere
notevolmente influenzati da eventuali incompletezze ed errori, soprattutto relativi alle parti più
antiche dei cataloghi sismici.
Tab.1. Terremoti con M  VII che sono avvenuti nelle zone AVT e Ro-Fo dall’anno 1000 (Rovida et alii,
2011). Gli eventi con I  IX sono riportati in rosso.
Alpi sud-orientali
Nei capitoli 5, 6 e 7 sono state discusse evidenze e argomentazioni a sostegno dell’ipotesi che la
probabilità di forti terremoti nell’Appennino settentrionale e nelle Alpi orientali è più elevata
rispetto a quella che esiste nell’Appennino meridionale e Calabria. Qui vengono presentate altre
evidenze e argomentazioni che possono aiutare a discriminare tra le probabilità di terremoti forti
nell’Appennino settentrionale e nelle Alpi sud-orientali:
- Nelle sequenze periadriatiche mostrate nelle figure 13 e 22-29 l’attivazione delle principali faglie
nell’Appennino settentrionale ha prevalentemente preceduto i forti terremoti nelle Alpi sudorientali, per cui la probabilità che questa cronologia si ripeta anche in futuro sembra più elevata.
- Il fatto che una coppia di scosse forti (M=6.4, 5.9) ha colpito le Alpi orientali nel 1976 potrebbe
indicare che in quella zona la deformazione precedentemente accumulata si è in parte scaricata,
riducendo quindi la possibilità che la prossima scossa forte si verifichi in quella zona.
42
- Il moto verso nord della placca adriatica e il conseguente accumulo di deformazione lungo il suo
fronte settentrionale è favorito dai disaccoppiamenti sismici che avvengono nel sistema di faglie
transpressive nelle Dinaridi settentrionali. Questa ipotesi è compatibile con la distribuzione spazio
temporale dei terremoti intensi dal 1400 (Fig. 13). Siccome nella sequenza in corso l’attività sismica
nella zona suddetta è stata molto scarsa (Fig. 15), si può ragionevolmente supporre che la situazione
tettonica attuale non sia particolarmente favorevole all’attivazione sismica intensa delle Alpi sudorientali.
- Il complesso di evidenze e argomentazioni descritto in questo paragrafo potrebbe suggerire che la
prossima attivazione sismica del fronte alpino di Adria sarà successiva a quella nell’Appennino
settentrionale. Per questo motivo, nella figura di copertina la massima priorità è assegnata alla zona
dell’Appennino settentrionale comprendente i sistemi di faglia che bordano il cuneo ERMU.
8. Zone sismiche prioritarie in Calabria e Sicilia
Come mostrato negli schemi mostrati nelle figure 1, 5 e 19, l’attività tettonica in queste due
zone, determinata dalla convergenza delle placche circostanti, è principalmente assorbita dalle
estrusioni laterali, in sensi opposti, del cuneo calabro e di quello ibleo (Mantovani et alii, 2009,
2014). In Calabria, la compressione longitudinale causa il sollevamento della catena, favorendo lo
scivolamento gravitativo di questa struttura verso la zona oceanica dello Ionio. Però, come discusso
in precedenza, questo processo può avere subito un rallentamento circa dalla metà del secolo scorso,
quando gli effetti del notevole avanzamento verso ovest del blocco anatolico hanno raggiunto la
zona adriatica meridionale e ionica. Questa interpretazione potrebbe spiegare perché dal 1947 (data
dell’ultima scossa con M>5.5) la Calabria non è stata più interessata da scosse forti. E’ragionevole
supporre che questa situazione tettonica possa avere avuto conseguenze importanti anche in Sicilia,
in quanto il rallentamento del cuneo calabro potrebbe essere stato compensato da un’accelerazione
dell’estrusione, circa verso nord/NNO, del cuneo Ibleo. Questa ipotesi è compatibile con il fatto che
dal 1948 la notevole riduzione dell’attività sismica in Calabria ha coinciso con un aumento di
questa attività lungo i bordi del cuneo ibleo (Fig. 21).
Le zone tettoniche della Sicilia dove il contesto discusso sopra può implicare gli effetti più
disastrosi corrispondono ai sistemi di faglia che permettono il disaccoppiamento tra il cuneo ibleo e
quello calabro (faglie Vulcano e Siracusa in figura 5). Il disaccoppiamento tra il cuneo calabro e
quello ibleo coinvolge anche il distacco e la rotazione oraria del piccolo cuneo dei Peloritani. La
separazione tra questo microblocco e la Calabria meridionale produce deformazione estensionale
nella fossa angolare di Messina. Quindi, anche questo sistema di faglie va inserito tra le zone
esposte a scosse nella situazione tettonica descritta sopra, come indicato nella figura di copertina.
Il fatto che alcune scosse forti si sono verificate nella faglia di Cefalonia nel gennaio e febbraio
2014 (M=6.1, 6.1) e novembre 2015 (M=6.5) si presta ad alcune considerazioni, poiché tale
struttura appartiene alla zona identificata come possibile sorgente di precursori di terremoti forti in
Calabria. (Fig.18). In particolare, sarebbe utile capire quali implicazioni possono derivare dalle
scosse sopra citate sulla probabilità di scosse in Calabria. A questo riguardo, si possono fare le
seguenti considerazioni :
- La maggior parte dei terremoti calabri riportati nella tabella di figura 18 sono stati preceduti da
possibili precursori ellenici di magnitudo più elevata di 6.5, che supera i valori di M raggiunti nel
2014 e 2015.
- La tabella riportata in figura 18 suggerisce che l’influenza dei terremoti avvenuti nella faglia di
Cefalonia sulla probabilità di scosse in Calabria è calata fortemente dopo l’arrivo in questa zona
degli effetti della migrazione del blocco anatolico. Poichè è difficile capire se tale situazione
inibitoria è ancora in atto, qualsiasi tentativo di fare previsioni sulla probabilità di terremoti forti in
Calabria sarebbe affetto da notevole incertezza. Considerando il contesto tettonico nella zona
adriatica meridionale (Fig.18) e la storia sismica delle due zone supposte correlate, noi avanziamo
l’ipotesi che la zona del’Epiro sia la sorgente più efficace di precursori di terremoti forti in Calabria.
43
Questo implicherebbe che il verificarsi di scosse in quella zona dovrebbe essere preso con maggior
preoccupazione per i suoi possibili effetti in Calabria, considerando comunque che nei casi di
supposta corrispondenza il ritardo delle scosse calabre è prevalentemente durato numerosi anni.
9. Zone sismiche italiane in cui non è attualmente possibile fare previsioni
Nelle sezioni precedenti è riconosciuto che in alcune zone sismiche italiane la probabilità di forti
terremoti è più elevata rispetto alle altre zone. Comunque, questa valutazione relativa andrebbe
integrata da una più esplicita definizone delle zone a cui tale previsione si riferisce. A questo
riguardo, vengono riportate alcune considerazioni sulle zone italiane in cui la metodologia di
indagine qui proposta non è in grado di fornire indicazioni attendibili sullo sviluppo futuro
dell’attività sismica.
Alpi centrali e occidentali, Alpi Liguri e Valle Padana occidentale.
La maggior parte delle strutture sismogenetiche in questo settore dell’Italia sono state interessate
da attività sismica di intensità moderata (minore o uguale a VIII) tranne le zone tettoniche
localizzate al largo della costa ligure occidentale, dove si sono invece verificate scosse forti (Fig.
30). Queste zone sono situate nella protuberanza nordoccidentale del vecchio promontorio adriatico,
che per la presenza di vari disaccoppiamenti (principalmente i sistemi di faglie Schio-Vicdenza e
delle Giudicarie) non sembra più completamente solidale con il corpo principale adriatico. In questo
contesto tettonico non è facile capire quali connessioni possono esistere tra l’attività sismotettonica
di queste zone e la progressiva migrazione della placca adriatica principale. Quindi, manca un
elemento principale per tentare di ottenere informazioni sui percorsi della sismicità intensa delle
zone in oggetto.
Fig. 30. Distribuzione della sismicità più intensa (M≥5.) dal 1000 (Rovida et alii, 2011) e principali
strutture tettoniche nell’Italia nord-occidentale (e.g., Larrocque et alii., 2011; Bauve et alii, 2014).
Gi=sistema di faglie delle Giudicarie, In=linea Insubrica, Li=Alpi Liguri, Pm, Mf=unità del Bacino
terziario piemontese e del Monferrato, Pd=Padania, SV=sistema di faglie Schio-Vicenza.
Fascia interna tirrenica della catena appenninica
Come discusso in precedenza, l’attività tettonica e la relativa sismicità che si sviluppano in
questa zona (Fig. 4) non sono legate alle sollecitazioni indotte dal movimento della placca adriatica.
44
Il motore principale della compressione che agisce nella catena appenninica interna è costituito
dalla spinta del blocco africano trasmessa dal cuneo calabro. Questo suggerisce che non è facile
capire la connessione tra la sismicità di questa zona e quella delle zone periadriatiche considerate
nei capitoli precedenti e che, di conseguenza, qualsiasi tentativo di riconoscere i sistemi di faglie
che saranno oggetto di attivazione sismica nel prossimo futuro sarebbe affetto da notevole
incertezza.
Apulia
La sismicità di questa zona (Fig. 31) è principalmente legata alle attivazioni del sistema di faglie
Mattinata-Gondola, che taglia la zona del Gargano, facente parte della fascia sommitale della placca
adriatica meridionale (e.g., Piccardi, 2005; Scisciani e Calamita, 2009; Di Bucci et alii, 2011).
La localizzazione di queste faglie implica che la sismicità di questa zona non è legata ad un
disaccoppiamento tra la placca adriatica e le strutture circostanti, ma è solo l’effetto di deformazioni
che si sviluppano nella parte interna della placca. Quindi, non è facile riconoscere quali meccanismi
possono legare la sismicità di questa zona con la distribuzione di scosse nelle zone periadriatiche.
Fig. 31. Distribuzione della sismicità più intensa (M≥5.0) dal 1000 A.D. (Rovida et alii, 2011) e principali
strutture tettoniche nell’Apulia. DMA=Dorsale medio adriatica, MG=sistema di faglie Mattinata-Gondola,
G=Gargano, Tr=sistema di faglie delle Tremiti.
10. Distribuzione spazio-temporale della sismicità minore
I tentativi di identificare una connessione tra i processi tettonici e la distribuzione dell’attività
sismica ha finora preso in considerazione i terremoti più forti (M5.5), in accordo con il noto
concetto che la cinematica delle placche è strettamente controllata dai terremoti forti, che
coinvolgono estese faglie di disaccoppiamento ed alti valori di scorrimento lungo le rispettive
faglie. Comunque, è plausibile che lo sviluppo dei processi tettonici abbia una notevole influenza
anche sulla sismicità minore, cioè quella costituita da scosse di magnitudo bassa (M<5), anche se i
meccanismi che legano queste due attività.non sono stati ancora chiariti. Per cercare di ottenere
informazioni su questo importante problema, è stata presa in considerazione la raccolta più
completa ed attendibile di dati relativi alla sismicità minore, riportata dal catalogo CSI (Castello et
alii, 2006) per il periodo che parte dal 1981.
45
La distribuzione spaziale di tale attività nell’area italiana e le geometrie delle zone in cui
abbiamo suddiviso il territorio nazionale sono mostrate in figura 32.
Gli andameti temporali del numero annuale di scosse nelle zone considerate (Fig. 33) si prestano
alle seguenti considerazioni:
- Il numero relativamente basso di scosse nelle Alpi (zona A) nell’intero periodo considerato
potrebbe indicare che in tale zona il carico tettonico attuale non è molto elevato. Questa evidenza
sarebbe compatibile con l’ipotesi, avanzata precedentemente, che in questa zona la probabilità di
scosse forti è meno elevata che nell’Appennino settentrionale. Una considerazione analoga si
potrebbe fare per le Alpi centrali, dove l’attività è altrettanto scarsa.
Fig. 32. Distribuzione delle scosse strumentali nell’area italiana (1981-2015) e geometrie delle zone
considerate. Dati sulla sismicità presi da ISIDe Working Group (INGV, 2010). Le lettere corrispondono a
quelli delle zone e relativi diagrammi mostrati in figura 33. Cerchi rossi= M  3, cerchi blu=2  M < 3.
- Si può notare che i livelli più elevati di sismicità strumentale si sono sviluppati nei settori
dell’Appennino settentrionale (zone C, D, E). In particolare questo fenomeno (Fig. 33) è più
marcato per la zona E (sistema di faglie Aq-No-Cf-GT-Gu) per il periodo che parte dal 1997,
quando alcune scosse intense hanno colpito la zona di Colfiorito (M=6.0, 5.7, 5.5, 5.7),
nell’Appennino umbro. L’attivazione sismica di questo sistema di faglie (che disaccoppiano la parte
meridionale del cuneo ERMU dalla catena interna) può rivelare un moto accelerato di tale struttura,
un fenomeno che presumibilmente aumenta il carico tettonico sulla parte settentrionale dello stesso
46
cuneo, producendo sforzi più elevati lungo i suoi bordi (con particolare riferimento al sistema di
faglie AVT e Ro-Fo). Queste considerazioni potrebbero avere importanti implicazioni, in quanto
suggeriscono che le indicazioni fornite dall’analisi della sismicità minore sono coerenti con quelle
ricavate dall’analisi del quadro sismotettonico generale, discusso in precedenza.
Fig.33. Andamento temporale della sismicità strumentale nel periodo 1981-2016. Vedi didascalia della
figura 32. Negli anni in cui il numero di eventi ha superato 400, il totale delle scosse è riportato di fianco
alla barra. I cerchi sovrapposti alle barre indicano le scosse con M5.
47
- Un'altra zona dove l’attività sismica minore mostra un livello relativamente più elevato rispetto
alle altre zone considerate è la Sicilia orientale (L in figura 33). E’ interessante notare che tale
attività subisce un calo significativo quando le scosse avvenute nella zona dell’Etna non sono
conteggiate (istogramma L1).
11. Tasso di deformazione da misure geodetiche
Il campo di velocità orizzontale mostrato nella Fig.8 è stato utilizzato per determinare il
campo di deformazione presente nell’area in esame. Questa operazione è stata eseguita mediante
una procedura ai minimi quadrati pesati (Cenni et alii, 2015), applicando l’algoritmo sviluppato da
Shen et alii (1996). Il contributo di ogni vettore velocità al vettore 2D calcolato in ogni nodo della
griglia (0.25° x 0.25°) è pesato dalla rispettiva incertezza e dalla funzione di scala esp-dik/Df) dove
dik è la distanza tra il nodo i-esimo della griglia e il k-esimo sito GPS e Df è il fattore di
decadimento con la distanza. Per migliorare l’attendibilità dei risultati, sono stati introdotti due
criteri geometrici, come proposto da Teza et alii (2008, 2012) e Cenni et alii (2012). In particolare, i
valori risultanti del tasso di deformazione sono stati considerati accettabili solo quando almeno tre
siti GPS sono presenti ad una distanza minore di Df dal nodo considerato e sono distribuiti in
modo uniforme (uno ogni angolo di 120°). Nel calcolo è stato assunto un valore di Df = 50 Km,
corrispondente a circa tre volte la spaziatura media della rete GPS. Il risultato ottenuto è mostrato in
figura 34.
Fig. 34. Campo del tasso di deformazione orizzontale, dedotto dal campo di velocità mostrato in Figure 8.
Spiegazioni nel testo. Le frecce rosse convergenti e blu divergenti indicano rispettivamente gli assi principali
di raccorciamento e allungamento. La figura mostra anche la prevalenza di raccorciamento (rosso) e
estensione ( blu) in accordo con la scala cromatica mostrata a sinistra.
48
Per determinare l’ampiezza del tasso di deformazione, indipendentemente dallo stile
deformativo, è stato calcolato il modulo di questo parametro (Tasso di Deformazione Normalizzato,
TDN), partendo dalle sue tre componenti (e.g., Kreemer et alii, 2003; Riguzzi et alii, 2012). La
distribuzione di TDN nella zona in esame è mostrata in figura 35.
Si può notare che le zone qui indicate come più esposte alle prossime scosse forti (settore
ERMU e Sicilia orientale) si sovrappongono alle aree di massimo valore di TDN.
Fig. 35. Distribuzione del modulo del tasso di deformazione orizzontale normalizzato (TDN). Spiegazioni nel
testo.
In figura 36, il parametro TDN viene confrontato con la distribuzione dei terremoti con M ≥ 3
e profondità minore di 40 km che si sono verificati dall’Aprile 2005 al Gennaio 2016 (ISIDE
Working Group, 2010). Questo confronto suggerisce una certa corrispondenza tra le zone di
massimo valore del TDN e gli epicentri dei terremoti. Comunque, per valutare questo aspetto in
modo più accurato, il valore di TDN è stato ricalcolato nei punti corrispondenti agli epicentri degli
eventi considerati. Il risultato di questo calcolo, limitato ai soli punti per cui risulatono soddisfatti i
criteri sopra citati, è stato inserito in un grafico che mostra la relazione tra magnitudo e TDN (Fig.
37). Per i valori più bassi di magnitudo (M<4) i corrispondenti valori del TDN mostrano un
notevole spargimento di valori. Ovviamente, questi risultati sono influenzati dalla scelta dei criteri
geometrici imposti nell’analisi (Cenni et alii, 2015).
49
Fig. 36. Distribuzione di TDN, sovrapposta alla sismicità recente (cerchietti) con magnitudo M ≥ 3 e
profondità inferiore a 40 Km, avvenuta nell’area italiana dal 16 Aprile 2005 al Gennaio 2016 (ISIDe
Working Group, INGV, 2010).
Fig. 37. Relazione tra TDN e magnitudo dei terremoti considerati in Figura 36. I valori di TDN sono
stimati all’epicentro degli eventi considerati.
50
Le evidenze e argomentazioni riportate in questa sezione suggeriscono che l’uso del tasso di
deformazione per tentare di riconoscere le zone più esposte a scosse forti è ancora affetto da
notevole incertezza. Comunque, è opportuno intensificare il monitoraggio geodetico del territorio e
gli studi mirati ad una migliore comprensione dei risultati ottenuti.
A questo riguardo, è utile sottolineare che le informazioni ricavate da questo tipo di ricerca
possono permettere di ricostruire gli effetti che ogni scossa forte può causare sul campo di velocità
e deformazione nelle zone circostanti. Una dettagliata discussione su come queste valutazioni
possono fornire spiegazioni plausibili per la distribuzione dei terremoti forti nelle zone
periadriatiche è riportata in varie pubblicazioni (Viti et alii, 2003, 2012, 2013; Mantovani et alii,
2008, 2010, 2012).
12. Attendibilità delle previsioni proposte ed approcci alternativi
Come discusso in precedenza, un’efficace riduzione del rischio sismico nell’intero territorio
nazionale può difficilmente essere realizzata senza tentare un riconoscimento di zone prioritarie,
dove concentrare le poche risorse attualmente disponibili. Il solo dubbio che esiste sulla fattibilità di
questa strategia viene dal fatto che non esiste una prova garantita sull’attendibilità delle previsioni
proposte. Quindi, è necessario che siano fatti tutti gli sforzi possibili per informare chi deve
prendere decisioni operative sulle incertezze che possono interessare le indicazioni proposte. A
questo scopo, vengono di seguito riportate alcune considerazioni sul problema in oggetto.
Prima di tutto, va chiarito che la procedura utilizzata è la più aderente, tra tutte quelle finora
considerate, alla natura deterministica del fenomeno da prevedere ed è basata sul concetto,
largamente riconosciuto, che la distribuzione spazio-temporale dei terremoti in un dato contesto
tettonico/strutturale è strettamente condizionato dallo sviluppo a breve termine dei processi
deformativi in atto.
Il modello geodinamico e il quadro tettonico che sono adottati per tentare di prevedere i futuri
percorsi dell’attività sismica intensa nell’area italiana è quello che può fornire le spiegazioni più
plausibili e coerenti per il complesso quadro di deformazioni geologiche nell’area mediterranea
centrale, come descritto e argomentato in numerose pubblicazioni qui citate. Inoltre, l’attendibilità
del modello considerato è avvalorata dal fatto che le sue implicazioni sullo sviluppo a breve termine
delle deformazioni è compatibile con la distribuzione spazio-temporale delle scosse forti che si sono
verificate nell’area mediterranea centrale dal 1400. Ovviamente, la limitata lunghezza del periodo in
cui sono disponibili notizie complete ed attendibili sulla storia sismica pregressa non consente di
stabilire in modo certo che le regolarità finora individuate siano effettivamente ripetibili e quindi
applicabili alla storia futura.
Nonostante queste residue incertezze, è ragionevole pensare che il tentativo di usare le
indicazioni proposte per riconoscere le zone sismiche italiane più esposte alle prossime scosse forti
sia comunque utile e conveniente per ottenere una consistente riduzione del rischio sismico in Italia.
Nel caso in cui la previsione proposta risultasse corretta, si sarebbe ottenuto un clamoroso successo,
in quanto per la prima volta al mondo saremmo riusciti a limitare gli effetti di un terremoto in modo
preventivo, utilizzando le limitate risorse attualmente disponibili per operazioni di questo tipo. Nel
caso invece che la previsione proposta non corrisponda con la localizzazione del prossimo
terremoto forte in Italia, le risorse utilizzate non sarebbero certo sprecate, in quanto ci sono molte e
convincenti evidenze che testimoniano la presenza nelle zone indicate di situazioni sismotettoniche
critiche. Non si potrebbe neanche sostenere che i fondi utilizzati per l’operazione sopra citata
avrebbero impedito di fare altri importanti interventi in riduzione del rischio sismico in Italia,
poiché l’adozione di un strategia senza priorità porterebbe a una notevole frammentazione delle
risorse con il risultato di ottenere riduzioni poco rilevanti in ogni zona sismica del territorio.
Altri tentativi di identificare le zone sismiche italiane dove la probabilità di terremoti è più
elevata sono stati fatti con metodologie alternative, prevalentemente basate sull’analisi statistica
51
della sismicità (e.g., Boschi et alii, 1995; Valensise and Pantosti, 2001; Valensise et alii, 2003;
Marzocchi, 2008; Schorlemmer et alii, 2010; Lombardi and Marzocchi, 2010; Stucchi et alii,
2011). Però, come discusso in dettaglio da Mantovani et alii (2012), questo tipo di approccio non è
in grado di fornire risultati attendibili, poiché è basato su assunzioni incompatibili con la natura dei
terremoti, come l’ipotesi che tali eventi siano casuali e indipendenti. Inoltre c’è il grave problema
che l’analisi statistica si può applicare in modo credibile solo ad un insieme di dati che si può
considerare rappresentativo di un comportamento stazionario, cioè una condizione che risulta
estremamente improbabile alla luce delle attuali conoscenze.
Per tenere conto di alcune opinioni riportate in letteratura, va anche considerata la possibilità di
rivolgere critiche al metodo deterministico qui proposto. Per esempio, si potrebbe mettere in
discussione l’attendibilità del modello geodinamico/tettonico utilizzato. Questa possibilità è stata
ampiamente prevista dagli autori proponenti il modello in oggetto, che hanno inserito nelle varie
pubblicazioni dedicate a questo problema discussioni molto documentate sulla compatibilità tra i
vari modelli interpretativi finora presentati e il quadro estremamente articolato di evidenze
disponibili (Mantovani, 2005; Mantovani et alii, 2006, 2007a,b, 2009, 2014, 2015a,b, 2016; Viti et
alii, 2006, 2009, 2011).
Comunque, per evitare che il problema sopra citato possa in qualche modo ostacolare l’adozione
di una strategia che potrebbe avere ricadute molto importanti per la riduzione del rischio sismico in
Italia, sarebbe auspicabile che i Responsabili della Protezione Civile in Italia si facessero promotori
di confronti pubblici tra gli esperti del settore, in cui i vari proponenti di modelli geodinamici
potrebbero esplicitare le evidenze e argomentazioni a sostegno delle rispettive interpretazioni.
Questo tipo di iniziative, oltre che a contribuire alla definizione di un quadro tettonico di
riferimento per tutti i potenziali interessati, favorirebbe la crescita culturale di tutta la Comunità
Scientifica delle Scienze della Terra, che non sta certo attraversando uno dei periodi di maggiore
riconoscimento.
52
Appendice 1: Dati geodetici
Velocità dei 500 siti GPS considerati in questo studio (Fig.8). Codice = codice alfanumerico
internationale del sito. Lon (°E), Lat (°N) = coordinate della statione, T = intervallo di tempo di
osservatione (a). Vn, Ve= componenti orizzontali della velocità (Nord e Est) e velocità risultante
(Vh) rispetto al sistema di riferimento dell’Eurasia adottato (polo euleriano assoluto a 54.23°N,
98.83°O, ω = 0.257°/Ma, Altamimi et alii, 2012). Vv= velocità verticali assolute.
Codice Long.
Lat.
ACCA
ACCE
ACER
ACOM
AFAL
AJAC
AGNE
ALAT
ALBI
ALIF
ALIN
ALRA
ALSN
ALTA
AMAN
AMPE
AMUR
ANCG
ANCN
ANGE
AO01
AOST
APRI
AQRA
AQSA
AQUI
AQUM
ARBU
ARCA
ASCC
ASCG
ASIA
ASTI
ATBU
ATFO
ATLO
ATMI
ATTE
AV04
AVEL
AVZZ
41.16
44.48
40.79
46.55
46.53
41.93
45.47
41.67
39.95
41.33
44.92
41.73
44.92
40.82
39.12
46.41
40.91
43.6
43.61
40.93
45.74
45.74
41.6
42.37
39.72
42.37
42.33
39.52
39.37
42.86
42.85
45.87
44.91
43.48
43.37
43.32
43.33
43.2
40.9
40.91
42.03
15.33
6.99
15.94
13.51
12.17
8.76
7.14
13.38
16.46
14.33
8.62
14.03
8.62
16.56
16.08
12.8
16.6
13.5
13.53
15.18
7.32
7.34
12.66
13.37
16.08
13.35
13.47
8.59
16.23
13.59
13.61
11.53
8.2
12.55
12.57
12.41
12.27
12.35
15.44
14.78
13.45
T (anni) VN (mm/anno) VE (mm/anno) Vh (mm/anno) VV (mm/anno)
8.19
5.69
8.02
12.04
12.07
14.55
7.24
6.32
3.19
6.26
5.58
8.44
4.4
4.13
3.08
6.94
8.93
7.5
3.96
7.04
6.51
3.51
7.23
9.07
2.9
14.55
4.02
5.66
7.05
6.63
3.52
6.9
5.29
5.22
6.03
5.32
3.48
5.32
5.56
6.54
3.52
4.0 ±
-0.2 ±
4.4 ±
0.9 ±
0.7 ±
0.0 ±
0.6 ±
1.6 ±
5.9 ±
2.6 ±
0.1 ±
1.4 ±
0.5 ±
4.8 ±
4.1 ±
0.5 ±
4.4 ±
3.7 ±
5.8 ±
2.9 ±
-0.2 ±
-0.2 ±
-0.1 ±
1.7 ±
3.3 ±
2.2 ±
2.1 ±
1.6 ±
3.6 ±
2.8 ±
4.2 ±
0.8 ±
0.4 ±
2.9 ±
3.5 ±
1.7 ±
1.4 ±
1.4 ±
4.4 ±
1.9 ±
4.0 ±
0.1
0.1
0.1
0.1
0.1
0.1
0.4
0.5
1.0
0.1
0.1
0.4
0.1
0.2
0.4
0.1
0.1
0.1
0.4
0.1
0.1
1.2
0.1
0.1
0.7
0.1
0.4
0.4
0.1
0.3
1.1
0.2
0.2
0.1
0.5
0.1
0.8
0.1
0.1
0.3
0.9
1.9 ±
0.9 ±
1.0 ±
0.5 ±
-0.3 ±
-0.0 ±
1.4 ±
-0.1 ±
-0.1 ±
0.5 ±
0.7 ±
3.0 ±
0.1 ±
1.4 ±
0.6 ±
0.7 ±
1.3 ±
0.2 ±
1.4 ±
0.5 ±
0.6 ±
1.5 ±
-0.4 ±
-0.3 ±
-0.1 ±
0.5 ±
0.0 ±
0.7 ±
1.8 ±
1.8 ±
2.4 ±
0.2 ±
0.8 ±
0.7 ±
2.1 ±
-0.1 ±
0.8 ±
0.1 ±
1.1 ±
-0.1 ±
0.2 ±
0.1
0.1
0.1
0.1
0.1
0.1
0.5
0.4
0.5
0.1
0.1
0.4
0.1
0.2
0.5
0.1
0.1
0.1
0.2
0.1
0.1
0.9
0.3
0.2
0.8
0.1
0.4
0.9
0.1
0.3
0.9
0.2
0.2
0.1
0.4
0.1
0.8
0.2
0.1
0.2
0.9
4.5 ±
1.0 ±
4.5 ±
1.1 ±
0.8 ±
0.0 ±
1.5 ±
1.6 ±
5.9 ±
2.6 ±
0.7 ±
3.3 ±
0.5 ±
5.0 ±
4.1 ±
0.9 ±
4.6 ±
3.7 ±
6.0 ±
2.9 ±
0.6 ±
1.6 ±
0.4 ±
1.7 ±
3.3 ±
2.2 ±
2.1 ±
1.8 ±
4.0 ±
3.4 ±
4.8 ±
0.8 ±
0.9 ±
3.0 ±
4.1 ±
1.7 ±
1.6 ±
1.4 ±
4.5 ±
1.9 ±
4.0 ±
0.1
0.1
0.1
0.1
0.1
0.1
0.5
0.5
1.0
0.1
0.1
0.4
0.1
0.2
0.5
0.1
0.1
0.1
0.3
0.1
0.1
1.0
0.3
0.2
0.7
0.1
0.4
0.5
0.1
0.3
1.0
0.2
0.3
0.1
0.5
0.1
0.8
0.2
0.1
0.3
0.9
0.2 ±
-0.6 ±
0.4 ±
1.4 ±
1.0 ±
0.4 ±
2.0 ±
0.2 ±
0.5 ±
-3.2 ±
-0.6 ±
1.9 ±
-1.9 ±
-0.7 ±
0.3 ±
-0.7 ±
0.0 ±
1.6 ±
-0.5 ±
0.1 ±
-0.0 ±
2.9 ±
0.2 ±
-0.9 ±
0.1 ±
-0.2 ±
-3.6 ±
-2.3 ±
-1.3 ±
0.3 ±
0.4 ±
0.6 ±
-2.1 ±
0.7 ±
1.7 ±
0.6 ±
3.5 ±
0.9 ±
0.5 ±
-2.3 ±
-0.8 ±
0.3
0.6
0.2
0.1
0.1
0.2
1.4
1.1
1.6
0.4
0.5
0.9
0.5
0.7
1.8
0.4
0.2
0.2
0.5
0.3
0.4
2.8
0.5
0.6
2.0
0.2
0.9
2.0
0.3
0.8
3.2
0.7
0.8
0.4
0.7
0.4
1.8
0.5
0.4
1.4
3.6
53
Codice Long.
BAJA
BARC
BARS
BART
BATE
BERT
BEVA
BEVE
BGDR
BIEL
BL01
BLGN
BLRA
BO01
BOBB
BOLG
BOLO
BOLZ
BORC
BORR
BOSC
BOVA
BRAS
BRBZ
BRIS
BRSE
BRU1
BSSO
BTAC
BULG
BUSL
BZRG
CA02
CA04
CA05
CAFE
CAFI
CAFV
CAKO
CALA
CAMN
CAMP
CAMU
CANL
CANV
CAOC
CAR1
CARG
CARI
CARP
CARZ
CASG
7.72
12.56
13.58
15.02
12.19
12.13
13.07
9.77
11.89
8.05
12.2
11.35
13.56
11.32
9.38
11.36
11.33
11.37
12.22
10.7
11.03
15.91
11.11
11.94
11.77
12.08
9.72
14.59
11.28
15.38
7.15
11.34
9
9.13
9.12
15.24
11.97
11.94
16.44
11.16
8.28
12.74
11.98
8.29
12.44
13.48
16.21
10.32
13.97
10.43
8.68
14.94
Lat.
43.9
46.19
42.34
41.41
43.71
44.15
45.67
44.19
43.89
45.56
46.14
44.51
41.81
44.49
44.77
44.5
44.49
46.5
46.44
44.31
45.6
37.94
44.12
46.8
44.22
46.1
44.24
41.55
45.26
40.08
45.14
46.5
39.01
39.54
39.24
41.03
43.33
45.67
46.39
43.87
44.41
37.63
43.26
44.72
46.01
42.29
39.25
44.11
41.19
45.37
46.04
40.27
T (anni) VN (mm/anno) VE (mm/anno) Vh (mm/anno) VV (mm/anno)
4.71
6.94
4.81
3.11
12.06
5.81
6.94
5.62
2.98
11.43
7.28
6.92
8.53
9.22
6.51
10.55
7.49
3.52
6.32
7.08
6.07
3.08
14.55
4.54
5.14
4.02
4.12
9.51
7.04
8.59
4.4
13.04
6.49
5.81
4.39
9.55
7.78
3.36
3.81
7.55
5.6
3.55
6.95
4.4
11.16
4.8
6.07
11.56
6.52
7.53
7.27
6.04
0.8 ±
2.2 ±
2.3 ±
3.7 ±
1.9 ±
3.6 ±
2.6 ±
0.0 ±
2.6 ±
0.0 ±
1.5 ±
2.3 ±
1.3 ±
1.9 ±
1.2 ±
4.4 ±
2.7 ±
0.7 ±
0.7 ±
1.1 ±
0.4 ±
3.4 ±
1.6 ±
0.6 ±
4.1 ±
1.8 ±
0.4 ±
3.1 ±
2.1 ±
2.5 ±
-0.5 ±
0.6 ±
0.4 ±
0.4 ±
0.7 ±
3.3 ±
2.0 ±
1.9 ±
1.0 ±
1.7 ±
-0.2 ±
3.9 ±
1.8 ±
0.1 ±
1.4 ±
1.1 ±
3.5 ±
0.7 ±
2.2 ±
0.4 ±
0.2 ±
2.0 ±
0.1
0.2
0.2
0.4
0.1
0.1
0.2
0.1
0.8
0.1
0.4
0.2
0.4
0.2
0.3
0.2
0.3
0.3
0.1
0.2
0.2
1.1
0.1
0.2
0.2
0.4
0.2
0.1
0.2
0.1
0.3
0.1
0.1
0.1
0.2
0.1
0.1
0.3
0.2
0.1
0.1
0.4
0.2
0.2
0.4
0.2
0.1
0.1
0.1
0.2
0.1
0.1
1.6 ±
0.9 ±
-0.3 ±
1.0 ±
0.7 ±
1.8 ±
-0.0 ±
0.5 ±
0.4 ±
0.4 ±
0.2 ±
2.0 ±
-0.8 ±
1.3 ±
0.6 ±
0.5 ±
1.7 ±
0.2 ±
0.2 ±
1.7 ±
0.5 ±
-0.5 ±
0.6 ±
0.1 ±
0.8 ±
-1.3 ±
0.4 ±
1.0 ±
0.5 ±
-0.1 ±
0.4 ±
-0.1 ±
0.3 ±
0.2 ±
0.2 ±
0.2 ±
0.4 ±
0.7 ±
1.3 ±
1.4 ±
0.7 ±
-1.4 ±
0.4 ±
0.6 ±
0.3 ±
-1.4 ±
0.6 ±
0.5 ±
-0.7 ±
0.3 ±
0.2 ±
-0.1 ±
0.1
0.2
0.2
0.4
0.1
0.1
0.2
0.1
1.1
0.1
0.2
0.2
0.7
0.2
0.2
0.2
0.2
0.4
0.1
0.2
0.2
0.5
0.1
0.1
0.2
0.3
0.2
0.1
0.1
0.1
0.2
0.1
0.1
0.1
0.2
0.1
0.1
0.3
0.3
0.1
0.1
0.4
0.3
0.1
0.3
0.2
0.1
0.1
0.1
0.2
0.1
0.1
1.8 ±
2.4 ±
2.3 ±
3.9 ±
2.0 ±
4.0 ±
2.6 ±
0.5 ±
2.6 ±
0.4 ±
1.5 ±
3.1 ±
1.5 ±
2.3 ±
1.3 ±
4.4 ±
3.2 ±
0.7 ±
0.7 ±
2.1 ±
0.6 ±
3.5 ±
1.7 ±
0.6 ±
4.2 ±
2.2 ±
0.6 ±
3.3 ±
2.2 ±
2.5 ±
0.6 ±
0.6 ±
0.5 ±
0.5 ±
0.7 ±
3.3 ±
2.1 ±
2.0 ±
1.7 ±
2.2 ±
0.7 ±
4.1 ±
1.8 ±
0.7 ±
1.5 ±
1.7 ±
3.6 ±
0.9 ±
2.3 ±
0.5 ±
0.3 ±
2.0 ±
0.1
0.2
0.2
0.5
0.1
0.1
0.2
0.1
0.8
0.1
0.3
0.2
0.5
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0.3
0.2
0.3
0.3
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1.1
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0.3
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0.1
0.1
0.1
0.3
0.1
0.1
-2.5 ±
-1.2 ±
1.1 ±
-0.0 ±
1.1 ±
-1.2 ±
-2.0 ±
-1.6 ±
2.3 ±
-1.0 ±
1.4 ±
-2.7 ±
0.7 ±
-2.0 ±
0.1 ±
-3.1 ±
0.3 ±
2.0 ±
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1.2 ±
-0.3 ±
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-1.2 ±
1.3 ±
-0.8 ±
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-1.6 ±
-0.9 ±
1.2 ±
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-0.1 ±
-0.7 ±
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-1.2 ±
-0.1 ±
-1.3 ±
0.4 ±
-0.4 ±
-0.6 ±
-0.1 ±
0.1 ±
-1.6 ±
0.4
0.8
0.7
1.8
0.1
0.3
0.9
0.4
3.2
1.3
0.6
0.8
0.9
0.7
0.7
0.9
0.7
1.1
0.4
0.9
0.5
1.7
0.1
0.6
0.7
0.8
0.9
0.2
0.6
0.1
0.8
0.2
0.4
0.4
0.5
0.1
0.2
0.8
0.7
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0.4
1.1
0.6
0.6
0.2
0.6
0.4
0.3
0.4
0.8
0.2
0.4
54
Codice Long.
Lat.
CASP
CAST
CATU
CCAS
CDRA
CDRU
CECI
CELI
CERA
CERT
CESI
CGIA
CHAT
CHIA
CHIG
CHIV
CIPV
CIT1
CITT
CIUF
CODD
CODI
CODR
COLI
COLL
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COMO
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CORL
CRAC
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CSSB
CTMG
CUOR
DEMN
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DOMS
EDEN
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ELBA
FAEZ
FASA
FDOS
FERA
FERR
FIAN
FIGL
42.79
44.43
45.74
40.27
42.37
40.49
43.31
39.4
41.6
41.95
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45.21
45.75
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45.54
44.32
42.95
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44.84
45.96
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44.75
40.19
45.8
44.92
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44.52
37.89
40.38
45.35
45.15
43.8
45.19
43.21
44.57
45.39
44.32
46.31
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37.52
37.51
42.75
44.3
40.83
46.3
44.81
44.83
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10.41
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10.53
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12.9
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11.28
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12.01
12.25
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12.11
12.11
12.98
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10.22
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9.1
11.01
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10
10.98
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12.25
11.38
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8.29
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15.08
10.21
11.86
17.36
11.72
11.63
11.6
12.59
11.47
T (anni) VN (mm/anno) VE (mm/anno) Vh (mm/anno) VV (mm/anno)
8.1
8.33
3.52
6.04
8.62
8.88
5.57
3.75
9
9.29
8.4
4.55
3.52
7.62
3.52
5.59
4.4
5.32
6.39
3.47
3.81
7.91
8.05
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7.93
3.84
13.25
3.52
6.22
7.1
9.05
9.55
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9.54
8.76
4.4
9.06
5.81
4.4
4.4
7.29
4.4
4.2
9.54
14.55
7.11
8.33
4.75
7.55
7.98
3.45
7.55
1.2 ±
2.4 ±
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-1.0 ±
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1.9 ±
1.7 ±
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2.0 ±
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1.0 ±
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0.8 ±
1.3 ±
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1.1 ±
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1.0 ±
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1.7 ±
2.5 ±
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0.8 ±
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1.8 ±
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1.3 ±
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-2.1 ±
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-3.1 ±
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0.3
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1.1
1.2
1.4
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0.8
1.0
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0.2
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1.2
0.5
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0.9
0.9
0.9
1.4
0.6
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1.6
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0.4
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0.2
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0.8
1.4
0.4
0.1
0.7
0.4
0.6
0.5
0.4
0.9
0.2
55
Codice Long.
Lat.
FIOR
FIRE
FISC
FOGG
FOL1
FOND
FORL
FOSS
FRES
FRMO
FRRA
FUSE
FVRA
GALF
GARI
GATE
GAVO
GAZZ
GBLM
GENO
GENU
GEOT
GINE
GINO
GIOI
GIUR
GNAL
GODE
GORI
GOZZ
GRAM
GRO1
GROA
GROG
GROT
GRZM
GSR1
GUAR
GUB2
GUMA
HELM
HMDC
IENG
IGLE
IGMI
IMOL
IMP3
INGR
ISCH
ISER
ITGT
ITIM
42.83
44.12
40.77
41.45
42.95
41.33
44.2
43.69
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42.94
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43.57
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40.58
38.42
40.12
42.58
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45.94
45.75
42.98
41.07
42.78
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41.07
44.26
46.05
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46.72
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45.02
39.31
43.8
44.35
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11.38
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12.81
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13
13.67
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11.21
11.71
8.01
12.51
15.9
14.24
12.78
11.72
T (anni) VN (mm/anno) VE (mm/anno) Vh (mm/anno) VV (mm/anno)
3.52
7.55
4.06
8.09
7.55
3.51
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7.55
8.84
5.83
8.71
7.85
5.77
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6
6.05
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6.66
10.45
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3.52
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7.47
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3.52
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7.04
6.73
6.64
8.99
10.15
7.23
14.48
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7.55
7.27
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11.62
7.05
8.61
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5
13.47
7.98
6.99
8.15
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-0.0 ±
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2.9 ±
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56
Codice Long.
Lat.
ITRA
ITRN
JOAN
JOPP
LAGA
LAME
LAMP
LANC
LANU
LARI
LASP
LAT1
LDNS
LEGN
LERO
LMPR
LNSS
LOAN
LOCR
LPEL
LUCE
M0SE
MABZ
MACE
MACO
MADA
MAGL
MANO
MANT
MAON
MARG
MARI
MARO
MAT1
MATE
MATG
MCEL
MCIN
MCRV
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1.6
0.6
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57
Codice Long.
Lat.
MO03
MO05
MOCA
MOCO
MODE
MODR
MOGG
MOIE
MONC
MONF
MONT
MONV
MONZ
MOPS
MORB
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MOST
MOZ2
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MSAG
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NOT1
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NU01
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1.2 ±
0.6 ±
5.3 ±
4.2 ±
4.6 ±
4.1 ±
3.0 ±
4.8 ±
2.3 ±
4.7 ±
4.0 ±
3.0 ±
2.0 ±
2.2 ±
1.2 ±
1.9 ±
3.2 ±
0.2 ±
1.5 ±
2.2 ±
4.5 ±
4.9 ±
2.2 ±
1.0 ±
0.9 ±
0.9 ±
1.8 ±
2.1 ±
1.2 ±
1.5 ±
1.9 ±
0.7 ±
4.0 ±
4.6 ±
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0.1
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0.3
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0.1
0.1
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0.9
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0.1
0.4
0.4
0.2
0.4 ±
-0.3 ±
0.6 ±
0.4 ±
-3.2 ±
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-1.0 ±
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0.8 ±
-1.5 ±
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-1.3 ±
0.8 ±
0.9 ±
1.3 ±
-0.9 ±
0.1 ±
0.3 ±
0.5 ±
-1.7 ±
0.3 ±
0.4 ±
-1.5 ±
-1.3 ±
-0.4 ±
0.2 ±
1.3 ±
0.9 ±
1.1 ±
3.1 ±
1.8 ±
1.3 ±
1.9 ±
-0.1 ±
-1.1 ±
-1.1 ±
1.0 ±
-0.4 ±
-3.4 ±
-0.8 ±
-0.8 ±
0.6 ±
0.7 ±
-1.8 ±
3.6 ±
-0.1 ±
-0.2 ±
-1.1 ±
0.5 ±
1.3 ±
0.4
0.3
1.6
0.4
0.2
0.1
0.4
1.0
0.1
1.2
0.9
0.6
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0.6
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1.6
1.3
0.1
0.2
0.2
0.5
0.1
0.1
0.2
0.4
0.7
1.1
0.2
0.2
0.4
1.8
2.0
0.1
0.8
1.9
0.8
0.4
0.1
0.1
1.2
0.6
0.3
0.4
0.7
0.5
2.0
0.7
0.1
1.0
1.3
0.4
58
Codice Long.
Lat.
OVRA
PACA
PADO
PAGA
PAGL
PALA
PALE
PALZ
PAMA
PAOL
PARM
PARO
PARR
PASS
PATT
PAUN
PAVI
PAZO
PBRA
PEJO
PES2
PESA
PESC
PESR
PFER
PIAC
PIBI
PIC1
PIET
PIGN
PILA
PIOB
PIPA
PITI
PLAC
POFI
POGG
POMP
PORD
PORE
POZL
POZZ
PRAI
PRAT
PREM
PRET
PRIG
PROV
PRTG
PSAN
PSB1
PSST
42.14
40.87
45.41
42.36
42.16
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38.14
38.11
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45.81
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43.9
42.47
43.94
42.79
45.04
43.13
45.04
43.45
41.2
46.57
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38.45
41.72
40.92
40.75
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39.9
43.89
45.87
47.03
40.31
45.46
45.77
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42.43
13.52
14.56
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13.47
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11.9
14.97
13.35
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13.05
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10.29
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9.69
12.4
14.18
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16.25
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13.6
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11.68
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11.1
9.88
12.07
15.11
9.2
12.83
14.14
14.81
11.12
T (anni) VN (mm/anno) VE (mm/anno) Vh (mm/anno) VV (mm/anno)
8.67
12.21
13.64
3.52
5.27
7.07
3.55
8.59
2.71
5.58
8.76
7.28
6.54
6.05
4.18
3.55
14.04
7.55
8.52
6.54
5.87
3.52
3.46
3.96
4.54
7.93
3.39
7.55
9.05
3.93
4.55
3.52
8.25
4.25
9.84
8.31
8.15
2.82
6.94
3.81
3.51
6.54
2.99
14.55
6.76
4.55
4.74
9.31
6.89
6.61
9.31
3.52
2.4 ±
1.6 ±
1.3 ±
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1.8 ±
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2.1 ±
2.6 ±
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2.8 ±
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1.0 ±
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1.0 ±
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1.0 ±
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0.9
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1.0 ±
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3.9 ±
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1.7 ±
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1.8 ±
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1.0
0.1
0.1
2.2
0.7
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1.1
0.1
2.0
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0.8
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0.4
1.6
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0.4
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1.6
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1.2
0.4
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0.7
0.7
1.4
0.2
0.9
0.2
0.7
0.4
1.7
0.8
1.7
0.9
0.3
2.0
0.1
0.6
0.8
2.8
0.1
0.8
1.6
0.1
1.2
59
Codice Long.
Lat.
PSTE
PTNZ
PTO1
PTRJ
PTRP
RAFF
RAMS
RAPA
RASS
RAVE
RAVS
RDPI
RE01
REAM
REBO
REFO
REGG
REPI
RESU
RETO
RIET
RMPO
RNI2
ROGA
RONC
ROPI
ROSS
ROVE
ROVI
ROVR
RSMN
RSPX
RSTO
SACR
SALA
SALB
SALO
SAPP
SAPR
SAQU
SARN
SASA
SASO
SASS
SAVI
SBPO
SCHI
SCHR
SCRA
SCTE
SDNA
SEAN
42.43
40.63
44.95
41.36
40.53
37.22
44.41
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44.41
44.41
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42.96
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42.95
37.65
42.78
42.41
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41.7
44.21
45.98
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45.89
45.09
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45.15
42.66
41.4
40.42
39.88
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40.07
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40.39
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40.72
44.65
45.05
45.72
40.19
42.27
40.07
45.63
43.83
11.12
15.82
12.33
14.53
16.06
14.36
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9.22
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12.2
12.19
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12.03
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10.64
12
14.06
12.41
12.86
12.7
14.15
10.34
10.67
13.34
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14
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11.14
17.96
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8.57
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10.92
11.36
16.09
14
18.47
12.56
11.03
T (anni) VN (mm/anno) VE (mm/anno) Vh (mm/anno) VV (mm/anno)
7.55
4.13
4.99
9
8.04
9.52
5.38
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9.22
10.19
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9.22
5.35
5.16
8.08
7.29
8.15
7.35
8.15
7.55
9.06
10.94
11.89
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9.38
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9.64
9.17
12.55
10.53
5.25
6.05
9.69
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7.31
6.18
6.54
8.17
4.94
7.55
5.29
9.15
7.15
9.84
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9.46
6.89
3.42
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-0.4 ±
0.0 ±
-0.9 ±
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0.4 ±
0.4 ±
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1.6 ±
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1.5 ±
2.3 ±
4.3 ±
5.0 ±
2.1 ±
0.9 ±
1.7 ±
3.7 ±
3.6 ±
1.8 ±
2.0 ±
2.6 ±
1.5 ±
2.3 ±
3.8 ±
2.0 ±
2.6 ±
2.2 ±
1.5 ±
1.5 ±
2.9 ±
1.0 ±
0.7 ±
1.0 ±
5.7 ±
1.4 ±
2.5 ±
1.0 ±
3.5 ±
0.8 ±
3.2 ±
1.8 ±
4.2 ±
4.5 ±
1.0 ±
1.1 ±
2.9 ±
0.5 ±
0.9 ±
3.9 ±
4.4 ±
0.6 ±
0.5 ±
1.3 ±
1.3 ±
4.0 ±
3.8 ±
4.0 ±
2.0 ±
2.0 ±
0.2
0.4
0.2
0.1
0.1
0.1
0.3
0.4
0.2
0.1
0.1
0.1
0.1
0.2
0.1
0.1
0.1
0.1
0.1
0.2
0.2
0.1
0.1
0.1
0.1
0.1
0.6
0.1
0.2
0.1
0.1
0.1
0.1
0.1
0.5
0.1
0.2
0.4
0.2
0.5
0.1
0.2
0.5
0.1
0.1
0.1
0.2
0.1
0.2
0.1
0.1
0.8
-0.0 ±
-0.1 ±
-5.4 ±
0.9 ±
1.0 ±
-0.5 ±
-0.5 ±
-1.0 ±
0.1 ±
-3.8 ±
-4.2 ±
0.9 ±
-2.6 ±
1.1 ±
-1.8 ±
0.5 ±
-1.7 ±
-0.8 ±
0.5 ±
-0.4 ±
-0.1 ±
0.4 ±
1.3 ±
-1.0 ±
0.3 ±
-2.6 ±
-1.1 ±
0.9 ±
-0.5 ±
0.5 ±
0.1 ±
1.0 ±
-0.3 ±
1.3 ±
1.6 ±
1.1 ±
-1.1 ±
1.7 ±
-1.5 ±
-1.6 ±
0.3 ±
-1.6 ±
-1.0 ±
-0.5 ±
-1.1 ±
0.0 ±
0.2 ±
1.2 ±
-1.6 ±
-0.0 ±
-1.2 ±
-1.6 ±
0.9
1.2
0.6
0.2
0.4
0.1
0.6
1.2
0.4
0.2
0.4
0.4
0.4
0.6
0.3
0.2
0.3
0.3
0.2
0.5
0.9
0.3
0.4
0.1
0.2
0.5
1.6
0.2
0.5
0.2
0.4
0.1
0.2
0.2
1.3
0.4
0.6
0.6
0.7
1.0
0.3
0.4
1.4
0.3
0.4
0.2
0.7
0.2
0.8
0.1
0.2
2.5
60
Codice Long.
SENI
SERM
SERR
SERS
SEVI
SGIO
SGIP
SGL1
SGRE
SGRT
SGTA
SIEN
SILA
SIN2
SIRC
SIRI
SLCN
SMRA
SNAL
SONA
SORR
SOV1
SPCI
SPER
STBZ
SUSE
SVTO
TAMB
TAOR
TARA
TARO
TARQ
TARV
TELI
TEMP
TEOL
TERA
TERI
TGPO
TGRC
TITO
TOIR
TOLF
TORC
TORI
TREB
TREC
TREN
TREV
TRI0
TRIE
TRIV
13.21
11.3
8.85
16.69
7.84
11.8
11.18
13.77
13.5
15.74
15.37
11.34
10.79
9.69
15.28
15.87
15.63
13.92
15.21
10.83
14.4
16.55
15.26
11.51
11.43
12.21
16.44
12.4
15.29
17.28
9.77
11.76
13.59
15.01
9.1
11.68
13.7
12.65
12.23
15.65
15.72
8.21
12
7.64
7.66
16.53
10.02
11.12
12.22
13.79
13.76
14.55
Lat.
43.71
45.01
44.73
39.04
45.54
45.6
44.64
41.41
42.34
41.75
41.14
43.31
46.63
40.57
37.08
40.18
40.39
42.05
40.93
45.45
40.63
38.68
41.74
46.07
46.9
45.86
40.6
46.06
37.85
40.53
44.49
42.25
46.5
41.97
40.91
45.34
42.66
42.57
45
38.11
40.6
44.12
42.06
45.02
45.06
39.87
44.34
46.09
45.68
45.66
45.71
41.77
T (anni) VN (mm/anno) VE (mm/anno) Vh (mm/anno) VV (mm/anno)
3.52
7.54
4.4
8.84
5.18
3.52
10.36
6.02
6.18
9.15
8.53
11.6
3.52
5.62
5.64
8.59
10.13
9.07
10.55
3.52
4
4.1
8.19
6.55
4.55
4.08
8.59
3.87
7.05
4.57
8
5.38
6.94
3.47
7.05
10.27
6.48
7.46
6.89
3.08
6.54
5.78
10.34
3.52
14.55
3.08
11.7
6.54
6.27
6.94
12.44
10.35
3.6 ±
1.7 ±
1.2 ±
3.0 ±
-0.6 ±
0.9 ±
1.5 ±
1.2 ±
3.2 ±
3.9 ±
4.3 ±
1.1 ±
0.1 ±
0.1 ±
4.8 ±
4.2 ±
2.7 ±
3.9 ±
2.7 ±
1.1 ±
2.2 ±
3.1 ±
3.6 ±
0.8 ±
0.3 ±
0.9 ±
4.1 ±
0.3 ±
4.9 ±
4.8 ±
1.4 ±
0.2 ±
1.5 ±
3.3 ±
0.5 ±
2.0 ±
4.9 ±
1.1 ±
1.7 ±
4.2 ±
3.3 ±
0.1 ±
1.1 ±
0.0 ±
-0.1 ±
4.9 ±
1.1 ±
0.8 ±
1.7 ±
2.7 ±
2.4 ±
3.4 ±
0.3
0.1
0.2
0.1
0.3
0.7
0.1
0.1
0.5
0.2
0.1
0.1
1.5
0.4
0.2
0.1
0.1
0.4
0.1
0.4
0.4
0.3
0.1
0.1
0.2
0.2
0.1
0.3
0.2
0.2
0.1
0.3
0.2
0.4
0.3
0.1
0.2
0.4
0.1
0.6
0.4
0.4
0.1
0.3
0.1
0.5
0.1
0.1
0.2
0.1
0.1
0.1
1.4 ±
2.3 ±
0.7 ±
1.7 ±
0.1 ±
-0.2 ±
2.0 ±
0.7 ±
-0.6 ±
0.9 ±
0.7 ±
-0.2 ±
1.2 ±
0.2 ±
-1.1 ±
1.8 ±
1.1 ±
1.8 ±
0.3 ±
0.6 ±
-0.6 ±
1.6 ±
1.9 ±
0.2 ±
0.6 ±
0.8 ±
1.1 ±
0.5 ±
-1.0 ±
0.9 ±
0.9 ±
-0.7 ±
0.5 ±
2.9 ±
0.5 ±
0.0 ±
1.7 ±
-0.9 ±
0.5 ±
0.3 ±
1.1 ±
1.2 ±
-0.5 ±
0.5 ±
0.2 ±
1.1 ±
0.5 ±
0.5 ±
0.1 ±
0.9 ±
-0.0 ±
1.7 ±
0.3
0.1
0.3
0.1
0.3
0.6
0.1
0.1
0.4
0.1
0.1
0.1
1.4
0.5
0.2
0.1
0.1
0.3
0.1
0.6
0.3
0.3
0.1
0.1
0.2
0.2
0.1
0.2
0.4
0.1
0.1
0.3
0.2
0.3
0.2
0.1
0.2
0.4
0.1
0.5
0.4
0.4
0.1
0.3
0.1
0.5
0.1
0.1
0.1
0.1
0.1
0.1
3.9 ±
2.9 ±
1.4 ±
3.4 ±
0.7 ±
1.0 ±
2.5 ±
1.4 ±
3.3 ±
4.0 ±
4.3 ±
1.1 ±
1.2 ±
0.2 ±
4.9 ±
4.6 ±
3.0 ±
4.3 ±
2.7 ±
1.2 ±
2.3 ±
3.5 ±
4.0 ±
0.8 ±
0.7 ±
1.2 ±
4.2 ±
0.6 ±
5.0 ±
4.9 ±
1.7 ±
0.8 ±
1.6 ±
4.4 ±
0.7 ±
2.0 ±
5.2 ±
1.4 ±
1.8 ±
4.3 ±
3.5 ±
1.2 ±
1.2 ±
0.5 ±
0.2 ±
5.1 ±
1.2 ±
0.9 ±
1.7 ±
2.8 ±
2.4 ±
3.8 ±
0.3
0.1
0.3
0.1
0.3
0.7
0.1
0.1
0.5
0.2
0.1
0.1
1.4
0.5
0.2
0.1
0.1
0.3
0.1
0.4
0.3
0.3
0.1
0.1
0.2
0.2
0.1
0.3
0.3
0.2
0.1
0.3
0.2
0.3
0.3
0.1
0.2
0.4
0.1
0.5
0.4
0.4
0.1
0.3
0.1
0.5
0.1
0.1
0.2
0.1
0.1
0.1
-0.0 ± 0.9
-0.2 ± 0.3
-0.5 ± 0.8
-0.3 ± 0.2
1.3 ± 0.9
-0.4 ± 1.4
-6.2 ± 0.1
0.1 ± 0.4
-2.7 ± 0.9
-0.2 ± 0.3
1.0 ± 0.2
0.4 ± 0.2
6.1 ± 5.2
-0.1 ± 0.9
-2.2 ± 0.8
-0.1 ± 0.2
1.0 ± 0.2
-1.7 ± 1.4
1.3 ± 0.1
-2.2 ± 1.2
-1.4 ± 0.9
-0.1 ± 0.9
-0.4 ± 0.2
0.3 ± 0.2
1.8 ± 0.6
-1.3 ± 1.1
1.0 ± 0.1
0.9 ± 0.8
0.8 ± 0.8
-1.4 ± 0.6
-0.7 ± 0.4
2.2 ± 1.2
2.2 ± 0.8
-10.8 ± 1.1
0.6 ± 0.7
-0.2 ± 0.1
-1.3 ± 1.2
0.4 ± 0.8
-7.0 ± 0.2
1.7 ± 1.7
1.6 ± 1.4
-0.9 ± 1.3
-1.7 ± 0.2
1.3 ± 1.1
0.8 ± 0.1
1.6 ± 1.4
-0.5 ± 0.1
-0.8 ± 0.2
-0.4 ± 0.4
-1.3 ± 0.4
-0.3 ± 0.1
0.4 ± 0.1
61
Codice Long.
TRLU
UDI1
UDIN
UGEN
UMBE
UNPA
UNPG
UNTR
USAL
VAGA
VALC
VALD
VALE
VARE
VELO
VEN1
VENO
VENT
VERB
VERG
VERL
VERO
VGAR
VICE
VIGE
VIGG
VILS
VINC
VIT1
VITE
VITT
VLPN
VLSG
VMIG
VR02
VRRA
VTRA
VULT
VVLO
ZADA
ZAGA
ZERI
ZOUF
11.27
13.25
13.23
18.16
12.33
13.35
12.36
12.67
18.11
14.23
12.28
12
16.9
8.83
11.37
12.35
15.81
13.42
8.57
11.11
8.42
11
15.96
11.56
8.86
16.12
9.52
14.56
12.1
12.11
12.3
10.85
15.64
7.65
10.99
10.87
14.71
15.62
13.62
15.23
12.75
9.75
12.97
Lat.
43.61
46.04
46.06
39.93
43.31
38.11
43.12
42.56
40.33
41.42
43.28
45.9
41.02
45.81
45.79
45.43
40.97
40.79
45.94
44.29
45.33
45.44
41.89
45.56
45.31
39.99
39.14
41.47
42.43
42.42
45.99
43.01
38.22
43.79
45.44
43.4
42.11
40.95
41.87
44.11
41.86
44.39
46.56
T (anni) VN (mm/anno) VE (mm/anno) Vh (mm/anno) VV (mm/anno)
12.3
9.19
6.94
8.18
9.48
3.28
14.55
8.55
5.39
9.35
8.29
4.38
8
4.84
6.19
7.07
5.26
9.46
3.52
7.86
4.25
7.55
4.46
6.89
9.55
3.84
7.24
3.47
5.38
3.52
3.4
3.52
9.54
3.12
7.14
6.11
8.62
9.91
14.54
3.81
3.52
9.48
12.18
1.9 ±
2.1 ±
2.8 ±
3.9 ±
1.8 ±
4.2 ±
1.8 ±
2.6 ±
4.1 ±
1.0 ±
1.9 ±
0.5 ±
4.2 ±
0.2 ±
0.6 ±
0.8 ±
4.8 ±
1.6 ±
-0.2 ±
2.0 ±
0.1 ±
0.7 ±
4.2 ±
1.7 ±
0.8 ±
4.7 ±
0.7 ±
3.4 ±
1.2 ±
1.3 ±
1.4 ±
1.3 ±
3.1 ±
-0.3 ±
0.4 ±
0.2 ±
3.4 ±
4.3 ±
2.3 ±
2.8 ±
1.9 ±
0.4 ±
0.7 ±
0.1
0.1
0.3
0.1
0.1
0.6
0.1
0.1
0.1
0.2
0.1
0.3
0.1
0.1
0.4
0.1
0.3
0.1
0.4
0.2
0.2
0.3
0.2
0.2
0.1
0.9
0.1
0.7
0.1
0.7
0.4
0.6
0.1
0.5
0.3
0.2
0.2
0.1
0.1
0.2
0.4
0.1
0.1
0.9 ±
0.1 ±
0.8 ±
1.2 ±
0.2 ±
-0.6 ±
1.0 ±
-1.2 ±
1.1 ±
-0.4 ±
-0.1 ±
-0.1 ±
1.5 ±
0.2 ±
0.2 ±
0.1 ±
1.3 ±
-0.6 ±
0.2 ±
2.6 ±
0.4 ±
0.5 ±
1.4 ±
0.5 ±
0.8 ±
1.4 ±
0.3 ±
1.4 ±
-0.5 ±
-1.5 ±
0.4 ±
0.0 ±
0.4 ±
-0.1 ±
0.8 ±
1.0 ±
1.6 ±
1.2 ±
-0.2 ±
-0.7 ±
-0.9 ±
0.7 ±
0.4 ±
0.1
0.1
0.2
0.1
0.1
0.6
0.1
0.1
0.1
0.1
0.1
0.2
0.1
0.1
0.2
0.1
0.2
0.1
0.4
0.1
0.2
0.2
0.2
0.2
0.1
0.7
0.1
0.6
0.1
0.4
0.3
0.4
0.1
0.7
0.2
0.1
0.2
0.1
0.1
0.2
0.4
0.1
0.1
2.1 ±
2.1 ±
2.9 ±
4.0 ±
1.8 ±
4.2 ±
2.1 ±
2.9 ±
4.3 ±
1.0 ±
1.9 ±
0.5 ±
4.4 ±
0.3 ±
0.7 ±
0.8 ±
4.9 ±
1.7 ±
0.2 ±
3.2 ±
0.4 ±
0.9 ±
4.4 ±
1.7 ±
1.1 ±
4.9 ±
0.8 ±
3.7 ±
1.3 ±
1.9 ±
1.5 ±
1.3 ±
3.2 ±
0.3 ±
0.9 ±
1.0 ±
3.7 ±
4.4 ±
2.3 ±
2.9 ±
2.1 ±
0.8 ±
0.8 ±
0.1
0.1
0.3
0.1
0.1
0.6
0.1
0.1
0.1
0.2
0.1
0.3
0.1
0.1
0.4
0.1
0.3
0.1
0.4
0.2
0.2
0.3
0.2
0.2
0.1
0.9
0.1
0.6
0.2
0.5
0.4
0.6
0.1
0.5
0.2
0.2
0.2
0.1
0.1
0.2
0.4
0.1
0.1
-0.1 ±
-1.0 ±
-0.9 ±
-0.7 ±
0.5 ±
2.3 ±
-1.0 ±
0.6 ±
-0.2 ±
0.7 ±
0.6 ±
-1.1 ±
-0.7 ±
-0.2 ±
-1.1 ±
-1.2 ±
-0.8 ±
-0.7 ±
2.9 ±
1.0 ±
-1.3 ±
0.0 ±
-1.5 ±
0.2 ±
-0.2 ±
1.9 ±
-1.4 ±
-0.8 ±
0.5 ±
-0.0 ±
-0.6 ±
-0.2 ±
0.4 ±
-0.5 ±
0.9 ±
-0.1 ±
-2.0 ±
0.5 ±
1.2 ±
-0.8 ±
-0.8 ±
-1.0 ±
2.4 ±
0.1
0.1
0.6
0.4
0.6
1.7
0.1
0.2
0.3
0.4
0.1
0.7
0.3
0.6
1.1
0.5
0.8
0.1
1.1
0.4
0.8
0.8
0.8
0.9
0.2
2.3
0.4
2.1
0.8
1.1
0.9
1.1
0.2
1.2
1.0
0.7
0.7
0.1
0.4
0.7
1.0
0.2
0.2
62
Appendice 2: Dati di sismicità
Lista dei terremoti usati per i diagrammi di figura 13. M=magnitudo, Cat=riferimento ai
cataloghi sismici elencati di seguito: 1) Albini (2004) 2) Ambraseys (1990) 3) Global CMT
Catalog (www.globalcmt.org) 4) Working Group CPTI (2004) 5) Rovida et alii (2011) 6)
Guidoboni e Comastri (2005) 7) ISIDe Working Group (INGV, 2010) 8) Karnik (1971) 9)
Mariotti e Guidoboni (2006) 10) Seismological Catalogues of Greece, at
http://www.geophysics.geol.uoa.gr/ 11) Makropoulos et alii (2012) 12) Margottini et alii (1993)
13) Comninakis e Papazachos (1986) 14) Papazachos e Papazachos (1989) 15) Ribaric (1982) 16)
Shebalin et alii (1974) 17) Stucchi et alii (2012) 18) Shebalin et alii (1998) 19) Toth et alii (1988)
20) EMSC/CSEM (http://www.emsc-csem.org/ )
Zona A
Data (a–m–g) M
Cat
1469
1577
1601 1612 1613 1625 1630 1636 1638 1650
1651 1658 1666 1674 1701 1704 1709
1714 1722 1723 1732 1736
1741 1743 1759 1766 1767 1769 1772 1773 1783 1783 1786 1815
1820 1823 1825 1826 1833 1851 1858 1858 1858 1859 1860 1862 1862 1865 1866 1866 1866 1867 -
17
17
17
17
17
17
17
10
17
14
17
17
18
17
17
17
17
17
17
17
17
10
17
10
17
17
17
14
18
10
17
10
17
17
17
17
17
17
14
17
10
17
17
18
18
17
17
17
17
18
17
17
4 - 26
5 - 26
10 - 12
6 - 28
7- 2
9 - 20
7 - 16
2 - 26
8 - 24
11
1 - 16
4- 5
11 - 22
9- 8
6- 5
2 - 22
11
6 - 23
2 - 20
6 - 13
7 - 24
7 - 22
10 - 12
5 - 12
5 - 23
3 - 23
6- 7
2- 5
2 - 21
6 - 19
1 - 19
1 - 26
1 - 19
10 - 12
4- 5
9 - 20
10 - 10
9 - 12
4 - 10
3 - 14
10 - 4
10 - 10
1- 2
3- 2
12 - 4
2- 4
6.6
6.2
6.3
6.3
6.3
6.5
6.5
7.2
6.3
6.2
5.9
6.7
6.2
6.3
6.6
6.4
6.2
6.3
6.3
6.3
6.6
6
6.3
6.9
6.3
6.6
6.7
6.8
6.1
6.5
6.6
6.5
6.5
6.3
6.6
6.1
6.7
5.8
6.5
6.8
6
6.2
6.4
6
6.4
6.4
6.2
6.3
6.6
6.3
6.4
7.2
1869 1869 1871 1872 1883 1883 1885 1889 1890 1891 1893 1895 1895 1895 1895 1896 1896 1897 1912 1914 1915 1915 1915 1915 1915 1915 1917 1920 1920 1920 1921 1930 1938 1939 1943 1948 1948 1953 1953 1953 1953 1953 1953 1960 1967 1970 1972 1973 1976 1979 1983 1983 1983 1987 1988 -
8 - 14
12 - 28
4- 9
2 - 11
6 - 27
8
12 - 14
4- 1
5 - 21
6 - 27
6 - 14
5 - 13
5 - 14
5 - 15
6 - 16
2 - 10
3 - 18
1 - 17
1 - 24
11 - 27
1 - 27
8- 7
8 - 10
8 - 10
8 - 11
8 - 19
5 - 23
10 - 21
11 - 26
11 - 29
9 - 13
11 - 21
3 - 13
9 - 20
2 - 14
4 - 22
6 - 30
8- 9
8 - 11
8 - 12
8 - 12
8 - 12
10 - 21
11 - 5
2- 9
7- 2
9 - 17
11 - 4
1 - 18
11 - 6
1 - 17
1 - 19
3 - 23
2 - 27
5 - 18
6
6.7
5.8
6
5.5
5.5
6
5.9
5.9
5.8
6.6
6.2
6.5
6.2
6.2
5.5
5.8
6.6
6.1
5.9
6.1
6.3
5.6
6
5.7
5.9
5.6
5.6
6
5.5
5.5
5.8
5.7
5.5
5.6
6.5
6.5
5.9
6.6
7
5.7
5.9
6.2
5.7
5.5
5.8
5.8
5.8
5.6
5.6
6.7
5.5
6
5.6
5.5
18
17
17
18
10
10
10
17
17
17
17
17
17
17
18
18
18
17
11
11
11
11
11
11
11
11
11
11
18
18
11
18
11
11
11
11
11
11
11
11
11
11
11
11
11
11
11
11
11
11
11
11
11
3
3
1990 - 6 - 16
1992 - 1 - 23
1993 - 6 - 13
1994 - 2 - 25
2000 - 5 - 26
2003 - 8 - 14
2003 - 8 - 14
2007 - 3 - 25
2014 - 1 - 26
2014 - 2 - 3
2015 – 11- 17
5.8
5.6
5.7
5.5
5.6
6.2
5.5
5.7
6.1
6.1
6.5
3
3
3
3
3
3
3
3
20
20
20
Zona B
Data (a–m–g)
M
Cat
1509 1626 1638 1638 1659 1693 1708 1743 1744 1767 1783 1783 1783 1791 1832 1835 1836 1854 1870 1886 1887 1894 1905 1907 1908 1913 1928 1947 -
5.6
6
7
6.9
6.6
5.7
5.5
5.7
5.7
6
7
6.6
7
6
6.6
5.8
6.2
6.2
6.1
5.6
5.5
6.1
7
5.9
7.1
5.7
5.8
5.7
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
2 - 25
4- 4
3 - 27
6- 8
11 - 5
1- 8
1 - 26
12 - 7
3 - 21
7 - 14
2- 5
2- 7
3 - 28
10 - 13
3- 8
10 - 12
4 - 25
2 - 12
10 - 4
3- 6
12 - 3
11 - 16
9- 8
10 - 23
12 - 28
6 - 28
3- 7
5 - 11
Zona C
Data (a–m–c)
M
Cat
1444
1451
1471
1472
1473 1479 1480 1482 -
6.4
6.1
6.1
5.7
5.5
5.5
5.5
6.2
18
18
18
18
18
18
18
18
1 - 20
10 - 20
10 - 18
2 - 15
1520 1559 1563 1608 1617
1632
1639 1667 1713 1780 1816
1823 1827 1830
1833 1837 1843 1843 1848
1850 1851 1851 1851 1851 1851 1852 1853 1855 1855 1855 1855 1865 1869 1869 1869 1869 1870 1876 1876 1894 1895 1895 1895 1895 1896 1896 1905 1905 1905 1905 1905 1906 1907 1907 1920 -
5667-
17
24
13
25
7419-
28
6
0
21
8- 7
4 - 17
1 - 19
10 - 4
9- 5
9 - 26
4 - 13
1 - 20
10 - 17
10 - 17
10 - 20
12 - 29
8 - 26
12 - 11
7- 3
7- 5
7 - 16
8 - 14
10 - 10
1 - 10
3 - 18
4 - 14
9- 1
9 - 28
6- 4
6- 5
4- 6
5 - 14
6 - 21
8- 6
10 - 8
2 - 10
2 - 10
6- 1
6- 1
6- 3
8- 4
8- 6
3- 1
8- 1
8 - 16
11 - 29
6
6
6.1
5.6
6.2
6
6.4
7.5
6.3
6.5
6.3
5.7
6.5
5.6
6.5
5.5
6.2
5.6
6.4
5.6
6
6.2
6.6
6.3
5.5
6.2
5.7
6.6
6.8
5.5
5.5
5.5
5.6
6
5.5
6.2
6.5
6.3
5.6
5.9
5.5
5.5
6.2
5.5
5.9
6.2
6.6
5.5
5.5
6
5.5
6.4
5.7
6.2
5.6
17
1
18
17
18
17
18
18
17
18
18
18
18
18
14
18
17
18
17
17
18
18
17
18
18
17
18
10
18
18
18
18
18
18
17
18
17
18
18
17
18
18
17
18
17
17
18
18
18
18
18
18
18
18
13
63
1920 1921 1922 1926 1926 1927 1934 1935 1940 1948 1958 1959 1959 1959 1962 1968 1969 1970 1979 1979 1979 1982 1988 1996 -
12 - 18
3 - 30
4 - 11
12 - 17
12 - 17
2 - 14
2- 4
3 - 31
2 - 23
8 - 27
4- 3
8 - 17
9- 1
10 - 7
3 - 18
11 - 3
4- 3
8 - 19
4 - 15
4 - 15
5 - 24
11 - 16
1- 9
9- 5
5.6
5.6
5.6
5.8
5.8
6
5.6
5.6
5.5
5.5
5.6
5.9
6.2
5.6
6.2
5.5
5.5
5.5
7
5.7
6.4
5.7
5.7
6
18
11
18
18
18
18
18
11
18
18
18
18
18
18
18
18
11
18
2
11
18
18
18
3
Zona D
Data (a–m–g)
M
Cat
1414 – 0 – 0
1456 - 12 - 5
1456 - 12 - 5
1456 - 12 - 5
1466 - 1 - 15
1560 – 5 - 11
1561 - 7 - 31
1561 - 8 - 19
1625 - 9 - 0
1627 – 7 - 30
1646 – 5 - 31
1647 – 5 – 5
1657 – 1 - 29
1688 - 6 - 5
1694 - 9 - 8
1702 - 3 - 14
1731 – 3 – 10
1732 - 11 - 29
1805 - 7 - 26
1826 - 2 - 1
1831 - 1 - 2
1836 - 11 - 20
1851 - 8 - 14
1853 - 4 - 9
1857 - 12 - 16
1875 – 12 – 6
1885 - 12 - 26
1889 – 12 – 8
1910 - 6 - 7
1930 - 7 - 23
1948 – 8 – 18
1962 - 8 - 21
1962 - 8 - 21
1980 - 11 - 23
1990 - 5 - 5
1990 - 5 - 5
1998 - 9 - 9
2002 - 10 - 31
2002 - 11 - 1
5.8
7.2
7
6.3
6.1
5.6
5.6
6.8
5.8
6.7
6.6
5.9
6.4
7
6.8
6.5
6.5
6.6
6.6
5.8
5.5
6
6.4
5.6
7
6
5.5
5.7
5.7
6.6
5.6
5.7
6.1
6.9
5.8
5.5
5.6
5.7
5.7
5
5
6
6
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
Zona E
Zona G
Data (a-m-g)
M
Cat
Data (a-m-g)
M
Cat
1456 - 12 - 5
1461 - 11 - 27
1599 - 11 - 6
1639 - 10 - 7
1654 - 7 - 24
1703 - 1 - 14
1703 - 1 - 16
1703 - 2 - 2
1706 - 11 - 3
1730 - 5 - 12
1762 - 10 - 6
1859 - 8 - 22
1874 - 12 - 6
1879 - 2 - 23
1881 - 9 - 10
1904 - 2 - 24
1915 - 1 - 13
1916 - 11 - 16
1933 - 9 - 26
1943 - 10 - 3
1950 - 9 - 5
1979 - 9 - 19
1984 - 5 - 7
1984 - 5 - 11
2009 - 4 - 6
5.8
6.4
6
5.9
6.3
6.7
5.9
6.7
6.8
5.9
6
5.5
5.5
5.6
5.6
5.6
7
5.5
6
5.8
5.7
5.9
5.9
5.5
6.2
6
5
5
5
5
5
17
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
1438 1470 1481 1497 1501 1505 1542 1570 1624 1796 1828 1831 1832 1834 1837 1909 1914 1919 1920 1971 2012 2012 -
5.6
5.6
5.6
5.9
6
5.6
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7
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Zona F
Data (a-m-g)
M
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1428 1458 1483 1584 1661 1672 1688 1690 1719 1741 1747 1751 1768 1781 1781 1781 1786 1789 1791 1799 1815 1832 1854 1870 1873 1875 1897 1916 1916 1916 1917 1918 1930 1984 1997 1997 1997 1997 -
5.5
5.8
5.7
5.8
6.1
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6.4
5.6
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3 - 22
4 - 14
4 - 11
12 - 23
6 - 27
4 - 24
4 - 17
7 - 27
10 - 19
4- 4
6- 3
7 - 17
12 - 25
9 - 30
10 - 11
7 - 28
9- 3
1 - 13
2 - 12
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3 - 12
3 - 17
9 - 21
5 - 17
8 - 16
8 - 16
4 - 26
11 - 10
10 - 30
4 - 29
9 - 26
9 - 26
10 - 6
10 - 14
6 - 11
4 - 11
5- 7
3- 3
6- 5
1- 3
6 - 13
11 - 17
3 - 19
10 - 22
10 - 9
9 - 11
3 - 13
2 - 14
4 - 11
1 - 13
10 - 27
6 - 29
9- 7
7 - 15
5 - 20
5 - 29
Zona H
Data (a-m-g)
M
Cat
1403 1502 1511 1511 1511 1551 1574 1626 1628 1640
1645
1648
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5.6
5.7
7
5.6
6.3
6.3
5.6
6.5
5.6
6
5.6
5.7
5.6
6.5
6.5
5.6
5.6
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5.8
6
5.6
5.7
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5.7
6.4
5.6
6.3
5.6
6.3
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5.6
5.6
6.1
5.6
5.8
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6.1
6.5
5.6
5.9
5
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933683876-
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7 - 10
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1- 4
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6 - 12
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3- 1
3- 1
6 - 29
9 - 23
11 - 9
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4 - 14
5 - 15
12 - 17
1- 2
3 - 12
1 - 29
1- 1
3 - 27
10 - 18
5- 6
9 - 11
9 - 15
1976 - 9 - 15
1976 - 9 - 15
1998 - 4 - 12
6
6
5.7
18
5
3
64
Ringraziamenti
Gli Autori ringraziano le seguenti istituzioni, che hanno gentilmente messo a disposizione i
dati GPS in loro possesso : A.S.I.; ARPA Piemonte; Dipartimento di Fisica ed Astronomia (DIFA)
dell'Università di Bologna; Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica, Ambientale e dei Materiale
(DICAM) dell'Università di Bologna; Dipartimento della Protezione Civile della Calabria;
E.U.R.E:F.; FOGER (Fondazione dei Geometri e Geometri Laureati dell'Emilia Romagna);
FREDNET (O.G.S.); Italpos - Leica; Netgeo - Topcon; Provincia Autonoma di Bolzano (STPOS);
Provincia Autonoma di Trento (TPOS); Regione Abruzzo; Regione Campania; Regione Friuli
Venezia Giulia; Regione Liguria; Regione Lombardia; Regione Piemonte; Regione Puglia; Regione
Umbria (Latopo); Regione Veneto; R.I.N.G.-I.N.G.V.; Stonex.
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