Psicologia Gestalt

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Psicologia Gestalt
APPROFONDIMENTO
Modulo 3
La psicologia sociale della Gestalt
1 Lo sviluppo della psicologia sociale
Dagli anni Quaranta del Novecento e per alcuni decenni, lo sviluppo della psicologia sociale americana è fortemente influenzato dalla teoria della Gestalt.
Gli argomenti trattati dagli psicologi sociali di questo indirizzo sono innumerevoli: in particolare sono studiati la struttura dei gruppi sociali e le dinamiche comunicative al loro interno, la comunicazione tra gruppi diversi,
i vari tipi di leadership, le relazioni interpersonali, il cambiamento degli atteggiamenti e altro ancora.
Gli psicologi della Gestalt realizzano un approccio globale ai fenomeni sociali, partono dalla vita quotidiana e non temono di affrontare questioni
complesse.
I risultati delle ricerche trovano un’applicazione pratica nel campo della
pubblicità, della psicologia del lavoro e della gestione delle risorse umane,
ma anche il mondo della scuola e della pratica psicoterapeutica.
Il successo delle ricerche deriva anche dall’ingegnosità delle tecniche sperimentali, in contrapposizione all’artificiosità degli esperimenti condotti
dai comportamentisti.
Gli esperimenti sono realizzati soprattutto su persone e non su animali e le
situazioni create nei laboratori sono molto simili a quelle della vita reale.
I concetti teorici a cui si ispirano sono gli stessi che abbiamo esposto nell’unità didattica 1, relativamente agli studi sulla percezione.
La peculiarità della vita sociale, tuttavia, rende opportuno un loro approfondimento.
Alcuni principi generali
L’esperienza umana si organizza in strutture unitarie in cui la totalità è
qualcosa di più della somma delle singole parti.
Da questo principio deriva la conseguenza che in un’esperienza ciò che più
conta è la struttura. Per esempio: un quadrato sarà sempre un quadrato anche se le linee che lo compongono sono colorate anziché di colore nero; lo
stesso succede se tali linee sono sostituite da tratti o da puntini.
Consideriamo esempi presi dalla vita sociale: in una partita di pallavolo i
giocatori titolari di una squadra possono essere sostituiti dalle riserve, ma la
partita che viene giocata rimane sempre una partita di pallavolo, con le sue
regole e con le stesse modalità di interazione anche se i giocatori cambiano.
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LA
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I gruppi sociali possiedono delle caratteristiche ricorrenti che influenzano i ruoli e le relazioni delle persone al loro interno. Tali caratteristiche non cambiano
la propria sostanza anche se mutano le persone che fanno parte del gruppo.
Una stessa parte ha caratteristiche differenti se considerata singolarmente o se inserita nel tutto.
Da questo principio deriva la conseguenza che la valutazione che facciamo
di un elemento o di una parte è influenzata dalla totalità di cui fa parte. Tutto ciò assume una particolare importanza quando consideriamo il comportamento degli individui. Tale comportamento è giudicato differentemente
secondo il ruolo sociale della persona in questione e il contesto sociale in
cui tale comportamento avviene. Per esempio: un soldato che si rivolge a
un ufficiale non può usare lo stesso tipo di linguaggio che il superiore adopera quando si rivolge a lui.
Gli esperimenti di Solomon Asch sulla formazione delle impressioni, che
saranno trattati nel paragrafo 2, forniscono altri esempi applicativi di questo principio.
Una stessa parte, inserita in due totalità diverse, può assumere caratteristiche diverse.
L’azione di questo principio, che è un corollario di quello precedente, è ben
visibile se consideriamo il fenomeno dell’assimilazione e del contrasto.
L’assimilazione e il contrasto comportano che un elemento inserito in una
totalità composta di elementi simili tende a essere assimilato annullando
le differenze, mentre un elemento inserito in una totalità formata da elementi differenti tende a essere maggiormente differenziato dagli altri.
stereotipo
rappresentazione
semplicistica e rigida di
un aspetto della realtà,
propria di gruppi sociali
w
pregiudizio
atteggiamento
stereotipato, per lo più
sfavorevole, riferito
a cose, persone
e gruppi sociali
w
Abbiamo già visto un esempio riferito alla percezione cioè la croce di Benary, in cui il colore di un oggetto appare diverso secondo il contesto in cui è inserito.
L’assimilazione e il contrasto trovano larga applicazione nello studio dei fenomeni sociali. Per esempio: si tende a valutare una persona assimilandola al suo gruppo di appartenenza (a molti italiani i
cinesi sembrano tutti uguali e non solo per l’aspetto fisico) o ponendola in contrasto con esso (un cinese molto alto) a seconda delle differenze tra la persona e il suo gruppo. La valutazione delle persone per assimilazione e contrasto è maggiormente influenzata dagli w stereotipi e dai w pregiudizi, piuttosto che da dati oggettivi.
Un altro principio gestaltico che esercita una grande influenza sugli studi
sociali è il concetto di campo. Ricordiamo che per campo s’intende la distribuzione dinamica delle forze che interagiscono all’interno di una Gestalt.
I fenomeni psicologici avvengono sempre all’interno di una Gestalt dove le
varie parti sono reciprocamente interdipendenti. Le proprietà della Gestalt
non sono deducibili conoscendo le singole parti del sistema, ma sono ricavabili dalla sua struttura.
Il concetto di campo è inizialmente applicato dagli psicologi ai fenomeni
percettivi. Con le ricerche dello psicologo sociale tedesco Kurt Lewin
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(1890-1947), esso assume una propria autonomia, resa più evidente da una
terminologia specifica, presa in prestito dalle scienze fisiche.
Anche i principi dell’organizzazione percettiva scoperti da Wertheimer,
sono considerati nella psicologia sociale. In particolare il principio della
pregnanza secondo cui la forma che si costituisce in un campo psicologico è tanto “buona” quanto le condizioni lo permettono.
Alcuni aspetti del campo psicologico si impongono in quanto sono più
semplici e ordinati di altri, anche se non è detto che diano origine a valutazioni e comportamenti adeguati alle varie situazioni. Per esempio: si tende a valutare positivamente le opinioni delle persone che ci sono simpatiche ma, se sono fortemente avverse alle nostre, si tende a cambiare opinione su quelle persone.
La teoria dell’equilibrio dello psicologo austriaco Fritz Heider (1896-1988),
esaminata nel paragrafo 3, è un esempio dell’applicazione del principio della pregnanza.
2 Le ricerche di Asch
Asch ritiene che lo studio del comportamento sociale dell’uomo deve
muovere dal presupposto della sua specificità rispetto alle altre specie.
L’uomo è consapevole delle proprie azioni, possiede la capacità di comprendere il comportamento altrui, agisce in base a ideali e cerca di attribuire
un significato alla propria esistenza. Secondo Asch questi processi hanno
origine nel vivere sociale: l’uomo perciò non è un essere egocentrico che
pensa solo a se stesso. Egli ha bisogno delle altre persone, vuole legarsi ai
Solomon Asch
Solomon Asch nasce a Varsavia nel 1907 e muore a Haverford,
w dipendenza
Pennsylvania, nel 1996. Nel 1920 emigra con la sua famiglia
dal campo
negli Stati Uniti, dove si laurea in psicologia presso la Columbia
fenomeno per cui
University. Svolge le sue prime ricerche sulla percezione
in alcune persone
elaborando, insieme allo psicologo americano Herman A. Witkin l’orientamento spaziale
dipende soprattutto
(1916-1979), il concetto di w dipendenza dal campo.
dal campo visivo e poco
Asch compie anche degli studi sullo sviluppo della personalità
dalla posizione
dei bambini della tribù indiana degli Hopi. Nel 1952 scrive
del corpo nello spazio.
il fondamentale manuale Psicologia sociale, in cui riporta
Generalmente tali
i risultati delle sue ricerche ispirate alla teoria della forma.
persone mostrano una
Di grande rilievo sono gli esperimenti sulla formazione
maggiore insicurezza
delle impressioni, sulla comprensione delle asserzioni
e sul conformismo e la pressione sociale. Ancora oggi l’opera di Asch è un punto
di riferimento fondamentale della psicologia sociale e i suoi lavori hanno influenzato
importanti studiosi, come lo psicologo statunitense Stanley Milgram (1933-1984).
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suoi simili e con loro svolgere le proprie attività. Le persone egoiste, per
Asch, sono tali perché hanno trovato ostacoli nella ricerca di gratificazioni
all’interno del proprio gruppo sociale.
In questo paragrafo esamineremo il contributo di Asch allo studio della formazione delle impressioni e del conformismo.
La formazione delle impressioni
Asch compie numerosi esperimenti sulla formazione delle impressioni. Qui
riportiamo la sintesi di uno studio del 1946, divenuto un classico della psicologia sociale.
Sono scelti due gruppi di studenti universitari (gruppo A e gruppo B) a cui
lo sperimentatore, separatamente, legge, scandendo con calma delle parole, un elenco di qualità che vengono attribuite a un personaggio sconosciuto. Le due liste sono identiche, tranne che per una parola. Per esempio:
Gruppo A:
Gruppo B:
energico – sicuro – loquace – caldo – ironico – indagatore –
convincente.
energico – sicuro – loquace – freddo – ironico – indagatore –
convincente.
Poi viene chiesto ai soggetti di scrivere una breve descrizione della persona sconosciuta sulla base dell’impressione ricevuta. Le descrizioni dei due
gruppi risultano molto diverse.
Per esempio, nel primo caso abbiamo descrizioni del tipo: “Dà sempre l’impressione di essere più in gamba di quanto sia in realtà, si trova sempre a
suo agio ed è accolto bene dovunque… Ha il senso dell’umorismo e la sua
presenza suscita entusiasmo, e molto spesso finisce con il raggiungere una
posizione importante”.
Nel secondo caso il tipo di descrizione cambia: “È il tipo di persona che si
incontra fin troppo spesso: sicuro di sé, parla troppo, cerca continuamente
di convertirvi al suo punto di vista, senza troppi riguardi per l’interlocutore”.
In base ai presupposti della teoria della forma, le descrizioni fornite sono
coerenti e organizzate in modo plausibile, tuttavia differiscono notevolmente perché i tratti caldo-freddo esercitano una forte influenza sull’organizzazione complessiva. Al punto tale che gli studenti nelle loro descrizioni inseriscono caratteristiche del tutto assenti nell’elenco fornito, come
“possiede il senso dell’umorismo”.
Le impressioni si formano secondo una struttura in cui alcuni tratti sono
dominanti e altri periferici. Ogni tratto influenza la totalità ed è, a sua
volta, influenzato da questa.
Va notato che i tratti caldo-freddo, pur esercitando un’influenza notevole,
avrebbero dato luogo a descrizioni diverse da quelle precedenti se accompagnati da altri tratti (per esempio: intelligente anziché loquace, prudente
anziché sicuro ecc.).
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Il conformismo e la pressione sociale
Per conformismo si intende il fenomeno per cui un soggetto, pur avvertendo un conflitto tra la propria opinione e quella del gruppo, cede alle
pressioni di quest’ultimo.
Il conformismo è diverso dall’opportunismo, che è un conformismo di comodo in cui il soggetto esternamente aderisce all’opinione degli altri ma,
interiormente, è in disaccordo con loro.
Gli esperimenti di Asch riguardano il conformismo e non l’opportunismo.
Lo psicologo, negli anni Cinquanta, indaga sull’azione potente esercitata
dal gruppo perché le persone si conformino ai giudizi che esprime. Il metodo di questi esperimenti è quello di sottoporre i soggetti a una pressione
di gruppo, frutto di un inganno deliberato. In tal modo è possibile misurare il maggiore o minore cedimento dei soggetti a tali pressioni.
In un esperimento tipico, Asch riunisce un gruppo di studenti universitari
e assegna loro più volte il compito di
confrontare una linea verticale standard con altre tre di lunghezza diversa, di cui una sola uguale al modello.
Nella figura si fornisce l’esempio di
uno di questi compiti.
Gli studenti convocati per l’esperimento sono tutti d’accordo con lo
sperimentatore, tranne uno che è
ignaro di tutto ed è il vero soggetto
1 2 3
dell’esperimento. Gli altri forniscono
volutamente una stessa risposta errata
1
3
8''
6'' /4 8'' 6'' /4
e lo studente ignaro è chiamato a daFigura standard
Figura di confronto
re il proprio giudizio quando la magLa linea standard è di otto pollici di lunghezza
gior parte degli altri si è già espressa.
e va confrontata con altre tre linee rispettivamente
I soggetti esaminati sono 123, tutti
lunghe sei pollici e 1/4, otto pollici, e sei pollici e 3/4. sottoposti a dodici prove. Le risposte
I soggetti debbono scegliere tra le tre quella che
errate, quelle cioè che seguono l’opiritengono essere della stessa lunghezza della prima.
nione della maggioranza che si è già
espressa, sono il 37% del totale.
Altri studenti, che costituiscono un gruppo di controllo non sottoposto all’inganno, rispondono sempre correttamente alla domanda.
Le differenze individuali sono notevoli: si oscilla tra persone che subiscono completamente la pressione del gruppo ad altre che si mostrano sempre indipendenti da tale pressione.
Dopo aver finito le prove, i soggetti vengono intervistati. Tutti riferiscono
un turbamento per il giudizio della maggioranza e la maggior parte riferisce di aver provato il desiderio di conformarsi e di aver messo maggior-
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mente in dubbio il proprio giudizio piuttosto che quello della maggioranza. Perfino i soggetti indipendenti riferiscono di aver temuto di aver trascurato qualcosa e di essere in errore.
Secondo Asch, in una situazione del genere, i propri occhi e il giudizio degli altri risultano essere entrambi una fonte di informazioni affidabile.
Questo spiega l’elevato numero di risposte conformiste.
La prima fonte (i propri occhi) è il presupposto dell’azione individuale, la
seconda (il giudizio degli altri) dell’azione sociale e entrambe, nelle situazioni usuali, sono molto importanti come guida per il nostro comportamento. I soggetti non sospettano l’inganno e il loro comportamento non è
un’imitazione supina. La situazione (Gestalt) è tale che, ragionevolmente,
ci si aspetta che tutti forniscano la stessa risposta, quindi il conflitto e lo
sconcerto di queste persone non deve meravigliare eccessivamente. Alcuni, inoltre, possono cedere a fattori emotivi e temere la disapprovazione degli altri.
La vita sociale, secondo Asch, richiede di affermare la propria opinione
ma anche di contare sugli altri, dando loro fiducia.
3 Le ricerche di Heider
Heider è convinto che per comprendere il comportamento sociale delle
persone bisogna partire dalla loro psicologia ingenua.
Il ricercatore, pur conservando il necessario rigore scientifico, deve quindi
considerare la psicologia del senso comune.
Gli individui hanno consapevolezza del loro ambiente attraverso la percezione e altri processi cognitivi, sono influenzati dalle altre persone, agiscono sul loro ambiente cercando di provocare mutamenti, possono riuscire o
fallire nei loro scopi, manifestano bisogni, sentimenti e legami con altre persone e sono responsabili verso se stessi e verso gli altri dei propri compor-
Fritz Heider
Fritz Heider nasce a Vienna nel 1896 e muore nel Kansas, USA, nel 1988. Negli anni
Venti, dopo aver conseguito il dottorato presso l’Università di Graz, in Austria, con il
filosofo e psicologo austriaco Alexius von Meinong (1853-1928), lavora presso l’Istituto di
psicologia di Berlino dove conosce i fondatori della psicologia della Gestalt. Nel 1930
raggiunge Koffka negli USA, presso lo Smith College. Infine, nel 1947, si stabilisce presso
l’Università del Kansas dove rimane per tutta la vita. Ispirandosi alla tesi della psicologia
della forma, Heider delinea alcuni importanti costrutti teorici che tuttora esercitano una
notevole influenza sugli studi di psicologia sociale. L’argomento in particolare analizzato
da Heider è quello delle relazioni tra le persone e i suoi contributi principali sono la teoria
dell’attribuzione (la causa di determinati comportamenti viene attribuita a motivi
personali o a cause esterne) e la teoria dell’equilibrio (le persone si formano un’idea degli
altri in cui vi sia coerenza tra quanto si conosce e i sentimenti provati). Tra le opere
ricordiamo Psicologia delle relazioni interpersonali (1958).
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tamenti. Heider rivaluta le idee della psicologia ingenua, manifestate da
espressioni come “la volontà di fare” o “la capacità di fare”. Le persone, infatti, interpretano i processi psicologici propri e quelli degli altri facendo riferimento a concetti come questi.
La tendenza a interpretare gli eventi in termini di azioni che hanno cause
e motivi precisi è un fenomeno connaturato alle persone.
La teoria dell’attribuzione
Si ha un’attribuzione quando una data proprietà (cioè un attributo) è assegnata a qualcosa o a qualcuno.
Un’attribuzione, se è rivolta a persone, può riguardare noi stessi oppure gli
altri; per esempio, un uomo può dire di sé di essere bello e dire di un’altra
persona che è irresponsabile. Se l’attribuzione riguarda qualcosa, può essere un fenomeno naturale, come una pioggia fastidiosa; oppure un fenomeno di natura sociale, come una legge ingiusta.
Le attribuzioni possono essere di diverso tipo: si attribuiscono intenzioni,
qualità personali, cause, stati fisici, sentimenti e emozioni ecc.
Heider si è occupato di come le persone assegnano ai fenomeni sociali
delle attribuzioni causali.
Le attribuzioni causali sono divise da Heider in interne (riferite alla persona che agisce), oppure esterne (riferite all’azione di fattori indipendenti dalla persona che agisce).
Per esempio: se a una persona non piace un certo film, questo può dipendere dalle caratteristiche dello spettacolo (attribuzione esterna): “È un film
davvero brutto!”; oppure dai gusti della persona (attribuzione interna): “Si
sa, a Giovanni non piacciono i film sentimentali!”
Così il successo o il fallimento nel lavoro può essere attribuito alla difficoltà
del lavoro stesso (attribuzione esterna): “È un lavoro davvero stressante e
impegnativo!”, oppure alla capacità (o all’incapacità) della persona: “Miriam è una ragazza in gamba, sapevo che avrebbe avuto successo!” “Era
scontato, Sandro è un buono a nulla!”. A volte le attribuzioni sono solo suggerite: “È un lavoro facilissimo, chiunque potrebbe farlo!”. Se si è verificato
un fallimento, in questa frase è implicita un’attribuzione d’incapacità.
Esempi del genere possono essere individuati in tantissime situazioni: uno
studente che è rimproverato dall’insegnante, una persona che arriva in ritardo al lavoro ecc. Si tratta di fenomeni sociali molto comuni e si possono
aggiungere altre situazioni quotidiane.
Un fattore che influenza la scelta di un’attribuzione è il confronto sociale.
Un primo confronto è quello fatto tra situazioni simili. Per esempio: la mancata risoluzione di un problema di matematica è attribuita alla sua oggettiva difficoltà piuttosto che all’incompetenza dello studente se altri allievi,
pur ritenuti capaci, falliscono e se lo studente che ha fallito, in altre situazioni si è mostrato capace di risolvere i problemi assegnati dall’insegnante.
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Per poter affermare che i propri giudizi, credenze e opinioni sono affidabili, oppure frutto di prevenzione, operiamo continuamente paragoni con le
idee degli altri, in particolare con le persone ritenute attendibili.
L’attribuzione della responsabilità personale di un’azione può seguire varie modalità: il criterio della globalità, della responsabilità oggettiva e
della responsabilità soggettiva.
Il criterio della globalità è la modalità di attribuzione più primitiva: tutto ciò
che, in qualche modo può essere collegato ad una persona rientra nella sua
responsabilità. Per esempio, se un padre ha commesso delle azioni riprovevoli ne è in qualche modo responsabile anche il figlio; oppure tutti i tedeschi sono responsabili in qualche modo dei crimini nazisti.
Abbiamo poi la responsabilità oggettiva: una persona è giudicata in base alle
conseguenze delle sue azioni, anche quando non agisce in modo intenzionale. Una variante della responsabilità oggettiva si ha quando la persona è
ritenuta oggettivamente responsabile di un’azione se poteva prevedere le
conseguenze di ciò che ha fatto. Per esempio: una persona è responsabile del
fatto di essere rimasta senza benzina perché non ha controllato la spia che
ne indica il livello e avrebbe potuto farlo. Infine la responsabilità soggettiva:
una persona è responsabile solo delle azioni che compie in modo intenzionale e deliberato. Una variante di questo tipo di responsabilità si ha quando,
pur riconoscendo la presenza della responsabilità soggettiva, si tiene conto
delle pressioni e dei condizionamenti a cui la persona è stata sottoposta.
L’errore fondamentale di attribuzione
In genere le persone, cercando di spiegare il comportamento degli altri,
assegnano una maggiore importanza alle disposizioni personali piuttosto
che ai fattori esterni.
Le attribuzioni interne sono più frequenti di quelle esterne, perciò, quando
formuliamo un giudizio su una persona tendiamo a sottovalutare l’importanza dei ruoli che riveste. Per esempio: il poliziotto è giudicato brusco e
autoritario, il vigile è considerato un vero e proprio persecutore che affibbia multe e il burocrate come una persona insopportabilmente pignola.
Tutto ciò senza tener conto di quanto l’esercizio di un ruolo possa pesare
sul comportamento di una persona. Lo stesso si verifica quando formuliamo giudizi su certe categorie di persone: una persona che non ha mezzi di
sussistenza può essere considerato soprattutto come un uomo privo di iniziativa, uno studente che non ottiene buoni risultati è un fannullone che
non ha voglia di studiare.
In genere le persone, cercando spiegare il proprio comportamento, assegnano una maggiore importanza ai fattori esterni piuttosto che alle disposizioni personali.
Gli psicologi americani Edward E. Jones (1926-1993) e Richard E. Nisbett,
attraverso ricerche pubblicate nel 1971, approfondiscono il concetto del-
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l’errore fondamentale di attribuzione indagando sugli atteggiamenti valutativi che le persone hanno sul proprio operato. Non è detto che l’errore di attribuzione riferito a se stessi sia un problema di malafede. Infatti, quando
giudichiamo noi stessi abbiamo sicuramente a disposizione più informazioni di quando giudichiamo gli altri e, se falliamo i nostri scopi, possiamo trovare con più facilità i fattori esterni che ci hanno condizionato.
Un’altra possibile spiegazione dipende dal differente punto di vista esistente tra il protagonista di un’azione e l’osservatore di tale azione.
In un esperimento dello psicologo americano M. D. Storms, due estranei
che conversano, il signor A e il signor B, sono osservati, da due posizioni
spaziali diverse, dal signor C e dal signor D. Nel contempo anche due telecamere riprendono la conversazione da posizioni diverse. L’esperimento è
ripetuto con numerose coppie e i signori A e i signori B, dopo la conversazione, vengono intervistati. Prima però, ad alcuni di loro sono mostrate le
videoregistrazioni delle proprie conversazioni. Una volta intervistate, le
persone che hanno visto le videoregistrazioni tendono a dare un numero
minore di attribuzioni esterne del proprio comportamento, rispetto a chi
non ha visto le videoregistrazioni. Un’altra fonte d’errore è la tendenziosità
del giudizio: quando è in gioco la nostra immagine si tende a sopravvalutare i successi e a sottovalutare i fallimenti, attribuendo questi ultimi a fattori esterni.
La teoria dell’equilibrio
Heider scopre un importante fattore che influenza le nostre attribuzioni: le
persone cercano di mantenere un equilibrio cognitivo.
Si ha equilibrio cognitivo se tra i vari elementi, che costituiscono un sistema unitario di conoscenze, non c’è contraddizione.
Per esempio: se riteniamo che un aspetto importante del sistema democratico sia la libertà di parola, l’idea di ridurre al silenzio chi è contrario
alla libertà di parola genera uno squilibrio nella nostra idea di democrazia. In questo caso la contraddizione mette in crisi la coerenza dei nostri
ragionamenti.
Ancora più interessanti risultano gli esempi in cui lo squilibrio investe non
solo le nostre conoscenze ma anche i nostri sentimenti.
La teoria dell’equilibrio cognitivo prevede che si tenda a mantenere uno
stato coerente tra ciò che sappiamo di qualcosa o qualcuno e i nostri sentimenti nei loro confronti.
Una conseguenza di questa teoria è che se una nuova conoscenza turba l’equilibrio acquisito fino a quel momento, il soggetto cercherà di ristabilirlo.
Questo può avvenire secondo diverse modalità.
Heider costruisce dei modelli teorici con cui è possibile prevedere sia l’equilibrio e lo squilibrio nelle varie situazioni, sia cosa può essere fatto per
ristabilire l’equilibrio turbato.
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Per esempio: se si considerano due persone (il signor A e il signor B) e un
oggetto sociale, lo sport del calcio, abbiamo un sistema conoscitivo composto di tre elementi che possono dare origine a varie situazioni di equilibrio/squilibrio. Se il signor A ritiene il signor B simpatico, ma non sopporta il calcio, che invece piace a B, abbiamo una situazione di squilibrio. Se
invece il signor B condivide l’antipatia per il calcio con il signor A, il sistema è equilibrato. In generale, in un sistema triadico, si ha un sistema NON
equilibrato se si hanno due rapporti positivi e uno negativo, come nel primo esempio.
Quando in un sistema triadico la situazione comporta uno squilibrio, l’equilibrio può essere nuovamente raggiunto modificando almeno uno dei
rapporti che intercorrono tra i tre elementi.
caso
In base alle argomentazioni svolte, il lettore può costruire un modello in cui
sono previste tutte le situazioni di equilibrio e di squilibrio di un sistema
triadico e individuare le modificazioni necessarie per ristabilire l’equilibrio.
DUE GRUPPI OSTILI IMPARANO A COOPERARE
Quello che qui riferiamo, a rigore, è un esperimento e non un caso. Come altri esperimenti
che si ispirano alla psicologia della Gestalt,
tuttavia, esso riproduce così da vicino le situazioni della vita quotidiana da poter essere considerato quasi un caso reale. Con questo lavoro
lo psicologo americano, di origine turca, Muzafer Sherif (1906-1988) dimostra che il comportamento individuale è fortemente influenzato dal gruppo di appartenenza, soprattutto
in situazioni conflittuali. Ma la creazione di
un obiettivo comune porta a una ristrutturazione di tipo collaborativo tra gruppi precedentemente conflittuali (e alla formazione di
una nuova Gestalt).
“Il luogo era un campeggio estivo nel Robbers Cave Park dell’Oklahoma, cosi chiamato perché fu usato come nascondiglio dalla
banda di Jesse James. I ragazzi si trovavano
lì in vacanza, per tre settimane di campeggio: i ricercatori invece c’erano per altre ragioni. Volevano osservare, in un contesto
naturale, come gli estranei si riuniscono a
formare un gruppo sociale coerente, come
fanno amicizia, come si scelgono dei leader
e sviluppano atteggiamenti di gruppo e
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norme sociali. Soprattutto volevano scoprire come i gruppi vengono in conflitto fra
loro e che cosa si può fare per ristabilire
l’armonia.
Due gruppi di 12 ragazzi, tutti maschi di
11-12 anni, arrivarono al campeggio con
due autobus diversi. I due gruppi erano
equivalenti quanto a livello di scolarizzazione, caratteristiche fisiche e adattamento
emotivo. I ragazzi non si conoscevano tra
loro e all’inizio i due gruppi non avevano
nessun contatto. Ciò permise ai ricercatori,
che facevano la parte di normali educatori
e del direttore di comunità, di registrare il
loro comportamento mentre si organizzavano in unità sociali. […] Un gruppo si
dette nome I serpenti a sonagli, l’altro Le
Aquile.
Una volta che i gruppi si furono organizzati ed ebbero sviluppato un autentico spirito di gruppo, cominciò la fase due dell’esperimento. L’ipotesi era che quando due
gruppi hanno scopi contrastanti, tali che
possono essere realizzati solo a spese dell’altro gruppo, i loro membri sviluppano
un’ostilità reciproca. Non fu per nulla difficile dimostrarlo. I due gruppi si incontra-
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rono in una tipica attività da campeggio,
un torneo di giochi a squadre (baseball,
football, tiro alla fune ecc.). Da principio le
cose andarono lisce, ma ben presto la rivalità produsse i cambiamenti previsti. I ragazzi cominciarono a chiamare i membri
del gruppo rivale con appellativi ingiuriosi,
scoppiavano baruffe, avvenivano scorrerie
nei dormitori del campo avverso. […] Ora
che l’ostilità intergruppo era stata creata, i
ricercatori si ritrovarono di fronte il problema di stabilire l’armonia intergruppo.
Per prima cosa misero alla prova la teoria
che contatti sociali corretti e piacevoli
avrebbero ridotto l’attrito fra i due gruppi.
Le Aquile e i Serpenti a sonagli venivano
portati assieme al cinema o a mangiare
nello stesso refettorio, ma questo non fece
altro che peggiorare le cose, offrendo nuove occasioni di scontri.
Sherif e i suoi collaboratori decisero allora
di verificare la loro ipotesi: se la rivalità favorisce il conflitto, la cooperazione può
promuovere l’armonia. Crearono allora
una serie di problemi impellenti, che i campeggiatori avrebbero potuto risolvere solo
unendo le loro forze, invece di usarle gli
uni contro gli altri. Per esempio, quando il
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sistema di approvvigionamento idrico si
guastò, entrambi i gruppi si misero in cerca della perdita. Quando fu detto loro che
l’organizzazione del campeggio non aveva
abbastanza soldi per affittare un film, tutti e
due i gruppi contribuirono. Una volta che
il furgone degli approvvigionamenti non
partiva, i ragazzi lo spinsero tutti insieme
per metterlo in moto.
Sulle prime i ragazzi tornavano ai loro battibecchi non appena finito il lavoro comune, ma gradualmente, via via che si trovarono a collaborare, per tutta una serie di
scopi collettivi sovraordinati, l’ostilità si ridusse. I membri dei due gruppi cominciarono a fare amicizia e ben presto cercavano proprio le occasioni di stare insieme e
di intrattenersi gli uni con gli altri.
‘In breve’, spiega Sherif, ‘l’ostilità recede
quando i gruppi uniscono le forze per realizzare degli scopi impellenti e sovraordinati, che sono reali e urgenti per tutti gli
interessati’.
(Tratto da: Robert G. Trotter, Muzafer
Sherif: lo studio del comportamento interpersonale, “Psicologia contemporanea” n. 76, luglio/
agosto 1986, pp. 42-43).
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