SISP 2012 Sezione 6. Partecipazione e movimenti sociali Panel 6.5

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SISP 2012 Sezione 6. Partecipazione e movimenti sociali Panel 6.5
SISP 2012
Sezione 6. Partecipazione e movimenti sociali
Panel 6.5. Populismo e partecipazione politica
Enza Roberta Petrillo
PhD in Development Geography, University L’Orientale, Naples
[email protected]
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Nell’odierna epoca “post-comunista”, la gente dell’Est
sembra sensibilizzata soprattutto su due fattori: la comunanza e il passato.
Dubravka Ugrešič
Serbia 2000-2012. Traiettorie populiste e pratiche di partecipazione politica nell’era postMilošević
Dalla “Bager revolucija”, la rivolta popolare che il 5 ottobre 2000 rovesciò il regime di Slobodan
Milošević, sono trascorsi dodici anni. Allora, Vojislav Koštunica, primo presidente della repubblica
dell’era post-Milošević, sostenuto dalla coalizione riformista DOS-Opposizione Democratica
Serba1, dichiarò di voler fare della Serbia un “normale, noioso paese”2. Erano le parole ottimiste di
un politico guardato con eccessiva benevolenza3 dalla comunità internazionale e destinato a
scontrarsi tanto con l’ambiguità strutturale della coalizione che lo aveva sostenuto, quanto con la
fragilità dell’arco politico-parlamentare della Serbia post-jugoslava. Adesso, quel “Gotov je!”(É
finita!) scritto dai manifestanti davanti alla sede del Partito Socialista prima di darle assalto4, suona
quasi beffardo. A luglio del 2012, Ivica Dačić, ex delfino di Milošević e leader del Partito Socialista
Serbo, è stato nominato premier dal parlamento, in un esecutivo a tre che vede largamente
dominanti conservatori, nazionalisti e socialisti. Designazione che suggerisce un primo dato di
partenza: a più di un decennio dall’inizio della transizione, la normalizzazione della politica serba
continua ad oscillare tra entusiasmi europeisti e derive identitarie e nazionaliste. La fragilità del
consolidamento democratico di questo caso di studio contrasta con la linearità teleologica del
“paradigma della transizione democratica”5 applicato allo spazio politico post-comunista. In Serbia
la “zona d’ombra politica” preconizzata da Carothers6 si è sedimentata strutturando una
democrazia incompiuta che pur annoverando diversi partiti di opposizione, una società civile
indipendente, elezioni regolari e una costituzione democratica, sembra dover fare i conti con la
disaffezione dalla partecipazione politica e con la perdita di credibilità dei partiti di governo
1
La Demokratska Opozicija Srbije–DOS è stata attiva dal 2000 al 2003. Costituitasi per coordinare le forze contrapposte al regime autoritario di
Milošević, si presentò in occasione delle elezioni presidenziali e parlamentari jugoslave del 2000.
2
In Purvis A., 25 dicembre 2000, “Voijslav Kostunica”, Time, in http://www.time.com/time/world/article/0,8599,2047931,00.html .
3
La vittoria di Kostunica fu accolta dalla comunità internazionale come il primo passo della Serbia verso la transizione democratica. Per tutti doveva
essere l’uomo nuovo e nessuno ricordò che non una voce il Presidente aveva levato contro l’assedio di Sarajevo o contro il massacro di cinquemila
musulmani trucidati a Srebrenica. Si veda Petrillo E. R., ‘Elezioni senza democrazia. I casi della Croazia, della Repubblica federale di Serbia e
Montenegro e del Kosovo’ in O. Cappelli (ed.), 2005, Oltre la democratizzazione. Il problema della ricostruzione dello stato nello spazio politico postcomunista, ESI, Napoli, p. 233.
4
Nava M., 7 ottobre 2000, “Trionfa la rivoluzione, Kostunica presidente”, Corriere della Sera, in
http://archiviostorico.corriere.it/2000/ottobre/07/Trionfa_rivoluzione_Kostunica_presidente_co_0_0010072333.shtml.
5
Cfr. O'Donnell G.A., “Illusions About Consolidation”, Journal of Democracy,vol.7, n. 2, April 1996, 34-51.
6
Carother T., “The end of the Transition Paradigm”, Journal of Democracy, 13 (1) 2002, 5-21.
1
Enza Roberta Petrillo, “Serbia 2000-2012. Traiettorie populiste e pratiche di partecipazione politica nell’era post-Milošević”.
sospettati di complicità per la spartizione del potere e di corruzione. Sebbene una parte della
letteratura sulla transizione post-comunista ascriva queste traiettorie all’indifferenziazione
ideologica e programmatica delle grandi soggettualità politiche7, il caso serbo suggerisce di
problematizzare l’analisi focalizzando l’attenzione sul crescente protagonismo del populismo nelle
pratiche di partecipazione politica8. Puntando ad una rilettura critica del concetto di populismo,
questo studio partirà da una disamina degli orientamenti populisti espressi dai cinque partiti che
hanno dimostrato di avere un peso strategico nello spettro politico serbo, sia per il “potenziale di
coalizione” nel determinare la maggioranza di governo, sia per il “potenziale di ricatto”
nell’influenzare le tattiche della competizione tra partiti9. Nello specifico si analizzerà il socialdemocratico Partito Democratico-DS10 guidato da Boris Tadic; il conservatore Partito Democratico
Serbo-DSS11 di Vojslav Koštunica; l’ultra-nazionalista Partito Radicale Serbo-SRS12di Vojislav Šešelj,
attualmente estradato al Tribunale Penale Internazionale per l'ex-Jugoslavia dell’Aja-TPIY, per
crimini di guerra e contro l’umanità; il Partito Progressista Serbo-SNS fondato da Tomislav
Nikolić13, ex delfino di Šešelj convertitosi al nazionalismo soft e pro-europeista; ed infine il Partito
Socialista Serbo-SPS14 guidato da Dačić, per approdare ad una verifica delle relazioni esistenti tra
queste strutture di mediazione ed i processi di partecipazione politica messi in atto dagli attori
collettivi attivi al di fuori delle strutture partitiche.
1. Fonti e metodologia
Le fonti di questo studio sono state le dichiarazioni dei leader di partito e degli attori
extraparlamentari, gli articoli diffusi su organi di stampa nazionali ed internazionali, le pagine
personali dei leader politici sui social network ed infine le pagine web dei rispettivi partiti,
considerati come luoghi d’elezione della retorica politica intesa come scevra da connotazioni
negative e riferita ai registri discorsivi, agli stili comunicativi, ad un “gergo” che permea il discorso
pubblico. Come osservato, in questi repertori, “le nozioni di politica e democrazia che vi si
incontrano raramente posseggono il rigore della teoria o la coerenza dell’ideologia; cionondimeno
esse da un lato riflettono, da un altro forgiano -prima ancora che una cultura politica determinataun clima culturale, una mentalità diffusa, un immaginario collettivo. È qui che visioni per quanto
indeterminate dell’ordine sociale possono trasformarsi in formule politiche”15. Su queste basi si è
scelto di verificare l’ipotesi che proprio la retorica identitaria e nazionalista, che ispira il discorso
politico populista e concretizza l’appello al popolo, sia diventata un’arma di lotta politica e uno
strumento di mobilitazione nell’evoluzione del discorso pubblico dominante durante la
transizione. Per questa ragione, l’attenzione è stata rivolta al dibattito politico su temi chiave quali
la questione del Kosovo, la prospettiva europea e la “spada di Damocle” delle sue condizionalità, i
7
È un’ipotesi condivisa dai lavori di Cvijic S.,“Blocked political system”: Serbia 2000-2008”, Balkanologie, 11(1-2 )dicembre2008, in
http://balkanologie.revues.org/index1293.html; Greskovits B., “Demagogic Populism in Eastern Europe?” Telos, 1995, (102),91-106 e Tagueff P.
A.,2003, L’illusione populista, Mondadori, Milano.
8
Cfr. Listhaug O., Ramet S.P., Dulić D.,eDs., 2011, Civic and uncivic values : Serbia in the post-Milošević era, Central European University Press,
Budapest/New York.
9
Cfr.Sartori G.,1969, Democrazia e definizioni, Il Mulino, Bologna, p.325.
10
Demokratska stranka-DS.
11
Demokratska stranka Srbije-DSS.
12
Srpska radikalna stranka-SRS.
13
Srpska napredna stranka-SNS.
14
Socijalistička partija Srbije-SPS.
15
Cfr. Cappelli O., 2004, Demokratizatsiya, la transizione fallita. Democrazia populista e presidenzialismo plebiscitario nell'URSS e nello spazio
postsovietico, Guida, Napoli, p. 14.
2
Enza Roberta Petrillo, “Serbia 2000-2012. Traiettorie populiste e pratiche di partecipazione politica nell’era post-Milošević”.
richiami alla Grande Serbia e la mediatizzazione della politica. Com’è noto la discourse analysis
offre una certa discrezionalità nella selezione del materiale da vagliare. Questo studio è in linea
con quanto osservato da Schmidt che definisce il discorso come “qualsiasi cosa gli attori politici
riferiscano gli uni agli altri o al pubblico per generare e legittimare un programma politico”16.
Un’analisi del discorso, intesa quindi, come un framework analitico che ha permesso di
identificare, descrivere e analizzare un fenomeno come quello osservato, proprio mentre questi
andava evolvendosi. Un ultimo chiarimento rispetto a come queste fonti sono state utilizzate: se
numerose dichiarazioni sono state divulgate in serbo e successivamente tradotte, una parte
rilevante del dibattito politico è stato tratto da giornali e riviste serbe pubblicate in lingua inglese e
diffuse in rete17. La diffusione di documenti in rete ha permesso l’accesso ad un patrimonio
documentale reso disponibile dai daily digest ed i rapporti periodici di alcuni tra i servizi di media
monitoring che si occupano dello spazio politico post-jugoslavo tra i quali B92, TOL, BLIC, BIRN,
Balkan Insight, Open Media Research Institute, Balkanalysis, Osservatorio Balcani. Infine, una
missione di ricerca svolta durante il primo round delle tripla tornata elettorale del 2012, ha
permesso di arricchire l’analisi del testo, grazie al ricorso ad interviste informali con membri dei
partiti, militanti, practioner internazionali, accademici e giornalisti; e alla non participant
observation svolta prima e dopo le elezioni presso i quartier generali dei partiti studiati.
2. Populismo, un tentativo di operazionalizzazione18: il caso della “nuova democrazia” serba
In Serbia, la varietà di partiti politici e movimenti extra-parlamentari riconducibili alla categoria del
populismo a prescindere dallo specifico orientamento ideologico pone diverse questioni: qual è la
congiuntura politica, istituzionale e socio-economica che ha determinato l’emersione delle
mobilitazioni populiste nel decennio considerato? quali sono le originalità e le specificità delle
mobilitazioni registrate e quali invece i tratti di continuità rispetto ai cicli precedenti? da chi
proviene e a chi è rivolta l’offerta ideologica del populismo? i repertori e le performance populiste
espresse dai partiti e dai movimenti extra-partitici manifestano una disfunzione del processo di
democratizzazione? La risposta non può ignorare le criticità teoretiche in cui ci si imbatte quando
si affronta l’analisi del populismo. Concetto polisemico e problematico, il populismo risulta di
ancora più difficile trattazione analitica se applicato ad un contesto istituzionale in transizione
come quello serbo. Poco studiato fino al 1990, diventa un tema centrale intorno al 2000, quando
viene affiancato a concetti come nazionalismo o autoritarismo e messo in discussione come causa
potenziale del riflusso all’autoritarismo che avrebbe potuto succedere all’ondata di
16
Citato in Burnham P. et alii, 2008, Research MethoDs in Politics, Palgrave, London, p. 256.
La Serbia presenta un panorama mediatico pluralista con emittenti pubbliche e private e una gamma di edizioni stampa e on-line che forniscono
agli elettori informazioni su politica e elezioni. La televisione è la più importante fonte di informazioni con il principale canale pubblico RadioTelevizija Srbije, RTS1 e le emittenti private Pink, Prva. B92 è il più popolare tra i canali privati. I giornali restano una fonte importante di
informazioni grazie anche alle edizioni on-line, in forte sviluppo negli ultimi anni. Significativa è la diffusione di documenti con contenuto politico
diffusa dai settimanali Blic, Vecernje Novosti, Danas, Politika. L'uso dei media digitali e sociali è in aumento. Nel rapporto 2011, l'Anti-Corruption
Council,organo consultivo nominato dal governo, ha segnalato la mancanza di trasparenza nella proprietà editoriale e l'influenza economica delle
istituzioni dello Stato sui media. Inoltre, OSCE e rappresentanti della società civile hanno espresso preoccupazione per la tendenza verso
l’autocensura legata alle pressioni del mercato pubblicitario e ai condizionamenti esercitati dai partiti politici in particolare a livello locale. Fattori,
che combinati con la difficile situazione finanziaria, hanno indebolito la capacità dei media di resistere alle pressione politiche ed economiche. La
copertura analitica della politica è fornita soltanto da un piccolo numero di media on-line, internet e social media, il cui impatto è notevolmente
inferiore a quello della televisione. Cfr. OSCE,2012, Republic of Serbia Parliamentary and Early Presidential Elections 6-20 May 2012,OSCE ODHIR
Final Report.
18
Il termine populismo in quanto non direttamente osservabile e ad alto livello di generalità, richiede di essere collegato tramite diversi passaggi
analitici ad aspetti empiricamente osservabili. Questo passaggio, noto come operazionalizzazione (Cotta, Della Porta Morlino, 2008, Scienza Politica,
il Mulino, Bologna), riguarda più concretamente il percorso da compiere tra il significato e i suoi referenti empirici.
17
3
Enza Roberta Petrillo, “Serbia 2000-2012. Traiettorie populiste e pratiche di partecipazione politica nell’era post-Milošević”.
democratizzazione19 cominciata nel 2000. Il fatto che sia il linguaggio specialistico che quello
divulgativo abbiano scelto di utilizzare i termini populismo, nazional-populismo e nazionalismo in
modo interscambiabile, segnala sia la fluttuazione semantica del concetto stesso di populismo, sia
l’incertezza e la parzialità delle definizioni utilizzate finora. Queste responsabilità non vanno
ascritte soltanto alla sostanziale omogeneità delegittimante delle analisi sul tema, ma anche
all’uso distorto legittimato da una linea di decision making europeo che ha bollato il populismo
come il principale fattore di divisione interna all’Europa orientale senza investigarne gli aspetti
geopolitici e socio-economici determinanti. Questa interpretazione ha presentato il populismo
come un ponte tra due sistemi di riferimento: da un lato il nazionalismo e la politica identitaria,
dall’altra la demagogia e la manipolazione dell’opinione e dell’informazione. Una visione parziale
in cui l’appello al popolo è stato interpretato come il gesto comune di una mobilitazione
nazionalista e di un’azione demagogica di filiazione destrorsa o autoritaria.
Mantenendo una distanza critica da questo approccio, questo studio tenterà di integrare l’analisi,
interrogandosi sulla validità della nozione di populismo applicata agli studi che trattano le
democrazie emerse dalla transizione post-comunista e riflettendo in una prospettiva diacronica
sulle eredità plurime e sulle caratteristiche storiche, sociali e geopolitiche che hanno
contraddistinto la transizione nello spazio politico serbo. Qui, dal 2000, attori politici, giornalisti e
studiosi hanno utilizzato il termine “populizm” come un “operatore di amalgama” à la Taguieff,
che ha permesso di bollare, raggruppandole frettolosamente, tipologie disparate di fenomeni
socio-politici o di esponenti politici giudicati allarmanti da chi intendeva metterli in discussione. La
parzialità di questo spazio critico ha portato a ciò che efficacemente sempre Taguieff descrive
come “desemantizzazione per sovra-saturazione semantica”.
Un primo punto di partenza è che in questo caso, così come in molti regimi ibridi post-totalitari
dell’Europa dell’est, comunemente definiti “nuove democrazie” il regime democratico non è
succeduto ad una democrazia pluralista storicamente radicata. Un ulteriore elemento da
considerare è che il caso serbo rientra nella gamma delle transizioni in cui democratizzazione e
formazione dello stato avvengono contemporaneamente20. Tappa, questa, che arriva dieci anni
più tardi rispetto al picco dell'ondata di democratizzazione cominciata nel 1990 nell’est europeo.
Sin dal 2000 il divario tra la relativa efficacia delle forme istituzionali della democrazia-regime e la
loro inefficacia rispetto all’esigenza di riforme economiche e sociali è stato palese. Per questo il
movimento di piazza che aveva sostenuto le proteste guidate dalla coalizione DOS è andato
gradualmente scemando per approdare a quell’endemico “disincanto democratico” che ha fatto sì
che il nuovo regime venisse percepito non solo come fragile ma anche e soprattutto come
deludente. “Bisogna allora vedere-come si chiede Tagueff- in queste nuove democrazie posttotalitarie o posto-autoritarie, spesso caratterizzate come povere, deboli, vuote una forma di
populismo, o gli indizi dell’emergere di un “neo-populismo”?”21. Questione complessa: in Serbia
19
Cfr. Huntington S. P., 1991,The third wave, Norman and London, Oklahoma. Per lo studioso nella storia democratica possono essere individuate,
tre “ondate” di democratizzazione, intendendo per tali ‟una serie di passaggi da regimi autoritari a regimi democratici, concentrati in un periodo di
tempo ben determinato, in cui il numero di fenomeni che si producono nella direzione opposta (passaggi da regimi democratici a regimi autoritari) è
significativamente inferiore". Alle prime due ondate di democratizzazione sono seguite altrettante ondate di riflusso. Le democratizzazioni della
terza ondata, iniziate nel 1974 sollevano numerose questioni empiriche soprattutto rispetto alle ondate di ritorno e alle derive autoritarie che sono
seguite alle rivoluzioni di molti paesi dell’area est-europea.
20
Cfr. Grilli di Cortona P., 2003, Stati, nazioni e nazionalismi in Europa, Il Mulino, Bologna.
21
Taguieff A., op.cit., p. 175.
4
Enza Roberta Petrillo, “Serbia 2000-2012. Traiettorie populiste e pratiche di partecipazione politica nell’era post-Milošević”.
apatia collettiva e sfiducia nella èlite dirigente, caratterizza lo stato del sociale. Un contesto in cui
la fiducia delegativa è flebile e indebolita: appena eletti i presidenti possono cambiare opinione,
stringere alleanze con i nemici di un tempo e cambiare posizione rispetto a questioni economiche
e internazionali22.
Dato analizzabile anche alla luce di quanto osservato da Edelmann quando osserva che “solo
l’ambiguità, non la precisione, può aumentare la popolarità di un candidato; i responsabili politici
sono tanto più utili quanto sono in grado di rappresentare tutti i significati che i gruppi coinvolti
vogliono prestare loro”23. Si osservi il caso del neo-presidente della Repubblica progressista
Nikolić. I suoi exploits, i suoi repentini cambiamenti di opinione, l’ambivalenza delle sue
dichiarazioni rispetto al percorso di adesione all’Europa, le errate corrige che spesso seguono le
sue dichiarazioni pubbliche sono elevate a simbolo dell’autenticità del leader legittimando un uso
tattico dell’equivocità.
C’è ancora un ulteriore nodo da tenere in considerazione: la sincronia tra populismo e democrazia
che caratterizza le democrazie della transizione est-europea. Se negli anni Cinquanta il populismo
politico faceva riferimento ai regimi guidati da leader carismatici, al populismo fascista dalle
connotazioni anticapitalistiche e al nazional-populismo, il populismo più recente espresso dalle
forze parlamentari, pur partendo dall’appello al popolo si differenzia per la sua accettazione del
liberismo economico e del capitalismo finanziario, per una critica delle scissioni politiche
istituzionalizzate coniugata alla rinnovata centralità dall’elemento identitario24. Di qui l’etichetta
neo-populismo di frequente applicata alla casistica dei populismi emersi dopo il 1990. Dispute
semantiche a parte, la cifra dell’originalità nel caso serbo sta in due aspetti fondamentali:
- il peculiare rapporto che il populismo come ideologia è andato sviluppando con il tema
dell'identità, il cui peso strutturante è collegabile da un lato alla transizione democratica
del Paese, dall’altro alla perdita di rilievo delle vecchie rappresentazioni populiste basate
sulle mobilitazione anti-elitiste,
- la contiguità valoriale e ideologica delle forze politiche in competizione alimentata dal
medesimo ricorso alla retorica dell’identità.
Pur manifestandosi con modalità diverse e con intensità e percorsi eterogenei, la rivendicazione
identitaria si pone infatti come elemento strutturante comune alla maggioranza delle
soggettualità politiche mappate nello spazio politico post-jugoslavo. Si considerino i leader politici
su cui si è concentrata l’analisi. Tadic, Šešelj, Nikolić, Koštunica e Dačić si sono proposti come
interlocutori nuovi, anche se fortemente radicati all’apparato valoriale e ideologico del passato.
“Novitismo” di facciata che è riuscito in fasi alterne a sedurre un elettorato variegato, ponendo
l’accento su un orgoglio nazionalistico non più guerreggiato ma aperto a confrontarsi con le spinte
socio-economiche globali.
Differentemente dai partiti populisti precedenti la terza ondata, la struttura ideologica che
accomuna i partiti populisti delle nuove democrazie non è quella storica dei partiti di protesta,
anti-sistema o marginali. Nessuno dei partiti considerati, infatti, mette in discussione le modalità di
accesso alla politica o alla sua appropriazione da parte delle èlite. Se la critica populista della
22
Cfr. Taguieff A., op.cit., p. 177.
Edelman M., 1992, Costruire lo spettacolo politico, Nuova ERI- Edizioni RAI, Torino.
24
Hermet G., Badie B., Birnaum P., Braud P, 2001, Dictionnaire de la science politique et des institutions politiques, 5° ed., Armand Colin, Paris, p.
246.
23
5
Enza Roberta Petrillo, “Serbia 2000-2012. Traiettorie populiste e pratiche di partecipazione politica nell’era post-Milošević”.
rappresentanza politica si è storicamente basata sulla constatazione di un tradimento nei
confronti dei rappresentati da parte dei rappresentanti, oggi questi soggetti non mostrano
un’aperta ostilità rispetto ai meccanismi di rappresentazione. Per questa ragione, mentre nei
sistemi democratici consolidati nessun populismo è riuscito a istituzionalizzarsi in modo stabile
proprio per il suo essere over-promising rispetto alla capacità effettiva di rivoluzionare gli assetti
istituzionali, nel caso serbo il populismo ha potuto plasmarne l’institution building e il constitution
building.
3. Una democrazia elettorale populista?
Il corso democratico inaugurato nel 2000 con il cambiamento radicale della competizione partitica
connesso all’emersione della coalizione riformista DOS, ha rappresentato una partenza opaca
arrestatasi dopo l’assassinio del premier Đinđić nel 2003. L’attentato, attribuito dopo un’inchiesta
decennale, ad una congiura tra forze nostalgiche, servizi segreti deviati e clan criminali intesa a
colpire la svolta riformista inaugurata dal premier, rappresenta il ground zero della politica serba
post-Milošević. Ciò che ne è seguito- i 42 giorni di stato d’emergenza, il controllo a tappeto della
società civile e l’epurazione -nota come lustracija- dei vertici di stato legati al vecchio regime- ha
decretato la morte della DOS e la rinuncia definitiva alla spinta popolare dal basso che aveva
caratterizzato la prima fase di transizione democratica.
Un adagio locale vuole che bastino due serbi per fondare tre partiti politici. Questo è esattamente
quanto è accaduto nella fase di shakedown, in cui perso di vista l’obiettivo comune del cambio di
regime, divergenze e particolarismi hanno sgretolato il “movimento ombrello” protagonista del
primo stadio della transizione. Franchi tiratori, veti incrociati e ostruzionismo hanno minato
sistematicamente la possibilità di procedere verso riforme istituzionali e legislative. Una fase di
stallo che continuerà fino al 2006, anno in cui viene promulgata la nuova e controversa
costituzione25. Pur essendo un passaggio centrale della fase dell’instaurazione democratica, la fase
costituente, che avviene in totale assenza di dibattito pubblico e solo dopo sei anni dalla
rivoluzione, è frutto di compromessi intercorsi tra le vecchie èlite e i nuovi partiti. Alle spalle
l’elezione parlamentare del 2003, seguita dalla nascita del governo Koštunica, passato per soli
quattro voti al parlamento grazie all’appoggio determinante dei Socialisti. Insieme, vincitori e vinti,
danno il via ad una coalizione di potere dai tratti ambigui e smaccatamente “passatisti” che
marginalizzerà le istanze riformiste della prima ora. A questa instabilità politica e alla frustrazione
dell’elettorato per i numerosi scandali che vedono coinvolti gli esecutivi del dopo-Milošević, sono
imputabili anche i tre fallimenti successivi per mancanza del quorum di votanti, delle elezioni
presidenziali26. Soltanto quando con riforma costituzionale si rimuoverà l’articolo prevedente il
25
Cfr. Dallara C., Marceta I., 2009, “Serbia in search for stability and accountability” in Morlino L., Sadurski W. (eDs.), Democratization and
the European Union, Routledge, London. Sebbene la nuova costituzione introduca pratiche di buon governo, come l'ufficio di un mediatore,
l’abolizione della pena di morte e il controllo dell’esercito da parte del parlamento, criticità permangono rispetto alla divisione dei poteri statali.
Parziale è il controllo legislativo sul sistema giudiziario, persiste il regime del mandato imperativo che dà ai partiti politici pieno controllo sulle
attività dei deputati,poco chiara è la tutela riservata alle minoranze: La Serbia è definita come uno stato-nazione (mentre la costituzione di
Milošević la definiva come uno stato civile) e la lingua serba in alfabeto cirillico viene indicata come l’unico linguaggio nazionale nonostante le
numerose minoranze linguistiche che vivono nel paese. Il preambolo descrive il Kosovo come parte integrante della Serbia. La costituzione del 2006
conferma inoltre la struttura istituzionale della costituzione del 1990: un presidente della repubblica direttamente eletto e responsabile rispetto al
parlamento, e una relazione relativamente bilanciata tra governo e assemblea.
26
Cfr. Petrillo E. R., ‘Elezioni senza democrazia. I casi della Croazia, della Repubblica federale di Serbia e Montenegro e del Kosovo’ in O. Cappelli
(ed.), 2005, Oltre la democratizzazione. Il problema della ricostruzione dello stato nello spazio politico post-comunista, ESI, Napoli, Petrillo E. R.,
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Enza Roberta Petrillo, “Serbia 2000-2012. Traiettorie populiste e pratiche di partecipazione politica nell’era post-Milošević”.
quorum di cinquanta più uno degli aventi diritto, si riesce ad eleggere, sebbene con il consenso del
solo 48.28%, Tadic, il primo presidente della repubblica non comunista della Serbia. È il 27 giugno
2004. Per molti studiosi il nuovo corso democratico del paese comincia qui. Europeista,
accattivante, Tadic ha rappresentato per molti la Serbia del riscatto. Defilato delfino di Đinđić, è
rimasto indenne alla prima ondata di scandali che ha investito il Partito democratico, riuscendone
a conquistare la leadership. La sua entrata in scena resta memorabile per la presa di distanza
canzonatoria dal repertorio etno-kitsch sfoggiato dai contendenti: “Provo repulsione per tratti
caratteriali come orgoglio e arroganza. Ciò non significa che non abbia altri difetti. Sono di Dorćol
(quartiere dell’intellighenzia di Belgrado) e ciò significa parecchio”27. Malgrado le prese di
distanze, la divisione netta tra partiti del vecchio regime e partiti riformatori è progressivamente
venuta meno negli anni a causa della fluidità programmatica che caratterizza il sistema di partiti
serbo. Evoluzione da ascrivere soltanto agli accordi di desistenza e alle coabitazioni forzose che
hanno visto protagoniste le forze riformiste social-democratiche e quelle di orientamento
opposto?
Non del tutto. Dopo il 2000, lo scenario politico sembrava avviato verso una marcatamente
polarizzazione tra da due grandi partiti. Da un lato, il riformista, pro-europeo partito Democratico,
erede della rivoluzione del 2000, confermatosi alla guida del paese nelle legislature 2000-2004 e
2008-2012. Dall'altro, l’ultranazionalista partito Radicale, fino al 2008 principale partito serbo28.
Tangenziale a questi due poli, il popolare e conservatore Partito Democratico Serbo guidato da
Koštunica. Partito conservatore che negli ultimi dieci anni ha approfittato della debolezza
elettorale dei Democratici per imporre la propria presenza nei governi di coalizione susseguitasi
dal 2004 al 2008. Nel 2008 la scissione del partito Radicale, seguita alla defezione di Nikolić ha
portato all’entrata in scena di nuovi soggetti politici: il partito Progressista e il ritorno del Partito
Socialista. L’emersione di queste forze politiche nuove e dai tratti ideologici ambigui ha
ulteriormente complicato lo spettro politico rendendo impraticabile il consueto approccio
classificatorio basato sull’asse destra-sinistra.
Riflettendo su questa difficoltà Stojarovà29, propone di differenziare il sistema partitico serbo in
due blocchi: radicale e moderato. Il primo gruppo, nazionalista, coinvolge Srs Sps Sns e Dss. Il
secondo schieramento, quello riformista comprende il Ds insieme ad altri partiti minori
progressisti. Questa lettura però restituisce solo in parte il dato che lo spettro politico serboproprio per il ricorso condiviso alla retorica identitaria- non si divide tanto sull’oggetto delle
rivendicazioni quanto sulle modalità con le quali si intendono raggiungere gli obiettivi.
Convergenze e divergenze degli orientamenti ideologici espressi dai partiti serbi possono essere
esaminate facendo ricorso a tre principali dimensioni politiche:
La prima riguarda il conflitto tra i partiti contigui al regime autoritario di Milošević e i partiti
riformisti di orientamento democratico: a differenza dei partiti (Dss, Ds), appartenenti alla
coalizione DOS; Sps e Srs sono stati i pilastri principali del passato regime.
“Belgrado Europa. Il volto nuovo della nuova Serbia Europea?” in Oltremare. Osservatorio sul Mediterraneo, Anno II n. 2, luglio 2004, pp. 154-158,
inserto di Meridione. Sud e Nord del Mondo anno IV n. 4, luglio-agosto 2004.
27
In Petrillo E. R. , 2005, op.cit., p.238.
28
Nelle elezioni parlamentari del 2007 i Radicali hanno raccolto il 28.7 di preferenze contro il 22.9 dei Democratici.
29
Stojarovà V., 2010, Nationalist parties and party systems of the western Balkans. In V. Stojarová & P. Emerson (EDs.), Party politics in the Western
Balkans, Routledge, London.
7
Enza Roberta Petrillo, “Serbia 2000-2012. Traiettorie populiste e pratiche di partecipazione politica nell’era post-Milošević”.
La seconda è ascrivibile al ruolo dei valori nazionalisti-autoritari: negli anni Novanta l’obiettivo di
creare la Grande Serbia (l’annessione dei territori della Republika Spreska e della Republika
Spreska Kraijna in uno stato nazionale etnicamente serbo), la promozione dei serbi come gruppo
etnico dominante, il rifiuto autoritario del liberalismo civile, è diventata la posizione
caratterizzante dell’agenda politica serba dei partiti Sps e Srs. Quanto agli altri, mentre i
Democratici “hanno oscillato tra l’opposizione democratica e nazionalista”, il Dss nel 1994 ha
adottato un’agenda apertamente nazionalista.
La centralità della questione nazionale non si è affievolita negli anni del post-Milošević, quando
temi come l’eredità della guerra, le modalità di cooperazione con il TPIY, la relazione con i paesi
confinanti, i diritti delle minoranze, le politiche di non discriminazione hanno rappresentato temi
sui quali tutti gli schieramenti hanno traballato, in particolare negli anni 2000-2007. Sebbene oggi
l’Srs di Šešelj, sia l’unico a perorare la causa della “Grande Serbia”, anche i Socialisti ed i
Democratici serbi di Koštunica propongono dei repertori identitari simili anche se non
esplicitamente rivendicazionisti rispetto alle configurazioni territoriali esistenti. Fino alle elezioni
del 2012, Srs e Sps erano abitualmente associati per la condivisione di alcuni repertori come
“l’usurpazione criminale del paese” ed il richiamo alla “necessità della politica nazionalisticapatriottica”.Tradizionalismo, passività, antiglobalismo hanno caratterizzato l’elettorato di questo
polo rosso-nero le cui rivendicazioni passavano dal rifiuto del riconoscimento dei diritti delle
minoranze, alla contrarietà all’entrata della Serbia in Ue, alle posizioni di critica verso il TPIY
accusato di partigianeria a favore delle minoranze. Sebbene ad oggi, nessuno di questi due partiti
abbia accettato di discutere su un percorso di riconciliazione nazionale né di ammettere il
genocidio commesso dalla Serbia durante la guerra degli anni Novanta, interessante è l’
evoluzione dell’Sps sotto la guida di Dačić, che forte dell’esperienza di governo maturata durante
la Presidenza Tadic e riconfermata con il premierato concessagli dal parlamento a seguito delle
ultime elezioni, sta cercando di canalizzare il partito su un sentiero più riformista.
Una terza componente riguarda la personalizzazione dei partiti politici. Fortemente centrati sui
leader, i partiti politici esaminati hanno arginato le derive correntiste affidando alle presidenze
poteri molto ampi. In tutte le strutture esaminate gli organi interni sono marginali rispetto alla
centralità del presidente nel condizionare la stesura dei programmi e nell’orientare decisioni
politiche come la nomina e la revoca del segretario generale e dei vicepresidenti. Dato connesso
anche al sistema elettorale: il partito può scegliere autonomamente, anche dopo le elezioni, la
composizione della delegazione parlamentare. Questo permettere ai leader di nominare deputati
precedentemente non in competizione o di escluderne per avversione altri. Frequente è anche il
ricorso alla richiesta della firma di dichiarazioni di dimissioni in bianco, che possono essere
utilizzate contro i membri del proprio gruppo parlamentare, nel caso decidessero di cambiare
partito30.
Una ricerca decennale coordinata da Spasić31 ha interpretato l’evoluzione del sistema partitico
serbo anche alla luce delle trasformazioni che hanno caratterizzato il repertorio valoriale espresso
dall’elettorato. Lettura in cui la transizione democratica è vista come un processo scisso in due
30
Cfr. Bochsler D., 2010, The party system in Serbia. In Stojarová V.& Emerson P. (EDs.), Party politics in the Western Balkans, Routledge, London.
Spasić I. , “Serbia 2000-2008: a changing political culture?”, Balkanologie, Vol. XI, n° 1-2 | décembre 2008, in,
http://balkanologie.revues.org/index1282.html.
31
8
Enza Roberta Petrillo, “Serbia 2000-2012. Traiettorie populiste e pratiche di partecipazione politica nell’era post-Milošević”.
fasi, quella dell’entusiasmo e della delusione. Se le interviste raccolte tra il 2000 e il 2003
restituiscono il protagonismo dell’entusiasmo per i valori democratici veicolati dalla rivoluzione del
5 ottobre; la frustrazione seguita all’arenarsi della stagione riformista cominciata nel 2003,
struttura un percorso inverso di disincanto e sfiducia nella democratizzazione. Sebbene le
interviste confermino la fiducia dei cittadini nella democrazia e nel sistema elettorale
multipartitico, dichiarazioni come: “Le speranze sono state deluse, non c'è più niente da
aspettarsi”, caratterizzano le interviste del periodo 2005-2007. Sotto tiro, il comportamento degli
attori politici accusati di aver tradito la richiesta di depoliticizzazione lanciata dalla DOS. La critica
alla partitocrazia, repertorio condiviso anche dalle mobilitazioni extra-parlamentari, lamenta il
persistere di uno spazio di potere fondato sulla clientela, sulla fedeltà e sulla fiducia a partiti
politici che più che rappresentare gruppi sociali esistenti o identificabili per posizioni ideologiche,
operano come gruppi di interesse favorendo lo sviluppo del clientelismo. Una percezione
legittimata anche Freedom House32, secondo la quale, in Serbia il processo di “definizioneadattamento”33 democratico è minato dalle criticità registrate segnatamente agli indicatori di
democrazia relativi a corruzione, sistema giudiziario e media. Il rapporto classifica la Serbia come
una “democrazia semi-consolidata” con uno score democratico del 3.64, valutazione basata su una
scala da 1 a 7, dove 1 rappresenta il massimo livello di progresso democratico e 7 il più basso. La
tabella in basso, riferita al 2011, riporta le stime relative al “Democracy Score” (DS) corrispondente
alla media delle valutazioni degli indicatori di democrazia relativi ad Electoral Process (EP); Civil
Society (CS); Independent Media (IM); National Democratic Governance (NGOV); Local Democratic
Governance (LGOV); Judicial Framework and Independence , (JFI); e Corruption (CO)34.
EP
3.25
CS
2.25
IM
4.00
NGOV
3.75
LGOV
3.50
JFI
4.50
CO
4.25
DS
3.64
Fig.1.: Lo stato della democrazia in Serbia secondo Freedom House. Elaborazione dell’autrice.
Dati analoghi spingono Pavlović e Antonić35 a rappresentare il regime serbo come una democrazia
elettorale (non un regime autoritario o ibrido) ma di tipo inferiore e distante dal livello di
democrazia liberale o costituzionale. Né completamente consolidata, né nel caos. Una democrazia
“sotto-consolidata” in cui cambiamenti democratici sono visibili e istituzionalizzati, ma non sono
irreversibili. Per questo il pericolo di un possibile ritorno al passato non è imminente, ma non è da
escludere completamente.
32
Freedom house è tra le più attendibili agenzie per la valutazione democrazie esistenti. Le sue valutazioni si concentrano sulla voce “diritti politici”
(processo elettorale, funzionamento del governo, pluralismo e partecipazione politica), e su quella “libertà civili” (libertà di espressione e di
opinione, diritti di associazione e organizzazione, rule of law, autonomia e diritti individuali). La media della valutazione nelle due voci permette di
definire lo status del paese sotto osservazione: da 1,0 a 2,5 Stato libero; da 3 a 5 stato semilibero; da 5,5 a 7 stato non libero.
Per i dettagli si legga www.freedomhouse.org,http://www.freedomhouse.org/report/nations-transit/2012/serbia e
http://www.freedomhouse.org/sites/default/files/Serbia_final.pdf .
33
In Morlino L., “Consolidamento democratico. Definizioni e modelli”, Rivista italiana di scienza politica, XVI, 2, 1986, 197-238.
35
Cfr. Pavlović D., Antonić S., 2007, Konsolidacija demokratskih ustanova u Srbiji posle 2000. [Il consolidamento democratico delle istituzioni in
Serbia dopo il 2000], Službeni glasnik, Beograd, p.292.
9
Enza Roberta Petrillo, “Serbia 2000-2012. Traiettorie populiste e pratiche di partecipazione politica nell’era post-Milošević”.
4. I repertori populisti
Per comprender quanto sia realistico il rischio di un ritorno al passato si è scelto di mappare la
presenza di orientamenti populisti facendo riferimento ad indicatori connessi a repertori evocati
dal discorso politico dei soggetti considerati, come il richiamo alla difesa identitaria; le posizioni di
ambiguità o disinteresse verso il processo di integrazione europeo; la mobilitazione dell’ostilità nei
confronti dell’indipendenza del Kosovo e le dinamiche di personalizzazione e mediatizzazione della
politica.
4.a Le rivendicazioni identitarie
Sebbene il richiamo al “popolo serbo” costituisca una componente fondante di tutte le
dichiarazioni esaminate, l’appello alla difesa della Grande Serbia resta una rivendicazione esclusiva
dell’Srs, basata sull’aggregazione di due temi politici: la contestazione della struttura politicoterritoriale serba nella sua definizione attuale, la difesa della purezza “immaginata” della comunità
serba, minacciata tanto dalle componenti etniche minoritarie, quanto dall’ingerenza degli attori
internazionali36. La differenza sostanziale tra l’Srs e gli altri partiti sta nella legittimazione esplicita
della violenza come azione politica in difesa della “comunità razziale euroasiatica”. Pratica politica
dalla quale nemmeno Jadranka Šešelj, una malriuscita Marine Le Pen locale, ora al vertice del
Partito radicale in sostituzione del marito sotto processo all’Aja, ha preso le distanze. Aperta
ostilità, disprezzo e paura caratterizzano le loro dichiarazioni rispetto agli “usurpatori”. Un
approccio descritto da Taguieff come “guignolizzazione”, la tendenza a rendere caricaturale e
grottesco il nemico e dunque le minoranze etniche e gli attori internazionali che operano a loro
tutela. Fronte sul quale l’Srs spicca per la scelta di un registro che punta all’enfatizzazione del
lessico “ad effetto”: un mix di frasi xenofobe, turpiloquio e richiami ad principi dottrinari del
cristianesimo serbo ortodosso. Marcatamente anti-sistema, il programma dell’Srs si rivolge
esplicitamente agli sconfitti del “turbo-capitalismo” post-comunista, quel ceto basso,
prevalentemente rurale e privo di aspettative, rimasto ai margini della società globalizzata37.
Nonostante nessuno dei programmi elettorali esaminati faccia accenno a proposte concrete per
fronteggiare la sedicente emergenza etnica, partiti come l’Srs, l’SnsS, l’Sps e Dss mostrano una
capacità elevatissima di mobilitare il risentimento e la protesta, strumentalizzando la
preoccupazione delle classi medie e popolari che si sentono minacciate dall’ “altro”. Come
osservato da Betz38segnatamente ai casi delle formazioni populiste in Europa occidentale, queste
mobilitazioni rappresentano più il sintomo del malessere sociale che una rivolta propositiva per
rimediarvi, considerato che l’efficacia della funzione di protesta della mobilitazione non va oltre lo
stadio delle accuse contro le minoranze etniche “ree” di contribuire all’impoverimento sociale e
alla disoccupazione.
36
Così Seselj: "il Kosovo e Metohija è una terra sacra serba sacra. La Serbia ha più volte nella sua storia combattuto per il Kosovo, versando fiumi di
sangue, e oggi i serbi conoscono bene la sacralità di questa terra. Per questo i serbi se sarà necessario verseranno ancora fiumi di sangue per il
Kosovo, ma quella kosovara resterà sempre una terra serba". In: http://video.rinascitabalcanica.com.
37
Nelle ultime elezioni parlamentari, complice la soglia di sbarramento al 5%, i radicali - con il loro 4.6% di preferenze –sono stati messi fuori gioco
per questa legislatura, diventando così la prima forza extra-parlamentare per rilevanza politica. Assistenza sanitaria per tutti, lotta alla corruzione,
aumento delle tasse per i ceti medio-alti, riforma del welfare, nuovi posti di lavoro, consolidamento delle relazioni diplomatiche con la Russia di
Putin e “no” risoluto al riconoscimento del Kosovo e alla prospettiva europea non hanno convinto l’elettorato che ha deciso di puntare sulla destra
riformista di Nikolic.
38
Betz H.G., 1993, “The new politics of resentment: Radical Rights-Wing Politics Parties in Western Europe, in Comparative Politics, 25-4, luglio, 41327.
10
Enza Roberta Petrillo, “Serbia 2000-2012. Traiettorie populiste e pratiche di partecipazione politica nell’era post-Milošević”.
Nelle ultime elezioni, anche l’Sns e l’Sps hanno avuto l’abilità di intercettare queste pulsioni
trasformando la pulsione revanchiste delle classi popolari, in un movimento di voto protestatario
contro chi ha “tradito” la difesa della grandezza serba. Il Bela Knijga, il libro bianco diffuso dal Sps
durante la campagna elettorale, ha fatto leva sulla frattura tra la base elettorale e l’élite di
governo uscente Ds. Cavalcando il crescente scontento popolare, Nikolić ha veicolato l’idea che
corruzione, partitocrazia imperante, rapporti turbolenti con il Kosovo, crisi economica e
disoccupazione si possano risolvere “restituendo centralità al popolo serbo”. Che questo implichi il
ricorso ad un mix bizzarro di nazionalismo, liberismo economico, euro-entusiasmo e solidarietà
panslavista conferma l’irrilevanza del contenuto programmatico rispetto all’appello a forme
emozionali di revanscismo identitario.
Approccio analogo a quello mostrato dall’Sps, che forte della leadership di ferro di Dačićquarantaseienne di provincia figlio di un poliziotto e del tutto estraneo all’establishment
intellettuale- ha fondato le proprie linee programmatiche sulle necessità ordinarie di quel
cittadino medio serbo stritolato da un tasso di disoccupazione al 24%, dalla perdita del potere
d’acquisto del dinaro deprezzato del 46% e da uno stipendio medio mensile in decrescita costante.
Temi che il candidato socialista ha utilizzato “in nome del popolo” sfoggiando una campagna dai
tratti legalitari e centrata sulle parole “coraggio” e “decisione”.
4.b Posizioni di ambiguità o disinteresse verso il processo di integrazione europeo
Con la sola eccezione dei Democratici e sebbene con qualche ambiguità, dei Progressisti, tutti i
partiti analizzati mostrano la persistenza di una retorica anti-europeista basata sull’immagine
dell’incompresa grandeur serba. Tuttavia, mentre Šešelj e Koštunica mostrano un repertorio
apertamente improntato alla critica e al rifiuto delle relazioni con le èlite europee, gli altri leader
condividono un uso calcolato dell’ambiguità finalizzato a non alienarsi le preferenze di voto di
elettori con posizioni divergenti. Questo aspetto è particolarmente evidente nel più europeista dei
leader esaminati, Tadic, il quale sulla questione dell’accettazione delle condizionalità europee
connesse al processo di preadesione, ha sistematicamente mostrato orientamenti contraddittori.
Camouflage opportunistico del repertorio programmatico, finalizzato a un duplice obiettivo:
rassicurare l’Europa sul cammino riformista del paese, ribadire in patria la difesa dei temi fondanti
dell’identità serba. Una tendenza non dissimile da quella messa in atto sul fronte opposto dall’Sns.
“La Serbia non si allontanerà dalla strada europea ma non dimenticherà nemmeno la sua gente in
Kosovo” ha dichiarato Nikolić che nel 2008 ha fondato l’Sns, proprio per la contrarietà di Šešelj
all’adesione all’Europa. Una duplice posizione che permette da un lato di non inimicarsi lo zoccolo
duro dell’elettorato contrario all’indipendenza del Kosovo, dall’altro di proporre il suo Sns come
partito di una destra modernizzata lontana dall’attitudine nostalgica e commemorativa che
caratterizza ancora l’Srs. Sebbene a Bruxelles, Nikolić abbia dichiarato che “la Serbia continuerà
lungo la strada dell'integrazione europea", resta oscuro come intenderà conciliare questo
obiettivo con il nazionalismo che ancora ispira parte del suo repertorio. L’ultimo passo falso è
stato l’alleanza stretta in vista del ballottaggio per il secondo turno delle elezioni presidenziali, con
Koštunica, leader Dss nettamente contrario alla prospettiva europea. L'accordo prevede il ricorso
11
Enza Roberta Petrillo, “Serbia 2000-2012. Traiettorie populiste e pratiche di partecipazione politica nell’era post-Milošević”.
al referendum popolare per validare un’eventuale adesione all’Ue. Per comprenderne il peso
politico, basta leggere la lettera indirizzata da Koštunica a Nikolić, all’indomani della diffusione dei
risultati del primo turno elettorale. “Credo che ci sia bisogno di un cambiamento drastico nella
politica estera serba e che occorra dichiarare uno stato di neutralità per il paese. Questo
cambiamento può essere compiuto solo se viene messa la parola fine alla disastrosa politica del
‘non c’è alternativa all’Ue’, che è stata praticata in Serbia negli ultimi quattro anni” 39. Come farà
l’Sns a sfangarla nei prossimi dibattiti parlamentari che riguarderanno le relazioni con l’Ue resta
un’incognita. La stessa incertezza che grava sulla questione della sovranità territoriale della Serbia
sul Kosovo, rispetto al quale gli intenti di Nikolić sono tutt’altro che concilianti: ''La Serbia può
entrare nell'Unione europea solo con il Kosovo. L’Europa non può porre condizioni che il nostro
paese non potrebbe sopportare”. Di sfondo, ad aggravare il quadro, c’è il crollo di fiducia
dell’elettorato serbo rispetto alla prospettiva europea restituito da un recente sondaggio condotto
dall’Istituto per l’integrazione del governo che rileva che meno della metà della popolazione è
favorevole a una prospettiva di integrazione europea.40 L’agonia greca e il dirigismo di Berlino
nell’imporre tagli e aggiustamenti strutturali a paesi piegati dall’onda lunga della crisi economica
globale hanno ricordato ai serbi che qualcosa nel sogno europeo è andato storto. A questi euroentusiasti traditi, il trionfante Sns del 2012 ha saputo proporre un programma che non idealizza la
prospettiva europea né la rifiuta. Un’astuta fusione di delusione e speranza collettiva, che ha
rastrellato proseliti in quell’area di elettori irritati dall’espropriazione tecnico-partitica della
politica sperimentata negli anni di Tadić e desiderosi di tornare ad orientare le trasformazioni del
paese. Rispetto alla posizione dei Democratici riassunta nel messaggio programmatico: “La Serbia
è fortemente determinata a raggiungere il suo obiettivo strategico primario, la piena adesione
all'Unione europea”41 il cambio di rotta è significativo.
4.c La mobilitazione dell’ostilità nei confronti dell’indipendenza del Kosovo
La ferma contrarietà alla controversa indipendenza del Kosovo proclamata dalla maggioranza
albanese nel 2008 è un tema condiviso da tutti i repertori esaminati. In questo caso l’appello
populista più che fare riferimento al popolo come demos, si rivolge al popolo come ethnos, quel
polo identitario legato al percorso antico del paleo-nazionalismo xenofobo serbo. In questa
mobilitazione, la dimensione identitaria dei serbi “di sangue” acquisisce una preponderanza
assoluta anche in opposizione alle ingerenze “normalizzatrici” della comunità internazionale che
spinge per un riconoscimento del neo-stato. È in questa mobilitazione, più che in altre che si
registra, infatti, la critica aperta alle èlite politiche internazionali, accusate di perorare la causa
kosovara-albanese e di restare inerti rispetto alla crescente insicurezza sperimentata dai cittadini
serbi del Kosovo. “La dichiarazione unilaterale del falso stato del Kosovo è l’atto finale di una
politica inaugurata dalla Nato con l’aggressione alla Serbia del 1999. Il Presidente degli Stati Uniti,
che è il responsabile di questa violazione, sarà segnalato in neretto nei libri di storia insieme ai suoi
seguaci europei”42. Il radicalismo di questa dichiarazione di Koštunica non si discosta di molto da
39
In Petrillo E.R., La Serbia di Nikolić è un rebus per l’Europa e per il Kosovo, in Limes, http://temi.repubblica.it/limes/la-serbia-di-nikolic-e-un-rebusper-leuropa-e-per-il-kosovo/35345 .
40
Si veda http://www.italintermedia.com/2012/08/26/ue-favorevole-solo-il-49-per-cento-dei-serbi/ .
41
In http://www.Ds.org.rs/en .
42
In http://www.time.com/time/world/article/0,8599,1714164,00.html#ixzz244kK8Uss
12
Enza Roberta Petrillo, “Serbia 2000-2012. Traiettorie populiste e pratiche di partecipazione politica nell’era post-Milošević”.
quello espresso dal leader democratico Tadic con il suo “Non rinunceremo ai serbi del Kosovo”,
confermando la trasversalità della mobilitazione per il Kosovo. A questo repertorio spesso si
associano rivendicazioni di tipo “tribunizio” contro l’irredentismo pan-albanese, basate sulla
mobilitazione del popolo etnicamente serbo a difesa dei serbi della diaspora o dei riferimenti
valoriali e religiosi ortodossi. Questa difesa dell’identità nazionale implica, come testimoniano
alcune dichiarazioni di Šešelj e Dačić, anche la denuncia dell’aggressività albanese su un piano
demografico43. Tanto più l’identità nazionale e l’integrità territoriale sono percepite sotto attacco,
tanto più si esacerbano i toni del dibattito pubblico. Questo aspetto pare particolarmente evidente
nelle mobilitazioni populiste del Srs e del Sps registrate a ridosso della proclamazione di
indipendenza del 2008, e nel 2011, quando gruppi di serbi kosovari hanno innescato una
mobilitazione di protesta erigendo delle barricate per contestare il controllo delle aree
transfrontaliere serbe da parte dei doganieri kosovaro-albanesi e della Kfor ad egida Nato.
4.d Mediatizzazione
L’analisi conferma una graduale professionalizzazione nell’uso dei media, dato particolarmente
evidente nel caso del partito Ds, le cui campagne elettorali si sono avvalse di consulenti
specializzati, sondaggi, e training dei candidati. Altro elemento rilevante è l’attenzione riservata da
Ds, Sps e Sns alla diffusione dei contenuti programmatici in lingua inglese, aspetto assente dalle
pagine web dei partiti conservatori e spiccatamente nazionalistici Srs e Dss.
Significativa è l’importanza crescente della spettacolarizzazione della politica in televisione, ambito
nel quale si registra la predominanza di trasmissioni politiche di entertainment che puntano a
sottolineare gli aspetti più sensazionalisti, seducenti o bizzarri dell’agone politico. Segnatamente a
questo aspetto, per quanto contrapposti sul piano politico, Tadic e Nikolić mostrano la medesima
tendenza ad “inscenare” la politica, un adattamento dei registri comunicativi finalizzato a rendere
la politica alla portata di tutti semplificandone i temi chiave. Battute ad effetto, slogan brevi,
efficaci ed adatti al coverage televisivo hanno caratterizzato i repertori dei due contendenti alle
ultime presidenziali. Questa personalizzazione del dibattito politico, seppur connessa alla
leadership politica iper-personalizzata che caratterizza i partiti serbi, trae linfa anche dalla
centralità acquisita dalla video-politica, ambito nel quale il telepopulismo trova la sua efficacia
simbolica. Nel caso esaminato, a fare la differenza sono soprattutto le qualità mediatiche di autopresentazione dei leader, fenomeno che coincide con la personalizzazione dei partiti identificata in
tutti i casi analizzati, sebbene con alcuni distinguo. Se per esempio, Nikolić, ex becchino di
Kragujevac ha puntato la sua campagna sull’anti-intellettualismo riferito alla superiorità del suo
sapere popolare e alla sua lontananza dall’intellighentia riformista del paese; Tadic, sfoggiando un
populismo inverso su un piano valoriale ma eguale nella sostanza, ha a più riprese sottolineato le
sue origini bourgeois bohémien, ribadendo i suoi legami con “la parte sana della Serbia che guarda
ad Occidente” e la fedeltà all’apparato valoriale e culturale europeo. La mediatizzazione capillare
di successi come l’ottenimento dello status di paese candidato alla Ue, il varo di riforme in campo
giudiziario e nella lotta alla criminalità organizzata transnazionale e la cattura dei criminali di
43
In un’intervista a Novosti (16/06/2011), Dačić ha dichiarato che “il progetto di un Kosovo indipendente è parte di un progetto più ampio e che si
sta materializzando “alle nostre spalle”: il progetto della Grande Albania”. In: http://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Serbia-demolizam.rs-iltermometro-del-populismo-116275.
13
Enza Roberta Petrillo, “Serbia 2000-2012. Traiettorie populiste e pratiche di partecipazione politica nell’era post-Milošević”.
guerra Karadžić, Mladić e Hadžic, sono valsi a poco. A rubare la scena durante la campagna
elettorale, è stata l’ accusa di uso privatistico dei beni pubblici mossagli in tv dai partiti Sns, Sps,
Srs e Dss. Un leit motiv accusatorio centrato su un’aggressiva campagna anticasta che ha preso di
mira quell’area area grigia di appalti dubbi e partitocrazia imperante, su cui Tadić non ha mai fatto
chiarezza e che in questa tornata elettorale gli si è ritorta contro.
Sul fronte avverso, il leader progressista autodefinitosi come il “presidente dei cittadini, non dei
partiti politici”, ha garantito una gestione delle istituzioni statali improntata alla semplificazione
burocratica, alla trasparenza e alla parità di accesso e di controllo delle risorse economiche. Cavalli
di battaglia palesemente populisti, ma utili a catalizzare le istanze moralizzatrici e giustizialiste di
quel bacino elettorale rurale profondamente lontano da Tadić e dal suo cosmopolitismo.
Una digressione a parte riguarda il campo delle interazioni tra i cittadini e lo Stato, connesse alla
protagonismo crescente della rete internet. In Serbia, la e-participation, ossia la formulazioni di
opinioni politiche online va aumentando e non manca di punti di approdo suggestivi. Nel 2012, in
vista delle elezioni, è stata lanciata la piattaforma web partecipativa Dizionario Populista della
Demagogia44, sito che punta a smascherare i “significati fluttuanti” che stanno dietro le
dichiarazioni populistiche e demagogiche dei leader politici serbi. Il progetto, che è animato da un
team composto da attivisti della società civile e ricercatori coordinati dal Fond za Otovoreno
Društvo, offre una mappatura delle dichiarazioni populiste dei leader,classificate sulla base di
diciassette diverse tipologie, passanti dalle dichiarazioni deresponsabilizzanti, a quelle formulate in
modo volutamente fumoso, ai richiami ringhiosi al popolo serbo e alla mobilitazione xenofoba.
5. Le forze extra-parlamentari
La parte finale di questo lavoro riguarda l’analisi delle relazioni esistenti tra le strutture di
mediazione precedentemente esaminate ed i processi di partecipazione politica extraparlamentari di tipo populista. Se da un lato la democratizzazione ha offerto una serie di risorse
per l’istituzionalizzazione delle mobilitazioni a sfondo etno-nazionale, dall’altro ha riconosciuto
diritto d’espressione a frange politiche prima escluse, le cui rivendicazioni oggi animano una vasta
area del dissenso radicale e anti-istituzionale. Uno spazio politico caotico,prevalentemente
giovanile, rappresentato dall’intreccio di sottoculture di estrema destra, criminalità organizzata,
revanchismo identitario e tifoserie calcistiche con reti transnazionali su scala globale. Gruppi come
Garda Cara Lazara, SNP 1389, Obraz, Nasi, Dveri e il Nacionalni Stroj sfoggiano un repertorio
populista marcatamente declinato sulla xenofobia.
“Karadzic, Mladic sono patrioti che hanno combattuto per l’indipendenza e un futuro migliore per
la Serbia. Sono eroi nazionali e non importa cosa pensi di loro il TPIY. È un’istituzione di cui non
riconosciamo né il potere, né la legittimità, ne la giurisdizione. Il loro arresto è stata solo
l’ennesima prova di servilismo da parte dei politicanti che stanno al governo”45
Le parole di Misa Vacic, leader del SNP 1389, il più estremista tra i movimenti extraparlamentari,
condensa gran parte dei repertori che animano le mobilitazioni populiste extraparlamentari. La
retorica del “passato che non passa”, la critica all’ingerenza delle istituzioni internazionali,
44
Si veda Demolizam.rs, in http://demolizam.rs/ e http://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Serbia-demolizam.rs-il-termometro-delpopulismo-116275
45
Candito A., Serbia un cuore nero, in http://www.lettera43.it/attualita/35278/il-cuore-nero-della-serbia.htm.
14
Enza Roberta Petrillo, “Serbia 2000-2012. Traiettorie populiste e pratiche di partecipazione politica nell’era post-Milošević”.
l’insistenza sul “complotto anti-serbo”,si fondono con rivendicazioni marcatamente anti-partitiche
e anti-liberiste. “Vogliamo una Serbia senza oligarchi, vogliamo nazionalizzare tutte le aziende
vendute, e costruire uno stato sociale dove possano vivere in maniera dignitosa anche gli operai” 46
dichiara Bacic dei Nashi.
Mobilitazioni di questo tipo marcano la differenza sostanziale con quelle animate dai partiti. I
movimenti extraparlamentari mostrano una preponderanza della mobilitazione anti-elitaria e antiestablishment motivata dal fallimento delle èlite politiche nei confronti delle funzioni assegnategli.
In questi casi il progetto politico ha come obiettivo la messa in discussione della rappresentanza,
così come essa è andata costituendosi negli anni della transizione. Nessuna delle dichiarazioni
analizzate restituisce tuttavia una critica approfondita della democrazia delegativa né una
idealizzazione della democrazia diretta. A farla da protagonista è la contestazione “naïf” di un
sistema rappresentativo percepito come subalterno rispetto ai diktat imposti dalla comunità
internazionale e dalla globalizzazione liberista. Questa debolezza teorica non deve trarre in
inganno. L’incapacità di formulare una politica credibile che vada oltre il mero richiamo al
protezionismo economico e alla nazionalizzazione delle imprese, se da un lato conferma la fragilità
concettuale di queste piattaforme ideologiche, dall’altro pone dinanzi all’espressione di un
malessere che trova sbocchi in vari cicli di protesta animati di volta in volta dall’escalation delle
tensioni in Kosovo, dalle proteste contro i cortei LGBT, dalle dichiarazioni “anti-serbe” degli attori
internazionali e via di seguito. Non di rado queste mobilitazioni confluiscono in alvei
istituzionalizzati grazie al sostegno dei gruppi radicali presenti in parlamento. Nel decennio in
analisi, nessuno dei nazionalisti in parlamento ha mai preso apertamente le distanze da questi
gruppi. Persino il socialista Dačić, leader che ha fatto dell’evoluzione ideologica la sua cifra
distintiva, lo scorso ottobre, durante il suo mandato da ministro dell’Interno, ha impedito lo
svolgimento del gay pride a Belgrado per evitare “spargimenti di sangue ad opera di frange
estremiste”. Di fatto un riconoscimento politico di un’ala dura che inneggia apertamente al
razzismo.
6. Conclusioni
Questo studio ha esaminato il crescente protagonismo del populismo nelle pratiche di
partecipazione politica in Serbia. Il rilevamento di orientamenti populisti quali, il tema identitario;
le posizioni di ambiguità o di disinteresse verso il processo di integrazione europeo; la
mobilitazione dell’ostilità nei confronti dell’indipendenza del Kosovo e le dinamiche di
personalizzazione della politica, ha permesso di dimostrare, come, a causa del persistere della
retorica identitaria connessa al secolare processo conflittuale noto come “questione serba”, gli
elementi cardine del discorso politico dei leader dei partiti politici e degli attori extra-parlamentari,
tendano ad uniformarsi, favorendo un sistema politico in cui il populismo è istituzionalizzato. In
linea con questo dato, il populismo serbo più che essere un sintomo patologico e transitorio delle
criticità sperimentate nella fase di transizione democratica, si configura piuttosto, come una
“costellazione politica” consolidata (partiti, movimenti e ideologie) che si struttura su specifiche
dimensioni storiche e socio-politiche.
Le differenze rispetto alle mobilitazioni populiste precedenti sono plurime.
46
Rukaj M., Viaggio nel nuovo fascismo serbo, East, n.37, luglio 2011, 77-81.
15
Enza Roberta Petrillo, “Serbia 2000-2012. Traiettorie populiste e pratiche di partecipazione politica nell’era post-Milošević”.
Sebbene alcune caratteristiche classiche, come il richiamo al popolo, l’uso del carisma e la
personalizzazione permangano, le mobilitazioni analizzate mostrano un progressivo
allontanamento da repertori come l’antiliberismo e la critica verso le istituzioni rappresentative.
Caratteristiche rintracciate esclusivamente nei movimenti extra-parlamentari. Ancora,
differentemente dal populismo sperimentato durante gli anni Novanta, l’attuale coincidenza di
populismo e nazionalismo non ha delle implicazioni geopolitiche su scala regionale. Il richiamo al
popolo inteso come “aggregato sociale omogeneo e depositario di valori permanenti” non esprime
un’ostilità offensiva extra-territoriale ma circoscrive all’interno dei confini statuali le tendenze
xenofobe contro le minoranze47 .
Un’ultima osservazione riguarda il ruolo dei movimenti extra-parlamentari nell’alimentare
mobilitazioni di tipo populista. In questo caso alla difesa violenta dell’identità come elemento
fondante delle mobilitazioni, si uniscono le rivendicazioni antiliberista, antielitista ed antiglobalista
alimentate dall’ insicurezza legata alla trasformazione istituzionale ed economica vissuta dalla
Serbia. Malgrado il rimando esplicito alla violenza xenofoba come pratica politica, alcune di queste
formazioni vanno configurandosi come attori politici stabili, grazie alla credibilità politica
riconosciutagli da parte dalle forze parlamentari.
47
Cfr. Grilli di Cortona, 2003, op.cit, p. 231.
16
Enza Roberta Petrillo, “Serbia 2000-2012. Traiettorie populiste e pratiche di partecipazione politica nell’era post-Milošević”.