mercoledì 27 febbraio

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mercoledì 27 febbraio
Lunecine interno 08
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LUNEDÌ 14 GENNAIO
ACROSS THE UNIVERSE
di Julie Taymor
Regia Julie Taymor Sceneggiatura Dick Clement, Ian La
Frenais Fotografia Bruno Delbonnel Montaggio
Françoise Bonnot Musiche Elliot Goldenthal Interpreti
Evan Rachel Wood, Jim Sturgess, Joe Anderson,
Dana Fuchs, Martin Luther McCoy. Produzione:
Revolution Studios Distribuzione: Sony Pictures.
STATI UNITI 2007 - 133 minuti
Anni ‘60. Jude, un giovane inglese partito per l’America, alla ricerca del padre emigrato tanti anni prima,
giunto negli Stati Uniti, s’innamora di Lucy, il cui fratello viene richiamato alle armi ed arruolato per andare a
combattere in Vietnam. I due innamorati vivono pienamente il vento di libertà del periodo, lasciandosi coinvolgere con energia dalle proteste di rivolta e dalle
lotte pacifiste. La storia viene raccontata attraverso
trentatre canzoni dei Beatles, rivisitate e cantate dagli
stessi attori protagonisti del film, con l’inserimento di
alcuni volti noti della storia del rock, quali Joe Cocker
e Bono Vox. “Across the Universe” è un ben singolare
musical per come riesce ad amalgamare la storia, privata e sociale degli anni Sessanta/Settanta, attraverso
i testi delle memorabili canzoni, che trovano nuovo
smalto e dimostrano ancora una volta l’intramontabilità del celebre quartetto, anche grazie agli originali e
coinvolgenti arrangiamenti di Elliot Goldenthal. La regista Julie Taymor (un pedigree di tutto rispetto a teatro,
e due lungometraggi “Titus” e “Frida”), accantonato il
pretesto di voler raccontare una storia d’amore, lascia
alla musica, complici gli ottimi arrangiamenti, il compito di guidare l’intero film, illustrando con immagini efficaci i brani di Lennon e McCartney, portando lo spettatore in uno spazio luminescente e caleidoscopico,
che si apre di volta in volta alle splendide coreografie
di Daniel Ezralow, fondatore dei celebri Momix. Alcune
sequenze risaltano tra tutte: la statua della libertà che
calpesta e distrugge il territorio del Vietnam, o
ancora il reclutamento coatto
di adolescenti
inesperti e terrorizzati per la
guerra
del
Vietnam, che,
sulle note di “I
want
you”
costituisce un
riuscito omaggio a “The wall” dei Pink Floyd. Il momento più intenso con “Strawberry fields forever”: un’esplosione visionaria di fragole che cadono sul suolo
del Vietnam, spargendo su corpi e su pareti bianche il
loro succo rosso che diventa un disperato grido di
disperazione e di ribellione.
NOTE di Julie Taymor
All’inizio mi è stata proposta una traccia, una storia sentimentale “con questo oceano da attraversare”. Poi abbiamo
aggiunto di volta in volta elementi diversi, in alcuni casi ciò è
persino accaduto per sbaglio. Abbiamo ascoltato quindi le
200 canzoni dei Beatles e a poco a poco le idee che avevamo
avuto all’inizio venivano modellate sulla musica. Insomma, i
brani hanno effettivamente ispirato la storia così come la
vediamo ora, ma una prima bozza era stata scritta prima dell’ascolto delle musiche. Abbiamo deciso di concentrarci sui
testi, trovando un nuovo arrangiamento per le musiche. E’
stata una scelta rischiosa anche perché sapevamo che in
questa decisione si celava il cuore del film. Per questo le canzoni sono state registrate quasi tutte in presa diretta, per
integrare realmente la storia, i dialoghi e le canzoni. Credo
che la mia esperienza teatrale mi abbia aiutato molto. Sono
stata segnata soprattutto da Shakespeare. Il suo modo di
fare teatro mi ha insegnato a dare importanza al testo e ai
dialoghi. Nel cinema bisogna trovare un equilibrio tra questi
due elementi.
JULIE TAYMOR Newton, Massachusetts, 1952
La sua prima regia teatrale risale al 1992 con
“Edipo re” di Igor Stravinskij, in seguito porta
in scena “Il flauto magico” e “Il Re Leone”,
adattamento in musical del film della Disney.
Dopo una serie di regie televisive, il suo debutto cinematografico è l’adattamento del Tito
Andronico di William Shakespeare intitolato
TITUS (2000). Nel 2002 porta sul grande schermo la storia della pittrice Frida Kahlo, dirigendo Salma Hayek in FRIDA tratto dal romanzo
“Frida: A Biography of Frida Kahlo”.
LUNEDÌ 28 GENNAIO
GLI AMORI DI ASTREA
E CÉLADON
di Eric Rohmer
Les amours d’Astrée et de Céladon
Regia Eric Rohmer Sceneggiatura Eric Rohmer dal
romanzo “L’Astrée” di Honoré d’Urfé. Fotografia Diane
Baratier Montaggio Mary Stephen Musiche Jean-Louis
Valéro Interpreti Andy Gillet, Stéphanie de Crayencour,
Cécile Cassel, Véronique Reymond, Rosette, Jocelyn
Quivrin, Mathilde Mosnier, Rodolphe Pauly, Serge
Renko, Arthur Dupont, Priscilla Galland. Produzione
Compagnie Eric Rohmer, Canal+, Centre National de
la Cinématographie Distribuzione: Bim Film.
FRANCIA 2007 - 107 minuti
64ª Mostra Internazionale del Cinema di Venezia
In Concorso
In una foresta meravigliosa, al tempo dei druidi, il pastore Céladon e la pastorella Astrée si amano di un
amore puro. Ingannata da un pretendente, Astrée
lascia Céladon che, disperato, si butta in un fiume. Lei lo
crede morto, ma in realtà il giovane viene segretamente salvato da alcune ninfe. Fedele alla promessa di non
riapparire davanti agli occhi della sua bella, Céladon
dovrà superare diverse prove per spezzare la maledizione... Eric Rohmer deve aver rinunciato, più o meno
consapevolmente, a parlare dei suoi tempi. E allora
ecco che, con un abile gioco di prestigio, il venticinquesimo lungometraggio del cineasta francese si colloca in
una dimensione definitivamente a-temporale: prende
un romanzo di Honoré d’Urfé, “L’Astrée”. scritto nel
Diciassettesimo Secolo, ma ambientato nella Gallia dei
druidi del Quinto Secolo dopo Cristo, e lo “riadatta” nel
senso del romanzo originario e non del contesto storico. Il racconto rimane come sospeso, né Storia né Mito,
oscillando fra i due poli, irradiato dall’insondabile forza
magnetica dell’amore, specie quello caratterizzato da
fiera e indomita passione giovanile. Per il saggio
Rohmer un’occasione per riproporre la sua analisi sui
temi eterni del rapporto tra i sessi, con la macchina da
presa che continua
l’implacabile ed elegante discesa negli
anfratti della sensualità, filtrando tutto attraverso l’abile
gioco della messa in
scena della baruffa
d’amore. Lontano dal cinema spettacolare così come
da quello dell’impegno sociale, Rohmer continua la sua
lunga ricerca con una più evidente adesione agli stilemi della fiaba e dell’apologo morale.
NOTE di Eric Rohmer
Durante tutta la mia carriera non ho mai smesso di assumermi dei rischi, ma dei rischi calcolati, ragionati. In ogni caso
la mia filosofia è la seguente: per essere davvero riuscito un
film deve trovare nel suo percorso un elemento che gli sia
essenziale. Bisogna sempre lasciare un po’ di spazio al caso
e all’imprevisto e credere che ci saranno solo casualità felici. Ho già utilizzato questa formula: “Nei miei film, tutto è
fortuito tranne il caso”. L’essenziale per me è che il testo sia
comprensibile. A proposito dei rischi che mi assumo, so
bene che gli spettatori potranno ridere in alcuni passaggi del
film, ma la cosa non mi disturba. Anzi, sono persino dalla
loro parte contro chi dirà loro di tacere. È già successo con
“La marchesa von...” e gli spettatori che ridevano avevano
ragione di farlo, perché Kleist è un autore pieno di umorismo. Se la gente riderà guardando questo film, tanto meglio,
perché anche in “L’Astrée” c’è molto umorismo... Mi sono
formato con il cinema muto alla Cinémathèque e penso che
il cinema abbia tutto l’interesse ad attingere alla propria
archeologia, come peraltro alla letteratura antica. Solo così
possiamo essere pittori moderni e i più moderni sono proprio
coloro che utilizzano meglio gli antichi...
ERIC ROHMER Nancy, Francia, 1920
2007 LES AMOURS D’ASTRÉE ET DE CÈLADON
- 2003 TRIPLE AGENT - 2001 LA NOBILDONNA
E IL DUCA - 1998 RACCONTO D’AUTUNNO 1996 UN RAGAZZO... TRE RAGAZZE - 1995
INCONTRI A PARIGI - 1993 L’ALBERO, IL SINDACO E LA MEDIATECA - 1992 RACCONTO D’INVERNO - 1990 RACCONTO DI PRIMAVERA - 1987
L’AMICO DELLA MIA AMICA - 1987 REINETTE
ET MIRABELLE - 1986 IL RAGGIO VERDE - 1984
LE NOTTI DELLA LUNA PIENA - 1983 PAULINE
ALLA SPIAGGIA - 1982 IL BEL MATRIMONIO 1980 LA MOGLIE DELL’AVIATORE - 1978 PERCEVAL - 1976 LA MARCHESA VON... - 1972 L’AMORE IL POMERIGGIO - 1970 IL GINOCCHIO
DI CLAIRE - 1969 LA MIA NOTTE CON MAUD 1967 LA COLLEZIONISTA - 1964
NADJA À PARIS 1959 IL SEGNO
DEL LEONE 1956 LA SONATE
À KREUTZER.
Via Carducci 3 - Como - telefono 031 262 995 - www.einaudi.it
LUNEDÌ 21 GENNAIO
AI CONFINI DEL PARADISO
di Fatih Akin
Auf der Anderen Seite - Yasamin Kiyisinda
Regia Fatih Akin Sceneggiatura Fatih Akin Fotografia
Rainer Klausmann Montaggio Andrei Bird Musiche
Shantel Interpreti: Baki Davrak, Nurgül Yesilcay,
Patrycia Ziolkowska, Hanna Schygulla, Tuncel
Kurtiz, Nursel Köse Produzione Corazón International,
Anka Film Distribuzione: Bim Film.
GERMANIA/TURCHIA 2007 - 122 minuti
60 °Festival di Cannes 2007
Premio Miglior Sceneggiatura
“Ai confini del paradiso” (il titolo distorce il significato dell’originale “Auf der Anderen” Seite, che significa “dall’altro lato”), è il settimo lungometraggio del
trentaquattrenne Akin, che riflette la sua doppia cultura, turca e tedesca, con un racconto che intreccia
le vite di sei persone sospese fra Amburgo e Brema
da una parte e Istanbul dall’altra. Un legame simbolico fra la Germania e la “Porta d’Oriente”, sancito e
sottolineato dai legami familiari e passionali che
legano fra loro i personaggi, le cui vite si incrociano
in percorsi esistenziali volti alla ricerca di perdono,
redenzione e riconciliazione. Una sceneggiatura originale e complessa riesce a unificare una molteplicità di temi diversi, non solo il rapporto umano che
lega i personaggi, ma anche la difficile situazione
politica turca, l’integrazione, la lotta generazionale e
quella militante, l’importanza dell’istruzione. Per rendere l’intricata e articolata trama umana e sociale
Fatih Akin, già acclamato autore de “La sposa
turca”, utilizza uno stile lento, sobrio, con lunghe
inquadrature e ampie panoramiche dove anche le
città, i due differenti paesi, diventano protagonisti e
riflettono gli stati d’animo dei personaggi. La narrazione non è lineare ma circolare, divisa in tre parti: le
prime due speculari, caratterizzate da due morti violente e insensate, mentre l’ultima raccoglie i fili della
storia e restituisce uno sguardo di fiduciosa speranza. Akin è bravo nel sondare scava l’animo dei protagonisti, scruta il loro dolore e la necessità di pacificazione, regalandoci un film appassionante, toccante ed emozionante.
Tornavo in Turchia tutte le estati, con la mia famiglia, da
piccolo. Dal momento che sono metà turco e metà tedesco, è normale che anche i miei film siano a metà fra queste due culture... Fare film fa parte della mia vita, ma non
è niente rispetto a cose come la nascita, l’amore e la
morte. Per crescere veramente, sento di dover fare tre
film. Chiamatela pure trilogia, se volete, ma sono tre film
legati fra loro, perché tutti e tre parlano di amore, di morte
e del Male. “La sposa turca” parlava d’amore. “Ai confini
del paradiso” parla di morte. Morte nel senso che ogni
morte è una nascita - perché ogni morte ed ogni nascita
aprono una porta su altre dimensioni. Sono affascinato dai
rapporti umani. Non solo i rapporti di tipo romantico o sessuale - anche quelli tra genitori e figli, per esempio. Tutti i
rapporti umani. Credo che tutte le guerre del mondo siano
il risultato dell’uso sbagliato che l’umanità fa dell’amore.
Credo che il male sia un effetto della pigrizia, è più facile
odiare qualcuno che amarlo...
FATIH AKIN Amburgo,Germania 1973
Studente di Comunicazione Visuale all’università di Amburgo, dirige il suo primo cortometraggio, nel 1995: Sensin du bist es!, seguito da
Getürkt nel 1996. Con il suo primo lungometraggio KURZ UND SCHMERZLOS del 1998,
vince il Leopardo di bronzo al Festival di
Locarno. Girerà poi nel 1998 SHORT SHARP
SHOCK, nel 2001 IN JUL e nel 2002 SOLINO
presentati in diversi festival internazionali. Nel
2003 con LA SPOSA
TURCA vince l’Orso
d’Oro al Festival di
Berlino. Nel 2005
racconta in CROSSING THE BRIDGE la varietà del
mondo musicale
della
Turchia
contemporanea.
AI CONFINI DEL
PARADISO è il
suo settimo lungometraggio.
NOTE di Fatih Akin
Ho avuto una formazione turco-tedesca. Sono nato in
Germania, ma mi sento diviso fra due culture: ho studiato
in Europa, ma sono cresciuto in Turchia con i miei genitori. La cultura turca ha sempre fatto parte della mia vita.
LUNEDÌ 4 FEBBRAIO
4 MESI, 3 SETTIMANE E 2 GIORNI
di Cristian Mungiu
4 luni, 3 saptamini si 2 zile
Regia Cristian Mungiu Sceneggiatura Cristian Mungiu
Fotografia Oleg Mutu Montaggio Dana Bunescu Interpreti
Anamaria Marinca, Laura Vasiliu, Vlad Ivanov, Alex
Potocean, Luminita Gheorghiu, Adi Carauleanu
Produzione: Mobra Film Distribuzione Lucky Red.
ROMANIA 2007 - 113 minuti
60° Festival di Cannes 2007 Palma d’Oro Miglior Film
Romania, 1987: gli ultimi mesi di sopravvivenza del
comunismo nel paese governato da Ceausescu. Otilia
e Gabita sono due studentesse che dividono la stanza
di un dormitorio universitario di Bucarest. Gabita è
incinta. E ovviamente non ha la possibilità di tenere il
bambino: le conseguenze per lei sarebbero devastanti. Le ragazze decidono allora di rivolgersi a un tale,
sarcasticamente chiamato Mr. Bebe, esperto in aborti: lo incontrano in un pidocchioso hotel, dove pensano
di poter sistemare le cose lontano da occhi indiscreti...
Giunto al terzo lungometraggio, il trentanovenne regista rumeno Cristian Mungiu realizza una pellicola difficile e perfetta sul tema dell’aborto. Ma più che interessarsi alla pratica dell’aborto, Mungiu sembra focalizzare la propria attenzione sui suoi effetti, su ciò che
tale atto “disperato” trascina con sé e su ciò che provoca nella psiche di chi vi è coinvolto. E poco importa
che l’aborto, all’epoca della dittatura di Ceausescu,
fosse illegale: il vero fulcro del discorso sembra risiedere altrove, ovvero nell’incapacità da parte della
società, democratica e non, di comprendere la vera
natura delle cose, impossibilitata come è a scavare
negli intimi sentimenti dell’uomo, come se fosse preda
di un blocco genetico. Mungiu è riuscito, con rara
semplicità ed efficacia stilistica da grande cinema, a
dipingere questo ritratto al tempo stesso spietato e
penoso. Con la sua macchina a mano inciampa e
respira insieme alle due protagoniste, seguendole
senza indulgere e senza giudicare, compiendo un atto
cinematografico forte e consapevole, assolutamente
necessario.
NOTE di Cristian Mungiu
La sceneggiatura prende spunto dal quel genere di esperienze personali che la gente normalmente non condivide con gli
altri. Con coloro che sono entrati in contatto con la mia storia è accaduto qualcosa di inaspettato: una volta ascoltata,
avevano una storia personale di questo genere da condividere. All’improvviso tutti avevano qualcosa da dire su questo
argomento. Ero sorpreso nello scoprire quanto queste storie
siano comuni e tenute nascoste. Non le ho usate nel film,
ma mi hanno aiutato a comprendere quanto il fenomeno
fosse diffuso. Ho scritto la prima stesura a luglio 2006. Era
molto più lunga della versione finale e descriveva con maggiore ricchezza di particolari le mattinate delle ragazze nel
dormitorio per studenti. Comprendeva anche la visita del
padre di Gabita l’unica scena che è stata girata e poi tagliata in fase di montaggio. Ho deciso di sacrificare una buona
scena, con molti suggerimenti relativi all’influenza dei genitori sulle decisioni dei personaggi, in favore di una coerenza
narrativa. Durante le riprese ho iniziato a riscrivere soprattutto i dialoghi, ma non solo. Riscrivo sempre le scene quando conosco la location e dopo aver fatto una lettura dei dialoghi con gli attori. Ho continuato ad aggiungere sostanza
all’anima del film e ho dato libero sfogo al ritmo mozzafiato
della parte finale.
CRISTIAN MUNGIU Lasi, Romania, 1968
Ha studiato regia presso l’università del cinema di Bucarest. Dopo essersi laureato nel 1998,
ha diretto diversi cortometraggi. Il suo primo
lungometraggio, OCCIDENT, proiettato in anteprima alla Quinzaine des Réalisateurs a Cannes
nel 2002 e più tardi ha partecipato ad oltre 50
festival
nel
mondo. Ottima accoglienza ha avuto
anche il successivo LOST
AND FOUND
nel 2004. Nel
2003 è fondatore della sua
casa di produzione Mobra
Films.
Via Adamo del Pero 23 - Como - telefono 031 264 481
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LUNEDÌ 11 FEBBRAIO
VIAGGIO IN INDIA
SABATO 16
E DOMENICA 17 FEBBRAIO
di Mohsen Makhmalbaf
Shaere Zobale-ha
Scream of the Ants
A CRUDE AWAKENING di B. Gelpke, R. McCormack
LE VIE DEI FARMACI di M.Mellara, A. Rossi
CHINA BLUE di Micha X. Peled
10° CINEMAMBIENTE
Regia Mohsen Makhmalbaf Sceneggiatura Mohsen
Makhmalbaf Fotografia Bakhshor Montaggio Mohsen
Makhmalbaf Musiche tratte da “Sacred Chanting of
Devi” di Craig Pruess Interpreti Mahmoud
Chokrollahi, Mahnour Shadzi, Karl Maass, Tenzin
Choegyal, Bharath K.S, Savitha Iyer. Produzione:
Makhmalbaf Film House Distribuzione: Bim Film.
IRAN 2006 - 91 minuti
Un’avventura alla ricerca del tutto, della completezza
del senso, delle risposte ai grandi quesiti dell’esistenza, voltando le spalle alla banalità del sistema di sicurezze e convenzioni occidentali, è questa l’idea di due
giovani iraniani ( che rimarranno senza nome ), i quali
decidono di andare in viaggio di nozze in India alla
ricerca dell’Uomo Perfetto, un guru capace di aiutare
la gente, che “collega l’anima al futuro”... È un’esperienza del profondo dello spirito, ma con la mente
costantemente a vigilare, la visione di “Scream of the
Ants”, letteralmente “L’urlo delle formiche”, in Italia
ribattezzato con un più ortodossamente rosselliniano
“Viaggio in India”, l’opera di produzione 2006 di
Mohsen Makhmalbaf, oggi riconosciuto in ogni festival
che conta come uno dei più sensibili autori mondiali. Il
film narra un viaggio spirituale all’interno dell’India
compiuto da due anime appena congiunte dal matrimonio, e per molti versi opposte: una, quella maschile,
è totalmente oppressa da un pessimismo ateo; l’altra,
quella femminile, è mossa da curiosità di matrice spirituale e religiosa, e da un’incalzante desiderio di maternità, ovviamente non corrisposta. Dunque ogni incontro, ogni esperienza e ogni oggetto o paesaggio osservati sono attraversati da due punti di vista, che possono coincidere con quelli della volontaria illusione (della
donna) e disillusione (dell’uomo). La forza del film è
nella possibilità offerta allo spettatore di scegliere il
giudizio dei fatti che scorrono nel racconto, e nel
lasciar aperta una terza porta, di compromesso o di
rifiuto verso i pensieri e le parole dei due protagonisti.
Un’opera di ampio respiro, grazie anche alle superbe
immagini con le quali la regia “dipinge” gli sfondi naturali. Un film da vedere e rivedere, perché non sembra
mai esaurire i suoi sottotesti di natura metafisica, e
perché ci chiede di partecipare alla costruzione di
questo “senso ulteriore”, affinché il dialogo sia l’ultima
cosa a morire in questo strano esistere.
LUNEDÌ 18 FEBBRAIO
IL GRANDE NORD
di Nicolas Vanier
Le dernier trappeur
Regia Nicolas Vanier Fotografia Thierry Machado
Aiuto Registi Philippe Baisadouli Vincent Steiger,
Pierre Michaud Montaggio Yves Chaput Musica
Originale Krishna Levy Interpreti Norman Winter, May
Loo, Alex Van Bibber Produzione Pandora Film
Produktion Distribuzione Mikado.
FRANCIA / CANADA / SVIZZERA / GERMANIA /
ITALIA 2003 - 94 minuti
Trento Film Festival 2005 Premio del pubblico
Film consigliato partire da 10 anni
Norman Winter vive nel cuore delle Montagne
Rocciose, insiema a Nebaska, un’indiana Nahanni, e
ai suoi cani da slitta. Lontano dalle necessità create
dalla società moderna, Norman si nutre dei prodotti
della natura, della caccia e della pesca: si fabbrica
da solo le racchette, la slitta, la canoa, con il legno
fornito dalla foresta e la sua esperienza ed abilità.
Una volta all’anno effettua un viaggio fino in città,
per barattare le sue pelli con il poco di cui ha bisogno: farina, fiammiferi, candele, pile. Ogni giorno
deve fare fronte alle esigenze della sopravvivenza,
fra lunghi e avventurosi spostamenti e attacchi di
orsi e lupi. Ma la bellezza e le sensazioni che questa
natura selvaggia gli dona compensano ampiamente
ogni pericolo. Norman Winter è un Jack London dei
tempi moderni, un uomo profondamente innamorato
della natura. Questo film è stato definito “una storia
d’amore fra l’uomo e la natura”. Il regista, Nicolas
Vanier, anche lui un esploratore, ha raccontato le
sue meravigliose avventure in Siberia, Canada,
Lapponia e Alaska in numerosi libri e documentari.
NOTE di Nicolas Vanier
Proprio mentre giravo “Odissea bianca”, durante un’incredibile traversata in slitta di 8.600 km dall’Alaska al Quebec, ho
incontrato l’uomo che mi ha ispirato a girare questo film.
Norman Winter è sempre stato un cacciatore, senza necessità delle cose offerte dalla civiltà. Lui e i suoi cani vivono
esclusivamente grazie a ciò che ottengono da caccia e
pesca. Norman ha costruito la sua slitta, racchette, capanno,
e canoa con il legno e le pelli che ha preso nella foresta e
che Nebaska, la moglie, ha conciato secondo la tradizione,
così come facevano gli indiani Sekani nell’antichità. Per spostarsi Norman usa i suoi cani: con loro è pronto ad agire al
LIBRERIA
Selezione dal Festival Cinema Ambiente
di Torino 2007
NOTE di Mohsen Makhmalbaf
E’ da 15 anni che sognavo di fare un film in India. Penso che
sia un luogo perfetto per realizzarci un film. Il luogo ideale
per affrontare i grandi temi della vita, lasciandoli però aperti alla libera interpretazione dello spettatore, senza dare
risposte o indirizzare in alcun modo il pubblico. Pongo l’accento, anzi, sull’importanza dell’angolazione dalla quale si
guarda un tema. Dal condizionamento iniziale con il quale si
fa una qualsiasi analisi. Se sei ateo credi che ogni evento
sia casuale, se sei credente pensi che ogni evento sia un
segno divino. Solo nella parte finale del film un tedesco che
vive in India da anni dice, allo stesso tempo in modo divertente e molto plausibile, che le religioni non sono altro che
un mezzo per controllare e indirizzare le masse, condizionando i popoli. Ma preferisco guardare che giudicare,
voglio aiutare a riflettere. Spero in ogni caso di suscitare
almeno la curiosità e l’interesse per queste riflessioni.
MOHSEN MAKHMALBAF Teheran, Iran, 1957
Esordisce come scrittore per il teatro. Nel 1985
gira il suo primo film, BOYCOTT, che rivela la
sua padronanza nell’arte cinematografica. Il
suo secondo film L’AMBULANTE (1987) viene
presentato in molti festival internazionali. Il
suo film successivo, IL CICLISTA (1988) ottiene in Iran un enorme successo di critica e di
pubblico. Poi gira MARRIAGE OF THE BLESSED (1989) e successivamente I GIORNI DELL’AMORE (1990) e NIGHTS OF ZAYANDEHROUD (1991). Nel 1992 realizza SALAM CINEMA (1992) presentato al Festival di Cannes. I
suoi ultimi film sono PANE E FIORE (1996), IL
SILENZIO (1998), VIAGGIO A KANDAHAR
(2001), e SESSO E FILOSOFIA (2004).
minimo segno di vita, ma
sempre affascinato dalla
maestosità dei territori
che attraversa. È per questo che Norman Winter è
un cacciatore. Il Grande
Nord è dentro di lui.
Norman sa come liberarsi dall’immobilità evocata da questa immensa
landa, ma anche come “entrarvi” attraverso la comprensione di ciò che essa è veramente. Comprendere tutto questo
significa percepire l’inconfondibile respiro della terra, spiegarsi perché Norman Winter è l’ultimo cacciatore e perché
ha voltato le spalle alla vita moderna, che lui paragona ad un
pendio lungo il quale scivoliamo ciecamente. Norman è una
sorta di filosofo, convinto che la condivisione e lo scambio
con la natura siano essenziali all’equilibrio. Questo è quanto
il mio film, realizzato in oltre dodici mesi, vuole mostrare.
Norman Winter ha accettato di partecipare a questo film
come un testimone, per lasciare una traccia meno effimera
di quelle che fino ad ora ha così spesso lasciato sulla neve.
NICOLAS VANIER Dakar, Senegal, 1962
Esploratore, scrittore e regista protagonista di
viaggi straordinari Dal 1982 con la prima spedizione a piedi nelle distese della Lapponia, alle
numerose traversate della ragione dei grandi
laghi del Québec-Labrador, Nicolas Vanier e il
suo team inseguono da sempre la storia dei
grandi pionieri del Nord-Ovest: Nel 1993 percorrono 7000 km attraverso le zone più selvagge
delle Montagne Rocciose e dell’Alaska, dal
Wyoming fino allo Stretto di Behring con 12
cavalli, 24 cani da slitta,una zattera in abete e
due canoe indiane. Dell’impresa Vanier realizza
tre film di 52 minuti per France 3 e Canal Plus.
Da allora ha realizzato numerosi documentari di
cinema/esplorazione fino al successo internazionale de IL GRANDE NORD, premiato in
numerosissimi festival.
CinemAmbiente, nato a Torino nel 1998 con l’ambizione
di far crescere attraverso il cinema la cultura dell’ambiente, vuole essere anzitutto festival nel senso di festa,
dove vedere i migliori film dell’anno a tematica ambientale, assistere a dibattiti, a momenti di riflessione che
proseguano nel territorio o nelle scuole. Nella nostra
visione di cinema, i film sull’ambiente non sono solo i
documentari in stile televisivo, ma i cartoni animati sull’inquinamento, le inchieste sulla deforestazione, sulle
ecomafie, i film sulle guerre, i lavori poetici di famosi
registi come De Seta, Quilici, Flaherty e Ivens. Pioniere
dei festival a tematica ambientale, CinemAmbiente nel
corso delle edizioni è cresciuto fino a diventare la principale manifestazione italiana, organizzando - al di là
delle giornate del festival - eventi cinematografici e giornate a tema anche in altre città. A livello internazionale
CinemAmbiente fa parte del Coordinamento Europeo dei
Festival Cinematografici ed è promotore dell’
Environmental Film Festival Network, associazione che
raggruppa i più importanti festival internazionali a tematica ambientale.
Sabato 16 ore 20.30 – Domenica 17 ore 18.15
THE PLANET
di Michael Stenberg, Linus Torell, Johan Söderberg
Svezia, Norvegia, Danimarca 2006 - 80 minuti
Miglior Film Concorso Internazionale Documentari
E’ possibile raccontare in modo ironico e accattivante l’emergenza climatica e il conseguente disastroso impatto ambientale, a cui è necessario trovare una soluzione immediata? A
questa domanda Torell,
Stenberg e Söderberg
rispondono con “The
Planet” , che, con uno stile fresco e diretto, ricco
di materiali esclusivi,
riesce nell’intento di
informare anche lo spettatore più ingenuo.
LUNEDÌ 25 FEBBRAIO
IN QUESTO MONDO LIBERO...
di Ken Loach
It’s a Free World...
Regia Ken Loach Sceneggiatura Paul Laverty Fotografia
Nigel Willoughby Montaggio Jonathan Morris Musiche
George Fenton Interpreti Kierston Wareing, Juliet Ellis,
Leslaw Zurek, Colin Caughlin Produzione Bim Film,
EMC Produktion, Film4. Distribuzione Bim Film.
GRAN BRETAGNA/ITALIA/GERMANIA/SPAGNA
2007 - 96 minuti
64° Mostra del Cinema di Venezia 2006
Miglior Sceneggiatura
“Centocinquanta anni di lotte sindacali sono improvvisamente svaniti, spazzati via da un soffio di vento,
come se non fossero mai esistiti”. Non sono parole di
un sindacalista, né di un addetto ai lavori, ma dello
sceneggiatore Paul Laverty, braccio destro di Ken
Loach e autore anche dello script di questo suo ultimo
film. È il film in cui il grande regista inglese ritorna a
quel suo realismo sociale che l’ha reso celebre sin dai
tempi di “Riff Raff”. Le cose stavolta sono parecchio
diverse: non si tratta di mostrare qualcosa che non
conosciamo, o che magari non ci riguarda, spostando
il riflettore su una realtà sconosciuta, ma una situazione che invece è sotto gli occhi di tutti. Protagonista
del film è Angie, grintosa ragazza madre che lavora in
un’agenzia di collocamento, da cui viene licenziata
per essersi ribellata a qualche piccola molestia da
ufficio. Piena di debiti, Angie rifiuta la situazione e la
disoccupazione, reagisce decidendo di aprire un’agenzia tutta sua, tra un cortile e casa propria, con
l’aiuto della coinquilina Rose. Le cose non saranno
certo alla luce del sole, perché tutto avviene in semiclandestinità, ma soldi, clienti e sottoproletari affamati, quasi sempre stranieri, non tardano ad arrivare.
“It’s a free world!”, dice Angie alla collega, che vorrebbe utilizzare i tanti soldi incamerati restituendoli a
venti operai che non hanno ricevuto il loro salario per
settimane a causa di una bancarotta, toccando il
cuore dell’intera vicenda. La cosa straordinaria del
film è che Loach, pur mettendo in scena un’antieroina
formidabile soprattutto nel pensare a se stessa e alla
sua inesauribile sete di denaro, non la giudica mai. La
sua volontà è piuttosto di metterne in luce la profonda
mancanza di coscienza, derivante da un milieu d’appartenenza degradato e disperato, che trova i natali
nella piccola borghesia: disperazione che genera
Sabato 16 ore 22.15 - Domenica 17 ore 16.30
A CRUDE AWAKENING
di Basil Gelpke, Ray McCormack
Svizzera 2006 - 85 minuti
Cosa unisce l’intervento militare americano in Iraq, l’escalation delle ambizioni nucleari di Teheran, la nazionalizzazione
delle riserve di gas naturale in Russia e la politica populistica
di Hugo Chavez in Venezuela? Le riserve petrolifere mondiali,
sfruttate intensivamente da più di un secolo, sono destinate a
terminare senza che si sia trovata una soluzione a livello internazionale, con il conseguente rischio di una crisi economica
tanto improvvisa quanto catastrofica. A Crude Awakening The Oil Crash affronta in maniera diretta e intelligente, avvalendosi del parere di esperti del settore, uno dei problemi più
drammatici dei nostri tempi, mostrandone, non solo tutta la
potenziale pericolosità, ma le vie d’uscita possibili fin a ora.
Sabato 16 ore 18.15 – Domenica 17 ore 20.30
LE VIE DEI FARMACI
di Michele Mellara, Alessandro Rossi
Italia 2007 - 53 minuti
Miglior Film Concorso Documentari Italiani
Perché nel Sud del mondo ci sono ogni anno quindici milioni
di persone che muoiono a causa di malattie che sarebbero
facilmente curabili? Questo è l’interrogativo che muove i due
registi Michele Mellara e Alessandro Rossi in un’accurata
indagine capace di svelare i meccanismi che si nascondono
dietro al vero e proprio monopolio planetario messo in atto da
Big Pharma (ovvero il cartello delle cinque più importanti multinazionali produttrici), responsabile, in maniera più o meno
diretta, del perdurare di emergenze sanitarie apparentemente irrisolvibili. Mostrando i legami tra WTO, grandi case farmaceutiche e governi dei paesi sviluppati, focalizzando la
propria attenzione sul meccanismo trappola dei Trips (brevetti internazionali creati appositamente per salvaguardare gli
interessi di Big Pharma). “Le vie dei farmaci” affronta n maniera lucida approfondita un argomento quanto mai attuale.
Sabato 16 ore 16.30 – Domenica 17 ore 22.15
CHINA BLUE
di Micha X. Peled
Stati Uniti 2006 - Menzione speciale della Giuria
China Blue è un viaggio all’interno di una fabbrica di jeans in
Cina, protagoniste due giovani operaie emigrate dalle campagne in cerca di fortuna: Jasmine e Orchid, filo conduttore
la loro esperienza, tra fatiche quotidiane e sogni di evasione.
Il film non solo rivela la grave mancanza di diritti in Cina, ma
soprattutto denuncia le pressioni che i paesi occidentali compiono su quelli in via di sviluppo: una corsa alla diminuzione
dei prezzi con una conseguente degenerazione della competitività. Girato in condizioni di semiclandestinità e continuamente ostacolato dalle autorità cinesi, il film ha ottenuto numerosi riconoscimenti nei festival internazionali più importanti.
mostri, come la mancanza di
amore per un figlio senza padre,
che ci viene presentato dopo
oltre mezz’ora di film solo per
metterne in luce l’impulsività e la
rabbia interiore, le radici primarie dell’attuale rapacità.
NOTE di Kenneth Loach
Negli anni ‘90 ho girato un documentario sul porto di
Liverpool, dal titolo “The Flickering Flame”, in un momento in cui i portuali avevano vissuto un lungo conflitto con
il governo per riuscire a preservare l’integrità del loro lavoro contro la più completa ‘occasionalità’ che stava prendendo piede. Il modo in cui la sicurezza del lavoro è scomparsa, favorendo la nascita di agenzie di lavoro temporaneo è, secondo me, un tema molto importante e completamente dimenticato. E’ un fatto che ha cambiato la vita
delle persone, il risultato di una decisione politica, che
potrebbe essere contrastata. Purtroppo però nessuno si
oppone. Tutti i partiti politici, dai laburisti, ai conservatori,
ai liberali, sono a favore di questo mercato. Vogliono tutti
che sia così. La chiamano ‘modernizzazione’ e la considerano una legge di natura, un fenomeno che deve accadere
per forza. Invece io credo che si tratti di una decisione
politica che sta facendo gli interessi di un’unica classe, e
che la gente comune è stata indotta a credere che questo
sia l’unico modo in cui possiamo vivere. Ma non è così.
KENNETH LOACH Nuneaton, Gran Bretagna, 1936
2006 IL VENTO CHE ACCAREZZA L’ERBA
2005 UN BACIO APPASSIONATO 2001 THE
NAVIGATORS 2000 BREAD AND ROSES 1999
MY NAME IS JOE 1996 LA CANZONE DI
CARLA 1995 TERRA E LIBERTÀ 1994 LADYBIRD LADYBIRD 1993 PIOVONO PIETRE 1991
RIFF RAFF 1990 HIDDEN AGENDA 1986
FATHERLAND 1981 LOOKS AND SMILES 1972
FAMILY LIFE 1968 KES 1967 POOR COW.
MENTANA
Turismo e Viaggi
Via Mentana 13 - Como - telefono 031 270 209 - [email protected]
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Lunecine interno 08
19-12-2007
16:17
Pagina 4
MERCOLEDÌ 27 FEBBRAIO
Spettacolo unico ore 21.00
Ingresso libero
LO SGUARDO DI ULISSE
di Theo Angelopoulos
To Vlemma tou Odyssea
Regia Theo Angelopoulos Sceneggiatura Theo
Angelopoulos, Tonino Guerra, Petros Markaris;
Fotografia George Arvanitis Montaggio Giannis
Tsitsopoulos Musiche Eleni Karaindrou Interpreti Erland
Josephson, Harvey Keitel, Yorgos Michalakopoulos,
Maia Morgenstern, Mania Papadimitrioy, Thanassis
Vengos, Dora Volanaki.
FRANCIA/GERMANIA/GRECIA/ITALIA 1995
181 minuti
Festival di Cannes 1995 Gran Premio della Giuria
Copia proveniente dal Centro Sperimentale
di Cinematografia - Cineteca Nazionale.
In collaborazione con il Centro Sperimentale
di Cinematografia - Cineteca Nazionale.
Un regista greco, torna in patria per la prima di un suo
film e per cercare tre bobine di un negativo (Le tessitrici) impressionato nel 1905 dai fratelli Maniakas, pionieri del cinema, girovaghi nei Balcani. Il suo viaggio di
ricerca attraversa Albania, Macedonia, Bulgaria,
Romania e approda alla straziata Sarajevo dove l'attende un anziano cinetecario con il mitico reperto.
L’opera misteriosa di tre fratelli greci, è il filo d’arianna
attraverso il quale il protagonista, rielabora la propria
vita, il proprio passato. I rulli nel corso del secolo passano di mano in mano, senza che nessuno riesca mai
a svilupparli. I personaggi si muovono attraverso la
guerra, la fame, l’impossibilità di amarsi. La poesia che
pervade le immagini, l’intensità dei volti, le inquadrature molto larghe, gli spazi che si aprono intorno ai protagonisti, fanno di questo film un capolavoro, uno
struggente lamento di disperazione per le occasioni
perdute. Il film è dedicato al grande Gian Maria
Volontè, che inizialmente doveva interpretare il ruolo
del cinetecario a Sarajevo, ultimo custode dei rulli che
muore senza riuscire a vederle.
NOTE di Theo Angelopoulos
Le sceneggiature sono scritte con le mie esperienze personali, con i miei sentimenti, quello che ho vissuto, letto o sentito. Cose che vengono dalla mia infanzia, dal mio ieri, dal
mio adesso, tutto ciò costituisce quello che possiamo chiamare la mia biografia spirituale. Siccome i miei film sono
sempre una specie di autobiografia spirituale, la poesia
LUNEDÌ 3 MARZO
MEDUSE
di Shira Geffen e Etgar Keret
Meduzot
Regia Shira Geffen, Etgar Keret Sceneggiatura Shira
Geffen Fotografia Antoine Héberlé Montaggio François
Gédigier Musiche Christopher Bowen Interpreti Sarah
Adler, Tsipor Aizen, Bruria Albek, Ilanit Ben-Yaakov,
Assi Dayan, Miri Fabian, Shosha Goren, Tzahi Grad,
Johnathan Gurfinkel, Amir Harel, Tami Harel.
Produzione Lama Productions Ltd., Les Films du
Poisson. Distribuzione Sacher Film.
ISRAELE/FRANCIA 2007 - 78 minuti
Festival del Cinema di Cannes 2007
Camera d’Or Premio Miglior Opera Prima
Il giorno del suo matrimonio, Keren si rompe una gamba
e deve così rinunciare alla sua luna di miele ai Caraibi...
Una misteriosa bambina uscita dalle acque del mare
cambia la vita di Batya, la giovane donna che la trova e
che lei segue come un’ombra... Joy, una domestica
immigrata, riesce senza accorgersene a rinforzare il
legame tra un’anziana donna e la figlia... In un allegro
disordine ognuno cerca il suo posto, l’amore, l’oblio o il
ricordo, perché così è la vita a Tel Aviv... “Meduse” è un
affresco surreale e poetico su una Tel Aviv affogata dal
sole, trasognata da personaggi eccentrici e grotteschi,
percorsa da sottili inquietudini il cui minimo comun denominatore è il progressivo accantonamento della
parola come mezzo comunicativo privilegiato. Poetico,
tristemente dolce, malinconico eppure colorato: il primo
film della coppia esordiente Keret-Geffen non può che
commuovere e affascinare sin dalle prime inquadrature. L’attenzione per i particolari, i tagli di ripresa, la tavolozza pittorica e le sottili geometrie sono al contempo
meticolosi e impressionanti. Mentre si susseguono momenti di vero stupore, viviamo la lirica del silenzio, che
lascia spazio ai rumori quotidiani, bellissimi da riscoprire. E’ così che gli occhi di una bambina venuta dal mare,
insieme ai suoi sorrisi, risvegliano in noi immagini e
(anch'io ho cominciato
scrivendo poesie) è il
modo attraverso il
quale
comprendo
meglio un fatto o, se si
vuole, esprimo meglio
un fatto. Questo è il
motivo per cui io mi
esprimo con la poesia.
Esistono cose che sono
state dette da altri
prima di me e meglio di
me, cose che avrei voluto dire io e quando le incontro non ho nessun problema ad
inserirle nei miei testi come dialogo. Il rischio dell'uso della
parola è che questa possa fiaccare l'immagine. Però la mia
sensazione è che la parola poetica in realtà moltiplichi la
forza dell'immagine, quasi a creare una specie di "fuga musicale" tra la parola e l'immagine stessa. Questa "fuga musicale" tra la parola e l'immagine può ancora aumentare di
tono utilizzando altri mezzi: l'interpretazione degli attori, il
modo in cui viene fatta un'inquadratura, con cui viene usata
la parola, il modo in cui uso gli elementi filmici a mia disposizione. Credo che così si realizzi l'espressione, l'idea principale in quel momento. Parola e immagine vengono insieme.
Per me non possono separarsi. Molte volte sembra che l'immagine attenda, ci sono immagini che sembrano attese di
ricezione della parola da venire, altre volte l'immagine è più
in alto e la parola sussurra il suo dispiegarsi.
THÈO ANGELOPOULOS Atene, Grecia, 1935
Nel 1970 gira il suo primo film RICOSTRUZIONE
DI UN DELITTO, premiato al Festival di Berlino,
che lo rivela alla critica internazionale. I tre film
successivi costituiscono una triologia sulla
Grecia contemporanea: I GIORNI DEL '36
(1972), LA RECITA (1975) Premio della Critica
Internazionale al Festival di Cannes, e I CACCIATORI (1977). Nel 1980 è Leone d'Oro alla
Mostra del di Venezia con ALESSANDRO IL
GRANDE. Nel 1984 collabora per la prima volta
con lo sceneggiatore Tonino Guerra per la stesura di VIAGGIO A CITÈRA, Premio per la Migliore
Sceneggiatura al Festival di Cannes. Nel 1986
gira L'APICOLTORE e nel 1988 PAESAGGIO
NELLA NEBBIA. Successivamente realizza IL
PASSO SOSPESO DELLA CICOGNA (1991). Nel
1994, attraverso i Balcani, gira LO SGUARDO DI
ULISSE che vince numerosi premi tra i quali il
Gran Premio al Festival di Cannes 1995. Nel
1998, il suo film L’ETERNITÀ E UN GIORNO è
Palma d'oro al Festival di Cannes. Il suo ultimo
lavoro è LA SORGENTE DEL FIUME (2005).
ricordi ancestrali, cullati dalla colonna sonora, impalpabile ma sapientemente presente. I due autori tessono le
loro trame con rigore e lucida attenzione, arrivando a
comunicare un raffinato e toccante afflato poetico. Una
pellicola che conserva una freschezza e un’originalità
nella narrazione veramente fuori del comune.
NOTE di Shira Geffen e Etgar Keret
Siamo una coppia di artisti israeliani che ha vissuto per la
maggior parte della sua vita a Tel Aviv. Non c’è da stupirsi,
quindi, se abbiamo scelto il mare come protagonista del
nostro primo film. In questa realtà israeliana così densa,
intrisa di violenza, di sospetto e di ideologie estremiste, il
mare diventa una sorta di rifugio, di soccorso e di conforto.
Territorio autonomo, il mare appare perciò come l’unico
luogo in cui l’uomo viene considerato come tale e non più
solo come un vago essere la cui esistenza si riassumerebbe
alla sua carta d’identità o al suo statuto sociale. In questo
film, composto da diverse storie, il mare è l’elemento unificante, una specie d’inconscio collettivo, dove i nostri personaggi possono confrontarsi con loro stessi. Le tre trame narrative del film funzionano dunque come le varie sfaccettature di uno stesso stato d’animo. Uno stato esistenziale fatto
di solitudine e di desiderio insoddisfatto di comunicazione e
di scambio affettivo. I nostri eroi hanno bisogno di un intermediario per esprimere e trasmettere i loro sentimenti. Si
illudono di scegliere il proprio cammino, ma si muovono
come meduse senza poter controllare la propria vita. Le correnti sotterranee che li spingono provengono dal passato, da
esperienze traumatiche o da stereotipi. Alla fine del film,
alcuni personaggi riusciranno a vincerle. Si ritroveranno allora sulla battigia, davanti al mare. E per un momento, potranno stare in piedi, in un posto chiaro e vero. E sperare.
ETGAR KERET Tel Aviv, Israele, 1967
Scrittore, autore di fumetti e regista, Keret è in
Israele uno degli artisti più popolari della sua
generazione, in particolar modo presso il pubblico più giovane, che si riconosce nei suoi racconti divertenti e surreali. Le sue opere sono oggi
tradotte in svariate lingue. In Italia, per E/O sono
stati pubblicati “Le tette di una diciottenne”
(2006), “Pizzeria Kamikaze” (2004), “Io sono lui”
(2004), “Papà è scappato col circo” (2003).
SHIRA GEFFEN Tel Aviv, Israele, 1971
La sceneggiatrice e co-regista di “Meduse” fa
anch’essa parte della schiera di artisti e registi
israeliani più creativi ed attivi del momento. E’
inoltre molto apprezzata per i suoi libri per l’infanzia, nonché per le sua attività di registatelevisivo e teatrale.
MERCOLEDÌ 12 MARZO
CRAJ-DOMANI
DAVIDE MARENGO
Napoli, Italia, 1972
Autore di cortometraggi, videoclip musicali e spot pubblicitari. Ha lavorato per
la televisione in veste
di autore e di regista.
CRAJ è il suo primo
lungometraggio. Nel
2007 ha realizzato il
film
NOTTURNO
BUS.
di Davide Marengo
Regia Davide Marengo Soggetto e sceneggiatura Teresa
de Sio, Davide Marengo, Paola Papa Fotografia
Vittorio Omodei Zorini Montaggio Dario Baldi e Davide
Marengo Personaggi e interpreti Bimbascione Teresa de
Sio, Floridippo Giovanni Lindo Ferretti, Uccio Aloisi,
Matteo Salvatore, Antonio Piccininno, Antonio
Maccarone.
ITALIA 2005 - 81 minuti
Il film nasce ispirandosi a l’opera teatral-musicale
"Craj", ideata e diretta da Teresa De Sio e scritta in collaborazione con Giovanni Lindo Ferretti, della quale
ricalca la struttura principale. Il film racconta del viaggio del Principe Floridippo (Giovanni Lindo Ferretti) e del
suo servo Bimbascione (Teresa De Sio) attraverso la
Puglia. Tutto comincia con uno strano sogno fatto dal
Principe, nel quale incontra un grande ragno che lo
spinge inspiegabilmente verso sud. Il viaggio dal Gargano al Salento è lungo e i due protagonisti, accompagnati dal cavallo Toledo, si fermano tre volte per
riposarsi: a Carpino dove pranzano con I Cantori, a
Foggia dove conoscono Matteo Salvatore e a Cutrufiano dove ballano con Uccio Aloisi. Ogni tappa
diventa per Floridippo e Bimbascione una scoperta culturale e musicale: I Cantori di Carpino, Matteo Salvatore e Uccio Aloisi sono i principali maestri della musica tradizionale pugliese, veri e propri testimoni di antiche tradizioni popolari e musicali. Tradizioni che conosciamo meglio attraverso interviste e immagini di vita
quotidiana, alternate al live dei loro concerti. Il viaggio
di Floridippo e Bimbascione si conclude nel Salento, la
terra del ragno che il Principe ha sognato prima di partire, la “taranta” per il cui veleno le donne pizzicate
mentre raccoglievano il grano, erano costrette a ballare per giorni interi. "Craj" è un viaggio nella memoria che
vuole restare nel Domani, come una necessità incontrollabile. Una grande, indimenticabile, festa popolare.
LUNEDÌ 10 MARZO
L’EREDITÀ
di Per Fly
Arven
Regia Per Fly Soggetto e Sceneggiatura Per Fly, Dorte
Hoeg, Kim Leona, Mogens Rukov Fotografia Harald
Gunnar Paalgard Montaggio Morten Giese Scenografia
Soren Gam Costumi Lotte Trolle Musica James Horner
Interpreti Ulrich Thomsen, Lisa Werlinder, Ghita Norby,
Karina Skands, Lars Brygmann, Diana Axelsen.
Produzione Zentropa Film Distribuzione Teodora.
DANIMARCA/NORVEGIA/SVEZIA 2004 - 115 minuti
Dopo la morte del padre, Christoffer cede alle richieste
della madre e si mette alla guida delle acciaierie Borch
Moller, proprietà della sua famiglia, a Copenaghen. In
realtà lui non se ne è mai interessato e fino a quel
momento ha vissuto a Stoccolma con la moglie Marie,
attrice svedese, gestendo un ristorante. Una volta a
capo dell’azienda, Christoffer è costretto a prendere
decisioni drastiche che lo metteranno a confronto non
solo con la sua coscienza, ma anche con la sua famiglia... Il film è il secondo episodio di una trilogia di indagine sulla società danese di cui “The Bench” (2002) è
il primo capitolo e “Gli innocenti” (2006) il terzo.
“L’eredità” è stato giustamente premiato dalla critica
sia nazionale che internazionale, ricevendo al Festival
di San Sebastian il premio della Giuria per la Migliore
Sceneggiatura. Sviluppandosi su una costruzione psicologica sottile e impeccabile, l’evoluzione del dramma si muove nella ricerca di comprensione del personaggio, delle sue motivazioni, del percorso interiore
che lo porta all’ineluttabile ma, comunque, personale
scelta. Il percorso epico e sventurato di un eroe, di un
principe moderno davanti al destino ed il percorso
assolutamente psicologico e intimo di un uomo davanti ai suoi obblighi sociali. Il tutto raccontato con parsimonia e pacatezza da una macchina da presa che si
limita ad esserci lasciando alla storia, alla splendida
MERCOLEDÌ 26 MARZO
IL DESTINO
di Youssef Chahine
Al Massir.
Regia: Youssef Chahine Sceneggiatura: Youssef Chahine e
Khaled Youssef Fotografia: Mohsen Nasr Montaggio:
Rachida Abdel Salam Scenografia: Hamed Hemdane
Musica: Kamal El Tawil e Yohia El Mougy Interpreti: Nour
El Cherif, Lalila Eloui, Mahmoud Hemeida, Safia El Emary,
Mohamed Mounir, Khaled El Naboaoui.
EGITTO 1997 - 135 minuti
50° Festival del Cinema di Cannes 1997 Palma d'Oro del
cinquantenario
Averroè, filosofo arabo nato a Cordoba nel 1126, sostenitore di una concezione religiosa dell'ordine cosmico
quale risultato del comprendersi reciproco e dal convergere finalistico delle intelligenze, fu per questa
aperta visione del mondo avversato sia dalla Chiesa
Cattolica che dall'integralismo islamico. Il film narra il
periodo più tormentato della vita di Averroè. Siamo nel
1195. Il giovane Joseph, il cui padre è stato bruciato
sul rogo per aver tradotto le opere dell'eretico filosofo,
fugge dalla Francia per raggiungere il suo Maestro a
Cordoba. Ma anche lì, a causa del nascente integralismo ortodosso, fomentato dai personali interessi dello
sceicco Riad, la vita di Averroè, che tiene appassionate lezioni a un numeroso gruppo di discepoli, comincia
a farsi difficile. A causa delle accuse degli ortodossi, il
califfo Al Mansur ordina che tutti i lavori del filosofo
siano dati alle fiamme, costringendolo ad abbandonare Cordoba con la famiglia e i suoi discepoli.
Chahine disegna un personaggio attualissimo, campione di tolleranza contro tutti gli integralismi, capace
di far confluire nel suo pensiero fede e ragione, intel-
interpretazione degli
attori, ai preziosi dialoghi il compito di raccontare una vicenda che si
fa, si costruisce, si vive
istante per istante.
Prodotto dalla Zentropa
di Lars Von Trier, girato
in uno stile severo, controllato, arciclassico, il
film aggiorna temi della
grande letteratura europea fra le due guerre ai tempi dell’euro e delle grandi
fusioni. Il regista e il suo bravissimo protagonista Ulrich
Thomsen disegnano con delicata sensibilità, con ricchezza di sfumature e molto non detto, ma suggerito da
una regia e un’interpretazione di grande sensibilità, il
precipitare di un giovane uomo nella perdita di sé.
NOTE di Per Fly
Questo è un film sul volere e sulla passione, un film su quello che vuoi e su quello che devi fare. Christoffer è l’erede di
questa famiglia di produttori d’acciaio da ben quattro generazioni e c’è qualcosa che deve fare assolutamente: prendere le redini dell’azienda. E’ un problema di dovere. Non è un
uomo innamorato del potere e non è ubriaco di denaro perché lo ha sempre avuto, lui ha seguito questo dovere perdendo la passione... Quando ho scritto la sceneggiatura ho
trovato molte difficoltà perché io non provengo dall’alta borghesia, ma la mia famiglia era piccolo borghese se non proletaria. Ho chiesto aiuto a Mogens Rukov, sceneggiatore di
Festen, e quando gli ho detto:’’questa è la storia di un uomo
che perde la donna che ama perché fa quello che deve fare’’,
ha aggiunto ‘’no, questa è la storia di un uomo che sceglie
di perdere la donna che ama perché fa quello che deve fare’’.
Questa è la dimensione tragica del film.
PER FLY Copenaghen, Danimarca, 1960
Conseguito il diploma alla Danish National Film
School nel 1993, ha diretto diversi film per la
televisione, tra cui “The Little Knight/Den Lille
Ridder”(1999), e il pluripremiato “Calling
Katrine!/Kalder Katrine!”. Il suo primo lungometraggio è stato THE BENCH, premiato al Festival
di Lubecca nel 2000. Ha inoltre diretto PROP &
BERTHA un film di animazione realizzato nel
2001. L’EREDITA’ è il terzo lungometraggio di
Per Fly. Attualmente il regista è impegnato nella
stesura del terzo ed ultimo capitolo della trilogia
sulle classi sociali, THE KILLING, riguardante la
media borghesia.
LIBRACCIO
Via Giulini 10 - Como - telefono 031 272 458 - www.libraccio.it
Viale F.lli Rosselli 13 - Como - telefono 031 570 445 - www.unipolcomo.it
Lunecine interno 08
19-12-2007
16:17
Pagina 5
letto ed esperienza, rigore morale e afflato umano e lo
racconta con una maestria e una disinvoltura stilistica
capace di unire i più disparati generi cinematografici,
dal kolossal storico al musical, dal melodramma al
western. "Nello stesso giorno, può capitarmi di piangere, ridere, ballare e cantare, persino di essere rinchiuso in cella. Un film dovrebbe contenere tutti questi elementi. Quello che importa è lo stile e il ritmo".
YOUSSEF CHAHINE Alessandria, Egitto 1926
“Il destino” è il primo film di Chahine distribuito
in Italia, un vero evento per un regista autore di
35 lungometraggi e 24 cortometraggi realizzati
fra il 1945 e il 1997. Nel 1951 ottiene la Camera
d'Or alla sua prima partecipazione al Festival di
Cannes con LE FILS DU NIL. Già nel 1970 ottiene al Festival del Cinema di Cartagine il Gran
Premio per l'insieme della sua opera. Nel 1979
Orso d'Argento al Festival di Berlino per il film
ALEXANDRIE POURQUOI? Nel 1996 è premiato
al Festival di Locarno che ha dedicato al regista
un'ampia e illuminante retrospettiva.
MERCOLEDÌ 16 APRILE
WEST BEYROUTH
di Ziad Doueiri
Beyrouth Al Gharbiyya
Regia Ziad Doueiri Soggetto e sceneggiatura Ziad
Doueiri Fotografia Robert Gale Montaggio David
Marcombe Musiche Steve Copeland Interpreti Ram
Doueiri, Mohammad Chamas, Rola Alamin, Carmen
Lebbos, Joseph Bou Nassar, Lialiane Nemri.
LIBANO/FRANCIA/BELGIO 1998 - 107 minuti
13 Aprile 1975, primo giorno ufficiale della guerra civile libanese che dilanierà il Paese per otto anni. La capitale viene divisa in due parti: una sotto il controllo dei
mussulmani, l'altra sotto il controllo dei cristiani. Tarek
e Omar, due adolescenti, non possono più frequentare
il loro liceo che si trova nella parte est, occupata dalle
milizie cristiane. Per i due cominceranno, così, lunghe
giornate passate a girovagare per Beyrouth, in compagnia della loro amica (cristiana) Mary. La guerra rappresenterà per loro motivo per crescere e scoprire la
realtà della loro martoriata città. I due ragazzi oppongono alla tragedia la propria voglia di vivere, traversano il primo anno di guerra nell'incoscienza, scoprono
le pulsioni della sessualità nascente. Finché la violenza afferma le proprie ragioni, più forti di quelle dell'innocenza. “West Beyrouth” è un primo film largamente
autobiografico. Lo ha diretto Ziad Doueiri, che all'epoca aveva dodici anni e viveva nella città, prima di emigrare in America, dove ha studiato all'università di San
Diego ed è diventato assistente alla fotografia per tutti
i film di Quentin Tarantino. Nessun tarantinismo, però,
nel suo esordio come regista. Il racconto d'iniziazione
di Tarek (interpretato da Rami Doueiri, fratello di Ziad)
e Omar adotta una chiave rappresentativa decisamente realistica, anche se unita a un senso beffardo e
complice dell’incoscienza
adolescenziale. Eppure,
per quanto lasci parlare le
cose senza imporre effetti
drammatici a ciò che
mostra, Doueiri rende perfettamente
l'assurdità
autodistruttiva della guerra civile mentre segue,
con la macchina da presa
a spalla o la steadycam, le peregrinazioni dei suoi protagonisti. Però lo fa ricostruendo quei giorni tremendi
con istintivo pudore e non indulge alla tentazione di
commentare fatti tanto espliciti di per sé, convinto
come ha dichiarato che "ciò che una persona esprime
apertamente non lascia spazio all'interpretazione; ciò
che vediamo è tutto quel che c'è da vedere".
ZIAD DOUEIRI Beirut, Libano, 1963
Studia cinema a San Francisco e alla U.C.L.A.,
inizia quindi un lungo sodalizio con Quentin
Tarantino per cui lavora come primo assistente
alla camera nei film da lui diretti Reservoir
Dogs (1992), Pulp Fiction (1994) e Jackie Brown
(1997). BEYROUTH AL GHARBIYYA è il suo
primo film. Nel 2004 ha girato LILA DIT ÇA.
MERCOLEDÌ 30 APRILE
UN TOCCO DI ZENZERO
di Tassos Boulmetis
Politiki Kouzina
Regia e sceneggiatura Tassos Boulmetis Fotografia Takis
Zervoulakos Montaggio George Mavropsaridis
Scenografia Olga Leontiadou Musiche Evanthia
Reboutsika Interpreti George Corraface, Tassos Bandis,
Basak Köklükaya, Ieroklis Michailidis, Renia Louizidou,
Stelios Mainas, Markos Osse, Tamer Karadagli.
GRECIA/TURCHIA 2003 - 108 minuti
scenza delle spezie, dell’arte culinaria e dell’astronomia, passioni che trasmette con trasporto al giovane
Fanis. All’inizio degli anni ’60, Fanis e la sua famiglia,
composta prevalentemente da greci, vengono costretti
a lasciare Istanbul e a trasferirsi ad Atene, lasciando il
nonno. Il ragazzo trova difficoltà nell’ambientarsi ad
Atene. Spera di poter cucinare per il nonno e per la sua
amica Saime, quando verranno a trovarlo... La storia è
in gran parte autobiografica per il regista e sceneggiatore Tassos Boulmetis, anch’egli cacciato nel 1964 da
Istanbul, quando le tensioni politiche tra Grecia e
Turchia per il possesso di Cipro toccarono il culmine;
tensioni politiche che tuttora faticano a risolversi tra i
due paesi. Un tale peso della storia e della politica, però,
non viene illustrato in maniera pedante in “Un tocco di
zenzero”, ma si avverte nel piccolo della quotidianità
dei personaggi, o in alcuni brevi scambi di dialogo; tali
eventi hanno strappato via un pezzo di vita ai protagonisti e ne hanno compromesso il resto, ma in maniera
anche nascosta. È uno dei tanti meriti della sceneggiatura, un buon lavoro pieno di rimandi interni al testo e
piccoli tocchi di commedia e grottesco quanto basta:
come un piatto in cui le spezie sono dosate a puntino.
Un pezzetto di vita che si snoda con piacere, senza profondità ma con molta umanità. Record d’incassi greci,
atmosfera da idillio collettivo tra cibi e pianeti.
TASSOS BOULMETIS Istanbul, Turchia, 1957
Ha studiato Física alla Università di Atene, Produzione e Direzione Cinematografica alla Università
di California (UCLA). Comincia la sua carriera in
Grecia come direttore di programmi televisivi sui
canali nazionali. Coproduce, dirige e scrive il suo
primo film DREAM FACTORY nel 1995. La pellicola gli valse il Golden Awards al Festival del Cinema
di Houston. Si è specializzato in Effetti speciali e
cinema digitale presso il Centre Film di Parigi.
“Un tocco di zenzero” è la storia di un viaggio, il viaggio
geografico che il protagonista, Fanis Iakovidis, compie
nella Istanbul di oggi e allo stesso tempo un viaggio dell’anima nella Istanbul degli anni ’50, dove egli ha trascorso la sua infanzia. Ad Istanbul lo vediamo ricevere
le sue prime lezioni, all’età di 7 anni circa, dal suo mentore e nonno, che possiede un meraviglioso dono, quello di saper interpretare gli eventi della vita con delle
parabole e di saper usare le spezie per descrivere i
fenomeni naturali e i rapporti umani. Nonno Vassilis è
anche proprietario di un piccolo negozio di spezie, la
sua filosofia di vita del è legata all’amore e alla cono-
LUNEDÌ 17 MARZO
TIDELAND
di Terry Gilliam
Regia: Terry Gilliam Sceneggiatura: Terry Gilliam, Tony
Grisoni Fotografia: Nicola Pecorini Montaggio: Leslie
Walker Scenografie: Jasna Stefanovic Musiche: Jeff
Danna, Michael Danna Interpreti: Jodelle Ferland, Jeff
Bridges, Janet McTeer, Brendan Fletcher, Jennifer Tilly
Produzione: Recorded Picture Company, Capri Films
Distribuzione: Officine Ubu.
STATI UNITI 2005 - 122 minuti
Jeliza-Rose è la figlia di una coppia di tossicodipendenti incalliti, il padre è una vecchia gloria del rock e
Jeliza gli prepara tutti i giorni le dosi per le sue piccole “vacanze”. Dopo la morte della madre per overdose,
i due partono alla volta della vecchia casa della nonna,
sperduta nella campagna, coltivando l’antico sogno di
partire alla volta dell’Europa del Nord. Qui Jeliza-Rose
incontra gli abitanti del mondo reale, dagli scoiattoli ai
vicini di casa, e Gilliam ce li mostra secondo la sua
visione. “Il Mondo Capovolto” è un pendolo che oscilla tra la più cruda realtà e il sogno, mettendo in azione
una lettura profonda sulla prima adolescenza, attraverso la lente del surreale. Insomma per dirla alla
Gilliam, “Tideland” è l’incontro tra “Alice del Paese
delle Meraviglie” e “Psycho”. Il mondo di Jeliza è un
elogio del fantastico che, con il suo potere immaginifico, riesce a superare le tragedie più strazianti. Il regista Terry Gilliam sentendosi un po’ bambino nell’animo, ha deciso di trasformare il racconto di Mitch Cullin
in film per rispondere all’isteria collettiva che domina i
mezzi della comunicazione a proposito dei bambini e
commenta dicendo “Sono stanco della visione distorta che i media ci propinano, così ho deciso di fornire la
mia... visione disorta”. Attraverso l’uso prezioso della
tecnica cinematografica, nonostante le grandi limitazioni economiche, Gilliam riesce a catapultare lo spettatore in questo “mondo alternativo” dai colori visivamente eccitanti, facendolo cadere nella tana del
“bian-coniglio” di “Alice nel Paese delle Meraviglie”.
LIBRERIA
Via V. Emanuele II 71 - Como
NOTE di Terry Gilliam
Mi ha sempre affascinato la visione distorta dei bambini.
E’ una qualità che perdiamo negli anni. Io per fortuna la
ritrovo quando faccio un film. Il romanzo di Mitch Cullin
era fottutamente divertente, toccante e disturbante nello
stesso tempo. Mi affascinava l’idea di contrastare l’immagine veicolata dai media riguardo ai bambini. Vengono
ritratti solo come vittime indifese dai giornali e dalle televisioni, mentre sono convinto che siano pieni di risorse,
capaci di prendere in mano le situazioni e cavarsela da
ogni tipo d’impiccio. Abbiamo cercato di rimanere il più
fedele possibile al romanzo. Rispetto al lavoro di Cullin
abbiamo aggiunto più riferimenti ad “Alice nel Paese delle
meraviglie”. Siamo intervenuti poi sulla voce narrante. Il
romanzo è in prima persona, è la bambina che racconta,
nel film abbiamo optato invece per la terza persona. Da un
punto di vista iconografico ci siamo accostati a “Tideland”
come se fosse un western: il quadro predominante è quello di un orizzonte piatto in cui si muovono acune figurine.
Il nostro modello è stato “Christina’s World”, un famoso
dipinto di Andrew Wyeth di
una casa di legno in lontananza e una ragazzina che
sembra trascinarsi verso di
lei. Nicola Pecorini, il direttore della fotografia, lo ha
reso se possibile ancora più
bello, infondendogli un calore umano sconosciuto al suo
referente pittorico.
TERRY GILLIAM Minneapolis, Minnesota, 1940
Regista, sceneggiatore, attore e produttore cinematografico. Dopo essersi trasferito in
Inghilterra nel 1967, ed essere diventato uno dei
membri dei Monty Python, Gilliam è diventato in
seguito un regista cinematografico. Il suo primo
film da regista è stato MONTY PYTHON E IL
SACRO GRAAL, a cui è subito seguito JABBERWOCKY. Nel 1981 gira BANDITI DEL TEMPO, e
nel 1985 realizza quello che molti considerano il
suo capovaloro, BRAZIL, nomination all’Oscar
per la miglior sceneggiatura originale. Il ritorno
alla regia arriva nel 1988, con il film fantastico
LE AVVENTURE DEL BARONE DI MUNCHAUSEN, seguito da LA LEGGENDA DEL RE PESCATORE (1990) Leone d’Argento al Festival di
Venezia. Nel 1995 dirige il film di fantascienza
L’ESERCITO DELLE DODICI SCIMMIE. Nel
1998 partecipa in concorso al Festival di Cannes
con PAURA E DELIRIO A LAS VEGAS adattamento del libro di Hunter S. Thompson.
LUNEDÌ 31 MARZO
NELLA VALLE DI ELAH
di Paul Haggis
In the Valley of Elah
Regia Paul Haggis Sceneggiatura Paul Haggis Fotografia
Roger Deakins Montaggio Jo Francis Musiche Mark
Isham Interpreti Tommy Lee Jones, Charlize Theron,
Susan Sarandon, James Franco, Jason Patrick
Produzione Samuels Media, Summit Entertainment,
NALA Films Distribuzione Mikado.
STATI UNITI 2007 - 119 minuti
64ª Mostra Internazionale del Cinema di Venezia
In Concorso
Nella Valle di Elah racconta la storia di un veterano di
guerra, Hank Deerfield, di sua moglie e della ricerca
del loro figlio, un soldato scomparso misteriosamente
appena rientrato dall’Iraq. Hank Deerfield si fa due
giorni di viaggio per recarsi alla base militare dov’è di
stanza il figlio, che non si è presentato all’appello.
L’intenzione sarebbe quella di ritrovarlo e riportarlo
sulla retta via. Giunto alla meta scopre non solo che il
figlio è stato brutalmente assassinato, scoprirà anche
i terribili risvolti umani che si celano dietro alla terribile esperienza della guerra in Iraq... Con “Nella valle di
Elah” Paul Haggis si aggiunge alla (per ora) corta lista
di quelli che in terra americana stanno tentando di
riflettere lucidamente sull’inafferrabile tragedia che è il
secondo conflitto iracheno. Haggis utilizza un calibratissimo e perfetto stile classico, da buona tradizione
del cinema liberal hollywoodiano, per descrivere la
dolorosa presa di consapevolezza di un padre che
capisce di aver mandato a morire il figlio in una guerra
assurda. Ma non solo, lentamente e terribilmente affiora nell’animo di Hank Deerfield, a cui dona un volto un
monumentale Tommy Lee Jones, tutta la dolente
costernazione che può dare la scoperta di aver fatto
riferimento ad un errato sistema di valori per tutta una
vita. Piano piano si fa strada in
lui un tarlo odioso. E la sua
immagine eroica e fasulla da ex
soldato si incrina, si stropiccia e
si distorce in un cupo incubo.
Questo fa di “Nella valle di Elah”
un film capace di ritrarre a pieno
il declino dei valori fondanti la
democrazia americana, e fa ben
capire perché sia stato ignorato
dal pubblico di casa: i padri sono convinti di aver mandato i figli in guerra per una buona causa, e quando
vengono smentiti il loro orrore e dolore si moltiplica.
NOTE di Paul Haggis
Ho ricevuto per posta un articolo scritto da Mark Boal intitolato “Morte e disonore”. Leggendolo mi sono veramente
commosso. L’articolo raccontava una storia molto tragica e ho
capito subito che sarebbe stato quello il mio prossimo film.
Era da tempo che cercavamo il materiale giusto, mi sono sentito immediatamente vicino alla storia perché racconta qualcosa di molto forte. Leggendo l’articolo, si capiva subito che
sarebbe stato il punto di partenza ideale per affrontare un
argomento in grado di suscitare l’interesse di chiunque. Quale
è la cosa giusta da fare quando si tenta di fare giustizia? Che
cosa facciamo per prenderci cura di noi stessi? Che cosa facciamo per prenderci cura delle nostre famiglie? L’articolo di
Boal raccontava nei dettagli l’omicidio di un giovane soldato
appena rientrato dall’Iraq di stanza a Ft. Benning, Georgia,
l’indagine organizzata dal padre a seguito della sua scomparsa e in che maniera la guerra ha cambiato per sempre i tre
soldati accusati dell’omicidio del loro commilitone. Più facevo ricerche e più la storia cresceva. Alla fine mi sono trovato
a metterla insieme ad un’altra storia vera e ho poi inventato
il personale viaggio di Hank, che lo porterà alla scoperta della
verità. Indipendentemente dalle opinioni che ognuno di noi ha
sulla guerra, ho sentito la necessità di parlare di quello che
succede a quegli uomini e a quelle donne che stiamo mandando laggiù. Volevo raccontare la storia di tante brave persone che sono costrette a prendere delle decisioni terribili.
PAUL HAGGIS London, Canada, 1951
Haggis ha scritto due film che hanno vinto l’Oscar
per il Miglior Film: MILLION DOLLAR BABY
(2004) di Clint Eastwood, e CRASH (2005), suo
film d’esordio come regista, film vincitore dell’Oscar per il Miglior Film e per la Migliore Sceneggiatura. Nel 2006 Haggis ha scritto le sceneggiature dei due film diretti da Clint Eastwood
FLAGS OF OUR FATHERS e LETTERE DA IWO
JIMA, la seconda delle quali gli è valsa la terza
candidatura all’Oscar.
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Lunecine interno 08
19-12-2007
16:17
Pagina 6
LUNEDÌ 7 APRILE
L’ETÀ BARBARICA
LUNEDÌ 14 APRILE
You, the Living
L’alchimia è di quelle di ordinaria e contagiosa follia,
una serie di mini sketch di sogni e incubi contemporanei, gente che soffre, suona, beve, impreca e prega
fino all’arrivo di rombanti ed inquietanti aerei che metteranno probabilmente fine a vite ormai perdute.
Regia Denys Arcand Sceneggiatura Denys Arcand
Fotografia Guy Dufaux Montaggio Isabelle Dedieu
Musiche Philippe Miller Interpreti Marc Labrèche,
Diane Kruger, Sylvie Léonard, Caroline Néron, Rufus
Wainwright, Macha Grenon, Emma de Caunes,
Didier Lucien, Rosalie Julien, Jean-René Ouellet,
André Robitaille. Produzione Cinémaginaire Inc.,
Mon Voisin Productions Distribuzione Bim Film.
Canada 2007 - 110 min.
60 °Festival del Cinema di Cannes 2007 In concorso
Regia Roy Andersson Sceneggiatura Roy Andersson
Fotografia Gustav Danielsson Montaggio Anna Märta
Waern Musiche Benny Andersson Interpreti Håkan Angser,
Eric Bäckman, Patrik Anders Edgren, Björn Englund,
Lennart Eriksson, Pär Fredriksson, Elisabeth Helander,
Gunnar Ivarsson, Leif Larsson, Jessika Lundberg.
Produzione Posthus Teatret, Produksjon 4 1/2, Roy
Andersson Filmproduktion AB. Distribuzione Lady Film.
Svezia/Francia 2007 - 95 minuti
NOTE di Roy Andersson
In una raccolta di vecchie poesie islandesi chiamata “The
Poetic Edda” c’è un proverbio che dice: “L’uomo è la delizia
dell’uomo.” Mi piace l’idea che l’uomo non sia solo sulla
terra, ma che dipenda dagli altri. Tuttavia, se l’essere umano
è la gioia degli altri, è anche la fonte dei suoi problemi e dolori. L’uomo affascina l’uomo: è così che ho interpretato questo
conciso pezzo di saggezza millenaria e l’ho adottato come elemento nel film. Il mio film è composto da una serie di tableaux
che illutrano la condizione umana. I personaggi rappresentano diverse sfaccettature dell’esistenza. Affrontano problemi
piccoli e grandi che riguardano questioni della sopravvivenza
quotidiana, ma anche grandi temi filosofici. Spero che “You,
the Living” dia al pubblico la possibilità di poter guardare ai
momenti della propria esistenza. È mia intenzione sviluppare
un linguaggio cinematografico che sia meno prevedibile. Il
mio film rompe gli schemi della narrativa classica per raccontare la storia attraverso un mosaico di destini umani. I
tableaux mostrano gli equivoci ed errori commessi da persone che si incontrano, ma mai realmente. Il film narra delle vite
delle persone, del loro lavoro, di come si comportano in società, dei loro pensieri, delle preoccupazioni, dei sogni, dei dolori, delle gioie e dell’insaziabile bisogno d’amore. Questi fenomeni hanno tante variazioni quanti sono gli individui sul
nostro pianeta. Per questo “l’uomo è la delizia dell’uomo”.
di Denys Arcand
L’age des ténèbres
di Roy Andersson
Du Levande
Nei suoi sogni, Jean-Marc è un cavaliere dall’armatura scintillante, una star del palcoscenico e dello
schermo, e un autore di successo: le donne cadono ai
suoi piedi e finiscono regolarmente nel suo letto.
In realtà è un uomo qualsiasi, impiegato statale, marito insignificante, padre fallito e fumatore clandestino.
Ma Jean-Marc resiste alle tentazioni del suo mondo di
sogno e decide di darsi ancora una chance nel mondo
reale... Con “L’età barbarica” (questo il titolo dato a
“L’age des ténèbress” dai distributori italiani, in un
grottesco tentativo di recuperare la memoria di “Le
invasioni barbnariche”) Arcand riesuma la vecchia
traccia drammaturgica del travet che per sfuggire al
grigiore della routine si rifugia in una ridda di fantasiosi sogni seriali, popolati di avventure cavalleresche e
di una onnipresente bellezza femminile. Lo fa, come
sempre nei suoi film per parlare dell’entropia morale e
persino fisica della società occidentale, tema che da
“Il declino dell’Impero Americano” in poi sembra letteralmente ossessionare il cineasta canadese, ma lo fa
con un sorriso amaro sulle labbra, senza sentenziare e
soprattutto senza prendersi troppo sul serio. Sono le
pagine migliori del suo cinema, che oscillano fra tragedia e farsa, che spezzano la
sapiente sceneggiatura con
tocchi da racconto popolare.
E da questo punto di vista,
“L’età barbarica” è forse il film
meno intelettuale e più divertente film di Arcand, ma dentro racchiude una morale
amarissima: è proprio rifugiandosi nei sogni che l’uomo
contemporaneo dimostra di
non essere neanche più in
grado di sognare.
NOTE di Denys Arcand
Grazie al successo de “Le Invasioni Barbariche” ho trascorso
un anno in giro per il mondo a rilasciare interviste. Dopo tre
mesi di questa vita ho pensato: “C’è qualcuno al mondo che
vorrebbe stare al mio posto?” E così ho cominciato ad immaginare un individuo che non è mai apparso in TV, a cui nessuno ha mai messo un microfono davanti alla bocca, che sogna
di essere intervistato, di incontrare star del cinema e di dire
la sua sulla società. Ho scritto il ruolo pensando a Marc
Labrèche, un comico famosissimo in Quebec. Abbiamo passato un giorno insieme per parlare di un altro progetto, proprio prima che io cominciassi a scrivere “L’età barbarica”, e
mi sono reso conto che ridevamo delle stesse cose, che eravamo esattamente sulla stessa lunghezza d’onda. La sfida
per me era quella di capire come questo individuo ordinario
potesse riuscire a fare qualcosa della sua vita. Che soluzioni
potevo trovare per lui?... Non è che io non abbia niente da
dire sul mondo in cui viviamo, è che posso dirlo solo sotto
forma di una storia. Ma è una storia con aspetti simbolici,
questo sì. Non potrei mai fare un dramma a tutto tondo, così
come non potrei mai realizzare novanta minuti di pura commedia. I miei film oscillano sempre tra commedia, tragedia,
farsa, melodramma... E’ per questo che faccio il regista e non
l’attivista politico, perché tendo a vedere sempre i due lati di
ogni problema.
DENYS ARCAND
Deschambault, Québec, Canada, 1941
Ha girato il suo primo film nel 1971 DIRTY MONEY selezionato per la Settimana della Critica al
festival di Cannes. Nel 1973 RÉJANNE PADOVANI
è stato selezionato per la Quinzaine de Réalisateurs e per il New York Film Festival. A questi
hanno fatto seguito GINA (1978), COMFORT AND
INDIFFERENCE (1980), MURDER IN THE
FAMILY (1984). Nel 1987, ha realizzato IL DECLINO DELL’IMPERO AMERICANO, suo primo
vero successo internazionale. Nel 1989 ha diretto
JESUS OF MONTREAL che ha vinto due premi a
Cannes. Nel 1996 ha girato il suo primo film in
inglese LA NATURA AMBIGUA DELL’AMORE e
nel 2000 STARDOM che è stato presentato fuori
concorso a Cannes. Nel 2003 ha scritto e diretto LE
INVASIONI BARBARICHE che ha vinto il premio
Oscar come Miglior Film.
LUNEDÌ 21 APRILE
PARANOID PARK
incalza cercando di destarlo dal suo “calcolato”
torpore. Proprio come un
antieroe dostoevskijano, Alex intraprende un
lungo viaggio nella
propria coscienza,
decidendo però di
“non scegliere”, lasciando che sia il
silenzio a determinare il suo destino.
di Gus Van Sant
Regia Gus Van Sant Sceneggiatura Gus Van Sant tratto dal romanzo omonimo di Blake Nelson Fotografia
Christopher Doyle, Kathy Li Montaggio Gus Van Sant
Interpreti Gabe Nevins, Daniel Liu, Taylor Momsen,
Jake Miller, Lauren McKinney, Winfield Jackson,
Joe Schweitzer, Grace Carter, Scott Patrick Green,
John Michael Burrowes, Gus Van Sant Produzione
MK2 Productions Distribuzione Lucky Red
STATI UNITI 2007 - 90 minuti
60 °Festival del Cinema di Cannes 2007 In concorso
Il suo regista l’ha definito “una specie di Delitto e
castigo ambientato al liceo”, ma senza dubbio sembra
innanzitutto la continuazione di un discorso che Gus
Van Sant ha iniziato coi suoi primi film “Mala Noche”
e “Drugstore Cowboy” e che è proseguito coi film successivi. Ancora una volta ragazzi, adolescenti, e ancora una volta “belli e dannati”. Dopo la cosiddetta “trilogia del pedinamento”, Van Sant ha tratto la sua
nuova pellicola dal romanzo dello scrittore Blake
Nelson (nato e residente a Portland, proprio come Van
Sant). “Paranoid Park” è una storia di colpa ed espiazione fra gli skaters di Portland. Il protagonista di Van
Sant è Alex, un sedicenne biondo ed efebico, che reca
con sé un senso di colpa che lo lacera, l’uccisione di
un agente di sorveglianza, colpito dal ragazzo con il
suo skateboard durante un inseguimento, colpo che
ha spedito l’uomo direttamente sotto un treno merci in
transito uccidendolo sul colpo. Il conflitto fra coscienza e istinto di autoconservazione induce Alex da un lato
al silenzio, dall’altro all’isolamento, negandosi tanto
alle attenzioni degli amici (i sodali skaters con cui condivide una sorta di mutua assistenza) quanto a quelle
della sua ragazza (con la quale inscena una maldestra
“prima volta” che simbolicamente approda a uno
scacco) e di un’altra coetanea che lo provoca e lo
NOTE di Gus Van Sant
Ho deciso di adattare il romanzo di Blake Nelson innanzitutto perché la storia si svolgeva a Portland, una città che ho
sempre amato. E poi era la storia di un giovane skater, per di
più in una situazione difficile e molto soffocante, caratteristiche per me molto interessanti. Ho giocato molto con la struttura del romanzo. Ci sono poche cose del libro che non sono
nel film, ma strutturalmente tutto è stato molto manipolato.
Ho scelto di girare sia in super 8 che in 35 mm perché il supporto dei film su skate è il super 8, o anche il digitale, e poiché nel film vengono utilizzate queste immagini, abbiamo
deciso di girare qualche sequenza supplementare sullo stakeboard in super 8. È decisamente più difficile tenere una
macchina da presa più grande tenendosi in equilibrio su una
plancia. Il 35 mm, inoltre, è troppo costoso perché possa
essere utilizzato normalmente da coloro che realizzano filmati sugli skateboard. In ogni caso, tutto il resto del film è girato in 35 mm, che rimane a mio avviso il supporto migliore.
GUS VAN SANT Louisville, Kentucky, 1948
Gus Van Sant è diventato famoso con il suo primo
lungometraggio, MALA NOCHE (1985), premiato
nel 1987 per la categoria Miglior Film
Indipendente dal Los Angeles Film Critics. I suoi
film segnano profondamente il cinema americano indipendente degli anni ‘90, in particolare
DRUGSTORE COWBOY (1989), BELLI E DANNATI (1991) e COWGIRLS (1993). La sua commedia nera, DA MORIRE (1995), con Nicole
Kidman, è stata presentata al Festival di Cannes
e al Festival di Toronto. WILL HUNTING (1997),
nominato nove volte agli Oscar, ha fatto ottenere
a Gus Van Sant una nomination per la categoria
Miglior Regista. Dopo il remake di PSYCHO
(1998), gira SCOPRENDO FORRESTER (2000), e
GERRY (2002). Nel 2003 realizza ELEPHANT,
Palma d’oro per il Miglior Film. Nel 2005 è nuovamente presente al Festival di Cannes nella
selezione ufficiale in concorso con LAST DAYS.
“Gioisci dunque, o vivente!
di questo posto riscaldato dall’amore
prima che il fatale Lete bagni il tuo piede fugace!”.
Johann Wolfgang von Goethe - Elegie Romane
L’essere umano è sempre in bilico tra la grandezza e il
baratro della miseria, tra la gioia e la tristezza, tra la
fiducia in sé stesso e la paura di non farcela.
Nell’alternanza tra il riso e il pianto, la vita è una commedia con un finale tragico o una tragedia piena di
avvenimenti comici. Il film dell’originalissimo svedese
Roy Andersson mischia la gioia di vivere, espressa da
un umorismo burlesco, a una visione piuttosto disperata dell’essere umano e del mondo contemporaneo. Nel
film - il quarto in 37 anni di carriera del regista/produttore vincitore a Cannes nel 2000 del Premio della Giuria
con “Songs From The Second Floor” - Roy Andersson
eccelle nel suo stile caratteristico fatto di artifici tecnici, di brillante composizione teatrale e di atmosfere
suggestive. La narrazione è composta da una cinquantina di scene di vita quotidiana di abitanti di una grande città, a creare un geniale puzzle sul destino, un’opera degna di nota per le qualità stilistiche fuori dal
comune del regista e la moltitudine di temi profondi e
universali abbordati con umorismo bizzarro e sconvolgente. Andersson mescola storie buffe, disperate e
grottesche in un’idea di cinema originale che confina
con Lars Von Trier e col nichilismo di Kaurismaki.
LUNEDÌ 28 APRILE
LA PROMESSA DELL’ASSASSINO
di David Cronenberg
Eastern Promises
Regia David Cronenberg Sceneggiatura Steven Knight
Fotografia Peter Suschitzky Montaggio Ronald Sanders
Musiche Howard Shore Interpreti Viggo Mortensen,
Naomi Watts, Vincent Cassel, Armin Mueller-Stahl,
Sinéad Cusack, Jerzy Skolimowski Produzione
Serendipity Point Films, BBC Films Distribuzione Eagle.
CANADA/GRAN BRETAGNA 2007 - 100 minuti
In una Londra notturna e piovosa si compiono due differenti destini. Un omicidio rituale apre le danze di una
guerra tra opposte fazioni di immigrati dell’Est-Europa,
mentre una ragazza, poco più che adolescente e priva
di documenti di identità, muore dando alla luce una
bambina. L’ostetrica Anna Khitrova dopoaver trovato il
diario della giovane, inizia le sue incaute indagini, volte
a rintracciare i parenti prossimi della vittima. Il diario è
però scritto in cirillico, e l’unico indizio comprensibile è
il biglietto da visita di un ristorante tradizionale russo…
Con “Eastern Promises” (“La promessa dell’Est”, titolo
decisamente più appropriato di quello italiano), David
Cronenberg realizza forse il suo film più aderente ai
canoni del thriller urbano con annesso sottomondo
mafioso. Se la precedente pellicola di Cronenberg ci
offriva una limpida parabola sulla violenza tout court,
con “Eastern Promises” moltiplica le chiavi di lettura,
la complessità delle riflessioni, abilmente incastonate
tra le pieghe del racconto, ponendo al centro del suo
discorso il tema del sacrificio. La sceneggiatura, opera
di Steve Knight, è solida e lineare, il thriller ha un’andatura tesa e implacabile, e la resa realistica della violenza cattura lo spettatore in una morsa, mentre lo stile
inappuntabile della regia ci regala momenti di intenso
piacere visivo, amplificato da uno humour tagliente
che sottolinea le mille sfaccettature dell’animo umano.
ROY ANDERSSON Gothenburg, Svezia, 1943.
Il suo primo lungometraggio, A SWEDISH LOVE
STORY, si aggiudica il premio alla Berlinale IFF
1970. GILIAP, il suo secondo film, viene presentato
alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes nel 1976.
Nel 1981 fonda lo Studio 24 per poter produrre e realizzare i propri film in tutta libertà. Dopo Something
Happened (1987) e World of Glory (1991), due corti
che si sono aggiudicati i premi più prestigiosi, gira
SONGS FROM THE SECOND FLOOR vincendo il
Premio Speciale della Giuria a Cannes nel 2000. YOU,
THE LIVING è il suo quarto lungometraggio.
penso che in alcuni casi la gente debba vedere per
capire che cosa è veramente la violenza. Forse non è
politicamente corretto, ma non ho mai apprezzato il
politicamente corretto, che spesso è un grosso limite
per l’espressione artistica. Il film comunque non è
ovviamente solo questo. E’ un intreccio di drammi famigliari in una subcultura all’interno di una cultura molto
forte, con tutte le evidenti contraddizioni. E’ questo il
cuore del film.
DAVID CRONENBERG Toronto, Canada, 1943
Nel 1963 si iscrive all'Università di Toronto, ma
durante il primo anno di studi ha lasciato le scienze naturali per specializzarsi in lingua e letteratura inglese. In quel periodo noleggia una cinepresa
16 mm e realizza due brevi film, Transfer (1966) e
From the Drain (1967). Negli anni seguenti, dirige
alcuni programmi per la televisione canadese, e
nel 1975 realizza IL DEMONE SOTTO LA PELLE.
Dopo SETE DI SANGUE (1977) e BROOD (1979)
dirige SCANNERS (1981), seguito da VIDEODROME (1983) e da LA ZONA MORTA (1983). Nel 1986
realizza LA MOSCA. Due anni dopo, esce INSEPARABILI (1988), con Jeremy Irons. Negli anni
Novanta, David Cronenberg dirige IL PASTO
NUDO (1991), M. BUTTERFLY (1993), CRASH
(1996), ed EXISTENZ (1999). Nel 2002 presenta
SPIDER e nel 2005 A HISTORY OF VIOLENCE.
NOTE di David Cronenberg
Mi ha attratto l’idea di una cultura esportata da emigrati che ripropone in un altro paese lo stile di vita della
patria di origine, creando una società chiusa, quasi
impermeabile al costume e alle regole del paese che li
ospita. Non a caso nel film non si vedono i pub o gli
scorci più conosciuti di Londra… Essendo un film sulla
mafia russa i personaggi fanno della violenza una professione, dovevo mostrarla, era inevitabile. Il problema
è sempre lo stesso: è giusto mostrare la violenza? Io
TABORELLI ANGELO s.a.s.
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PROGETTAZIONE EDIZIONE IMMAGINI
CAVALLASCA
Lunecine interno 08
19-12-2007
16:17
Pagina 7
LUNEDÌ 5 MAGGIO
tale limite in una ricchezza
espressiva senza pari.
Spettacolo unico ore 21.00
Alla proiezione sarà presente il regista Giorgio Diritti
IL VENTO FA IL SUO GIRO
di Giorgio Diritti
E l’aura fai son vir
Regia Giorgio Diritti Sceneggiatura Giorgio Diritti, Fredo
Valla Fotografia Roberto Cimatti Montaggio Edu Crespo,
Giorgio Diritti Musiche Marco Biscarini, Daniele
Furlati Interpreti Thierry Toscan, Alessandra Agosti,
Dario Anghilante, Giovanni Foresti, Caterina Damiano,
Giacomo Allais, Daniele Mattalia, Ines Cavalcanti,
Kevin Chiampo, Frédérique Chiampo. Produzione AranciaFilm, Imago Orbis Audiovisivi Distribuzione Lab 80
ITALIA 2005 - 110 minuti
16° Bergamo Film Meeting 2005 Rosa Camuna d’Oro
Premio del pubblico
Nel contesto montano delle Alpi occitane italiane,
Chersogno é un piccolo villaggio la cui sopravvivenza é
legata ad alcune persone anziane ed a un fugace turismo estivo. In questa piccola comunità arriva un pastore francese, accompagnato dalla sua giovane famiglia,
le sue capre e la sua piccola attività da imprenditore
formaggiaio. Ben accolto, se pur non a braccia aperte,
il suo arrivo diventa la dimostrazione di una possibile
rinascita del paese. Ma, un po’ alla volta, le condizioni
di vita divengono sempre più difficili, tra incomprensioni, rigidezze e un pizzico di invidia... Primo lungometraggio di Giorgio Diritti, esemplare sempre più raro di filmaker a trecentosessanta gradi che si è formato uno
sguardo e uno stile lavorando per anni all’ombra di
grandi maestri, il film riunisce in sé il meglio di tutte le
vocazioni “testimoniali” che gravitano intorno al cinema italiano. C’è il senso del paesaggio di Franco Piavoli,
l’attenzione ai particolari espressivi del corpo umano di
Olmi, la concretezza del racconto di De Seta; il tutto
tenuto insieme da un lirismo che scaturisce quasi spontaneamente dalle singole verità che ciascun personaggio e ciascuno scorcio di paesaggio reca con sé. Per
realizzare “Il vento fa il suo giro” (che esce nelle sale
dopo due anni ed è stato realizzato grazie alla tassazione volontaria di tutti i componenti della troupe), Diritti
gira con uno stile volutamente e al tempo stesso
“necessariamente” povero, ma riesce a trasformare
NOTE di Giorgio Diritti
La storia si svolge nelle valli occitane del Piemonte. Protagonista è un
ex professore francese, alla ricerca
di un’esistenza secondo i tempi
della natura per sé e la sua famiglia. L’uomo si è fatto contadino-pastore e viene a insediarsi a Chersogno. Uomo e natura: un equilibrio difficile in relazione in particolare allo sviluppo, ma anche un richiamo forte
che accomuna molte persone scontente della loro vita ed
alla ricerca delle sensazioni primordiali dell’esistere. Tra i
temi posti in sottotraccia vi è certamente il rapporto di soddisfazione ed insoddisfazione che hanno i vari personaggi
nei confronti della vita. Le loro scelte e i loro umori sono lo
specchio di queste sensazioni. Non si cerca quindi di proporre riflessioni sull’ecologismo, c’è al contrario l’osservazione
di uomini che cercano un’identità che gli corrisponda, credono di poterla gestire, costruire, o di altri che non la identificano più, avendo fatto proprio il ruolo che gli schemi della
società o le amarezze della vita gli hanno costruito attorno.
La “diversità” come disagio o arricchimento a seconda delle
posizioni dei diversi protagonisti. La “diversità” è l’elemento
scatenante del conflitto, che mette in discussione le certezze, le convinzioni, condiziona gli eventi, le scelte, trasforma
le persone, ne ribalta il ruolo. Senza contatto, scambio di
valori e accoglienza, non può esserci sviluppo umano e qualità dell’esistere e sembra inevitabile che solo la dimensione tragica possa risvegliare nell’uomo una coscienza, da cui
possa germogliare una dimensione di speranza e di fiducia.
GIORGIO DIRITTI
Ha sviluppato la sua formazione prestando la sua
opera in diversi film di autori italiani, ed in particolare con Pupi Avati. Ha anche realizzato vari casting
per film in Emilia Romagna, tra cui “La Voce della
Luna” di Federico Fellini. Ha partecipato all’attività
di Ipotesi Cinema, istituto per la formazione coordinato da Ermanno Olmi. Come autore e regista ha
realizzato numerosi documentari, produzioni editoriali e televisive. E IL VENTO FA IL SUO GIRO è
il suo primo lungometraggio.
LUNEDÌ 12 MAGGIO
spettacolo unico ore 21.00
Alla proiezione sarà presente il regista Marina Spada
COME L’OMBRA
di Marina Spada
Regia Marina Spada Sceneggiatura Daniele Maggioni
Fotografia Sabina Bologna, Giorgio Carella Immagini
Gabriele Basilico Montaggio Carlotta Cristiani Musiche
Tommaso Leddi Interpreti Anita Kravos, Parolina Dafne,
Paolo Pierobon, Patrizia Oliati, Loris Carraio, Graziella
Comana, Lorenzo Lastrucci, Cristina Corradi,
Alessandro Codaglio, Alessandro Stellucci. Produzione
Ombre Film, Film Kairòs. Distribuzione Istituto Luce.
ITALIA 2006 - 87 minuti
Come vuole l’ombra staccarsi dal corpo
Come vuole la carne separarsi dall’anima
Così adesso io voglio essere scordata
(Anna Achmatova, “A molti”, 1922)
Il racconto ruota intorno alla storia di due donne: la
trentenne Claudia e Olga, una ragazza ucraina un po’
più giovane. Claudia lavora in un’agenzia di viaggi e la
sera studia russo. La sua vita si svolge con una continuità abitudinaria cui lei non oppone resistenza; solo
piccole manie compulsive fanno da contrappunto alla
routine quotidiana. Una sera al corso di russo si presenta un nuovo insegnante di origine ucraina, Boris, un
quarantenne di bell’aspetto e dall’aria intelligente. Tra
Boris e Claudia nasce poco a poco un’attrazione. Una
sera di fine luglio torna a farsi vivo Boris: deve trovare
un posto dove sistemare una “cugina” venuta
dall’Ucraina a cercare fortuna. Nella vita di Claudia
arriva così Olga: tra le due si stabilisce, dopo la diffidenza iniziale, un rapporto di complicità e Claudia
riconsidera la propria esistenza, stimolata dalla naturalezza con cui Olga agisce... Ritratto elegante e poetico di una città invisibile e dello sguardo di una donna,
la costruzione dell’immagine è molto accurata nel
rispecchiare la personalità della protagonista, “Come
l’ombra” è un film non convenzionale: nei tagli, nelle
inquadrature, nei colori con cui la fotografia di
Gabriele Basilico ritrae una Milano estiva quasi disabitata. Porta alla luce una Milano nascosta. Le vite di
Claudia e della sua famiglia, come quelle di molti altri,
scorrono lente e malinconiche, tra gli edifici enormi
delle periferie. Marina Spada si muove tra i palazzi e i
ritrovi degli immigrati, e tra le loro abitazioni fatiscenti,
entra in modo delicato, nell’altro mondo della metropoli, quello desolato, abbandonato a se stesso, per confrontarsi e indagarlo con discrezione e partecipazione.
NOTE di Marina Spada
Protagonista è una ragazza sui 30 anni che fa una vita apparentemente bella, gratificante, ma in verità fruga in una solitudine assoluta e soprattutto spera sempre d’incontrare
qualcosa o qualcuno che gli cambierà l’esistenza. E nel frattempo aspetta, non capendo che la tua vita te la salvi tu. Lei
spera di riempire il suo vuoto con un amore, in verità lo riempie con un’altra persona, e poi succedono delle cose per cui
la sua posizione rispetto alla vita sarà un’altra. Si tratta di
quelle cose quotidiane che tu pensi non ti succedano mai,
ma in verità succedono, e lì devi prendere una posizione. Lei
lo fa... E’ come i miei precedenti lavori: perché parla di
Milano, perché non è consolatorio, perché c’è la poesia,
questa volta di Anna Akmatova, che è una grande poetessa
russa morta all’inizio degli anni ‘60. Ha scritto prima, durante e dopo la Rivoluzione. Durante lo Stalinismo, come
Pasternak è rimasta vicina al suo popolo, ha scelto di restare a vivere nel proprio paese...
MARINA SPADA
Ha iniziato l’attività professionale nel ‘79 come
assistente alla regia in Rai. Negli anni ‘80 ha collaborato con le principali case di produzione
pubblicitarie e diretto numerosi documentari e
servizi televisivi. Da metà degli anni ‘90 alterna il
lavoro di docente presso la Scuola di Cinema di
Milano con l’attività di regista. Tra i suoi lavori i
videoritratti di Arnaldo Pomodoro, Fernanda
Pivano, Francesco Leonetti, Gabriele Basilico,
Mimmo Jodice, Mario De Biasi, il cortometraggio
“L’astice” con cui ha vinto numerosi premi e il
lungometraggio FORZA CANI, una delle prime
esperienze di produzione indipendente e digitale
realizzate in Italia.
SABATO 11 E DOMENICA 12 MAGGIO
Orari e titoli da definire
ReSpiri(ti)(c)
Primo Festival del Cinema Invisibile di Como
Il Primo Festival dedicato al cinema invisibile di Como si propone di valorizzare e promuovere la diffusione, la conoscenza e la fruizione del cinema indipendente italiano, favorendo lo scambio e il confronto tra espressioni artistiche diverse e incoraggiando i giovani alle professioni dello spettacolo.
ReSpiri(ti) perché tutto il tessuto della cinematografia indipendente italiana costituisce il fulcro della
nostra espressione artistica, la speranza di un nuovo rilancio della settima arte nel nostro paese, la certezza di avere, appunto, dei nuovi “Respiri” per credere e sperare in una rinascita della nostra cinematografia. “Spiriti” perché questi film sono, purtroppo, prodotti invisibili, soffocati da un sistema distributivo e produttivo che non ne valorizza le potenzialità, molto spesso però questi “fantasmi” hanno una
dignità e una ragion d’essere che supera abbondantemente il valore medio dei prodotti cinematografici
distribuiti canonicamente. Sono spiriti regali, invisibili nel manifestare silenziosamente la loro nobiltà:
sono i nostri “Re Spiriti”.
MERCOLEDÌ 14 MAGGIO
BANDITI A ORGOSOLO
di Vittorio De Seta
Regia Vittorio De Seta Soggetto e sceneggiatura Vera
Gherarducci e Vittorio De Seta Fotografia Elio
Balletti e Luciano Tovoli Montaggio Vittorio De Seta
e Fernanda Papa Musica Valentino Bucchi Interpreti
principali Michele Cossu, Peppeddu Cuccu e
Vittorina Pisano. Produzione Titanus.
ITALIA 1961 - 98 minuti
Copia proveniente dal Centro Sperimentale
di Cinematografia - Cineteca Nazionale.
In collaborazione con il Centro Sperimentale
di Cinematografia - Cineteca Nazionale.
… De Seta era una figura leggendaria e misteriosa.
Aveva realizzato solo tre film negli anni Sessanta (il
primo dei quali, “Banditi a Orgosolo”, un capolavoro
indiscusso) per poi scivolare, insieme ai suoi film, in
una sorta di oblio. Ricordo distintamente di aver assistito alla proiezione di “Banditi” al New York Film
Festival all’inizio degli anni Sessanta. Uno dei film più
insoliti e straordinari che avessi mai visto. La storia è
semplice: un pastore, ingiustamente accusato di un
crimine che non ha commesso è braccato in un paesaggio arido e silenzioso. Il suo gregge muore di fame
e lui, ormai ridotto alla miseria, è costretto a diventare
un bandito. Ma il film è anche la storia di un’isola e
della sua gente. Ambientato sulle montagne della
Barbagia, in Sardegna, il film rivela un mondo arcaico,
incontaminato, dove la gente si esprime in un dialetto
antico e vive secondo le regole di una volta, considerando il mondo moderno estraneo e ostile. In loro, De
Seta riscopre le vestigia di una società antica attraverso la quale risplende una nobiltà perduta. Lo stile
del film mi colpì profondamente. Il neorealismo era
stato condotto su un altro livello, in cui il regista partecipava completamente alla narrazione, in cui la linea
di demarcazione tra forma e contenuto era stata
annullata e in cui erano gli eventi a dettare la forma. Il
senso del ritmo di De Seta, il suo uso della macchina
da presa, la sua straordinaria abilità nel fondere i personaggi con l’ambiente circostante, furono per me una
completa rivelazione. De Seta era un antropologo che
si esprimeva con la voce di un poeta.
Da dove veniva questa voce? L’inquietudine, il senso di
spiazzamento, mi hanno accolto dalle prime immagini,
mi sentivo impreparato di fronte a ciò che stavo
vedendo. Sono stato sopraffatto da un’emozione
intensa, come se avessi oltrepassato lo schermo e mi
fossi ritrovato in un mondo che non avevo mai conosciuto, ma che improvvisamente riconoscevo. Un
mondo crepuscolare. Quella che stavo guardando era
la mia cultura ancestrale che volgeva alla sua fine, a
un passo dal suo ingresso nella sfera del mito. Di cosa
era composta questa alchimia? Era il cinema nella sua
essenza, in cui il regista non registra la realtà, ma la
vive in prima persona. Un cinema che aveva il potere
dell’evocazione religiosa. Era il cinema nella sua
espressione migliore, capace di trasformare, che mi
aveva permesso di capire cose
mai capite prima d’ora e di vivere
emozioni a me sconosciute. Mi
sembrava di aver fatto un viaggio
in un paradiso perduto.
Martin Scorsese su “Banditi a
Orgosolo”
Testo scritto appositamente in
occasione della presentazione
della versione restaurata alla
Mostra d'arte cinematografica di
Venezia 2005.
VITTORIO DE SETA Palermo, Italia, 1923
Nel 1941 si iscrive a Roma alla facoltà di
Architettura. Nel 1945, riprende a studiare e
comincia a occuparsi di cinema e fotografia. A
partire dalla metà degli anni Cinquanta De Seta
dirige una serie di documentari che gli frutteranno numerosi riconoscimenti in Italia e all’estero.
Nel 1961 vince alla Mostra del cinema di Venezia
il Premio Opera Prima per il lungometraggio
BANDITI A ORGOSOLO. Regista di pochi e calibrati film, dagli anni Settanta lavora per la RAI,
firmando documentari-inchiesta di successo. De
Seta torna al cinema con i documentari “In
Calabria” (1993) e “Dedicato ad Antonino
Uccello” (2002). Il suo ultimo lungometraggio a
soggetto è LETTERE DAL SAHARA (2006), racconto del viaggio di un immigrato clandestino
nell’Italia di oggi.
Filmografia
1961 BANDITI A ORGOSOLO - 1966 UN UOMO A
METÀ - 1970 L’INVITATA - 1973 DIARIO DI UN
MAESTRO - 2006 LETTERE DAL SAHARA.
LUNEDÌ 19 MAGGIO
Spettacolo unico ore 21.00
COUS COUS
di Abdel Kechiche
La graine et le mulet
Regia Abdellatif Kechiche Sceneggiatura Abdellatif
Kechiche Fotografia Lubomir Bakchev Montaggio
Ghalia Lacroix Scenografia Benoit Barouh Costumi
Maria Beloso Interpreti Habib Boufares, Marzouk
Bouraouïa, Faridah Benkhetache, Sabrina Ouazani,
Alice Houri, Olivier Loustau, Bruno Lochet, Carole
Franck. Produzione Pathe Films Distribuzione Lucky Red.
FRANCIA 2007 – 151 minuti
64° Mostra del Cinema di Venezia 2006
Gran Premio della Giuria
Slimani, 60 anni, lavoratore del porto di Sète, si trascina stancamente sul cantiere navale per un lavoro che,
con l’età, è diventato insostenibile. Padre di famiglia,
divorziato, continua a restare vicino alla sua ex moglie
e ai figli, nonostante una storia familiare fatta di rotture e tensioni che le difficoltà finanziarie non fanno che
acuire. Slimani attraversa un periodo delicato e tutto
contribuisce a far crescere in lui un sentimento di inutilità. Una sensazione che vorrebbe scrollarsi di dosso
realizzando un sogno: un ristorante di sua proprietà.
Impresa alquanto improbabile, che non gli impedisce
di sognare e di parlarne, soprattutto in famiglia. Una
famiglia che pian piano si unisce intorno al progetto,
diventato per tutti il simbolo della ricerca di una vita
migliore... Il film Leone virtuale dell’ultimo festival di
Venezia, quello che tutti aspettavano come vincitore.
“La graine et le mulet”, il film del franco-tunisino
Abdellatif Kechiche, colpisce al cuore. La "ricetta" del
cinema di Kechiche è sapiente e saporita. Con il suo
piglio documentaristico, sostenuto dalla macchina da
presa incollata ai corpi, ai movimenti e alle espressioni dei protagonisti e dalla nutrita partecipazione di un
gruppo di comprimari non professionisti, Kechiche
inscena un racconto corale, tra commedia e neo-realismo, toccando temi come il razzismo nascosto dei francesi, le contraddizioni e le
invidie dentro
la comunità tunisina, le relazioni
uomodonna e quelle
generazionali.
Un respiro ampio e profondo, fatto di un rigoroso lavoro con gli attori. Il suo metodo risente della sua provenienza teatrale e dunque punta molto al lavoro sul set,
mettendo in campo una veridicità di dialoghi e una giustezza di volti e di gesti davvero ammirevole e impressionante. Un racconto così semplice superficialmente
ma così denso di significati simbolici in un film fino
all'ultimo respiro che ci consegna momenti di autentico grande cinema.
NOTE di Abdellatif Kechiche
L'intento era quello di raccontare un ambiente, in questo
caso una famiglia maghrebina emigrata in Francia. Ed
erano due le dimensioni che ero interessato a esplorare.
L'ambiente familiare intorno al quale creare cose ordinarie e quotidiane con un piglio romanzesco. Conferire a
questa famiglia naturalezza, senza cadere nei clichè ed
evitando spettacolarizzazioni e allo stesso tempo creare
una dimensione contemplativa in cui i personaggi vivono,
piangono, si disperano, in poche parole volevo cogliere l'istante vitale di un gruppo di persone. La vita stessa. Non
volevo raccontare di Slimane in quanto operaio o immigrato, ma come essere umano con le sue difficoltà, i suoi
silenzi, i suoi problemi sessuali, i suoi fantasmi. Non so
dire se questo sia un film sugli emarginati. Non amo le
categorizzazioni, io mescolo molte varianti. Una volta che
comincio a girare so già cosa devo fare alla perfezione,
proprio grazie al gran numero di prove svolte precedentemente. Qui la mia formazione teatrale emerge perentoriamente. Poi con la cinepresa mi prefiggo il compito di
cogliere l’essenza di ciò che filmo, e la magia della storia
e dei personaggi che racconto
ABDELLATIF KECHICHE Tunisi, Tunisia, 1960
Si trasferisce a Nizza nel 1966 e a metà degli anni
Ottanta si fa conoscere recitando per autori come
André Téchiné e Abdelkrim Bahloul. Nel 2000
esordisce alla regia con TUTTA COLPA DI VOLTAIRE che riceve il premio Miglior Opera Prima al
festival di Venezia. Ma la vera consacrazione arriva con LA SCHIVATA, vincitore di due premi Cèsar, tra cui quello di Miglior film francese del 2003.
Lunecine interno 08
19-12-2007
16:17
Pagina 8
LUNEDÌ 14 GENNAIO
ACROSS THE UNIVERSE
di Julie Taymor
spettacolo unico ore 21,00
MERCOLEDÌ 12 MARZO
CRAJ
di Davide Marengo
21 GENNAIO
AI CONFINI DEL PARADISO
di Fatih Akin
17 MARZO
TIDELAND
di Terry Gilliam
28 GENNAIO
GLI AMORI DI ASTREA E CÉLADON
di Eric Rohmer
spettacolo unico ore 21,00
MERCOLEDÌ 26 MARZO
IL DESTINO
di Youssef Chahine
4 FEBBRAIO
4 MESI, 3 SETTIMANE E 2 GIORNI
di Cristian Mungiu
31 MARZO
NELLA VALLE DI ELAH
di Paul Haggis
11 FEBBRAIO
VIAGGIO IN INDIA
7 APRILE
L'ETÀ DELL'IGNORANZA
di Mohsen Makhmalbaf
di Denys Arcand
SABATO 16 E DOMENICA 17 FEBBRAIO
CINEMAMBIENTE
Selezione dal Festival Cinema Ambiente di Torino
14 APRILE
YOU, THE LIVING
di Roy Andersson
SABATO 16 ORE 20.30
DOMENICA 17 ORE 18.15
THE PLANET
di Michael Stenberg, Linus Torell, Johan Söderberg
SABATO 16 ORE 22.15
DOMENICA 17 ORE 16.30
A CRUDE AWAKENING
spettacolo unico ore 21,00
MERCOLEDÌ 16 APRILE
WEST BEIRUT
di Ziad Doueiri
21 APRILE
PARANOID PARK
di Gus Van Sant
di Basil Gelpke, Ray McCormack
SABATO 16 ORE 18.15
DOMENICA 17 ORE 20.30
LE VIE DEI FARMACI
di Michele Mellara, Alessandro Rossi
SABATO 16 ORE 16.30
DOMENICA 17 ORE 22.15
CHINA BLUE
di Micha X. Peled
28 APRILE
LA PROMESSA DELL'ASSASSINO
di David Cronenberg
spettacolo unico ore 21,00
MERCOLEDÌ 30 APRILE
UN TOCCO DI ZENZERO
di Tassos Boulmetis
5 MAGGIO
IL VENTO FA IL SUO GIRO
di Giorgio Diritti
18 FEBBRAIO
IL GRANDE NORD
di Nicolas Vanier
25 FEBBRAIO
IN QUESTO MONDO LIBERO
di Ken Loach
spettacolo unico ore 21,00
VENERDÌ 9 - SABATO 10 - DOMENICA 11
MAGGIO
CINEMA ITALIANO INDIPENDENTE
12 MAGGIO
COME L'OMBRA
di Marina Spada
MERCOLEDÌ 27 FEBBRAIO
ingresso libero
LO SGUARDO DI ULISSE
di Théo Angelopoulos
spettacolo unico ore 21,00
MERCOLEDÌ 14 MAGGIO
BANDITI A ORGOSOLO
di Vittorio De Seta
3 MARZO
MEDUSE
di Etgar Keret e Shira Geffen
spettacolo unico ore 21.00
19 MAGGIO
COUS COUS
di Abdel Kechiche
10 MARZO
L'EREDITÀ
di Per Fly
26 MAGGIO/2 GIUGNO
FILM DA DEFINIRE