Meteorologia di Roma 2012 - Agroscenari
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Meteorologia di Roma 2012 - Agroscenari
- CMA CRA-CMA Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura Unità di Ricerca per la Climatologia e la Meteorologia applicate all’Agricoltura Meteorologia di Roma 2012 Annata di “anomalie” a cura di Maria Carmen Beltrano CRA ROMA, 2013 CRA-CMA Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura Unità di Ricerca per la Climatologia e la Meteorologia applicate all’Agricoltura Via del Caravita, 7a - 00186 Roma Tel. 06 695311 – Fax 06 69531215 http://cma.entecra.it e-mail: [email protected] Autori: Dott. Luigi Perini, CRA-CMA, [email protected] Dott. ssa Maria Carmen Beltrano, CRA-CMA, [email protected] Dott. ssa Rosanna Di Bartolomei, Sapienza-DIAP Dott. ssa Francesca Greco, CRA-CMA, [email protected] Dott. Luigi Iafrate, CRA-CMA, [email protected] Ing. Riccardo Scano, CRA-CMA, [email protected] Dott. ssa Maria Cecilia Serra, CRA-ENC, [email protected] Grafica e impaginazione: Eleonora Gerardi e Maria Carmen Beltrano Foto di I e IV di copertina (Torre Calandrelli): foto ed elaborazione grafica di Eleonora Gerardi ROMA Copyright © CRA, 2013 Tutti i diritti riservati e – ISBN 978-88-97081-38-8 Indice Pag. Prefazione di Luigi Perini 1 Il concetto di benessere nell’ambito del paesaggio urbano Rosanna Di Bartolomei e Luigi Perini Bisogni e Benessere Ambiente e Paesaggio Paesaggio urbano e clima urbano Conclusioni Ringraziamenti Bibliografia 2 2 3 5 11 14 14 La misura della temperatura all’Osservatorio del Collegio Romano Maria Carmen Beltrano Ringraziamenti Bibliografia 16 La Piccola Età Glaciale nell’Arte: il 1600 o secolo del “Pessimum Climatico” Luigi Iafrate Riferimenti bibliografici essenziali 26 Il monitoraggio meteorologico e aerobiologico al Collegio Romano L’Osservatorio Meteorologico I dati 1. Variabili meteorologiche 2. Rilevamento aerobiologico 39 Le osservazioni meteorologiche del 2012 Gli estremi meteorologici dell’anno 2012 Sintesi meteorologica dell’anno 2012 43 67 68 Elaborazioni meteorologiche del 2012 Luigi Perini e Maria Carmen Beltrano 69 25 25 38 39 40 41 42 Pag. Commento all’andamento meteorologico del 2012 Maria Carmen Beltrano Un’ annata di anomalie La neve di febbraio Bibliografia 74 Le osservazioni aerobiologiche del 2012 84 Elaborazioni aerobiologiche del 2012 Maria Cecilia Serra e Francesca Greco 85 Commento all’andamento aerobiologico del 2012 Maria Cecilia Serra e Francesca Greco I pollini Le spore Riferimenti bibliografici 92 Il Contacellule digitale: download gratuito Riccardo Scano, Massimo Scaglione e Francesca Greco Introduzione Modalità di funzionamento Conclusioni 98 74 79 83 92 95 97 98 98 100 Prefazione Nella società moderna il valore della conoscenza e dell’informazione è immenso ed aiuta ciascuno di noi a superare i limiti della percezione soggettiva delle cose. In campo meteo-climatico, poi, diventa fondamentale avere riferimenti certi per non lasciarsi ingannare dai propri ricordi o dal giudizio personale che, molto spesso, risultano quasi sempre viziati dall’impossibilità di guardare a questi fenomeni dalla giusta ”altezza”. Da quando l’osservazione dei fenomeni meteorici si è potuta avvalere di strumenti di misurazione oggettivi, “Bollettini”, “Annuari” ed altre pubblicazioni del genere hanno rappresentato un modo semplice ma efficace di divulgare l’informazione e conservare la memoria di ciò che è realmente accaduto, al di là del caldo o del freddo, della pioggia o della siccità che ricordiamo di aver vissuto in passato. Nel DNA del CRA-CMA è fortemente radicata la tradizione di condividere con la città di Roma la conoscenza dei dati raccolti presso l’Osservatorio del Collegio Romano, così anche quest’anno, superando le solite difficoltà e qualche altro ostacolo ex novo, abbiamo voluto ancora una volta confezionare il nostro omaggio alla nostra Città e a tutti gli appassionati e cultori della materia. L. Perini Il concetto di benessere nell’ambito del paesaggio urbano Rosanna Di Bartolomei (1) e Luigi Perini (1) Università “Sapienza”, Dipartimento di Architettura e Progetto (DIAP) – Roma Bisogni e Benessere Nel trattato Arie, acque, luoghi, Ippocrate affermava l’esistenza di un legame forte e determinante fra i fattori climatici, le malattie e la salute riconoscendo l’impatto che l’ambiente poteva avere sull’Uomo. Ampliando il concetto oltre a quello strettamente sanitario, il “benessere” può essere definito come uno stato particolare dell’esistenza umana che, considerata la natura soggettiva delle percezioni, dipende da molteplici fattori in un certo equilibrio fra loro. La prima e forse più nota teoria scientifica sul benessere umano è quella formulata da Abraham Maslow1, in cui le necessità umane, opportunamente categorizzate all’interno di una struttura gerarchica, vengono schematicamente rappresentate dalla cosiddetta Piramide dei Bisogni (Figura 1): a partire dalla base, dove sono collocati i bisogni più istintivi e primitivi dell’Uomo, si sale man mano fino all’apice dove figurano i bisogni “emozionali” propri di un pensiero più evoluto. Secondo la teoria di Maslow, benché il bisogno non rappresenti la motivazione esclusiva che spinge ad agire, la propulsione a soddisfare le proprie necessità procede in senso ascendente e, affinché si possano percepire i bisogni di un livello superiore, è indispensabile che siano soddisfatti, anche in parte, i bisogni dei livelli sottostanti. Abraham Harold Maslow (1908-1970), psicologo statunitense, elaborò il concetto di "Hierarchy of Needs" (gerarchia dei bisogni o necessità) divulgandola nel 1954 attraverso il libro Motivation and Personality. Maslow definisce il bisogno come la mancanza totale o parziale di uno o più elementi che determinano il benessere della persona. 1 2 Figura 1 - Piramide dei Bisogni di Maslow. (Fonte:http://www.psicologiadellavoro.org) Benché la nozione di bisogno sia rapportata alla sfera individuale, il benessere si realizza quasi sempre in un contesto ambientale più ampio in cui i bisogni di ciascuno devono necessariamente commisurarsi ai bisogni della comunità ma, soprattutto, alle caratteristiche ed ai limiti dell’ambiente fisico circonvicino. In questo caso, i bisogni realizzabili possono considerarsi anche plausibili ed il benessere si può configurare come un obbiettivo equo e sostenibile, con ottime possibilità di essere realizzato anche in maniera durevole. Sembrerebbe pertanto lecito ipotizzare che il benessere dell’Uomo sia condizionato all’origine dall’ambiente (fisico e sociale) e che la piramide dei bisogni debba necessariamente poggiare proprio su tali fondamenta (Figura 2). Ambiente e Paesaggio Guardando specificamente all’ambiente fisico, la terminologia formale definisce Paesaggio la porzione dell’ambiente percepita e vissuta dall’individuo. Il Paesaggio, quindi, si identifica con una particolare forma dell’ambiente ma riassume in sé anche tutte le interrelazioni con l’Uomo. 3 Autorealizzazione Autostima Appartenenza Sicurezza Bisogni fisiologici Paesaggio sano Figura 2 - Piramide dei Bisogni in sinergia ambientale. (Rielaborazione grafica di R. Di Bartolomei) Il Paesaggio viene infatti delineato, sia dalle caratteristiche fisiche dell’ambiente, sia dalle espressioni socio-culturali che scaturiscono dalla relazione “circolare” con l’Uomo, sancendone anche il senso di appartenenza. In questo rapporto di reciprocità, la qualità del Paesaggio assume un duplice significato, culturale e sostanziale in grado di condizionare la qualità della vita dell’Uomo divenendo, a sua volta, immagine speculare della sua identità. Solo in un Paesaggio sano espressione di gradevolezza estetica, di benessere psicofisico e di armonia funzionale tutti gli elementi in esso presenti (case, montagne, strade, campi, fabbriche, fiumi, alberi, etc.) risultano tra loro in un rapporto di sinergia ambientale. La stessa Convenzione Europea del Paesaggio ha designato il Paesaggio come una parte di territorio il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni. Nel rapporto trasformativo che l’uomo instaura con la natura, è necessario che venga raggiunto un equilibrio che assicuri la soddisfazione dei bisogni attuali e quelli delle generazioni future. Il mancato raggiungimento di questo equilibrio crea alterazioni nell’ecosistema ambientale che ricadono inevitabilmente sullo stato di benessere dell’uomo. 4 Paesaggio urbano e clima urbano Il Paesaggio, proprio perché luogo dell’Uomo, ha subìto profonde metamorfosi nel corso della Storia. La spinta a soddisfare bisogni sempre più elevati ha comportato una continua evoluzione nell’organizzazione sociale ed economica generando forme di aggregazione umana via via più numerose e più complesse. Risultato di questo processo evolutivo è stato la nascita e la crescita degli insediamenti urbani che, al giorno d’oggi, hanno cambiato la percezione di Paesaggio di gran parte della popolazione mondiale. A fronte di una percentuale molto piccola di superficie terrestre occupata dalle città (appena lo 0,2%), circa la metà della popolazione mondiale vive ormai in centri urbani. In Europa, la percentuale di popolazione urbanizzata ammonta addirittura a oltre il 70%. Per gran parte della popolazione mondiale, quindi, il Paesaggio urbano è subentrato al preesistente Paesaggio rurale/naturale che, in virtù della stessa espansione urbana, è stato messo in crisi nella sua conformazione fisica, nella sua identità socio-culturale, nonché svilito da un generale impoverimento, indifferenziazione, banalizzazione e perdita di biodiversità. A parte la necessità di salvaguardare l’ambiente naturale ed il suddetto Paesaggio tradizionale (naturale/rurale), il rilevante numero di persone che vivono nei centri urbani rende ineluttabile l’esigenza di focalizzare l’attenzione anche sul nuovo archetipo di Paesaggio rappresentato dalla città. Una fra le priorità più importanti da considerare, constatate le notevoli ricadute sul benessere degli individui, è rappresentata dal clima urbano. Gli aspetti peculiari del clima urbano sono determinati in prevalenza dagli effetti della cosiddetta "isola di calore urbana" o “Urban Heat Island” (UHI) che configura l’ambiente urbano come un’isola bioclimatica in quanto luogo di peculiari eventi meteo-climatici, non solo termici. L’UHI trae origine da diverse cause concomitanti ma, in particolar modo, dalla percentuale di albedo espressa dalle superfici urbane, dalle qualità termiche dei materiali che ricoprono il suolo e le strutture della città (asfalto, cemento etc.), dalla conformazione e dall’orientamento delle 5 costruzioni in rapporto alla direzione e velocità del vento, dalla riduzione parziale o totale delle superfici evaporanti (Figura 3). Tutto ciò contribuisce a formare una sorta di cupola di calore, alta generalmente 150-200 metri che, soprattutto nei mesi invernali e nelle ore notturne, determina una vera e propria "inversione termica in quota". Figura 3 - Immagine fotografica (a sinistra) e immagine termica (a destra) di un centro densamente urbanizzato (Tokyo). L’immagine termica è stata ripresa nel mese di Ottobre nel tardo pomeriggio. (Fonte: http://publish.uwo.ca/~javoogt/index.htm) In generale, il bilancio radiativo ed il bilancio termico di un certo ambiente sono strettamente correlati tra loro. L’energia radiante emessa dal sole che raggiunge la superficie della Terra è fondamentalmente costituita da radiazioni elettromagnetiche ad onda corta. Una parte di essa viene assorbita e poi riemessa sotto forma di radiazione ad onda lunga (infrarosso, ovvero termica) nell'atmosfera. L'aria, quindi, viene riscaldata principalmente dalle emissioni del suolo e non direttamente dal sole. Il bilancio termico di una superficie naturale, come ad esempio un prato, è dato dai seguenti elementi Q+H+E+G=0 6 dove: Q è radiazione netta in tutte le lunghezze d'onda H è il calore sensibile, assorbito o trasmesso dall'aria o dalla superficie del suolo nel corso di una variazione di temperatura E è il calore latente, rilasciato o assorbito durante un cambiamento di stato dell’acqua (ad esempio, l’evaporazione comporta assorbimento di energia, mentre la condensazione comporta un rilascio di energia) G è il calore trasmesso per conduzione dal terreno Il bilancio termico di un’area urbana risulta più complesso per la presenza di edifici e di altre particolari strutture. Il bilancio termico deve pertanto comprendere un termine (Qp) per considerare gli scambi di calore con le superfici di strade e muri ed un termine (Qf) che rappresenta il calore di origine antropica generato dalla combustione di combustibili fossili: Q + Qp +H + E + Qf = 0 In queste schematizzazioni sono ignorati gli apporti di calore dovuti a fenomeni di avvezione. Tuttavia, se si assume che una città è piuttosto uniforme per quanto riguarda tipo ed uso del suolo, allora il fattore avvettivo è effettivamente trascurabile (Figura 4). La vicinanza alla città di poli industriali, soprattutto se di grandi dimensioni, è fonte di importanti emissioni (ed accumulo) di calore. Gli impianti siderurgici, ad esempio, irradiano mediamente ogni giorno nell'atmosfera urbana quattro volte più energia della radiazione solare in entrata. Allo stesso modo, nei mesi invernali il riscaldamento domestico emette ulteriore energia nell'atmosfera urbana, mentre la diffusione degli impianti di climatizzazione aggiunge un altro carico di calore all'aria già surriscaldata dell’estate. Non va dimenticato, inoltre, che la maggior parte dei materiali utilizzati per costruire una città sono caratterizzati da elevata conducibilità termica. In presenza di un differenziale termico fra l’esterno e l’interno di un edificio, si instaura un flusso di calore che attraversa lo spessore delle mura da una superficie all’altra (dall’esterno verso l’interno e/o viceversa). L’ambiente urbano, quindi, si raffredda più lentamente durante la notte di 7 un’area non urbana. I materiali edili, inoltre, sono caratterizzati anche da elevata emittanza termica o potere di irraggiamento, ovvero la capacità di una superficie di accettare o rilasciare calore. Figura 4 - Bilancio termico in ambiente naturale e in area urbana (rielaborazione grafica di L. Perini) Il Paesaggio urbano, oltretutto, è caratterizzato da una conformazione tridimensionale alquanto complessa creata dall’insieme di edifici e strade ad essi interposte. Questi particolari elementi, che riproducono un reticolo di canyon, influenzano in maniera particolare l'assorbimento della radiazione solare e, quindi, anche della temperatura delle superfici, dei tassi di evaporazione, della conservazione/irradiazione del calore e della direzione ed intensità del vento (Figura 5). L’accostamento del Paesaggio urbano a quello naturale dei canyon non è del tutto casuale. Le strade delimitate da file di edifici da entrambe le parti riproducono perfettamente la struttura dei canyon. La quantità di radiazione solare ricevuta da un canyon urbano nel suo complesso dipende dall'altezza degli edifici e dall’orientamento della strada. Inoltre, le proprietà dei materiali utilizzati per la costruzione di edifici e strade sono importanti, non solo a causa del loro potere di emissione termica, ma anche in relazione alle loro proprietà di riflettere la radiazione solare (albedo): nel canyon urbano, così come in quello naturale, si può infatti innescare il 8 cosiddetto fenomeno di “intrappolamento” dell’energia solare (solar trapping) quando, a causa del reiterato riverbero da una parete all’altra del canyon, aumenta la frazione di energia assorbita dalle superfici. Figura 5 - Bryce Canyon National Park- Utah (a sinistra); New York city (a destra). (Fonte: http://shineyourlight-shineyourlight.blogspot.it; http://www.hdwallpapers3d.com/) In generale, circa il 60% della radiazione netta viene rilasciato nell'aria sotto forma di calore sensibile e il 30% è immagazzinato nei muri e strade e appena il 10% viene utilizzato per i fenomeni di evaporazione dagli eventuali spazi verdi o specchi d’acqua presenti in città. Queste percentuali variano ovviamente da città a città e da zona a zona nella città stessa. Le condizioni degli strati più bassi dell'atmosfera risultano pertanto drasticamente modificate rispetto a quelle di altri ambienti più o meno naturali. La presenza umana e le correlate attività, come già accennato, producono inoltre ulteriori emissioni di calore, di vapore acqueo e di sostanze inquinanti con conseguente aggravamento degli effetti sulla qualità dell'aria al di sopra delle città. Su scale leggermente più ampie e in assenza di adeguati spazi aperti o altre misure di mitigazione, può anche portare a cambiamenti delle precipitazioni e alterare quasi ogni altro elemento climatico e meteorologico. Tutti gli studi confermano che l'isola di calore urbana è più intensa nelle ore notturne, diminuisce all'aumentare della velocità del vento e della copertura nuvolosa, risulta meno evidente in estate ed i campi di temperatura sono strettamente collegati alla superficie e conformazione degli edifici, al tipo di copertura/uso del suolo, alla presenza di vegetazione (spazi verdi urbani) e all’irraggiamento di calore 9 dovute alle attività antropiche. Ovviamente, al fine di individuare e studiare le caratteristiche del clima urbano è necessario operare un confronto con un sito di riferimento (sito “rurale” o “naturale”), in quanto è proprio dalla comparazione tra queste due differenti realtà che è possibile desumere le specificità dell’UHI. Da un’indagine condotta a Roma (Stazione del Collegio Romano vs Stazione Aeroportuale di Ciampino) e Milano (Stazione di Brera-Duomo vs Stazione Aeroportuale di Linate) è stato evidenziato un comportamento delle temperature minime e delle temperature massime abbastanza dissomigliante (Tabella 1) Le differenze fra i valori di temperatura minima registrati in ambiente urbano e in ambiente naturale/rurale tendono leggermente ad attenuarsi nei mesi più caldi permanendo, tuttavia, in maniera significativa per tutto l’arco dell’anno. I valori di temperatura massima, invece, risultano maggiormente correlati e con un andamento quasi coincidente presentando differenze significative solo in alcuni periodi dell’anno. Le ragioni di questi comportamenti risiedono nel fatto che le temperature minime derivano da condizioni termiche espresse dallo strato di atmosfera più prossimo al suolo, mentre le temperature massime, dipendendo in genere da riscaldamento per convezione e conseguente rimescolamento di tutta la massa d’aria sovrastante il suolo, sono rappresentative delle condizioni termiche della troposfera. Un discorso analogo può essere esteso alle temperature invernali rispetto a quelle estive per il lento rilascio di calore dal suolo e da tutte le altre superfici presenti nel tessuto urbano. Anche da questo specifico caso si può confermare che nelle ore diurne la differenza tra aree urbane ed extraurbane sia trascurabile per poi aumentare gradualmente durante le ore serali e notturne. 10 Milano Roma (Brera-Duomo vs Linate) (Coll. Romano vs Ciampino) Tmax mesi r gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic 0,91 0,93 0,97 0,96 0,96 0,95 0,92 0,94 0,95 0,96 0,92 0,89 t-Student p<0.05 * * Tmin Tmax r t-Student p<0.05 r 0,79 0,76 0,76 0,79 0,79 0,84 0,83 0,81 0,79 0,87 0,85 0,81 * * * * * * * * * * * * 0,92 0,96 0,95 0,95 0,95 0,93 0,90 0,91 0,95 0,96 0,95 0,92 t-Student p<0.05 * * * * * * Tmin r t-Student p<0.01 0,93 0,92 0,92 0,90 0,88 0,90 0,86 0,83 0,85 0,91 0,91 0,90 * * * * * * * * * * * * Tabella 1 - Coefficienti di correlazione e significatività (*) delle differenze fra temperature di siti "urbani" e "rurali" di Milano e Roma (Beltrano e Perini, 1997) Conclusioni La struttura urbana e l’architettura degli edifici giocano un ruolo basilare nel determinare i vari microclimi che si riscontrano nelle diverse zone della città che, di conseguenza, si riverberano anche sul comfort termico. Altezza e larghezza degli edifici, ampiezza ed orientamento delle strade, presenza o meno di verde pubblico sono elementi importantissimi della progettazione (o riqualificazione) delle aree urbane al fine di migliorare Paesaggio e clima urbani e, con essi, il benessere degli abitanti. Le temperature mediamente più elevate che si registrano nell’ambiente urbano rispetto a quelli rurali e naturali, impongono in ogni caso una riflessione approfondita, sia sulle conseguenze del surriscaldamento specifico delle città (local warming) sia sull’ulteriore inasprimento del fenomeno conseguente al surriscaldamento dell’intero pianeta (global warming). 11 Le particolari condizioni ambientali delle aree urbanizzate esigono un’attenta riflessione sui meccanismi che legano il Paesaggio urbano al benessere della popolazione: una massiccia presenza di manti asfaltati, cementi, laterizi, calcestruzzi e fabbricati alti (effetto canyon), associata ad una scarsa presenza di aree verdi e di specchi d’acqua, comporta minori tassi di umidità ed una alterazione sensibile e localizzata delle temperature. Questi aspetti, oltre ad incidere sulla qualità del clima e del Paesaggio, condizionano positivamente la percezione di qualità della vita aiutando a soddisfare il bisogno di vivere in un ambiente sano, pulito ed esteticamente gradevole (Figura 6). Figura 6 - Tianjin Eco-city (China). (Fonte: http://www.huffingtonpost.com) Il Paesaggio urbano, al contrario di quello naturale, non è in grado di “metabolizzare” i rifiuti e i residui in esso prodotti, anzi esso metabolizza e rielabora materiali che sono sostanzialmente estranei alla vita all’interno 12 delle città. Prendere spunti dalla natura e ricorrere a elementi di infrastrutture “naturali” come, ad esempio, parchi ricchi di biodiversità, spazi verdi, corridoi di aria fresca e specchi d’acqua, possono contribuire ad attenuare l’effetto “isola di calore” e migliorare il microclima cittadino e lo stato di benessere. Un esempio concreto di miglioramento del Paesaggio urbano che si sta diffondendo in molte città è rappresentato dagli orti urbani che, oltre a ridurre le distanze tra la produzione e la consumazione di alimenti, incrementano la presenza di aree verdi, esercitano un effetto positivo sulla riduzione dell’isola di calore, sulla riqualificazione di aree degradate, sul contenimento di consumo di suolo, sulla riduzione della diffusione di patologie trasmesse da vettori e, finanche, sull’aggregazione sociale favorendo lo sviluppo di una micro-economia etica e solidale. Strumenti che invece consentono di intervenire direttamente sul local warming mitigandone gli effetti, sono l’utilizzo di materiali edili a tinte chiare, la costruzione dei nuovi fabbricati con altezza contenuta, distanziati, climatizzati naturalmente, con coperture a verde (coolroof), energeticamente autonomi ed ecocompatibili. Inoltre, lo sfruttamento di energie alternative in relazione alla locale disponibilità di fonti rinnovabili può attenuare il generarsi del local warming. In conclusione, quando finalità non convergenti con il benessere umano prendono il sopravvento su tutto il resto, anche il Paesaggio ne risentirà negativamente e sarà necessario adottare misure concrete di pianificazione (o riqualificazione) paesaggistica per ristabilire il corretto rapporto tra ambiente e persone. Lo stesso vale per il Paesaggio urbano che, se risulta sano ed orientato al benessere dei suoi abitanti, può ugualmente giovare ai singoli individui e alla comunità sul piano fisico, psicologico, emotivo e socio-economico. 13 Ringraziamenti Il lavoro è stato realizzato nell’ambito del Corso di Dottorato Interateneo Sapienza-Tuscia “Progettazione e Gestione dell’Ambiente e del Paesaggio” in collaborazione con il CRA-CMA. Si ringrazia il Prof. Achille Maria Ippolito ed il Collegio dei Docenti per gli spunti forniti. 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Zhou G.Q., Song C., Simmers J., Cheng P., ”Urban 3D GIS from LiDAR and digital aerial images”, Computers and Geosciences, 30, 2004, pp. 345– 353. 15 La misura della temperatura all’Osservatorio del Collegio Romano Maria Carmen Beltrano L’Osservatorio del Collegio Romano a Roma è riconosciuto in tutto il mondo scientifico come uno dei più antichi d'Europa. Esso, sorto come specola astronomica dello Stato Pontificio alla fine del XVI secolo2, divenne anche luogo di osservazioni meteorologiche, dapprima irregolari e, a partire dalla fine del XVIII secolo, sistematiche. Le osservazioni meteorologiche erano infatti di necessario supporto agli studi astronomici, ma si rendevano altresì utili per studiare il sensibile raffreddamento climatico, noto come Piccola Età Glaciale (vedi pag. 26), che da oltre due secoli interessava anche Roma. Si deve alla sensibilità e al supporto economico di Papa Pio VI, se nel 1782 si giunse finalmente alla costruzione della torre Calandrelli (dal nome dell’abate Giuseppe Calandrelli che ne richiese ardentemente la costruzione), per dotare Roma di un una sede idonea ad ospitare l’osservatorio astronomico, in grado di competere con le specole delle principali capitali europee. La torre si innalza tutt’oggi nell’angolo Sudorientale del complesso monumentale e ospita ancora l’Osservatorio meteorologico del Collegio Romano la cui attività di monitoraggio risale alla fine del XVIII secolo. Ancora oggi esso opera come “Osservatorio meteorologico di Roma”. Attualmente è ubicato al terzo piano della torre; gli strumenti per la misura della temperatura e dell’umidità dell’aria sono 2 Nel Collegio, istituito da Sant’Ignazio di Loyola dopo la fondazione della Compagnia di Gesù (1534), la tradizione scientifica è iniziata alla fine del XVI secolo, quando, appena inaugurato, gli insegnamenti di matematica e astronomia che vi si svolgevano lo resero noto in tutta Europa. Alla fine del XVI secolo la cattedra di Astronomia era tenuta dal padre gesuita Cristoforo Clavio (1538-1612), il principale autore della riforma del calendario voluta da papa Gregorio XIII. Galileo Galilei, grande ammiratore di Clavio, durante una visita al Collegio nel 1611, con lui discusse delle nuove scoperte fatte con il telescopio. 16 posizionati fuori dal terrazzino esposto a Nord, all’interno della capannina meteorica tipo Stevenson, a 56 metri sul livello della strada. La sua posizione, nel cuore di Roma, e la lunghissima continua serie di dati, risalente al 1786, fanno sì che l’osservatorio sia un punto di rilevamento meteorologico di grande interesse per la città rivestendo anche importanza scientifica, per lo studio dell’andamento del clima urbano e del cambiamento climatico in un contesto urbano. Infatti l’assetto urbanistico circostante non è molto cambiato, rispetto all’anno di costruzione della torre. L’Osservatorio, dalla sua fondazione, è sempre rimasto all’interno del complesso edilizio del Collegio, sebbene gli strumenti per la misura di pressione, temperatura, umidità e precipitazione abbiano subìto svariati spostamenti. Il vecchio Osservatorio del Collegio Romano (Foto di E. Milosevich, 1904) 17 Abbiamo trovato notizie circa la posizione degli strumenti fin dall’inizio dell’attività di monitoraggio meteorologico. In particolare per quel che riguarda i termometri, essi subirono piccoli spostamenti da un piano all’altro all’interno della torre nel periodo tra il 1787 e il 1850 (Ferrari, 1878). I principali trasferimenti furono due. Il primo è connesso alla realizzazione del nuovo Osservatorio edificato sulla chiesa di Sant’Ignazio. La sua costruzione si deve alle insistenti richieste rivolte al Papa da padre Angelo Secchi, direttore della specola del Collegio Romano dal dicembre del 1849, il quale aveva più volte dichiarato che la torre Calandrelli era troppo esile e leggera per sostenere telescopi ad alta definizione e che le scienze astronomiche in Roma non potevano svilupparsi come si doveva se non si disponeva di un luogo di osservazione idoneo. Il nuovo Osservatorio del Collegio Romano (Foto di E. Milosevich, 1904) L’altro protagonista di questa storia fu Papa Pio IX, la cui sensibilità e munificenza resero possibile la realizzazione della nuova specola. Il Secchi aveva ripreso l’idea che era stata già di Ruggero Boscovich (1711-1787): 18 erigere il nuovo Osservatorio sul basamento della cupola mai costruita della chiesa di Sant’Ignazio; il progetto fu affidato all’ing. Vescovalli. Il 25 ottobre 1854, dunque, finalmente iniziò a funzionare il nuovo Osservatorio e numerosi strumenti meteorologici furono spostati dal “vecchio Osservatorio”, sulla torre Calandrelli, alla sommità della chiesa di Sant’Ignazio, (“nuovo Osservatorio”), alla distanza di circa 40 metri in linea d’aria in direzione Nord-Ovest dalla torre, circa 5 metri più in basso, a 58 metri sul livello del mare e 41 sopra il livello della strada. Nel nuovo Osservatorio inizialmente i termometri erano posizionati sulla balaustra a nord della cupola mobile dell’osservatorio astronomico, protetti dai raggi solari dalla cupola stessa. Il 1 febbraio 1855, i termometri furono spostati nella terrazza posta nell’ala orientale della chiesa, circa 8 metri sotto la balaustra (48, 37 metri sul livello del mare), protetti dai raggi solari dell’alba da una persiana di legno e al tramonto dal corpo centrale della chiesa (Eredia, 1912). L’altro importante spostamento degli strumenti avvenne nel 1942, anno in cui essi furono riportati al vecchio Osservatorio, come testimonia la nota riportata nella prima “Registro pagina delle del osserva- zioni” di quell’anno: “Dall’11 luglio le osservazioni sono fatte alla torre Calandrelli”. Il frontespizio del registro delle osservazioni dell’Osservatorio del Collegio Romano dell’anno 1942 (Foto di M.C. Beltrano) 19 Disponiamo di numerose informazioni dirette circa l’esposizione e le caratteristiche degli strumenti usati nell’Osservatorio tra il XVIII e il XIX secolo. Esse sono state accuratamente annotate dai direttori o dagli assistenti (Secchi, 1862; Ferrari, 1878). A partire dal XX secolo le informazioni circa i cambiamenti della strumentazione in uso si sono ridotte, anzi sono quasi del tutto assenti, a parte rare brevi note sporadiche che si possono trovare nelle schede o sui registri dell’osservatorio. Esse rientrano nella lista dei metadati e, anche se saltuarie e molto sintetiche, completano il quadro delle informazioni e risultano comunque utili per lo studio delle serie meteorologiche. Al Collegio Romano, nel corso degli anni le osservazioni termometriche sono state eseguite con strumenti via via più moderni e gli orari di rilevamento sono cambiati diverse volte. Nel tempo sono stati adottati anche strumenti registratori e strumenti elettronici di nuova concezione, tuttavia sono ancora in uso anche i classici termometri. Le osservazione, fino al 1870, venivano eseguite quattro volte al giorno alle 7.00, 12.00, 15.00 e 21.00, tempo medio locale (MLT) che corrisponde all’ora media solare, in relazione alla culminazione del sole sul meridiano locale (Camuffo, 2002). I valori di temperatura minima e massima erano dedotti da quelle osservazioni (la più alta e la più bassa tra le quattro misure effettuate), anche se a partire dal 1854 erano iniziate regolari osservazioni con il termometro a minima ad alcol di Six-Bellani e con il termometro a massima a mercurio (con colonna interrotta) di Negretti e Zambra (Secchi, 1862). Le misure delle temperature minima e massima mediante l’uso di termometri a liquido in vetro iniziarono regolarmente a partire dal 1862 (Ferrari, 1878). Al Padre Angelo Secchi si deve anche l’ideazione di un complesso e raffinato strumento registratore, il meteorografo, un apparecchio sofisticato, tecnologicamente avanzato per l’epoca, tra i più apprezzabili strumenti scientifici realizzati in Italia durante il XIX secolo, che può essere definito, senza presunzione, prototipo delle odierne stazioni meteorologiche automatiche. La sua realizzazione fu affidata ad alcuni valenti artigiani specializzati. I singoli dispositivi e le varie parti del meteorografo sono stati 20 dettagliatamente descritti dal padre Secchi nella memoria “Descrizione del Meteorografo” del 1866. Dal primo modello realizzato nel 1859, il meteorografo ebbe una costante evoluzione e il papa Pio IX finanziò una nuova e più completa versione dello strumento in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi nel 1867, dove fu mostrato al pubblico riscuotendo un caloroso successo. Un esemplare dello strumento rimase in funzione tra il 1859 e il 1880 presso il nuovo Osservatorio del Collegio Romano3, accanto alla strumentazione tradizionale. Mi limiterò qui a descrivere il sensore per la temperatura del meteorografo, che il padre Secchi aveva riprodotto sullo schema del termometrografo metallico del tipo Karl Kreil (1798-1862), in uso, all’epoca, all’osservatorio dell’ab-bazia di Kremsmünster, e presso l’Istituto Centrale per la Meteorologia e il Magnetismo di Vienna, di cui Kreil fu il primo direttore. Disegno del sensore di temperatura del meteorografo, tratto dalla tavola descrittiva dello strumento. Da “Bullettino meteorologico dell’Osservatorio del Collegio Romano”, Volume V, Anno V, 1866 Il meteorografo del Collegio Romano è attualmente conservato presso l’Osservatorio Astronomico di Monte Porzio Catone (RM). 3 21 L’apparato consisteva in un filo di rame lungo 17 metri, sospeso verticalmente alla parete settentrionale del braccio orientale della chiesa di Sant’lgnazio. La dilatazione del filo di rame, trasmessa al meteorografo attraverso un sistema di leve e da un filo di ferro lungo 8 metri, protetto nel tratto esterno da una copertura di legno, tracciava il grafico della temperatura sulla carta diagrammata del registratore dello strumento. La scala termometrica veniva tarata attraverso tre termometri a mercurio collocati sia agli estremi del lungo filo di rame che al suo centro. Il filo di rame era protetto dai raggi solari, che al mattino potevano intercettarlo, da una tela montata come una vela di nave, ancorata a due cavi verticali paralleli posti ad una breve distanza dal filo di rame stesso. I cavi di sostegno della vela di protezione (a sinistra) e il modiglione di ancoraggio del filo di rame del termometrografo (a destra) (Foto di M. C. Beltrano) 22 Recentemente, grazie alla minuziosa descrizione che il Secchi aveva fatto dell’apparato, è stato possibile rintracciare il “modiglione” che teneva in tensione il filo di rame del termometrografo e individuare, ancora sul posto, la struttura di cavi che ancorava la tela ombreggiante. Nel 1874 le direttive suggerite dall’Ufficio di Statistica del Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio4 (Cantoni, 1873), fornirono istruzioni circa la strumentazione da usare, l’unità di misura da adottare e le modalità di esecuzione delle osservazioni meteorologiche, anche per la misura della temperatura dell’aria. All’Osservatorio del Collegio Romano entrarono comunemente in uso il termometro a minima ad alcol e il termometro a massima a mercurio suddivisi in gradi Celsius. Gli orari di osservazione furono stabiliti alle 7.00 (da Aprile a Settembre; alle 8.00 negli altri mesi), 9.00, 12.00, 15.00 e 21.00 MLT (Eredia, 1912). Attualmente le osservazioni con metodo tradizionale, cioè con l’intervento di un operatore, vengono effettuate alle 8.00, 14.00 e 19.00 ora solare locale. Già a partire già dagli inizi del XX secolo si era diffuso l’uso termometri più moderni, di fabbricazione industriale, con migliori caratteristiche di accuratezza, realizzati da diverse case costruttrici, tra cui, dagli anni Venti del XX secolo, la ditta SIAP di Bologna. Allo stesso periodo risale l’introduzione al Collegio Romano di un registratore termometrico e in seguito del termoigrografo, costruito dalla stessa ditta SIAP. Tali strumenti di tanto in tanto sono sostituiti con altri esemplari dello stesso tipo via via più moderni. Attualmente la misura della temperatura dell’aria viene rilevata sia mediante gli strumenti tradizionali della stazione meccanica (termometri a minima e a massima e termoigrografo) sia dal sensore di temperatura della stazione automatica. Si tratta di un sensore modello PT100, posizionato Il Prof. Giovanni Cantoni, primo direttore dell’Ufficio di Statistica del Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio (istituito nel 1865 con sede a Firenze), si preoccupò di unificare i metodi di osservazione meteorologica adottati nei diversi osservatori (strumenti, orario, norme di osservazione) in accordo con gli standard internazionali, discussi e accettati durante la Conferenza meteorologica internazionale tenutasi a Vienna nel Settembre 1873. 4 23 all’interno della stessa capannina meteorica che ospita gli strumenti della stazione tradizionale. Esso è collegato alla centralina di acquisizione dati, posta nel locale sottostante al terrazzino sommitale della torre. Il sistema archivia le misure istantanee della temperatura rilevate con intervallo orario e i valori minimo e massimo registrato ogni ora; da questi ultimi, alla fine della giornata, estrae e archivia i valori estremi registrati nelle 24 ore. Interno della capannina meteorologica con termometri a massima e a minima, il termoigrografo e il sensore di temperatura (Foto di E. Gerardi) 24 Ringraziamenti Un vivo ringraziamento va ad Alessandra Saioni e Simona Sorrenti che mi hanno coadiuvato nella ricerca delle informazioni storiche sulla strumentazione impiegata all’Osservatorio del Collegio Romano. Bibliografia Camuffo, D., (2002). Errors in early temperature series arising from changes in style of measuring time, sampling schedule and number of observations, Climatic Change, Volume 53, Numbers 1-3, April 2002, pp. 331-352 (22). Cantoni, G., (1873). Notizie su le osservazioni meteoriche. Meteorologia Italiana , Serie I, vol. VIII, Anno 1872. Ed. 1874, p. 28-33+ 1 tab. Eredia, F., (1912). Il clima di Roma. Annali dell’ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica Italiano, vol. XXXII, 1910, parte I - 1910, Tipografia Nazionale Bertero, Roma, 1912. Ferrari, G. S., (1878). Meteorologia Romana, Tipografia elzeviriana, Roma, 147 pp. Klein Tank, A.M.G., Zwiers F. W. and X. Zhang, (2009). Guidelines on Analysis of extremes in a changing climate in support of informed decisions for adaptation. Climate Data and Monitoring WCDMP-No. 72, WMO-TD No. 1500, 56 pp. Secchi, A., (1862-1878). Bullettino meteorologico dell'Osservatorio del Collegio Romano. Vol. 1., n. 1 (1. mar. 1862) - vol. 17., n. 12 (31 dic. 1878). Tip. delle scienze matematiche e fisiche, Roma, 1862-1878. UCM, (1880-1926). Bollettino meteorico giornaliero. Roma. UCM, UCEA, CRA-CMA (1880-2012). Schede e registri dell’Osservatorio meteorologico del Collegio Romano. Roma. 25 La Piccola Età Glaciale nell’Arte: il 1600 o secolo del “Pessimum Climatico” Luigi Iafrate Dopo una fase di clima relativamente fresco, subentrata all’Optimum Climatico Medievale e durata all’incirca tre secoli, il gelo fece la sua ricomparsa in tutto l’emisfero boreale e fu ovunque accompagnato da una nuova, vigorosa avanzata dei ghiacciai. Il primo sintomo tangibile della svolta climatica fu il terribile inverno 1564-1565, consegnato alla storia per la grande ondata di gelo che cinse d’assedio gran parte del continente europeo. La nuova fase climatica si estese approssimativamente fino alla metà dell’Ottocento, ebbe carattere di persistenza e fu contraddistinta da più di dieci inverni estremamente gelidi. “Piccola Età Glaciale”: così l’hanno, a ragione, definita gli specialisti di Climatologia Storica (disciplina di interfaccia tra le scienze naturali e quelle storiche). E non v’è definizione migliore dal momento che, in Europa e gran parte del mondo, l’estensione delle nevi e dei ghiacci, sulla terraferma e sui mari, fece, in quei tre secoli, registrare valori massimi mai raggiunti dopo la fine della glaciazione würmiana (circa 10-12.000 anni fa)! Quantunque alcuni climatologi datino l’esordio di questo ciclo climatico al rigido inverno del 1431 ed altri addirittura agli inizi del XIII secolo, è tuttavia da rilevare che, pur essendosi, dopo il 1200, verificati inverni assai rigidi e marcati episodi di gelo, il freddo ed il glacialismo non hanno avuto, fino alla metà del 1500, né carattere duraturo nel tempo né tantomeno un’estensione così vasta come avvenne durante la Piccola Età Glaciale vera e propria. Pertanto, alla luce delle attuali conoscenze, sia storiche che botaniche e geomorfologiche, la datazione di inizio di quest’ultima, universalmente accettata, è quella proposta dallo storico francese Emmanuel Le Roy Ladurie, sulla base dei suoi accurati studi sulla dinamica 26 evolutiva dei ghiacciai alpini e sulle date delle vendemmie: la metà del XVI secolo. Di durata plurisecolare, questa fase fredda del clima si caratterizzerà per la concomitanza dei fatti di seguito evidenziati: - una diminuzione generale della temperatura media di tutte le stagioni nella maggior parte delle regioni temperate e di alta latitudine; - un’accentuazione della variabilità interannuale del clima; - una generale espansione dei ghiacciai artici e della Groenlandia, nonché un accrescimento ed una vigorosa avanza degli apparati glaciali continentali; - un incremento delle precipitazioni alle latitudini medie e subtropicali, con conseguente maggior frequenza di inondazioni; - un generale abbassamento dei limiti polare ed altimetrico delle foreste e delle colture. Ma il fattore responsabile della grande espansione glaciale del periodo in questione non fu tanto la diminuzione della temperatura media invernale (mediamente di 1-1,5 °C rispetto ai valori attuali), quanto l’abbassamento sensibile e generalizzato delle temperature primaverili ed estive, con la conseguente riduzione della fase di ablazione del ghiaccio. Oltre che fresche, le estati europee di quei secoli si mostravano piuttosto piovose, specie in alcune annate. Il che arrecò seri danni ai raccolti. Le notizie di vendemmie tardive ne costituiscono un’indubbia testimonianza. Non era per niente casuale il fatto che, nelle annate con le vendemmie più tardive, in molte località dell’Europa Centrale, l’uva venisse raccolta addirittura a cavallo della prima e della seconda decade di novembre, come, per esempio, accadde nell’anno 1692. Sebbene, nel corso della Piccola Età Glaciale, i ghiacciai abbiano accusato anche periodi di stasi o di regresso e le temperature palesato tendenze all’aumento di breve periodo (il che è in parte documentato dalle stesse serie termometriche), è comunque assodato che simili fasi rappresentano semplicemente fluttuazioni od oscillazioni secondarie rispetto al fatto primario contrassegnato dall’affermarsi, nello spazio e nel tempo, di un 27 clima assai freddo. Nessuna fase di deglaciazione manifestatasi in quel periodo può essere, in termini di ampiezza e durata, paragonata a quella attualmente in atto, il cui inizio è indicativamente riconducibile alla seconda metà del XIX secolo. Assai numerose sono oggi le fonti storiche e le evidenze naturalistiche di cui la Climatologia Storica dispone relativamente al periodo della Piccola Età Glaciale. A proposito delle prime, in sede di ricostruzione delle principali vicissitudini di tale fase climatica, un ruolo certo primario deve essere riconosciuto all’iconografia, cioè a quelle immagini che, nella fattispecie, possono rappresentare una preziosa fonte documentaria. Di qui il proposito di circoscrivere questa mia nota al contributo indirettamente offerto alla Climatologia Storica da celebri pittori fiamminghi ed olandesi del XVII secolo, attraverso originali dipinti che ben ritraggono la fase centrale e, per certe regioni d’Europa, anche la peggiore (“pessimum”) della Piccola Era Glaciale. La raffigurazione della stagione invernale, quindi, occupa una posizione ragguardevole nella pittura fiamminga ed olandese del Seicento e gode di una tradizione storica che affonda le proprie radici nel XV secolo. Le scene di inverni così rigidi da determinare estese formazioni di ghiaccio sulle acque interne e costiere devono aver offerto agli artisti specializzati in paesaggi un motivo frequente di ispirazione. Cosicché, nella rappresentazione delle scene invernali, i pittori fiamminghi ed olandesi uniscono il loro intento realistico, chiaramente ispirato alla recrudescenza climatica della loro epoca ed al ciclo delle stagioni in generale, a sottintesi di carattere allegorico-simbolico. Invero, le immagini dipinte, pur riproducendo realisticamente luoghi completamente ghiacciati, in particolare specchi d’acqua e canali sulla cui superficie gelata si svolgevano intense attività urbane e commerciali alternate a momenti di gioco e di divertimento, sottendono tuttavia allusioni e risvolti allegorici e simbolici. Così, ad esempio, le scivolate sul ghiaccio vogliono anche significare le cadute e gli accidenti imprevisti che possono verificarsi nel corso della vita; il gioco con i pattini vuole altresì alludere alla precarietà dell’esistenza umana. 28 Ma torniamo ora a tratteggiare i lineamenti essenziali del clima europeo dell’ultimo Cinquecento e del secolo XVII, vale a dire del periodo del cosiddetto “pessimum”, per poi corroborare i fatti illustrati con le evidenze tratte dalle scene di paesaggio invernale dianzi menzionate. Il clima dell’ultimo decennio del 1500, oltre che da inverni gelidi, fu “tormentato” da primavere ed estati alquanto fresche e piovose. Il che cagionò gravi episodi di carestia. La pioggia cadde incessante su tutta l’Europa, specie nei quattro anni consecutivi 1594-1597. Il raccolto del 1594 fu cattivo, quello del 1595 addirittura peggiore, nel 1596 fu un disastro vero e proprio. Ne seguì, inevitabilmente, una grande carestia che si estese a tutta l’Europa e durò circa tre anni. In Italia, Inghilterra e Germania, i poveri mangiavano qualunque cosa fosse commestibile: gatti, cani e persino serpenti. Tra il 1590 e gli inizi del 1600, per di più, i nostri ghiacciai alpini, al pari della maggior parte degli apparati glaciali dell’emisfero boreale, conobbero una fase di catastrofico avanzamento, cui fecero seguito pesanti danni ai molti ettari di terreno coltivato invasi dal ghiaccio e, dunque, la distruzione, parziale o totale, dei non pochi villaggi interessati. Dagli inizi del 1600 e fino al 1625, invece, la recrudescenza del clima europeo, a giudicare da quanto è emerso dallo studio dei ghiacciai alpini, conobbe verosimilmente una parziale battuta d’arresto, pur conservando il nostro sistema climatico l’impronta fredda di lunga durata che è propria delle mini-glaciazioni. Ma, già a partire dal terzo decennio del XVII secolo, i ghiacciai delle Alpi, analogamente a quelli di molte altre regioni del mondo, riprenderanno energicamente ad avanzare, fino a raggiungere la loro espansione massima nell’ultimo quarto dello stesso secolo. Espansione che, per alcune zone delle nostre Alpi, sarà la più forte di tutta l’età moderna. L’ultimo decennio del 1600, in effetti, sembra essere stato un vero e proprio periodo di “pessimum climatico”: l’Europa sperimentò temperature sensibilmente basse in tutte le stagioni ed una serie di annate particolarmente umide e piovose. Molte città d’Europa, tra cui Londra e Parigi, furono colpite dagli inverni più rigidi degli ultimi 900 anni. Molti corsi d’acqua e bacini lacustri europei, come era già avvenuto altre volte in 29 quel secolo, in concomitanza con le più forti ondate di gelo, ghiacciarono completamente. Nei terribili inverni 1693-1694 e 1694-1695, il Lago di Costanza gelò al punto di sorreggere perfino il peso dei carri. E non era certo la prima volta che uno specchio d’acqua ghiacciato fosse in grado di sostenere il peso di carri, animali e persone, come indiscutibilmente documentano alcuni dei capolavori della pittura fiamminga ed olandese di seguito riprodotti e brevemente commentati. ***** Lago ghiacciato, di Joost de Momper (Anversa, 1564 – 1635) e Jan Bruegel dei Velluti (Bruxelles, 1568 – Anversa, 1625). Scena invernale raffigurante una superficie lacustre interamente ghiacciata, probabilmente il Lago dell’Amore (nei pressi di Bruges), databile al primo decennio del 1600. 30 Paesaggio invernale boscoso, un dipinto di Denijs van Alsloot (Bruxelles, prima del 1573 – 1625/26 ca.), probabilmente realizzato nel corso dei primi due decenni del 1600. Pattinatori sul canale ghiacciato, di Anton Ghiboons (1580 – 1639), pittore olandese specializzato nel genere dei “paesaggi invernali”. Un dipinto probabilmente riconducibile al periodo a cavallo del secondo e terzo decennio del secolo XVII. 31 Paesaggio invernale con figure, un quadro del pittore fiammingo Gysbrecht Leytens (Anversa, prima del 1586 – 1642-57), a lungo noto come “Maestro dei paesaggi invernali”, probabilmente databile al terzo decennio del ‘600. Pattinatori sul ghiaccio (Gennaio), di Jan Wildens (Anversa, 1585 ca. – 1653). Il dipinto fa parte di un ciclo di dodici quadri dedicati dall’Autore ai mesi dell’anno e realizzati, tra il 1613 ed il 1616, durante il suo soggiorno italiano. 32 Scena invernale. Probabile veduta di Dordrecht durante l’inverno 1643. Ne è autore il paesaggista olandese Aert van der Neer (Amsterdam, 1603 ca. – 1677). Paesaggio invernale con pattinatori, un dipinto firmato da Isaack van Ostade (Haarlem, 1621 – 1649) e datato 1641. 33 Paesaggio invernale con figure, un’opera su tela databile al decennio 1661-1670 e parzialmente firmata da Willem Schellinks (Amsterdam, 1623 – 1678), artista famoso per i suoi disegni topografici a carboncino. Canale ghiacciato, un dipinto di Jan van de Cappelle (Amsterdam, 1626 – 1679), il più importante pittore olandese di “marine” del ‘600. L’anno di realizzazione si legge solo in parte, ma dovrebbe essere il 1652. 34 Paesaggio con pattinatori davanti alla Torre di Zaltbommel, un quadro su tela realizzato dal pittore olandese Salomon van Ruysdael (Naarden, 1600-03? – Haarlem, 1670), probabilmente dopo il 1640. Montelbaanstoren in inverno (Amsterdam), un dipinto di Thomas Heeremans (Haarlem? 1641 ca. – Haarlem?, dopo il 1695) e Abraham Storck (Amsterdam, 1644 – 1708), datato 1685. 35 Balenieri olandesi nell’Artic,: un’opera di Lieve Verschuier (Rotterdam, 1634 ca. – 1686), probabilmente databile al periodo 1660-1670. Appartiene ad un filone in voga negli ultimi decenni del Seicento: quello delle scene di caccia alle balene nel Mar Glaciale Artico. ***** Si tratta, dunque, di scorci di paesaggi invernali che, in maniera alquanto realistica, riproducono i rigori delle ondate di gelo che, nel corso del 1600, a più riprese, investivano, unitamente ad altri paesi europei, i territori delle Fiandre e dei Paesi Bassi, provocando ivi il congelamento di specchi lacustri e marini e corsi d’acqua in genere (canali e fiumi). Tuttavia, l’inverno peggiore degli ultimi 500 anni doveva ancora arrivare, anche in Italia! Venezia, al pari di molte altre città italiane, assumeva l’aspetto di un vero e proprio paesaggio nordico. Era l’inverno 1708-09. Il dipinto è di un artista anonimo e ritrae la laguna completamente ghiacciata. Anche alcuni inverni successivi non furono da meno, come testimonia il dipinto ad olio di Giovanni Paolo Pannini (o Panini, Piacenza 1691 circa Roma 1765), che, ispirandosi ai paesaggi invernali fiamminghi e olandesi, raffigura Roma innevata e ghiacciata nel 1730. Lungi dall’avere pretese di esaustività nel trattare l’argomento, la mia esposizione finisce qui! 36 Laguna ghiacciata, opera di anonimo, datata 1708. Roma sotto la neve, opera di Giovanni Paolo Pannini, 1730. 37 Riferimenti bibliografici essenziali Cantù V., Alla ricerca di documenti sul clima passato, in “Accademie e Biblioteche d’Italia”, a. LIII, n. 2, Roma, F.lli Palombi, 1985, pp.103-110. Iafrate L., Fede e scienza: Un incontro proficuo. Origini e sviluppo della meteorologia fino agli inizi del ‘900, Roma, Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, 2008. Lamb H. H., The changing climate, London, Methuen, 1966. Le Roy Ladurie E., Histoire du climat depuis l'an mil, Paris, Flammarion, 1967. Masi M., Mariani L., Georgiadis T., No slogan: l’eco-ottimismo ai tempi del catastrofismo, Cortona, Sangel Edizioni, 2010. Monterin U., Il clima sulle Alpi ha mutato in epoca storica?, Bologna, CNR - Comitato Nazionale per la Geografia, 1937. Pinna M., La storia del clima: Variazioni climatiche e rapporto clima – uomo in età postglaciale, Roma, Società Geografica Italiana, 1984. Sciolla G. C., Cielo, terra e acque: il paesaggio nella pittura fiamminga e olandese tra Cinquecento e Seicento / Catalogo della Mostra, tenuta ad 5 Aosta nel 2006-2007, a cura di Gianni Carlo Sciolla, Torino, Elede, 2006 . 5 Si tratta dell’opera da cui le immagini mostrate sono state riprodotte. 38 Il monitoraggio meteorologico e aerobiologico al Collegio Romano L’Osservatorio Meteorologico Situato attualmente in alcuni locali della Torre Calandrelli, l’Osservatorio meteorologico del Collegio Romano funziona dal 1787. Nel 2012 hanno collaborato allo svolgimento delle attività dell’Osservatorio la Dott.ssa Maria Carmen Beltrano e la Dott.ssa Maria Cecilia Serra in qualità di responsabili rispettivamente dei rilevamenti meteorologici e aerobiologici, il Dott. Luigi Perini per il trattamento ed elaborazione dei dati meteorologici, il Sig. Domenico Sansone e la Sig.na Alessandra Saioni per le misurazioni strumentali meteorologiche e palinologiche, la Dott.ssa Francesca Greco per le attività di preparazione e analisi dei campioni e archiviazione dei dati. ---*--Lat. 41°53’ 54’’ N Long. 12° 28’ 46’’ E di Greenwich Altezza del pozzetto del barometro m 61,40 s.l.m. ---*--A destra: la Torre Calandrelli come si presenta oggi. Si riconosce la finestra meteorica (capannina bianca). In cima alla Torre, sulla destra si vedono il campionatore pollinico, sulla sinistra il palo che sorregge la banderuola e il mulinello di Robinson della stazione automatica; alle sue spalle si intravede l’anemografo meccanico. (Foto di M. Scaglione) 39 I dati I dati meteorologici pubblicati sono rilevati all’Osservatorio del “Collegio Romano” con strumentazione automatica. La tipologia di sensori e le modalità di acquisizione delle misure sono conformi ai requisiti standard raccomandati dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO/OMM) per le stazioni climatiche e a quelli adottati per le stazioni meteorologiche della Rete Agrometeorologica Nazionale (RAN)6 (vedi Tabella 1), alla quale l’Osservatorio del Collegio Romano afferisce. Tabella 1 – Elenco dei sensori installati nella stazione automatica di Roma Collegio Romano, con indicazione dell’unità di misura, dell’intervallo di acquisizione, della tipologia di misura e della modalità di archiviazione. Sensori installati Unità di misura Intervallo acquisizione di Temperatura aria a 57 m(*) °C 60 min. Istantanea si Precipitazione a 63 m (*) mm 10 min. Totale no Umidità relativa a 57 m (*) % 60 min. Istantanea si Velocità del vento a 63 m (*) m/s 10 min. Media no Direzione del vento a 63 m (*) gradi Tipo di misura Massimi e minimi 10 min. Istantanea no Pressione atmosferica a 57 m (*) hPa 60 min. Istantanea si Radiazione globale a 63 m (*) KJ/m² 60 min. Totale no Eliofania a 63 m ore 60 min. Totale no Per garantire la massima omogeneità possibile con la serie storica delle misurazioni effettuate in passato, i sensori sono alloggiati in posizioni adiacenti alla preesistente strumentazione meccanica, tuttora funzionante. Nelle tabelle sono pubblicati i dati giornalieri, utilizzati per le successive elaborazioni delle seguenti variabili meteorologiche: Temperatura, Eliofania, Radiazione globale, Pressione barometrica, Umidità relativa, Precipitazione, Vento. Nei capitoli dedicati alle osservazioni aerobiologiche sono pubblicati i dati di monitoraggio effettuato mediante un campionatore volumetrico tipo Hirst e le elaborazioni relative alla concentrazione di polline e spore. Le Rete di monitoraggio agrometeorologico del territorio nazionale realizzata nell’ambito del Sistema Informativo Agricolo Nazionale (SIAN) del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali; essa è gestita ed utilizzata dal CRA-CMA per assolvere alle funzioni di monitoraggio e ricerca nel settore agrometeorologico e agroclimatico. 6 40 procedure adottate nel monitoraggio pollinico seguono pienamente la norma UNI11108-2004 che rappresenta lo standard metodologico utilizzato in tutti i Centri di Rilevamento Aerobiologico italiani ed europei e che descrive i metodi da adottare nelle fasi di campionamento, preparazione, analisi, elaborazione ed archiviazione dei campioni giornalieri. 1. Variabili meteorologiche Temperatura La temperatura è espressa in gradi Celsius (°C). Nelle tabelle sono riportati: i valori minimo e massimo giornaliero registrati nelle 24 ore; il valore medio giornaliero calcolato sui valori orari istantanei delle 24 ore; l’escursione termica della giornata calcolata come differenza tra il valore massimo e il valore minimo; il valore medio nella decade e nel mese. Eliofania L’eliofania assoluta è espressa come numero di minuti di sole direttamente visibile durante il giorno, cioè come tempo di permanenza del sole libero da nubi. Nelle tabelle sono riportati: il totale giornaliero; il valore medio nella decade e nel mese. Radiazione globale La radiazione globale è espressa in megajoule su metro quadrato (MJ/m2) e indica la quantità di radiazione solare diretta e indiretta (diffusa dall’atmosfera e riflessa dalle nubi e dalle superfici) che giunge sull’unità di superficie orizzontale. Nelle tabelle sono riportati: il totale giornaliero; il valore medio nella decade e nel mese. Pressione barometrica La pressione barometrica è espressa in ettoPascal (hPa) ed i valori sono corretti rispetto alla temperatura (per convenzione riferita a 0°C) e alla quota (per convenzione riferita al livello del mare). Nelle tabelle sono riportati: il valore medio giornaliero calcolato a partire dai valori medi orari delle 24 ore; 41 il valore medio nella decade e nel mese. Umidità relativa L’umidità relativa è espressa in valore percentuale (%). Essa rappresenta il rapporto percentuale tra la quantità di vapore contenuto da una massa d'aria e la quantità massima (cioè a saturazione) che il volume d'aria può contenere nelle stesse condizioni di temperatura e pressione. Nelle tabelle sono riportati: i valori medi giornalieri calcolati a partire dai valori medi orari delle 24 ore; il valore medio nella decade e nel mese. Precipitazione La precipitazione è espressa in millimetri (mm) ed è intesa come equivalente in acqua, nel caso di precipitazioni solide (neve, grandine). Un millimetro di precipitazione equivale ad un litro di acqua versato su una superficie piana di un metro quadrato. Nelle tabelle sono riportati: il totale giornaliero, cioè la quantità totale di pioggia caduta nelle 24 ore; la quantità di precipitazione massima caduta in un’ora e l’ora di inizio dell’evento; la quantità di precipitazione totale nella decade e nel mese. Vento La velocità del vento è espressa in metri al secondo (m/s). Nelle tabelle sono riportati: il valore di velocità media giornaliera calcolato sui valori medi orari delle 24 ore; il valore di velocità medio nella decade e nel mese; la velocità della raffica (massima velocità raggiunta nella giornata); la direzione di provenienza prevalente nelle 24 ore. 2. Rilevamento aerobiologico La presenza di pollini e spore in atmosfera è rilevata mediante un campionatore tipo Hirst. L’analisi qualitativa e quantitativa viene effettuata con microscopio ottico. I dati esprimono la concentrazione di granuli in un metro cubo d'aria, distinti per famiglia botanica. 42 Le osservazioni meteorologiche del 2012 43 44 45 * * * * * Neve 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 Gli estremi meteorologici dell’anno 2012 Temperatura dell’aria Minima assoluta: -2,2 °C il 14 febbraio Massima assoluta: 36,9 °C il 30 luglio Massima più bassa: 2,3 °C il 4 febbraio Minima più alta: 25,4 °C il 18 agosto Giorno più caldo: T media 30,6 °C il 30 agosto Giorno più freddo: T media 0,4 °C il 4 febbraio Minima escursione diurna: 1,7 °C il 15 dicembre (Tn 13,0 °C, Tx 14,7 °C) Massima escursione diurna: 14,5 °C il 20 giugno (Tn 21,7 °C, Tx 36,2 °C) Precipitazione Giorno più piovoso: 29,0 mm il 22 maggio Intensità massima in un’ora: 16,8 mm il 13 agosto (tra le h 15:00 e le h 16:00 solare) Periodo più lungo con precipitazione: 7 giorni, dal 31 gennaio al 6 febbraio Periodo più lungo senza precipitazioni: 54 giorni, dal 30 maggio al 22 luglio Umidità relativa Giorno più umido: U.R. media 95,5% il 15 dicembre Giorno più secco: U.R. media 28,1 % l’11 marzo Velocità del vento Giorno più ventoso: velocità media 6,7 m/s il 14 maggio Giorno più calmo: velocità media 1,0 m/s il 16 febbraio Massima raffica: 18,5 m/s l’11 novembre (dalle h 09:00 alle h 10:00) Soleggiamento e radiazione globale Eliofania massima: il 17 giugno 870 minuti Giorni nell’anno con meno di 60 minuti di sole: 37 Radiazione media diurna più bassa: 0,0 MJ/m² , 8-9 giugno e 31 ottobre Radiazione media diurna più alta: 33,3 MJ/m² il 23 giugno Pressione atmosferica Media giornaliera più bassa: 986,0 hPa il 29 novembre Media giornaliera più alta: 1025,4 hPa il 19 gennaio 67 Sintesi meteorologica dell’anno 2012 Variabile Unità di misura Valore Temperatura minima media °C 13,6 Temperatura massima media °C 22,1 Temperatura media °C 17,8 Escursione termica annua °C 39,1 Escursione termica media giornaliera °C 8,6 mm 648,0 Precipitazione totale Numero giorni piovosi 88 Altezza massima della neve al suolo cm Numero giorni con neve 15 4 Pressione media hPa 1009,1 Eliofania media minuti 478,5 Eliofania relativa % 68 63 Elaborazioni meteorologiche del 2012 a cura di Luigi Perini e Maria Carmen Beltrano Roma - Collegio Romano: TEMPERATURE MASSIME 40,0 °C Tmax (anno 2012) Tmax (media 1862-2000) 35,0 " " + 1 dev. st. " " - 1 dev. st. 30,0 25,0 20,0 15,0 10,0 5,0 0,0 Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Figura 1 - Temperature massime giornaliere rilevate nel 2012, valori climatici (periodo di riferimento 1862-2000) e intervallo di normale variabilità climatica Roma - Collegio Romano: TEMPERATURE MINIME 30,0 °C Tmin (anno 2012) Tmin (media 1862-2000) 25,0 " " + 1 dev. st. " " - 1 dev. st. 20,0 15,0 10,0 5,0 0,0 -5,0 Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Figura 2 - Temperature minime giornaliere rilevate nel 2012, valori climatici (periodo di riferimento 1862-2000) e intervallo di normale variabilità climatica 69 Roma – Osservatorio del Collegio Romano Distribuzione delle temperature medie mensili del 2012 e confronto con il clima Figura 3 – Box plot delle temperature climatiche mensili minime (Tn) e massime (Tx) (periodo di riferimento 1862-2000) e comparazione con i valori medi mensili del 2012 (indicati con il simbolo “X”). Per ciascun mese sono graficamente riassunti i cinque elementi che descrivono la serie climatica in maniera quantitativamente sintetica. Sono rappresentati la mediana (segmento orizzontale all’interno del box, dà indicazioni sulla tendenza centrale della serie), il primo e terzo quartile (basi del box, la cui differenza -indice di dispersione- dà informazioni sulla variabilità della serie), i valori minimo e massimo (limiti esterni dei segmenti tratteggiati -"baffi"-, danno informazioni circa i valori estremi della serie). I pallini esterni alla distribuzione indicano i valori relativi agli “eventi estremi”. (Elaborazioni a cura di Simona Sorrenti) 70 mm mm Roma - Collegio Romano: PRECIPITAZIONI (totale cum ulato) anno 2012 Valore Normale (1862-2000) totale cumulato 2012 totale cumulato normale 100 90 900 800 80 700 70 600 60 500 50 400 40 300 30 200 20 100 10 0 0 I II III G I II III F I II III M I II A III I II M III I II III I G II L III I II III A I II S III I II O III I II III I N II D Figura 4 - Precipitazioni decadali e cumulate rilevate nel 2012 e valori climatici (periodo di riferimento 1862-2000) Roma - Osservatorio del Collegio Romano - Anno 2012 Numero di giorni piovosi 14 12 10 n. giorni 8 6 4 2 0 gen feb mar apr mag giu 2012 lug m esi ago set ott nov dic 1862-2000 Figura 5 - Numero dei giorni piovosi per mese del 2012 e confronto con il periodo di riferimento 1862-2000 71 III Roma - Osservatorio del Collegio Romano. Numero di giorni piovosi del 2012 per classi di precipitazione cumulata nelle 24 ore 35 30 25 20 15 10 5 0 ≤ 1.0 mm 1.1 - 5.0 mm 5.1 - 10.0 mm 10.1 - 20.0 mm 2012 20.1 - 60.0 mm 60.1 - 70.0 mm > 70.0 mm 1862-2000 Figura 6 - Frequenza dei giorni piovosi del 2012 in relazione alla quantità di precipitazione nelle 24 ore e confronto con la frequenza media di giorni piovosi nel periodo di riferimento 1862-2000. più freddo più piovoso più caldo più piovoso più freddo meno piovoso più caldo meno piovoso Figura 7 – Il grafico sintetizza l’andamento delle variabili temperatura media e pioggia totale registrate nei mesi del 2012 e lo confronta con i valori climatici (periodo di riferimento 1862-2000). Gli scarti ΔT, in gradi Celsius, e ΔP, in millimetri, rappresentano rispettivamente l’anomalia termica e la differenza delle precipitazioni di ciascun mese rispetto al clima. 72 Figura 8 - Durata media del soleggiamento giornaliero teorico (eliofania astronomica) e del soleggiamento giornaliero effettivo (eliofania assoluta) nel 2012. Figura 9 - Frequenza della presenza di sole nel 2012 rispetto all'eliofania astronomica 73 Commento all’andamento meteorologico del 2012 Maria Carmen Beltrano Un’annata di anomalie Il 2012 sarà ricordato in Italia per le anomalie climatiche e gli eventi estremi che hanno interessato l’intero territorio nazionale. In un quadro più generale, l’andamento meteo del 2012 ha avuto come protagonisti numerosi eventi estremi e anomalie che hanno causato danni ingentissimi in ogni parte del globo. Negli USA gli uragani Sandy e Isaac hanno provocato danni e vittime, i tornado hanno imperversato nelle Great Polains, in Texas e nella valle dell'Ohio, le temperature superiori alla media hanno fatto segnare nuovi record in ben 19 Stati (fonte NOAA). In Gran Bretagna l’estate 2012 è stata la più piovosa da oltre un secolo; al contrario, sull’Europa sud orientale e sul bacino del Mediterraneo le piogge sono state scarsissime mentre le temperature massime hanno raggiunto valori record. L’autunno ha fatto registrare alluvioni in Spagna a settembre, in Centro Italia a metà novembre, in Gran Bretagna in dicembre. L’intensa ondata di freddo e gelo e le copiose nevicate che hanno interessato buona parte dell’Europa in febbraio hanno interessato anche il territorio nazionale da Nord a Sud. Si sono avuti apporti nevosi di oltre tre metri sull’Appennino Tosco-Romagnolo e nelle Marche e di oltre un metro in pianura Padana, con conseguenti black-out, paesi isolati, disagi fortissimi ed enormi danni all’economia: un Paese in ginocchio. Dopo il freddo della prima metà di febbraio, le temperature si sono rialzate e, a partire da marzo, sono rimaste al di sopra della norma pressoché ovunque e per buona parte dell’anno. aprile e maggio sono trascorsi in parte all’insegna dell’instabilità molto accentuata, giungendo nell’ultima decade di maggio a condizioni tipiche di una precoce stagione estiva. La situazione meteorologica ha favorito le operazioni di soccorso avviate subito dopo l’evento sismico dell'Emilia del 20 maggio, un terremoto devastante, con perdite umane e danni gravissimi, avvertito fino in Lombardia e Veneto, ma anche in un'area molto più vasta comprendente 74 tutta l'Italia Centro-Settentrionale e parte della Svizzera, della Slovenia, della Croazia, dell'Austria, della Francia sud-orientale e della Germania meridionale. L’estate si è presentata siccitosa e davvero bollente, con temperature quasi sempre al di sopra dei valori medi e vere e proprie ondate di calore, anche più intense di quelle registrate nello storico 2003, che hanno interessato un po’ tutto il territorio nazionale, ma soprattutto le regioni meridionali. Sono poi da ricordare le precipitazioni abbondanti di novembre; la gravissima alluvione che il 12 ha colpito una vasta area tra la Toscana meridionale, il Viterbese e l’Umbria occidentale, causando sei vittime e apportando danni ingentissimi all’economia e in particolare al settore agricolo. Non possiamo infine dimenticare le diverse trombe d’aria che hanno colpito alcune località italiane, tra le quali l’episodio di Venezia del 12 giugno, fortunatamente senza vittime e il vero e proprio tornado (classificato come F3) che si è abbattuto su Taranto il 28 novembre, travolgendo lo stabilimento dell’ILVA e alcuni comuni limitrofi, causando una vittima e danni per milioni di euro. Anche a Roma nel 2012 sono stati registrati fenomeni estremi e anomalie meteorologiche. La temperatura media annua è stata di 17,9 °C, di ben 2,0 °C superiore alla media (15,9 °C) del periodo di osservazioni preso in esame (1862-2000): si tratta del valore più alto in assoluto dall’inizio della serie; esso esprime sinteticamente l’esistenza dell’anomalia positiva che ha caratterizzato il regime termico di Roma nel 2012. Se guardiamo nel dettaglio, nel corso dell’anno le temperature hanno avuto un’evoluzione davvero capricciosa. Le Figure 1 e 2 mostrano l’andamento rispettivamente delle temperature massime e minime giornaliere, in confronto con i valori medi climatici e con l’intervallo di normale variabilità climatica. Sia per le minime che per le massime, oscillazioni di rilievo alternano sequenze di giorni con valori generalmente al di sopra della media ed esterni alla soglia massima di normale variabilità, a brevi periodi con temperature molto più basse dei valori medi e a volte esterni al limite 75 inferiore dell’intervallo di variabilità. È ben evidente che il 2012 è stato caratterizzato soprattutto da anomalie termiche positive, come mostra la marcata predominanza di valori al di sopra della media sia per le massime che per le minime. In Figura 3, i box plot danno un’indicazione dell’entità dell’anomalia termica dei mesi del 2012 rispetto ai valori climatici. Quanto più i valori del 2012 si discostano dai limiti dei box, tanto più essi sono considerati “rari”. febbraio è l’unico mese in cui i valori medi sia per le massime che per le minime sono inferiori alla mediana, situati, tra l’altro, al di sotto del primo quartile, indicando così un evento raro. Tutti gli altri mesi presentano scostamenti positivi, eccezionale quello di marzo (20,0 °C) che supera di 4,7 °C quello climatico e si pone al di fuori dei “baffi” della distribuzione. Nel mese le temperature massime sono state sempre alte e per ben 14 giorni i valori sono stati superiori alla media del mese (15,3 °C). aprile è stato caratterizzato da un’anomalia termica positiva, meno persistente di quella di marzo, ma che ha determinato tra il 27 e 30 l’occorrenza di 3 giorni con temperature massime superiori a 25°C, valore soglia che definisce il giorno estivo, secondo quanto indicato dall’ Expert Team on Climate Change Detection and Indices (ETCCDI) (WMO, 2009). L’andamento termico di aprile ha dato l’avvio alla calda estate romana del 2012. Una breve interruzione nell’innalzamento termico si è verificato nella prima e seconda decade di maggio, in cui il tempo è stato variabile e le precipitazioni non sono mancate, per effetto sia di depressioni atlanticomediterranee sia per le infiltrazioni di aria fredda in discesa dal nord Europa verso i Balcani. Nella seconda metà del mese, lo stabilizzarsi dell’anticiclone africano sul bacino del Mediterraneo centrale ha determinato un flusso di correnti meridionali che hanno portato aria calda su tutta l’Italia. Con qualche occasionale momento di respiro, l’estate è proseguita fino alla fine di settembre, protraendosi, saltuariamente, anche in ottobre. L’anomalia positiva delle temperature minime nei mesi estivi è stata davvero eccezionale. Durante il periodo 1 giugno – 30 settembre, la soglia di 20 °C, 76 indicata dall’ ETCCDI per definire le notti tropicali, è stata superata ben 85 volte, cioè nel 71% circa delle notti; inoltre, tra il 17 giugno e il 1 settembre, e cioè per 75 giorni consecutivi, le temperature notturne non sono mai scese al di sotto di questa soglia. Dal 15 giugno al 30 agosto, poi, le temperature massime sono state sempre superiori ai 30°C, con il solo intervallo di tre giorni tra il 23 e il 25 luglio. Si può, a ragione, affermare che l’estate romana è stata caratterizzata da un clima tropicale. Anche ottobre e novembre hanno manifestato una leggera anomalia termica positiva sia per i valori minimi che per quelli massimi. dicembre è rientrato perfettamente nella norma. Il regime pluviometrico del 2012 ha anch’esso presentato forti caratteristiche di discontinuità, registrando in totale 648,0 mm distribuiti in complessivi 88 giorni (giorni in cui è stata registrata una precipitazione ≥ 0,2 mm), contro un valore medio climatico di 766,4 mm in 102 giorni (Beltrano M.C. et al, 2012). I giorni con precipitazione ≥ 1,0 mm, definiti dal WMO come giorni piovosi, nel 2012 sono stati complessivamente 69. L’andamento delle precipitazioni è descritto nel grafico di Figura 4, in cui sono rappresentati anche i valori climatici del periodo 1862-2000. I dati sono stati aggregati in totali decadali (istogramma) cui è sovrapposta la curva spezzata che rappresenta la precipitazione totale cumulata a partire dalla prima decade dell’anno. La costante del 2012 è il deficit pluviometrico, temporaneamente colmato solo nelle prime due decadi di febbraio. In quattro decadi gli apporti sono stati molto superiori rispetto alla media climatica, il doppio e anche il triplo di quanto normalmente atteso, ma comunque insufficienti a tamponare il deficit pluviometrico. Se si considera che il numero dei giorni piovosi non si discosta molto dal valore medio si comprende quanto siano stati mediamente scarsi i singoli apporti del 2012 (Figura 5). La precipitazione giornaliera più abbondante è stata di 29,0 mm e si è verificata il 22 maggio. Il 2012 mostra una caratteristica sempre più frequente nelle precipitazioni: la discontinuità degli eventi e l’aumento dei casi con apporti superiori ai 10 mm. Nell’anno analizzato il numero di questi ultimi è raddoppiato rispetto alla norma 77 (Figura 6); tuttavia, non sono stati registrati fenomeni particolarmente intensi, infatti le precipitazioni superiori ai 20 mm sono circa la metà di quelle climaticamente attese. Anche gli apporti orari, che danno un’indicazione riguardo l’intensità dei singoli eventi, sono piuttosto scarsi e la massima oraria registrata è di 16,8 mm il 13 agosto, durante un classico temporale estivo. Il periodo più lungo con precipitazioni ≥ 1,00 mm è stato di 7 giorni, dal 31 gennaio al 6 febbraio, periodo durante il quale si sono verificate anche le nevicate (vedi paragrafo seguente). Il periodo secco (con precipitazioni ≤0,2 mm) più lungo è stato di 55 giorni, dal 29 maggio al 22 luglio. Dopo le abbondanti precipitazioni nevose di febbraio, in cui sono caduti ben 109,2 mm, poco meno del doppio di quanto cade normalmente nel mese, marzo è stato davvero siccitoso (4,2 mm), alla stregua dei mesi estivi giugno (0,0 mm) e luglio (6,0 mm). I mesi più perturbati sono stati aprile e maggio. Ad aprile il tempo è stato piuttosto instabile. Una vasta anomalia barica negativa che si era formata su tutta l’Europa occidentale aveva determinato una profonda saccatura atlantica che è penetrata nel Mediterraneo in diverse occasioni, portando ripetuti impulsi perturbati sull’Italia. Su Roma le precipitazioni si sono concentrate soprattutto nella seconda decade del mese. In 7 giorni è piovuto più di quanto mediamente piove nel mese (69,2 mm contro una media mensile di 62,7 mm), con apporti superiori ai 10 mm in tre giornate non successive. Un secondo periodo perturbato si è concentrato nella seconda metà di maggio, quando in 4 giorni sono caduti 44,0 mm, pochi millimetri meno di quanto piove mediamente nel mese (51,0 mm). La Figura 7 sintetizza l’andamento termo-pluviometrico dell’intero anno. Una nota speciale merita l’evento alluvionale che ha colpito le aree settentrionali della capitale tra il 13 e il 15 novembre, legato alle abbondanti precipitazioni che avevano interessato nei giorni precedenti l’area del bacino del Tevere a nord di Roma, soprattutto dell’affluente Paglia, compreso tra l’Umbria e l’alto Lazio. L’ingrossamento dei corsi d‘acqua che 78 ne è derivato ha prodotto allagamenti e straripamenti nella zona di Orte. L’apertura della diga di Corbara, per permettere il deflusso di così tanta acqua, poi, ha fatto sì che l’onda di piena raggiungesse Roma. Numerose sono state le esondazioni di canali e fognature (tecnicamente noti con il termine «rigurgiti») provocate dalla pressione della piena del fiume. Anche l'Aniene è uscito dagli argini, non riuscendo a riversare tutte le sue acque nel Tevere. Il picco di piena si è avuto nella notte tra il 14 e il 15 Novembre, facendo registrare alla stazione di Ripetta lungo il Tevere un livello idrometrico di 13,49 m. La portata corrispondente, uguale a circa 1933 m3/s, è il valore massimo registrato dall’entrata in esercizio della diga di Corbara. I danni all’agricoltura, alle infrastrutture e alle popolazioni sono stati ancora una volta ingentissimi. Infine, ricordiamo la grandinata che il 5 dicembre ha imbiancato il centro di Roma, annotata sulla scheda dell’osservatorio: “Dalle 10,20 grandine”. La presenza di sole sulla Capitale è stata mediamente elevata in ogni periodo dell’anno (Figure 8 e 9). Il mese con il minor numero di ore di sole rispetto all’atteso climatico è novembre, seguito da dicembre e aprile. I mesi estivi, come è noto sono, i più soleggiati, ma nel 2012 agosto lo è stato più di giugno. La neve di febbraio Tutti ricorderanno il febbraio del 2012 per il periodo di freddo intenso e le nevicate che hanno imbiancato la capitale in due riprese, a distanza di una settimana esatta l’una dall’altra. L’episodio più intenso è stato il primo, quello che si è verificato tra il 3 e 4 febbraio, collegato ad un’intensa perturbazione di origine artica che stava già interessando l’Europa e tutta la penisola. Tutto il mese di gennaio e, più in generale, l’inverno, fino ad allora si era mostrato mite e senza precipitazioni di rilievo sulla Capitale, così come su gran parte dell’Italia. Il quadro meteorologico alla fine del mese di gennaio ha cominciato a modificarsi con un cambiamento che ha caratterizzato poi la prima quindicina di febbraio. Le correnti occidentali, che fino ad allora avevano prevalso, hanno lasciato il posto ad un’irruzione 79 di aria artica continentale che si è andata espandendo sull’Europa occidentale, mentre Mediterraneo, una profonda depressione si è formata sul spingendo verso nord l’anticiclone delle Azzorre. L’aria fredda ha trovato una via di discesa verso le medie e basse latitudini giungendo fino al Mediterraneo, dove, scontrandosi con masse d’aria più miti, ha dato luogo alla formazione di diversi nuclei di bassa pressione. In un quadro così complicato, sull’Italia si è assistito ad un continuo flusso perturbato gelido, che ha portato a più riprese nevicate abbondanti su tutto il territorio. Anche Roma, dopo 26 anni7 (Mangianti e Beltrano, 1991), è stata ricoperta da una rispettabile coltre bianca. Neve al Collegio Romano (Foto di M. Scaglione) Nei quartieri collinari e nelle periferie settentrionali, lo spessore ha superato i 20-30 cm, a Monte Mario e all’Olgiata ha superato i 50 cm; nel settore meridionale della capitale gli apporti sono stati meno abbondanti; in alcuni punti della città gli accumuli nevosi hanno raggiunto altezze più cospicue, dovute anche all’effetto del vento. Sui rilievi che cingono Roma 7 L’ultimo rilevante evento nevoso registrato a Roma risaliva al 1986. 80 Cristalli di neve osservati durante le nevicate dell’inverno 1878-1879 dal prof. Ciro Chistoni (18521927) all’Osservatorio di Pavia (Chistoni, 1879). I disegni furono realizzati dallo stesso Chistoni esaminando i cristalli di neve che si depositavano sopra un panno nero a pelo lungo esposto all’aria. Su tale superficie, a differenza di altre da lui sperimentate, il “bricciolo di neve” si manteneva inalterato per circa 2 minuti ed era possibile disegnarlo dettagliatamente, grazie ad un microscopio semplice applicato sull’occhio. Chistoni scrive riguardo alle stellette di neve: “…[hanno] tendenza a costituire un prisma retto a base esagona ….[Dimostrano] come corpi chimicamente identici possano essere fisicamente diversi;...”; annota che le condizioni che regolano la formazione dei cristalli sono temperatura, pressione, “forse il vento”, che la temperatura della neve appena caduta è sempre maggiore di quella dell’aria e asserisce che la causa sia l’attrito fra questa e la neve cadente, come testimoniano gli “spigoli dei cristalli …. arrotondati”, ipotizzando anche che la neve si aggreghi in strati dell’atmosfera in cui la temperatura è molto inferiore a quella misurata al suolo. Infine osserva che i fiocchi che cadono contemporaneamente sono di aspetto molto simile tra loro, mentre le forme di una nevicata differiscono molto da quelle di un’altra. 81 nei settori settentrionali ed orientali, la neve è caduta molto abbondante e ha superato anche il metro. Venerdì 3 febbraio, già nelle prime ore del mattino la neve aveva fatto la sua comparsa nei quartieri settentrionali; all’Osservatorio del Collegio Romano, alle 9,00 del mattino sul pluviogramma è stato annotato “neve mista ad acqua”. La neve è arrivata ad affacciarsi copiosa sul centro della città dalle 12,00, quando ha iniziato ad attaccare sui tetti. I disagi non si sono fatti attendere: dopo due ore il traffico era in tilt, gli autobus erano bloccati e Roma paralizzata. Alle 19,00 all’Osservatorio venivano registrati 3 cm di coltre bianca. Ha continuato a nevicare durante la notte e ha smesso solo nelle prime ore del giorno dopo. Il mattino di sabato 4 febbraio, il centro di Roma è apparso magicamente immacolato e silenzioso come non accadeva dal 1986, anche se sono stati purtroppo registrati danni, causati soprattutto dal peso della neve che ha schiantato i rami di molti pini e alberature cittadine. Complessivamente, durante questo primo episodio, al Collegio Romano sono stati misurati 18,0 cm di neve, di cui 15,0 caduti durante la notte tra venerdì 3 e sabato 4. Il freddo intenso dei giorni successivi ha fatto sì che la neve permanesse al suolo per diversi giorni. Quando, il 10 febbraio, la neve si è riaffacciata, lungo le strade e in alcune aree verdi, specie nei parchi, erano ancora presenti le tracce dell’episodio precedente. Visti i pesanti disagi dovuti alle nevicate della settimana prima, in previsione del nuovo evento, il Sindaco aveva ordinato che venerdì 10 febbraio rimanessero chiusi gli uffici e le scuole. La grande paura di nuovi disagi è stata però smentita dalle meteore: la neve ha cominciato a cadere verso le 14,00, mista a pioggia; gli apporti sono stati meno abbondanti rispetto alla settimana precedente (3,0 cm al suolo registrati al Collegio Romano) anche se nel pomeriggio-sera di venerdì la nevicata ha avuto caratteristiche di vero e proprio rovescio. Il sabato mattina il sole splendeva su una Roma imbiancata e gelata. Le temperature minime si sono 82 mantenute inferiori allo zero anche nei giorni successivi, fino al 15 febbraio, conservando la neve al suolo per diversi giorni. Senza alcun dubbio, il febbraio 2012 merita di entrare nella storia delle nevicate romane da ricordare! Piazza San Marco (P.zza Venezia) il 4 febbraio (Foto di D. Sansone) Bibliografia Beltrano M.C., et al., 2012, Meteorologia di Roma Anno 2011, http://cma.entecra.it/pubblicazioni/Bollettino_2011.html Capecchi V., et al., 2007, Individuazione dei segnali di cambiamento climatico a scala locale e regionale, in Clima e cambiamenti climatici-le attività del CNR, Roma, CNR-Dip Terra e Ambiente, 385-388 Chistoni C., 1879, Forme di neve osservate in Pavia nell’inverno 1878-79-riflessi del Dottor Ciro Chistoni. Meteorologia italiana - Memorie e notizie – Anno 1878, Fascicolo V, 35-39 Effemeridi dell’anno 2012 per Roma: http://www.marcomenichelli.it/sole.asp Mangianti F., Beltrano M.C:, 1991, La neve a Roma dal 1741 al 1990, MAF-UCEA, pp. 55 WMO, 2009, Guidelines on Analysis of extremes in a changing climate in support of informed decisions for adaptation 83 Le osservazioni aerobiologiche del 2012 ANNO 2012 FAMIGLIE BOTANICHE GEN FEB MAR APR MAG SET OTT NOV DIC n % n % n % n n % n % n % n % n % n % n % 0,3 423,3 47,8 415,2 46,9 27,6 3,1 3,1 0,3 13,0 1,5 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 CHENO/AMARANTHACEAE 0,3 0,1 0,0 0,0 1,4 0,5 5,5 1,8 30,0 9,9 137,8 45,6 28,3 9,4 31,4 10,4 45,4 15,0 19,8 6,6 2,0 0,7 0,0 0,0 COMPOSITAE 0,0 0,0 0,0 0,0 4,4 3,7 3,1 2,6 8,9 7,4 16,0 13,4 19,4 16,2 41,3 34,5 16,7 14,0 6,8 5,7 3,1 2,6 0,0 0,0 CORYLACEAE 191,4 13,1 197,2 667,3 45,7 374,6 25,6 26,3 1,8 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 4,4 0,3 CUPRESSACEAE/ TAXACEAE 251,4 1,9 1910,0 14,4 10612,2 80,1 260,3 2,0 101,7 0,8 38,2 0,3 7,2 0,1 3,1 0,0 10,2 0,1 9,2 0,1 16,4 0,1 35,1 0,3 0,3 0,0 GRAMINAE 0,7 OLEACEAE 9,2 PINACEAE % AGO 2,7 FAGACEAE n LUG BETULACEAE 13,5 % GIU 0,0 0,0 218,3 2,8 1034,3 13,2 5815,3 74,4 628,7 8,0 115,0 1,5 8,2 0,1 0,3 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,7 0,0 0,0 2,4 0,1 42,3 2,1 285,9 14,2 959,6 47,6 483,0 24,0 114,3 5,7 58,7 2,9 31,4 1,6 30,7 1,5 4,8 0,2 0,3 0,0 0,7 15,7 1,1 98,2 6,9 123,1 8,7 744,7 52,7 392,0 27,7 29,7 2,1 1,7 0,1 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 3,8 0,3 2,7 0,2 79,1 6,9 148,4 13,0 590,8 51,6 157,3 13,7 19,1 1,7 9,6 0,8 5,5 0,5 32,4 2,8 88,7 7,8 6,8 0,6 PLANTAGINACEAE 0,0 0,0 0,0 0,0 4,4 3,2 11,6 8,4 18,1 13,1 75,7 54,8 11,3 8,1 4,8 3,5 10,9 7,9 1,0 0,7 0,3 0,2 0,0 0,0 PLATANACEAE 0,0 0,0 0,0 0,0 4998,9 80,5 1209,3 19,5 3,4 0,1 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 SALICACEAE 0,0 0,0 3,1 0,4 819,7 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 ULMACEAE 1,7 0,1 901,6 39,4 1380,9 60,3 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 URTICACEAE 23,5 0,8 63,5 2,0 680,6 21,7 456,4 14,6 549,6 17,6 636,5 20,3 107,8 3,4 105,8 3,4 77,8 2,5 86,3 2,8 140,5 4,5 200,9 6,4 ALTRE 5,8 0,8 9,2 1,3 113,9 16 194,4 27,5 111,2 15,7 89,4 12,6 33,8 4,8 36,5 5,2 18,4 2,6 27,7 3,9 37,5 5,3 28,0 4,0 97,4 18,8 2,2 4,8 0,2 Tabella 1: somma e composizione percentuale del polline aerodisperso rilevato all’Osservatorio del Collegio Romano per mese e per famiglia botanica nel 2012 84 Elaborazioni aerobiologiche del 2012 a cura di Maria Cecilia Serra e Francesca Greco Figura 1 - Roma – Osservatorio del Collegio Romano: Concentrazione pollinica totale (spezzata marrone) e precipitazione giornaliera (istogramma celeste) rilevate nell’anno 2012 85 Figura 2 - Roma – Osservatorio del Collegio Romano: Corylaceae Figura 3 - Roma – Osservatorio del Collegio Romano: Cupressaceae/Taxaceae 86 Figura 4 - Roma – Osservatorio del Collegio Romano: Platanaceae Figura 5 - Roma – Osservatorio del Collegio Romano: Urticaceae 87 Figura 6 - Roma – Osservatorio del Collegio Romano: Fagaceae Figura 7 - Roma – Osservatorio del Collegio Romano: Gramineae 88 Figura 8 - Roma – Osservatorio del Collegio Romano: Oleaceae Figura 9 - Roma – Osservatorio del Collegio Romano: Pinaceae 89 Figura 10 - Roma – Osservatorio del Collegio Romano: Alternaria Figura 11 –Roma – Osservatorio del Collegio Romano- Diffusione delle spore nel 2012 90 Figura 12 – Roma – Osservatorio del Collegio Romano- 2012: Numero totale di spore rilevate per specie Figura 13 – Roma – Osservatorio del Collegio Romano- 2012: Particolare - numero totale di spore rilevato nelle specie minori 91 Commento all’andamento aerobiologico del 2012 Maria Cecilia Serra e Francesca Greco I pollini I grafici e le figure delle pagine precedenti riportano i risultati del monitoraggio aerobiologico effettuato al Collegio Romano nel 2012. La Tabella 1 riporta il totale e la composizione percentuale dello spettro pollinico rilevato mensilmente per famiglia botanica. In Figura 1, la spezzata rappresenta la concentrazione pollinica totale giornaliera (granuli/m3), l’istogramma il valore della precipitazione giornaliera (mm) rilevati nel sito. L’insorgenza di fenomeni di precipitazione riduce la concentrazione pollinica in aria. La composizione floristica dell’ambiente monitorato determina due stagioni polliniche principali, in inverno e primavera, ed una terza in autunno. La prima è caratterizzata dalla fioritura di cipressi e in piccole percentuali di ontani ed olmi. Le basse temperature di febbraio, le precipitazioni ed il permanere della neve hanno determinato un ritardo di circa 10 giorni ed una scarsa quantità di pollini rilevati. Nel 2012, la concentrazione pollinica ha raggiunto il picco principale il 10 marzo (1455 granuli/m3). La seconda stagione, formata da granuli di querce, graminacee, ornielli, olivi, carpini, pini, ortiche e altre specie minori, ha rispettato le date previste dal calendario pollinico del sito con il picco secondario registrato il 10 maggio (899 granuli/m3); anche il monitoraggio primaverile si è contraddistinto per la scarsità di polline rilevato. Concentrazioni polliniche più basse della media sono state rilevate ancora nella stagione autunnale a causa delle frequenti precipitazioni. Le piante a fioritura autunnale sono alcune erbacee come la lanciola, il farinaccio, l’amaranto, la parietaria, l’artemisia e piante arbustive o arboree come edere, casuarine e cedri. 92 L’Ambrosia, fortemente allergenica, sebbene in espansione in Italia, è stata scarsamente rilevata nella stazione del Collegio Romano nel 2012. Le Figure da 2 a 9 riportano la stagione pollinica 2012 delle principali famiglie botaniche rilevate nel sito: Corylaceae, Cupressaceae, Platanaceae, Pinaceae, Fagaceae, Gramineae, Oleaceae e Urticaceae; la linea spezzata esprime la concentrazione pollinica giornaliera della famiglia nel 2012, l’area grigia riproduce l’andamento medio annuale della concentrazione nel periodo 2001-2011. La determinazione della stagione pollinica è una delle questioni più dibattute in aerobiologia. Le date di inizio, del picco, della fine e la durata del periodo, variano notevolmente a seconda dei criteri proposti dagli autori. In questa sede si prendono in considerazione i metodi di Jäger e di Leuschner. Jäger et al. (1996) La stagione pollinica di un taxa comincia il primo giorno in cui il totale giornaliero di granuli sia superiore all’1% dell’indice pollinico stagionale (SPI), presupponendo che non seguano 6 giorni successivi senza pollini. La stagione pollinica finisce quando è stato raggiunto il 95% del polline totale annuale Lejoly-Gabriel and Leuschner (1983) La stagione pollinica comincia nel giorno in cui la percentuale di polline emesso è superiore all’1% e la somma della percentuale giornaliera di polline rilasciato in un anno dal taxa raggiunge il 5%. La stagione pollinica ha termine nell’ultimo giorno in cui la somma della percentuale giornaliera rilasciata dal taxa sia maggiore dell’1% e la somma della percentuale di quel giorno e la somma della percentuale dei due giorni precedenti è più alta o uguale al 3%. I metodi esaminati per la definizione della stagione pollinica si basano sullo SPI, indice pollinico stagionale che viene determinato a fine anno; ciò 93 comporta che la data di inizio della stagione pollinica e le date successive possono essere determinate a posteriori, quando il ciclo di pollinazione si è ormai concluso. Secondo gli autori citati sopra, le date di inizio, picco e fine, delle principali famiglie nel 2012 sono state le seguenti. CORYLACEAE Inizio picco fine durata SPI 21 87 120 100 1461,1 CUPRESSACEAE Inizio picco fine durata SPI PLATANACEAE Inizio Picco Fine Durata SPI 53 70 85 33 13255 80 84 98 17 6211.6 PINACEAE Inizio picco fine durata SPI 84 124 316 233 1144.2 FAGACEAE Inizio picco fine durata SPI 108 131 169 62 7821.1 Jäger 21.01 27.03 29.04 Jäger 22.02 10.03 25.03 Jäger 20.03 24.03 07.04 20.1 87.3 46.1 442.8 1225.3 40.9 78.5 1031.6 68.6 21 87 120 100 1461,1 53 70 82 30 13255 82 84 99 19 6211.6 Jäger 24.03 03.05 11.11 13.0 83.6 20.5 99 124 316 218 1144,2 Jäger 17.04 10.05 17.06 113.6 742 22.5 108 131 148 41 7821.1 94 Leuschner 21.01 20.1 27.03 87.3 29.04 46.1 Leuschner 22.02 442.8 10.03 1225.3 22.03 209.5 Leuschner 22.03 791.4 24.03 62.4 08.04 1031.6 Leuschner 08.04 21.8 03.05 83.6 11.11 20.5 Leuschner 17.04 113.6 10.05 742.87 27.05 GRAMINEAE Inizio picco fine durata SPI OLEACEAE Inizio picco fine durata SPI 91 146 169 79 1414.3 URTICACEAE Inizio picco fine durata SPI Corylaceae Cupressaceae Platanaceae Urticaceae Fagaceae Granineae Oleaceae Pinaceae 117 145 223 107 2014 61 169 351 291 3129.2 Jäger 26.04 24.05 10.08 37.5 88.4 3.4 117 145 169 53 2014 Jäger 31.03 25.05 17.06 20.1 163.4 17.1 91 146 169 79 1414.3 Jäger 01.03 17.06 16.12 37.5 67.9 13.0 64 169 169 106 3129.2 n gg concentrazione alta media 6 23 28 13 20 19 0 51 35 19 23 30 12 38 3 20 Leuschner 26.04 37.5 24.05 88.4 17.06 32.7 Leuschner 31.03 20.1 25.05 163.4 17.06 17.1 Leuschner 04.03 32.1 67.9 17.06 17.06 67.9 Periodo persistenza dal 24.03 al 2.04 dal 21.02 al 25.03 dal 20.03 all’8.04 19 dal 17 al 25 marzo dal 26 .04 al 27.05 Dal 10.05 al 27.05 Dal 19.05 al 27.05 Dal 10.05 al 17.05 Le spore Il rilevamento delle spore è rappresentato nelle Figure da 10 a 13. L’Alternaria è una spora allergenica e viene monitorata obbligatoriamente (Norma UNI 11108-2004). In Figura 10 è rappresentata la concentrazione giornaliera del 2012 vs il valore medio del periodo 2002 – 2011. La stagione dell’Alternaria nel 2012 ha avuto lo stesso decorso dell’anno precedente: da fine maggio a fine ottobre, per circa 154 giorni. Il picco si è avuto l’11 settembre, due mesi più tardivo rispetto al 2011. 95 Secondo Jäger e Leuschner , le date di inizio, picco e fine, della concentrazione di spore di Alternaria nel 2012 sono state le seguenti. ALTERNARIA Inizio picco fine durata SPI 145 255 298 154 8512,6 Jäger 24.05 11.09 24.10 96,9 196,2 9,6 145 255 255 111 Leuschner 24.05 96,9 11.09 196,2 11.09 196.2 In Figura 11, Alternaria, Epicoccum e Stemphylium sono le spore rilevate con maggiore frequenza (11.000, 1.000 e 1.700 unità); in ALTRE è sintetizzato il contributo di: Torula, Pleospora, Pitomyces, Peronospora, Periconia, Oidium, Helminthosporium, Curvularia, Chaetomium, Arthrinium, Agrocybe e Polythrincium. Queste sono rilevate in quantità modeste, (Figure 12 e 13) da 150 unità (Periconia) alle poche decine di Spegazzina e Bipolaris. Oidium e Peronospora, spore di interesse agrario, si collocano in posizione intermedia, con 50 e 75 unità rispettivamente. La stagionalità delle spore, contrariamente a quella dei pollini, è prevalentemente estiva (Figura 11). Immagine al microscopio di un campione giornaliero del Collegio Romano (polline di Cupressaceae e particolato) 96 Riferimenti bibliografici Andersen T.B.: 1991, A model to predict the beginning of the pollen season, Grana 30, 269-275. Galan C., Emberlin JC, Dominguez E., Bryant R.H. and Villamandos F.: 1995, A comparative analysis of daily variations in the Gramineae pollen counts at Còrdoba, Spain and London, UK, Grana 34, 189-198. Giorato M., Lorenzoni F., Bordin A., De Biasi G., Gemignani C., Schiappoli M. and Marcer G.: 2000, Airborne allergenic pollens in Padua: 1991-1996, Aerobiologia 16, 453-454. Iato V., Rodriguez-Rajo F.J., Alcàzar P., De Nuntiis P., Galan C. & Mandrioli P.: 2006, May the definition of pollen season influence aerobiological results?, Aerobiologia 22: 13-35. Jäger S., Nilsson S., Berggren B., Pessi A.M., Helander M. and Ramfjord H.: 1996, Trends of some airborne tree pollen in the Nordic countries and Austria, 1980-1993. A comparison between Stockolm, Trondheim, Turku and Vienna, Grana, 35, 171-178 - Taylor & Francis Lejolj-Gabriel and Leuschner: 1983, Comparison of air-borne pollen at Louvain-Neuve (Belgium) and Basel (Switzerland) during 1979 and 1980, Grana 22, 59-64. Nilsson S. and Persson S.: 1981, Tree pollen spectra in the Stockholm region (Sweden) 1973-1980, Grana 20, 179-182. Spieksma FTM, Emberlin JC, Hjelmroos M, Jäger S & Leuschner RM.:1995, Atmospheric birch (Betula) pollen in Europe: Trends and fluctuations in annual quantities and the starting dates of the seasons, Grana 34, Taylor & Francis 97 Il Contacellule digitale: download gratuito Riccardo Scano, Massimo Scaglione e Francesca Greco Introduzione L'attività di monitoraggio aerobiologico svolta presso il CRA-CMA prevede l'analisi qualitativa e quantitativa di numerose particelle aerodisperse, tra cui i pollini ritenuti maggiormente allergenici e numerosi organi di diffusione di funghi. I campioni giornalieri sono analizzati al microscopio ottico secondo la metodologia standard dettata dalla norma UNI11108-2004 che prevede il riconoscimento e il conteggio di ogni singola specie osservata su non meno del 20% della superficie del vetrino. Il contatore meccanico da 8 tasti, risultava insufficiente per il numero di specie normalmente indagato; pertanto, anziché acquistare ulteriori costosi apparati che non permettono la registrazione dei conteggi, si è pensato di sviluppare un'applicazione, tra l’altro utilizzabile con un corredo hardware e software di computer dalle scarse prestazioni, già esistenti presso la struttura e considerati obsoleti per altre attività. Modalità di funzionamento Si tratta, in sostanza, di un foglio elettronico in cui il contatore è rappresentato dalla tastiera del computer. Ad ogni lettera della tastiera è associata una particella aerodispersa che a sua volta corrisponde ad una casella del foglio elettronico; la pressione del tasto aumenta di una unità il conteggio associato alla lettera che si è premuta. I dati vengono registrati alla fine di ogni sessione di conta con la data e l’ora e possono essere prelevati successivamente per eventuali report, bollettini o per le analisi statistiche. L'eventuale interruzione o chiusura delle applicazioni non compromette il lavoro già svolto; infatti, la conta dei dati registrati può essere salvata e ripresa in momenti successivi. 98 La schermata di inserimento dati La schermata di salvataggio dati Inoltre, vista la versatilità dei fogli elettronici, è possibile aggiungere fattori di conversione specifici, qualora il conteggio si riferisca ad un campione e sia necessario riportare i dati a valori relativi (camere contaglobuli di Bürker). 99 Conclusioni Il personale del CRA-CMA, che utilizza quotidianamente, sin dalle versioni di prototipo, il Contacellule digitale per la stesura del bollettino aerobiologico pubblicato sul sito http://www.cra-cma.it/pollini.htm, ha proposto di renderlo disponibile per il download a chiunque possa ritenerlo utile. In attesa di versioni più complesse, che renderanno immediatamente utilizzabili i dati per grafici e statistiche, si può richiedere gratuitamente, all'indirizzo http://cma.entecra.it/download/, l'attuale versione per Microsoft Office XP e l'APP per ANDROID con licenza creative common (CC BY-NC-ND 3.0) per la quale è possibile “esporla in pubblico ed eseguire quest'opera, alla condizione di attribuirne la paternità”. Riteniamo infatti che il software realizzato, seppur elementare, possa essere utile a laboratori di indagine aerobiologica ed ai laboratori dove è ancora necessaria la conta manuale di cellule, colonie e individui di altri organismi. APP per ANDROID 100 http://cma.entecra.it