trasparenza, coordinamento e convergenza delle politiche sulle

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trasparenza, coordinamento e convergenza delle politiche sulle
TRASPARENZA, COORDINAMENTO E
CONVERGENZA DELLE POLITICHE SULLE
IMPOSTE SOCIETARIE NELL'UNIONE EUROPEA
Un mercato unico solido necessita di un sistema di tassazione delle imprese equo,
efficiente e favorevole alla crescita, tale da contrastare l'elusione fiscale e da garantire
un'imposizione fiscale nel luogo in cui gli utili vengono generati.
Utilizzando tecniche di pianificazione fiscale aggressiva, alcune società sfruttano le lacune
giuridiche dei sistemi fiscali e i disallineamenti tra le legislazioni fiscali nazionali con
l'obiettivo di ridurre l'ammontare delle tasse dovute, acquisendo indebitamente notevoli
vantaggi competitivi. Considerando che la perdita complessiva di gettito per lo Stato dovuta all'elusione delle
imposte societarie viene generalmente compensata con un innalzamento del livello di
tassazione, i contribuenti meno mobili e aggressivi si trovano costretti a sostenere oneri
ancora maggiori.
Vi è oramai ampio consenso in ordine alla necessità di reagire in modo coordinato al
problema dell'elusione fiscale, al fine di garantire un adeguato
livello di trasparenza anche grazie ad una più stretta “Vi è oramai
cooperazione tra i governi e le autorità fiscali dei Paesi
ampio consenso
membri.
Per tali ragioni, la Commissione europea ha inteso
implementare il sistema di scambio automatico d'informazioni
sui tax ruling transfrontalieri disciplinato dalla direttiva
2011/16/UE del Consiglio del 15 febbraio 2011. Il primo
intervento in tal senso è stato il pacchetto sulla trasparenza
fiscale presentato a marzo 2015 e sfociato nella direttiva (UE)
2015/2376 del Consiglio dell'8 dicembre 2015. L'ultimo, il più
recente, è rappresentato invece dalla nuova proposta di
direttiva del 28 gennaio 2016 .
in ordine alla
necessità di
reagire in modo
coordinato al
problema
dell'elusione
fiscale”
In linea con la politica europea anti-elusione, in data 17 giugno
2015 la Commissione europea ha presentato un piano
d'azione con l'obiettivo di rilanciare la base imponibile consolidata comune per l'imposta
sulle società (CCCTB) presentata per la prima volta nel 2001. Il Consiglio ha dimostrato di
condividere l'approccio adottato dalla Commissione osservando come una tassazione
efficace delle imprese possa essere compromessa dall'erosione della base imponibile e dal
trasferimento degli utili.
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Tali pratiche, secondo lo studio "European added value of legislative report on bringing
Transparency, coordination and convergence to corporate tax policies in the EU",
causerebbero una perdita di gettito per l'Unione pari a 50 - 70 miliardi di euro l'anno.
In linea con il progetto Base Erosion and Profit Shifting (BEPS) concordato dai paesi
dell'OCSE, il 28 febbraio 2016 la Commissione europea ha presentato un nuovo pacchetto
anti-elusione al fine di promuovere una buona governance fiscale a livello europeo. In
particolare, la proposta non solo promuove la condivisione, da parte degli Stati membri,
delle informazioni di natura fiscale sulle multinazionali che operano nell'UE, ma introduce
anche nuove misure giuridicamente vincolanti volte a bloccare i metodi più comuni utilizzati
dalle società per eludere il fisco.
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Capitolo I
Migliorare la trasparenza fiscale e assicurare condizioni
uniformi
1.1 Tax ruling e scambio automatico obbligatorio
d'informazioni nel settore fiscale
Il ruling fiscale consiste in una previa definizione da parte dell'Amministrazione delle
imposte circa la tassazione di una fattispecie concreta presentata dal contribuente. L'emanazione di ruling fiscali preventivi è prassi corrente in Europa, giacché consente di
fornire certezza giuridica alle imprese riguardo all'imposizione fiscale incoraggiandone gli
investimenti. Tuttavia, la crescente mobilità dei contribuenti e l'aumento del numero di operazioni
transfrontaliere impediscono agli Stati membri di accertare correttamente l'entità delle
imposte dovute.
In taluni casi, infatti, i ruling aventi ad oggetto schemi di tassazione convenienti vengono
sfruttati sottoponendo, da un lato, importi di reddito artificiosamente elevati a bassi livelli di
tassazione nel Paese che emana il ruling e, dall'altro, importi di reddito artificiosamente
bassi a un'imposizione fiscale più elevata negli altri paesi coinvolti. Data l'urgenza di un intervento volto a contrastare tali pratiche elusive e a garantire
maggiore trasparenza, gli strumenti e i meccanismi offerti dalla direttiva 2011/16/UE del
Consiglio del 15 febbraio 2011 sono stati recentemente implementati dalla direttiva (UE)
2015/2376 del Consiglio dell'8 dicembre 2015.
Lo scambio spontaneo d'informazioni nelle ipotesi in cui l'autorità competente di uno Stato
membro abbia fondati motivi di presumere il verificarsi di una perdita di gettito fiscale in un
altro Stato membro risulta ostacolato dalla discrezionalità di cui dispone lo Stato membro di
emanazione nell'individuazione degli altri Paesi membri da informare. A parere della Commissione, l'accesso a tali informazioni dovrebbe essere garantito, ove
opportuno, a tutti i Paesi membri e lo scambio automatico dovrebbe riguardare qualsiasi
forma concreta di accordo, indipendentemente dal carattere vincolante o dalla modalità di
emanazione dello stesso. Per tali ragioni e al fine di garantire la certezza del diritto, la nuova direttiva di dicembre
2015 introduce, modificando in tal senso la precedente direttiva del 2011, una definizione di
ruling preventivo transfrontaliero e di accordo preventivo sui prezzi di trasferimento tali da
coprire un'ampia gamma di fattispecie.
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La Commissione europea ha peraltro sottolineato l'esigenza di comunicare in modo
sistematico, senza richiesta preventiva e a intervalli regolari prestabiliti le informazioni
riguardanti gli accordi fiscali indipendentemente dal fatto che il contribuente rispetti le
condizioni e i termini fissati dal ruling.
Per quanto concerne le modalità con cui avviene lo scambio di informazioni tra Stati
membri, la nuova direttiva del 2015 rilancia l'utilizzo di un formulario standardizzato volto a
consentire un utilizzo efficace dei dati. Il processo di standardizzazione non ha riguardato
soltanto la forma, ma anche i contenuti: il nuovo art. 8 bis, par. 6 contiene, infatti, un elenco
dettagliato delle informazioni che devono essere comunicate, tenendo in debito conto la
riservatezza dei segreti commerciali. Nonostante le recenti modifiche alla direttiva 2011/16/UE del Consiglio, il Parlamento
europeo ha rilevato come non sia effettivamente venuto meno il rischio di un'insufficiente
comunicazione tra gli Stati membri circa le possibili conseguenze di particolari intese fiscali
sulla riscossione delle imposte.
Tra le criticità evidenziate, il Parlamento europeo ha posto l'accento sulla mancanza di
sanzioni appropriate applicabili agli Stati membri che non provvedono, come dovrebbero,
allo scambio automatico d'informazioni sui ruling fiscali. Alla luce di quanto sopra, a gennaio 2016 la Commissione europea ha presentato una
nuova proposta di direttiva volta a modificare ulteriormente la precedente 2011/16/UE. Tra
gli elementi di novità, particolarmente importante risulta proprio l'introduzione di una norma
volta a disciplinare gli aspetti sanzionatori nelle ipotesi di violazione delle disposizioni
nazionali adottate in applicazione della normativa comunitaria in esame. Il nuovo art. 25 bis, infatti, prevede che gli Stati membri non solo definiscano sanzioni
effettive, proporzionate e dissuasive in tal senso, ma anche che adottino tutte le misure
necessarie al fine di assicurarne la corretta applicazione. Quest'ultimo intervento della Commissione ha riguardato altresì l'ambito di applicazione
della direttiva 2011/16/UE, estendendolo alla rendicontazioni paese per paese.
Disporre d'informazioni complete circa la struttura, la politica in materia di prezzi di
trasferimento e le operazioni interne, sia nell’Unione sia nei paesi extra UE, dei gruppi di
imprese multinazionali, consentirà alle autorità competenti di contrastare efficacemente le
pratiche fiscali dannose. Nella rendicontazione paese per paese, pertanto, i gruppi di imprese multinazionali
dovranno fornire ogni anno e per ogni giurisdizione fiscale in cui operano informazioni
riguardanti:
• i ricavi e gli utili al lordo delle imposte sul reddito; • le imposte sul reddito pagate e le imposte sul reddito maturate;
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• il capitale dichiarato e gli utili non distribuiti;
• il numero di addetti e le immobilizzazioni materiali diverse dalle disponibilità liquide;
• l’identificazione di ogni entità costitutiva del gruppo di imprese multinazionale, della
sua giurisdizione di residenza fiscale e della natura delle sue principali attività
commerciali.
Ciascuno Stato membro sarà tenuto ad adottare le misure necessarie al fine di imporre la
presentazione della rendicontazione in parola da parte delle entità di un gruppo
multinazionale residenti a fini fiscali nel suo territorio. L'obiettivo sarà quello di trasmetterle
a ogni altro Paese membro in cui (sulla base delle informazioni raccolte) una o più entità
costitutive del gruppo sono residenti a fini fiscali o sono soggette a imposte per le attività
svolte in quanto presentano una stabile organizzazione sul territorio.
1.2 Introduzione di una base imponibile consolidata
comune per l'imposta sulle società (CCCTB)
In Europa, la concorrenza fiscale creata dalla coesistenza in un unico mercato di 28 regimi
fiscali differenti ha inevitabilmente causato una progressiva riduzione delle aliquote
dell'imposta sulle società da parte degli Stati membri, al fine di attrarre sempre più
investimenti.
Il grafico mostra chiaramente, infatti, una notevole flessione dell'aliquota in parola
nell'eurozona e, in generale, nell'Unione europea, dove il principio della libera circolazione
consente una maggiore mobilità della base imponibile e degli utili.
Grafico: Aliquote di legge dell'imposta sulle società 1995-2014
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Sebbene le aliquote dell'imposta in questione siano scese, la tassazione delle società
continua a rappresentare un'importante fonte di entrate per gli Stati membri. Nel 2012, dalle
società proveniva in media il 6,5% del gettito fiscale dell’UE-27 (corrispondente al 2,6% del
PIL).
Grafico: Imposta sul reddito delle società in % del gettito fiscale totale
Alcuni Stati membri, tuttavia, hanno controbilanciato le minori aliquote e l'elusione fiscale
aumentando il carico fiscale gravante sul lavoro e sulle società meno mobili. Le conseguenze legate all'adozione di tali misure compromettono inevitabilmente lo
sviluppo e la crescita per diverse ragioni:
a) Il maggiore carico fiscale sul lavoro disincentiva l'occupazione e la creazione di posti
di lavoro;
b) La maggiore pressione fiscale sulle società meno mobili aumenta il costo del loro
capitale e riduce la loro capacità di investire;
c) Le imprese meno mobili, colpite da tali misure, risentono di un notevole svantaggio
competitivo rispetto alle società che praticano la pianificazione fiscale aggressiva.
Al fine di conseguire gli obiettivi di maggiore equità ed efficienza della tassazione, il 15
giugno 2015 la Commissione europea ha presentato un piano d'azione volto a rilanciare la
base imponibile consolidata comune per l'imposta sulle società (CCCTB) proposta nel
2001. 6
All'iniziativa della Commissione è seguita la Risoluzione del Parlamento europeo del 16
dicembre 2015, volta a porre l'accento sull'esigenza di introdurre quanto prima la CCCTB
con l'obiettivo di contrastare la pianificazione fiscale aggressiva uniformando le norme che
disciplinano il calcolo del reddito imponibile delle società operanti nei diversi Paesi membri. Merita chiarire come la CCCTB, in realtà, non riguardi le aliquote d'imposta. Gli Stati
membri, infatti, manterranno la piena sovranità in tal senso posto che le differenze tra le
aliquote, a condizione che non creino distorsioni, consentono di garantire un certo grado di
concorrenza fiscale all'interno del mercato unico. Il ruolo chiave della CCCTB sarà dunque quello di assicurare una concorrenza fiscale più
leale all'interno dell'Unione, caratterizzata da maggiori livelli di trasparenza. L'elemento chiave che caratterizza la CCCTB è il consolidamento dei profitti e delle perdite
registrati dalle società o dai gruppi di società in tutta l'Unione europea.
Tale sistema consente di riconoscere l'attività transfrontaliera svolta all'interno dell'UE.
A tutt'oggi, un gruppo multinazionale può sommare i profitti di una controllata nello Stato
membro A alle perdite di un'altra controllata nello Stato membro A per determinare un
profitto o una perdita netti. Lo stesso gruppo, tuttavia, non può considerare le perdite
eventualmente registrate in un altro Stato membro B. Ciò significa che, anche nell'ipotesi in cui vi sia stata una perdita netta (ossia le sue perdite
in uno Stato membro siano state superiori ai suoi profitti altrove nell'UE), il gruppo dovrebbe
comunque pagare un'imposta negli Stati membri in cui ha conseguito i profitti. Non vi è
infatti alcuna compensazione delle perdite a livello transfrontaliero. Grazie alla compensazione delle perdite a livello transfrontaliero, la CCCTB consentirebbe
al gruppo di addizionare i profitti e le perdite di tutte le controllate in tutta l'UE per giungere
a un valore netto. L'imposta verrebbe poi pagata sul profitto netto del gruppo per l'intera
UE, in linea con la logica del mercato unico. La base comune definita dalla CCCTB consentirebbe inoltre di eliminare le asimmetrie tra i
regimi fiscali nazionali sfruttate per la pianificazione fiscale aggressiva, con vantaggi
evidenti nell'ambito della lotta contro il trasferimento degli utili. Posto che le operazioni
intragruppo verrebbero ignorate e l'utile del gruppo verrebbe ripartito applicando la formula
di cui sopra, non esisterebbe più la possibilità di manipolare i prezzi di trasferimento.
La CCCTB offrirebbe altresì alle piccole e medie imprese nuove possibilità di espansione in
Europa, posto che oggi tale prospettiva risulta troppo costosa e complicata per piccole
realtà d'impresa. Per le PMI, infatti, l'esistenza di norme divergenti per il calcolo della base imponibile in altri
Stati membri costituisce spesso un ostacolo, data la carenza di risorse che hanno a
disposizione. Grazie ad una base imponibile comune, le PMI potrebbero continuare a
operare con un unico sistema e un'unica amministrazione fiscale, come già fanno ora,
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anche se decidessero di espandersi in altri Stati membri (le stime prevedono una riduzione,
grazie alla CCCTB, del 67% delle spese fiscali per le imprese di piccole-medie dimensioni
che decideranno di espandersi in Europa).
La Commissione europea ha evidenziato l'importanza e il ruolo strategico del sistema della
CCCTB anche in termini di maggiore attrattività dell'UE per gli investitori esteri.
L'armonizzazione delle regole per la determinazione della base imponibile e l'istituzione di
uno sportello unico per la presentazione delle dichiarazioni rappresenterebbero un valore
aggiunto importante in tal senso. Le società che attualmente operano in USA o in Cina, ad esempio, devono conformarsi a
un unico regime tributario. Al contrario, in Europa, la complessità e i costi dell'adeguamento
alla normativa sono senza dubbio molto elevati a causa della coesistenza di 28 regimi
diversi.
La proposta iniziale della Commissione prevedeva che per le società la CCCTB fosse
facoltativa, non obbligatoria: le imprese avrebbero potuto scegliere se optare per questo
nuovo sistema o, nel caso in cui non avessero avuto intenzione di espandersi all'estero,
continuare ad applicare i propri regimi nazionali. La motivazione alla base di tale scelta seguiva anzitutto la logica della sussidiarietà. La
Commissione, infatti, aveva ritenuto contrario a tale principio il carattere obbligatorio della
CCCTB: le misure UE in esame avrebbero regolato non solo le attività svolte a livello
comunitario, ma anche quelle aventi una dimensione puramente nazionale. Nonostante tali premesse, la Commissione ha recentemente espresso chiare perplessità
circa la scelta originale della facoltatività della CCCTB, annunciando il suo impegno a
presentare una proposta volta a rendere tale sistema obbligatorio almeno per le
multinazionali. Il motivo che ha giustificato questo cambio di tendenza riguarda l'esigenza di garantire
l'effettività e l'efficacia dello strumento in esame. Mantenendo il regime precedente e
riconoscendo piena discrezionalità in ordine al regime da adottare, le multinazionali che
mirano ad acquisire vantaggi competitivi attraverso una pianificazione fiscale aggressiva
non avrebbero mai optato per questa nuova soluzione in quanto estremamente
svantaggiosa.
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Capitolo II
Garantire l'effettiva tassazione nell'Unione
In risposta al piano d'azione varato dall'OCSE contro l’erosione della base imponibile e il
trasferimento degli utili (BEPS - Base Erosion and Profit Shifting) e delle richieste formulate
dal Parlamento europeo circa l'esigenza di adottare un approccio dell’Unione più deciso e
più coerente contro gli abusi in materia di imposta sulle società, il 28 gennaio 2016 la
Commissione ha presentato una nuova proposta di direttiva contro le pratiche di elusione
fiscale che incidono sul funzionamento del mercato unico. Tale iniziativa, che si inserisce all'interno di un più ampio pacchetto di proposte in materia
fiscale, introduce misure giuridicamente vincolanti volte a bloccare i metodi più comuni
utilizzati dalle società per eludere il fisco, con l'obiettivo di promuovere una buona
governance fiscale a livello europeo e fornire un quadro comune per l'attuazione coordinata
dei risultati del BEPS. Nello specifico, la direttiva in esame introduce, tra le altre, norme riguardanti:
•
la deducibilità degli interessi;
•
l'imposizione in uscita; •
le società controllate estere •
il disallineamenti da ibridi.
Considerando il carattere transfrontaliero delle pratiche in questione, che sfruttano le
disparità dei regimi fiscali nazionali, la Commissione europea ha sottolineato l’importanza di
promuovere un’iniziativa coordinata a livello comunitario al fine di raggiungere un certo
grado di uniformità nell’attuazione dei risultati del BEPS in tutta l’Unione.
Procedendo a un’analisi contenutistica della proposta di direttiva in esame, si nota come la
Commissione si sia limitata a definire condizioni di protezione minima (norme di principio)
per tutti i sistemi di imposta sulle società degli Stati membri. I dettagli dell’attuazione sono stati lasciati agli Stati membri, posto che essi si trovano nella
posizione più idonea per definire gli elementi precisi delle norme secondo le modalità che
meglio si adattano ai rispettivi sistemi di imposta sulle società. 9
2.1 Deducibilità degli interessi
Le multinazionali sfruttano la pianificazione fiscale aggressiva che consente loro di ridurre il
carico fiscale sfruttando precise “strategie”. Una tra le più diffuse consente di diminuire la
base imponibile del gruppo nel suo complesso sfruttando la deducibilità degli interessi. Spesso, infatti, le multinazionali finanziano le loro entità in giurisdizioni ad alta fiscalità
attraverso lo strumento del debito, prevedendo il successivo pagamento di interessi
“gonfiati” (e deducibili) da parte di queste ultime a società controllate residenti in
giurisdizioni a bassa fiscalità.
In questo modo, la base imponibile delle entità che versano gli interessi “gonfiati”
diminuisce nelle giurisdizioni ad alta fiscalità e aumenta invece in quelle a bassa fiscalità. Il
risultato è una riduzione della base imponibile del gruppo nel suo complesso.
Alla luce di quanto premesso, la Commissione europea ha introdotto una nuova norma
volta a contrastare tale pratica attraverso una limitazione effettiva dell’ammontare degli
interessi che il contribuente è autorizzato a dedurre in un esercizio fiscale. Gli interessi
passivi netti saranno pertanto deducibili solo fino a una percentuale fissa basata sul
risultato lordo d’esercizio del contribuente. Nello specifico, l’art. 4 della proposta di direttiva del 28 gennaio 2016, recante norme
contro le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del
mercato interno, prevede quanto segue: «1. Gli oneri finanziari sono sempre dedotti a concorrenza degli interessi o di altri ricavi
imponibili da attivi finanziari ricevuti dal contribuente.
2. Gli oneri finanziari eccedenti sono deducibili nell’esercizio fiscale in cui sono sostenuti
solo fino al 30 per cento degli utili del contribuente prima di interessi, imposte, svalutazioni
e ammortamenti (EBITDA) o fino a un importo di 1 000 000 EUR, se superiore. […]»
2.2 Imposizione in uscita
Un’altra pratica piuttosto diffusa che consente a molti contribuenti di eludere il fisco si
concretizza nel trasferimento della residenza fiscale e/o dei propri attivi in una giurisdizione
a bassa fiscalità. Il risultato non cambia rispetto alla fattispecie precedente: la riduzione della base imponibile
si ottiene mediante il trasferimento descritto, anziché sfruttando la deducibilità degli
interessi. Le distorsioni del mercato sono anche in questo caso evidenti. Il trasferimento della residenza fiscale di una società al di fuori di uno Stato membro priva
quest'ultimo del diritto di tassare in futuro le entrate della società che potrebbero essere già
state generate, ma non ancora realizzate. Lo stesso problema si presenta nelle fattispecie in cui i contribuenti trasferiscono i loro attivi
al di fuori di uno Stato membro e tali attivi comprendono utili non realizzati.
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La Commissione europea ha individuato espressamente quattro situazioni in cui è prevista
la c.d. imposizione in uscita, ovvero un'imposta corrispondente al valore degli attivi trasferiti
(che comprendono plusvalenze non realizzate) che consente di contrastare l'erosione della
base imponibile: «[...] (a) (quando) un contribuente trasferisce attivi dalla sua sede centrale alla sua stabile
organizzazione situata in un altro Stato membro o in un paese terzo; (b) (quando) un contribuente trasferisce attivi dalla sua stabile organizzazione situata in uno
Stato membro alla sua sede centrale o a un’altra stabile organizzazione situata in un altro
Stato membro o in un paese terzo; (c) (quando) un contribuente trasferisce la sua residenza fiscale in un altro Stato membro o
in un paese terzo, ad eccezione degli attivi che rimangono effettivamente collegati a una
stabile organizzazione situata nel primo Stato membro; (d) (quando) un contribuente trasferisce la sua stabile organizzazione al di fuori di uno Stato
membro. [...]»
2.3 Norme sulle società controllate estere
Le multinazionali con entità controllate in giurisdizioni a bassa fiscalità possono ridurre
l'onere fiscale complessivo del gruppo attuando pratiche di pianificazione fiscale volte a
trasferire la maggior parte degli utili a tali società, riducendo la base imponibile della società
madre soggetta a elevata fiscalità. Il risultato è un'effettiva diminuzione dell’onere fiscale
complessivo del gruppo. Un sistema comunemente utilizzato a tal fine dalle multinazionali consiste nel trasferimento
infragruppo della proprietà di attivi immateriali (ad esempio, proprietà intellettuale)
dall'entità madre a quella controllata in Paesi a bassa fiscalità. Tale trasferimento consente
di giustificare il successivo passaggio di ingenti quantità di denaro in forma di pagamenti di
canoni quali corrispettivo del diritto di utilizzare gli attivi immateriali gestiti dalla società
controllata estera. La Commissione ha pertanto introdotto una norma volta a riassegnare i redditi di una
società controllata estera soggetta a bassa tassazione alla sua società madre laddove
siano soddisfatte le seguenti condizioni:
(a) il contribuente (la società madre residente in uno Stato membro ad alta fiscalità), da
solo o insieme alle sue imprese consociate, [...], detiene una partecipazione diretta o
indiretta di oltre il 50 per cento dei diritti di voto o possiede oltre il 50 per cento del
capitale o ha il diritto di ricevere oltre il 50 per cento dei profitti di tale entità (entità
controllata in una giurisdizione a bassa fiscalità); (b) nell’ambito del regime generale applicabile (a bassa fiscalità) nel paese dell’entità, gli
utili sono soggetti a un’aliquota effettiva dell’imposta sulle società inferiore al 40 per
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cento dell’aliquota effettiva che sarebbe stata applicata nell’ambito del sistema di
imposizione delle società vigente nello Stato membro (ad alta fiscalità) del contribuente; (c) oltre il 50 per cento dei redditi ottenuti dall’entità (controllata) rientra in una delle
seguenti categorie: i) interessi o qualsiasi altro reddito generato da attivi finanziari; ii) canoni o qualsiasi altro reddito generato da proprietà intellettuale o permessi
negoziabili; iii) dividendi e redditi derivanti dalla cessione di azioni; iv) redditi da leasing finanziario; v) redditi da beni immobili a meno che lo Stato membro (ad alta fiscalità) del
contribuente non abbia il diritto di tassare i redditi in applicazione di un accordo
concluso con un paese terzo; vi) redditi da attività assicurativa, bancaria e altre attività finanziarie; vii) redditi da servizi resi al contribuente o alle sue imprese consociate;[...]»
Qualora siano soddisfatte tali condizioni, la società madre sarà pertanto tenuta a versare
l’imposta su tali redditi nel suo Stato di residenza. 2.4 Quadro per contrastare i disallineamenti da ibridi
I disallineamenti da ibridi rappresentano la conseguenza della diversa qualificazione
giuridica in due Stati membri differenti della medesima operazione transfrontaliera attuata
da gruppi multinazionali. Tali disallineamenti possono portare spesso a doppie deduzioni,
ovvero a deduzioni in entrambi i Paesi membri coinvolti, che consentono al gruppo di
ridurre notevolmente il debito d'imposta complessivo nell'Unione.
Al fine di contrastare tali pratiche, la Commissione ha previsto una norma ad hoc volta a
dirimere il problema del disallineamento: «Se due Stati membri danno una diversa qualificazione giuridica al medesimo contribuente
(entità ibrida), [...], e ciò porta a una situazione in cui lo stesso pagamento, le stesse spese o
le stesse perdite sono dedotti sia nello Stato membro in cui il pagamento ha origine, le
spese sono sostenute o le perdite sono subite sia in un altro Stato membro, o a una
situazione in cui un pagamento è dedotto nello Stato membro in cui il pagamento ha origine
senza una corrispondente inclusione del medesimo pagamento nell’altro Stato membro, la
qualificazione giuridica attribuita all’entità ibrida dallo Stato membro in cui il pagamento ha
origine, le spese sono sostenute o le perdite sono subite è seguita dall’altro Stato membro.
[...]»
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Il coordinamento tra gli Stati membri coinvolti circa le qualificazioni giuridiche è stato
disciplinato dalla Commissione anche in un'altra ipotesi specifica:
«Se due Stati membri danno una diversa qualificazione giuridica allo stesso pagamento
(strumento ibrido) e ciò porta a una situazione in cui è applicata una deduzione nello Stato
membro in cui il pagamento ha origine senza una corrispondente inclusione del medesimo
pagamento nell’altro Stato membro, la qualificazione giuridica data allo strumento ibrido
dallo Stato membro in cui il pagamento ha origine è seguita dall’altro Stato membro.»
2.5 Norma generale antiabuso
La dinamicità e la rapida evoluzione degli schemi di pianificazione fiscale, sempre più
elaborati e complessi, impedisce di prevedere per ciascuna fattispecie concreta una norma
antielusione corrispondente volta a contrastarla. La legislazione fiscale, infatti, non evolve
abbastanza rapidamente da includere tutte le specifiche misure necessarie per far fronte
alle pratiche fiscali abusive. Per tali ragioni, la Commissione ha inserito a completamento della sua proposta la
seguente norma generale antiabuso: 1. Le costruzioni non genuine o una serie di costruzioni non genuine poste in essere
essenzialmente allo scopo di ottenere un vantaggio fiscale che è in contrasto con l’oggetto
o la finalità delle disposizioni fiscali che sarebbero state altrimenti applicabili sono ignorate ai
fini del calcolo dell’imposta sulle società dovuta. Una costruzione può comprendere più di
una fase o parte.
Il criterio adottato dalla Commissione europea al fine di classificare una determinata
condotta come " genuina" si basa sull'effettiva esistenza di valide ragioni commerciali a
sostegno dell'operazione, tali da riflettere la realtà economica in cui opera il contribuente
coinvolto. 13