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Konstantin Akinsha
Galerie Belvedere, Vienna
Arte rubata e memoria.
Durante la prima metà del XX secolo milioni di dipinti, manoscritti, libri e oggetti d'arte
sono stati distrutti, sottratti e confiscati. Nessun'altra epoca storica ha visto una tale
massiccia devastazione di beni culturali. Dal 1914, il patrimonio culturale è caduto
costantemente vittima di guerre e rivoluzioni. L'incendio della biblioteca dell'Università
di Lovanio il 25 agosto e la distruzione di Notre-Dame de Reims il 20 settembre del 1914
divennero i simboli della barbarie della guerra “totale”1. Presto i crimini di guerra furono
seguiti dalla distruzione casuale dei beni culturali da parte delle masse rivoluzionarie2.
Tuttavia nulla può essere paragonato al periodo della Seconda Guerra Mondiale, quando
milioni di opere d'arte, libri, oggetti rituali furono confiscati dal regime nazista su tutto il
territorio dell'Europa occupata. Arrogandosi il diritto di impossessarsi della cultura del
mondo, i leader nazisti videro nel possesso dei beni una manifestazione di potere e
un'ulteriore mezzo per legittimare il loro regime3. Il piano di Hitler di fondare a Linz, la
1
Jeff Lipkes, Rehearsals: The German Army in Belgium, August 1914, (Louvain: Leuven University Press,
2007), pp. 444-450; Holger H. Herwig, The Marne, 1914: The Opening of World War I and the Battle That
Changed the World (New York: Random House, 2009), p. 234; Elizabeth Emmery, “The Martyred
Cathedral: American Interpretations of Notre-Dame de Reims after the First World War”, in Medieval Art
and Architecture after the Middle Ages, ed. by Alyce Jordan and Janet Marquardt. Cambridge, (Newcastle:
Cambridge Scholars Press, 2009), pp. 312-339.
2
Richard Sites, Revolutionary Dreams: Utopian Vision and Experimental Life in the Russian Revolution,
(New York – Oxford: Oxford University Press, 1989), pp. 61-72.
3
Vedi: Jonathan Petropoulos, The Faustian bargain: the art world in Nazi Germany, (New York, N.Y. :
Oxford University Press, 2000).
1
sua città natale, il museo universale dell'arte mondiale sembrava una parodia del Musée
Napoléon arricchito delle opere provenienti dall'Italia, i Paesi Bassi e la Spagna4.
Nei paesi occupati dell'Europa occidentale, i nazisti non saccheggiarono le collezioni
museali, anche quando i potenti leader del terzo Reich, come il Feldmaresciallo Herman
Goering desiderarono disperatamente arricchire le proprie collezioni di opere d'arte
rubando dai caveau del Louvre o dei musei olandesi. I nazisti seguirono le strade perverse
della "legalità" offrendo ai musei in questione scambi che difficilmente osarono rifiutare5.
Le proprietà degli ebrei furono trattate in modo diverso – sia le collezioni private che le
proprietà delle istituzioni religiose furono confiscate senza alcuna esitazione. Le
organizzazioni naziste concorrenti saccheggiarono indiscriminatamente le collezioni
ebraiche in Francia, Olanda e altri paesi occupati. Prima dell'inizio della guerra, tali
collezioni in Germania e Austria erano già state confiscate o vendute attraverso la
coercizione dalle persone che erano ansiose di emigrare per salvare le loro vite6.
A est i nazisti non si preoccuparono di dare una veste legale alle loro attività – in Polonia
e nei territori occupati dell'Unione Sovietica le collezioni museali furono depredate
apertamente e portate in Germania con il pretesto di "proteggerle"7.
Già nel 1943 gli alleati iniziarono a programmare che cosa fare con i beni culturali alla
fine della guerra. A Washington fu istituita la Commissione Roberts. Denominata
ufficialmente la Commissione americana per la tutela e la salvaguardia dei monumenti
artistici e storici nelle zone di guerra, fu presieduta dal giudice della Corte suprema
Owen Roberts. La Commissione iniziò il processo di valutazione dei saccheggi nazista
limitatamente ai beni culturali dell'Europa e stilò le liste dei monumenti culturali, che
dovevano essere messi sotto tutela durante le operazioni militari alleate in Europa, Nord
Africa ed Estremo Oriente. La Commissione ha svolto un ruolo chiave nella creazione di
4
Vedi: Birgit Schwarz, Hitlers Museum: die Fotoalben Gemäldegalerie Linz : Dokumente zum
"Führermuseum", (Wien : Böehlau, 2004).
5
Gerard Aalders, Nazi looting: the plunder of Dutch Jewry during the Second World War, (Oxford, New
York : Berg, 2004), p 72; Lynn H. Nicholas, The rape of Europe: the fate of Europe's treasures in the Third
Reich and the second World War, (New York: Knopf, 1994), pp. 146 – 148.
6
Vedi: Gerard Aalders, Ibid; Hector Feliciano, The lost museum: the Nazi conspiracy to steal the world's
greatest works of art, (New York: BasicBooks,1997); Sophie Lillie, Was einmal war: Handbuch der
enteigneten Kunstsammlungen Wiens, (Wien: Czernin, 2003).
7
“The cultural values the victims of the war”, Ministry of Culture of the Russian federation:
http://lostart.ru/en/
2
una sede distaccata del MFA&A (Monumenti, belle arti e archivi) all'interno della
Sezione governativa per gli Affari civili e militari degli eserciti alleati, destinata a giocare
un ruolo decisivo nella restituzione (nel dopoguerra) dei beni culturali saccheggiati dai
nazisti8.
L'Unione Sovietica non fu di alcun aiuto per gli alleati in questo frangente. Al contrario,
nel 1943 venne fondato il cosiddetto Bureau of Experts presieduto da Igor Grabar, noto
storico dell'arte. Inizialmente il Bureau si concentrò sulla predisposizione delle liste dei
beni confiscati ai musei sovietici dai nazisti; tuttavia abbastanza presto vennero
modificati gli obiettivi – gli esperti del Bureau di Grabar erano meno interessati alla
composizione degli inventari delle tele sottratte dai musei di Pskov o Kyiv rispetto alla
redazione delle wish-list dei beni culturali, che sarebbero state acquisite alla fine della
guerra dai paesi dell'Asse come compensazione per le perdite culturali sovietiche. Quello
che inizialmente è stato trattato come una possibile compensazione in natura per il
dopoguerra – in sostituzione della perdita di opere d'arte o della loro distruzione, si
tramutò nella creazione di un inventario di capolavori che avrebbero dovuto essere
acquisiti da Mosca dopo la vittoria contro il terzo Reich9. Gli esperti di arte sovietica non
si sottrassero alla tentazione di creare un “Musée Napoléon”. Nel 1944 fu oggetto di
discussione tra i funzionari culturali di alto rango. Venne proposto di istituire un nuovo
Museo dell'arte mondiale all'interno del Palazzo dei Soviet, il più alto edificio del mondo
sormontato da una gigantesca statua di Lenin, la cui costruzione fu interrotta dalla
guerra10.
La differenza di approccio degli Alleati e dei Sovietici nei confronti del furto dei beni
culturali fu evidente quando le operazioni militari iniziarono ad avvicinarsi ai confini
tedeschi. Se i funzionari dell'AMF&A erano preoccupati della restituzione dei tesori
depredati, i membri delle brigate sovietiche non parevano essere interessati a chi
appartenessero i beni confiscati.
8
Registri della American Commission for the Protection and Salvage of Artistic and Historic Monuments
in War Areas (The Roberts Commission), 1943–1946 (RG 239), National Archives and Records
Administration, Washington DC.
9
Konstantin Akinsha, Grigorii Kozlov, Sylvia Hochfield, Beautiful loot: the Soviet plunder of Europe's art
treasures, (New York: Random House, 1995), pp. 20 – 29.
10
Ibid., pp. 30-42.
3
L'impegno degli alleati nei confronti delle restituzioni continuò fino a metà anni
Cinquanta. Centinaia di migliaia di opere d'arte, biblioteche e archivi confiscati dai
nazisti nei paesi occupati vennero restituiti ai legittimi proprietari. Tuttavia le enormi
dimensioni dell'operazione ne sottolineò anche i limiti. Le autorità americane e
britanniche semplicemente non avevano il tempo di cercare i proprietari effettivi delle
opere depredati. Il principio della restituzione ai paesi di origine e non agli individui
divenne una prassi. I rispettivi governi furono costretti a trasferire le proprietà sottratte e
restituite dagli americani e dagli inglesi ai legittimi proprietari. Tuttavia in molti casi non
lo fecero. Opere d'arte un tempo appartenute agli ebrei uccisi durante l'Olocausto finirono
in collezioni statali, magazzini speciali o addirittura messi all'asta come beni senza
proprietari11.
Ciò che stava accadendo nell'area sovietica dell'occupazione rimase un mistero. I treni
carichi di opere d'arte stavano partendo per l'Est. Le collezioni dei musei di Berlino,
Dresda e Lipsia scomparvero e benché i servizi segreti americani e britannici fossero
consapevoli che si stavano dirigendo verso il confine sovietico, Mosca ufficialmente
rifiutava di fornire informazioni sulla loro effettiva posizione.12
Per 10 anni i treni merci attraversarono l'Europa portando casse piene di opere d'arte e
biblioteche che tornavano a Parigi, Amsterdam, Bruxelles e Varsavia. Altri treni
portarono i tesori della Galleria di Dresda verso Mosca. Questa grande migrazione dei
beni culturali divenne il simbolo della fine della Seconda Guerra Mondiale. Benché
numerosi capolavori tornarono sulle pareti dei musei di Parigi e di Amsterdam, molti altri
scomparvero senza lasciare traccia dietro la cortina di ferro di nuova costituzione.
Il caso del saccheggio nazista dell'Europa venne archiviato e, per un periodo, dimenticato
- la ricostruzione post-bellica, la miseria della guerra fredda e il destino di milioni di
profughi ebrei che cercavano di farsi strada verso la Palestina, gettò nell'ombra il
problema dei Rembrandt saccheggiati.
11
Plunder and restitution: the U.S. and Holocaust victims assets: findings and recommendations of the
Presidential Advisory Commission on Holocaust Assets in the United States and Staff report.
Presidential Advisory Commission on Holocaust Assets in the United States, (Washington, DC: U.S.
GP.O.,
2000):
http://govinfo.library.unt.edu/pcha/PlunderRestitution.html/html/StaffChapter5.html#anchor2691911
12
Konstantin Akinsha, Grigorii Kozlov, Sylvia Hochfield, Beautiful loot, pp. 153 – 174.
4
Il termine "restituzione" venne reinserito nel vocabolario delle relazioni internazionali tra
la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta. La fine della Guerra Fredda e la
caduta dell'Unione Sovietica contribuirono a rendere pubbliche le informazioni sui
magazzini segreti dei musei sovietici, contenenti opere d'arte provenienti dai musei della
Germania dell'Ovest e i capolavori provenienti dalle collezioni private, una volta
appartenute alle vittime dell'Olocausto13. Per un breve periodo, fu possibile accedere alla
documentazione nazista confiscata dai sovietici in Germania e segretamente conservata
negli archivi di Mosca14. Tutte le tessere del puzzle possono essere messe finalmente al
loro posto. Le richieste di restituzione per Federazione russa presentate dalla Germania,
l'Austria, la Francia, i Paesi Bassi, il Belgio, l'Ungheria e la Polonia inserirono il
problema del patrimonio culturale saccheggiato nell'agenda internazionale.
Ben presto l'attenzione del pubblico fu catturata dal fatto che le opere d'arte saccheggiate
durante la guerra potevano trovarsi non solo nei caveau cantine dei musei russi, ma nei
magazzini di Parigi o in Austria. Lo scandalo del magazzino Mauerbach dove il governo
austriaco aveva conservato, a partire dal 1952, i beni culturali "senza proprietario"
confiscati dai nazisti agli ebrei e riportati dalla zona di occupazione americana o dalla
cosiddetta collezione francese Musées Nationaux Récupération (MNR) che raccoglieva le
opere d'arte saccheggiate dai nazisti in Francia e mai restituite ai legittimi proprietari,
portò alla verifica dei contenuti dei musei su entrambi i lati dell'Atlantico15.
La Conferenza di Washington sui beni dell'Era dell'Olocausto (1998) e la creazione di
commissioni governative impegnate nelle questioni legate alla restituzione di tutti i tipi di
13
Konstantin Akinsha e Grigorii Kozlov. "Spoils of war: the Soviet Union's hidden art treasures",
ARTnews, Aprile 1991. Sulle proprietà culturali delle vittime della Shoah portati in URSS, vedi: Heritage
Revealed, Catalogue of Art Objects from Hungarian Private Collections, ed. Piotr Balakin (Mosca:
Rudomino, 2003).
14
Patricia Kennedy Grimsted, Russia's "Trophy" Archives--Still Prisoners of World War II? (Budapest:
Open Society Archive, Central European University, 2002); Oggi molti documenti sono stati riclassificati.
15
Andrew Decker. "A legacy of shame", ARTnews, December 1984; vedi anche: A qui appartenaient ces
tableaux? : la politique française de recherche de provenance, de garde et de restitution des oeuvres d'art
pillées durant la Seconde Guerre mondiale ; Looking for owners : French policy for provenance research,
restitution and custody of art stolen in France during World War Two : [exposition] Musée d'Israël,
Jérusalem, 18 février - 3 juin 2008;February 18th - June 3rd, 2008 ; Musée d'art et d'histoire du Judaïsme,
Paris, 24 juin - 28 septembre 2008; 24 giugno-28 settembre 2008, (Parigi: Riunione dei musei nazionali,
2008).
5
beni, tra cui i beni culturali in paesi come gli Stati Uniti, la Francia, l'Olanda, l'Argentina
e altri, determinarono una maggiore presa di coscienza da parte dell'opinione pubblica
rispetto al problema e contribuirono alla ricerca degli errori nelle restituzioni del
dopoguerra e alla creazione di nuovi standard per la documentazione museale e il
commercio delle opere d'arte16. Il problema della provenienza, gravemente trascurato per
mezzo secolo sia dai musei che dalle case d'asta, divenne una nuova disciplina ed acquisì
un ruolo centrale per gli operatori internazionali responsabili del mercato dell'arte17.
Durante l'ultimo decennio, numerosi scandali relativi alle restituzioni scossero sia le
istituzioni politiche che culturali dei diversi paesi europei. Spesso le cause intentare dagli
eredi dei capolavori confiscati dai nazisti portarono a lunghe ed estenuanti battaglie
legali.
Nel 2006, Marei von Saher, l'unico erede superstite di Jaques Goudstikker, il famoso
mercante d'arte olandese di origine ebraica, concluse la sua lunga battaglia legale con il
governo olandese che era durata oltre un decennio. Goudstikker aveva un magazzino di
dimensioni impressionanti, contenente opere di antichi maestri. Il 14 maggio 1940,
quando i nazisti invasero l'Olanda, Goudstikker e sua moglie Désirée von Halban-Kurz e
il loro figlio Edo dell’età di un anno, fuggirono dal paese. Quando il cargo su cui si erano
imbarcati era già sulla via per la Gran Bretagna, il mercante d'arte morì a causa di un
tragico incidente.
Nei Paesi Bassi occupati, la società Goudstikker venne
immediatamente arianizzata. Il Feldmaresciallo tedesco Goering acquistò il migliori
dipinti. Dopo la fine della guerra, gli Alleati recuperarono circa 300 dipinti che
appartenevano a Goudstikker e li restituirono ai Paesi Bassi. Désirée, la vedova di
Goudstikker, che era tornata ad Amsterdam, presentò una richiesta nel 1946 al Stichting
Nederlands Kunstbezit ( La fondazione dei beni artistici olandesi) sperando in una rapida
riacquisizione dei suoi beni. Ciò non avvenne. Dopo sette anni di battaglia legale,
raggiunse un accordo piuttosto deludente - nel 1952 il governo dei Paesi Bassi le restituì
16
Washington Conference on Holocaust-era Assets, November 30-December 3, 1998 : proceedings, United
States Department of State, United States Holocaust Memorial Museum, (Washington, D.C.:U.S. G.P.O.,
1999): http://fcit.usf.edu/holocaust/resource/assets/index.HTM
17
Vedi: Nancy H Yeide, Amy Walsh, Konstantin Akinsha, The AAM guide to provenance research,
(Washington, DC American Association of Museums, 2001)
6
100 dipinti - oltre 200 tra le più importanti tele vennero dichiarate beni nazionali dei
Paesi Bassi e depositati nei diversi musei olandesi18.
Nel 1998, Marei von Saher iniziò la sua battaglia legale per la restituzione di tutti i
dipinti, venduti in passato a Herman Goering. I funzionari olandesi dichiararono che
l'accordo del 1952 era da considerarsi definitivo e rigettò la sua richiesta. Solo nel 2006 il
governo olandese decise di restituire al legittimo erede i 200 dipinti di Goudstikker. Tale
decisione
fu
il
risultato
di
una
raccomandazione
del
De
Adviescommissie
Restitutieverzoeken Cultuurgoederen en Tweede Wereldoorlog (Il comitato consultivo
per la valutazione delle domande di restituzione per i beni di valore culturale e la
Seconda Guerra Mondiale), creato nei Paesi Bassi nel 2002 per occuparsi delle numerose
richieste dei sopravvissuti della Shoah non soddisfatti delle compensazioni ricevute nel
dopoguerra19.
La decisione di restituire i dipinti che per più di quarant'anni erano stati esposti in diversi
musei, fu uno shock per i funzionari culturali olandesi - uno di loro Medy van der Laan, il
Sottosegretario alla cultura, dichiarò che la restituzione dei tesori Goudstikker sarebbe
stato un "salasso per alcuni dei nostri musei."20
Nell'aprile 2007, Christie's mise all'asta a New York 122 dipinti restituiti a Marei von
Saher. Tra loro c'erano tele di Salomon van Ruysdael, Bernardo Bellotto, Joseph Mallord
William Turner e altri. 21
Un'altra richiesta di restituzione conclusa nel 2006 ha avuto ripercussioni ancora
maggiori per il mondo dell'arte internazionale, in generale, e per la Repubblica d'Austria,
in particolare. Quell'anno, il leggendario Ritratto di Adele Bloch-Bauer, opera di Gustav
Klimt, conosciuto come "Golden Adele" lasciò per sempre la Galerie Belvedere di
Vienna.
18
Lawrence M Kaye, “The Netherlands: The Return of the Goudstikker Collection.” Holocaust Art
Restitution Symposium Presentata da Christie’s and Union Internationale des Avocats (UIA), Milano, 23
giugno 2011: http://www.christies.com/pdf/services/2011/lawrence-m-kaye.pdf.
19
Comitato consultivo per la valutazione delle domande di restituzione per i beni di valore culturale e la
Seconda Guerra Mondiale: http://www.restitutiecommissie.nl/en
20
Alan Riding, “Dutch to Return Art Seized by Nazis,” New York Times, 7 febbraio 2006.
21
“Auction results: Important Old Master Paintings including Property from the Collection of Jaques
Goudstikker”, Christie’s:
http://www.christies.com/lotfinder/salebrowse.aspx?action=refine&intsaleid=21185&sid=2c988f35
-7ad1-4142-b21e-64084dac96cf&lotviewtype=listview#
7
Adele Bloch-Bauer, la celebre modella di Gustav Klimt, morì nel 1925 e nel suo
testamento aveva espresso il desiderio che il suo ritratto, dipinto dal famoso artista, fosse
devoluto alla Belvedere dopo la morte del marito. Ferdinand Bloch-Bauer non ebbe
alcuna possibilità di onorare le ultime volontà della moglie defunta. Dopo Anschluss, era
fuggito in Svizzera lasciando tutti i suoi beni, tra cui i dipinti di Klimt. Nel 1945, BlochBauer, che si era ammalato gravemente, nominò i suoi nipoti come eredi dei suoi beni
confiscati dai nazisti. Tuttavia i funzionari austriaci non videro alcun motivo per restituire
la "Golden Adele" ai parenti lontani che rivendicavano la proprietà Bloch-Bauer. Il
ritratto, che venne menzionato nel testamento di Adele insieme ad altri sei dipinti di
Klimt, non venne restituito agli eredi e rimase alla Belvedere.
Nel 1998, Maria Altmann, unica nipote superstite di Bloch Bauer, residente in California,
apprese che Hubertus Czernin, il giornalista investigativo austriaco, che era salito alla
ribalta internazionale dopo aver pubblicato le informazioni relative al passato nazista di
Kurt Waldheim, aveva scoperto alcuni documenti che facevano luce sulle scellerate
pratiche di restituzione del governo austriaco dopo la guerra. Czernin dimostrò inoltre
che le affermazioni dei funzionari, ovvero che i quadri di Klimt fossero stati donati al
mudeo da Adele e Ferdinand Bloch-Bauer, erano false22. Maria Altmann, 82enne erede
della famiglia Bloch-Bauer, iniziò la sua battaglia legale con la Repubblica d'Austria.
Assistita da Eric Randol Schoenberg, un avvocato della California e nipote del
compositore Arnold Schoenberg, Altmann richiese la restituzione dei pezzi della
collezione Bloch-Bauer esposti nei musei austriaci. Nel 1999, i funzionari austriaci le
restituirono i suoi 16 bozzetti di Klimt e alcune porcellane, ma non i dipinti della
Belvedere. La loro restituzione avrebbero richiesto 7 anni e accese battaglie legali nei
tribunali austriaci (prima) e statunitensi (poi). Nel 2000, Schoenberg fece causa in
California contro la Repubblica d'Austria, che fu impugnata dalla parte austriaca. Nel
2004, la Corte Suprema degli Stati Uniti stabilì che Maria Altmann aveva il diritto di
22
Hubertus Czernin, “Waldheim und die SA”,Pprofil, 3 febbraio 1986.
Hubertus Czernin. Die Fälschung: Der Fall Bloch-Bauer und das Werk Gustav Klimts, (Czernin Verlag,
Vienna 2006).
8
chiedere la restituzione dei suoi beni ai sensi del Foreign Sovereign Immunities Act23.
Due anni dopo, la commissione di arbitrato costituita da tre giudici austriaci concluse che
il testo del testamento di Adele Bloch-Bauer era da intendersi come una richiesta, non
come un ordine. Cinque dipinti di Klimt, tra cui la "Golden Adele" furono restituiti a
Maria Altman.
La notizia della perdita della più famosa tela di Klimt da Vienna fu uno shock per gli
austriaci: Numerosissimi poster con l'immagine della "Monna Lisa austriaca" con le
parole "Ciao, Adele" coprirono centinaia di cartelloni per le strade della città da un giorno
all'altro. Nessuno sapeva chi ci fosse dietro questa campagna pubblicitaria e i manifesti
diedero adito a numerose speculazioni. Ben presto fu dimostrato che fu un'iniziativa della
società pubblicitaria proprietaria dei cartelloni, che aveva deciso di dare il suo ultimo
saluto all'opera di Klimt. La catartica frase "Ciao, Adele" era un modo per dire che Adele
stava abbandonando il paese, ma che la buona pubblicità rimaneva".24
Negli Stati Uniti, i dipinti restituiti furono esposti per un breve periodo nel Museo della
Contea di Los Angeles. Presto, il Ritratto di Adele Bloch-Bauer venne acquistato da
Ronald S. Lauder per 135 milioni dollari per la collezione della Neue Galerie di New
York25. Si trattò del dipinto più costoso venduto in quel periodo e resta ancora il dipinto
più quotato creato da Klimt. I restanti quattro dipinti furono venduti all'asta da Christie's
per $ 192,7 milioni. Maria Altman morì nel 2011 a 94 anni. In una delle sue interviste
rilasciate durante la battaglia legale per l'eredità Bloch-Bauer, aveva dichiarato,
"Allungano i tempi all'infinito, in attesa che io muoia. Ma io farò loro la cortesia di
rimanere in vita." In effetti, è morta solo dopo la fine della battaglia legale.
Se da una parte, nei casi Goudstikker e Bloch-Bauer non vi era alcun dubbio in merito
alla titolarità iniziale dei dipinti rivendicati, la provenienza a volte poco chiara dei tesori
culturali reclamati poteva rappresentare un problema, sfruttato con successo sia dai
funzionari statali e museali, cercando di impedirne la restituzione. Nel 2009, il Museo
23
Corte Suprema degli Stati Uniti. No 03-13, REPUBLIC OF AUSTRIA ET AL., PETITIONERS v.
MARIA V. ALTMANN, June 7, 2004: http://www.law.cornell.edu/supct/pdf/03-13P.ZO
24
Konstantin Akinsha, “Mozart and Saliera”, Umělec magazine, 2006/2.
Carol Vogel. “Lauder Pays $135 Million, a Record, for a Klimt Portrait”, New York Times, 19 giugno
2006.
25
9
Lentos di Linz restituì l'incompiuto Ritratto di Ria Munk, opera di Gustav Klimt. Il
ritratto apparteneva ad Aranka Munk, la madre di Ria, ed era esposto nella villa di
famiglia a Bad Aussee. Nel 1941, Aranka fu deportata al ghetto di Lodz e le sue proprietà
vennero confiscate e saccheggiate. Quando gli eredi della Munk chiesero la restituzione
del dipinto, fu necessario dimostrare che la tela di Linz era la stessa opera d'arte che era
stata in possesso di Aranka Munk. Sorprendentemente questo compito si rivelò
estremamente difficile. Nonostante i maggiori esperti di Klimt avessero creduto da molto
tempo che la donna raffigurata sul ritratto nella collezione del Museo Lentos fosse
effettivamente Aranka Munk, non esistevano prove inconfutabili. Sophie Lillie, la nota
esperta austriaca di beni culturali confiscati agli ebrei, trascorse diversi mesi negli archivi
austriaci e ungheresi cercando di trovare una prova che dimostrasse che la tela di Klimt
raffigurasse effettivamente Ria Munk, ma senza successo - nessun documento definitivo,
neanche una fotografia di famiglia. La memoria circa la tragica storia del ritratto era viva
nell’immaginario collettivo, ma effimera. Dopo aver esaurito tutte le possibilità di ricerca
all'interno degli archivi, Sophie Lillie prese una decisione non convenzionale - si recò a
Bad Aussee armata di una riproduzione del dipinto e iniziò a bussare alle porte degli
abitanti del paese della sonnolenta Stiria. La spedizione dell'esperta fu un gesto di
disperazione indotto dai limiti della tradizionale ricerca archivistica. Sorprendentemente,
fu utile per trovare la chiave del misterioso ritratto di Ria Munk. Uno dei residenti di Bas
Aussee intervistato da Sophie Lillie dimostrò di essere uno dei figli del custode della
villa. Aveva nove anni quando visitò la casa di Aranka Munk con il padre, dopo che
l'anziana signora venne deportata e vide il ritratto sul muro. La deposizione del testimone
trovato miracolosamente, ebbe un ruolo chiave per ottenere la restituzione del ritratto agli
eredi della famiglia Munk.26
I continui scandali pongono una domanda - al giorno d'oggi, che cosa c’è dietro la
restituzione dei beni culturali? Si tratta della manifestazione dell'avidità delle persone o
di un tentativo di rimediare alle ingiustizie del passato? Si tratta di memoria o della
26
Catherine Hickley, “Austrian City to Return Klimt to Nazi Victim’s Heirs”, Bloomberg, 20 aprile 2009:
http://www.bloomberg.com/apps/news?pid=newsarchive&sid=abnOB42XUiRQ
10
ricerca del profitto? Possono le vittime dell'Olocausto e i loro eredi chiedere la
restituzione non solo di capolavori dal valore di svariati milioni, ma anche di oggetti che
non hanno un valore di mercato, ma piuttosto un valore affettivo?
Nonostante la consapevolezza del problema del saccheggio delle opere d'arte da parte dei
nazisti, promossa dalla Conferenza di Washington e l'attenzione del pubblico per questo
problema, ottenere la restituzione dei capolavori confiscati a Vienna, Parigi o Amsterdam
rimane un'impresa estremamente difficile. Le cause di restituzione hanno dimostrato di
essere estremamente onerose e vergognosamente lunghe. Molti hanno puntato il dito
sugli avvocati impegnati nella causa. I loro emolumenti, in particolare negli Stati Uniti,
spesso arrivano a cifre esorbitanti. Per esempio, Schoenberg che rappresentò Maria
Altmann, secondo la stampa, ricevette per i suoi servizi il 40% del valore di tutti i beni
recuperati27.
Tuttavia gli avvocati che sono abbastanza coraggiosi da accettare cause di restituzione,
sono spesso ingaggiati a tariffa forfettaria - la maggior parte degli eredi delle collezioni
depredate non sono in grado di pagare milioni in spese legali.
Gli eredi sono a volte accusati di perseguire fini di lucro e di rubare dai musei pubblici
veri e propri capolavori, che, dopo la loro restituzione vengono venduti sul mercato
internazionale per scomparire in collezioni private. Tuttavia l'esperienza delle infinite
battaglie legali per le restituzioni sta dimostrando che, se agli eredi venisse offerta una
compensazione adeguata sin dalle prime fasi della loro battaglia legale, molti dipinti di
pregio potrebbero rimanere esposti sui muri delle pareti del museo. Si può supporre che,
se lo Stato austriaco avesse avvicinato Maria Altmann con una proposta di
compensazione adeguata nel 1999, la “Monna Lisa austriaca” sarebbe rimasta esposta
alla Galerie Belvedere. Se i funzionari olandesi fossero stati pronti ad un compromesso
con Marei von Saher nel 1998, i musei olandesi avrebbero potuto evitare il "salasso" del
2006.
Gli eredi delle vittime dell'Olocausto hanno il diritto di rivendicare i beni culturali che
apparteneva ai loro predecessori, poi rubati dai nazisti. Per molti di loro, il tentativo di
recuperare i dipinti esposti in passato sulle pareti delle residenze dei loro nonni è un atto
27
William Heuslein, “Klimt-astic Deal”, Forbes, 7 luglio 2006:
http://www.forbes.com/forbes/2006/0724/056a.html
11
di memoria, spesso spinto da un forte desiderio di vendetta. Non si imbarcano in battaglie
legali solo per ragioni di profitto, ma per ottenere giustizia, benché con oltre mezzo
secolo di ritardo.
A volte la memoria sui dipinti perduti e gli altri tesori di famiglia assume forme
particolari. L'autore di questo testo ha incontrato alcuni parenti delle vittime della Shoah,
le cui collezioni furono sottratte durante la Seconda Guerra Mondiale. La ricerca e la
restituzione dei beni culturali un tempo appartenuti alle loro famiglie sono diventati, per
queste persone, la missione della loro vita e una parte importante della loro identità.
Questi, spesso inutili, tentativi di "recherche du temps perdu", un sogno per riconnettersi
ai loro predecessori attraverso un oggetto materiale - una sorta di Santo Graal della
mitologia familiare, rappresenta la memoria ossessiva che trasferisce ai giorni nostri i
soprusi del passato.
Gli eredi di Boloch-Bauer o Goudstikkers erano in grado di battersi per la loro eredità
perché chiedevano la restituzione dei capolavori. La maggior parte dei discendenti delle
vittime della Shoah conservano il ricordo familiare di un'opera che apparteneva alla
nonna, uccisa e bruciata ad Auschwitz. Molto spesso le informazioni sugli oggetti
smarriti sono incomplete e poco chiare. Sono fantasmi, una manifestazione della
convinzione che, prima del diluvio dell'Olocausto, il mondo fosse normale e che le
persone di quel paradiso perduto, macellate dai nazisti, avessero le risorse e il gusto per
decorare le loro abitazioni con dipinti di pregio. Tuttavia, anche nei casi in cui le
informazioni sui cimeli artistici saccheggiati sono complete e supportate da prove che
potrebbe essere accettate dal tribunale, ottenere la restituzione di beni sottratti che non
appartengono alla categoria dei "top sales" del mercato internazionale dell'arte, è quasi
impossibile. Le spese legali necessarie per rivendicare un dipinto che non costa milioni di
dollari, potrebbero superare di molte volte il valore reale dell'oggetto rivendicato.
L'ingiustizia legata alle eredità, in cui gli eredi dei ricchi, vittime dell'Olocausto, hanno
una maggiore probabilità di recuperare la manifestazione materiale della memoria delle
loro famiglie rispetto ai parenti dei poveri, ha definito il corso delle battaglie legali delle
restituzioni degli ultimi decenni.
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(L'unica organizzazione pronta a fornire aiuto ai ricorrenti, desiderosi di riavere i dipinti
rubati che non valgono milioni, è la Commission for Looted Art in Europe con sede a
Londra, nota per i suoi sforzi per recuperare l'arte "secondaria"28.)
Nella maggior parte dei paesi europei, la restituzione è oggi limitata alle richieste dei
privati, ma il recupero delle opere d'arte che rappresentano la memoria personale delle
famiglie non è ancora entrata a far parte delle attività di restituzione dei beni culturali. La
Seconda Guerra Mondiale ha cancellato non solo il mondo privato delle vittime della
Shoah, ma intere comunità in diversi paesi. La distruzione, il trasferimento e l'oblio sono
diventate caratteristiche comuni a diverse parti dell'Europa, da Breslavia (Wrocław) a
Kaliningrad (Königsberg), dall'Istria alla Dalmazia. Non fu solo l'esodo degli ebrei
dell'Europa centrale a segnare il nuovo periodo di migrazione che seguì la Seconda
Guerra Mondiale. Anche i tedeschi furono esiliati dalla Cecoslovacchia e dalla Prussia
Orientale; i polacchi furono reinsediati dall'Ucraina occidentale alle terre che un tempo
appartenevano alla Germania dell’Est; gli italiani cercarono rifugio dall'Istria e la
Dalmazia. Questo trasferimento forzato ha spesso annientato la cultura delle regioni
coinvolte.
Nel 2005, il Museo Revoltella di Trieste organizzò una mostra di opere recentemente
restaurate provenienti dall'Istria. Tuttavia, la mostra non fu un omaggio ai restauratori di
talento che avevano lavorato sulle opere, ma si convertì in un messaggio politico
maldestramente nascosto. I dipinti esposti a Trieste prima della Seconda Guerra Mondiale
appartenevano a diverse chiese, monasteri e musei di Capodistria (Koper), Isola (Izola) e
Pirano (Piran), ovvero le città che dopo la guerra erano passate sotto la giurisdizione della
Jugoslavia e che oggi si trovano in Slovenia. Le circa ottanta opere d'arte in questione, tra
cui dipinti di Paolo Veneziano, Alvise Vivarini, Vittore Carpaccio e Gianbattista Tiepolo,
furono acquisite nel 1940 dalle autorità italiane perché venissero protette, ma poi
scomparvero. Dopo la fine della guerra, i quadri istriani furono rivendicati dalla
Jugoslavia e dopo il 1991 dalla Slovenia. I funzionari italiani risposero ogni volta che non
sapevano dove si trovassero le opere.
28
Vedi ad esempio, “Looted painting in Dorotheum” : http://www.lootedartcommission.com/dortheumcase
13
Nel 2002, i dipinti scomparsi furono trovati nelle cantine di Palazzo Venezia a Roma.
Tuttavia, durante la conferenza stampa indetta per comunicare il ritrovamento delle opere
d'arte dell'Istria, Vittorio Sgarbi, che in quel periodo era il Sottosegretario ai Beni
Culturali del Governo Berlusconi, evitò di rispondere alle domande sull'eventuale
restituzione dei quadri alla Slovenia. Nel 2004, Sgarbi indisse una conferenza stampa
presso il Museo Revoltella di Trieste, annunciando che 21 dei 80 dipinti sarebbero stati
restaurati ed esposti nel museo. Egli affermò inoltre che i dipinti erano di proprietà dello
Stato italiano perché creati da artisti italiani29. Era noto che Sgarbi fosse contrario alla
restituzione. Fu anche protagonista di uno scandalo internazionale, affermando che
l'Obelisco di Axum, sottratto per ordine di Mussolini all'Etiopia nel 1937, era diventato
"un cittadino naturalizzato" italiano dopo i 64 anni trascorsi in Italia30. Nel 2001, Sgarbi
si schierò contro la restituzione dell'obelisco, minacciando di dimettersi. Un anno più
tardi, quando l'obelisco venne danneggiato da un fulmine, Sgarbi dichiarò che era
arrivato il momento di restituire l'obelisco per evitare di spendere denaro per
restaurarlo 31 . Secondo il quotidiano etiope Addis Tribune "[...] l'Obelisco seriamente
danneggiato, con un ampio squarcio sulla sua sommità, oggi non solo è il simbolo
dell'incapacità dell'Italia ad onorare i suoi obblighi internazionali, ma anche il simbolo
della sudicia ostinazione dell'establishment politico italiano". 32 L'obelisco è stato infine
restituito all'Etiopia nel 2005, dopo un ritardo imbarazzante del governo italiano,
giustificato con l'impossibilità di trovare i fondi necessari per il rimpatrio ad Axum.
La mostra organizzata a Trieste non fu meno controversa dello scontro con l'Etiopia. E,
ovviamente, era latrice di un messaggio politico33. La scelta di Trieste per l'esposizione di
21 opere restaurate provenienti dall'Istria non fu casuale. Dopo la fine della guerra, la
29
Albert Kos, “Odyssean Adventure of Missing Works of Art”, The Slovenian (senza data):
http://www.theslovenian.com/articles/kos1.htm
30
“Rome obelisk struck by lightning,” BBC News World Eddition, 28 maggio 2002:
http://news.bbc.co.uk/2/hi/europe/2012770.stm
31
32
“Signor Sgarbi And the Aksum Obelisk”, (Editorial), Addis Tribune, 7 giugno 2002.
Ibidem.
33
Francesca Castellani, Paolo Casadio, Histria: opere d'arte restaurate: da Paolo Veneziano a Tiepolo,
(Milano: Electa, 2005).
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città divenne la nuova casa dei numerosi italiani esuli dall'Istria. I cosiddetti istriani, che
divennero vittime della pulizia etnica titoista, per molti anni covarono il loro rancore per i
trauma dell'esilio, ignorando allo stesso tempo la responsabilità della politica oppressiva
dello Stato fascista nei confronti della popolazione slava dell'Istria.
La mostra al Museo Revoltella non aveva a che fare con l'arte, quanto con la politica nella prima sala erano esposte le mappe che rappresentavano le rivendicazioni storiche
dell'Italia sui territori istriani 34 .
Il Ministero della Cultura della Slovenia pubblicò
immediatamente il catalogo documentato dei dipinti sottratti e ne chiese la restituzione. 35
Fino ad oggi le opere in questione non sono ancora state restituite alla Slovenia. I dipinti
che non sono abbastanza importanti da giustificare l’apertura di una sala dedicata presso i
musei italiani, ricchi di capolavori, sono condannati ad essere rispediti nei magazzini,
mentre se fossero esposti sugli altari delle chiese o sulle pareti dei musei a Pirano o
Capodistria potrebbero attrarre sia i locali che numerosi turisti. La controversia, che
potrebbe essere risolta da un compromesso interessante per entrambe le parti, come, ad
esempio, la creazione di una custodia congiunta italo-slovena delle opere d'arte in
questione, rimane irrisolta ed è causa di battaglie legali e strappi inconciliabili. Sta
dimostrando che la memoria del trauma storico potrebbe essere sfruttata per finalità
diverse. Potrebbe ispirare la giustizia, ma anche alimentare un odio antico. In un certo
senso, le opere d'arte confiscate durante la Seconda Guerra Mondiale divennero ostaggi
della memoria. Purtroppo l'idea errata che coloro che possiedono l'arte, possiedono anche
la memoria, spesso continua a prevalere.
34
Konstantin Akinsha, “Italy and Slovenia: Competing Claims”, ARTnews, dicembre 2005.
35
S. A. Hoyer, Jože Hočevar et al., Art Works from Koper, Izola, Piran Retained in Italy, (Piran, Ljubljana:
Ministrstvo za kulturo, 2005)
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