La permanenza in Asmara ci ha fatto prendere
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La permanenza in Asmara ci ha fatto prendere
La permanenza in Asmara ci ha fatto prendere coscienza di tante cose. Ci ha fatto sperimentare cosa significa essere diversi: in quella realtà i diversi eravamo noi, gli stranieri, con altro colore della pelle, cultura, linguaggio, abbigliamento e comportamento. Ci siamo sentiti sotto giudizio e osservazione: gli eritrei ci guardavano con prudente curiosità quando ci incontravano (eravamo convinti che facessero apprezzamenti su di noi) e si voltavano indietro dopo averci superato. I bambini dei villaggi al vederci scappavano, poi si avvicinavano con circospezione ed infine ci facevano festa. Spesso ci siamo trovati a riflettere sul nostro agire nei confronti degli stranieri in Italia, sulla nostra arroganza, diffidenza e pregiudizio. Abbiamo appreso una diversa dimensione del tempo: il tempo per l'uomo. Noi abbiamo gli orologi per misurare il tempo, ma non abbiamo tempo. Abbiamo trovato e gustato il senso dell'ospitalità, la sacralità dell'ospite, il modo di accoglierlo e fargli festa, di dedicargli tutta l'attenzione, di porlo al centro e al di sopra di tutte le attività della casa. Abbiamo ammirato ed invidiato il rispetto intergenerazionale, l'onore per l'anziano, il saluto deferente: all'anziano si bacia la mano come al sacerdote, e poi vi si poggia la fronte sopra. Abbiamo visto la povertà e la miseria, visitato insediamenti ed abitazioni dove non tutti sono riusciti ad entrare per la forte emozione nel trovarsi di fronte a realtà così sconvolgenti e diverse dalle nostre, dai nostri canoni, dal tenore di vita cui siamo abituati. E tuttavia anche in queste “case” la stessa accoglienza, la stessa attenzione nei nostri confronti. Il saluto di commiato al visitatore: “ti benedico figlio mio”. Pur avendo già esperienza di situazioni meno fortunate, ci siamo resi conto che c'è sempre un sud del sud. Abbiamo conosciuto il lavoro e le difficoltà dei missionari che operano in Eritrea: la casa di accoglienza per gli orfani di madri morte di parto nel villaggio di Hebo, dei Padri Vincenziani; le attività di promozione della vita e della dignità umana di suor Pina con le case famiglia per piccoli e adolescenti, per il recupero dei ragazzi di strada ed il loro ricollegamento alla famiglia, con l'accoglienza delle donne malate di AIDS, con il sostegno economico alle famiglie ed agli anziani mediante adozioni a distanza, con asili nei villaggi di Himbety eAsien, con le visite ai carcerati. Tutta l'esperienza ci ha costretti a riflettere concretamente sulla realtà del mondo, sui nostri privilegi senza merito, sull'enorme sperequazione nella distribuzione delle risorse; ci ha imposto di collocare ogni cosa in una giusta scala di valori e verificare con essa nostre abitudini e comportamenti. Dopo essere andati e visto non è più possibile far finta di niente e continuare nel solito tran-tran, con lo scorrere della vita spesso tra inutili e fumose disquisizioni. Abbiamo condiviso con quelli che sono in prima linea speranze e progetti e perciò desideriamo farci portavoce di bisogni e necessità conosciute. Impegnarci come singoli, come “Voli di Pace”, con tutti quelli che vorranno affiancarci, a promuovere a livello comunitario, civile, parrocchiale, diocesano e con le tante istituzioni del territorio, il sostegno per la realizzazione di almeno uno dei tanti progetti: il raddoppio dell'asilo del villaggio di Himberty. La struttura attuale è già costituita da cinque aule, ma non bastano. Per non creare discriminazione, i bambini da ammettere sono estratti a sorte, ed è molto doloroso lasciarne tanti fuori quando non vi è nessun altra realtà di promozione-formazione dell'infanzia. Con il raddoppio verrebbero accolti tutti. Sollecitiamo tutte le persone di buona volontà ad aderire all'iniziativa, perchè abbiamo sperimentato che con il poco di tanti è possibile realizzare grandi cose. Il nostro intento, però, è anche quello di indurci a guardare oltre, a spingere la nostra attenzione su più ampi orizzonti, di suscitare interesse e provocare ad esperienze di vita al di là dei nostri ristretti ambiti, ad educarci alla mondialità, a globalizzare la solidarietà. Vorremmo che in tutti i cuori risuonasse con insistenza “Venite e Vedete” Virginia e Franco Diocesi Nola Caritas Diocesana Nola AVVENTO 2005 L’amore è l’unica strategia possibile per rendere visibile la speranza “VENITE E VEDETE” E' il richiamo che da tempo risuona con insistenza nei nostri cuori. Così è stato per il Perù, per l'Albania, per il Brasile, Quest'anno la sollecitazione ci è pervenuta da Sr. Pina Tulino, missionaria da oltre trentacinque anni in Eritrea. Incoraggiati e sostenuti dal nostro vescovo, lo scorso due agosto, con altri sette amici dell'Associazione “Voli di Pace” Volontari Diocesi di Nola, siamo partiti alla volta di Asmara, capitale dell'Eritrea. Di questo paese africano, fino agli anni sessanta regione dell'Etiopia ricadente nell'altopiano dell'Abissinia, tanti di noi hanno reminescenze per racconti fatti da padri o nonni, risalenti al periodo ante seconda guerra mondiale, dell'avventura colonialista della ricerca di “un posto al sole”. Siamo andati a vedere e conoscere un altro paese, un altro popolo, altri usi e costumi, l'opera dei Padri Vincenziani e delle suore del Buon Samaritano. Attualmente l'Eritrea sta attraversando un periodo alquanto difficile: dopo decenni di guerra per l'indipendenza, ancora vi sono tensioni lungo il confine con l'Etiopia, nonostante l'interposizione dei caschi blu dell'ONU; il generale che aveva portato il paese alla vittoria si è trasformato in dittatore. E' tutto controllato: televisione, telefoni, internet, posta, ogni forma di comunicazione o contatto con l'estero, tutti parlano a voce bassissima per timore di spie. Vige un sistema autarchico, gli acquisti si fanno con il “coupon” (la tessera sperimentata dalle nostre famiglie durante il periodo fascista) e dopo i primi giorni della settimana i negozi di generi di prima necessità restano a secco, con conseguente attivazione di circuiti di mercato nero. Uomini e donne, dai diciotto ai cinquanta anni, sono costretti al servizio militare; già dall'ultimo anno della scuola superiore ragazzi e ragazze devono frequentare il “campus” dove, più che lo studio, si pratica addestramento militare. Non si sfugge alla chiamata alle armi; unica possibilità la diserzione e il clandestino allontanamento dal paese attraverso il Sudan ed il deserto libico, con il miraggio dell'Europa. Per le ragazze vi è un'altra possibilità: una gravidanza, ma con gravi rischi di contagio diAIDS. E' in atto un contenzioso tra Stato e Chiesa per un provvedimento che vorrebbe militari anche sacerdoti, seminaristi, religiosi e religiose. Questa organizzazione dello Stato ha portato il paese all'impoverimento e al collasso: si è prodotta una vera e propria situazione di emergenza, circa l'80% della popolazione è malnutrita; la forza lavoro è deprivata delle migliori risorse umane a causa dell'impiego militare; le attività produttive e commerciali languono per scarsità di materie prime e prodotti di importazione; le donne sono costrette a sobbarcarsi anche del lavoro degli uomini perchè le braccia disponibili sono quelle di vecchi e bambini. In questa realtà la Chiesa Cattolica, che rappresenta il 5% circa della popolazione, quasi nel silenzio e nel nascondimento, si trova ad operare. Tutti gli interventi di promozione umana e aiuto nell'emergenza devono essere fatti con discrezione e prudenza: Chiesa povera tra i poveri per vincere la povertà. Chiesa di prima linea.