Linee guida per l`analisi geomorfologica degli alvei fluviali e delle

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Linee guida per l`analisi geomorfologica degli alvei fluviali e delle
NICOLA SURIAN
MASSIMO RINALDI
LUISA PELLEGRINI
N. SURIAN - M. RINALDI - L. PELLEGRINI
Linee guida
per l’analisi geomorfologica
degli alvei fluviali
e delle loro tendenze evolutive
Linee guida per l’analisi geomorfologica degli alvei fluviali
ISBN 978 88 6129 499 8
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per l’analisi geomorfologica
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e delle loro tendenze evolutive
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Nicola Surian
Massimo Rinaldi
Luisa Pellegrini
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per l’analisi geomorfologica
degli alvei fluviali
e delle loro tendenze evolutive
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Pubblicazione realizzata con fondi del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e
della Ricerca, nell’ambito del progetto PRIN 2005 “Dinamica recente ed attuale di
alvei fluviali in Italia centro-settentrionale: tendenze evolutive, cause ed implicazioni
applicative”.
Con il patrocinio di: Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale
(ISPRA); Autorità di Bacino dei Fiumi Isonzo, Tagliamento, Livenza, Piave,
Brenta-Bacchiglione; Autorità di Bacino del Fiume Magra; Autorità di Bacino del
Fiume Po; Associazione Italiana di Geografia Fisica e Geomorfologia (AIGeo);
Associazione Italiana di Geologia Applicata e Ambientale (AIGA); Sezione Italiana
dell’International Association of Engineering Geology (IAEG); Dipartimento
di Geografia dell’Università di Padova; Dipartimento di Ingegneria Civile ed
Ambientale dell’Università di Firenze; Dipartimento di Scienze della Terra
dell’Università di Pavia.
Prima edizione: dicembre 2009
ISBN 978 88 6129 499 8
© Copyright 2009 by cleup sc
“Coop. Libraria Editrice Università di Padova”
Via G. Belzoni, 118/3 – Padova (tel. 049 8753496)
www.cleup.it
Tutti i diritti di traduzione, riproduzione e adattamento,
totale o parziale, con qualsiasi mezzo (comprese
le copie fotostatiche e i microfilm) sono riservati.
In copertina: Evoluzione dell’alveo del F. Trebbia, nei pressi di Gossolengo (pc), nel
corso degli ultimi 130 anni. cartografia I.G.M. del 1877 (in alto); foto aerea del 1954
e del 2006 (rispettivamente al centro e in basso).
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Linee guida
per l’analisi geomorfologica
degli alvei fluviali
e delle loro tendenze evolutive
Nicola Surian1, Massimo Rinaldi2, Luisa Pellegrini3
con il contributo di:
Chiara Audisio4, Giuseppe Barbero5, Laura Cibien1, Alberto Cisotto6,
Gabriele Duci3, Franca Maraga4, Laura Nardi2, Cristina Simoncini2,
Liliana Teruggi2, Ornella Turitto4, Luca Ziliani1
Dipartimento di Geografia, Università di Padova
Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale, Università di Firenze
3
Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Pavia
4
CNR-Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica, Torino
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Libero professionista
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Autorità di Bacino dei fiumi dell’Alto Adriatico
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Indice
1. Premessa
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2. Morfologia di un alveo fluviale
2.1 Morfologie d’alveo
2.2 Forme e superfici presenti in un alveo fluviale
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3. Analisi delle variazioni morfologiche da cartografia,
immagini telerilevate e rilievi topografici
3.1 Parametri morfologici da considerare
per l’analisi delle variazioni dell’alveo
3.2 Misura dei parametri morfologici e delle relative variazioni
3.3 Accuratezza delle misure e possibili fonti di errore
4.
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25
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Analisi delle variazioni morfologiche
da rilevamento geomorfologico sul terreno
4.1 Caratteristiche morfologiche attuali
4.2 Variazioni morfologiche
4.3 Tendenze attuali
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5. Rappresentazione delle variazioni morfologiche
e delle tendenze evolutive
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Bibliografia
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Elenco dei simboli utilizzati:
A: area della sezione
Aa: area dell’alveo (in planimetria)
Ii: indice d’intrecciamento o di braiding
Is: indice di sinuosità
L: larghezza dell’alveo
l: lunghezza dell’alveo
P: profondità dell’alveo
Qf: quota del fondo
S: pendenza del fondo
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1. Premessa
Nel corso degli ultimi decenni gli alvei di molti corsi d’acqua italiani
hanno subito delle profonde modificazioni morfologiche. Tali modificazioni hanno richiamato l’attenzione sia nell’ambito della ricerca scientifica (si
veda Surian & Rinaldi (2008) per una rassegna recente sull’argomento) che
in quello della pianificazione/gestione del territorio. In particolare negli ultimi anni, soprattutto grazie a due progetti di ricerca a carattere nazionale
(PRIN 2005 - “Dinamica recente ed attuale di alvei fluviali in Italia centrosettentrionale: tendenze evolutive, cause ed implicazioni applicative”; PRIN
2007 - “Tendenza evolutiva attuale e possibile dinamica futura degli alvei
fluviali in Italia centro-settentrionale”) le conoscenze sulle variazioni morfologiche degli alvei sono progredite in modo significativo (Pellegrini et al.,
2008; Rinaldi et al., 2008; Surian et al., 2008; Surian et al., 2009a; Surian et
al., 2009b). Le ricerche condotte hanno evidenziato la presenza di modificazioni morfologiche e processi molto simili nei fiumi italiani. Le variazioni che accomunano gli alvei fluviali sono un restringimento (in alcuni
casi anche dell’85-90 %) ed un abbassamento del fondo (in alcuni casi di
oltre 10 m) molto marcati. Tali processi si sono manifestati in alcuni corsi
d’acqua a partire dalla fine del XIX secolo, ma sono stati molto intensi per
un periodo relativamente breve, ossia tra gli anni ’50 e gli anni ’80-’90 del
secolo scorso. Le cause di variazioni così intense nella morfologia fluviale
sono state individuate nel prelievo di sedimenti dagli alvei, generalmente il
fattore più rilevante, nella costruzione di dighe, in vari interventi di canalizzazione (difese spondali, pennelli), in variazioni di uso del suolo a scala di
bacino (in particolare l’aumento della copertura boschiva) e nelle sistemazioni idraulico-forestali. A questa fase principale di modificazione degli alvei
è seguita una fase più recente (ultimi 15-20 anni) caratterizzata in vari casi da
un allargamento dell’alveo e da una stabilità, o aggradazione, del fondo. Tali
processi sono generalmente ben lungi dall’aver “compensato” le variazioni
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indotte dalla fase precedente e sono presenti tratti fluviali tuttora soggetti a
restringimento ed incisione.
Queste Linee guida trovano origine nel primo progetto nazionale (PRIN
2005) sopra citato. In assenza di metodologie di riferimento, sia in ambito
nazionale sia internazionale, i ricercatori coinvolti nel progetto hanno dovuto innanzitutto definire delle comuni metodologie di rilevamento ed analisi,
senza le quali non sarebbe stato possibile condividere e confrontare misure
ed osservazioni effettuate sui diversi corsi d’acqua esaminati. Le metodologie qui presentate si basano sui seguenti aspetti: (a) esperienze pregresse
degli autori e degli altri ricercatori coinvolti nel progetto PRIN; (b) letteratura nazionale ed internazionale; (c) test specifici condotti nell’ambito del
progetto PRIN.
Queste Linee rappresentano quindi una messa a punto metodologica
che è stata funzionale alle ricerche svolte nell’ambito del progetto PRIN
2005, ma sono state realizzate anche nell’ottica dell’impiego che possono
trovare sia in ambito scientifico che non. Infatti, analisi morfologiche come
quelle qui descritte sono sempre più utilizzate in ambito applicativo, sia dagli enti preposti alla pianificazione/gestione dei corsi d’acqua (Autorità di
Bacino, Regioni, Province) sia dagli studi professionali. Senza avere la pretesa di definire un vero e proprio protocollo di analisi (in realtà alcuni aspetti
necessiteranno senz’altro di verifiche ed affinamenti in futuro), queste Linee
guida dovrebbero comunque rappresentare uno strumento utile per una
raccolta più omogenea dei dati relativi alla morfologia e alle variazioni morfologiche degli alvei.
È opportuno precisare, in relazione al titolo del presente volume, che le
metodologie descritte sono finalizzate alla valutazione delle tendenze evolutive di un determinato tratto di un corso d’acqua. Tale valutazione costituisce solo una parte, seppur molto rilevante, di uno studio geomorfologico di
un corso d’acqua, che generalmente presuppone una preliminare analisi a
scala di bacino e che può poi svilupparsi con l’analisi di processi specifici (ad
esempio dinamica dei sedimenti, evoluzione delle sponde) a scale di maggior
dettaglio.
Il volume è organizzato nel seguente modo. Dopo la premessa, nel secondo capitolo vengono richiamati alcuni concetti e definizioni di geomorfologia fluviale. Il capitolo, piuttosto sintetico, è essenzialmente in funzione
dei capitoli successivi, e non affronta quindi tutti i concetti di base della
geomorfologia fluviale per i quali sarebbe stato necessario molto più spazio
e per i quali si rimanda alla letteratura (ad es. Thorne, 1997). I due capitoli successivi riguardano i metodi e le fonti più comunemente utilizzati per
lo studio delle variazioni morfologiche nel medio periodo (ultimi 100-200
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anni): analisi della cartografia storica e di immagini telerilevate (in particolare foto aeree) attraverso l’impiego di GIS; analisi di rilievi topografici;
rilevamento geomorfologico sul terreno. L’analisi della cartografia storica,
delle foto aeree e dei dati topografici viene trattata assieme in quanto si tratta
di una fase di studio che generalmente precede la fase di lavoro sul terreno.
Nel caso specifico dei corsi d’acqua italiani può essere una fase piuttosto impegnativa, ma anche molto significativa in termini di risultati, in quanto sono
generalmente disponibili numerosi documenti cartografici e foto aeree. Per
i dati topografici esiste invece in genere minore disponibilità. Il rilevamento
geomorfologico sul terreno, che si basa sull’impiego di apposite schede, non
solo integra le analisi precedenti (cartografia, foto aeree, rilievi topografici),
ma spesso è fondamentale per la comprensione delle variazioni altimetriche
dell’alveo, oltre che per una caratterizzazione geomorfologica di base del
corso d’acqua funzionale anche ad altri scopi. Nell’ultimo capitolo vengono
fornite alcune indicazioni sulle modalità di rappresentazione delle variazioni
morfologiche degli alvei.
Molte definizioni e metodologie esposte in queste Linee guida si possono applicare a vari tipi di alvei fluviali, ma è importante tener presente
che l’approccio nel suo complesso è stato pensato e messo a punto per corsi d’acqua alluvionali (a fondo mobile) di medie o grandi dimensioni. Nei
torrenti montani le variazioni morfologiche, soprattutto quelle planimetriche, sono generalmente di scarsa entità a causa del confinamento dell’alveo
(determinato da versanti, conoidi, terrazzi). Inoltre in alvei con larghezza
inferiore a 20-30 m l’impiego di alcune metodologie di seguito discusse (cartografia storica e foto aeree) risulta molto limitato.
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2. Morfologia di un alveo fluviale
In questo capitolo vengono richiamate alcune definizioni di base riguardanti gli alvei fluviali. In particolare si descrivono le morfologie (configurazioni planimetriche) più comuni degli alvei alluvionali e le forme/superfici
presenti in un alveo. Come già puntualizzato nel capitolo precedente, si fa
qui riferimento agli alvei alluvionali (a fondo mobile) in quanto le metodologie descritte successivamente sono applicabili principalmente a questo tipo
di alvei.
2.1 Morfologie d’alveo
Secondo la terminologia largamente accettata in letteratura, le principali configurazioni planimetriche presenti in alvei alluvionali a fondo mobile
sono le seguenti (figure 1 e 2).
Rettilineo: tracciato all’incirca rettilineo, con indice di sinuosità inferiore a 1,1; in genere è indicativo di situazioni artificiali, in quanto si tratta
di una morfologia rara in natura e, quando presente, generalmente non si
riscontra per tratti più lunghi di 10 volte la larghezza dell’alveo.
Sinuoso: tracciato con una certa sinuosità (indice di sinuosità convenzionalmente compreso tra 1,1 ed 1,5), ma che non presenta una successione
di meandri.
Rettilineo o sinuoso a barre alternate: come i due precedenti per quanto
riguarda la configurazione e l’indice di sinuosità (per quest’ultimo indice si
fa riferimento a condizioni formative, cioè all’alveo nel suo complesso e non
al canale di magra), ma a differenza di questi è caratterizzato dalla presenza
pressoché continua di barre alternate.
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Fig. 1. Morfologie fluviali. 1: alveo rettilineo; 2: sinuoso; 3: meandriforme; 4:
anastomizzato; 5: sinuoso a barre alternate; 6: wandering; 7: a canali intrecciati
(modificata da Rinaldi, 2003).
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A
B
Fig. 2. A: alveo rettilineo (F. Chiese); B: alveo meandriforme (F. Adda). (continua)
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C
D
Fig. 2. (continua). C: alveo sinuoso a barre alternate (F. Cecina); D: alveo a canali
intrecciati (F. Tagliamento).
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Meandriforme: alveo a canale singolo caratterizzato generalmente da
una successione più o meno regolare di meandri e con un indice di sinuosità
convenzionalmente maggiore di 1,5.
Wandering: forma transizionale tra meandriforme, canali intrecciati e/o
anastomizzato, caratterizzato da un alveo relativamente largo, presenza di
barre laterali pressoché continua e situazioni locali di intrecciamento e/o
anastomizzazione (presenza di isole) piuttosto diffuse.
Canali intrecciati (“braided”): alveo caratterizzato dalla presenza di più
canali che separano barre e isole. I singoli canali hanno una certa sinuosità
ma generalmente inferiore rispetto a quella di un alveo meandriforme. Spesso si può individuare un canale principale fra i vari canali presenti.
Anastomizzato: alveo caratterizzato da più canali. Negli alvei anastomizzati i canali hanno un’elevata sinuosità e sono separati da isole vegetate costituite da materiale fine. Si tratta di isole molto stabili se confrontate con le
barre e le isole degli alvei braided.
2.2 Forme e superfici presenti in un alveo fluviale
Sulla base di una serie di elementi (morfologia, sedimentologia, vegetazione, processi), in un alveo fluviale si possono distinguere differenti forme
e superfici (figure 3 e 4).
Canale. Il canale (“channel” in letteratura anglosassone) o i canali, ad
esempio nel caso di un corso d’acqua “braided”, rappresentano le porzioni
più depresse dell’alveo. I canali sono generalmente sede di deflusso idrico
ma possono presentarsi asciutti in condizioni di magra. Il termine “thalweg”
sta ad indicare il punto più depresso del canale/i, e quindi dell’alveo (figure
3 e 4).
Barra. La barra (“bar”) è una superficie deposizionale costituita da sedimenti analoghi a quelli presenti sul fondo del canale/i. Si tratta di una
porzione dell’alveo che risulta generalmente emersa in quanto interessata
da flussi idrici solo durante gli eventi di piena. Una barra può essere considerata tale anche se coperta parzialmente da vegetazione: la vegetazione è
però discontinua e di tipo erbaceo-arbustivo (crescita stagionale o di pochi
anni). In base alla forma e alla posizione all’interno dell’alveo, si possono
distinguere diverse tipologie di barre, ad esempio laterale, longitudinale, a
losanga, diagonale, ecc. (figura 5). Negli alvei ghiaiosi a canali intrecciati o
transizionali è stata riscontrata frequentemente anche la presenza di “barre
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Fig. 3. Sezione trasversale di un alveo a canale singolo (sinuoso) con indicazione
delle varie superfici morfologiche presenti. C: canale; B: barra; PI: piana inondabile;
T: terrazzo. La sezione è indicata con un tratteggio rosso sulla foto aerea, mentre la
freccia nera indica la direzione della corrente.
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Fig. 4. Modello digitale dell’alveo (DEM ottenuto da dati LiDAR) e foto aerea di un
alveo a canali intrecciati, con indicazione delle varie superfici morfologiche presenti:
C: canale; B: barra; BA: barra alta; I: isola; PI: piana inondabile; T: terrazzo. La
freccia blù indica la direzione della corrente.
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Fig. 5. Tipi di barre. 1: barre laterali; 2: barre di meandro; 3: barre di confluenza; 4:
barre longitudinali; 5: barre a losanga; 6: barre diagonali; 7: barre linguoidi o dune.
(da Kellerhals et al., 1976).
Fig. 6. Esempio di barra alta a contatto con una barra.
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alte”, caratterizzate, rispetto alle altre barre, (i) da una posizione topografica
più elevata, (ii) da una maggior presenza di sedimenti fini superficiali, e (iii)
da una più consistente copertura vegetazionale (comunque piante di pochi
anni) (figura 6).
Isola. Porzione dell’alveo coperta da vegetazione sia erbaceo-arbustiva
che arborea. Da un punto di vista altimetrico le isole (“islands”) rappresentano le porzioni più elevate dell’alveo e sono sommerse con minor frequenza
rispetto alle barre. In superficie le isole presentano generalmente un livello
più o meno spesso di materiale fine (sabbia, limo, argilla), in analogia con
quanto riscontrato nella piana inondabile (si veda di seguito). Si possono
distinguere le “isole stabili” (prendendo il termine stabile in senso relativo),
quando i sedimenti fini che le ricoprono presentano spessori significativi
(varie decine di cm fino anche a 1,5-2 m) e la copertura di vegetazione è
pressoché totale, dalle “isole pioniere”, quando tali caratteristiche tessiturali
e vegetazionali non sono così marcate.
Sponda. Superficie con pendenza generalmente elevata che delimita lateralmente l’alveo; solitamente la sponda (“bank”) separa l’alveo dalla piana
inondabile o da un terrazzo.
Alveo. L’insieme dei canali, delle barre e delle isole costituiscono l’alveo. I limiti dell’alveo possono essere ben definiti dalle sponde, ma possono talvolta risultare morfologicamente più sfumati, nel caso ad esempio di
passaggio graduale tra alveo e piana inondabile. In questo ultimo caso la
distinzione fra alveo e piana inondabile si basa su evidenze topografiche,
sedimentologiche e vegetazionali.
Il limite dell’alveo si fa coincidere con il cosiddetto livello ad alveo pieno (o di piene rive, o bankfull in letteratura anglosassone), cioè quel livello
idrometrico associato alla massima portata che può essere contenuta in alveo
senza il verificarsi di fenomeni di esondazione al di fuori delle sponde.
Piana inondabile. Superficie pianeggiante adiacente all’alveo (figura 7)
e formata dal corso d’acqua nelle presenti condizioni di regime (condizioni idrologico - climatiche e morfologiche) (indicata come active o modern
flood-plain in letteratura anglosassone), a differenza del terrazzo che corrisponde ad una piana inondabile ‘inattiva’. La piana inondabile generalmente è soggetta ad inondazioni con frequenza dell’ordine di 1-3 anni. Si
distingue dall’alveo sulla base di elementi morfologici, sedimentologici, vegetazionali: generalmente la piana inondabile ha quote più elevate rispetto a
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Fig. 7. Piana inondabile.
quelle dell’alveo (paragonabili o leggermente superiori a quelle delle isole),
sedimenti a granulometria più fine, una copertura vegetale stabile anche se
la vegetazione può essere relativamente giovane. Si può impiegare il termine
di piana inondabile incipiente quando tale superficie è in uno stadio iniziale
di formazione (ad esempio in uno stadio che segue una fase di incisione)
e presenta un’estensione ancora limitata (si identifica con il termine berm
utilizzato da Brierley & Fryirs, 2005).
Terrazzo. Superficie pianeggiante adiacente all’alveo o alla piana inondabile che rappresenta una piana inondabile inattiva. Il terrazzo (“terrace”)
può essere soggetto ad inondazione ma con frequenza più bassa rispetto
alla piana inondabile (ad esempio con frequenza dell’ordine di 5-10 anni o
minor frequenza). Possono essere presenti più ordini di terrazzo.
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3. Analisi delle variazioni morfologiche da cartografia,
immagini telerilevate e rilievi topografici
3.1 Parametri morfologici da considerare per l’analisi delle variazioni
dell’alveo
I parametri che descrivono la morfologia di un alveo fluviale in planimetria o in una sezione trasversale sono numerosi. Alcuni parametri frequentemente utilizzati nell’analisi planimetrica sono: lunghezza; larghezza; indice
di intrecciamento; indice di sinuosità; raggio di curvatura del meandro; lunghezza del meandro; ampiezza del meandro. Quelli comunemente ottenuti
da una sezione trasversale dell’alveo sono: larghezza; profondità; quota del
fondo (thalweg o quota media); area della sezione; perimetro bagnato; raggio
idraulico; rapporto di forma; altezza e inclinazione delle sponde. Di seguito
verranno descritti solo cinque parametri: larghezza, indice di intrecciamento, indice di sinuosità, quota del fondo, profondità. Si tratta di una scelta basata sulle nostre esperienze nello studio delle tendenze evolutive degli alvei
nel corso delle quali abbiamo largamente fatto uso di questi parametri. Ciò
naturalmente non esclude che altri parametri, qui non esaminati, possano
risultare significativi in determinate situazioni o per certi scopi specifici.
Larghezza (L). Per larghezza dell’alveo si intende la larghezza dell’alveo
“a piene rive” (“bankfull”). Nel caso sia presente la piana inondabile (da uno
o entrambi i lati), si fa riferimento al punto di separazione individuato tra
alveo e piana inondabile. Nel caso di alveo inciso (di qualche metro) privo
di piana inondabile, si fa riferimento alla superficie pianeggiante di quota
inferiore che per prima è soggetta ad inondazione.
Indice d’intrecciamento o di braiding (Ii). Si tratta di un indice che esprime il grado d’intrecciamento in un alveo costituito da più canali. Al di là dei
vari metodi proposti per la sua stima (si veda ad esempio Thorne (1997) per
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una rassegna sull’argomento) è importante tener presente che si tratta di un
indice che dipende dallo stato idrometrico del corso d’acqua. L’indice assume valori massimi per portate intermedie, mentre diminuisce sia per portate
via via più basse che per portate elevate, essendo pari ad uno quando l’intero
alveo risulta inondato.
Indice di sinuosità (Is). La sinuosità di un certo tratto si ricava dal rapporto fra la distanza misurata lungo l’asse dell’alveo e la distanza misurata
lungo l’asse della valle. Questo parametro viene utilizzato per distinguere
gli alvei rettilinei, sinuosi e meandriformi. Per convenzione sono considerati
rettilinei quelli con sinuosità minore di 1,1, sinuosi quando il parametro è
compreso tra 1,1 e 1,5 e meandriformi quando il parametro è superiore a 1,5
(Thorne, 1997).
Quota del fondo (Qf). Per valutare la quota del fondo si fa riferimento al
punto più depresso (“thalweg”), oppure alla quota media del fondo dell’alveo.
Profondità dell’alveo (P). Per la profondità, si fa riferimento alla differenza di quota tra livello ad alveo pieno e quota del fondo. Si può distinguere tra profondità massima (differenza rispetto al thalweg) e profondità
media. Quest’ultima può essere considerata come la differenza tra il livello
di bankfull e la quota media del fondo o, meglio, come rapporto tra area e
larghezza della sezione.
3.2 Misura dei parametri morfologici e delle relative variazioni
Un’operazione preliminare alla misura dei parametri morfologici dell’alveo è la suddivisione del corso d’acqua di studio in tratti con caratteristiche
morfologiche omogenee. Si tratta di un’operazione preliminare in quanto le
caratteristiche dei tratti condizionano le misure successive da effettuare sui
vari parametri morfologici dell’alveo. La suddivisione in tratti omogenei per
caratteristiche morfologiche può tener conto dei seguenti aspetti: a) morfologia della valle (ampiezza e grado di confinamento del corso d’acqua);
b) direzione della valle o, nei tratti di pianura, del corso d’acqua; c) morfologia planimetrica (configurazione) dell’alveo; d) presenza di discontinuità
idrologiche naturali o artificiali, quali affluenti o dighe. La lunghezza di un
tratto è generalmente compresa tra 1 e 5 km, anche se è possibile definire
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tratti di maggiore estensione nel caso non sussistano significativi elementi di
disomogeneità.
Avendo a disposizione per un determinato anno sia la cartografia sia le
immagini telerilevate, queste ultime sono senz’altro da preferirsi in quanto
permettono un’interpretazione diretta della morfologia dell’alveo, mentre la
cartografia riporta un’interpretazione/rappresentazione dell’alveo che non
necessariamente è funzionale ai nostri scopi. Questo aspetto va tenuto in
considerazione per tutti i parametri qui analizzati, anche se per alcuni, ad
esempio per l’indice di intrecciamento, può essere più rilevante ed avere
maggiore effetto sull’accuratezza delle misure.
Larghezza (L)
Possibili fonti/metodi per la misura
Cartografia, foto aeree e immagini da satellite, rilievi topografici.
Modalità di misura
La misura da fonti planimetriche (cartografia, foto aeree e immagini
da satellite) è quella generalmente utilizzata per alvei intermedi (larghezza superiore ad alcune decine di metri) o di grandi dimensioni. Si possono
utilizzare due modalità: 1) misura della larghezza in corrispondenza di un
numero adeguato di sezioni; 2) calcolo della larghezza media di un tratto dal
rapporto “area alveo / lunghezza alveo” (Aa/l).
1) Le sezioni sono tracciate perpendicolarmente all’asse dell’alveo (mezzeria geometrica) e con una interdistanza possibilmente fissa per non introdurre elementi di soggettività nella misura. L’interdistanza è dell’ordine di
0,25L – 1L: alcuni criteri nella scelta dell’interdistanza possono essere la
lunghezza del tratto esaminato (ridurre l’interdistanza se il tratto è breve, al
contrario se il tratto è molto lungo) e la variazione longitudinale della larghezza (ridurre l’interdistanza se le variazioni sono frequenti). Se nell’alveo
sono presenti delle isole, conviene acquisire due misure, ossia quella che da
sponda a sponda include le isole e quella, sempre da sponda a sponda, che
esclude le isole. In questo ultimo caso la larghezza dell’alveo è quindi data
dalla somma della larghezza dei canali e delle barre.
Questo tipo di misura consente di descrivere la variazione longitudinale
della larghezza, ma comporta una certa approssimazione nella stima della
larghezza media di un determinato tratto, in quanto la media deriva da una
serie di misure puntuali. Se comunque si fissa una ridotta interdistanza fra le
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sezioni, ad esempio 0,25L, la larghezza media può essere stimata con elevata
accuratezza.
2) Rispetto al metodo precedente (nel caso di elevata interdistanza fra
le sezioni) si ottiene una stima più accurata della larghezza media del tratto
in esame ma si perdono informazioni sulle variazioni longitudinali della larghezza. Questo problema può comunque essere risolto suddividendo il tratto in sotto-tratti per i quali si calcola la relativa area. Anche in questo caso è
utile la stima dell’area delle isole, in modo tale da poter valutare la larghezza
media dell’alveo con o senza isole.
La larghezza può essere anche ricavata da rilievi topografici. Generalmente è possibile individuare in modo univoco l’alveo e, conseguentemente,
la sua larghezza, ma possono presentarsi dei casi di incertezza se il rilievo è
stato acquisito, cioè non eseguito direttamente da chi utilizza il dato, e non
si dispone di una fonte planimetrica (cartografia o fotografia aerea) associata
a tale rilievo.
Infine la larghezza può essere misurata con metodi speditivi anche durante il rilevamento sul terreno, ma chiaramente con un certo margine di
errore. Queste ultime misure sono quindi utili per una caratterizzazione speditiva dell’alveo ma non sono adatte per effettuare analisi temporali delle
variazioni.
Stima delle variazioni del parametro
Per un confronto multitemporale della larghezza l’utilizzo delle fonti
planimetriche (cartografia, foto aeree e immagini satellitari) è da preferirsi
in quanto consente, ad esempio tracciando le sezioni, di adattare le misure
sulla base della tipologia d’alveo e del dettaglio che si vuole ottenere. Ciò
non è ovviamente possibile, ad esempio, utilizzando sezioni topografiche
realizzate in passato.
Sia per confronto di larghezze calcolate con le sezioni che con il rapporto “Aa/l”, è fondamentale tracciare l’asse dell’alveo per ogni anno analizzato.
Nel caso delle sezioni, infatti, queste devono sempre essere perpendicolari
all’asse ed è quindi importante utilizzare assi diversi quando l’alveo modifica
la sua direzione nel corso del tempo. Se la larghezza è ottenuta dal rapporto
“Aa/l” è evidente che una variazione positiva o negativa della lunghezza
deve essere tenuta in conto.
Infine è importante esplicitare se il confronto del parametro viene fatto
considerando, o meno, la larghezza delle isole.
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Indice d’intrecciamento o di braiding (Ii)
Possibili fonti/metodi per la misura
Cartografia e immagini telerilevate.
Modalità di misura
Sono stati proposti differenti metodi per misurare l’indice d’intrecciamento (per una sintesi si veda ad esempio Thorne, 1997) ma quello più consolidato è quello proposto da Ashmore (1991) che si basa sul conteggio dei
canali interessati da deflusso. L’indice d’intrecciamento di un determinato
tratto è la media dei valori ricavati in corrispondenza ad un certo numero
di sezioni (figura 8), la cui interdistanza deve essere inferiore alla larghezza
dell’alveo (L) (Egozi & Ashmore, 2008). Sempre Egozi & Ashmore (2008)
suggeriscono di effettuare la misura su di un tratto con lunghezza non inferiore a 10L. Si sottolinea che vanno considerati solo i canali con deflusso al
fine di ridurre il grado di soggettività, che ci sarebbe invece considerando
anche i canali asciutti. Al fine poi di rendere confrontabili misure eseguite in
Fig. 8. Misura dell’indice di intrecciamento.
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tempi o su corsi d’acqua differenti è importante stabilire una scala spaziale
di riferimento. In altre parole prendendo come riferimento le barre e le isole
vanno misurati i canali che determinano e delimitano queste unità morfologiche, mentre vanno tralasciati nel conteggio i canali minori (ad esempio i
piccoli canali che in alcuni casi si formano all’interno di una barra).
Stima delle variazioni del parametro
Essendo l’indice d’intrecciamento dipendente dallo stato idrometrico
del corso d’acqua devono essere utilizzati, per quanto possibile, documenti
che rappresentano stati idrometrici simili. In ogni caso, se possibile, associare alla misura dell’indice la portata del corso d’acqua nel giorno del rilievo
(questo dovrebbe essere fattibile per le foto aeree ma ovviamente non praticabile per la cartografia più vecchia). Si consiglia di escludere condizioni con
portate molto basse o con portate elevate (prossime al bankfull). In entrambi
i casi l’indice assume infatti valori molto bassi.
La stima delle variazioni è comunque soggetta ad un discreto grado di
approssimazione, sia per il fatto che le misure si possono riferire a stati idrometrici differenti, sia perché le misure effettuate da cartografia si basano su
una rappresentazione morfologica che non necessariamente coincide con
quella che noi avremmo fatto dell’alveo (Surian, 2006).
Indice di sinuosità (Is)
Possibili fonti/metodi per la misura
Cartografia e immagini telerilevate
Modalità di misura
La sinuosità di un alveo in un determinato tratto è definita dal rapporto
fra due lunghezze: la distanza fra gli estremi del tratto misurata lungo l’alveo
e la distanza misurata lungo l’asse della valle (figura 9). La sinuosità assume
pertanto valori maggiori o uguali a 1. La prima di queste distanze va misurata
facendo riferimento all’intero alveo (alveo in condizioni di “bankfull”), per
cui non va considerata la lunghezza del canale di magra ma quella dell’asse
dell’alveo. Per quanto riguarda la seconda distanza, l’asse della valle viene
definito tenendo conto di tutte le variazioni significative di direzione della
valle e del tracciato complessivo del corso d’acqua.
La sinuosità può essere misurata per tratti aventi lunghezza di alcuni
chilometri (si veda in proposito la suddivisione in tratti all’inizio del capi-
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Fig. 9. Misura dell’indice di sinuosità.
tolo), oppure per tratti di lunghezza inferiore ma comunque significativa.
Come distanza minima si può ad esempio considerare la lunghezza d’onda dei meandri, generalmente 10-14 volte la larghezza dell’alveo (Thorne,
1997).
Stima delle variazioni del parametro
L’analisi temporale dell’indice richiede di far riferimento ad un’unica
distanza che, generalmente, può essere quella attuale dell’alveo (in pratica
dell’ultimo volo aereo disponibile). Convenzionalmente si riporta quindi il
valore dell’indice in corrispondenza dell’estremità di valle del tratto considerato.
Quota del fondo (Qf)
Possibili fonti/metodi per la misura
Rilievi topografici; dalla cartografia è possibile ricavare alcune informazioni sull’altimetria dell’alveo, generalmente però insufficienti per una
caratterizzazione sufficientemente accurata del fondo.
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Modalità di misura
I dati topografici più comunemente disponibili sono profili longitudinali e sezioni trasversali all’alveo, mentre solo da alcuni anni cominciano ad
essere acquisiti rilievi “in continuo” della topografia dell’alveo attraverso
rilievi LiDAR.
I profili longitudinali si riferiscono generalmente alla quota del thalweg
o del pelo libero della corrente, quindi, riguardo al fondo dell’alveo, offrono
un’unica informazione (ad esempio solo il punto più depresso). Le sezioni
topografiche forniscono invece una descrizione più completa della geometria dell’alveo. Facendo riferimento ad una sezione si possono considerare
diverse quote, ad esempio il thalweg, la quota media del fondo o la quota del
pelo libero dell’acqua (Gurnell et al., 2003).
L’individuazione del thalweg in una sezione è generalmente molto semplice, è importante però prestare attenzione in quei casi di dubbia definizione dell’alveo in cui potrebbero sussistere delle zone esterne all’alveo con
quote inferiori rispetto al thalweg (ad esempio zone di escavazione antropica). In questi casi è opportuno interpretare le sezioni affiancando una cartografia, o meglio ancora una foto aerea, dello stesso periodo.
La quota media del fondo si può ottenere con tre procedure: a) media
delle quote dei punti che costituiscono la sezione trasversale (punti battuti in
sede di rilievo topografico); b) media delle quote dei punti di una sezione ausiliaria generata, a partire dalla sezione rilevata, attraverso il raffittimento dei
punti con interpolazione lineare (scelto un determinato passo di interpolazione, ad esempio pari ad 1 m); c) quota media pesata: a differenza della prima
procedura (a), in questo caso la media delle quote è calcolata tenendo conto
delle distanze tra i singoli punti, attribuendo quindi pesi differenti a seconda
della spaziatura fra i punti della sezione (figura 10). In tutti i casi le quote
vanno considerate a partire dalla base delle sponde, tralasciando pertanto le
sponde stesse. Il pregio della procedura è di essere esente da interpretazioni
soggettive, d’altra parte la quota ottenuta non corrisponde necessariamente
ad un preciso elemento morfologico dell’alveo (rappresenta una quota intermedia tra il thalweg e la sommità delle barre). La seconda (b) e la terza
(c) procedura sono raccomandabili in quanto non risentono di un’eventuale
distribuzione disomogenea delle quote rilevate per costruire la sezione.
Oltre al thalweg, quota media del fondo e pelo libero dell’acqua, parametri che si possono stimare con una certa semplicità e con elevata oggettività, si può far riferimento alla sommità delle barre. Tale elemento è senz’altro
molto significativo, ma talvolta di non semplice identificazione nelle sezioni.
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Fig. 10. Misura della quota media del fondo dell’alveo da sezione topografica:
formula per il calcolo della quota media pesata.
Si suggerisce pertanto di utilizzare questa misura solo nei casi di semplice
individuazione delle barre.
Infine si sottolinea che da un profilo longitudinale della quota media
del fondo è possibile stimare la pendenza del fondo (S), parametro molto
rilevante della morfologia ed idraulica di un corso d’acqua.
Stima delle variazioni del parametro
Per un confronto multitemporale dei profili longitudinali è essenziale
conoscere se i dati si riferiscono al thalweg, al pelo libero della corrente o a
qualche altro elemento. In assenza di questa informazione il confronto è poco
affidabile. Un problema che spesso si incontra nel confronto dei profili è la
variazione di lunghezza dell’alveo nel tratto esaminato: in tal caso è necessario trasformare le distanze in modo da ottenere profili con lunghezza uguale.
Per fare ciò Gurnell et al. (2003) suggeriscono di calcolare la sinuosità e di
utilizzare i rapporti di sinuosità fra i diversi anni per aggiustare i profili.
Se lo scopo non è l’analisi della quota del fondo, ma le variazioni temporali di pendenza, non bisogna apportare correzioni alle distanze dei profili longitudinali. Analisi multitemporali della pendenza del fondo possono
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risultare molto significative per evidenziare eventuali variazioni delle condizioni energetiche del corso d’acqua.
Per un confronto multitemporale della quota del fondo, da sezioni trasversali, l’utilizzo della quota media pone minori problemi rispetto agli altri
parametri ed è pertanto consigliato (Gurnell et al., 2003).
L’impiego della quota del thalweg è da evitare nel caso di corsi d’acqua
con un profilo longitudinale irregolare, in particolare corsi d’acqua a canale singolo con riffles e pools. La quota del thalweg può essere considerata
nel caso di alvei con un profilo longitudinale più piatto (ad esempio alvei
braided), ma una serie di test da noi effettuati hanno comunque evidenziato
differenze significative tra stime effettuate utilizzando il thalweg e la quota
media del fondo. L’utilizzo di quest’ultimo parametro e, in particolare della
quota media pesata, è pertanto raccomandabile. Infine, la quota del pelo
libero dell’acqua può essere confrontata solo nel caso si tratti di livelli corrispondenti a portate molto simili.
Profondità dell’alveo (P)
Possibili fonti/metodi per la misura
Rilievi topografici.
Modalità di misura
Per misurare la profondità dell’alveo è necessario disporre di sezioni
topografiche trasversali, a differenza della quota del fondo per la quale possono anche essere sufficienti i profili longitudinali. È inoltre essenziale il
riconoscimento del livello di bankfull, aspetto non sempre di facile risoluzione. Per rendere più affidabile la definizione del livello di bankfull è opportuno affiancare alle sezioni topografiche delle foto aeree riprese nello stesso
periodo, o comunque a distanza di pochi anni. In questo modo è possibile
definire la larghezza dell’alveo sulle foto aeree e riportare tale larghezza sulle
sezioni.
Si possono distinguere due misure, profondità massima e profondità
media. La prima deriva dalla differenza tra la quota del livello di bankfull e
la quota del thalweg. La profondità media può invece essere stimata in due
modi: a) differenza tra la quota del livello di bankfull e la quota media del
fondo; b) rapporto tra area e larghezza della sezione.
Misurata la profondità si può quindi calcolare il rapporto “larghezza /
profondità” (L/P), altro parametro che può risultare utile nell’analisi delle
tendenze evolutive di un corso d’acqua.
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Stima delle variazioni del parametro
Le variazioni di profondità dell’alveo sono in genere una diretta conseguenza delle variazioni di quota del fondo. Tuttavia, esse possono verificarsi
anche a seguito di cambiamenti della geometria idraulica della sezione, ad
esempio a seguito del passaggio da una configurazione morfologica ad una
differente (a prescindere dalle variazioni del fondo). Può essere pertanto
utile in alcuni casi effettuare un’analisi temporale di questo parametro.
3.3 Accuratezza delle misure e possibili fonti di errore
Si ritiene utile fare alcuni cenni agli errori associati alle misure descritte
in precedenza. Dovendo infatti valutare se un determinato parametro ha subito delle variazioni significative nel corso del tempo, è fondamentale sapere
qual è il grado di accuratezza delle misure che sono state eseguite.
Nel caso della cartografia storica e delle immagini telerilevate, che vengono analizzate tramite GIS, l’accuratezza è determinata da vari fattori quali
la qualità del documento originale, la risoluzione geometrica del documento, il processo di georeferenziazione del documento, il processo di digitalizzazione dell’alveo fluviale.
Qualità del documento originale. Soprattutto nel caso della cartografia
è opportuno valutare se il documento utilizzato presenta delle distorsioni
geometriche, che possono essere dovute ad un cattivo stato di conservazione
del documento oppure al fatto che il documento non è un originale, ma una
fotocopia.
Risoluzione geometrica del documento. La risoluzione geometrica (dimensione del pixel del documento in formato raster) dipende dalle caratteristiche geometriche del documento originale, oltre che, ovviamente, dal
sistema di scannerizzazione utilizzato.
Georeferenziazione del documento. L’accuratezza del processo di georeferenziazione dipende dalla risoluzione geometrica del documento, dalla
risoluzione del documento utilizzato come riferimento (ad esempio la Carta
Tecnica Regionale), dal numero di punti (“control points”) e dall’algoritmo
utilizzati nel processo di georeferenziazione.
Digitalizzazione dell’alveo. L’accuratezza geometrica degli elementi
dell’alveo (sponde, isole, ecc.) che vengono digitalizzati dipende dalla scala
di lavoro, ossia dalla scala utilizzata dall’operatore al momento della digitalizzazione, e da fattori quali scarpate ed ombre (determinate dalle scarpate
stesse e dalla vegetazione).
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Vari lavori si sono occupati della valutazione degli errori nell’uso della cartografia e delle immagini telerilevate in studi di geomorfologia fluviale (Gurnell, 1997; Winterbottom, 2000; Mount et al., 2003; Hughes et al.,
2006). A titolo di esempio, nel caso di analisi effettuate su alcuni fiumi italiani è stato valutato che l’errore massimo associato alle misure di larghezza dell’alveo può essere dell’ordine di 15-20 m, nel caso della cartografia
storica, mentre di 5-6 m, per quanto riguarda le misure effettuate su foto
aeree (Surian et al., 2009a). Tali valori possono essere presi come un primo
riferimento indicativo, ma in pratica si raccomanda una valutazione caso per
caso sulla base dei fattori sopra descritti (risoluzione geometrica, georeferenziazione, digitalizzazione).
Nell’impiego dei rilievi topografici è opportuno prendere in considerazione (a) la qualità/accuratezza del rilievo originale e (b) la fase di confronto
di rilievi realizzati in periodi differenti.
(a) Nel caso di rilievi già disponibili, ossia non eseguiti ex novo, è utile
conoscere le modalità di realizzazione del rilievo, ad esempio per rilievi recenti se eseguiti con strumentazione più tradizionale (ad esempio stazione
totale) o GPS differenziale. Anche per rilievi LiDAR, come per quelli GPS,
è importante acquisire informazioni sull’accuratezza del rilievo per poter
quindi valutare l’errore associato ai dati.
(b) Nel confronto di rilievi realizzati in periodi differenti si possono presentare due tipi di problemi. Il primo si può presentare nel caso delle sezioni
trasversali, quando le sezioni non coincidono esattamente da un punto di
vista planimetrico. In questo caso bisogna valutare se lo sfasamento planimetrico, che comunque deve essere al massimo dell’ordine di alcune decine
di metri, può essere accettabile o meno (la pendenza del corso d’acqua è un
fattore rilevante in questa valutazione). Il secondo problema è determinato
dai sistemi di riferimento, in quanto i rilievi più recenti acquisiti con GPS e
LiDAR sono generalmente disponibili in sistemi elissoidici, a differenza di
quelli acquisiti in passato nei quali le quote sono geoidiche. Risulta pertanto
molto importante poter effettuare una conversione accurata da quote elissoidiche a quote geoidiche.
In linea generale, errori centimetrici sono senz’altro accettabili per
un’analisi delle variazioni altimetriche dell’alveo, mentre bisogna iniziare a
prestare molta attenzione quando gli errori sono di alcune decine di centimetri. In quest’ultimo caso gli errori diventano infatti confrontabili con
l’entità di variazioni che possono essere ritenute significative.
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4. Analisi delle variazioni morfologiche
da rilevamento geomorfologico sul terreno
Il rilevamento sul terreno è fondamentale almeno per due motivi: 1) alcune caratteristiche dell’alveo, ad esempio la composizione granulometrica
del fondo e delle sponde, possono essere acquisite solo in campo; 2) frequentemente, soprattutto per gli aspetti altimetrici, le fonti prima analizzate,
foto aeree, ma soprattutto rilievi topografici, non sono disponibili o lo sono
solo parzialmente, per cui devono essere integrate con osservazioni/misure
dirette sul terreno. Il rilevamento viene svolto con l’ausilio di alcune schede,
derivanti da un aggiornamento di quelle pubblicate da Rinaldi (2008), di
seguito descritte in dettaglio.
Le schede di rilevamento geomorfologico di alvei fluviali si distinguono
in tre parti: (a) schede geomorfologiche (prime 4 pagine), da utilizzare per
una caratterizzazione generale delle forme e dei processi del tratto fluviale;
(b) scheda delle variazioni morfologiche (pagina 5), finalizzata a caratterizzare le variazioni avvenute in una media scala temporale (dell’ordine dei
100-150 anni); (c) scheda delle tendenze attuali (pagina 6), che si concentra
sull’interpretazione delle tendenze evolutive in atto, riferite ad un intervallo
temporale degli ultimi 10 - 15 anni.
Le schede derivano da una semplificazione di quelle proposte da Thorne
(1998) e, allo stesso tempo, dall’esigenza di una maggiore focalizzazione sulle
variazioni morfologiche e sulle tendenze attuali, con particolare riferimento
ai corsi d’acqua italiani. Esse si applicano ai tratti alluvionali non confinati o
semiconfinati dei corsi d’acqua principali di un bacino idrografico, essendo focalizzate sul riconoscimento della varietà di forme e sull’osservazione
delle variazioni morfologiche verificatesi nel tempo. Con alcune limitazioni
possono essere applicate agli alvei confinati (torrenti montani), dove esiste
una minore diversità morfologica e dove le variazioni morfologiche sono in
genere più contenute rispetto ai fiumi di pianura. Infatti, le schede comprendono anche alcune caratteristiche relative a corsi d’acqua confinati e quindi
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possono essere utilizzate, tenendo conto solo delle voci ad essi riferite ed
omettendo quelle relative a fiumi di pianura. Non dobbiamo dimenticare
che talora gli stessi alvei alluvionali mobili possono avere dei tratti intermedi
semiconfinati o confinati con caratteristiche simili a quelle di torrenti montani (ad esempio affioramenti rocciosi in alveo e forti pendenze).
Per quanto riguarda la lunghezza di un tratto rappresentato da un singolo gruppo di schede, essa deve essere definita all’inizio dello studio in
funzione degli scopi, della durata e delle risorse disponibili. Spesso un tratto di studio di alcuni chilometri è sufficientemente uniforme da un punto
di vista morfologico da poter essere coperto da un’unica serie completa di
schede. Tuttavia, dove esistono marcate variazioni morfologiche all’interno
di un certo tratto, può essere necessario suddividerlo in una serie di sottotratti più brevi. Al livello di maggior dettaglio possibile, per corsi d’acqua a
canale singolo si ritiene comunemente che la lunghezza minima di un tratto,
affinché sia significativo, debba essere dell’ordine di 10 - 20 volte la larghezza dell’alveo stesso (Thorne, 1998). Tuttavia, nel caso di alvei a canali intrecciati o di tipo transizionale (wandering), tale lunghezza può essere eccessiva,
data la larghezza dell’alveo che solitamente è relativamente grande. L’estrema variabilità morfologica all’interno di un tratto potrebbe quindi risultare
difficilmente rappresentabile in un singolo gruppo di schede. Pertanto, nel
caso di alvei di una certa dimensione, la lunghezza del tratto investigato si
può ridurre fino a circa 1 - 2 volte la larghezza.
Seppure le schede siano finalizzate ad un rilevamento sul terreno, esse
richiedono l’integrazione con altri tipi di informazioni e dati che presuppongono un lavoro preliminare, in particolar modo l’acquisizione di dati desunti
da carte topografiche e da foto aeree. Ciò comporta il vantaggio per il rilevatore di recarsi sul terreno avendo già una conoscenza delle caratteristiche
passate ed attuali del corso d’acqua. Seppure le foto aeree rappresentino i
supporti più importanti e di più facile reperimento, le immagini satellitari ad
alta risoluzione geometrica stanno acquisendo sempre maggiore diffusione e
possono essere impiegate per tali scopi.
Infine, è opportuno sottolineare che le osservazioni raccolte durante la
compilazione delle schede non sono da intendersi come sostitutive di misure, ma al contrario sono possibilmente da abbinare al rilevamento di vari
tipi di dati, quali ad esempio: (a) rilievo topografico del profilo del fondo
e di sezioni rappresentative; (b) misure granulometriche; (c) misure per la
caratterizzazione dei sedimenti di sponda (in studi specifici riguardanti la
stabilità delle sponde); (d) misure effettuate sul materiale legnoso (in studi
specifici su questi aspetti).
Di seguito viene fornita una descrizione dettagliata delle schede.
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SCHEDE DI RILEVAMENTO GEOMORFOLOGICO DI ALVEI FLUVIALI
a cura di: Rinaldi M., Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale, Università di Firenze
VERSIONE 2 - 2009
1. CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE ATTUALI
Generalità
Posiz. GPS
Data
Corso d'acqua
Numero/Sigla tratto
Estremità monte
Estremità valle
Rilevatori
Tratto
N
N
E
E
Caratteristiche morfologiche generali
Confinato
Morfologia alveo
Barre
Sedimenti (dominanti) alveo
Configurazione fondo
Controlli fondo
Semiconfinato
Non confinato
R=rettilineo, S=sinuoso, R/S BA=rettilineo o sinuoso a barre alternate,
M=meandriforme, W= wandering , CI=canali intrecciati,
A=anastomizzato
LA=laterali, M=meandro, C=confluenza, LO=longitudinali
LS=losanga, D=diagonali, LD=linguoidi o dune
A=argilla, L=limo, S=sabbia, G=ghiaia, C=ciottoli, M=massi
R=rapide, SP=step/pool , LP=letto piano, RP=riffle/pool , DR=dune/ripple
N=nessuno, S=substrato roccioso, A=artificiale
Schema morfologico planimetrico
Simboli
limiti tratto
barra/isola
vegetazione
nord
sponda in arretr.
opere
direzione corrente
riffle/pool
foto
Nota: inserire ubicazione sezione/i, schede sponde, misure alveo, misure sedimenti, ecc. riportate nelle pagine seguenti
Note e commenti
Nota: inserire in questo spazio se necessario codici foto e relative coordinate GPS
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Superfici
sx
cen
canale (P, S, T)
barra (LA, M, C, LO, LS, D, LD)
barra alta
isola
berma (berm/bench/shelf)
piana inondabile (In=incipiente)
can.secondario (nella piana)
terrazzo
versante
dx
(P=principale, S=secondario, T=taglio)
(S=stabile, P=pioniera, T=terrazzata)
Schema sezione/i
Nota: evidenziare le superfici e la presenza di vegetazione
Caratteristiche e dimensioni alveo
Livello (A=asciutto, M=magra, I=intermedio, P=piena)
Pendenza pelo libero
Profondità media (m)
Pendenza media fondo
Dimensioni alveo (bankfull )
Larghezza (m)
Tipo misura
Indicatori alveo di piena
(se misura sul terreno)
Metodo misure sul terreno
Dimensioni sedimenti alveo
Unità campionata
D50 fondo (mm)
Metodo misura
Corazzamento
Profondità media (m)
FA=foto aeree (solo larghezza), SE=sezione esistente, T=sul terreno
NA=nessuno-artificiale, NI=nessuno-inciso, PA=piana inondabile attiva
PI=piana in.incipiente, SB=sommità barra, V=veget.arborea, S=sedimenti
RM=rotella metrica, D=distanziometro, ST=stazione totale, DGPS
F=fondo (R=riffle , P=pool ), B=barra (SU=superficiale, SO=sottostrato)
D50 barra sup. (mm)
D50 barra sottostrato (mm)
V=volumetrico, G=griglia, T=transetto, F=fotografico, A=altro
A=assente, D=debole, A=accentuato
Note e commenti
Nota: inserire in questo spazio se necessario codici foto e relative coordinate GPS e codici misure granulometriche
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Sponda sinistra
Nota: se necessario riportare più sponde rappresentative
numero o sigla
Posizione
E=esterna, I=interna, R=rettilineo
Tipo
NC=non coesiva, C=coesiva, CO=composita, S=stratificata
Geometria
Altezza (m)
Pendenza media (°)
Composizione
Livello 1
Livello 2
A=argilla, L=limo, S=sabbia,
Livello 3
Livello4
G=ghiaia, C=ciottoli, M=massi
Controlli sponda
N=nessuno, R=roccia, A=artificiale
Vegetazione
A=assente, E=erba/arbusti, AL=alberi
% cop.vegetale
Schema profilo sponda sinistra
Osservazioni interpretative
in arretramento (%)
stabile (%)
in avanzamento (%)
(con misure altezza e pendenza)
Processi erosione
Corr.parallela (CP), Corr.incidente (CI)
Sifonamento (S), Rigagnoli/Fossi (R/F)
Movimenti massa
SR=sciv.rotaz., SP=sciv.planare, SS=sciv.superfic.
R=ribaltamento, RMA=rottura masse aggettanti
Accumulo materiale base sponda
Detriti:
presenti
Origine:
depositato
Tipo materiale
Vegetazione
Bilancio sedimenti
Sponda destra
assenti
franato
(A,L,S,G,C,M)
(A,E,AL)
accumulo
equilibrio
erosione
Nota: se necessario riportare più sponde rappresentative
numero o sigla
Posizione
E=esterna, I=interna, R=rettilineo
Tipo
NC=non coesiva, C=coesiva, CO=composita, S=stratificata
Geometria
Altezza (m)
Pendenza media (°)
Composizione
Controlli sponda
Vegetazione
Livello 1
Livello 2
A=argilla, L=limo, S=sabbia,
Livello 3
Livello4
G=ghiaia, C=ciottoli, M=massi
N=nessuno, R=roccia, A=artificiale
A=assente, E=erba/arbusti, AL=alberi
% cop.vegetale
Schema profilo sponda destra
Osservazioni interpretative
in arretramento (%)
stabile (%)
in avanzamento (%)
(con misure altezza e pendenza)
Processi erosione
Corr.parallela (CP), Corr.incidente (CI)
Sifonamento (S), Rigagnoli/Fossi (R/F)
Movimenti massa
SR=sciv.rotaz., SP=sciv.planare, SS=sciv.superfic.
R=ribaltamento, RMA=rottura masse aggettanti
Accumulo materiale base sponda
Detriti:
presenti
Origine:
depositato
Tipo materiale
Vegetazione
Bilancio sedimenti
assenti
franato
(A,L,S,G,C,M)
(A,E,AL)
accumulo
equilibrio
erosione
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Vegetazione
Vegetazione viva: A=assente, E=erba/arbusti, AL=alberi
sx
cen
sponda
barra attiva
barra alta
isola (o isola pioniera)
berma (berm/bench/shelf)
piana inondabile (o incipiente)
terrazzo
versante
Detriti legnosi: A=accumulo, L=singolo
Specie principali (veg.viva)
dx
Opere o attività antropiche
Interventi stabilizzazione fondo
Interventi stabilizzazione sponde
Argini
Opere esterne all'alveo
Attività di escavazione
S=soglia, B=briglia, T=traversa, RM=rampa in massi, MR=massi rinfusa
altro
M=massi, B=blocchi cls, MA=materasso, PE=pennello o deflettore,
RI=riprofilatura, MU=muro, GA=gabbione, IN=ing.naturalistica
altro
RT=rilevato in terra, MA=muro arginale
PE=pennello, MU=muro
altro
CI=cava inattiva, F=frantoio (sx o dx: in sponda sinistra o destra)
IA=Interventi recenti di rimozione sedimenti in alveo
Schema ubicazione opere/attività nel tratto
Note e commenti
Nota: inserire in questo spazio se necessario codici foto e relative coordinate GPS
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2. VARIAZIONI MORFOLOGICHE
Variazioni di larghezza
Dati disponibili (cartografie/foto aeree/immagini satellitari)
1. XIX secolo
anno
2. anni '50 XX secolo
anno
3. Ultimo rilievo disponibile
anno
Variazioni misurate
∆L rispetto a XIX secolo
Ristretto
m
%
m
Invariato
larghezza (m)
larghezza (m)
larghezza (m)
%
Allargato
m
%
Allargato
m
%
(∆L <10% larghezza attuale)
∆L rispetto ad anni '50 XX secolo
Ristretto
m
%
m
Invariato
%
(∆L <10% larghezza attuale)
Variazioni tracciato
rispetto a:
intrecciamento
sinuosità
numero/estensione barre
migrazione alveo (D, S, N)
max spostamento (m)
tipologia barre
morfologia alveo
da
da
XIX
XIX
'50 XX
a
a
'50 XX
D=diminuito, I=invariato, A=aumentato
D=diminuita, I=invariata, A=aumentata
D=diminuito, I=invariato, A=aumentato
D=destra, S=sinistra, N=nessuna
attuale
a
LA=laterali, LO=longitudinali, M=meandro, I=isole
a
R=rettilineo, S=sinuoso, R/S BA=R/S barre alternate,
M=meandriforme, W=wandering ,
CI=canali intrecciati, A=anastomizzato
Variazioni altimetriche
Dati disponibili (profili/sezioni)
1. Primo rilievo disponibile
2. Ultimo rilievo disponibile
Variazioni misurate
Inciso
m
anno
anno
m
Invariato
quota (m s.l.m.)
quota (m s.l.m.)
m
Aggradato
(-0.5<∆Qf<0.5 m)
Dati / evidenze sul terreno
Inciso
presenza terrazzo
pile ponte esposte
esposizione pile (m)
epoca ponte (se nota)
Dislivelli superfici omologhe (m):
1. terrazzo - piana inondabile
2. sommità ghiaia (scarpata
terrazzo) - sommità barra
Classificazione variazioni altimetriche
Inc.limitata (-1<∆Qf<-0.5 m)
Inc.moderata (-3<∆Qf<-1 m)
Inc.intensa (-6<∆Qf<-3 m)
Inc.molto intensa (∆Qf<-6 m)
Invariato
assenza terrazzo
pile ponte normali
numero totale misure
Invariato (-0.5<∆Qf<0.5 m)
Livello confidenza complessivo delle interpretazioni
Aggradato
sommità barre > piana
pile ponte sepolte
contropendenza piana
(altre eventuali misure o note)
Aggradazione
(non è possibile una stima quantitativa
in base a soli dati/evidenze sul terreno)
molto basso / basso / medio / alto / molto alto
Note e commenti
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3. TENDENZE ATTUALI
Tendenza larghezza
Dati disponibili (foto aeree o immagini satellitari)
1. Volo precedente (pref.ultimi 10 anni)
2. Ultimo volo disponibile
in restringimento
Variaz.misurate
m
anno
anno
larghezza (m)
larghezza (m)
in equilibrio
%
m
in allargamento
%
(∆L ≤ margine errore misure)
m
%
Dati / evidenze sul terreno
L1 entrambe sponde in avanz.
L2 entr.sponde stabili o con
processi opposti
L3 entrambe sponde in arretr.
Tendenza altimetrica
Dati disponibili (profili/sezioni)
1. Rilievo precedente (pref.ultimi 10 anni)
2. Ultimo rilievo disponibile
In incisione
anno
anno
In equilibrio
m
Variaz.misurate
m
quota (m s.l.m.)
quota (m s.l.m.)
In sedimentazione
m
Dati / evidenze indiretti da foto aeree o immagini satellitari
f1 riduzione intrecciamento
f2 riduzione barre
f3 intrecciamento costante
f4 barre costanti
f5 aumento intrecciamento
f6 aumento barre
M7 continuità barre-piana in.
M9 sommità barre ≥ piana in.
Dati / evidenze sul terreno
Morfologia
M1 discontinuità barre-piana in.
dislivello (m) sommità ghiaia (piana inondabile) - sommità barra
stesso livello
ghiaia (piana in.)>barra
M2 barre erose frequenti
m3 assenza barre
numero totale misure
barra>ghiaia (piana in.)
M10 lobi sedimenti frequenti
m11 barre longitudinali numer.
(non applicabile ad alvei a canali intrecciati)
M4 scalino fondo (nickpoint )
m5 entr.sponde sottoscavate
m8 entr.sponde stabili o con
processi opposti
m6 scarse tracce inond. piana
M12 avulsioni e can.sec. piana
m13 entrambe sponde con
accumulo al piede
m14 molte tracce inond. piana
Sedimenti
S1 preval.forte corazzamento
(embric./forme fondo/scarso assortimento)
s2 nessuna prevalenza
(situazione intermedia)
S3 preval.corazz.lieve/assente
(embric. e forme fondo scarsi/ assortimento)
Vegetazione e materiale legnoso
v1 radici esposte diffusamente
v2 alberi solo parte alta sponde
v3 preval.legno assente/scarso
v6 radici sepolte diffusamente
v4 sponde vegetate
v5 nessuna prevalenza
v7 preval.legno abbond/caotico
Eventi di piena recenti (ultimi 10 anni circa) più significativi
Anno
Staz.misura
Anno
Staz.misura
Q (m3/s)
Q (m3/s)
Tempo ritorno stimato (anni)
Tempo ritorno stimato (anni)
Classificazione tendenza altimetrica
in incisione
Livello confidenza complessivo delle interpretazioni
in equilibrio
in sedimentazione
molto basso / basso / medio / alto / molto alto
Note e commenti
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4.1 Caratteristiche morfologiche attuali
Generalità
Data: data relativa al rilevamento geomorfologico.
Rilevatori: si indica la persona(e) che ha effettuato il rilievo geomorfologico (indicazione utile qualora sia necessario chiarire eventuali dubbi).
Corso d’acqua: si indica il corso d’acqua oggetto del rilevamento.
Tratto: si forniscono indicazioni utili per la localizzazione del tratto, attraverso il nome della località o di altro elemento naturale (es. una confluenza) o artificiale (es. un ponte).
Numero/sigla tratto: si riporta un codice identificativo del tratto del rilievo. In genere si usa un numero progressivo (da monte verso valle) preceduto dall’iniziale del fiume (es. V1, … Vn).
Posizione GPS: si indicano le coordinate GPS (N, E) delle estremità di
monte e di valle del tratto.
Caratteristiche morfologiche generali
Si classifica innanzitutto il tratto di rilevamento sulla base del grado
di confinamento dell’alveo, distinguendo i seguenti casi (Brierley & Fryirs,
2005):
Confinato: oltre il 90% delle sponde è direttamente in contatto con versanti o terrazzi antichi e l’eventuale pianura è ristretta a punti isolati (meno
del 10% della lunghezza totale delle sponde). Tipico di ambiti montani e
collinari, oppure può essere presente lungo fiumi di pianura limitatamente a
tratti di separazione (soglie rocciose) tra bacini diversi.
Semiconfinato: le sponde sono a contatto con pianura alluvionale per
una lunghezza compresa tra il 10 ed il 90% della lunghezza del tratto. Tipico
di zone pedemontane, all’uscita dall’ambito montano – collinare e nel tratto
di sbocco nel fondovalle alluvionale.
Non confinato: pianura pressoché continua, ovvero meno del 10% dei
margini dell’alveo sono a contatto con versanti o terrazzi antichi. È esclusivo
delle aree di pianura, ove l’alveo scorre in depositi alluvionali distante dai
versanti.
Morfologia alveo
Si distinguono le seguenti morfologie (si veda Cap.2).
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Rettilineo: tracciato all’incirca rettilineo, con indice di sinuosità inferiore ad 1,1.
Sinuoso: tracciato con una certa sinuosità (indice di sinuosità tra 1,1 ed
1,5).
Meandriforme: tracciato caratterizzato da una successione più o meno
regolare di meandri e con un indice di sinuosità maggiore di 1,5.
Rettilineo o sinuoso a barre alternate: alveo con presenza pressoché continua di barre laterali.
Wandering: forma transizionale tra meandriforme, canali intrecciati e/o
anastomizzato.
Canali intrecciati (“braided”): presenza di più canali separati da barre.
Anastomizzato: canali con una certa sinuosità e separati da isole vegetate.
Barre: si riporta la presenza o meno di vari tipi di barre, come elementi
caratteristici utili per classificare l’alveo (nella sezione successiva “Superfici”
si indica con maggiore dettaglio la loro posizione).
Sedimenti (dominanti) alveo: si indica la componente tessiturale principale che costituisce il letto (comprese le barre). Serve per dare un’indicazione di massima del tipo di sedimenti prevalenti. È possibile inserire più di un
termine: se ad esempio il fondo comprende ghiaia e ciottoli in prevalenza ma
con una quantità significativa anche di sabbia, si può indicare come GC(S).
Configurazione fondo: facendo riferimento alla classificazione di Montgomery & Buffington (1997), si riportano le cinque unità: (a) rapide (cascade), ovvero configurazioni di fondo caotiche; (b) a gradinata (step-pool),
caratterizzate da alternanza di gradini e pozze; (c) letto piano (plane bed),
ovvero tratti d’alveo con un profilo longitudinale regolare e senza brusche
variazioni altimetriche; (d) riffle-pool, vale a dire alternanza di tratti a corrente più veloce (turbolenta) e pendenza più sostenuta (riffle) con tratti
a profilo più piatto, corrente relativamente lenta e profondità più elevate
(pool) (tipica di alvei ghiaiosi); (e) dune-ripple, consistente nella presenza
di piccole dune o increspature del fondo (tipica di alvei a fondo sabbioso).
Si fa presente che le prime due configurazioni (rapide e a gradinata) sono
quasi del tutto assenti in alvei alluvionali semi – o non confinati, ma possono
interessare tratti confinati di congiunzione.
Controlli fondo: sono da intendere come situazioni che possono condizionare l’evoluzione del fondo, soprattutto nel senso di impedire o rallentare
l’eventuale incisione. Possono essere anche situazioni localizzate che possono avere un effetto sull’intero tratto (ad esempio, se esiste una briglia o
anche un singolo affioramento roccioso sul fondo).
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Schema morfologico planimetrico
Lo schema ha lo scopo di rappresentare ed evidenziare le forme e le
superfici presenti. La legenda è da intendere soprattutto come promemoria
degli elementi più significativi da indicare (gli elementi riportati in legenda
non sono peraltro esaustivi e si lascia al rilevatore la libertà di aggiungerne
altri ritenuti significativi).
Note e commenti
Questo spazio (presente alla fine di ogni sezione) può essere utilizzato
per qualunque osservazione aggiuntiva non rientrante nella scheda o qualunque precisazione ritenuta utile. Ad esempio si può impiegare per inserire
i codici delle foto scattate e le relative coordinate GPS.
Superfici
Si fa riferimento ad una o preferibilmente più sezioni rappresentative
della varietà di superfici presenti nel tratto (raffigurate schematicamente nello Schema sezione).
Canale. In un sistema a canali intrecciati è possibile indicare fino a 5 canali. Nel caso di alveo a canale singolo, si specifica la posizione del canale
(centrale, destra o sinistra). Nel caso siano presenti più canali, si può indicare
il canale principale (eventualmente anche più di uno se hanno all’incirca le
stesse dimensioni e flusso) e i canali secondari. Il canale secondario può essere
indicato come canale di taglio quando è posizionato sul lato interno di una
barra (di meandro o laterale), quindi questo termine si usa preferibilmente nel
caso di alvei a canale singolo sinuoso-meandriformi, mentre negli alvei a canali intrecciati si preferisce distinguere tra canale principale e canali secondari.
La presenza, numero e dimensioni dei canali bagnati (interessati da un
flusso) sono ovviamente funzione del livello idrometrico durante il giorno
del rilevamento geomorfologico. La definizione dei canali presenti è tuttavia
basata anche su evidenze morfologiche (forme di incisione) e non esclusivamente sulla presenza o meno di una corrente liquida. Ciò è particolarmente
vero nel caso in cui l’alveo sia asciutto (o quasi) durante il giorno del rilevamento di campo (ad esempio un alveo con morfologia a canali intrecciati
potrebbe essere asciutto ma non per questo andrebbe considerato privo di
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canali). Resta inteso che le misure dell’indice di intrecciamento vengono effettuate da foto aeree (secondo quanto specificato nel capitolo 3).
Barra. È riconoscibile per la presenza di sedimenti analoghi a quelli presenti nei canali ma emersi, con una copertura vegetazionale in genere assente
(anche se è possibile una presenza sporadica di piante soprattutto di crescita
stagionale o di pochi anni, talora anche arborea).
Barra alta. È riconoscibile per: (a) posizione topografica, generalmente
più alta delle barre; (b) tessitura: è in genere presente una consistente quantità di sabbia, ma la granulometria relativamente grossolana caratteristica
delle barre e dei canali è comunque ben visibile; (c) vegetazione: in genere
si osserva una consistente copertura erbacea ed arbustiva (gli alberi possono
esserci ma sono in genere sporadici). Per il riconoscimento di tale superficie è importante la combinazione delle tre precedenti categorie di evidenze
(piuttosto che la presenza di una sola delle tre). L’evidenza tessiturale è in
genere quella fondamentale: la presenza di sabbia indica un ambiente soggetto ad una certa deposizione fine nella fase discendente delle piene ed una
minore frequenza di rimodellazione rispetto alle barre più prossime al canale, tuttavia il processo dominante rimane quello di correnti trattive.
Isola. Si tratta di una superficie con caratteristiche morfologiche, tessiturali e vegetazionali identiche a quelle della piana inondabile (si veda di seguito) solo che, a differenza di quest’ultima, è delimitata da entrambi i lati da
superfici facenti parte dell’alveo (canale o anche solo barra o barra alta). Si
considera come isola stabile (o established island) quando i sedimenti fini che
la ricoprono presentano spessori significativi e la copertura di vegetazione è
pressoché totale, mentre si può impiegare il termine di isola pioniera (analogamente a pianura inondabile pioniera) quando tali caratteristiche tessiturali
e vegetazionali non sono così marcate (si veda Tabella 1). Si definisce infine
isola terrazzata quando presenta un certo dislivello rispetto all’alveo a causa
di incisione (analogamente al terrazzo).
Berma. Con questo termine sono qui indicate delle superfici (in letteratura anglosassone denominate con vari termini quali berm, bench o shelf)
caratterizzate da un’esigua larghezza, normalmente dello stesso ordine di
grandezza dell’altezza delle sponde, e che in genere sono discontinue (Hupp
& Rinaldi, 2007). La posizione altimetrica è variabile: possono trovarsi tra
barre e piana inondabile o tra piana inondabile e terrazzo. Si può trattare
di lembi di superfici abbandonate (ad esempio per incisione) o, in altri casi,
possono rappresentare il primo stadio di accrescimento di una piana inondabile.
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Superficie
Barra
Barra alta
Isola pioniera o
pianura inondabile pioniera (o
incipiente)
Isola stabile o
pianura inondabile
Tessitura
superficiale
Sedimenti grossolani
Processi
Vegetazione
Trasporto al
fondo (correnti
trattive)
Assenza di vegetazione; in
alcuni casi (periodi senza
piene formative) vegetazione erbacea-arbustiva
giovane (max. 1-2 anni)
ma non troppo densa;
possibile presenza sporadica di alberi anche di età
superiore
Copertura di vegetazione
Sedimenti gros- Trasporto al
solani, in preva- fondo (correnti significativa ma non totalenza, e sedimen- trattive) preva- le; prevalente vegetazione
ti fini
lente, ma anche erbacea-arbustiva; vegetrasporto e setazione arborea con età
dimentazione di generalmente di 2-3 anni;
materiale fine
possibile presenza sporadica di alberi anche di età
superiore
Copertura totale o quasi
Sedimenti fini,
Correnti di
di vegetazione con precon spessori
tracimazione e
deposizione di
senza di vegetazione armodesti (geneborea; età degli alberi in
ralmente centi- materiale fine
per decantazione genere di 2-5 anni
metrici)
Sedimenti fini,
Correnti di
Copertura totale o quasi
anche con spes- tracimazione e
di vegetazione con presori significativi deposizione di
senza significativa di ve(da alcuni dm ad materiale fine
getazione arborea; età
oltre 1 m)
per decantazione degli alberi generalmente
maggiore di 5 anni
Tabella 1 – Riepilogo delle principali caratteristiche tessiturali-vegetazionali e processi distintivi di barre, isole e piana inondabile. Le caratteristiche vegetazionali
sono indicative (soprattutto l’età non va intesa come discriminante).
Piana inondabile. Le evidenze tipiche della piana inondabile (che corrispondono alle evidenze di identificazione del livello ad alveo pieno o di
piene rive) sono le seguenti: (a) evidenze morfologiche: 1) il passaggio relativamente brusco da una scarpata ad una superficie pianeggiante; 2) la
sommità delle barre di meandro in genere segna l’inizio della piana inonda-
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bile; (b) evidenze sedimentologiche: variazione di tessitura dei sedimenti, da
relativamente grossolani (ghiaie) a relativamente fini (sabbie fini – limi), che
riflette il passaggio da processi di trasporto solido al fondo (correnti trattive) a processi di tracimazione e decantazione di sedimenti fini; (c) evidenze
vegetazionali: l’inizio di vegetazione arborea piuttosto densa e continua può
segnare il passaggio alla piana inondabile.
Si può impiegare il termine di piana inondabile incipiente (Tabella 1)
quando i sedimenti fini presentano ancora spessori modesti (generalmente
centimetrici) e sono discontinui e/o quando presenta un’estensione limitata
(larghezza dell’ordine di qualche metro, comunque significativamente superiore all’altezza delle sponde), essendosi da poco formata a seguito, ad
esempio, di una fase di incisione.
Canale secondario (nella piana). Con tale termine si indica un canale
secondario (di avulsione) presente all’interno della piana inondabile, il quale
può presentare un flusso idrico oppure, più frequentemente, è asciutto ed è
riattivato solo durante eventi di piena di una certa entità.
Terrazzo. L’identificazione di un terrazzo è relativamente semplice se
nello stesso tratto è presente anche una piana inondabile. In caso ciò non
accada e il dislivello rispetto all’alveo attuale non è molto rilevante, può
essere difficoltoso definire se si tratti di un terrazzo piuttosto che di una
piana inondabile. Il carattere distintivo principale è che il terrazzo non è
una superficie creata dal corso d’acqua nelle sue attuali condizioni di regime, pertanto dovrebbe osservarsi una certa discontinuità rispetto alle superfici deposizionali (barre) attuali, soprattutto rispetto alla sommità delle
barre di meandro (nel caso di un corso d’acqua a canale singolo sinuosomeandriforme).
Versante. Nel caso di alveo semiconfinato (tratto intermedio o anche un
tratto alluvionale che attraversa una soglia rocciosa) si indica la presenza o
meno di versante su uno o entrambi i lati.
Schema sezione/i
Vengono schematizzate le diverse superfici presenti descritte nella sezione precedente, evidenziandone i loro rapporti altimetrici e le caratteristiche vegetazionali (non è pertanto da intendere come una sezione in scala).
Si fa quindi riferimento ad una o più sezioni rappresentative della varietà di
superfici presenti nel tratto.
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Caratteristiche e dimensioni alveo
La prima parte di questa sezione riguarda le caratteristiche idriche. Si
indica innanzitutto il livello idrico durante il giorno del rilevamento e se ne
indica a fianco la profondità media. È chiaro che il più delle volte il rilevamento geomorfologico viene svolto durante fasi di magra (consigliabile
anche per la maggiore emersione delle superfici), ma non è da escludere la
possibilità di effettuarlo durante periodi intermedi o durante una piena. Si
può inoltre riportare la pendenza del pelo libero e del fondo.
Dimensioni dell’alveo
Le dimensioni dell’alveo (con riferimento alle condizioni di piene rive
o di bankfull) sono utili per diversi scopi, pertanto durante il rilevamento
geomorfologico è utile effettuare la misura dei parametri rappresentativi
della forma della sezione, ovvero larghezza e profondità. A tal fine è
necessario il rilievo di una sezione topografica oppure, per quanto riguarda
solo la larghezza, è possibile una misura più speditiva della distanza tra i due
estremi della sezione. Nel caso di alvei di grandi dimensioni, è altrimenti
possibile per la larghezza avvalersi di foto aeree o di sezioni topografiche
recenti, individuando sul terreno i limiti dell’alveo.
Dimensioni sedimenti alveo
Si conclude questa parte con una descrizione dei sedimenti dell’alveo:
nel caso in cui venga effettuata una misura granulometrica, si specifica l’unità campionata ed il metodo di misura e si riporta il diametro mediano (D50).
Per quanto riguarda il corazzamento, si effettua una valutazione speditiva
distinguendo tra i seguenti casi: (a) assente; (b) debole (o mobile), quando
c’è una certa differenziazione, ma quando lo strato superficiale è mobilizzato per eventi di piena formativi (prossimi alle condizioni di piene rive); (c)
accentuato (o statico), quando c’è una netta differenza tra dimensioni dello
strato superficiale e del sottostrato e presumibilmente lo strato superficiale
viene mobilizzato solo per eventi di piena di una certa intensità (superiori
alle condizioni formative).
Sponda sinistra e destra
Con questa parte si intende effettuare una caratterizzazione sintetica
delle sponde. Viene scelta una situazione rappresentativa nel tratto, in termi-
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ni di caratteristiche geometriche, composizionali, ecc. Se non esiste una certa omogeneità di tali caratteristiche ma al contrario si osservano situazioni
molto differenti, si possono compilare più schede relative alla stessa sponda
(destra e/o sinistra). A tal fine, si indica in alto il numero o sigla della sponda
(la cui posizione viene specificata nello schema planimetrico nella pagina 1).
In generale è preferibile compilare tale modulo su una sponda in erosione,
in modo da poter osservare meglio le caratteristiche composizionali su una
scarpata esposta e i processi di arretramento. Tale parte infatti per molti suoi
aspetti fa riferimento a situazioni di sponda in erosione. Va comunque stimata la percentuale della lunghezza in erosione rispetto a quelle stabili o in
avanzamento nello stesso tratto (si veda successivamente). Per sponde stabili
o in avanzamento, per le quali è difficile dedurne la composizione e per le
quali non si osservano processi erosivi, tali aspetti vengono omessi.
Posizione: si precisa la posizione della sponda rispetto alla configurazione planimetrica dell’alveo, cioè se la sponda è interna o esterna di un tratto
curvo o se si tratta di una sponda in un tratto rettilineo.
Tipo: si indica se si tratta di una sponda interamente non coesiva (costituita da sedimenti granulari relativamente grossolani quali ghiaia e ciottoli),
coesiva (costituita da sedimenti a grana fine con comportamento coesivo),
composita (costituita da un livello basale di tipo granulare ed un livello superiore a grana fine) o stratificata (costituita da una successione più o meno
irregolare di livelli a granulometria differente).
Geometria: facendo riferimento a quanto rappresentato nel successivo
schema del profilo, si riporta l’altezza e la pendenza media.
Composizione: si specifica la composizione dei vari livelli (sono previsti
fino a 4 livelli).
Schema profilo sponda: si disegna uno schema in cui viene rappresentata
sia la composizione (vari livelli presenti) che la geometria (spessore e pendenza dei singoli livelli).
Osservazioni interpretative
Da questo punto in poi le osservazioni riportate sono di tipo interpretativo (ovvero presuppongono un certo grado di interpretazione da parte del
rilevatore).
In arretramento, stabile o in avanzamento. Si stima la percentuale di
sponda in arretramento, stabile o in avanzamento nel tratto di compilazione
della scheda.
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Processi di erosione. Si individuano, in base a varie evidenze, i processi
di erosione (particella per particella) che sono attivi al momento dell’osservazione o che si presuppone che si siano verificati di recente e che si attivino
durante eventi di piena.
Movimenti di massa. Si individuano, in base a varie evidenze, i movimenti di massa che sono attivi al momento dell’osservazione o che si siano
verificati di recente (ultimo ciclo stagionale).
Accumulo materiale base sponda. Si descrive il materiale accumulato alla
base della sponda.
Bilancio sedimenti. Il bilancio di sedimenti alla base della sponda è indicativo della possibile evoluzione della sponda stessa. Per condizioni di accumulo si intende il caso in cui l’apporto di materiale alla base della sponda
è superiore rispetto alla capacità che la corrente ha di rimuoverlo (pertanto la sponda sta evolvendo verso condizioni di stabilità). Per condizioni di
equilibrio si intende il caso in cui si ha un bilancio tra materiale alimentato
alla base e materiale rimosso dalla corrente: la sponda arretra quindi parallelamente a sé stessa, mantenendo un equilibrio di forma (non presuppone
quindi che la sponda sia stabile). Per erosione si intende infine il caso in cui
la capacità di rimozione di sedimenti alla base della sponda eccede la quantità alimentata dalla stessa, pertanto la sponda sta evolvendo verso situazioni
di maggiore instabilità.
Vegetazione
In questa sezione si riporta la presenza e la tipologia prevalente di vegetazione viva (assente, erba o arbusti, alberi) e di materiale legnoso (singoli
tronchi o accumuli) che sono osservati sulle varie superfici, utilizzando per
queste ultime la stessa schematizzazione usata in precedenza.
Opere
In questa parte vengono indicate le varie tipologie di opere (interventi
stabilizzazione fondo, interventi stabilizzazione sponde, argini, opere esterne all’alveo) e di attività (escavazione) e si riporta uno schema della loro
posizione all’interno del tratto.
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4.2 Variazioni morfologiche
Questa scheda ha lo scopo di integrare misure ed osservazioni effettuabili sulla base di dati disponibili con osservazioni di campo, permettendo
di ricavare una valutazione delle variazioni (di larghezza ed altimetriche)
avvenute in una media scala temporale (ultimi 100 - 150 anni). Seppure una
parte di queste misure può essere effettuata in ufficio, la compilazione della
scheda rende necessaria l’acquisizione del materiale necessario (carte, foto
aeree) prima di effettuare il rilevamento sul terreno, in modo da consentire
una serie di osservazioni che aiutino nelle interpretazioni e nell’individuazione degli aspetti da chiarire. Come promemoria, si ricordano di seguito
i principali punti da tenere presenti prima di effettuare l’uscita sul terreno:
– Cosa preparare prima dell’uscita sul terreno: carte e foto aeree necessarie;
eventuali dati topografici disponibili (sezioni, profili); georeferenziazione foto aeree; misure di variazioni di larghezza ed eventualmente di
quota del fondo; quando possibile, consultare i dati di portata eventualmente disponibili relativi a stazioni idrometriche prossime al tratto di
rilevamento.
– Cosa portare sul terreno: stampa delle carte, delle foto aeree, delle sezioni/profili eventualmente disponibili; strumenti essenziali: rotella metrica e livelletta, possibilmente distanziometro o GPS.
Variazioni di larghezza
Dati disponibili (cartografie/foto aeree/immagini satellitari). Si riportano gli anni e le relative larghezze desunte dalle cartografie e/o da immagini
telerilevate. In questa fase sul terreno, vengono considerate tre situazioni
rappresentative: (1) XIX secolo (prime levate delle tavolette IGM della seconda metà XIX sec. o cartografie precedenti se ritenute sufficientemente
attendibili); (2) anni ’50 del XX secolo; (3) ultimo volo disponibile. Lo scopo del rilevamento è infatti quello di valutare le variazioni complessive avvenute rispetto ad una situazione relativamente indisturbata (quella del XIX
secolo, quando utilizzabile) ed una situazione immediatamente precedente
alla fase di maggiori aggiustamenti morfologici (anni ’50 del XX secolo),
tenendo presente che per quest’ultima situazione è disponibile il volo IGM
GAI (1954-55) che garantisce una copertura nazionale ad una scala adeguata (in genere 1:33.000). Ciò è anche motivato dal fatto che per vari fiumi
italiani è stata evidenziata l’esistenza di due principali fasi di aggiustamento,
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una prima fase (di variazioni in genere più limitate) tra XIX secolo e metà
XX secolo ed una seconda fase, di variazioni in genere più accentuate, nella
seconda metà del XX secolo (Surian & Rinaldi, 2003). Si rinvia invece alla
fase di studio in ufficio un’analisi più dettagliata che utilizzi anche altre foto
aeree disponibili e che permetta di ricavare i trend di variazione temporale
della larghezza.
Variazioni misurate. Si effettua la misura delle variazioni di larghezza
avvenute (DL) tra l’ultimo dato disponibile e le due situazioni passate di riferimento (si noti che tale misura può essere fatta in prima approssimazione
durante il rilievo sul terreno e poi perfezionata successivamente in ambiente GIS, oppure, idealmente, queste ultime misure possono essere effettuate
prima della fase di campo). In base al risultato, si classifica l’alveo come
ristretto (in tal caso si riempie la casella a sinistra), invariato (al centro),
allargato (a destra).
Sono riportati anche i valori di variazione in percentuale (rispetto alla
larghezza originaria), in quanto il valore assoluto, seppure utile, può essere
poco significativo per fare paragoni tra tratti o corsi d’acqua diversi.
Per quanto riguarda la situazione di alveo invariato, bisogna tener conto di due aspetti: (a) considerare il margine di errore delle misure (si veda
a riguardo il capitolo 3.3), in quanto se la differenza rientra all’interno del
margine di errore, non si può classificare con certezza il tipo di variazione;
(b) la situazione invariata non è da considerarsi nel senso di stabilità assoluta
(nessuna variazione): si deve tener conto di una certa naturale variabilità che
caratterizza le dimensioni di un alveo inteso come in equilibrio dinamico
(quest’ultima può essere legata anche alla variabilità stagionale o all’essersi
verificato o meno di un evento di piena formativo da più o meno tempo).
A tal proposito non esistono in letteratura dei limiti precisi tra situazione
in equilibrio (dinamico) e situazione instabile. Pertanto, sia per la difficoltà
di valutare tale limite che per quella di stimare il margine di errore, la definizione di tale valore è molto complessa ed in una certa misura arbitraria.
Si ritiene che un valore pari al 10% della larghezza attuale rappresenti un
limite ragionevole tra invariato e variato.
Variazioni tracciato
In questa parte si riporta una serie di osservazioni generali, condotte
sempre da cartografie e foto aeree, riguardanti eventuali variazioni generali della morfologia planimetrica dell’alveo (seppure in questo caso non
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si giunge ad una valutazione quantitativa). Viene inoltre indicato il caso in
cui si sia verificata una migrazione dell’alveo, specificando se essa è avvenuta verso destra o sinistra e riportandone (casella successiva) il massimo
spostamento.
Variazioni altimetriche
Dati disponibili (profili/sezioni). È noto come i dati relativi alle variazioni altimetriche (profili e/o sezioni topografiche rilevati in passato) siano molto meno frequenti rispetto alle variazioni planimetriche. Pertanto in questo
caso si rinuncia ad una differenziazione delle variazioni in intervalli di tempo
(come fatto per le variazioni di larghezza) e si cerca di ricavare un’informazione complessiva, tenendo conto di quanto disponibile. Si riporta quindi
l’anno del primo e dell’ultimo (eventuale) rilievo disponibile. Per quanto
riguarda la quota, si fa preferibilmente riferimento ad una quota media (da
profili) del tratto di rilevamento oppure, alternativamente, alla quota media
pesata di una particolare sezione topografica.
Variazioni misurate. Si riportano le variazioni misurate sulla base dei dati
disponibili, classificando l’alveo come inciso (casella a sinistra), invariato (al
centro), aggradato (a destra). Si può ovviamente trattare di un dato parziale
(relativo ad un certo intervallo di tempo), e di ciò va tenuto conto nell’interpretazione delle evidenze di campo (ad esempio, il fondo potrebbe essersi
abbassato di 1 metro tra il 1965 e 1985, mentre le evidenze suggeriscono
un abbassamento complessivo di 3 metri). Analogamente alle variazioni di
larghezza, si pone anche in questo caso la questione del limite tra invariato
e variato: si assume tale limite pari a ± 0.5 m. Tale valore rappresenta infatti
una risoluzione al di sotto della quale non è possibile scendere in base alle
evidenze di campo, ma tiene conto anche del fatto che un corso d’acqua in
condizioni di equilibrio dinamico possa comunque subire delle variazioni
altimetriche. Ovviamente il margine di errore sulla base del confronto tra
profili e/o sezioni può essere anche inferiore, ma in tal caso va tenuto conto
di altri fattori (es. posizione precisa delle sezioni, rappresentatività o meno
della quota del thalweg o della quota di fondo medio, ecc.) che concorrono
ad aumentare il grado di incertezza nell’interpretazione della variazione.
Dati/evidenze sul terreno. Rispetto alle variazioni di larghezza, gli indicatori di campo per le variazioni altimetriche rivestono un ruolo più importante, proprio per la generale scarsità di dati disponibili. Si descrivono di
seguito sinteticamente le principali evidenze che sono utilizzabili a tal fine.
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La presenza di un terrazzo è evidenza di avvenuta incisione. Per conoscere esattamente la scala temporale nella quale tale incisione si è manifestata, bisognerebbe datare il terrazzo. Per gli scopi di questo rilevamento, la
scala temporale di interesse è quella dell’ordine del centinaio di anni, pertanto sono di interesse quelle superfici che sono diventate inattive (nel senso di
non essere più piana inondabile in s.s.) all’incirca in tale intervallo di tempo.
A tal fine possono essere utili i seguenti elementi: (a) il dislivello del terrazzo
rispetto all’alveo attuale non è eccessivo (si ricorda che in fiumi italiani si
sono osservati abbassamenti del fondo al massimo dell’ordine dei 10 - 12 m
nell’intervallo temporale di nostro interesse) e tale superficie è ben preservata; (b) da osservazioni di foto aeree si può talora dedurre che la superficie
attualmente classificata come terrazzo era all’epoca della foto una pianura
inondabile se non addirittura porzione dell’alveo. L’assenza di un terrazzo
è segno di mancata incisione, quindi di fondo invariato o aggradato (per
quest’ultimo caso tuttavia l’assenza di terrazzo è una condizione necessaria
ma non sufficiente, pertanto sono necessarie ulteriori evidenze). Un’importante evidenza nel caso di alveo aggradato consiste nel fatto che la sommità
delle barre è ad una quota superiore rispetto alla quota della pianura inondabile. Un’ulteriore evidenza può essere quella di una marcata contropendenza
della pianura, con quote visibilmente più elevate sull’orlo dell’alveo (argini
naturali) e degradanti verso il piano campagna.
Lo stato delle pile di un ponte (esposte, normali, sepolte) può essere
indicativo delle variazioni avvenute, limitatamente al periodo compreso tra
la realizzazione del ponte ed oggi. È possibile dedurre una stima dell’incisione solo nel caso le pile siano esposte (nel caso siano sepolte bisognerebbe
risalire allo spessore dei sedimenti sopra la base delle pile). Va considerato
quanto segue:
–– se ci sono più pile, va fatto riferimento alle pile in alveo (ad esempio se
c’è una pila che è rimasta sulla nuova piana inondabile causa restringimento, questa non va considerata);
–– la misura va effettuata non nello scavo dell’erosione localizzata, ma rispetto al fondo medio.
Analogamente, solo nel caso di incisione è possibile ricavare informazioni indirette sul possibile abbassamento del fondo sulla base dei dislivelli
tra superfici omologhe (cioè tra una determinata superficie nello stato attuale
e la quota che aveva lo stesso tipo di superficie prima dell’incisione). Si possono presentare due principali casi:
(1) nel caso sia presente una nuova pianura inondabile, si può misurarne
il dislivello con il terrazzo (che rappresentava la pianura inondabile attiva
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pre-incisione). Si tratta di una stima di massima, in quanto va tenuto conto
che sia il terrazzo che la piana inondabile possono essere soggetti ad una certa sedimentazione verticale (in genere superiore per la pianura inondabile)
che quindi può causare un certo margine di errore alla misura.
(2) si misura il dislivello tra la sommità della ghiaia affiorante su una
sponda in erosione (nel caso questa sponda rappresenti la scarpata del terrazzo e nel caso la ghiaia sia effettivamente attribuibile ad una facies di sommità di barra) e la sommità di una barra nella stessa sezione (o nelle vicinanze
della sponda). Per quanto riguarda la sommità della ghiaia nella scarpata e
nella barra attuale, si fa riferimento ai punti in cui esse sono più alte. Affinché la misura sia attinente alla scala temporale di interesse, è necessario che i
depositi di barra affioranti nella sponda siano effettivamente recenti. Questo
è in parte verificabile dall’osservazione dello stato di cementazione dei sedimenti stessi (in genere dovrebbero essere poco o per nulla cementati) e, in
casi favorevoli, anche da foto aeree (cioè nel caso in cui si osserva una barra
in un’epoca precedente laddove ora è presente la scarpata).
Entrambi i tipi di determinazioni si devono quindi avvalere possibilmente di osservazioni fatte da foto aeree, che possano permettere di ricavare
informazioni cronologiche certe sulle superfici rispetto alle quali si misurano i dislivelli. Ad esempio, una superficie attuale di piana inondabile o di
terrazzo può essere riconosciuta sulle foto aeree di un determinato anno
come una barra: misurando il dislivello tra sommità delle ghiaie lungo una
scarpata che interessa tale superficie e la sommità delle ghiaie delle barre
attuali, è possibile ricavare una stima dell’abbassamento del letto rispetto a
quel determinato anno.
Una regola generale (valida per i dislivelli “piana-terrazzo” e “sommità
delle barre-sommità delle ghiaie su sponda”) è quella di fare diverse misure
in uno stesso tratto, dalle quali si ricava in genere un range di dislivelli (piuttosto che un singolo valore). A tal fine, si è riservato un ampio spazio nella
scheda per l’inserimento di varie misure, con indicato alla fine il numero
complessivo di misure effettuate. Per evidenziare questa parte di misure, si è
utilizzato un rettangolo con i lati tratteggiati. Le misure si riferiscono al caso
di incisione o di stabilità, pertanto le caselline occupano la colonna a sinistra
e quella centrale della scheda, mentre sulla parte destra si riserva lo spazio
ad eventuali altre misure e note.
Una tecnica particolarmente efficace, ma più impegnativa, può essere
quella di realizzare, contemporaneamente alla compilazione delle altre parti delle schede, dei profili topografici delle diverse superfici (terrazzo, piana
inondabile, sommità barre relitte e barre attive) lungo l’intero tratto (con
l’uso di un GPS non si tratta di un’operazione eccessivamente difficoltosa).
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Dalla rappresentazione grafica dei profili risulta molto più efficace l’interpretazione delle possibili variazioni.
Classificazione variazioni altimetriche. Integrando le evidenze sul terreno con le (eventuali) misure effettuate sulla base di profili e/o sezioni, in
questa parte si fornisce una valutazione complessiva delle variazioni altimetriche avvenute. Il termine classificazione vuole enfatizzare il fatto che non
si tratta di una precisa stima quantitativa (obiettivo difficilmente raggiungibile se non nel caso di ampia disponibilità di dati) quanto piuttosto di
collocare il tratto entro una classe di variazione. Le quattro classi di incisione qui definite (limitata, moderata, intensa, molto intensa) scaturiscono
da esperienze maturate in vari anni di indagini ed appaiono adatte ai casi di
fiumi italiani e particolarmente funzionali a dettagliare lo schema evolutivo
precedentemente definito da Surian & Rinaldi (2003). Per quanto riguarda
l’aggradazione, non si sono riscontrati finora casi documentati ricadenti in
tale classe, pertanto per il momento si è preferito considerarne una classe
unica, considerato anche che le evidenze di campo non sono in grado di
fornire una stima.
Si riporta infine il livello di confidenza della classificazione altimetrica,
preferendo l’uso di attributi generici (molto basso, basso, medio, alto, molto
alto), che dovrebbe tener conto complessivamente delle incertezze relative
alle eventuali misure da profili o sezioni e quelle relative alle evidenze sul
terreno.
Note e commenti
Si possono inserire in questo spazio tutti i commenti e le informazioni
aggiuntive ritenute utili, quali schemi di come si sono effettuate le misure dei
dislivelli, o anche informazioni desunte da interviste con residenti.
4.3 Tendenze attuali
Per le tendenze attuali si fa riferimento all’intervallo temporale degli
ultimi 10 - 15 anni. In maniera simile alla scheda sulle variazioni morfologiche, si ricava una misura delle variazioni di larghezza, la quale può essere
effettuata anche indipendentemente in ufficio. Per le variazioni altimetriche,
viene riportata una lista di evidenze che hanno sia lo scopo di costituire un
promemoria degli aspetti su cui prestare attenzione, sia quello di classificare
la tendenza altimetrica.
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Tendenza larghezza
Dati disponibili (foto aeree o immagini satellitari). Si riportano gli anni
delle foto aeree disponibili e le relative larghezze. La scelta dei voli dipende
caso per caso dalle disponibilità esistenti, cercando di utilizzare il volo più
recente, a condizione che sia a scala adeguata, ed un volo precedente preferibilmente effettuato negli ultimi 10 anni, ma a condizione che ci sia un
sufficiente intervallo temporale tra i due voli.
Variazioni misurate. Si riporta la variazione di larghezza misurata (sia
assoluta che in percentuale rispetto a quella della prima misura, analogamente a quanto fatto nella scheda delle variazioni), classificando l’alveo
in restringimento, in equilibrio o in allargamento. Come soglia tra equilibrio e restringimento o allargamento, si può assumere l’errore associato
alle misure (cioè l’alveo si considera invariato se le variazioni misurate sono
minori o uguali al margine di errore; se sono superiori, significa che l’alveo
è variato).
Dati/evidenze sul terreno. Gli indicatori sul terreno delle variazioni di
larghezza sono limitati alla sola osservazione delle condizioni delle sponde (entrambe in avanzamento, entrambe stabili, entrambe in arretramento)
(non è possibile determinare la tendenza nel caso in cui una sponda è in
arretramento ed una in avanzamento, a meno che non si ricavino i tassi di
arretramento ed avanzamento). Tale indicatore serve per rafforzare quanto
desunto dalla misura effettuata su foto aeree, o anche per ricavare informazioni aggiuntive su una possibile variazione della tendenza molto recente
(ad esempio dalle foto aeree il tratto può risultare in restringimento fino alla
data dell’ultima foto, ma negli anni successivi potrebbe esserci una inversione di tendenza).
Tendenza altimetrica
Dati disponibili (profili/sezioni). Come già detto in precedenza, i dati di
profili e/o sezioni topografiche sono piuttosto rari per molti corsi d’acqua;
ancora più rari sono ovviamente i casi in cui si dispone di due rilievi recenti
e distanziati tra loro di qualche anno.
Variazioni misurate. Nel caso in cui tali rilievi fossero disponibili, si riportano le variazioni misurate (con le stesse modalità utilizzate nella scheda
delle variazioni) classificando il tratto come in incisione, in equilibrio o in
sedimentazione. A tal proposito si fa presente che, nel caso in cui sia disponibile almeno un rilievo relativamente recente, non sarebbe eccessivamente
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oneroso effettuare un profilo del fondo con GPS (contemporaneamente al
profilo di altre superfici significative, come precisato prima).
Dati/evidenze indiretti da foto aeree o immagini satellitari. Da questo
punto in poi si cominciano ad utilizzare alcuni indicatori che possono aiutare nell’interpretazione della possibile tendenza altimetrica in atto. Ciò viene
fatto sia in assenza di dati disponibili, ma anche qualora essi esistessero, al
fine di rafforzare il risultato da essi ottenuti o, piuttosto, per mettere in evidenza ed approfondire eventuali incongruenze. Viene assegnato un diverso
peso alle evidenze considerate: alcune di esse hanno un peso maggiore e vengono in seguito denominate come diagnostiche (indicate con lettera maiuscola), altre hanno un peso minore e vengono denominate non diagnostiche
(indicate con lettera minuscola).
Si parte da una serie di indicatori indiretti, i quali vengono osservati dalle foto aeree ma sono direttamente finalizzati all’interpretazione delle
tendenze altimetriche. In un alveo inizialmente a canali intrecciati (o transizionale), ad una fase di incisione è normalmente associabile una riduzione
dell’indice di intrecciamento (f1) e del numero di barre (f2). Il caso in cui tali
caratteristiche si mantengono costanti (f3 ed f4) può denotare condizioni di
equilibrio, mentre un loro aumento (f5 ed f6) può denotare condizioni di
sedimentazione. Tuttavia, ciò non è sempre vero: possono esistere dei casi
in cui l’incisione provoca una forte instabilità delle sponde che determina a
sua volta un aumento dell’indice di intrecciamento e delle barre (come si sta
verificando in alcuni tratti del F. Brenta: Surian & Cisotto, 2007).
Dati/evidenze sul terreno. Si distinguono tre principali categorie di dati/
evidenze: a) evidenze morfologiche; b) caratteristiche dei sedimenti dell’alveo; c) presenza e caratteristiche della vegetazione viva e del legno presenti
in alveo.
Morfologia. Il primo aspetto da prendere in considerazione è il rapporto
altimetrico tra barre e piana inondabile. In un alveo in incisione si può osservare qualche discontinuità tra sommità delle barre attive e piana inondabile
(M1), determinata proprio dal fatto che il letto si è abbassato dopo aver
creato la piana inondabile. Il dislivello deve essere evidente e deve essere
possibilmente confermato da un dislivello tra ghiaia nella piana inondabile
e sommità della barra, come riportato nella riga successiva. Viceversa, in un
alveo in equilibrio dinamico si dovrebbe osservare un passaggio graduale
(continuità) tra sommità delle barre e piana inondabile (in particolare sulle
barre di meandro) (M7). Nel caso di un alveo in sedimentazione, una delle
evidenze più importanti (diagnostiche) è rappresentata dal fatto che la sommità delle barre attive è circa allo stesso livello, o anche superiore, rispetto
alla piana inondabile (M9).
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Nei casi in cui si osserva la sommità delle ghiaie in scarpate di erosione
che mettono in contatto l’alveo con una piana inondabile di recente formazione, è possibile raffrontare tale livello con la sommità delle barre attuali.
Nel caso in cui la sommità delle barre attuali è superiore rispetto alle ghiaie
in affioramento lungo la scarpata, si può desumere che l’alveo ha una tendenza attuale all’aggradazione, e viceversa nel caso di incisione in atto. Anche in questo caso, è opportuno abbinare tali interpretazioni sul terreno con
osservazioni di foto aeree degli ultimi 10-15 anni ed effettuare più misure
in uno stesso tratto. Il grado di incertezza di tali misure aumenta nel caso
di alvei con morfologie a canali intrecciati, dove le altezze delle barre sono
molto variabili. Queste misure sono molto importanti per rafforzare la nostra interpretazione e per una quantificazione delle variazioni altimetriche.
Analogamente a quanto fatto nella scheda delle variazioni, si è data maggiore enfasi a questa parte di misure, evidenziandola attraverso un rettangolo
con i lati tratteggiati.
Per quanto riguarda la morfologia delle barre, possiamo distinguere vari
casi: un dislivello marcato tra le stesse ed i canali può essere sintomo di
incisione (M2: barre erose frequenti), tuttavia bisogna fare attenzione che
questa evidenza sia sufficientemente generalizzata nel tratto (cioè gran parte
delle barre, su entrambi i lati del canale o dei canali, appaiono in dislivello
rispetto agli stessi) in quanto in un alveo in equilibrio in cui il canale migra
può essere normale la presenza di barre in erosione che si alternano con
barre in accrescimento. Nel caso si incontrino dei corpi sedimentari con una
spiccata morfologia a forma lobata, con un evidente fronte di accumulo che
tende a seppellire od ostruire un canale o una barra stessa, questa può essere
considerata un’evidenza di sedimentazione (M10), a condizione che si tratti
di situazioni molto frequenti nel tratto.
L’assenza di barre o la presenza di barre longitudinali predominanti può
essere associata a condizioni di incisione (m3) o sedimentazione (m11) rispettivamente (quest’ultima evidenza non è applicabile ad alvei a canali
intrecciati, dove le barre longitudinali sono normalmente presenti). Come
detto per gli indicatori indiretti da foto aeree, possono esistere situazioni opposte a quanto descritto (presenza di barre causate proprio dall’incisione in
atto e l’erosione delle sponde), pertanto tali evidenze non sono diagnostiche.
Per quanto riguarda i canali: la presenza di uno scalino del fondo (nickpoint: vale a dire uno scalino ripido nel profilo longitudinale, tipico soprattutto di alvei incisi in sedimenti fini, o una scarpata del fondo che si può
osservare in alvei ghiaiosi) può essere sintomo di incisione (M4); la presenza
di canali di avulsione o canali secondari nella piana inondabile sono invece
associabili normalmente a situazioni in sedimentazione (M12).
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Le sponde possono fornire indicazioni come segue: il caso di entrambe
le sponde con scalzamento al piede può essere associato a condizioni di incisione (m5); entrambe le sponde stabili o con processi opposti (una in arretramento e l’altra in avanzamento) possono essere indicative di situazioni
altimetricamente stabili (m8); il caso di entrambe le sponde con accumulo
di sedimenti al piede può essere associato a condizioni di sedimentazione
(m13). Tali evidenze sono più tipiche di alvei a canale singolo e con sponde
coesive, mentre sono meno adatte al caso di alvei transizionali o a canali
intrecciati.
Per quanto riguarda la frequenza di inondazione della piana inondabile:
il caso in cui non ci sono evidenze che la piana sia frequentemente inondata
può essere sintomo di una fase di incisione che ne sta progressivamente riducendo la connettività idraulica con l’alveo (m6); viceversa, quando esistono
molte evidenze di frequenti inondazioni (soprattutto elementi vegetazionali
che marcano il livello raggiunto da recenti piene), esse possono essere indicative di una situazione in sedimentazione (m14). Tali evidenze non sono
diagnostiche in quanto non sono decisive nel distinguere una di queste situazioni rispetto, ad esempio, ad una condizione di equilibrio, e possono
dipendere fortemente dal recente verificarsi o meno di eventi di piena di
una certa entità.
Sedimenti
Alcuni Autori descrivono queste evidenze come stato del letto (bed
state), distinguendo le tre situazioni di fondo ben corazzato ed organizzato
(underloose state), fondo in condizioni normali (normally loose state), fondo
disorganizzato (overloose state), mettendole in associazione con condizioni
probabili di incisione, equilibrio o sedimentazione rispettivamente. Più in
dettaglio, si utilizzano le evidenze descritte di seguito.
Il corazzamento dei sedimenti del letto è in genere indicativo della tendenza attuale: un marcato e diffuso corazzamento è normalmente associato
a condizioni di incisione; un corazzamento molto lieve o del tutto assente è
associabile a condizioni di equilibrio o sedimentazione.
L’embriciamento e le forme di fondo grossolane sono altre caratteristiche tessiturali dei sedimenti del letto che si possono mettere in relazione in
una certa misura alle condizioni energetiche della corrente (eccesso o difetto
di capacità di trasporto) ed alla conseguente capacità di organizzazione del
fondo stesso. Le forme di fondo grossolane comprendono principalmente
(per maggiori dettagli si veda Billi, 1988): pebble clusters (raggruppamento
di ciottoli determinato da un ciottolo di grosse dimensioni che crea una scia
di sedimenti più fini sottocorrente) e le transverse ribs (sequenze regolari
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di allineamenti trasversali rispetto al flusso di ciottoli embriciati). Il corazzamento stesso si può considerare come una forma di fondo grossolana. La
presenza diffusa di embriciamento e di tali forme può essere sintomo di condizioni di eccesso della capacità di trasporto (quindi tendenza all’incisione),
viceversa nel caso di assenza di tali forme.
La variabilità tessiturale è un’altra caratteristica legata alle precedenti:
in condizioni di incisione si tende ad avere una scarsa variabilità tessiturale,
cioè i sedimenti superficiali tendono ad essere poco assortiti; viceversa, in
condizioni di sedimentazione si può osservare un forte assortimento granulometrico, con una frazione fine molto rilevante compresa tra i sedimenti
più grossolani.
Sono state quindi definite tre situazioni che uniscono insieme questi
vari aspetti (questo perché embriciamento, forme di fondo ed assortimento
non sono di per sé evidenze necessariamente associate ad una certa situazione): corazzamento accentuato (S1), associato normalmente a embriciamento, forme di fondo grossolane, scarso assortimento, indicativo di incisione;
nessuna prevalenza (situazione intermedia) (s2), che può essere indicativa di
situazioni di equilibrio; corazzamento lieve o assente (S3), associato normalmente ad embriciamento e forme di fondo scarsi, assortimento granulometrico, indicativi di condizioni di sedimentazione.
Vegetazione e materiale legnoso
L’ultimo gruppo di evidenze comprende quelle riguardanti la vegetazione viva ed il legno in alveo. Tali evidenze sono tutte non diagnostiche, vale a
dire non sono mai decisive (non essendo esclusive di una certa tendenza) ma
servono piuttosto a rafforzare l’interpretazione quando affiancate ad altre
evidenze della stessa tendenza.
Le radici di alberi sulle sponde possono fornire alcune indicazioni come
segue (si tratta di evidenze che si applicano meglio ad alvei a canale singolo): radici esposte diffusamente nel tratto, possono denotare incisione (v1);
radici sepolte diffusamente nel tratto, possono al contrario denotare sedimentazione (v6). Si noti che la presenza di radici esposte o sepolte su una
sola delle sponde può essere semplicemente associata a processi di erosione
o sedimentazione laterale, eventualmente in un alveo in equilibrio dinamico,
quindi non sono indicative di incisione o sedimentazione.
La presenza e posizione di vegetazione arborea sulla sponda può fornire le seguenti indicazioni: (v2) alberi regolarmente presenti solo sulla parte
sommitale della sponda ed assenti sulla parte inferiore possono denotare un
recente abbassamento del fondo che ha portato ad emergere la parte inferiore della sponda; (v4) sponde entrambe ricoperte da vegetazione arborea
piuttosto uniforme, denotano in genere condizioni di stabilità delle stesse e
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di equilibrio del fondo. Materiale legnoso assente o scarso può essere associato ad incisione (v3); viceversa materiale legnoso abbondante e disposto
caoticamente può essere associato a condizioni di sedimentazione (v7), mentre nessuna prevalenza può suggerire condizioni di equilibrio (v5).
L’abbondanza o meno di materiale legnoso dipende anche molto dalla
gestione della vegetazione nel bacino e sulle sponde (un alveo può essere in
sedimentazione senza denotare presenza di materiale legnoso e viceversa),
pertanto sarebbe opportuno avere informazioni relative ad eventuali interventi di rimozione di legno in alveo durante gli ultimi 10-15 anni circa.
Si riserva uno spazio alla conoscenza di eventi di piena recenti (ultimi
10 anni) che abbiano potuto influenzare le tendenze attuali. Di tali eventi di
piena viene richiesto di riportare, oltre che l’anno in cui si sono verificati, la
stazione di misura e, quando noti, la portata ed il relativo tempo di ritorno.
Infine, analogamente a quanto fatto per le variazioni, si classifica il
tratto in funzione delle tendenze altimetriche, attribuendolo ad una delle
tre classi (incisione, equilibrio, sedimentazione). Un aspetto importante da
rimarcare è che bisogna evitare di segnare indiscriminatamente tutte le evidenze individuate nel tratto di studio, anche localmente, ma piuttosto sforzarsi ad individuare l’evidenza dominante nel tratto. Si fa anche presente
che non è obbligatorio scegliere un’opzione per ogni riga: se non si osserva
alcun indicatore o si hanno molti dubbi è meglio astenersi dal rispondere.
L’attribuzione finale ad una certa tendenza altimetrica si basa sul fatto che
tutte o la maggior parte delle evidenze sul terreno riconosciute (in particolar
modo quelle considerate come diagnostiche) siano associate a tale tendenza.
D’altra parte non è infrequente il caso in cui si possano avere nello stesso
tratto indicatori di tendenze opposte (incisione e sedimentazione). Ciò si
può verificare soprattutto in alvei a morfologie complesse (wandering, canali
intrecciati) e con numerose barre e canali, dove è più frequente il caso in
cui nello stesso tratto esistano zone in erosione e zone in sedimentazione. In
questi casi, se non esiste una tendenza chiaramente prevalente sull’altra, il
tratto si interpreta come in condizioni di equilibrio dinamico.
Analogamente alla scheda variazioni, si riporta infine il livello di confidenza della classificazione altimetrica, che dovrebbe tener conto complessivamente delle incertezze relative alle eventuali misure da profili o sezioni e
quelle relative alle evidenze di campo.
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5. Rappresentazione delle variazioni morfologiche
e delle tendenze evolutive
Le variazioni morfologiche dell’alveo, ossia le variazioni temporali dei
parametri morfologici descritti in precedenza, possono essere elaborate e
rappresentate con diverse modalità. In questo capitolo vengono illustrate
alcune di queste modalità.
Innanzitutto si possono distinguere due principali modalità di rappresentazione:
1. Variazioni in una sezione o tratto. Si riportano le variazioni di un parametro in funzione del tempo in una singola sezione o tratto del corso
d’acqua. Questo tipo di rappresentazione è utilizzata per distinguere
varie fasi di evoluzione e per ottenere tassi di variazione.
2. Variazioni longitudinali, ossia lungo il profilo longitudinale del corso
d’acqua. Si riporta in un diagramma l’andamento spaziale del parametro (in funzione delle distanze verso valle) per gli anni disponibili. È utile per avere una rappresentazione complessiva delle variazioni spaziotemporali.
Esempi di variazioni in una sezione o tratto
La variazione della larghezza di alcuni corsi d’acqua appenninici (Panaro, Magra, Vara e Cecina), nel corso degli ultimi 140 anni, è illustrata in
figura 11 (Rinaldi et al., 2008). Il parametro rappresentato è la larghezza
media di tratti fluviali di alcuni km di lunghezza. Si tratta di una modalità di
rappresentazione molto utilizzata, particolarmente efficace nell’evidenziare
le tendenze evolutive. Il difetto principale della rappresentazione risiede nella grande semplificazione da un punto di vista spaziale, in quanto si perdono
possibili differenze di comportamento che possono esistere a scale spaziali
minori.
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Fig. 11. Variazione della larghezza media di alcuni corsi d’acqua appenninici. MB,
MD2 e ME1 sono tratti del F. Magra, VC2-VD e VE del F. Vara, PA, PB e PC del F.
Panaro, CB, CC e CD1 del F. Cecina (da: Rinaldi et al., 2008).
Fig. 12. Variazione dell’indice d’intrecciamento nei fiumi Tagliamento, Piave,
Trebbia e Vara nel corso degli ultimi 200 anni (da: Gurnell et al., 2009).
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La variazione dell’indice di
intrecciamento nei fiumi Tagliamento, Piave, Trebbia e Vara
nel corso degli ultimi 200 anni
è mostrata in figura 12 (Gurnell et al., 2009). Come nel caso
precedente l’indice, che non
può assumere valori inferiori
ad 1, si riferisce a tratti fluviali
di vari km di lunghezza.
In figura 13 si può osservare la variazione di sinuosità in Fig. 13. Variazione della sinuosità in un tratto
un tratto del Fiume Cecina nel del Fiume Cecina nel corso degli ultimi 120
corso degli ultimi 120 anni. Nel anni.
complesso l’alveo è caratterizzato da bassi valori di sinuosità, ma si nota una netta variazione del parametro negli ultimi 20 anni.
La variazione della quota media del fondo in corrispondenza ad alcune
sezioni dei fiumi Brenta, Magra e Tagliamento è tratta da Surian et al., 2009a
Fig. 14. Variazione della quota del fondo nei fiumi Brenta, Magra e Tagliamento; per
ogni fiume la variazione temporale della quota del fondo è rappresentata per due
sezioni situate in tratti differenti (ad esempio una nel tratto più a monte ed una nel
tratto più a valle nel caso del F. Brenta) (da: Surian et al., 2009a).
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(figura 14). La situazione meglio documentata è quella del Brenta, dove sono
disponibili sette rilievi topografici nel periodo 1932-1997. Volendo confrontare differenti sezioni, e corsi d’acqua, le quote non sono espresse con valori
assoluti ma ponendo come valore di riferimento (“0”) la quota dell’alveo prima del processo d’incisione.
Esempi di variazioni longitudinali
Nell’analizzare variazioni longitudinali, ossia quando si introduce la variabile spaziale, bisogna prestare attenzione al fatto che la lunghezza dell’alveo può aumentare o diminuire nel corso del tempo. In questi casi è necessario fare riferimento ad un’unica distanza verso valle, altrimenti possono risultare delle variazioni apparenti, dovute al fatto che si stanno confrontando
punti diversi lungo l’alveo. Come riferimento delle distanze si può utilizzare
la situazione attuale, ossia quella dell’ultimo rilievo disponibile.
Sono stati confrontati i profili longitudinali dell’alveo del Fiume Arno,
relativi al periodo 1844-1988 (figura 15), relativi a un tratto della lunghezza
di 23 km. Questo tipo di rappresentazione è indubbiamente molto efficace nel sintetizzare la variazione temporale e spaziale della quota del fondo.
Per garantire una sufficiente chiarezza della rappresentazione è importante
utilizzare una scala verticale appropriata, sulla base delle variazioni altimetriche esistenti.
Fig. 15. Confronto di profili longitudinali del Fiume Arno (modificata da Agnelli
et al., 1998).
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Fig. 16. Variazione spazio-temporale della larghezza dell’alveo del Fiume Trebbia
(anni 1877, 1954, 1976, 1980, 1990, 2006); la progressiva metrica è dalla foce in Po
(0 m) a Travo (31.000 m). (da: Pellegrini et al., 2008).
La variazione della larghezza dell’alveo del Fiume Trebbia, in un tratto
di 31 km, tra il 1877 ed il 2006 è illustrata in figura 16 (da Pellegrini et al.,
2008). Questo tipo di rappresentazione permette di visualizzare la variazione spaziale del parametro (in questo caso utilizzando un passo di 25 m per la
misura della larghezza) e, contemporaneamente, di confrontare i valori del
parametro nello stesso punto (sezione) nei diversi anni.
Altre modalità di rappresentazione possono essere utilizzate, ad esempio, quando si debbano confrontare le variazioni di numerosi corsi d’acqua.
Come illustrato in figura 17, nel confrontare le variazioni di alvei con larghezze piuttosto diverse in valore assoluto, si può utilizzare come parametro
la larghezza adimensionalizzata, oppure il tasso di variazione annuale (Surian et al., 2009a e 2009c).
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Fig. 17. Due modalità per confrontare le variazioni di larghezza di dodici corsi
d’acqua. (A) la larghezza è espressa come “W/Wmax” dove W è la larghezza misurata
nei diversi anni e Wmax la larghezza massima nel periodo in esame (da: Surian et al.,
2009a); (B) la larghezza è espressa come tasso di variazione annuale (da Surian et
al., 2009c).
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Stampato nel mese di dicembre 2009
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Via G. Belzoni, 118/3 - Padova (Tel. 049 650261)
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