CORSO FORMAZIONE ACCOMPAGNATORI/TRICI DEL

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CORSO FORMAZIONE ACCOMPAGNATORI/TRICI DEL
INDICE
SEZIONE STORICA
1. Medio Evo e Valdesi – G.Tourn
p.3
2. Le donne valdesi nel periodo medievale – L. Tomassone
p.9
3. Catari – G. Tourn
p.12
4. Hussiti – G. Tourn
p.13
5. La Riforma in Europa – G. Tourn
p.14
6. La Riforma in Val Germanasca – G. Tourn
p.17
7. Le Pasque Piemontesi – C. Pasquet
p.20
8. Il Glorioso Rimpatrio – C. Pasquet
p.23
9. Le Valli valdesi nel Settecento – D. Tron
p.26
10. 17 febbraio 1848 – G. Tourn
p.28
11. I valdesi dal ’48 alla II Guerra Mondiale – G. Rochat
p.30
12. La resistenza nelle Valli Valdesi – B. Peyrot
p.32
13. Agape: testimonianza di frontiera – F. Spano
p.34
14. Cronologie
p.37
SEZIONE MONOGRAFICA
15. Nascita a sviluppo della borghesia valdese – D. Tron
p.43
16. Origine dello stemma valdese e…. – D. Tron
p.44
17. Le donne nel movimento e nella chiesa valdese – D. Di Carlo
p.45
18. Appunti sulle scuolette – L. Barolin
p.47
19. Le miniere di talco e grafite in Val Germanasca – P. Stocco
p.50
20. I valdesi in Uruguay e Argentina – A. Comba
p.51
21. La Chiesa valdese e l’opera missionaria – F. Tagliero
p.54
SEZIONE TEOLOGICA
22. Termini centrali nella dottrina protestante – G. Genre
p.57
23. Differenze tra chiesa riformata e chiesa luterana – B. Rostagno
p.58
24. Protestanti e cattolici a confronto – D. Mazzarella
p.60
25. Sei domande imbarazzanti – G. Tourn, B. Rostagno, G. Genre,
D. Di Carlo, D. Tron, G. Rochat
p.62
26. Principi fondamentali della dottrina protestante – S. Ribet
p.67
27. Cos’è il sinodo
p.71
28. Il funzionamento delle chiese
p.73
29. Le discipline ecclesiastiche
p.74
SEZIONE FORMAZIONE
30. Riflessioni sull’accompagnamento nei nostri musei
p.75
31. Le religioni nel mondo (statistiche)
p.79
32. Chiese e movimenti evangelici del nostro tempo (schema)
p.89
33. Fare la guida nei musei valdesi
p.93
34. Schema per una visita a musei e luoghi storici di Torre Pellice e Angrogna
p.95
35. Qualche consiglio…
p.98
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MEDIO EVO E VALDESI
Giorgio Tourn
I - Spunti di ordine generale sul contesto politico-culturale ed ecclesiastico nel periodo in
cui nasce e si sviluppa il valdismo medievale.
Medio Evo, Rinascimento, mondo antico, mondo moderno… tutte “invenzioni” recenti,
classificazioni che facciamo noi oggi. Per gli antichi la storia era un tutt’uno, non la tagliavano a
blocchi, ne avevano un’idea di continuità.
Medio Evo indica epoca intermedia tra un prima e un dopo. Quest’idea di un periodo intermedio
deriva già in parte dal '500 quando comincia l'epoca moderna. Gli europei pensavano che il
periodo ideale che valeva come punto di riferimento per il genere umano e la sua storia era il
periodo classico. I Romani erano visti come uomini forti, autorevoli con un'idea chiara dello
stato, della repubblica, delle leggi.
Per l’uomo del Rinascimento che riscopre il mondo antico, col desiderio di tornare a quest’epoca
più “vera”, tutto quello che sta in mezzo tra l’era moderna, e l’epoca romana è il "medio".
Il Medio Evo, lungo quasi mille anni, viene diviso in “basso” e “alto”. L’Alto è quello di Carlo
Magno, di Federico Barbarossa, ecc…, e dal 1200 in avanti è Basso Medio Evo.
I valdesi cominciano più o meno con l’inizio del basso medioevo. Cosa divide i due evi?
Per quanto ci concerne, cioè per l’aspetto religioso e la storia della chiesa, quello che divide i due
periodi è la Riforma Gregoriana attuata dal grande papa Gregorio VII.
Aldilà dell’importanza storica in generale, questa riforma ci riguarda perché la storia valdese
comincia proprio allora.
Prima della riforma gregoriana, cioè nell’alto medioevo l’autorità di governare, di tenere insieme
la vita delle persone, è totalmente in mano all’imperatore: autorità assoluta che risponde solo a
Dio e governa per il bene della gente. Ci sono stati imperatori cristiani importanti: come
Costantino, Teodosio, Giustiniano.
Ricordiamo che la religione in quel periodo non ha niente a che vedere con la convinzione
personale. Che la religione richieda una adesione personale è un pensiero che non ha più di 200
anni. Prima era una istituzione della vita collettiva, un aspetto dell’organizzazione dello stato.
Chi vive la religione come una questione personale con un rapporto individuale con Dio e
desidera seguire per conto suo quello che Gesù ha insegnato, va nel deserto a fare l’eremita,
fuori da ogni contatto o rapporto col papa, o con l’imperatore. È un momento straordinario della
storia del cristianesimo quello in cui centinaia, migliaia di eremiti vivevano nei deserti
dell’Egitto, mangiando poco, digiunando e dedicando tutto se stessi alla meditazione e alla
spiritualità.
Ma fuori dal deserto l’umanità è organizzata dall’imperatore.
La chiesa è praticamente alle dipendenze dell’imperatore. E’ lui che nomina i vescovi
scegliendoli tra i rami cadetti delle famiglie feudali.
La riforma gregoriana chiede invece che la chiesa sia autonoma e indipendente.
L’aspirazione massima sarebbe che i vescovi fossero nominati tra i monaci, credenti convinti,
con un alto livello di spiritualità (nella chiesa ortodossa ancor oggi nessuno può arrivare
all’episcopato se non viene dal convento, tra l’altro con voto di castità a differenza dei popi che
sono sposati).
Quello che spinge Gregorio non è solo l’esigenza di svincolare i vescovi dal potere dei signori,
dei conti e dei marchesi, ma anche di garantire alla chiesa maggior partecipazione e maggior
spiritualità della dirigenza ecclesiastica.
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Fino ad allora le cariche ecclesiastiche si potevano “comprare”. Nella parrocchia dietro l’altare
principale della chiesa stava un parroco, ma nella cappelletta vicina si poteva istituire un altare e
“appaltare” l’altare a qualche “sotto-parroco” cui andavano i benefici delle messe. Da cui un
commercio che nulla aveva di spirituale per accaparrarsi il diritto a dir messa e intascare i relativi
entroiti.
Questo e altro la riforma gregoriana vuole cambiare.
Nascono delle correnti di persone che, al seguito della riforma gregoriana, cominciano a
praticare l’idea di dedicarsi fedelmente ad una vita cristiana, secondo le indicazioni del vangelo,
senza necessariamente farsi prete o entrare in convento, al contrario restando inseriti nel proprio
contesto sociale.
Valdo è uno di questi individui che sentono il bisogno di vivere una vita cristiana più autentica.
Coll’aiuto del suo parroco trova nel vangelo la storia del giovane ricco, che segue fino in fondo.
Valdo è perfettamente uomo del suo tempo, dove la chiesa, accanto allo sforzo di liberarsi dal
potere imperiale, mette in moto un impulso di risveglio spirituale. Non è sufficiente che la chiesa
diventi un’organizzazione più cristiana, bisogna che all’interno della chiesa lo diventino anche i
singoli credenti.
Con una parte del suo denaro va dai canonici della cattedrale e si fa tradurre un’antologia dei
passi più importanti del nuovo testamento. Non solo li legge, ma li legge cogli amici, poi
racconta la sua esperienza di conversione e invita la gente a seguire il suo cammino spirituale. Il
vescovo Guichard non ha nulla in contrario, ma per sicurezza incoraggia Valdo a rivolgersi al
Concilio a Roma dove presenterà la sua traduzione, su cui nulla viene obbiettato, nemmeno la
scelta di povertà. Per quanto riguarda la predicazione viene rimandato al vescovo di Lione.
I vescovi non sono sempre d’accordo di seguire i principi della riforma di Gregorio: un vescovo
interessato ai problemi della fede lo sarà di più (Guichard) e chi più interessato al potere politico,
o ad andare a caccia e farsi i fatti suoi lo sarà di meno.
Con la morte di Guichard si rompe questo clima di tolleranza e il successore arriverà a cacciare i
“poveri” da Lione.
I valdesi a Lione si chiamano “poveri” e poiché poco dopo in Lombardia nascono altri
movimenti in collegamento a quello di Lione, l’Inquisizione farà distinzione tra “Poveri di
Lione” e “Poveri Lombardi”.
Non esiste nessuna differenza tra la scelta di Valdo e quella di Francesco d’Assisi al di là delle
differenze d’ambiente in cui crescono e di generazione (Francesco vive trent’anni dopo). Il clima
e l’esigenza spirituale è la stessa.
Come mai Valdés e i “poveri”, dopo il primo momento di comprensione, sono cacciati da Lione
e successivamente scomunicati dai vescovi della Linguadoca e nel 1184 a Verona il papa Lucio
III e l’imperatore Federico Barbarossa pronunciano scomuniche contro tutta una serie di persone
e gruppi tra cui i “poveri”(La grande scomunica ufficiale verrà infine nel 1215 al IV Concilio
Lateranense )? Come mai loro sì e Francesco no?
Esiste in Valdo una contestazione dell’autorità gerarchica ma non nella forma di ribellione.
Il fatto che faccia tradurre la bibbia e la legga non pone nessun problema nella chiesa di allora.
Non c’erano divieti ma solo difficoltà tecniche (lavoro di scrittura manuale e analfabetismo
diffuso). Il voto di povertà neppure era qualcosa di estraneo alla chiesa, ma il punto centrale di
dissenso era la rivendicazione di parlare, “predicare” in pubblico. Non che i “poveri” facessero
l’omelia come il parroco la domenica a messa, ma “predicare” per loro era prendere il
riferimento scritto nel vangelo e applicarlo alla vita di tutti i giorni. Ma chi aveva l’autorità di
dire ai fedeli: “Gesù ha detto e di conseguenza io vi dico”? Solo il vescovo. Dopo la messa detta
dal parroco, il vescovo si alzava dal suo scanno, col pastorale in mano, e predicava nella lingua
del popolo. Nella chiese dove non c’era il vescovo il parroco diceva messa e basta. All’infuori
del vescovo nessuno poteva predicare, non predicavano i preti e nemmeno gli ordini monastici.
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Nessun altro poteva fare da portavoce a Cristo: assumersi l’autorità di dire quello che Cristo
direbbe se fosse presente qui e ora. Se Valdo va in giro e, sia pur al di fuori da cerimonie
liturgiche, legge un passo e spiega cosa significa oggi, in qualche modo si assume il compito di
interpretare la parola di Gesù.
Così facendo questi “poveri” oltre ad essere ignoranti si comportano da arroganti e presuntuosi e,
cosa assolutamente insopportabile, danno la parola anche alle donne: autorizzano le donne a
citare il vangelo e parlare nel nome del vangelo.
Valdés e i suoi non si rendono assolutamente conto che quest’atteggiamento mina l’autorità della
chiesa: Gesù ha chiamato dei pescatori come seguaci. Se Pietro è il fondatore della chiesa,
bisogna essere come Pietro. L’autorità viene solo dal Signore.
I vescovi della zona hanno da affrontare anche un altro problema: i Catari (o Albigesi dalla città
di Alba). Movimento che non ha origine nella zona ma viene dall’oriente.
E’ difficile farsi un’idea di quello che è stato il fenomeno delle crociate coi suoi movimenti
migratori, spostamenti, incroci tra avventurieri, guerrieri, vagabondi, mercanti e grandi affaristi
di reliquie (maree di reliquie arrivano dall’occidente a Venezia e i veneziani ne fanno un mercato
in tutta Europa).
In questo coacervo di persone soldi e idee in movimento ci sono dei cavalieri occidentali che
entrano in contatto col mondo religioso complesso e intrigato dell’oriente e trovano in questa
religione catara molto rigida e severa degli elementi di interesse. Le idee dei Catari passano
dalla Bulgaria e attraverso l'attuale Bosnia arrivano in Lombardia e si sviluppano nel sud della
Francia.
I Mussulmani di Bosnia ed Erzegovia non sono arabi e non sono neppure, come gli Albanesi,
degli occidentali mussulmanizzati in epoca turca. Sono mussulmani di origine antichissima, sono
in realtà comunità catare che non volendo essere né cristiani cattolici né cristiani ortodossi in
qualche modo si sono identificati colla religione mussulmana.
La “peste dei Catari” come li definisce l’Inquisizione, è diventata una piaga che coinvolge tutto
il sud d’Europa, quella fascia della società europea in cui si sta diffondendo il fenomeno dei
comuni, gestiti dalla borghesia e in cui anche il movimento dei “poveri” si sta diffondendo. Se
questa classe sociale emergente dovesse saldarsi con le forme religiose di opposizione dei Catari
e dei “poveri”, la chiesa potrebbe perdere il controllo sull’Europa.
Tutta il sistema uscito dalla riforma di Gregorio, tutta la costruzione di potere ecclesiastico col
suo enorme peso economico e finanziario di fronte a questo pericolo assume una posizione rigida
e scatena la crociata contro gli Albigesi (1205) che stroncherà tutta la cultura di questa regione
perché scenderanno i nobili del nord della Francia rimesti fedeli alla chiesa risolvendo il
problema nella distruzione e nel sangue.
Questo porta il papa ad accentrare sempre di più il suo potere.
Mentre Gregorio VII si era preoccupato di riformare la chiesa, i grandi papi di quest’epoca
(Innocenzo III, Gregorio IX, Innocenzo IV) sono gli artefici del massimo concentramento di
potere a Roma.
In questo contesto Francesco d’Assisi che non si poneva problemi di potere si trova fondatore di
un ordine religioso, cosa che non era affatto nelle sue intenzioni ma che con grande abilità il
potere centrale costruisce intorno a lui.
Si prende il meglio dei “poveri”(povertà e predicazione) e lo si integra all’interno dell’apparato
ecclesiastico: brillante operazione che viene attuata in violazione di quello che la chiesa aveva
stabilito anni addietro: che non si dovesse più fondare ordini religiosi, poiché bastavano quelli
esistenti (Benedettini, Agostiniani…).
Nascono i Francescani con voto di povertà (non solo del frate, ma dell’ordine) e i Domenicani,
ordine rigoroso e studioso oltre che povero che combatte le eresie sul loro stesso piano: per la
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prima volta nella storia della chiesa i frati andavano in giro a predicare ed erano poveri, coi soli
sandali ai piedi e parlando la lingua del popolo.
La riforma gregoriana si realizza in tempi diversi grazie all’attività di grandi papi.
Gradualmente la chiesa diventa sempre più indipendente dallo stato e altresì sempre più
potente. Per tenere testa all’imperatore dev’essere lei stessa sempre più forte. La chiesa arriverà
al ‘500 al massimo della sua potenza e, dato che allora il modello di potere era quello del re (o
imperatore), la chiesa diventa una monarchia assoluta. Prima il papa era un’autorità di prestigio,
ma per governare la macchina organizzativa che esce dalla riforma gregoriana ci vuole un potere
centralizzato e assoluto: un papa-re.
Prima della riforma gregoriana ogni vescovo nella sua diocesi era la massima autorità, e non
rispondeva al papa che ero solo il vescovo di Roma con un primato di onore (primus inter pares)
.
I preti si sposavano, avevano figli. La riforma chiede al prete il celibato e la totale disponibilità,
senza vincoli famigliari: un individuo solo su cui la chiesa può esercitare una indiscussa autorità.
Fino al 1215 (IV Concilio Lateranense) non esistevano le parrocchie. Un cristiano per seguire
messa, far battezzare il figlio o altro si rivolgeva a qualunque chiesa o convento oppure non
faceva nulla e se ne stava a casa sua: era un libero battitore cui la chiesa offriva dei servizi. Colla
costituzione delle parrocchie ogni cristiano è legato alla parrocchia del suo territorio e viene
esercitato un controllo maggiore sui credenti: un controllo da monarchia assoluta.
Cominciano i registri: i battezzati diventano sudditi del papa-re e come sudditi paghino la decima
alla parrocchia di cui devono seguire le leggi: come ad esempio partecipare almeno una volta
all’anno alla comunione dopo essersi confessati
Per rendere ancora più rigida questa dipendenza dalla chiesa e dato che il momento di
dimostrazione della fede è la comunione, anche questa cambia di significato. Fino a quel
momento la comunione era più o meno quello che è per noi: un momento di intenso ricordo di un
gesto fondamentale della vita di Gesù, ma da quel momento il pane che si prende (il vino già non
si dava più, per gli stessi motivi per cui nascerà l’ostia: per motivi economici) si trasforma in
Gesù stesso, dando modo di sottolineare sempre più che il gesto di distribuire la comunione
spetta solo ai sacerdoti che hanno la potestà di rappresentare Gesù . La teoria della
transunstanziazione nasce nel IV Concilio Lateranense del 1215.
Dal nuovo potere assoluto del papa discende tutta una struttura gerarchica sempre più forte e
organizzata.
A questa tendenza c’è però un’opposizione interna. La corrente che si chiama tendenza
conciliare.
Il Concilio è l’assemblea dei vescovi. I “conciliaristi” sostengono che l’autorità massima nella
chiesa non deve esser rappresentata dal papa ma dell’assemblea dei vescovi. Il Concilio nomini
il papa che eseguirà le decisioni prese dal Concilio.
La battaglia tra i due poteri durerà tutta la prima parte del ‘400 nei grandi e famosi Concili di
Pisa, Costanza, Basilea. Alla fine i conciliaristi saranno sconfitti e il potere assoluto del papato
diventa incontrastato.
II - I Poveri di Cristo
Ora si capisce perché i valdesi non quadrino in questo sistema.
Se la verità sta nel vangelo, non può averla il papa. Al papa l’autorità viene da Cristo, ma se
quello che dice Gesù non si accorda con quel che dice il papa o la chiesa, è la chiesa che deve
adattarsi all’evangelo non viceversa.
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Tutto il processo di accentramento di potere vissuto dalla chiesa è estraneo alla mentalità
valdese. Il dibattito per l’autorità non ha senso visto che la sola autorità è il vangelo.
Per esempio il discorso della transunstanziazione non ha consensi tra i valdesi in quanto si
potrebbe anche pensare che un santo possa trasformare il pane nel corpo di Cristo, ma sacerdoti
assolutamente indegni come possono pretendere di essere santi?
Il Purgatorio pure viene inventato in questo contesto. Se il papa ha l’autorità di trasformare il
pane in Gesù perché non potrebbe tirare fuori le anime dal purgatorio? Basta prendere il
sacrificio di Gesù, spostarlo in purgatorio a l’anima va in paradiso. Vien fuori come sapete uno
dei più grossi “business” della storia.
Per i valdesi c’è una porta stretta e una larga: la porta stretta va verso il cielo e quella larga verso
l’inferno. e non c’è papa che possa intervenire. Negano il purgatorio come molte altre prese di
posizione della chiesa in nome dell’Evangelo e si pongono automaticamente fuori dal sistema
che la chiesa sta costruendo.
Ma il “re” non può tollerare dissidenti che neghino l’insieme del sistema.
Al vescovo tocca il compito di sorvegliare la sua chiesa e i suoi fedeli.
Il vescovo di Torino per esempio ha ufficialmente l’autorità di controllo dei fedeli di queste valli,
in competizione spesso coll’abate di S.Maria che tende a pensare di poter svolgere questo
compito per conto suo.
Non potendo comunque il vescovo seguire personalmente l’andamento del suo gregge, incarica
un domenicano o a un francescano di fare un’inchiesta (“inquisitio”) sul comportamento dei suoi
fedeli ai fini soprattutto di combattere l’eresia. All’inchiesta seguono gli interrogatori dei
sospetti, e i processi. Chi non risulta a posto viene condannato a pene varie: messa tutte le
domeniche, offerte speciali, esibizione obbligatoria di un marchio giallo ecc. Se poi la persona
viene scoperta recidiva allora la pena può arrivare fino alla condanna al rogo.
In questo sistema i nostri “poveri” fanno una vita clandestina praticamente dal Duecento fino al
Cinquecento. Vivranno senza tradirsi e senza farsi prendere. Sono costretti a seguire le pratiche
della chiesa: battesimo, confessione e comunione almeno una volta all’anno, poiché uno che non
si fa battezzare o non prende la comunione è o ebreo o saraceno o cristiano ribelle da rimettere
sulla retta strada con ogni mezzo. Non esiste allora la possibilità di essere o non essere cristiani,
di essere o non essere credenti o atei, sono tutti concetti moderni.
Vivere secondo il vangelo significava per i “poveri” prendere alla lettera alcuni concetti.
Rifiutare il giuramento (in un tempo in cui tutti i rapporti gerarchici del potere erano sanciti da
un giuramento di sottomissione), la violenza (compresa quella esercitata dalla stato) e quello che
allora era il gran mercato della chiesa: il purgatorio. Rifiutare tutto questo significava di fatto
opporsi, o almeno sottrarsi, al potere della chiesa ed essere potenzialmente ribelli anche al potere
civile.
I Barba ricevevano la confessione dei fedeli valdesi, ma c’era una grossa differenza dalla
confessione della chiesa ufficiale che si può cogliere dalla lettura dei documenti inquisitoriali che
riportano la formula con cui i barba “assolvono” i penitenti. I barba comunicavano il perdono di
Dio, non assolvevano loro stessi (“ego te absolvo”), facevano semplicemente un annuncio di
grazia.
Per parlare di se stessi i valdesi medievali usavano l’espressione “poveri di Cristo”, rifiutando
categoricamente l’appellativo “valdese” per il significato dispregiativo che aveva ormai assunto
questo termine.
Il termine aveva due origini diverse: da una parte indicava la discendenza da Valdo, il mercante
di Lione, ma derivava anche dal termine provenzale “vaud” o “vald” che significava bosco:
valdesi quindi erano quelli che stanno nei boschi, selvatici, ignoranti. Combinando queste due
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significati di discepoli di Valdo e di “selvaggi” dei boschi l’aggettivo era diventato nel ‘300 e nel
‘400 un insulto. I “poveri” rifiutano questo epiteto che, oltre tutto, aveva assunto una colorazione
pericolosissima, specie per le donne, diventato praticamente sinonimo di strega. Sarà solo più
tardi che i Valdesi, ormai protestanti riformati, ricupereranno l’appellativo “valdese” per
ricordare la loro origine dando al termine ingiurioso una valenza positiva.
Non dimentichiamo mai che il movimento dei “poveri” non è una questione che riguardi solo la
Val S. Martino, l’alta Val Chisone e la Val Pellice. Possediamo testi di processi
dell’Inquisizione che documentano viaggi dei barba dalle Puglie alla Provenza, dalle Marche
al centro Europa e i nomi stessi dei barba arrivati fino a noi testimoniano origini più diverse
dall’Italia centrale e meridionale, alla Francia e tutto l’arco alpino.
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LE DONNE VALDESI NEL PERIODO MEDIEVALE
Letizia Tomassone
Grado Merlo ha fatto uno studio molto interessante “Sulle misere donniciole valdesi che
predicavano”, ma si ferma al 1270 circa. Dopo di che la storia delle donne valdesi sembra sparire
nel nulla. Vorrei invece mostrarvi che emerge dai testi classici di storia valdese una presenza
delle donne non sistematizzata, che ha bisogno di una certa attenzione da parte nostra per esser
inserita nel quadro generale di ricerca sulla storia delle donne.
Grado Merlo afferma che intorno a Valdo si erano riunite le donne contestando con ciò
uno studioso (Selghe) che aveva affermato che non c’erano predicatrici valdesi prima del 1183.
Grado Merlo dimostra che sono già presenti, e che predicano i vangeli, utilizzando un testo di
Stefano di Borbone, inquisitore che scrive prima del 1180: “…costoro, tanto uomini, quanto
donne, idioti e illetterati giravano per i villaggi, entravano nelle case e diffondevano ovunque gli
errori e gli scandali….”. Un altro testo del 1180 parla di donne chiamate “apostole”.
L’inquisitore Goffredo Doxer si scaglia contro le donne predicatrici del suo tempo
servendosi per sostenere la sua tesi di un testo di II Timoteo (interessante qui l’intreccio tra una
lettura femminista del Nuovo Testamento e una lettura femminista della storia). Il testo del
Nuovo Testamento impone il silenzio e disprezza la predicazione delle donne, chiamandola
“chiacchiere di donne”. Testo che è per noi una dimostrazione che le donne già nella chiesa
primitiva andavano per le case predicando l’evangelo, mentre la lettura di una chiesa patriarcale
è una lettura dispregiativa, che avvalla la repressione delle donne del proprio tempo. Operazione
che compie anche Doxer:
“… non mancano misere donniciole cariche di peccati che penetrano nelle case altrui, curiose
chiacchierone, sfrontate, malvagie, impudenti, come quelle due che per un quinquennio nelle
schiere di quei nefandi avevano aggredito colle peggiore offese il venerabile vescovo della città
di Clermont….. queste donne, che son state convertite dal vescovo, bestemmiando in modo turpe
lanciavano in faccia al vescovo i loro vizi e pubblicamente proclamavano : dopo la predicazione
ogni giorno più lautamente mangiavamo, ci sceglievamo quasi ogni notte nuovi amanti,
trascorrevamo il tempo senza esser sottoposte a qualcuno, senza preoccupazioni senza impegni
di lavoro, senza pericoli in mezzo ai quali ora, ancelle di signori, quotidianamente rischiamo di
morire e misere soggiacciamo a innumerevoli affanni…”
Testo bellissimo che parla di questo movimento come di qualcosa che lascerebbe sfrenare la
fantasia e la perversione delle donne ma nel senso della ricerca del piacere, cioè un luogo di
libertà: libertà dal lavoro, dall’obbedienza a un padrone maschio (qui letto solo come immorale
libertà sessuale). Doxer mette in bocca a queste predicatrici valdesi queste parole, mentre stanno
abiurando e si lamentano perché finché erano valdesi erano libere, non avevano pericoli e adesso
devono sottostare a un padrone e sentirsi imprigionate.
Interessante per noi che il movimento valdese venga visto come luogo di eversione totale della
morale corrente.
Anche nel 1190 ci sono tracce attraverso altri testi inquisitoriali di donne che insegnano.
Nei testi si cita il decreto di Graziano, decreto della chiesa che impedisce sia ai laici che alle
donne di predicare: “..la donna benché dotta e santa non presuma di insegnare agli uomini in
una riunione, il laico a sua volta alla presenza di chierici non osi insegnare se non da essi
richiesto..”
Questo decretum continua ad esser valido poiché come sapete tutto il codice canonico non
decade nella chiesa cattolica e nel XII secolo viene impugnato contro gli eretici.
Ci sono molte altre testimonianze di presenza femminile nella predicazione.
Una di Gioacchino da Fiore che contesta il movimento valdese che a sua volta è molto
polemico verso il “movimento del Libero Spirito” (il movimento di Gioacchino) da cui prende il
via tutta la pratica delle beghine e dei begardi ossia di coloro che optano per una vita di
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meditazione e preghiera e confronto col vangelo nella vita quotidiana, senza entrare in convento.
Questo vivere la propria vita spirituale nelle proprie case rappresenta una vicinanza col
movimento valdese, anche se i valdesi accusano il movimento del “Libero Spirito” di avere delle
posizioni non bibliche e Gioacchino da Fiore si scaglia contro i valdesi parlandone come “..una
setta di eretici che indifferentemente, indiscretamente, sia uomini, sia donne, senza dottrina,
senza grazia e senza ordine non tanto annunciano quanto adulterano la parola di Dio e sotto
l’apparenza della santità fanno le conventicole di satana..”
A Piacenza alla fine del 1190 delle donne presiedono l’eucaristia.
A Metz nel 1199 c’è una congregazione molto grande di uomini e donne che leggono la
bibbia e se la insegnano a vicenda.
Nel 1240 si ha un testimonianza di donne che predicano sul sagrato di una chiesa e
predicano sulla passione… quindi proprio sul centro del messaggio cristiano.
Nello stesso periodo si ha una prima traccia che dimostra che la storia delle donne valdesi
non finisce con la fine della loro partecipazione alla predicazione pubblica ma continua poiché
nel 1212 Durando d’Osca, (uno dei collaboratori di Valdo, poi rientrato nel cattolicesimo)
concede di costituire una casa, un ospizio, una comunità ospitaliera mista in cui ci sia un’ala per
le donne e un’ala per gli uomini, casa di spiritualità, di accoglienza e di cura nei confronti di
bambini abbandonati, di donne maltrattate, di poveri, di coloro che sono senza tetto. Questa è la
prima di una serie di molte altre case che si trovano accennate nei documenti dei secoli
successivi.
L’opinione corrente degli storici è che, dopo il primo periodo, con l’istituzione del movimento e
il dilagare della persecuzione, gli uomini continuino a predicare (si costituiscono le scuole che
formeranno i barba come maestri itineranti) e le donne trasmettano la fede esclusivamente
all’interno della famiglia.
In realtà ancora nel 1530 quando Morel porterà il questionario a Ecolampadio parlerà di
“sorores” (sorelle) ponendo la questione di cosa potrà succedere loro con la fine del loro
ministerio. Ecolampadio, come Bucero e Farel, lascia cadere la domanda e non risponde.
Quando dopo Chanforan i riformatori “impongono” ai barba di risiedere in una “parrocchia” e di
sposarsi è interessante che alcuni barba si scandalizzano. La riforma era molto rigida su questo
punto, bisognava trovare a tutti i costi una moglie per tutti i riformatori, per tutti i pastori, Bucero
scrive lettere in giro alla vedove e a tutte le donne che conosce per trovare mogli a tutti.
Se impongono il matrimonio ai pastori lo impongono certamente anche alla “sorores”. Questo
nella linea della Riforma, per evitare una pratica ascetica che rischi di sottrarsi al mondo
quotidiano.
Chi erano queste “sorores” che facevano una scelta di vita all’interno degli ospizi?
I valdesi dopo il primo periodo assumono una struttura simile a quella catara. I catari
avevano i credenti divisi in due categorie: quella dei “fedeli” e quella dei “perfetti”.
Già nel duecento i valdesi cominciano ad istituire una divisione simile ma con altri nomi: i fedeli
sono gli amici e amiche e i perfetti fratelli e sorelle.
Per i Catari la divisione era una divisione di iniziazione che prevedeva il passaggio attraverso un
cammino spirituale dalla condizione di fedele a quella di perfetto, mentre nel movimento valdese
sembra che questa distinzione sia tra gli itineranti, i maestri, e la gente che vive nella propria
città.
Dal sinodo di Bergamo (1218) che raccoglie delegati dei poveri di Lione e poveri lombardi,
viene mandata una lettera ai “fratelli e sorelle e agli amici e amiche”.
Perché parlarne al maschile e al femminile se non perché esisteva una presenza di donne non
solo tra gli amici e amiche ma anche tra i fratelli e sorelle?
Anche nel movimento francescano le donne erano presenti e anche nel movimento francescano si
trovano delle case simili agli ospizi valdesi.
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Il movimento valdese era strutturato soprattutto verso l’Europa centrale da case chiamate
ospizi di cui i sinodi annuali si occupavano e a cui andava una parte dei soldi raccolti da tutti i
fedeli. A volte erano semplicemente delle case di accoglienza in cui i barba nei loro viaggi si
fermavano, servivano da rifugio e da luogo dove si organizzavano delle riunioni all’arrivo del
barba. In molti altri casi si parla di questi ospizi come di scuole o di ospedali dove le donne che li
gestivano conoscevano la medicina popolare, le erbe e il modo di allora di curare la gente,. In
Austria per esempio è attestato un lebbrosario e sembra che non fosse l’unico. In Provenza si
parla di un ospedale e di scuole. A Wittemberg, città di Lutero, c’era un ospizio valdese.
Questi ospizi erano tenuti da donne, che facevano una scelta di vita con dei voti, esattamente
come i barba. I voti (povertà, castità e obbedienza) erano fatti alla presenza di un “majoralis”
cioè di un maestro anziano.
Sapete forse quale era il percorso per diventare barba. Dapprima venivano segnalati dal
sinodo, poi assegnati ad un maestro (un barba) con cui cominciavano ad andare in giro per
l’Europa a visitare i gruppi che di notte si riunivano a commentare il vangelo, dove il barba
accoglieva le confessione, dava le penitenze e raccoglieva le offerte. Dopo un anno o due di
questa vita questi giovani erano inviati in una scuola per studiare la scrittura, imparare a
memoria il nuovo testamento e sermoni in “lingua” (volgare) e ricevere nozioni necessarie al
loro ministerio. Dopo venivano presentati nuovamente al sinodo dove, se accolti, venivano
assegnati per un anno o due a un ospizio.
Gli ospizi, come abbiamo detto, erano scuole, ma anche luoghi di accoglienza e ospedali.
Per un aspirante barba passare un periodo in queste case significava vivere la diaconia da vicino
e acquisire dei mezzi medici, curativi che gli sarebbero serviti nella sua attività futura. Tutto ciò
in una continua relazione diretta con le donne che gestivano la casa.
Possediamo la confessione di una donna inquisita e processata che dichiara di aver gestito un
ospizio per 20 anni. Gestione diaconale e di sostegno quindi, autonoma rispetto a quella dei
barba.
I barba dunque ricevono insegnamento sia nelle scuole dei barba sia negli ospizi in cui ci sono le
sorelle infine ricevono l’imposizione delle mani, accompagnano ancora un maestro e solo dopo
sei, sette, dieci anni possono loro stessi ricevere la confessione dalle persone. Cammino quindi
lunghissimo e quasi esagerato se si pensa alla brevità della vita di allora e loro in particolare.
Una storica che si occupa della storia delle donne nei primi secoli della nostra era,
racconta come le pellegrine che andavano in Palestina, con viaggi durissimi, quando tornavano
non rientravano nella vita normale ma passavano da un “pellegrinaggio attivo a un
pellegrinaggio passivo” cioè aprivano delle case di accoglienza sulle vie di pellegrinaggio
Ci sarebbe quindi una specie di modello storico delle donne valdesi che all’inizio vanno in giro
anche loro per le strade a due a due e dopo diventano quelle che tengono aperta la possibilità ai
maestri uomini di esercitare la predicazione itinerante.
Il sinodo di Bergamo afferma con molta forza che le donne non possono amministrare
l’eucaristia. Afferma anche che i laici non possono amministrare l’eucaristia, e parlando delle
donne dice : magari tra queste donne c’è una prostituta..!! E questo è di nuovo interessante come
prova della presenza attiva delle donne perché non sarebbero state fatte queste precisazioni se
non ci fosse stata una richiesta e una pratica … In quel sinodo quindi si blocca la ministerialità
itinerante dei laici e delle donne: prima di allora si trovano testi che denunciano una pratica di
fare la comunione anche in una semplice riunione di fedeli che si ritrovava e mangiava assieme.
Questa pratica essendo così informale permetteva alle donne di essere loro quelle che
distribuivano il pane e il vino.
Esattamente come nel primo secolo quando nelle prime comunità cristiane l’informalità
permette alle donne un certo spazio, con una maggior istituzionalizzazione si chiudono gli spazi.
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CATARI
Giorgio Tourn
Il movimento cataro
Non si sa molto della dottrina catara perché tutti i loro documenti sono stati distrutti. Non si sa
con precisione da dove venisse il movimento, che si diffonde nel sud della Francia.
Ai tempi delle crociate, i crociati tornano dall’Asia Minore con frammenti della cultura orientale
che probabilmente hanno influenzato il pensiero dei catari (culto delle reliquie, tracce di
religione manichea).
Nel loro pensiero l’universo si divide in due: bene-male, giorno-notte…Questo dualismo esiste
anche nell’uomo: corpo–anima, materia–spirito, ecc.
Tutto lo sforzo del credente è concentrato nell’uscire dal male, dalla materia, ed entrare nel bene,
nello spirito.
Il vero cataro (=puro) è quello che è riuscito a concentrare tutta la sua vita nello spirito, a
dominare la materia, il corpo. Il cataro lotta contro il dominio del sesso, è contrario al
matrimonio, ha un’alimentazione vegetariana, ecc.
Va da sé la loro dura critica contro la Chiesa, che non ha più niente di spirituale: esercita il
malcostume, accumula ricchezze e si espande con la forza (crociate), ecc.
Gesù è per loro un maestro di spiritualità.
I «bonshommes» (equivalente dei ministri predicatori valdesi) erano avvolti dalla segretezza.
Catari e Valdesi
Catari e Valdesi erano due movimenti scomunicati dalla chiesa, ma radicalmente diversi.
Quando nasce il movimento valdese ci sono già i Catari. I Valdesi prendono posizione contro la
dottrina catara. Durando da Osca fa un trattato attaccando le loro dottrine.
I Valdesi contestano la loro spiritualità che rifiuta l’aspetto di concretezza dei Vangeli.
Dei 4 Vangeli i Catari prediligono quello di Giovanni, in quanto meno terreno degli altri tre.
I Valdesi si diffondono nelle stesse zone di diffusione catara (Francia meridionale di lingua
d’Oc).
Albigesi (Catari) e Poveri (Valdesi) all’inizio del ‘200 erano gente di città, con una certa
agiatezza economica, colti, conoscevano le lingue ed erano parte della società moderna, che
rappresenta un pericolo per il sistema gerarchico della Chiesa e della società.
Ma mentre i valdesi rifiutavano ogni compromissione col potere emergente della borghesia
urbana, rifiutando con la scelta di povertà la stessa loro origine sociale, troviamo i catari spesso
sostenuti e sostenitori dei movimenti nel sud della Francia tesi a cambiare l’ordine costituito dei
feudatari e della chiesa.
Quando la macchina repressiva della chiesa romana interviene, i feudatari del nord della Francia
danno volentieri man forte a stritolare la cultura catara che rappresentava un pericolo al loro
dominio. I valdesi vengono travolti dalla crociata anti-catara.
I Catari spariscono sotto le dure persecuzioni del ’200 anche a causa della loro struttura troppo
rigida e gerarchica: messi al rogo i «bonshommes», il movimento si sfalda.
I Valdesi non essendo chiesa istituita ed avendo una organizzazione più fluida e democratica,
riescono a sopravvivere come movimento, malgrado le decimazioni.
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HUSSITI
Giorgio Tourn
Jan Huss è professore presso l’Università di Praga (dove giravano i testi di John Wycliff) quando
comincia ad esprimere dure critiche verso la chiesa romana.
L’università di Praga si trova al centro della riforma Boema del ‘400 che non concerne solo la
chiesa ma anche altri aspetti della società
La rivolta della nobiltà boema contro l’oppressione tedesca e le ampie sommosse popolari
provocano una crociata organizzata dall’imperatore, che non riesce però a distruggere il
movimento Hussita. L’imperatore deve infine arrivare ad un accordo.
Al Concilio di Costanza del 1413 Huss, benché fornito di un salvacondotto imperiale, viene
mandato al rogo. Il movimento però sopravvive e si diffonde in tutta la Boemia
Sconfitto in battaglia il movimento Hussita, l’ala più conservatrice accetta un compromesso con
Roma. Darà luogo ad una comunità che si definisce “Unitas fratrum”. Non si definiscono chiesa:
la chiesa dei veri credenti è invisibile: Solo Dio ha l’elenco dei membri di chiesa.
Il ramo più radicale del movimento, detto dei Taboriti dalla città di Tabor difenderà a lungo con
le armi la propria libertà
Entrambi i rami del movimento arrivano fino a Lutero. Si fondono nelle chiese luterane o nei
movimenti anabattisti del ‘500.
Gli Hussiti erano più numerosi dei Valdesi, con un’identità più forte, un unico territorio (la
Boemia), un’unica lingua e una letteratura. Hanno lasciato libri, canti, trattati di teologia e una
comunità cristiana non cattolica: la prima in occidente
I valdesi hanno molti contatti con loro, che li aiutano ad affrontare la dura crisi in cui si
trovavano a fine ‘300 a causa della pesante repressione inquisitoriale.
Tutta la letteratura valdese medievale non è altro che la traduzione in provenzale dei trattati
Hussiti.
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LA RIFORMA IN EUROPA
Giorgio Tourn
Lutero era professore di teologia, uomo di grande cultura, molto legato alla bibbia e allo studio
delle lettere di Paolo, nelle buona tradizione agostiniana (il più antico ordine dei frati
d’occidente). Insegna all’Università di Wittemberg, capitale della Sassonia, università che
rivaleggiava con quella di Lipsia. Vive la sua vita di frate con molto impegno e molta sofferenza
tormentato di non riuscire mai ad essere quello che vorrebbe.
Intorno al 1517 studia coi suoi studenti i Salmi dove i credenti parlano a Dio della loro
sofferenza, del loro peccato. Poi studia la lettera ai Romani e capisce che c’è qualcosa di
sbagliato nella continua ricerca del perdono dei propri peccati. Trova in Paolo il discorso della
salvezza per fede. Tutto si capovolge e la sua angoscia si dilegua.
In quell’anno in Germania c’è un giro di affari che parte da Roma. Il papa Leone X, della
famiglia dei Medici, sta costruendo S. Pietro. Per aver i soldi lancia una campagna speciale di
indulgenze (“anno santo”). Un tedesco, Alberto di Brandeburgo, che voleva diventare
arcivescovo ha bisogni di soldi per comprarsi la carica. Se li fa imprestare dalla banca dei Fuger
di Norimberga e per restituirli pensa di vendere indulgenze. Si accorda col papa cui promette una
parte del guadagno e organizza la vendita di indulgenze sul posto incaricandone i Domenicani.
La tradizione dice che un frate domenicano avesse esposto nelle piazze un gran manifesto che
diceva: “Quando il soldo in cassa ribalta, l’anima in cielo salta!”
La carovana di venditori arriva in Sassonia dove il principe elettore oppone resistenza perché
teme la concorrenza essendo il più grande venditore di reliquie della Germania. Il giorno di
Ognisanti soleva esporre le reliquie nella chiesa del castello.
Lutero non tollerando che il perdono di Cristo sia ridotto a questo mercato mette per iscritto le
sue riflessioni teologiche a riguardo in 95 punti (tesi) che distribuisce ai suoi colleghi e, per
conoscenza, all’arcivescovo Alberto di Brandeburgo. L’intenzione era solo di discutere
dell’argomento che riteneva molto importante. Invece le 95 tesi interessano tutti: vengono
tradotte in tedesco, i tipografi le stampano e si diffondono in modo incredibile. Ognuno le legge
a modo suo, ognuno trova una tesi che gli corrisponde.
Si scatena una bufera che nessuno può più controllare. Ci prova Carlo V invano. Lutero infine
viene scomunicato.
Nella grande dieta del 1921 Lutero viene richiesto di ritrattare. E Lutero al centro dell’assemblea
in una scena grandiosa, che pittori famosi hanno riprodotto e che rappresenta una delle pietre di
fondazione della Germania, risponde: “Sono pronto a ritrattare se mi si convince con
ragionamenti basati sulla Scrittura. Altrimenti io qui sto e di qui non mi muovo: la mia
coscienza è legata alla parola del Signore”. L’autorità, viene ribadito, è solo nella scrittura, e
inoltre per la prima volta nella cultura europea Lutero pone in primo piano la coscienza
individuale rispetto all’autorità della chiesa. Finora un credente non era che un suddito del
signore, legato all’ordine della sua parrocchia: non esisteva una coscienza individuale ma lo
“stato” (ceto, classe, luogo, ente di appartenenza). Lutero invece parla come individuo, e tiene
testa a tutti perché la sua coscienza conta più di tutto.
Hanno ragione gli storici tedeschi di sottolineare l’importanza culturale, non solo religiosa di
questa frase famosa. In quella sala nasce l’uomo moderno.
E poi non dimentichiamo che Lutero è tedesco, Carlo V è infondo spagnolo, e la chiesa romana!
Si sarebbe tutto risolto rapidamente perché l’imperatore avrebbe impiccato il giorno dopo
Lutero, se non fosse stato per l’intervento dell’elettore di Sassonia che, considerando Lutero un
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suo suddito, si intromette, appoggiato dall’elettore dell’Assia e poi da altri che son d’accordo che
Lutero vada salvato e sostenuto… Il movimento dilaga.
Spesso si dice che il movimento della Riforma si espande perché i principi hanno interesse a
diventare protestanti.
Questo è vero certamente per l’Inghilterra. Ma in Germania la proposta di Lutero corrisponde
all’attesa della gente. Questo esser perdonati dalla grazia di Dio senza che la chiesa metta in
ballo tutto l’armamentario di messe, intercessioni, purgatori ecc. piace alla nuova cultura. Lutero
incoraggia ad affidarsi al Signore, per riceverne la grazia: la costruzione della chiesa perde
valore, la coscienza individuale è rassicurata.
Tra il credente e il Cristo, tra la comunità e il crocifisso c’è sempre stato il prete, la chiesa,
l’altare. La riforma invece avvicina Gesù, che parla direttamente alle coscienze, senza
intermediari. Meglio leggersi la testimonianza di Gesù come è scritta nei Vangeli senza
mediazione in modo diretto, senza chiesa o potere, fermo restando la presenza della comunità.
L’aspetto inquietante in tutto questo è che se la chiesa non esercita più il controllo sulla gente
l’imperatore rappresenterà l’unica forte autorità. E ad organizzare la vita della chiesa
finiscono per essere i principi. (es.: nell’Ottocento il re di Prussia per porre fine alle contese tra
calvinisti e luterani fonda la Chiesa Unita).
La bibbia
A fine ‘400, prima della riforma, già si è stampata una bibbia in latino.
Bibbie in lingua volgare già ne esistevano. Gli italiani del ‘300 e del ‘400 leggevano la bibbia
nella loro lingua. Ma la grande novità della riforma è da che lingua si traduce. In tutte le chiese
la bibbia che viene letta è quella della cosiddetta vulgata, cioè la traduzione di Girolamo del
400. E fino ad allora tutte le traduzioni in volgare erano state fatte da questo testo latino.
Ma Lutero e gli altri riformatori vogliono risalire ai testi originali.
Per il nuovo testamento non era difficile reperire il testo originale in greco perché Erasmo da
Rotterdam ne aveva curato un’edizione stampata. Ma dove trovare il testo ebraico dell’antico
testamento? Nessuno dei teologi cattolici lo possedeva o leggeva. L’unico modo era introdursi
nei ghetti e farsi aiutare dai rabbini.
Olivetano era un semplice maestro di scuola che aveva frequentato i ghetti fin da giovane e
sapeva l’ebraico alla perfezione.
Se ci spostiamo dalla Germania verso la Svizzera troviamo piccole repubbliche indipendenti
dove comanda il consiglio comunale formato da consiglieri eletti
Il personaggio elvetico coetaneo di Lutero è Ulrich Zwingli: prete, cappellano militare, non si
occupa di reliquie ma di soldati. Traduce la sua bibbia in dialetto volgare di Zurigo. Percorre lo
stesso cammino di Lutero, con una cultura più moderna, di tipo umanista. Muore presto in
battaglia (1530) ma le sue idee (che poi sono sostanzialmente quelle di Lutero) restano.
La teologia di Lutero e la cultura di Zwingli si svilupperanno ai confini della confederazione
svizzera nella piccola repubblica di Ginevra.
Nel 1536 arriva Calvino a Ginevra e vi rimarrà tutta la sua vita fino al 1564. Le idee di Calvino
passeranno in Francia, nei Paesi Bassi, in Scozia in Ungheria in Piemonte ecc. si espanderanno
più facilmente di quelle di Lutero perché non sono legate ad una autorità rigida e soprattutto col
calvinismo si risolve quel pericolo, aperto dalla prassi luterana, che aveva creato nella chiesa un
vuoto di potere prontamente coperto dai principi.
Con Calvino finisce la chiesa medievale forgiata sul modello della monarchia assoluta, ma resta
un’organizzazione ecclesiastica, una congregazione di fedeli.
Calvino viveva in una società il cui potere era organizzato dai suoi membri stessi. L’immagine
non era di monarchia ma di repubblica.
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Se comanda Gesù attraverso chi comanda? E’ molto più facile che Gesù parli in un assemblea di
25 piuttosto che in un'unica testa.
La chiesa è governata da un Consiglio di anziani e non solo dal ministro e il governo della chiesa
è autonomo dal potere civile.
A Ginevra c’era il Consiglio cittadino che tracciava le grandi linee, il concistoro che trattava la
disciplina e i ministri, cioè la compagnia dei pastori, che trattavano le questioni teologiche.
Il sinodo come lo abbiamo noi non è mai esistito a Ginevra. Sarà inventato in Francia.
La minoranza protestante in un paese cattolico sente il bisogno di organizzarsi inventando i
consigli di anziani, i sinodi ecc., sistema che passerà poi in tutte le chiese riformate e che sarà poi
adottato anche in Germania dalle chiese tedesche.
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LA RIFORMA IN VAL GERMANASCA
Giorgio Tourn
Teniamo presente che la Val Germanasca confina con la Val Chisone, e la storia della valle è in
qualche modo condizionata da quello che succede nel Pragelato.
Dall’altra parte la valle confina con la Val Pellice e con Angrogna, valle non rilevante dal punto
di vista geografico ma centro di tutte la vicende della storia valdese.
A Pinerolo finiti gli Acaia all’inizio del Quattrocento, arrivano i Savoia. Quindi non si passa
nessun confine politico tra La Val Pellice e la Val Germanasca.
Se invece dalla Val S. Martino si passa nel Pragelato si cambia stato. Il Pragelato era uno stato
per suo conto detto Delfinato (che comprendeva una grossa regione sul versante francese) che
entrerà nel ‘400 a far parte del regno di Francia.
Nell’alto medioevo il Delfinato aveva una gestione amministrativa particolare: il Delfino aveva
ritagliato 5 territori detti Escarton: Val Chisone con centro a Pragelato, alta Val Susa con centro
a Ulzio, il Briançonese con centro a Briançon, il Queyras con centro a Château Queyras e l’Alta
valle Varaita con centro a Casteldelfino.
Gli Escarton erano territori con una certa autonomia amministrativa: il Delfino fissava una quota
totale di imposte da riscuotere e i consoli facevano la ripartizione (“escart” in vecchio francese).
I monaci di Ulzio erano i feudatari dell’ alta val di Susa e della Val Chisone: signori, i padroni
del territorio a cui si versava la parte pattuita di ogni raccolto o prodotto. Ma sono anche i capi
spirituali della zona col compito di fornire i servizi religiosi alla popolazione. Il più delle volte si
limitavano ad appaltare la messa ad altri, spesso appena capaci di leggere il testo in latino. I soldi
che fruttava la massa in parte venivano consegnati al prevosto di Ulzio e in parte restavano in
mano di che aveva officiato.
Nel Cinquecento il Delfinato era ormai parte del regno di Francia, ma per quanto riguarda gli
altri aspetti sopra descritti nulla in sostanza era variato.
Un a cosa importante da ricordare è che l’edificio chiesa a quell’epoca non è né del vescovo né
del prete, ma appartiene alla “magnifica comunità” (al comune diremmo oggi) ed è il console
(oggi sindaco) che lo gestisce e amministra.
Le chiese allora esistenti nella nostra valle erano: S. Martino, che da il nome alla valle, Perrero,
centro della castellania, Prali e solo dal ‘400 in poi una chiesetta a Rodoretto e probabilmente
una cappella a Massello. Nella bassa valle non c’era nulla.
Si trattava di piccoli locali dove un “sotto-prete” a diceva messa, confessava e basta.
La zona era fin dal ‘200 abitata da “i poveri”.
Questi per parlare di se stessi usavano l’espressione “poveri di Cristo”, rifiutando
categoricamente l’appellativo “valdese” per il significato dispregiativo che aveva ormai assunto
questo termine.
Il termine “valdese” aveva due origini diverse: da una parte indicava la discendenza da Valdo, il
mercante di Lione, ma derivava anche dal termine provenzale “vaud” o “vald che significava
bosco: Valdesi quindi erano quelli che stanno nei boschi, selvatici, ignoranti. Combinando queste
due significati di discepoli di Valdo e di “selvaggi” dei boschi l’aggettivo era diventato nel ‘300
e nel ‘400 un insulto. I “poveri” rifiutano questo epiteto che, oltre tutto, aveva assunto una
colorazione pericolosissima, specie per le donne, diventato praticamente sinonimo di strega. Sarà
solo nel ‘600 che i Valdesi, ormai protestanti riformati, ricupereranno l’appellativo “valdese”
per ricordare la loro origine dando al termine ingiurioso una valenza positiva.
Diversamente da quel che succede adesso, all’epoca della Riforma ogni suddito di ogni territorio
era tenuto a praticare la religione del suo signore, che significava in pratica battezzare tutti i
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bambini, confessarsi, comunicarsi e ricevere l’estrema unzione. Praticamente la vita dei cristiani
era racchiusa tra battesimo ed estrema unzione e il percorso tra i due punti scadenzato dalle
comunione e confessioni obbligatorie almeno una volta all’anno. Non era certo vietato
comunicarsi più spesso ma di regola la gente non lo faceva perché aveva una grande paura del
sacramento, del mistero del corpo di Cristo.
I valdesi si riconoscevano cristiani, cristiani come lo erano gli apostoli.
Per loro la chiesa romana non corrispondeva a quello che si legge nell’evangelo perché era
diventata troppo ricca, comandava, e gestiva tutto, quasi sostituendo Gesù, che aveva perso il suo
ruolo centrale.
Ma questo non poteva essere espresso apertamente, pena denuncia e conseguenze gravissime.
I “poveri” riescono incredibilmente per trecento anni a mantenere questi due livelli di
partecipazione alla chiesa ufficiale e di vita spirituale autonoma fuori dalla chiesa, accompagnata
da un’etica derivante dai vangeli, rigorosamente osservata: rifiuto del giuramento, della
menzogna, dell’inganno, di ogni forma di violenza, dell’adulterio, ecc.
I Barba ricevevano la confessione dei fedeli valdesi, ma c’era una grossa differenza dalla
confessione della chiesa ufficiale che si può cogliere dalla lettura dei documenti inquisitoriali che
riportano la formula con cui i barba “assolvono” i penitenti. I barba comunicavano il perdono di
Dio, non assolvevano loro stessi (“ego te absolvo”), facevano semplicemente un annuncio di
grazia.
Col passaggio alla Riforma assistiamo ad un cambio radicale nella storia dei valdesi.
Appare assolutamente naturale che il nuovo luogo di riunione per pregare e leggere la scrittura
insieme è la chiesa cristiana (di proprietà della magnifica comunità) che diventa la loro chiesa,
almeno in un primo momento, tenendo conto del fatto che la quasi totalità della popolazione è
d’accordo sulla nuova forma di vivere la fede cristiana.
Nel Pragelato (fuori dalla giurisdizione sabauda, su territorio francese) non succede niente.
Eppure un numero ancor più alto della popolazione era valdese rispetto alla Val Pellice.
Bisognerà arrivare al 1550 quando due predicatori arriveranno da Ginevra predicando nella
nuova forma riformata. Dapprima tentano di entrare nella chiesa di Fenestrelle senza successo,
poi ripiegano sulla cappella della confraternita che sta sopra il forno. La gente è con loro, ma le
autorità li cacciano. Si rifaranno vivi e nel giro di pochi anni l’intera valle diventerà protestante.
Con lo stesso meccanismo della Val Germanasca le chiese esistenti diventano templi del culto
riformato.
C’è una differenza tra la Val Germanasca e la Val Chisone, che in parte spiega l’adesione della
totalità della popolazione alla nuova forma di culto riformata.
In Val Chisone sganciarsi dalla chiesa cattolica significava sganciarsi dalla Prevostura di Ulzio,
alla quale non solo non si dovrà più la decima, ma si potrebbe anche decidere di non pagar più
nemmeno le imposte di proprietà…. e si potrebbe addirittura dividersi i terreni e gestirli per
conto proprio….
In Val S. Martino è più difficile svincolarsi dalla signoria dei Savoia. Per qualche anno anche qui
tutta la popolazione abbraccia la nuova forma religiosa, ma ci sarà una fase di riconquista da
parte del mondo cattolico, che butterà fuori i valdesi dalle chiese obbligandoli di fatto a costruirsi
dei loro locali di culto (Prali, Rodoretto, Villasecca, Roccapiatta). Una minoranza cattolica sarà
sempre presente in tutta la zona del ducato sabaudo.
Come ha potuto avvenire tutto questo? Come hanno reagito le autorità politiche?
Perché la chiesa non è riuscita a bloccare questo capovolgimento?
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La parte del territorio che apparteneva alla Francia segue le vicende del regno di Francia dove si
apre un periodo di conflitto e guerre di religione che dura fino all’Editto di Nantes (1598). In
particolare la zona che ci interessa (Delfinato) è sotto l’influenza dell’avventuroso personaggio
ugonotto generale Lesdiguieres.
A quell’epoca a Pragelato era pastore Tachard, grande personaggio, ex avvocato di Bordeaux
diventato protestante e mandato nel Pragelato, dopo essersi formato a Ginevra.
Quando il conte Trucchetti assedia Riclaretto pensando di liquidarla facilmente, sul più bello
arriva attraverso Villasecca il pastore Tachard con una cinquantina di archibugeri. L’esercito
del Pragelato come tutti gli eserciti ugonotti aveva una tecnica militare d’avanguardia.
Tralasciata l’artiglieria troppo scomoda nei movimenti, valutati i fanti e le loro picche non
sufficientemente aggressivi, considerando la cavalleria poco adatta in montagna, l’attacco viene
sferrato esclusivamente cogli archibugeri mobili e veloci che rappresentavano per l’epoca una
potenza di fuoco notevole.
L’esercito sabaudo abituato a tecniche di pianura, non riesce a sfondare la difesa valdese.
Emanuele Filiberto, invece di insistere con una guerra troppo impegnativa, col rischio di
distruggere parte del suo stesso territorio, preferisce firmare un trattato (1561- Trattato di
Cavour) in cui si stabilisce che i valdesi potranno praticare il loro culto con i loro templi nel
territorio grosso modo corrispondente a quello che sono oggi le valli valdesi, eccetto Torre
Pellice e Luserna S. Giovanni.
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LE PASQUE PIEMONTESI
Claudio Pasquet
1561: Strage in Calabria. Mentre si firma il Trattato di Cavour soccombe nel sangue nel
Mezzogiorno d’Italia una tradizione di trecento anni; lo sradicamento totale dei valdesi di
Calabria (sette paesi interessati) è un duro colpo per i protestanti italiani.
1561-1655: Periodo, nelle valli, di consolidamento della Riforma. Tutta la classe dirigente (non
solo i pastori) continua a formarsi a Ginevra; alcuni esempi documentati ci danno un’immagine
della situazione di quegli anni.
1564: Sinodo a Villar Pellice. Con ventiquattro pastori presenti, ben più numerosi delle comunità
esistenti in val Pellice e val San Martino, è una prova tangibile della consistente presenza dei
protestantesimo non solo in val Chisone ma anche nel Marchesato di Saluzzo.
1565: Primo editto repressivo per i riformati saluzzesi. Si aprono per loro tre vie possibili di
scampo: abiura, esilio o rifugio in val Pellice.
1572: Fusione dell’ordine di San Maurizio con quello di San Lazzaro per poter esser più efficaci
nella lotta (“contro i Turchi e contro i Valdesi”).
1573: Conversione di Pramollo, ancora cattolica, in seguito a una disputa pubblica tra il prete e
un pastore che assiste alla messa e mette in imbarazzo il prete con le sue domande.
1583: A Luserna si installano i gesuiti; a Torre, Villar, Bobbio e Angrogna i cappuccini. Sono
all’ordine del giorno sfide teologiche sulle pubbliche piazze tra pastori riformati e frati
missionari. Intanto in Europa si radicalizza io scontro tra cattolici e protestanti; essere protestanti
costringe sempre più a percorrere determinate forme di radicalismo; la Francia ugonotta perde
molti dei suoi nobili, convertiti o esiliati; Giacomo I, re d’Inghilterra, opta lucidamente per la
forma anglicana perché si rende conto del contenuto democratico insito nel pensiero protestante
(“no Bishop, no King”).
1590: Il Consiglio comunale di Dronero (Cn) si chiede se sia. lecito permettere ai sudditi di
“religione pretesa riformata” di recarsi in val Luserna per il culto.
1580-1630: Periodo di editti e missioni. Due forme di attacchi continui per tenere sotto pressione
la popolazione valdese e in varie forme ricordarle che esiste, solo perché il suo duca non ha
ancora trovato il modo di eliminarla.
1630: Arriva alle Valli la peste (la stessa di cui parla Manzoni); le cifre dei morti sono altissime,
le statistiche del tempo citano 1.500 morti valdesi e 100 cattolici in val San Martino, 2.000 morti
valdesi in val Perosa, 6.000 morti valdesi di cui 800 a Torre, val Pellice. Estinti 150- nomi di
famiglia. Ginevra manderà nuovi pastori svizzeri che contribuiranno allo stabilirsi dell’uso dei
francese come lingua ecclesiastica.
1636: Secondo la testimonianza di un frate la popolazione a sei anni dalla peste risulterebbe così
distribuita:
Luserna
Bibiana
Campiglione
Bricherasio
Fenile
Rorata
Bobbio
Villaro
La Torre
Lusernetta
S. Giovanni
Prarustino
Case cattoliche
150
250
130
300
12
16
30
eretiche
23
38
32
39
280
300
279
4
282
20
S. Bartolomeo
Roccapiatta
Angrogna
S. Martino
Praii
Maniglia
Saiza
Rodoretto
Riclaretto
Faetto
Massello
Ciabrant
Bovile
Travers
Perrero
50
10
6
1
8
4
80
470
7
27
20
35
32
30
52
47
43
117
10
4
Per “case” si intendono nuclei familiari che erano ben più numerosi di adesso e comprendevano
diverse generazioni.
Il Seicento è il secolo in cui si consolidano in tutta Europa le differenze tra cattolici e protestanti:
il protestantesimo è sempre meno movimento poiché la Controriforma in atto gli impedisce di
“muoversi”; spariscono le minoranze protestanti nelle realtà cattoliche ma le valli valdesi restano
un eccezione. Il Seicento è marcato dall’inizio della decadenza della potenza spagnola e
dall’affermarsi di una grande potenza militare in Francia: il culmine sarà sotto Luigi XIV, il Re
Sole, ferocemente, totalmente, pragmaticamente antiprotestante.
L’Inghilterra nel corso del secolo vede ben due rivoluzioni e grossi cambiamenti sui fronte
religioso. Il re Carlo I verrà giustiziato nel 1649 per aver voluto opporsi all’espandersi del potere
del Parlamento, appoggiandosi al partito cattolico; Oliver Cromwell introduce una novità
rivoluzionaria nell’organizzazione del suo esercito: il grado dato sul campo di battaglia quando
in ogni esercito dell’epoca il grado veniva comprato e di cui una buona quota era riservata alla
nobiltà. Con Cromwell in battaglia non conta né l’origine famigliare né l’appartenenza a una data
chiesa ma solo quanto di se stesso ognuno sia capace di dare.
I valdesi in questo secolo saranno una piccola pedina del gioco politico internazionale e la
genialità dei dirigenti valdesi sta nell’aver capito di rappresentare un avamposto di guerra
europea in atto tra mondo cattolico e mondo protestante; in questo quadro la repressione dei
riformati in Piemonte diventa una necessità storica. Si susseguono editti sempre più repressivi, e
vane risultano le delegazioni valdesi per ribadire la fedeltà al proprio sovrano.
1655: Precipitano gli eventi. Con il pretesto di rispondere a provocazioni della popolazione il
marchese di Pianezza raduna truppe, e preme sui confini dei “religionari” promettendo alle
truppe lauti saccheggi. Cominciano azioni di disturbo, i valdesi protestano: il marchese chiede di
acquartierare le truppe sui territori della val Pellice e val d’Angrogna. li 25 aprile, vigilia di
Pasqua, comincia la strage selvaggia e violenta, senza possibilità di difesa: sembra finita per
sempre la vita di tutta la comunità riformata, ma tre figure di grande rilievo emergono a cambiare
il corso della storia.
Il moderatore, Jean Léger, fuggito a Parigi e poi in Olanda, diffonde una campagna di
propaganda sullo sterminio del popolo valdese in opuscoli tradotti in tutte le lingue e stampati
con sollecitudine dai tipografi olandesi; pubblicherà in un secondo tempo la sua “Histoire” che
diventa un best seller in tutto il mondo protestante.
Giosuè Gianavello (Janavel), contadino di Rorà, quando cessato il massacro in Val Pellice e
Angrogna le truppe del Pianezza si dirigono nel suo vallone, organizza la difesa con pochi
uomini che respingono più volte gli assalti nemici di gran lunga superiori di numero. Gianavello
21
è la felice sintesi di tre elementi che gli permettono l’efficace organizzazione della guerriglia
nelle valli, (e più tardi la stesura di un manuale sulla guerriglia per il “Glorioso Rimpatrio“): una
‘fede incrollabile, una perfetta conoscenza della montagna e una naturale percezione della
quotidianità contadina.
Bartolomeo Jahier, animatore della resistenza in val Chisone organizza il contrattacco al
convento di San Secondo: anche se muore poco dopo in un’imboscata resta il padre della
resistenza armata in quella valle. La disperata resistenza sotto la guida di Gianavello e Jahier,
unita alla sistematica propaganda di Léger trasformano uno dei tanti massacri dell’epoca in un
evento di portata internazionale.
La corte sabauda si trova stretta tra due pressioni: l’intervento diplomatico internazionale e i
danni della guerriglia sui monti; il Consiglio di stato inglese discute poco tempo dopo 1’ “affare
valdese“; il poeta John Milton, segretario di Cromwell, scrive un sonetto sulla strage; il popolo
inglese reagisce facendo collette per i valdesi superstiti; un ambasciatore personale di Cromwell
si reca a Torino, fiancheggiato dai delegati dei cantoni svizzeri protestanti. La corte torinese,
gravata finanziariamente dal mantenimento di una truppa non più allettata dai saccheggi, cede
infine e firma le “Patenti di grazia” in cui si “perdonano” i rivoltosi e si ripristinano le
concessioni precedenti.
Gianavello e i suoi non si fidano: individuano segni pericolosi in questo “perdono“ malfido,
come la costruzione del forte di Santa Maria a Torre Pellice, presagio di nuovi progetti bellicosi;
le armi non vengono deposte e la guerriglia continua finché la popolazione stessa, stremata dalle
rappresaglie subite in risposta a ogni azione dei “banditi“, sconfessa gli irriducibili che si
avviano sulla via dell’esilio; Léger e Gianavello moriranno senza rivedere le loro montagne.
1664-1685: Periodo di grande miseria tra i contadini delle valli e tensione continua nei rapporti
col potere politico.
1685: Luigi XIV revoca l’Editto di Nantes mettendo fuori legge tutti i suoi sudditi riformati che
andranno a rafforzare il protestantesimo olandese e svizzero o a creare nuove città in Germania.
Sparisce la val Chisone protestante, sparisce il Queyras, sparisce tutto un territorio su cui i
valdesi della val Pellice e val San Martino potevano far affidamento nei momenti difficili. Il
duca di Savoia Vittorio Amedeo II, pressato dallo zio re di Francia, fa la sua parte armandosi
ancora contro i suoi sudditi indomabili.
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IL “GLORIOSO RIMPATRIO”
Claudio Pasquet
1686
31 gennaio: Editto del duca di Savoia Vittorio Amedeo II che ricalca grosso modo l’editto di
Nantes dello zio Luigi XIV re di Francia. I sudditi della “religione pretesa riformata” devono:
- tralasciare ogni esercizio di detta religione (culti compresi);
- demolire tutti i templi o luoghi di adunanze;
- battezzare e allevare nella religione cattolica tutti i bambini;
- mandare in esilio tutti i pastori, predicatori, maestri.
Suppliche e delegazioni a corte non ottengono altro risultato che l’arresto di alcuni delegati
stessi; si susseguono varie assemblee nelle valli valdesi per arrivare a una decisione comune e,
nel frattempo, si sospendono i culti.
3 marzo: Assemblea che decreta che la domenica successiva si tenga il culto in tutte le
comunità; i pastori saliranno sul pulpito senza deporre la spada.
24 marzo: Assemblea con la partecipazione di una delegazione dei cantoni protestanti svizzeri
che, dopo aver perorato invano la causa presso la corte di Torino, cercano di convincere la
popolazione valdese ad emigrare in Svizzera.
2 aprile: Assemblea in cui si verifica una spaccatura; due terzi circa della popolazione si
dichiarano disposti a partire (tutta la val Perosa, la val S. Martino, Villar Pellice, Rorà e una parte
di Torre Pellice) mentre un terzo è per la resistenza a oltranza (Angrogna, Bobbio, San Giovanni
e Torre Pellice).
9 aprile: Il duca incalza con un nuovo editto, offrendo l’espatrio come unica alternativa al
massacro.
12 aprile: Assemblea a Roccapiatta: il pastore Enrico Arnaud assume un ruolo di primo piano
incitando con vigore la popolazione a resistere.
14 aprile: Nuova e ultima assemblea, in cui si organizza la difesa: i pastori, benché in
disaccordo, decidono di restare e condividere la sorte comune gli svizzeri se ne vanno senza aver
ottenuto alcun risultato.
Dal 21 aprile al 15 maggio: 4.500 savoiardi e 4.000 francesi sotto il comando del generale
Catinat attaccando da più parti contemporaneamente hanno facilmente la meglio: si scatenano
saccheggi e massacri. Il risultato sono 2.000 morti, 1.000 cattolicizzati, 8.000 (o 8.500)
prigionieri tradotti nelle carceri piemontesi. Solo un gruppo detto degli “invincibili”, eredi
spirituali e militari di Gianavello, resiste sulle montagne organizzando sortite e azioni di disturbo
che per vari mesi rendono difficilissimo l’insediamento dei nuovi abitanti cattolici.
Settembre: Il duca si trova costretto a scendere a patti con i ribelli concedendo loro di espatriare
in Svizzera con le famiglie, armi alla mano: 150 dalla val Pellice, 260 dalla val San Martino (tra
cui 49 Tron di Massello), partono alla volta di Ginevra: molti di loro li ritroveremo in prima
linea negli scontri dei “Glorioso Rimpatrio“.
1687
A un anno dall’eliminazione della popolazione valdese nelle valli, 8.000 cattolici circa vi si sono
stabiliti allettati da condizioni vantaggiose nell’acquisto delle terre e da ampie esenzioni fiscali:
molti valdesi si sono cattolicizzati e risiedono ancora sul posto; altri sono stati deportati nel
Vercellese.
Gennaio: Vittorio Amedeo II concede ai prigionieri superstiti la scelta tra l’emigrazione in
Svizzera e l’insediamento nel Vercellese a condizione di una conversione al cattolicesimo. 2.750
valdesi si avviano in 13 colonne a piedi per la val di Susa alla volta di Ginevra: ne arriveranno
2.450; questa inattesa “magnanimità” di Vittorio Amedeo II si spiega solo con le pressioni
diplomatiche dei paesi protestanti con cui il duca ritiene di dover tener aperta la possibilità di
alleanze future. In Svizzera i valdesi coltivano tenacemente il sogno del ritorno.
23
Giugno: Primo tentativo fallito di ritorno di un gruppo di valdesi armati.
1688
Secondo tentativo fallito: gli svizzeri che li sorprendono sono costretti a fermarli pur
comprendendo le loro ragioni (e forse in cuor loro augurandosi di potersi liberare di ospiti tanto
scomodi), non si sentono di inasprire i rapporti coi confinanti regno di Francia e ducato di
Savoia.
1689
Agosto: Il terzo tentativo, riuscito, è organizzato dai pastore Enrico Arnaud: fuggito in Svizzera
nella primavera dell’86, non appena lo scontro con le truppe ducali si era dimostrato catastrofico,
Arnaud comincia presto a muovere i primi passi in vista di un rimpatrio dei suo popolo. Due anni
prima che Guglielmo III d’Orange diventasse re d’Inghilterra, già Arnaud aveva preso contatto
con lui intuendo, non a torto, che l’avrebbe trovato sensibile alla porte dei valdesi, per motivi
derivanti sia dalla sua profonda fede riformata che da ragioni di natura politica.
Sullo scenario europeo Guglielmo si preparava a diventare l’antagonista numero uno di Luigi
XIV (il re Sole) e il simbolo di un’Europa moderna e democratica contro l’oscurantismo
assolutista e conservatore rappresentato dal re di Francia. Sulla nave con cui Guglielmo si
imbarca dall’Olanda alla volta dell’Inghilterra, dove l’attende la corona, è scritto a grandi lettere
“Pro Religione Riformata Pro Libero Parlamento”, motto significativo se si pensa
all’affermazione dei suo antagonista Luigi XIV: “L’état c’est moi!”. Arnaud aveva capito che i
movimenti delle truppe valdesi potevano avere un peso militare e un valore ideologico, molto
maggiore di quanto il loro scarso numero potesse far supporre.
Se le istruzioni militari per il “Glorioso Rimpatrio“ saranno fornite dal vecchio Gianavello, non
più in grado di seguire l’impresa, il denaro necessario per l’intera spedizione sarà quello raccolto
da Guglielmo d’Orange. Sotto il comando dell’ufficiale ugonotto Turel si radunano a Prangins
900 uomini ben armati suddivisi in 20 compagnie: 13 valdesi, 6 ugonotte, 1 di protestanti
provenienti da vari paesi; il comandante di ogni compagnia viene eletto dai soldati stessi. Le
compagnie sono formate da uomini provenienti dallo stesso villaggio e, ove possibile, dallo
stesso quartiere; la rapida marcia verso le proprie terre dura solo 9 giorni e si svolge quasi senza
colpo ferire attraverso i vari villaggi dalla Savoia col rispetto della persone e delle cose (si paga
il cibo confiscato per la truppa) prelevando il nobile e il curato del posto come ostaggi fino al
paese successivo.
3 settembre: Arrivata quasi al confine delle proprie terre, la spedizione trova l’esercito di casa
Savoia schierato ad attenderla: faticosamente radunatisi, dopo la dispersione per l’urto dello
scontro, si trovano costretti a cambiare itinerario e a percorrere un tratto di suolo francese: a
Salbertrand hanno infatti uno scontro durissimo coi dragoni di Francia; a costo di gravi perdite il
ponte viene attraversato e la faticosa marcia ripresa fino all’arrivo a Prali: Arnaud tiene il primo
culto nel tempio di Prali, unico in tutte le valli che era rimasto in piedi nell’86, pur se trasformato
in chiesa cattolica.
Da Prali a Bobbio: qui le truppe, rigorosamente corrette e disciplinate durante tutto il tragitto, si
abbandonano per la prima volta al saccheggio, un cedimento dovuto probabilmente al fatto di
trovarsi a casa propria dove l’impossessarsi dei beni altrui poteva rappresentare un risarcimento,
fatto che non viene però ammesso né giustificato da Arnaud il quale a Sibaud, in un memorabile
culto, li richiamerà ai senso della loro missione e li farà giurare fedeltà reciproca e unione sino ai
raggiungimento dell’obiettivo. Dopo un intero inverno di lotta sulle montagne si ritrovano,
ridotti di numero (400) e abbandonati dagli ugonotti, a far fronte al nemico alla Balziglia.
1690
Aprile: Il maresciallo Catinat, con 5.000 francesi e 400 savoiardi, viene respinto alla Balsiglia e
ricacciato indietro dai valdesi che quasi non hanno perdite; in un secondo attacco i francesi
24
distruggono, con un violento cannoneggiamento, le 17 file di fortificazioni cessando il fuoco solo
costretti dalla nebbia e dall’imbrunire; nella notte i valdesi riescono a fuggire miracolosamente
all’accerchiamento, e si ritrovano di nuovo fuggiaschi di colle in colle, ormai senza quasi più
forze né speranze.
4 giugno: Un messo di casa Savoia li raggiunge ad Angrogna con l’offerta di pace in cambio del
loro schieramento accanto all’esercito savoiardo contro i francesi: il duca aveva cambiato di
fronte abbandonando la Francia per passare alla Lega protestante di Augusta. Combatteranno
ancora per anni, ma infine le famiglie potranno raggiungerli e iniziare una volta ancora la
ricostruzione della vita sul loro territorio. Riformati valdesi dispersi in tutta Europa li
raggiungeranno gradualmente a riprendersi le terre abbandonate.
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LE VALLI VALDESI NEL SETTECENTO
Daniele Tron
Il Settecento è un secolo fondamentale per la storia valdese, non per avvenimenti particolarmente
gloriosi ma perché muta profondamente la situazione nelle Valli.
Guerra in Piemonte e rientro dei valdesi
Nel giugno 1690, con la diffusione della notizia del rovesciamento delle alleanze politiche e
militari, in Svizzera le famiglie valdesi cominciano a organizzarsi per il ritorno. Malgrado le
pressioni di Vittorio Amedeo II sui governi stranieri per ritardarne il rientro, i valdesi presto
cominciano a partire: una spedizione di 680 persone lascia il Württemberg nell’agosto del 1690 e
arriva nello stesso inverno alle Valli, gruppi minori e famiglie sparse arrivano dalla Svizzera. Nel
1681 quasi la totalità della popolazione rientrata: documenti del ‘98 ci parlano di 7.500 persone
insediate, a fronte delle 13.500 di prima dell’esilio, comprese le famiglie di ugonotti che hanno
partecipato al rimpatrio dell’89; ma la guerra in Piemonte non è finita.
Si combatte contro la Francia, nemico non da poco che lascia terra bruciata dovunque passi col
suo esercito: la zona di Luserna, teatro di violenti scontri, negli anni ’91-93 viene completamente
abbandonata dai suoi abitanti. Il ‘94 e il ‘95 sono anni di terribile carestia, i territori sono
selvaggiamente devastati, la povertà è dilagante.
Val Chisone e val Pragelato
Questo e altri fattori spingono il duca di Savoia a firmare, dopo lunghe trattative, una pace
separata con il re di Francia, in cui tra l’altro la Francia cede al Savoia la val Chisone, con la
clausola segreta che non si tollerasse popolazione protestante francese sul territorio. Per
mantener fede a questo impegno, ma soprattutto per ridurre il numero di “religionari” sulle sue
terre (visto che non gli riusciva di eliminarli del tutto), Amedeo II costringe ad emigrare ogni
valdese o ugonotto nato in terra di Francia.
Una prima grossa ondata nel 1698 di circa 3.000 persone emigra verso il Württemberg. Tra
questi lo stesso Arnaud, 6 pastori (su 13 delle valli) e altrettanti maestri: questi erano per la
maggior parte cittadini francesi rifugiati nella val Pellice per sfuggire alle persecuzioni in seguito
alla revoca dell’editto di Nantes e ormai completamente integrati nella popolazione; seguirà una
seconda ondata di un migliaio di persone dal val Pragelato nel 1714.
I protestanti della val Chisone e Pragelato, inquadrati nella chiesa ugonotta ma originari dei
movimento valdese medievale, rappresentavano la quasi totalità della popolazione di quelle valli:
erano uno dei punti di maggior concentrazione dei protestantesimo sul territorio francese,
territorio che durante il secolo XVIII verrà totalmente, scrupolosamente cattolicizzato. Questo è
un fatto della massima importanza per la storia dei valdesi su territorio sabaudo: la comunità
riformata perde il 40% del suo territorio e i valdesi della val Pellice e della val San Martino
perdono una formidabile copertura alle spalle che era stata determinante nei momenti difficili,
sia dal punto di vista militare che di organizzazione della chiesa e della cultura.
I pastori e maestri emigrati a forza verranno rimpiazzati da pastori e maestri svizzeri e per tutto il
periodo successivo gli aiuti svizzeri e delle potenze in ascesa (Inghilterra e Olanda) saranno un
fattore indispensabile alla sopravvivenza della popolazione e della Chiesa valdese; le pressioni
inglesi otterranno una sospensione delle tasse per gli anni del dopoguerra di grave crisi
economica; uno speciale sussidio della regina Maria darà una rendita sufficiente a pagare pastori
e maestri valdesi per tutto il secolo.
Strategia sabauda di contenimento
Per tutto il Settecento i Savoia, costretti a rinunciare per motivi politici di ordine generale
all’annientamento dell’eresia sui loro territorio, ricorrono a una strategia di contenimento o
“ghettizzazione” della comunità valdese che caratterizzerà tutto il secolo, contribuendo al
radicale mutamento di condizioni della popolazione valdese rispetto ai secolo precedente. Questa
26
strategia avrà due aspetti: 1) l’applicazione puntuale di tutte le leggi (anche precedenti, spesso
rimaste solo sulla carta) limitanti la libertà dei valdesi all’interno del territorio; 2) una rigorosa
repressione fuori dai limiti del “ghetto”.
Nel 1730 questa strategia antivaldese viene canonizzata nelle Istruzioni al Senato del Piemonte
per l’osservanza degli editti et ordini concernenti i valdesi (il Senato era allora la più alta
magistratura del regno). I valdesi si trovano a dover resistere a questo nuovo scontro che ha
spostato il gioco dall’annientamento fisico alla pressione politica e psicologica per
l’assimilazione (ricordiamo i notevoli vantaggi economici che un valdese acquisiva
cattolicizzandosi).
Tra il 1737 e il 1740 si potenziano le parrocchie cattoliche della regione, costruendo nuove
chiese: la corte sabauda paga la congrua a ogni curato presente in ogni villaggio valdese, anche
dove l’unico fedele è rappresentato unicamente dalla perpetua. Il “monte dei prestiti” offre tassi
agevolati a chiunque voglia comprare terreni dai valdesi. Nel 1743 si inaugura in pompa magna a
Pinerolo, sotto la protezione regia, la nuova sede dell’“Ospizio dei catecumeni” nei maestoso
palazzo costruito allo scopo dall’architetto Vittone. Il compito di quest’istituto è di assistere i
giovani e le giovani valdesi convertiti al cattolicesimo e instradarli a un mestiere; l’età in cui i
convertiti possono “scegliere” di entrare nell’istituto è di dodici anni per i maschi e dieci per le
femmine. La fama sinistra di quest’istituto deriva dal fatto documentato che spesso vi si
tenevano rinchiusi bambini sottratti con la forza alle famiglie. Nel 1748 si crea il Vescovado di
Pinerolo in funzione antivaldese per pressione delle autorità politiche di casa Savoia.
Risposta valdese alla nuova strategia
Accanto al costante e concreto appoggio del protestantesimo straniero, i valdesi elaborano delle
forme di resistenza all’ossessiva strategia sabauda: innanzitutto rafforzano la propria istruzione
con la promozione di scuole primarie per tutti ma anche favorendo l’accesso a un sempre
maggior numero di persone agli studi superiori (attraverso borse di studio nelle scuole protestanti
straniere). Nasce un’élite valdese imprenditoriale che manterrà sempre intensi contatti culturali e
commerciali con la borghesia protestante svizzera o olandese che si sta formando con successo
in tutta Europa; l’élite valdese apre anche una disponibilità ai prestiti a cattolici bisognosi e
questo non certo per ecumenismo ma per scoraggiare interventi esterni di qualsiasi tipo sul
proprio territorio.
Occupazione repubblicana francese e napoleonica
Nel 1792 l’esercito francese repubblicano occupa la Savoia e il Piemonte: le milizie valdesi
partecipano alla difesa dei confini con sentimenti oscillanti tra il lealismo verso i loro regnanti e
l’entusiasmo verso le idee rivoluzionarie. L’occupazione francese crea indubbi vantaggi nelle
Valli poiché le scioglie dai lacci delle leggi sabaude; a differenza del resto del Piemonte, dove la
popolazione anche in presenza dì una élite giacobina rimarrà sottomessa e organizzata da un
clero controrivoluzionario, qui non esiste frattura tra élite e popolazione, entrambi favorevoli ai
nuovo potere.
L’integrazione con il regime napoleonico è così completa che il moderatore Peyran diventa
funzionario napoleonico, ricoprendo la più alta carica dei Pinerolese come sottoprefetto; sul
fronte ecclesiastico vengono cancellati tutti gli ordinamenti precedenti della chiesa valdese
(scompaiono il Sinodo, la Tavola, ecc.) e create tre concistoriali, sul modello della Chiesa
ugonotta francese; il “clero” valdese, equiparato a quello protestante francese, riceve lo stipendio
dallo stato.
Nel 1814, con il crollo napoleonico, si tenta di cancellare tutto e di ripristinare il regime
precedente: l’operazione non sarà più possibile. Sebbene si ritorni al potere sabaudo, alcune cose
sono irreversibili, e di tutto questo è simbolo il tempio di San Giovanni, edificato sotto
Napoleone, che non viene distrutto ma solo nascosto dietro un’alta palizzata, in seguito sostituita
con un filare di alberi.
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17 FEBBRAIO 1848
Giorgio Tourn
Nei mesi di febbraio e marzo 1848 Carlo Alberto re di Sardegna concede, in forme diverse,
ma spinto da esigenze analoghe, i diritti civili e politici alle minoranze valdese ed ebraica dei
suoi Stati. Con questo atto giuridico che si collocava nella scia della politica di tolleranza delle
monarchie del XVIII secolo, veniva definitivamente superata la visione politico-culturale
dell’Ancien Règime.
Di questa visione dello Stato di tipo medievale protrattasi oltre la stessa Rivoluzione francese,
era elemento costitutivo la religione di Stato, che veniva così a costituire l’elemento unificante
dell’intera comunità nazionale. Nel caso del Piemonte la religione di Stato essendo quella
cattolica romana le minoranze estranee a questa realtà religiosa ideale, quale l’ebraica, o
dissidenti rispetto ad essa, quale la valdese, non potevano che essere tenute ai margini della vita
associata, costituendo un elemento disgregatore di questa unità ideale. Questa marginalità civile,
di fatto un’emarginazione, trovava espressione giuridica nella struttura del ghetto cittadino per
gli ebrei e nel territorio delle valli alpine del Pellice Germanasca e Chisone per i valdesi, dove
era loro concesso risiedere e professare la loro religione dall’epoca del trattato di Cavour del
1561.
Collocata su questo sfondo la concessione dei diritti civili e di conseguenza la parità giuridica
riconosciuta a tutti i sudditi indipendentemente dalla confessione religiosa, significa assai più che
l’applicazione di una norma giuridica ad alcune migliaia di sudditi; significa la fine e l’inizio di
epoche storiche, la fine dell’Ancien Règime e l’inizio di uno Stato costituzionale di tipo
moderno. Non è un caso che questi editti di tolleranza religiosa avvengano proprio nell’anno
1848. Il ricordare oggi, a 150 anni di distanza, questi avvenimenti significa per la Regione
Piemonte fare riferimenti a momenti fondanti della propria identità moderna. Significa anzitutto
prendere atto del fatto che il riconoscimento giuridico delle minoranze valdesi ed ebraica non
concerne unicamente queste due comunità ma l’intera società piemontese. Le vicende vissute nei
secoli da questi piemontesi emarginati non è infatti storia loro ma del Piemonte intero,
l’intolleranza di cui sono state vittime, come la libertà che viene loro concessa, è patrimonio
comune di tutti i piemontesi. Prendere oggi in considerazione questi avvenimenti significa
dunque ricuperare una pagina significativa e positiva della memoria storica comune. La fine
della segregazione giuridica deve essere seguita dalla fine della segregazione storica.
All’apertura del ghetto fisico deve seguire quella del ghetto storico. È da leggersi un quest’ottica
la presenza del capo dello Stato a Torre Pellice il 15 febbraio e il 4 marzo a Torino nel tempio
valdese e nella sinagoga ebraica.
Ricordare questa data significa in secondo luogo riconoscere che il Piemonte ha con queste
leggi voltato una pagina della sua storia. Non è solo mutata la condizione giuridica di poche
migliaia di sudditi sabaudi ma quella di tutti i piemontesi. Non sono diventati più liberi solo
valdesi ed ebrei, ma tutti gli abitanti della Regione. Non a caso questo è avvenuto nel contesto di
due avvenimenti fondamentali: lo Statuto e l’inizio della guerra d’indipendenza.
Passando da Stato Assoluto a Monarchia costituzionale, il Piemonte nasceva come Stato
moderno e si poneva come punto di riferimento per la creazione di una nazione italiana.
Significa in terzo luogo vedere, come videro gli esponenti più in vista del liberalismo
piemontese, dai Marchesi Roberto e Massimo d’Azeglio a Brofferio, che la libertà religiosa è
strettamente connessa con la libertà civile.
Nel contesto della rivoluzione liberale e del nuovo Piemonte che stava sorgendo la libertà
limitata che si concedeva alle due minoranze religiose, costituiva un elemento essenziale della
libertà che il movimento liberale si proponeva di realizzare in Italia.
Il riferimento alla data del ’48 non ha però valore unicamente commemorativo e di
riconoscimento del contributo che le minoranze valdese ed ebraica hanno dato allo sviluppo e
alla crescita democratica della società piemontese e italiana. Significa anche porre all’attenzione
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dei cittadini il fatto che la libertà, come la intesero valdesi ed ebrei 150 anni or sono, va garantita
dalla legge e conquistata dai cittadini. La libertà religiosa non è infatti solo possibilità di
esprimere i propri valori, ma è altresì possibilità e libertà di inserirli in un rapporto di dialogo e
di fattiva partecipazione alla crescita di una comunità civile aperta e partecipe.
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I VALDESI DAL ’48 ALLA II GUERRA MONDIALE
Giorgio Rochat
Situazione museale
Dieci anni fa, per impostare la sezione del museo valdese dopo il ’48, ci siamo posti il problema
di come illustrare la vita della comunità valdese di quel periodo.
C’erano tappe obbligatorie, come i valdesi del Sud America, l’evangelizzazione, i colportori, i
maestri, ecc. Ma come parlare dei valdesi nelle due grandi guerre?
I musei storici sono sempre un’interpretazione, spesso una giustificazione della realtà.
In Italia non esiste uno studio su come si fanno i musei di storia, tanto meno di storia
contemporanea. Non esiste un museo fatto bene sulla prima guerra mondiale, né sulla storia del
fascismo o della Resistenza, mentre se ne trovano a bizzeffe sulle cave, sulle miniere, sulle
farfalle ed ogni tipo di roba della natura.
Ho visitato musei storici bellissimi nei paesi comunisti, che falsificano la storia, come tutti, ma
in modo esemplare dal punto di vista delle tecniche museali. A Praga uno sulla Riforma, a
Bucarest uno dove si inventa la Romania, a Varsavia dove la Polonia ha vinto la seconda guerra
mondiale!!
La Francia, maestra nel settore, ha a Verdun uno splendido museo sulla prima guerra, dove però
il nemico è inesistente.
Gli americani, più realisti, sanno fare dei bellissimi film di guerra, sia contro che a favore.
L’Italia ha una serie di monumenti sulla prima guerra che oscillano tra il retorico e il
masochismo.
Negli anni ’50 compaiono monumenti sulla seconda guerra di carattere patriottico, non
nazionalista.
I Guerra Mondiale
Nella prima guerra i valdesi fanno gli ufficiali, i cappellani, i soldati.
I valdesi delle valli sono fieri di essere alpini. Non c’è differenza tra un alpino cattolico o uno
valdese. Del resto nell’esercito era difficile sapere chi era valdese, cattolico o altro, perché non
esisteva nello stato civile l’appartenenza religiosa.
Anche per i valdesi la prima è “la grande guerra”; non benedetta, ma approvata sì.
Quando la prima guerra mondiale finisce, i valdesi decidono di fare un monumento ai caduti e
così nasce il Convitto Valdese, nel 1921, come “orfanatrofio” per i figli dei caduti per la
vittoria. (Nell’atrio dell’attuale Centro Culturale, ex convitto, si leggono i nomi di tutti i caduti
valdesi delle valli nella prima guerra).
I rapporti con il fascismo
I valdesi accettano all’inizio il regime fascista: credono ancora nel re e nello stato, ma alle valli
non compaiono squadracce.
Il corpo pastorale non era obbligato ad iscriversi al fascio, ma nessuno si oppone apertamente.
Non c’è stato nel mondo valdese nessun politico fascista ad alto livello.
Alle valli non cambia niente. Non ci sono limiti all’attività dei valdesi, ma controllo sì:
approvazioni del prefetto, rapporti dei carabinieri sulle manifestazioni pubbliche, ecc. L’unico
cambiamento visibile nel periodo fascista è l’italianizzazione dei nomi francesi di strade o
piazze. Inoltre, dopo il ’38 è proibito ai pastori di predicare in francese.
Negli anni del fascismo i valdesi o i protestanti sorvegliati e discriminati non sono tanto quelli
delle valli ma quelli del resto d’Italia.
Le cariche di podestà, segretario del fascio, e maresciallo dei carabinieri fino al ’39 potevano
esser ricoperte anche da valdesi, dopo non più.
Resta il fatto che la Chiesa Valdese è l’unica entità che conserva una struttura democratica su
tutto il territorio nazionale.
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In tutte le scuole valdesi ci si batte per sostituire il crocifisso imposto dal concordato con
l’immagine di Gesù che parla ai fanciulli (si scoprirà poi che il pittore del quadro era ebreo!).
Durante la guerra in Etiopia i valdesi pregano come tutti per la guerra, ma non raccolgono l’oro
per la patria. La guerra suscita proteste all’estero, anche in Inghilterra negli ambienti protestanti.
Mussolini chiede alla Chiesa Valdese di condannare l’opinione inglese, ma i valdesi non lo
fanno.
I valdesi sono contrari alla persecuzione degli ebrei, ma in linea di massima non si intromettono
nella faccenda. A livello personale molti ebrei sono nascosti nelle valli.
II Guerra Mondiale
Nella seconda guerra mondiale i valdesi sono meno coinvolti rispetto alla prima. Inoltre sono
anche richiamati in numero minore rispetto alla prima.
Resistenza
Nelle valli la Resistenza è stata forte.
I partigiani hanno sempre rifiutato di dichiararsi valdesi o cattolici.
La maggior parte dei pastori si sono prodigati per assistere i resistenti, ma non hanno combattuto.
Solo Jacopo Lombardini è andato in montagna autodefinendosi cappellano dei partigiani senza
mai toccare un’arma. Era un predicatore laico metodista, lavorava come sorvegliante al Collegio
perché aveva dovuto scappare dalla nativa Toscana per antifascismo. Morirà nel campo di
concentramento di Matausen il 25 aprile l945.
31
LA RESISTENZA NELLE VALLI VALDESI
Bruna Peyrot
La Resistenza nelle Valli valdesi non fu riconosciuta come “valdese”, né nella sua
organizzazione, né nelle sue esplicite motivazioni. La Resistenza fu un avvenimento,
un’esperienza politica totalmente laica. Tuttavia nelle Valli valdesi si verificò un’alta adesione di
giovani, contadini e intellettuali, fra le sue fila. Molti partigiani, se intervistati, sottolineano la
spontaneità di una scelta che, si dice, non poteva che essere dalla parte della “montagna”. In
realtà c’è da chiedersi se dietro questa apparente naturalezza non preesista un’abitudine alla
scelta che provenga da una lunga educazione protestante centrata sul protagonismo individuale e
l’autorganizzazione. Molti, inoltre, rimproverano alle dirigenze valdesi, specie al Sinodo, di non
aver mai preso ufficialmente posizioni contrarie al regime fascista. Dobbiamo però pensare alla
difficoltà dei tempi quando anche per piccole infrazioni quotidiane all’ordine stabilito si
rischiava la vita; la censura colpiva chiunque manifestasse il più piccolo segno di divergenza.
Bisogna dunque considerare il comportamento delle chiese nella loro quotidiana gestione e
nei momenti di ufficialità. Per i primi possiamo incontrare molteplici strategie pastorali, per i
secondi il silenzio, ma l’ “ecclesia silens” (Viallet, 1985) se può venir giudicata sul piano etico
come assenza di capacità profetica, sul piano storico ben si può comprendere la sua necessità di
autodifesa e di salvaguardia di un’istituzione minacciata dal totalitarismo fascista, penetrante sin
nelle coscienze individuali, nello stile di convivenza famigliare, nelle relazioni sociali
trasformate in parate rituali del potere.
Nelle Valli, in ogni caso, la Resistenza ebbe le “fasi” osservabili in quasi tutte le vallate alpine
dell’Italia settentrionale. Dopo l’8 settembre, ad una prima sensazione di totale sbandamento in
cui mancavano i punti di riferimento politico, seguì una rapida organizzazione delle bande
partigiane che si davano alla macchia, rifornendosi di armi e vettovaglie recuperate dalle prime
imboscate ai presidi fascisti o alle caserme. Di fronte ai partigiani c’era la prospettiva di un lungo
e rigido inverno senza la sicurezza di poter resistere. Intanto in Italia si consumava la disfatta più
totale delle forze politiche badogliane e fasciste. Dopo il 25 luglio e dopo ancora l’8 settembre, i
nazisti fecero confluire in Italia 26 divisioni preparandosi ad occuparla. Badoglio e la monarchia
non avevano alcun piano predisposto per difendere l’Italia dall’occupazione. La penisola, infatti,
dopo lo sbarco alleato in Sicilia ed il progressivo procedere delle forze alleate, rimase divisa in
tre parti, il sud sotto controllo angloamericano, il centro occupato dai tedeschi e il nord percorso
dalla guerriglia partigiana.
Nelle Valli, fra i molti fatti ed episodi salienti che si potrebbero ricordare e che i testimoni
protagonisti narrano ancora oggi con grande efficacia citiamo il rastrellamento dal 21-24 marzo
1944 in val Pellice che portò alla distruzione della banda del Bagnòou, la sede anche del foglio
clandestino «Il Pioniere». Poi la battaglia di Pontevecchio in val Luserna (21 marzo 1944) dove
operava la 105° Brigata d’Assalto Garibaldina “Carlo Pisacane”. Mentre in val Pellice operavano
oltre alla testé brigata, una decina di bande facenti capo a “Giustizia e Libertà”, in val Chisone
operavano le brigate autonome: una varietà di orientamenti che a poco a poco converge su alcuni
obiettivi ed intenti comuni, come la necessità di unificare i comandi in vista della liberazione dal
nazifascismo e la partecipazione ai costituendi C.L.N. (Comitati di Liberazione Nazionale),
aperti a tutte le forze politiche.
Come si comportarono le parrocchie valdesi durante la Resistenza? Potremmo osservare il
problema da più punti di vista. Uno potrebbe essere la ricostruzione delle strategie pastorali
concrete operate nel suddetto periodo. Ad esempio il pastore Ermanno Rostan (1908-1984)
svolse con passione il ruolo di cappellano militare viaggiando sui vari fronti militari aperti
dall’Italia in guerra per tenere in contatto i soldati valdesi fra loro e per non far venir meno il
contatto anche con le reciproche comunità di appartenenza, offrendo loro, in ultima analisi la
speranza di una continuità con un mondo religioso in un contesto di grandi rotture politiche,
32
sociali, esistenziali. Un altro pastore, Achille Deodato (1907-1990) tenne memoria dell’arrivo
degli americani a Napoli, del suo ruolo di coordinatore e curatore spirituale per i suoi
parrocchiani in momenti bellici difficili e disorientanti. E il pastore Gustavo Bertin (1904-1991)
scrisse in un diario giorno per giorno gli avvenimenti che colpirono in particolare la parrocchia
dove svolgeva il suo ministerio, San Germano Chisone. Si aggiungerebbero ancora altri cento
esempi, ognuno dei quali aiuta a capire come il ministro di culto valdese ha concepito durante gli
anni di guerra il proprio impegno vocazionale. Così come accanto ai pastori si devono
accompagnare i nomi di tantissimi laici che hanno fatto la scelta partigiana. Tutti hanno il diritto
di essere ricordati, non soltanto quelli entrati nella storia “ufficiale” della Resistenza. Resto
convinta infatti che un periodo così complesso, così contradditorio, così breve anche, debba
essere ricostruito a partire dai percorsi biografici di ognuno per ritrovarne continuità e rotture con
il passato, l’energia per il nuovo, le paure e il non detto: si tocca, è vero, una sfera che è ancora
poco studiata, non immediatamente politica, né eroica. Ma soltanto così potremmo aggiungere
del “nuovo” a quanto fin qui sappiamo di un periodo come il 1940-45 così fondante per la storia
italiana e così abusato.
33
AGAPE: TESTIMONIANZA DI FRONTIERA
Francesca Spano
Nascita di Agape
Agape è un centro ecumenico aperto a tutte le appartenenze religiose che nasce nel ’47 con
l’inizio della costruzione per opera di lavoro volontario. In seguito a un appello del suo fondatore
pastore Tullio Vinay si ritrovano qui volontari protestanti, cattolici o atei provenienti dall’Italia o
dall’estero a costruire un luogo di incontro e di ripresa di rapporti di comunicazione, di
riconciliazione, dopo i disastri della seconda guerra mondiale.
La chiave interpretativa del progetto stava proprio in questo lavoro volontario e collettivo. Il
fatto di lavorare insieme era più forte della domanda sulla provenienza o l’identità delle singole
persone: fascista o partigiano, credente o non credente, borghese o proletario, cittadino o
montanaro, ognuno si portava dietro la sua appartenenza, ma questa perdeva di importanza a
confronto col fatto di trovarsi fianco a fianco per dieci ore di duro lavoro giornaliero, intervallato
solo da assemblee in cui i problemi venivano discussi insieme in modo democratico.
Talmente forte era il senso di questa impresa collettiva insito nell’edificazione stessa, che
quando nel ’51 si inaugurò l’opera ormai finita, ci fu una profonda crisi di identità del gruppo che
aveva partecipato alla realizzazione del progetto. Come riempire questo contenitore una volta
finito di costruire le mura, di delimitarne i confini?
La crisi fu definitivamente superata solo sette anni dopo quando in un memorabile campo di
Amici di Agape del ’58 partirono tre filoni di attività: i gruppi di servizio, i gruppi di lavoro sui
ministeri e i gruppi politici.
La caratteristica centrale di Agape è stata ed è tutt’ora, una serie di incontri di studio della
durata di una settimana con un tema specifico, affrontato con modalità diverse , di tipo teologico,
culturale o pedagogico.
La gente vi è attratta dal tema di discussione, dal desiderio di una settimana di vacanza, dal
caso, dal bisogno di aggregazione ecc., ma ne torna comunque trasformata. Sia che vi abbia
incontrato Gesù Cristo, sia che vi trovi l’amore per la vita, o vi scopra un nuovo avvincente tema
culturale da approfondire, subisce in ogni caso una trasformazione significativa.
Agape come frontiera
Nel libro di G. Tourn Una chiesa in analisi è espressa un’ipotesi di intreccio tra la vicenda
della chiesa valdese e quella del popolo italiano. Nel periodo del fascismo si riscontra all’interno
della chiesa una sintonia di cultura, di linguaggio, di atteggiamento con la cultura imperante
(appelli nazionalistici, ecc.). Dopo la resistenza, alla grande spinta alla ricostruzione nel Paese,
corrisponde nella chiesa la battaglia per l’affermazione della libertà religiosa e una grande voglia
di partecipazione e risveglio. Lo sforzo maggiore di riformare la chiesa è contemporaneo al
centro-sinistra che rappresenta un’apertura a una politica di riforme rispetto alla stagnazione
degli anni ’50. E così via nel ’68 con la spinta contestatrice e negli anni ’70 con la riscoperta
della soggettività. Sugli anni ’80 un’analisi approfondita resta da fare.
Agape come frontiera significa un luogo di incontro, di elaborazione, di ricerca con uno
sguardo a quel che succede nel mondo e uno sguardo a quel che succede nella chiesa.
Questa cerniera ha permesso di travasare nella chiesa quello che succedeva nel mondo e di
parlare di Gesù Cristo alla gente del mondo, fossero intellettuali, militanti politici, pacifisti o
femministe che ad Agape venivano per la loro settimana di ricerca.
Questa frontiera ha pure condizionato la vita della chiesa valdese in modo irreversibile. Il
pastore Tourn al sinodo di quest’anno ha sostenuto la tesi secondo cui non è Agape figlia della
chiesa valdese, ma la chiesa è stata condizionata nel suo sviluppo dalla ricerca di Agape.
Ripercorrendo i temi dei campi di Agape dagli anni ’50 ad oggi troviamo: agli inizi degli anni
’60 una serie di campi che hanno come tema l’Africa nel periodo dell’emancipazione dal
34
colonialismo alla società post-coloniale, segno di una capacità di captare quel che succede nel
mondo e di elaborarlo mentre avviene.
Poi abbiamo l’incontro col marxismo, non tanto col partito comunista, verso cui i valdesi hanno
sempre preso le distanze, ma con l’elaborazione del pensiero marxista di gruppi politici più liberi
e minoritari spesso ai limiti dell’eresia. Negli anni ’70, dopo la ventata politica che aveva
pervaso Agape e invaso la chiesa in forma spesso conflittuale e lacerante, arriva quella che è stata
chiamata la riscoperta della soggettività con una ricerca articolatissima (campi politici, campi
teologici, campi per giovani) sul senso dell’esistenza individuale. Con approcci metodologici
diversi si affrontano temi come la relazione di coppia, le discipline psicanalitiche, l’etica, il
personale ecc.
Grosso spazio in Agape ha avuto la ricerca ecumenica. Agape già aperta verso i marxisti atei si
apre al dialogo coi cattolici e studia l’ebraismo, fino ad arrivare oggi al dialogo interreligioso
affrontando i nodi che ci pone la realtà nuova di una società non più tutta bianca, tutta europea,
tutta cristiana che nel giro di pochi anni diventerà, come quella francese o quella inglese, una
società multiculturale in cui il rapporto con buddisti induisti o islamici sarà vitale e quotidiano.
Alla fine degli anni ’70 hanno avuto inizio i campi per omosessuali credenti, arrivati oggi al
loro XIV incontro, che hanno significato per molti dei partecipanti la possibilità di rapportarsi in
termini positivi con la fede senza prescindere dalla propria identità sessuale.
Nel ’74 si è tenuto ad Agape il primo campo femminista che, con l’interruzione solo di una
anno, ha avuto luogo fino ad oggi. Nel luogo fondato sull’idea della riconciliazione in Cristo,
dove le differenze si ricompongono invitando a superare il conflitto, le donne hanno portato il
discorso di una rivendicazione sessuale come valore in cui le differenze non vengono annullate
ma sottolineate e valorizzate. Agape ha avuto la capacità di non annacquare discorsi così diversi,
come la riconciliazione in Cristo e la differenza, con sintesi fittizie, ma di metterli in
comunicazione con effetti spesso dirompenti.
Infine ci sono i campi per i giovanissimi (cadetti e precadetti) che si sono ampliati molto in
questi ultimi anni. Una parte di questi cadetti formati ad Agape, i più bravi, i più metodici,
finiscono per diventare dirigenti della chiesa valdese. Qualcuno “da grande” si ricorda, altri non
condividono più quel che hanno vissuto allora.
Agape come “magia”
Quando dovrete accompagnare i visitatori a vedere Agape è bene che facciate loro notare che il
gruppo di architetti e ingegneri volontari che circondavano Vinay, al tempo della costruzione,
hanno immaginato le strutture di questo posto in chiave teologica: le linee architettoniche
esprimono un linguaggio teologico esplicativo del messaggio di Agape.
In questo luogo in cui la religione ha un grosso peso non c’è una chiesa: c’è un ampio salone in
cui si mangia, si beve, si discute, si balla e si fa spettacolo e poi c’è una bibbia aperta sul tavolo
che è l’elemento che contraddistingue ogni chiesa protestante. Questo salone è dunque una
chiesa, ma una chiesa dove si vivono tutti i momenti della vita quotidiana: dove non c’è
separazione tra sacro e profano.
L’ampiezza delle finestre che danno sulle montagne indica che la chiesa è aperta sul mondo. I
tavoli sono disposti in modo che tutte le persone che vi siedono si guardano in faccia formando
un grande insieme comunitario. La categoria della comunità è espressa in ogni parte dell’edificio.
Non c’è un solo posto dove chi va ad Agape per un campo possa star solo, si mangia, si prega,
discute e gioca sempre sotto gli occhi di tutti. La comunità è il centro del campo di lavoro, il
centro dell’esperienza dei campi, il centro della vita del gruppo residente della ricerca teologica e
culturale.
Ma la “magia” non sta solo nelle strutture. Chi va ad Agape è messo in una situazione
particolare, completamente separato dalla quotidianità. La cesura con la propria identità
quotidiana è molto forte. Questo fatto permette il separarsi da sé, lasciando alle spalle tutta la
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propria esistenza, pur rimanendo se stessi, ed entrando in contatto intensissimo con le persone: si
crea una situazione di grande libertà relazionale.
La “magia” sta nel fatto che, dopo il ritorno a valle, e il ritrovamento di se stessi, l’aver vissuto
una comunicazione così intensa con gli altri dà la possibilità di guardare dentro di sé e al mondo
circostante in modo nuovo e molto più intenso di prima. Credo che le persone che amano Agape,
come me, e siamo in molti, lo facciano per questo, più che per la linea politica, più che per la
linea teologica, per questa esperienza vissuta, e sempre ripetibile, una fuoriuscita da sé con una
rientrata molto eccezionali.
Questo vale anche per la fede: Agape offre la possibilità di affrontare il discorso su Dio in una
situazione di spinta, stimolati da domande (più o meno esplicite) di persone che hanno un
rapporto con la fede più diverso. Con l’ateo convinto, con il credente in crisi il discorso si dipana
in grande libertà, non priva di possibilità di scivoloni, non più contenuto nella chiesa, ma in
termini di grande comunicazione.
Un problema spesso drammatico è che questo discorso che si vive ad Agape rischia poi di
disperdersi nella ricerca di un contatto con la normale vita ecclesiastica delle nostre chiese.
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I PERIODO, 1170-1532
Riforma Gregoriana – papa Gregorio VII
1073-85
1173-76
Conversione di Valdo a Lione
1179
Delegazione valdese a roma
1180
“Professione di fede” di Valdo
1184
Ribadito il divieto di predicare senza
autorizzazione. Prima menzione dei “Poveri
di Lione” in una costituzione pontificia
1185
Scomunica per disobbedienza al vescovo e
cacciata da Lione
1190
I Valdesi in Linguadoca
1198
I “Poveri” in Lombardia e in Lorena
1206
Presunta morte di Valdo
Inizia la crociata contro gli Albigesi (12081213)
1208
Durando d’Osca torna all’obbedienza
romana: i “Poveri cattolici”
Approvazione della regola di Francesco
d’Assisi
1210
IV Concilio Lateranense:
il canone Omnis utriusque sexus obbliga
tutti i cristiani a confessarsi una volta
l’anno e costringe gli Ebrei a portare come
distintivo un dischetto di tessuto
1215
Il concilio emette la condanna definitiva
dei valdesi per eresia
1218
Incontro di Bergamo tra i Poveri lombardi
e i Poveri lionesi
III Concilio Laterano a Roma
Concilio di Verona.
Creazione dell’inquisizione, che nel 1232
verrà affidata all’ordine domenicano.
Innocenzo III papa (1198-1216)
Bolla papale di Gregorio IX in cui si ordina
di ricercare gli eretici (Albigesi e Valdesi) e
di denunciarli al braccio secolare. Divieto
di offrire loro rifugio
1229
1312
Donna arsa per “valdesia” a Pinerolo
1315
Fondazione di gruppi valdesi in Calabria e
Puglia
37
Peste nera:
entrata in Occidente attraverso i porti
mediterranei, raggiunge in tre anni quasi
tutte le regioni e uccide da un quarto a un
terzo della popolazione europea
1348-1350
(1378-1417) Lo “Scisma d’Occidente”
divide la Chiesa tra due obbedienze- quella
di Clemente, ad Avignone e quella di
Urbano VI, a Roma. Nel 1409, il concilio di
Pisa dà origine a una terza obbedienza.
L’elezione di Martino V pone fine allo
scisma nel 1417.
1378
Morte di Giovanni Wyclif - Inghilterra
1384
Jan Hus, riformatore boemo, condannato
per eresia viene bruciato sul rogo a
Costanza.
1415
Rivolta degli hussiti in Boemia. Dopo molte
vicissitudini portò alla fondazione della
comunità dei Fratelli boemi (1457)
1419
Savonarola sul rogo a Firenze.
Processi inquisitoriali
contro i valdesi
(Torino, Tolosa, Boemia,
Austria, Linguadoca,
Val Luserna, Delfinato,
Brandeburgo, Chieri,
Berna, Ungheria,
Strasburgo, Vienna, …)
1484
Crociata di Carlo I di Savoia in Val Luserna.
1487-1489
Crociata del Cattaneo in Delfinato: fine del
valdismo in Vallouise e emigrazione in
Provenza (Lubéron)
1494
Martirio di Barba Martino e Giovanni
1498
38
DATE
1505
1509
LUTERO
Entra in convento
ZWINGLI
Storia generale
CALVINO
1521
Margherita di Foix
perseguita i valdesi della
Valle del Po (Paesana)
Concilio Laterano,
primi tentativi di
riforma (Leone X)
Scrive le 95 tesi a Wittenberg
Predicazione a Zurigo
Lutero condannato e invitato a
ritrattare brucia in pubblico la
bolla papale
Dieta di Worms:
Lutero bandito dall’impero, si
rifugia a Wartburg.
Traduce il nuovo testamento
1523
Bolla Exurge Domine
contro Lutero
Si impone la riforma a
Zurigo
1524
1525
EVENTI
Nascita di Calvino a
Noyon (Francia)
1512
1517
1519
1520
Storia valdese
CATTOLICI
Erasmo da Rotterdam: De
libero arbitrio
Lutero pubblica De servo
arbitrio
1526
Capitolo generale al Laus
(Val Chisone): Giorgio di
Calabria e M. Gonin inviati
in missione in Svizzera
1527
1530
1531
Prima Università
protestante a Marburgo
Confessione di Augusta
Missione di G. Morel e P.
Masson in Svizzera e
Strasburgo
Zwingli muore in
battaglia
1532
1534
Assemblea di Chanforan.
Adesione alla riforma
Calvino aderisce alla
Enrico VIII si proclama
Riforma
1535
1536
capo supremo della Chiesa
d’Inghilterra
Bibbia di Olivetano
Occupazione francese del
Piemonte
Calvino pubblica:
Institutio religionis
christianae
Calvino a Ginevra
1540
Fondazione della
Compagnia di Gesù
1545
Inizio del Concilio di
Trento
1546
1553
Fallimento dei colloqui di
Ratisbona fra evangelici e
cattolici
Massacro deiValdesi di
Provenza (Lubéron)
Morte di Lutero
Michele Serveto viene
giustiziato a Ginevra
per eresia
1555
Dieta di Augusta
1556
Abdicazione di Carlo V; sul
trono di Spagna gli succede
Filippo II; Ferdinando
d’Austria imperatore
1558
1559
Fondazione
dell’Accademia di
Ginevra;
.
Trattato di CateauCambresis
Primo sinodo nazionale
delle chiese riformate di
Francia
Fondazione della chiesa
presbiteriana scozzese
1560
Costruzione dei primi
templi alle valli
Martirio di Goffredo
Varaglia a Torino
Ritorno di Emanuele
Filiberto in Piemonte
Guerra sabaudo-valdese di
Costa della Trinità
1561
Accordo di Cavour.
Distruzione delle
comunità di Calabria
1562
Pubblicazione dell’Histoire
des persécutions contre le
peuple vaudois…
1563
Chiusura del Concilio
Scipione Lentolo espulso
40
di Trento
1564
dalle Valli
Morte di Calvino
41
II PERIODO, 1532-1848
Massacro della notte di S. Bartolomeo in
Francia
1572
Editto di Nantes
1598
1630
Rivoluzione inglese
1640
Oliver Cromwell, Lord protector
1653
1655
1685
Revoca dell’Editto di Nantes
La “Gloriosa Rivoluzione” in Inghilterra
Peste: alle Valli muoiono 11 pastori su 13;
aiuti da Ginevra
“Pasque piemontesi”
1686
Editto di Vittorio Amedeo II. Massacro e
prigionia dei valdesi
1687
Esilio in Svizzera
1688
1689
Il “Glorioso Rimpatrio”
1690
Il Duca offre la pace
1694
Editto di reintegrazione
1698-1701 Proscrizione dei riformati della Val Chisone;
emigrazione in Germania
Pace di Utrecht
1713
1748
Rivoluzione francese
1789
1798
Gli austro-russi alle valli
1799
Napoleone imperatore
1804
1807
1814
1823
Restaurazione sabauda in Piemonte
Creazione del vescovado di Pinerolo
La Repubblica in Piemonte
Inaugurazione del tempio dei Bellonatti
Gilly visita le valli
1825
Visita di Felix Neff, inizio del “Risveglio”
1827
1837
Charles Beckwith alle Valli
Inaugurazione del Collegio e del Pensionato
a Torre Pellice
III PERIODO, 1848-1984
Prima guerra d’Indipendenza
Seconda guerra d’indipendenza
1848
Lettere Patenti (17 febbraio)
1852
1853
1855
Inaugurazione del Tempio di Torre Pellice
Inaugurazione del tempio di Torino
Fondazione della Facoltà di teologia a Torre
e della casa editrice Claudiana a Torino
Primi emigranti valdesi in Uruguay
1858
1859
1860
Unità d’Italia
1861
Terza guerra d’indipendenza
Prima guerra mondiale
1866
1868
1870
1874
1881
1889
1914
Entrata in guerra dell’Italia
1915
Presa di Roma
1920
Mussolini capo dello Stato
1922
Concordato e legge sui culti ammessi
Entrata in guerra dell’Italia
Inizio della Resistenza
Liberazione
1929
1940
1943
1945
1946
Costituzione della Repubblica
Fondazione del Consiglio Ecumenico delle
Chiese
Concilio vaticano II
Revisione del Concordato
Fondazione del “Comitato di
evangelizzazione”. Costituita la chiesa di
Colonia Valdense in Uruguay
Trasferimento della Facoltà e della Claudiana
a Firenze
Inaugurazione del tempio di Venezia
Tempio di Messina
Fondazione della Società di studi
Casa valdese a Torre Pellice
Tempio di piazza Cavour a Roma
Il Comitato di Evangelizzazione cessa la sua
attività
I congresso Evangelico a Roma
Convitti di Pomaretto e Torre Pellice
Facoltà di teologia a Roma
Costituito il Consiglio Federale delle Chiese
Evangeliche in Italia
1947
1948
1951
Inaugurazione di Agape
1962
Approvato il pastorato femminile
1967
Fondazione della Federazione delle Chiese
Evangeliche in Italia (FCEI)
1975
Approvato il Patto di integrazione fra chiese
valdesi e metodiste
1984
Stipulazione dell’Intesa con lo Stato
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NASCITA E SVILUPPO DELLA BORGHESIA VALDESE
Daniele Tron
Borghesia = da borgo = cittadino contrapposto ai rurali.
Nel ‘500 più che di borghesia si può parlare di “notabilato”.
Uno dei firmatari del trattato di Cavour, Jean Malanot, apparteneva ad una famiglia di notabili con
un ramo in Val S. Martino e uno in Val Pellice: possedevano moltissima terra, prestavano denaro e
concedevano ai clienti di lavorare le loro terre a pagamento. Non esercitavano l’usura e lo
strozzinaggio.
I Bastie di S. Giovanni con un ramo valdese e uno cattolico sono un’altra famiglia di ricchi notabili
all’epoca delle Pasque Piemontesi (1655).
Queste e altre famiglie reggono la loro posizione sociale fino al “Glorioso Rimpatrio” (1689). Al
rientro, dopo una generazione, perdono potere e nasce un nuovo notabilato che intraprende attività
commerciali, utilizzando le relazioni con i paesi protestanti (Olanda e Inghilterra). Sviluppano
capacità imprenditoriali e fondano le prime industrie spesso con filiali all’estero gestite da propri
parenti (es. i Peyrot).
Parallelamente iniziano attività proto-industriali: lavoro a domicilio, coltivazioni familiari di bachi
da seta, filatoi artigianali ecc.
La produzione “industriale” della seta mette radici, ma non regge alla crisi di fine ‘700: crisi del
mercato per la concorrenza dell’Inghilterra e crisi politica.
Con la Restaurazione (‘800) c’è un nuovo cambio della guardia: una parte della borghesia si
trasferisce a Torino protetta dalle ambasciate protestanti.
La Val Pellice ha un maggior numero di famiglie borghesi rispetto alla Val S. Martino.
All’inizio i valdesi non andavano volentieri a lavorare in fabbrica, soprattutto le donne. La fabbrica
era vista come disumana e disonorante. Perfino il duro lavoro delle miniere era preferito alla
fabbrica.
Anche l’emigrazione fu all’inizio contestata dalla chiesa.
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ORIGINE DELLO STEMMA VALDESE e…
Daniele Tron
Lo stemma valdese
Lo stemma valdese si trova per la prima volta in un libro del 1640 del pastore di Villar Pellice,
Valerio Grosso (uno dei due sopravvissuti alla peste): aveva un candelabro contornato da 5 stelle,
con il motto “in tenebris lux”.
Nel 1669 compare nel libro di Jean Leger con 7 stelle (le sette chiese dell’Apocalisse) e il motto
cambiato in “lux lucet in tenebris”.
La Bibbia sotto il candelabro compare solo nell’Ottocento.
Lo stemma dei conti di Luserna, e poi oggi del comune di Luserna S. Giovanni, originario del 1200,
ha delle caratteristiche simili: è una lampada ad olio circondata da 7 stelle. Il motto valdese
potrebbe derivare da uno dei tanti usati dai Luserna, che è appunto “in tenebris lucet”.
Uso del nome “valdese”
Compare molto presto, già nel ‘200, ma era usato dagli avversari in senso dispregiativo (come
dispregiativi erano all’origine “ugonotto” e “protestante”).
Nel ‘300 e ‘400 in Europa è sinonimo di appartenente alla stregoneria.
A fine ‘500 rivendicano il diritto di chiamarsi valdesi per preservare l’identità di eredi del
movimento medievale, avendo aderito alla Riforma.
Assunzione della Croce Ugonotta come simbolo
Nasce a fine ‘500 tra gli Ugonotti da una trasformazione della croce occitana e di Malta.
Probabilmente arriva da noi attraverso gli ugonotti francesi della Val Pragelato.
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LA DONNA NEL MOVIMENTO E NELLA CHIESA VALDESE
Daniela Di Carlo
Nei primi anni del movimento valdese, le donne avevano trovato la possibilità, proprio perché si
trattava di un movimento e non di una chiesa strutturata, di avere libero accesso ai testi biblici ed
alla predicazione, e potevano spendere nella propria vita quella passione per la teologia che le
portava ad interrogarsi su Dio e a dividere le risposte che trovavano con altre e con altri.
Si spostavano, sul territorio di Lione prima, lombardo poi, sentendosi piene di quella forza
che riconducevano alle parole di Gesù Cristo. Traevano la propria legittimazione direttamente da
Dio, una legittimazione che permetteva loro di compiere cose inaudite, impensabili persino per
donne che vivono in questo nostro secolo. Nella relazione con Dio, si riceve quella luce particolare
che permette ad uomini e donne di occupare il mondo con forza, con desiderio, con felicità.
Una testimonianza sulle capacità magistrali riconosciute dai primi valdesi alle donne, ci
viene da Bernardo, abate di Fontcaude, che alla fine del XII secolo così scrive: “Oltre agli errori già
detti, alle donne che accolgono nel loro consorzio consentono di insegnare, nonostante ciò sia
contrario alla dottrina apostolica”.
I documenti dell’inquisizione di Carcassone ci dicono che oltre a predicare le donne
potevano celebrare l’Eucarestia: “Ogni buon laico ed anche donne, se appartenenti alla setta,
possono offrire il corpo di Cristo”. In molti verbali di inquisizione viene riportata con scandalo la
partecipazione attiva delle donne che spesso vengono demonizzate. Il cistercense Goffredo di
Auxerre così descrive le predicatrici valdesi: “le misere donnicciuole cariche di peccati che
penetravano nelle case altrui, curiose e anche chiacchierone, sfrontate, malvagie, impudenti”.
In questo clima non stupisce che la prima vittima dell’Inquisizione in Piemonte accusata di
valdesia, che per alcuni versi divenne sinonimo di stregoneria, fu una donna. Essa perse, infatti, la
vita sul rogo a Pinerolo nel 1312.
Nel corso del ‘300 si perdono le tracce delle predicatrici valdesi. Dagli atti di un processo
inquisitoriale di Giaveno del 1335, si ricava il fatto che esse continuavano a convertire le persone,
ma le accuse a loro imputate non parlano più di predicazione.
A causa della dura attività dell’Inquisizione il movimento valdese, divenuto clandestino,
perde quella spinta missionaria delle prime generazioni. La maggior parte dei “poveri” conduce una
vita “mimetizzata”, in tutto simile a quella dei cattolici (salvo ritrovarsi di notte intorno ad una
Bibbia) e l’esercizio di predicazione viene di fatto ristretto ai predicatori itineranti, tutti uomini.
Una decisione molto drastica rispetto alle donne viene presa dalla chiesa cattolica nei
riguardi dei conventi. Mentre prima i conventi erano luoghi in cui era possibile offrire una cultura
ed una formazione teologica alle donne, con un decreto di Bonifacio VIII, nel 1298 viene imposta la
clausura. Dal decreto in poi diminuì il livello di cultura e la possibilità di uno scambio umano ed
intellettuale tra le donne dentro e fuori i conventi.
Le donne rimasero di nuovo senza diritto di parola, né libertà, durante e dopo la Riforma. Da
quegli anni sino ad oggi nella Chiesa Valdese troviamo figure di donne che si distinguono
prevalentemente per capacità filantropiche. Una donna (Carlotta Peyrot), ad esempio, ha pensato e
lavorato per la realizzazione del primo ospedale valdese (1826). Per non parlare delle “mogli di
pastore” che fino a ieri avevano un ruolo indispensabile nella comunità, ma sempre nell’ombra e a
seguito del consorte.
Se andiamo a vedere gli atti sinodali non troviamo tracce di discussioni che coinvolgano le
donne sino al 1887. In quell’anno il sinodo approvava l’articolo 17 che così recitava: “Sulla
questione da darsi il voto alle donne, ….ritenendo che il momento non è ancora giunto per prendere
una deliberazione sull’argomento, il Sinodo si pronuncia per la sospensiva fino a tempi più
opportuni”. I tempi più opportuni arrivarono solo nel 1903, anno in cui venne previsto che le donne
potessero votare.
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Solo nel 1930 fu approvato l’articolo 28 che prevedeva l’eleggibilità delle donne nei consigli
di chiesa. Poco dopo, grazie ad una interpretazione estensiva, fu possibile eleggere delle donne
anche alle conferenze distrettuali (sinodi regionali) ed ai sinodi nazionali.
Si cominciò a parlare di pastorato intorno agli anni ’50. Sebbene non vi fossero obbiezioni
di carattere teologico, il sinodo non fu in grado di pronunciarsi favorevolmente fino al 1962.
L’articolo 17 che riconosceva il ministero femminile “sia pure con qualche riserva” passò a
malapena: 57 erano i favorevoli, 42 i contrari, 10 gli astenuti. Le obbiezioni che avevano portato
così alle lunghe una decisione favorevole rispetto al pastorato delle donne erano alquanto curiose.
Ci si chiedeva, per esempio, se una pastora coniugata poteva pretendere dal marito che la seguisse
ovunque la Tavola Valdese decidesse di darle una sede lavorativa. Oppure ci si interrogava
sull’autorità che poteva essere riconosciuta ad una pastora nella comunità a cui veniva destinata.
Altre perplessità erano legate ad una eventuale maternità che prevedeva un periodo piuttosto lungo
di sostituzione pastorale.
Attualmente vi sono 16 donne pastore in servizio contro novanta colleghi uomini, e sei di
esse sono straniere. Molto più numerose sono le studentesse nella Facoltà di Teologia (circa il
50%). I rapporti con i colleghi maschi sono in genere buoni, fraterni, anche se possono a volte
essere pesanti per l'atteggiamento maschilista di alcuni.
Oggi il pastorato femminile esiste nella gran maggioranza delle chiese protestanti. In Europa
solo la Chiesa Riformata Polacca non ha ancora consacrato una donna pastore.
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ISTRUZIONE E SCUOLETTE
Lorenza Barolin
1859 – Decreto legge presentato dal conte Gabrio Casati, presto convertito in legge, sancisce
l’ordinamento scolastico nel Piemonte sabaudo, e poi a tutto il Regno d’Italia dopo il 1861. La
legge Casati riformava il sistema partendo dalle elementari fino all’università e restò in vigore, con
l’aggiunta di piccole modifiche o integrazioni, fino al 1923, anno della riforma Gentile.
LEGGE CASATI
Istruzione elementare suddivisa in:
GRADO INFERIORE
GRADO SUPERIORE
Durata di 2 o 3 anni (?)
Materie:composizione, calligrafia,
custodia dei libri, geografia, storia,
scienze, aritmetica
Durata di 2 anni (possibile un terzo)
Materie:composizione, calligrafia,
custodia dei libri, geografia, storia,
scienze, aritmetica, geometria,
disegno lineare per i ragazzi e
economia domestica per la ragazze.
L’istruzione doveva essere gratuita in ogni comune, almeno fino al termine del grado inferiore delle
elementari con classi separate per maschi e femmine.
Nelle borgate più disagiate dove c’erano almeno 50 bambini, ci doveva essere una scuola di livello
più basso, attiva almeno una parte dell’anno. Qui si creavano pluriclassi che contavano anche fino a
100 bambini, ogni semestre gli alunni doveva sostenere un esame alla presenza del maestro e del
parroco. Gli insegnanti potevano anche non avere il diploma, ma dovevano essere ritenute idonee
dal Regio ispettore Provinciale. Era, infatti, richiesto un “Attestato di moralità” rilasciato dal
Comune, e i giovani che ricoprivano questo ruolo non dovevano avere età inferiore ai 17 anni, se
femmine o 18 anni se maschi. L’istruzione di grado superiore era attiva solamente nei centri più
grandi. Gli stipendi erano pagati dalle amministrazioni comunali in base alle proprie possibilità
economiche. Vi erano quindi forti disagi e profonde discriminazioni fra uomini e donne, insegnanti
in possesso di un diploma o meno e insegnanti delle scuole urbane o rurali.
Questo sistema non garantiva però che tutti i comuni applicassero la legge. Lasciando il carico
fiscale sulle spalle delle locali amministrazioni e la gestione del sistema scolastico a propria
discrezione in base alle disponibilità economiche, si faceva sì che molti comuni tralasciassero del
tutto l’alfabetizzazione per dedicarsi ad altri progetti e problemi legati alla quotidianità.
Secondo un censimento del 1871 fra la popolazione con più di 6 anni, il 68,8% era analfabeta.
Per far fronte al problema, il 15 luglio 1877 fu varata la Legge Coppino con la quale viene istituito
l’obbligo scolastico fino al termine delle elementari di grado inferiore (dai 6 ai 9 anni di età circa).
La legge imponeva inoltre l’istituzione di Scuole domenicali per le fanciulle e serali per i maschi,
con sanzioni per i comuni inadempienti o i genitori che non facessero frequentare le scuole ai
propri figli. Vi erano tuttavia delle possibili scusanti: distanza, malattia, impraticabilità delle strade,
miseria. Queste scusanti fecero sì che nelle zone già maggiormente disagiate (ad esempio al
meridione) non cambiasse nulla rispetto al passato.
1923 – Riforma Gentile.
La riforma Gentile fu pensata nel carattere restauratore ed autoritario del Governo Mussolini, ma
migliorò notevolmente le condizioni della scuola.
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Vennero creati gli istituti Magistrali suddivisi in :
CORSO INFERIORE
CORSO SUPERIORE
Durata: 4 anni
Materie: italiano, latino, storia,
geografia, matematica, lingua
straniera, disegno e musica
Durata: 3 anni..
Materie: italiano, latino, storia,
geografia, matematica, lingua
straniera, disegno e musica, filosofia,
pedagogia, fisica, scienze naturali e
igiene.
Accanto ad ogni istituto sorse un Giardino d’infanzia, per permettere agli studenti di svolgere un
tirocinio.
Per le scuole inferiori furono istituiti diversi gradi:
PREPARATORIO
Scuola materna
INFERIORE
Durata: 3 anni
SUPERIORE
Durata: 2 anni + eventualmente un 3°
Materie: preghiere e nozione della
dottrina cristiana, letture e scritture,
aritmetica, nozioni di lavoro agricolo e
industriale, geografia
Materie: Religione, lettura e storia,
geografia, educazione civica,
aritmetica, scienze, ginnastica in
ordine chiuso (?), disegno.
Con questo nuovo sistema i dati relativamente all’alfabetizzazione mutarono.
ANALFABETISMO
1912
1924
Italia
Piemonte
38%
11,1%
27%
7%
SITUAZIONE NELLE VALLI PINEROLESI
Le lezioni si svolgevano spesso in fienili o stalle, poiché le leggi non obbligavano a costruire anche
gli edifici scolastici. Molti di questi furono costruiti agli inizi del 1900 con lo sviluppo industriale,
fatta eccezione per le Scuole Beckwith. Mediante la costruzione degli edifici scolastici e il loro
affidamento ad insegnanti titolati nominati dal Provveditore agli studi, terminò l’epoca delle scuole
invernali e prese avvio l’istruzione capillare, mediante il decentramento delle scuole nelle frazioni o
fra 2 o 3 di esse per essere comodamente raggiunte da bambini provenienti da vari luoghi nei
dintorni.
“Scuole invernali” in montagna: in Val Chisone se ne parla già dal XVII sec., destinate a ragazzi
fra i 7 e i 16 anni; le lezioni si svolgevano in una stalla dal 3 novembre al 18 aprile (Fiera di
Fenestrelle, si ritorna ai campi!).
A Fenestrelle, centro di notevole importanze culturale, vi era anche una scuola gesuitica (1665 al
1772), dal 1829 un ginnasio con annessa una scuola latina preparatoria, dal 1856 una scuola
elementare per l’insegnamento della lingua italiana.
Finché la val Chisone fu sotto il dominio francese, l’istruzione restò in mano ai Gesuiti, poi con il
passaggio ai Savoia, nel 1720 tutti i capoluoghi e le borgate presentavano scuole con un maestro
proprio. Le scuole invernali non avevano programmi definiti, a volte i ragazzi imparavano
solamente a leggere, scrivere. Gli stessi maestri, privi di titolo magistrale, avevano frequentato la
scuola solamente fino alla VI classe oppure i primi anni di ginnasio.
Con il Fascismo si sviluppa il sistema scolastico e si dà la possibilità anche ai villaggi con meno di
15 bambini di avere una scuola se finanziata dai comuni stessi. Tali scuole erano perciò dette
“scuole sussidiate”. Queste, con edifici adatti, sostituiscono le scuole invernali, per svolgere almeno
il triennio di base, ma quasi tutti i comuni si attivarono per attivare anche il biennio superiore,
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benché si rivelò poco frequentato. I ragazzi e le famiglie preferivano impiegare il tempo nei lavori
di campagna.
Lo Stato forniva maestri diplomati per il triennio in tutte le frazioni ed il comune provvedeva a
ricercare insegnanti per il biennio, anche senza titolo.
Con il repentino spopolamento della montagna nel dopoguerra e la sovrabbondanza di educatori
titolati, grazie alla scolarizzazione di massa, si giunse alla chiusura di molte scuole di borgata e alla
scomparsa della figura del maestro quartierale, che pur senza titolo, diede grande impulso
all’istruzione nelle valli , anche accogliendo in casa propria i bambini laddove non c’era un edificio
scolastico.
Per i Valdesi la diffusione dell’istruzione avvenne ben prima. Costruirono vari edifici 5 x 6m o 6 x
7m, senza cortile: un monolocale con stufa, tavolino, banchi rozzi e armadio a muro.
Nel capoluogo e nelle grandi borgate c’era anche la Grande école, solitamente a fianco del tempio e
del cimitero per facilitare il Régent a svolgere anche le sue mansioni di preghiera del pomeriggio e
dell’omelia ai funerali.
Nei paesi protestanti l’analfabetismo era praticamente sconosciuto per la grande importanza che
aveva la lettura individuale della Bibbia.
Dopo il Sinodo di Chanforan, l’organizzazione scolastica fu più efficiente, spesso gli stessi pastori
fungevano anche da insegnanti.
Il post-Rimpatrio fu il periodo più fiorente per lo sviluppo delle scuole di quartiere: nel 1694 vi
erano già circa 70 scuole nelle Valli.
Nel 1735 i Valdesi emigrati nei Paesi bassi diedero vita al comitato Vallone per promuovere e
finanziare il sistema scolastico protestante in Piemonte. Dal Comitato giunse alla Chiesa valdese un
sussidio per l’istruzione fino al 1914, che permise di pagare gli insegnanti e costruire edifici
scolastici. (Tale sussidio cessò per effetto della legge Daneo-Credaro del 1911, secondo la quale
sanciva il passaggio delle scuole protestanti sotto l’egida di una commissione provinciale. Con
l’applicazione di questa legge alcuni edifici chiusero i battenti, altri furono utilizzati dal sistema
scolastico statale.)
Nel ‘700 con una azione in accordo fra Chiesa Valdese e Comuni, si migliorò l’organizzazione delle
Scuole grandi nei 13 capoluoghi e di quelle di borgata.
Nell’800 furono aperte “les écoles des filles” 810-16 anni) che nel 1828 erano 3. a Torre, Luserna
San Giovanni e San Germano), con insegnanti donne. Vent’anni dopo erano già 7 e aumentarono
ancora.
Negli anni ’30 il sistema subì un ampliamento e un miglioramento grazie all’azione di Beckwith l
quale si occupò anche di far stampare un libro di testo che sostituisse la Bibbia (1822 – 94 scuole;
1846 – 120 scuole).
Nel 1852 sorse la Scuola Normale, un istituto magistrale privato e nel 1854 due Scuole di metodo,
una a Torre Pellice e una a Pomaretto, tutte per l’aggiornamento degli insegnanti delle scuolette di
quartiere, privi di titolo di studio.
Tra il 1846 e il 1914 si contano 176 scuolette Beckwith, con un picco nel 1887 di 198 scuole (di
queste alcune erano a Torino).
Alcune note nei verbali del sinodo riportano lamentazioni per la poca preparazione degli insegnanti
di borgata, per la poca attenzione delle famiglie che preferivano sfruttare l’aiuto dei figli nei lavori
di campagna piuttosto che inviarli a scuola.
Tutto il sistema era controllato da una commissione composta da membri dell’amministrazione
comunale e del Concistoro ed un’altra composta da un ispettore e da membri della Tavola Valdese.
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LE MINIERE DI TALCO E GRAFITE IN VAL GERMANASCA
Patrick Stocco
Perché i Valdesi andavano in miniera malgrado il lavoro fosse più duro e peggio pagato di
quello in fabbrica?
1) Lavoro più vicino: sul proprio territorio. In un periodo in cui ci si spostava a piedi, lavorare in
fabbrica significava disgregare la famiglia.
2) La fabbrica nella cultura valdese era vista come negazione dell’individuo, mentre in miniera si
lavorava in coppia o in piccoli gruppi affiatati.
3) Il lavoro in miniera era più vicino al lavoro della terra. Spesso si usavano gli stessi attrezzi.
4) Il lavoro della miniera richiedeva più iniziativa e capacità individuale.
5) La fabbrica disgrega la comunità, specie se a lavorare in fabbrica sono le donne. Le mogli e i
bambini dei minatori facevano lavori esterni collegati alla miniera: trasporto del materiale
estratto o di recupero.
6) Tra i minatori si creava un forte spirito di gruppo e di corporazione.
La miniera, come la fabbrica, nell’800 rappresenta l’alternativa all’emigrazione.
La situazione nel periodo dal ‘600 all’800
Pare che in valle si estraesse argento già nel Medio Evo o addirittura oro, ma non ci sono
documenti certi.
Nel ‘600 si estraeva ferro sopra a Perosa per le fonderie di cannoni.
Nel ‘600 si commerciava a Torino marmo delle nostre parti.
Nell‘800 di sicuro era già aperta la cava di marmo di Rocca Bianca.
La calce si faceva un po’ dappertutto.
Nel 1840 si comincia ad estrarre talco e grafite.
Fino al 1859 chi era proprietario del terreno era anche proprietario del sottosuolo.
Signora Rostagno prima imprenditrice intorno a Perrero.
A fine ‘800 sfruttano le miniere soprattutto francesi e inglesi.
La situazione nel ‘900
Nel ‘900 nasce la Società Talco e Grafite Val Chisone con regime di monopolio.
Fino al 1907 si lavorava 12 ore al giorno per sette giorni settimanali.
Fino al 1921 si lavorava 10 ore al giorno per sette giorni settimanali
Dal 1921 su lavorava 8 ore per sette giorni settimanali
Negli anni ‘30 e ‘40 l’introduzione dei martelli pneumatici ha prodotto un fortissimo aumento di
silicosi nei lavoratori. Nel 1935 un minatore guadagnava il 25 % dell’operaio. Nel 1942-1943 un
minatore guadagnava 4 lire al giorno quando un operaio della RIV ne guadagnava 20. Oggi i salari
sono uguali.
Nel 1983 si chiude l’ultima miniera di grafite.
Nel 1980 la LUZENAC diventa proprietaria delle miniere di talco. Oggi è tutto meccanizzato.
Lavorano circa 80 minatori. Lo sviluppo delle strade e dei mezzi di trasporto ha tolto il lavoro a
tutti quelli che lavoravano esternamente alle miniere. Le nostre miniere producano il talco più puro
d’Europa. Di migliore se ne trova solo in USA e in Cina. Viene usato per l’industria cosmetica,
farmaceutica ed anche come lubrificante, nella lavorazione della plastica, della carta patinata ecc....
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I VALDESI IN URUGUAY E ARGENTINA
Aldo Comba
Il movimento valdese nel mondo
Il movimento valdese nel mondo è scomponibile in quattro zone geografiche:
a) Le Valli valdesi,
b) La zona della “Evangelizzazione”, ossia le chiese nate dall’espansione del 1800 e sparse in tutta
Italia e oggi integrate con le chiese metodiste,
c) Uruguay e Argentina, che costituiscono oggi una parte importante dei valdesi nel mondo.
Tabelle statistiche del Sinodo Valdese e Metodista
(Dati 1999)
Popolazione valdese alle Valli
Popolazione valdese in Uruguay e Argentina
11.980
13.273
d) La diaspora mondiale di singole persone o piccoli gruppi inseriti di solito nelle chiese protestanti
locali (Stati Uniti, Svizzera, Francia, Germania ecc.).
I motivi dell’emigrazione
L’assenza di persecuzioni dopo il 1700 aveva favorito un notevole aumento della popolazione,
obbligata però a vivere nei vecchi limiti. Intorno al 1850 vari anni di cattivi raccolti produssero fame
e costrinsero la gente a partire. (Molti erano già emigrati in via stagionale o permanente in Francia o
a Ginevra).
La Tavola preferiva un’emigrazione vicina (in Sardegna o altrove in Italia), ma occorreva
comprare le terre, cosa impossibile per contadini poveri.
Uruguay e Argentina in quell’epoca volevano passare dall’allevamento brado all’agricoltura,
perciò inviarono in Europa agenti a cercare immigranti. Si offrivano terre pagabili in molti anni con
una percentuale del raccolto. Uno di tali agenti venne in contatto con il pastore Michele Morel di
Rorà. Ci furono lunghe discussioni (vedere opuscolo di T. Pons citato in Bibliografia).
Ma la cosa avvenne fortuitamente, perché un certo Planchon, imbarcatosi in Francia, sbarcò a
Montevideo e di là, qualche anno dopo, chiamò i suoi parenti di Villar Pellice. Partirono 11 persone
nel 1856 per l’Uruguay, poi gruppi sempre più numerosi, cui fecero seguito pastori e maestri.
I primi tempi furono molto duri perché si trattava di dissodare terreni rimasti incolti da sempre, in
un paese che a quel tempo non aveva praticamente strade né alcuna infrastruttura.
I primi gruppi si stabilirono in Florida, poco lontano da Montevideo, poi per l’ostilità della
popolazione locale si trasferirono in quella che oggi è Colonia Valdense.
In Argentina andarono gruppi misti, valdesi e non valdesi, con vicende talora drammatiche e una
grandissima dispersione. Verso il 1900 dei valdesi lasciarono l’Uruguay per costruire nella Pampa, in
Argentina, la grossa chiesa di Colonia Iris. Altri andarono alle Valli direttamente a San Gustavo,
nella provincia argentina di Entre Rìos.
I periodi principali
 1857-1877: trapianto dall’Europa di famiglie e istituzioni ecclesiastiche in Uruguay;
 1877-1955: consolidamento ed espansione, con la fondazione di nuove colonie in Uruguay e
Argentina;
 1955 a oggi: riorganizzazione e assimilazione: da chiesa “etnica” a chiesa aperta.
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Personaggi significativi degli inizi
I pastori Daniele Armand Ugon e Pietro Bounous.
Eventi importanti
1888 Fondazione del Liceo di Colonia Valdense. Il secondo liceo del paese fuori di Montevideo e il
primo in zona rurale.
1926 Fondazione della Facoltà di teologia di Buenos Aires, in cooperazione con altre chiese
evangeliche.
1952 Fondazione della Chiesa valdese di Montevideo.
Lingua e costumi
I valdesi hanno presto adottato lo spagnolo nella sua varietà rioplatense. I pastori originari
dall’Europa ed alcune altre famiglie hanno mantenuto per molto tempo anche il francese.
E’ stata a lungo una popolazione rurale che ha fatto propri in larga misura i costumi locali
mantenendo però in genere un’etica protestante (lavoro, serietà, risparmio, matrimonio e famiglia
tradizionali) a differenza di certi elementi della tradizione “gauchesca” locale (famiglia matriarcale
con figli di vari padri successivi, nomadismo individuale in cerca di lavoro o di fortuna, propensione
al gioco d’azzardo e allo spendere subito).
In anni recenti l’urbanizzazione, i problemi economici di un paese del Terzo Mondo, la
secolarizzazione, ecc…, hanno molto modificato quella piccola società valdese. La chiesa è stata per
molto tempo l’unico centro di cultura e di socializzazione delle colonie rurali. Oggi esistono molte
altre organizzazioni sportive, culturali ecc. Si nota una crescente “americanizzazione”, nel senso
dell’adozione di modelli statunitensi, respinti a parole ma accettati di fatto.
I regimi militari (che in Argentina hanno causato più “desaparecidos” e in Uruguay hanno fatto un
uso più sistematico della tortura) hanno avuto un forte impatto. In Argentina a causa del populismo
peronista la divisione tra destra e sinistra era labile e non ha molto influito sulla chiesa; in Uruguay,
dove le posizioni ideologico-politiche erano più marcate, si è quasi giunti a una spaccatura della
chiesa.
Rapporti con l’Italia
Negli anni prima e dopo la seconda guerra mondiale c’è stato un lungo periodo di scarse
comunicazioni e un certo “nazionalismo” o “separatismo” verso l’Europa. Gli antenati erano partiti
dall’Europa in situazione di miseria e i nipoti ne avevano una triste immagine. Estranei alla seconda
guerra mondiale, i sudamericani avevano fatto soldi vendendo prodotti agricoli ai contendenti, fino
alla guerra di Corea. Perciò guardavano all’Europa con sufficienza.
Invertitasi la situazione economica (Europa industrializzata ricca e latino-americani sempre più
“terzomondializzati”), e diffusasi in tutto il mondo occidentale la ricerca delle “radici”, l’Europa
viene vista in modo più positivo. I viaggi diventano più facili e i contatti più frequenti. Diversi
valdesi sudamericani con un nonno italiano cercano di ottenere la nazionalità italiana.
Le chiese valdesi dell’America latina non sono mai state “territorio di missione”, ma parte della
Chiesa valdese. A Sibaud il nome Colonia Valdense appare accanto a quello delle parrocchie delle
Valli. Le chiese rioplatensi costituirono per molti anni uno dei Distretti della Chiesa valdese. La
situazione è diventata più chiara con l’idea patrocinata da Giorgio Peyrot: “un sinodo in due
sessioni”.
Sul piano teologico la Chiesa valdese è unita a tutte le chiese riformate dalla sua Confessione di
fede, di matrice calvinista. Sul piano organizzativo-istituzionale la massima autorità non è un papa
o un moderatore, ma il Sinodo. Un sinodo che opera in due sessioni: una europea e una
sudamericana, ciascuna responsabile dei problemi locali e ciascuna abilitata a eleggere un proprio
esecutivo (Tavola o Mesa) e un suo moderatore. I problemi di ordine generale (confessione di fede,
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unione con altre chiese, ecc.) sono decisi con voto conforme delle due sessioni. La chiesa rimane
unita a livello mondiale, pur con diverse competenze territoriali.
Ne derivano diverse conseguenze, tra cui:
• Non si parla più di “Chiesa Madre” riferendosi alle Valli, né delle “nostre colonie” per l’America
latina, bensì dei “due rami” della Chiesa valdese.
• Quando i membri della sessione sinodale sudamericana vengono in Europa sono automaticamente
membri della sessione europea - e viceversa.
• Il Sinodo valdese, e pertanto la Chiesa valdese, ha due moderatori. Al Consiglio ecumenico
hanno chiesto: “Ma quale dei due è il principale?” Risposta: sono uguali. Di che lasciare
sconcertati tutti quelli che vedono la chiesa su un modello gerarchico. Ma noi non lo siamo!....
Letture consigliate:
• Marcelo Dalmas, I Valdesi nel Rio de la Plata, Società di Studi Valdesi, Opuscolo del XVII
febbraio 1982: è una succinta, talvolta pessimistica, ma corretta presentazione.
• Teofilo Pons, Cento anni fa alle Valli. Il problema dell’emigrazione. Soc. Studi Valdesi,
Opuscolo XVII febbraio 1956: eccellente presentazione dei dibattiti e dei problemi che
precedettero l’emigrazione.
In inglese:
• Roger Geymonat, in: Giorgio Tourn and Associates, You Are my Witness, Claudiana: E’ la
versione americana del libro di Tourn sulla Storia Valdese. Le pagine 233-270 sono state scritte
da Roger Geymonat, uno storico valdese uruguayano, che colloca la vicenda dell’emigrazione
valdese nel più ampio contesto economico, sociale e politico di Uruguay e Argentina. Eccellente.
Per chi legge l’inglese è un testo da non perdere assolutamente. E’ la sintesi del suo libro in
spagnolo “El templo y la escuela”.
(Queste pubblicazioni sono reperibili presso il Centro Culturale Valdese di Torre Pellice).
__________________________________________________________________
«L’emigrazione dei valdesi nel Nuovo Mondo non fu il risultato di persecuzioni religiose, ma di
cattive condizioni economiche. Le piccole Valli Valdesi alla fine della prima metà del XIX secolo
erano ormai sovraffollate: nel 1844 almeno un migliaio dei circa 22.000 valdesi delle valli era
emigrato, prevalentemente in Francia. Si trattò di movimenti poco organizzati e per questo in quegli
anni fiorirono diversi progetti per aiutare l’emigrazione dei protestanti italiani: un progetto di creare
una colonia nei pressi di Montreal nel 1841 non ebbe seguito, un altro ancora del 1845 del governo
francese di creare una colonia in Algeria non si realizzò. La Tavola Valdese discusse altri progetti
che riguardavano l’emigrazione di gruppi di famiglie in Italia e all’estero: Sardegna, Stati Uniti,
Australia. (…)
Negli anni a seguire la situazione si complicò a causa del cattivo raccolto di patate e dalla scarsa
produzione di uva. (…)
Emigrare dunque era ormai una necessità per molti, ed è per questo che diversi progetti vennero
presi in considerazione dalla Tavola Valdese; tra questi vi fu quello del governo di Santa Fè in
Argentina.»
Tratto da: Maurizio Carmelina, “L’emigrazione dei Valdesi in Sud America”, 150 anni fa
dalla Val Pellice a Montevideo, Ed. Alzani, 2008, pp.47-48
“Non è amore di avventure, né desiderio di guadagno che ci spingono a trasferire le nostre giovani
famiglie al di là dell’Oceano, in un paese lontano che nessuno di noi conosce dal quale
probabilmente nessuno di noi tornerà più. No, è la sofferenza, la miseria, la fame che ci cacciano
dalle nostre terre”
(Lettera di Baridon, citata da Maurizio C., “L’emigrazione dei valdesi in Sud America”, p.47)
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LA CHIESA VALDESE E L’OPERA MISSIONARIA
Franco Tagliero
Terminologia
Comunemente si definisce “Missione” l’opera di evangelizzazione fuori dai confini della Chiesa (o
del paese). Si parla anche di Missione esterna. Comunque “Missione” è tutto ciò che ha a che fare
con l’opera di testimonianza della chiesa di Gesù Cristo.
“Evangelizzazione” è invece il termine usato per la “Missione Interna”.
La Chiesa Valdese è definita Chiesa Missionaria fin dall’epoca dei barba...
Il testo evangelico fondante la Missione è Matteo 28,19.
Inizio della Missione evangelica nel mondo
Fin dalla fine del 1700 inizia nelle chiese evangeliche europee un movimento “missionario”
stimolato dal “Risveglio”. Nascono iniziative che sono propriamente emanazione delle Chiese. Si
tratta di andare a convertire i “pagani”. Nascono la Missione di Londra (1795), quella di Basilea
(1815), quella di Parigi (1822). Idem succede in Germania e in Svezia, con numerose società.
All’inizio la Chiesa Valdese non entra in queste iniziative. Sono soltanto singole persone che,
all’interno delle parrocchie valligiane (esistevano soltanto quelle!), si danno da fare per collettare in
favore di iniziative missionarie. Pastori e Concistori non sono molto aperti alla novità... Il risveglio
provoca in Val Pellice soprattutto qualche problema di rapporti all’interno stesso delle comunità, in
particolare a Luserna S. Giovanni. Ma questo è un altro argomento.
Qualcosa si muove dopo il 1840. Si forma un comitato di tre persone che durerà fino al 1858. Ci
sono circolari alle chiese e rendiconti delle collette e del loro uso.
La svolta avviene quando, dopo l’emancipazione, si comincia a parlare dell’evangelizzazione
dell’Italia. Nascono nuovi stimoli che permettono una apertura anche verso la missione in terre
lontane, dove esistono i “pagani”...
Viene fondata nel 1861 la Società “Via Uliva”, che organizza bazar e collette per aiutare i
missionari, essenzialmente quelli inviati dalla Società Missionaria Evangelica di Parigi.
Primi missionari valdesi
Per avere i primi missionari valdesi bisogna aspettare il 1881. In realtà già nel 1870 parte per le
isole Samoa Lidia Lantaret, sposata ad un pastore scozzese Nisbet, ma la Chiesa Valdese non ha
troppe notizie al riguardo e non se ne interessa molto.
Nel 1881 il missionario francese (SMEP) François Coillard, operante nello Zambesi (l’odierna
Zambia) partecipa alla festa del 15 agosto a Torre Pellice. Il suo discorso infiamma le coscienze, per
così dire. Vengono fondate le società “Zambesie” a Torre Pellice, alle Valli e a Torino; viene
fondata dagli studenti del Collegio Valdese la Società Missionaria “Pradeltorno” (che opererà fino
agli anni 1960).
Il campo missionario del Lesotho diventa il luogo di impegno del primo missionario, il pastore di
Torre Pellice Weitzecker e di sua moglie (1882). Partono poi per il campo di Missione dello
Zambesi Luigi Jalla (1887) e Adolfo Jalla (1889) (una famiglia di missionari!), seguiti da tutta una
serie di pastori ed insegnanti, tra cui Roberto Coisson, autore del libro citato all’inizio, appartenente
ad un’altra famiglia di missionari.
I missionari valdesi sono generalmente collegati alla SMEP, ma alcuni sono inviati mediante altre
missioni. Per esempio, in Eritrea dove la famiglia Coisson, prima, poi Bruno Tron, esercitano un
ministero apprezzato. La presenza di missionari italiani in quel paese negli anni 30 non è
indipendente dal fatto che l’Italia ha intenzioni colonialiste...
Gabon (Anita Gay) e Camerun, la lontana Cina, la Polinesia (la signorina Spelta e il pastore
Giovanni Conte), il Madagascar sono altri campi di missione dove esercitano missionari valdesi.
L’ultima “missionaria” valdese è stata Laura Nisbet che ora risiede a Torre Pellice. Ha insegnato
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francese nelle scuole pastorali del Lesotho fin nei primi anni 90, prima era stata in Gabon e in
Zambia.
Una nuova visione della Missione.
A partire dagli anni 1960 le comunità Evangeliche fondate dai missionari diventano indipendenti. Si
costituiscono in Chiese strutturate istituzionalmente come quelle europee. Poco alla volta, la SMEP
soprattutto, è portata a meditare sulla Missione, che sta prendendo altre forme.
Nel 1971 a Parigi la SMEP chiude i battenti e nasce la CEVAA, allora Comunità Evangelica di
Azione Apostolica, ora Comunità di Chiese in Missione. La Chiesa Valdese è tra i membri
fondatori della nuova realtà missionaria.
Si tratta di un modo “comunitario” di vivere la missione della chiesa. Missionari sono quelli del
nord che vanno al sud, ma anche quelli del sud che vengono al nord. La condivisione delle risorse
umane, materiali e spirituali diventa un po’ il programma di questa comunità di chiese.
Negli anni 80 anche la Chiesa Valdese del Rio de La Plata e la Chiesa Metodista in Italia diventano
membri della CEVAA.
Bibliografia
Non esiste un testo di taglio storico-critico sulla Missione “valdese”. L’unico testo a cui si può per il
momento fare riferimento è “I valdesi e l’opera missionaria” di Roberto Coisson, edito nel 1979. E’
un testo utilissimo, ma il suo limite è quello di presentare la missione dall’interno, per così dire.
Articoli vari si possono trovare sull’Eco delle valli (La Luce - Riforma). In francese esiste un bel
libro di Jean François Zorn sulla Missione della SMEP (Società Missionaria di Parigi), che la
Biblioteca Valdese di Torre Pellice possiede. Questo testo analizza anche i rapporti tra missione e
colonizzazione, argomento delicato e portatore di pregiudizi.
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TERMINI CENTRALI NELLA DOTTRINA PROTESTANTE
Gianni Genre
Fede
Per i cattolici del tempo della Riforma lo scopo della vita è di salvare la propria anima, guadagnarsi
la salvezza.
Secondo Calvino la cosa fondamentale è di rendere gloria a Dio e non di salvare la propria anima: a
questo ci ha già pensato Gesù Cristo con la morte sulla croce.
Per i riformatori il senso della vita non è l’anima ma Dio. Il senso della vita è di capire come si può
servire Dio attraverso il servizio agli altri.
Chiesa
Nella teologia cattolica la chiesa è infallibile mentre i riformatori dicono che la chiesa deve esser
continuamente riformata.
La chiesa non è l’istituzione, è sempre soltanto un tentativo di vivere insieme secondo la fede
cristiana. La chiesa è l’assemblea dei credenti chiamati da Dio.
Il tempio è solo un locale in cui ritrovarsi, non è uno spazio sacro, non viene consacrato. Dio c’è
sempre ovunque, anche fuori dal tempio, in casa, al lavoro...
Vocazione
Per la riforma protestante Dio non ti chiama ad una vocazione religiosa, ma in qualunque lavoro tu
faccia Dio ti segue (prete o ciabattino, dice Lutero). Solo il lavoro di magistrato poteva esser
considerato al di sopra degli altri perché deve formulare delle leggi al di sopra di tutti.
La vocazione si vive in una dimensione totalmente profana.
Crediamo nel sacerdozio universale anche se abbiamo dei pastori.
Laicità
La laicità (e non laicismo) significa che il magistrato non deve prendere ordini dalla chiesa.
Laicità significa che Dio ci parla nella vita di tutti i giorni e che non si serve di persone sacre per
parlarci.
Confronto
Finché vivrò dovrò sempre confrontarmi, mettere in discussione le mie idee, le mie convinzioni.
Questa prassi è più faticosa del clericalismo cattolico o del fondamentalismo.
Dal confronto nasce l’identità, diceva Lutero.
Libertà
Il cristiano è libero, signore su ogni cosa e servo di tutti: libertà e servizio sono strettamente legati.
La libertà mi consente di agire scegliendo personalmente.
Semplicità
La semplicità è intesa come ritorno all’essenziale della fede cristiana: sola fede, sola grazia, sola
scrittura. Non c’è bisogno di aggiungere altro.
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DIFFERENZE TRA CHIESA RIFORMATA E CHIESA LUTERANA
Bruno Rostagno
Protestantesimo: origine e sviluppo
Le prime chiese cosiddette protestanti nascono dal movimento della Riforma del 1500.
Tutti i riformatori volevano riformare la Chiesa Cristiana esistente riportandola alla realtà che si
poteva rintracciare nei testi biblici. Non volevano fondare una nuova chiesa.
Il protestantesimo ha forme diverse, dovute a situazioni storiche diverse:
 Le Chiese Luterane si collegano direttamente a Lutero e alle sue indicazioni. Si sviluppano in
Germania, nel nord Europa, poi anche in America. Lutero e i suoi collaboratori hanno proposto
delle novità per riformare la chiesa. Non tutti i riformatori sono completamente d’accordo con
Lutero e i luterani.
 Le chiese che nascono per opera dei riformatori a Strasburgo, Basilea, Zurigo, Ginevra ... si
distaccano in parte da Lutero e prendono il nome di Chiese Riformate.
Differenze Chiesa Luterana e Chiese Riformate
• Nel modo di fare il culto:
 La Chiesa Luterana assomiglia di più alla chiesa cattolica: Altare, ceri, culto chiamato
messa; Colori diversi usati a seconda della liturgia (es.: per il periodo di Natale si usa il
viola, colore della penitenza); Il pulpito non è centrale ma di lato, l’abside è spaziosa e
permette di celebrare la santa cena; La liturgia è più ricca di quella riformata: il pastore
inizia cantando, la comunità risponde cantando, il padre nostro è detto ad alta voce in
coro; C’è maggior apertura verso le immagini e le statue, ecc.
In pratica i Luterani conservano tutto ciò che la Bibbia non proibisce.
 I Riformati hanno preso solo quello di cui si fa cenno nella Bibbia, escludendo tutto
quello che non è menzionato esplicitamente. Il culto riformato è ridotto all’essenziale:
l’unico segno rimasto è la Bibbia aperta. A Zurigo, nei primi tempi era stato escluso
anche il canto, mantenendo solo la predicazione, poi sono state aggiunte le preghiere.
• Nell’organizzazione della chiesa:
 Per i Riformati la direzione della chiesa è data dai sinodi. Inoltre è data grande
importanza alle facoltà di teologia.
 Le Chiese Luterane ora hanno anche dei sinodi, ma all’inizio non era così. Le chiese
luterane sono state organizzate da decisioni di principi e re che hanno aderito alla
Riforma. La separazione tra chiesa e stato è stata data solo dopo la seconda guerra
mondiale. Il potere dei sovrani era grande, ma controbilanciato dai vescovi luterani e dai
teologi. Grande importanza della facoltà di teologia.
C’è interscambio e comunione tra luterani e riformati.
Oggi le differenze vanno sfumando. Esistono chiese unite di luterani e riformati.
Altre Chiese Protestanti
Nei secoli successivi si affiancano alle chiese nate con la Riforma altre chiese protestanti:
• I Battisti fanno parte delle chiese storiche della Riforma e discendono dai movimenti più
radicali, emarginati all’inizio sia dai Luterani che dai Riformati.
• Gli Anglicani sono la Chiesa d’Inghilterra, nata nel ‘500 che si è trasformata lentamente in
chiesa protestante. Sono di teologia riformata e di ecclesiologia più simile alla chiesa cattolica.
• I Metodisti si sviluppano all’interno della chiesa anglicana, promuovendo la predicazione e
l’azione sociale. Nell’800 escono dalla chiesa anglicana e formano la chiesa metodista.
• I Pentecostali sono un risultato del movimento del Risveglio. Nascono all’inizio del nostro
secolo. Al centro per loro sta l’opera dello Spirito Santo. Non hanno un’organizzazione
strutturata. In Italia si riconoscono nella maggior parte nelle “Assemblee di Dio” (ADI), ma
59
•
•
esistono anche molte chiese pentecostali libere. Sono in espansione nel Sud America e nel SudEst Asiatico.
La Chiesa dei Fratelli è più antica dei pentecostali. Ha origine da italiani emigrati in Inghilterra
che hanno conosciuto la Bibbia, frequentando gruppi che tra loro si chiamavano “fratelli”.
Tornati in Italia hanno fondato la chiesa. Rifiutano ogni legame istituzionale. Per loro non è
possibile la Chiesa di Cristo sulla terra.
L’Esercito della Salvezza è una diramazione del metodismo. Nasce alla fine del secolo scorso.
Caratterizzato da un grande impegno sociale. Ha un’organizzazione su modello militare: un
esercito spirituale. Hanno divise, gerarchie, mense ed alloggi per i poveri. Si rivolgevano
soprattutto agli emarginati. Non hanno battesimo né santa cena perché la vera comunione si vive
nella sfera sociale.
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PROTESTANTI E CATTOLICI A CONFRONTO
Donato Mazzarella
Come afferma il Documento su L’ecumenismo e il dialogo interreligioso, approvato dal Sinodo
delle Chiese Valdesi e Metodiste nel 1998, «Cattolicesimo e Protestantesimo, pur richiamandosi
allo stesso Signore, sono due modi diversi di intendere e vivere il Cristianesimo». Se vogliamo fare
un onesto confronto tra cattolicesimo e protestantesimo, al di là delle sterili polemiche e dei
pericolosi compromessi, dobbiamo tenere presente innanzitutto che essi si pongono come alternativi
e non complementari. Soltanto se siamo al chiaro su questo punto, coscienti che esiste ciò che ci
unisce ma anche ciò che ci divide, possiamo portare avanti un serio discorso ecumenico.
Elementi comuni
• La fede in un solo Dio, creatore del mondo e Padre dell’intera umanità.
• Gesù Cristo è il figlio di Dio, vissuto, morto e risuscitato per salvarci e liberarci dal dominio del
male.
• Dio opera in mezzo all’umanità mediante il suo Spirito e ha raccolto la sua chiesa che è formata
da coloro che credono in lui e che sono stati battezzati.
• La Bibbia contiene la testimonianza di fede del popolo di Israele e della prima comunità cristiana
attraverso la quale Dio parla a noi oggi mediante l’opera dello Spirito Santo. Oggi sia evangelici
che cattolici ritengono della massima importanza la conoscenza della Bibbia: non a caso una
delle iniziative ecumeniche che ha riscosso maggior successo è stata la traduzione
interconfessionale della Bibbia in lingua corrente (TILC).
• Essere cristiani significa vivere una vita nuova nella fede, nella speranza e nell’amore.
Differenze fondamentali
Molte persone, sia evangeliche che cattoliche, guardano alle differenze tra cattolicesimo e
protestantesimo facendo riferimento soprattutto a ciò che il cattolicesimo ha in più: il papato, il
culto di Maria e dei santi, le immagini, il celibato dei preti, ecc. In realtà tutte queste cose, e altre
ancora, derivano da quella che è la differenza fondamentale, che va ricercata a partire dalla risposta
ad una semplice ma cruciale domanda: chi è il mediatore tra Dio e l’umanità?
A tale domanda il protestantesimo risponde, secondo la Bibbia, che il mediatore è Gesù Cristo (l
Timoteo 2,5-6), soltanto Gesù Cristo e nessun’altra persona o realtà: solo attraverso l’opera
redentrice di Gesù Cristo possiamo ottenere la salvezza (Atti 4,12).
Anche nella risposta cattolica si afferma che Gesù Cristo è l’unico mediatore, ma questa
affermazione viene intesa nel senso che Gesù è il mediatore principale, senza l’opera del quale non
vi può essere salvezza; però accanto a Gesù Cristo vi è spazio per altri mediatori: Maria, i santi e,
soprattutto, la chiesa stessa. E particolarmente dal concetto di chiesa mediatrice derivano le
differenze che noi possiamo osservare:
• La Chiesa Cattolica ha una struttura gerarchica, paragonabile a una piramide. Al vertice c’è il
papa con i vescovi, a lui subordinati. Questo vertice (magistero) governa la chiesa e definisce le
verità di fede. Gli Evangelici, invece, vivono una realtà di chiesa senza gerarchie, governata
dall’unico capo che è Gesù Cristo. Le decisioni sulla vita della chiesa vengono prese nelle
assemblee, a cui tutti i membri partecipano o sono rappresentati.
• Nella Chiesa Cattolica la mediazione viene esercitata attraverso i sacerdoti, uomini ai quali viene
conferito dal magistero il potere di celebrare i sacramenti. Secondo le Chiese Evangeliche,
invece, lo Spirito Santo opera con i suoi doni in tutti i credenti; coloro che sono chiamati a
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svolgere un servizio specializzato (per esempio il ministero pastorale) non ricevono un
particolare potere che li distingue dagli altri membri.
• La Chiesa Cattolica ha aggiunto altri cinque sacramenti ai due presenti nel Cristianesimo
primitivo e recepiti dal Protestantesimo (il Battesimo e la S. Cena).
• La mediazione riguarda anche l’interpretazione della Bibbia: la Chiesa Cattolica afferma che
solo il magistero può interpretare correttamente la Sacra Scrittura; tale interpretazione viene
chiamata Tradizione e ha per la Chiesa Cattolica la stessa autorità della Bibbia. Il
Protestantesimo, invece, ritiene che la Bibbia sia la norma per la fede e la vita della chiesa e che
la sua autorità non abbia bisogno di essere legittimata altrimenti.
• Il Cattolicesimo accetta la venerazione resa a Maria madre di Gesù e ai santi. Il Protestantesimo
ritiene che il culto vada reso solo a Dio Padre, Figlio e Spirito Santo (Matteo, 4,10).
Come abbiamo visto, ciò che accomuna Cattolici e Protestanti è qualcosa di molto importante e
significativo, ma anche ciò che li divide non può essere ignorato o minimizzato se si vuole fare
seriamente un cammino ecumenico.
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SEI DOMANDE IMBARAZZANTI
1) I VALDESI CREDONO ALL’INFERNO, AL PURGATORIO, AL PARADISO?
Past. Giorgio Tourn
I valdesi del Medio Evo non credono nel purgatorio. Esistono solo due vie: il bene porta al cielo, il
male all’inferno. Approvazione o condanna, non esiste via di mezzo. Il resto è un’invenzione della
Chiesa Romana per “spillare” soldi.
Demolire la teoria del purgatorio è un colpo duro per la struttura ecclesiastica del tempo. La chiesa
del medio evo è la più colossale azienda finanziaria del tempo. La teoria del purgatorio rappresenta
una grossa fonte di guadagno per la chiesa.
I valdesi erano contrari non per polemica contro la chiesa, ma perché del purgatorio non si fa
menzione nella Bibbia.
Past. Bruno Rostagno
Purgatorio, inferno, paradiso: sono rappresentazioni che vengono dalla cultura. Noi preferiamo
termini biblici come: vita nuova, nuova creazione, Regno di Dio.
L’aldilà e “l’aldiqua” non sono due realtà separate. La comunione con Dio è possibile già ora (tra di
noi e con Dio).
A volte nella vita possiamo già sperimentare il “paradiso”, anche se ci sono limiti come sofferenza,
incostanza, ecc...
Attendiamo la realizzazione piena della comunione con Dio.
Il purgatorio non ha senso perché non c’è bisogno di espiare dopo la croce di Cristo.
Il paradiso è la piena comunione con Dio.
L’inferno è l’esclusione dalla comunione. Ci sono due posizioni diverse sull’inferno: Per alcuni la
grazia di Dio è così forte da vincere ogni distanza, per altri chi si ribella si esclude per sempre dalla
comunione con Dio.
Past. Gianni Genre
Non c’è per noi un confine preciso tra aldiquà e aldilà.
Noi viviamo la dimensione della resurrezione già ora. La parola di Dio ti afferra già qui ed ora.
La resurrezione non è legata a un futuro lontano, ma è quando capisci che la tua vita ha un senso
particolare.
Dio spezza il passaggio dalla morte alla resurrezione.
Per noi la morte è la fine della vita fisica. Per il Nuovo Testamento è quando si spezza il rapporto
con la vita, con gli altri, con Dio.
Per il messaggio evangelico si può esser morti anche da vivi e si può vivere anche dopo la morte
fisica.
Past. Daniela Di Carlo
Sì, ma possiamo dir poco. Esiste la teoria dei buoni e dei cattivi, e quella della accoglienza
incondizionata.
Come evangelici non siamo molto interessati a definire l’aldilà. Non abbiamo elementi per
occuparcene. Lasciamo che ci pensi Dio.
Dott. Daniele Tron
Al purgatorio non ha mai creduto nessun movimento ereticale.
Il purgatorio è stato inventato intorno all’anno mille per proporre una soluzione mediana alla
drastica alternativa tra salvezza e dannazione che procurava angosce e conflitti interiori.
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Il paradiso per la teologia riformata esiste come luogo ideale; mentre l’inferno è la negazione del
paradiso (“antiparadiso”).
Nel ‘500 la cultura è di tipo ellenico, più propensa all’immagine dell’inferno e del paradiso che al
concetto neotestamentario della resurrezione.
Prof. Giorgio Rochat
Non mi sono mai posto il problema.
Credo nella potenza del Signore e nella sua misericordia.
Il purgatorio non esiste. Il Signore decide chi sarà salvato e chi punito.
2) I VALDESI CREDONO NELL’IMMORTALITÀ DELL’ANIMA?
Past. Giorgio Tourn
Platone dice che tu vieni da un altro mondo e in questo mondo aspiri sempre a tornare in quell’altro.
Nella Bibbia non se ne parla mai.
Nella Bibbia si dice che Dio ha creato nel mondo. Tu hai un’origine: la creazione di Dio.
L’immortalità nella Bibbia è credere che l’esistenza non si dissolve dopo la morte. Dio si prende
cura di noi dopo la morte. Dove, quando e come non è detto.
Past. Bruno Rostagno
Crediamo nella resurrezione, che è una cosa diversa.
Dio ci darà una nuova vita.
La persona risorgerà.
Past. Gianni Genre
Non crediamo all’immortalità dell’anima. È un concetto della filosofia greca.
Anima e corpo sono mortali.
Resurrezione dell’individuo: creazione nuova di ciò che la nostra esistenza ha significato.
Past. Daniela Di Carlo
Il corpo e la psiche sono collegati, non separati.
Non esiste l’immortalità dell’anima perché l’individuo è uno.
Crediamo nella Resurrezione.
Dott. Daniele Tron
Una volta certamente sì. La cultura del ‘500 era più greca che giudaica.
Oggi la teologia non ne parla più.
Sono sicuro però che molti valdesi credono alla divisione anima-corpo.
Prof. Giorgio Rochat
Se ne parla nella Bibbia e nel credo.
Ci credo una volta chiarito cosa si intende per anima.
3) COS’È IL MATRIMONIO PER VOI? E IL DIVORZIO?
Past. Giorgio Tourn
Matrimonio: due persone che decidono di vivere insieme. Non esiste un matrimonio cristiano e uno
non cristiano; piuttosto c’è un modo cristiano di vivere il matrimonio. Nella Bibbia non c’è un
matrimonio religioso.
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Divorzio: come comunità cristiana prendiamo atto che il matrimonio è fallito. Il divorzio è un
fallimento, un peccato, una tragedia, non una colpa dell’uno o dell’altra. Il divorzio, come il
matrimonio è pronunciato dallo stato civile.
Il sinodo ha fatto una norma precisa: la richiesta di benedizione di un matrimonio di divorziati va
esaminata dal concistoro, non deve essere di scandalo alla comunità.
Past. Bruno Rostagno
Matrimonio: patto tra due persone (uomo-donna). La coppia può richiedere la benedizione di Dio
sull’unione.
Divorzio: la nostra chiesa non ha una posizione favorevole, è una crisi non auspicabile. Ma quando
il matrimonio è crollato bisogna prenderne atto e permettere malgrado tutto la ricostruzione di un
altro.
Past. Gianni Genre
Il matrimonio religioso è una scommessa per vivere un progetto umano particolare. E’ la relazione
più importante di tutta la vita.
Il divorzio non è auspicabile, ma meglio dire: “ci siamo sbagliati” che continuare un rapporto
insostenibile.
Past. Daniela Di Carlo
Matrimonio: patto tra due persone. Ha senso che sia benedetto in chiesa solo se i due sposi sono
membri attivi della comunità.
Matrimonio tra omosessuali: non si è mai presentato il caso da noi finora. Se si presentasse, deve
decidere il concistoro. In altri paesi protestanti esiste in alcune comunità (es.: USA)
Divorzio: patto interrotto.
Dott. Daniele Tron
Il matrimonio non è un sacramento.
Sul divorzio, ci sono documenti sinodali del ‘600 e del ‘700 che lo autorizzano (soprattutto per
cautelare le donne). Nella campagna del referendum per abrogare la legge sul divorzio i valdesi
hanno votato tutti a favore della legge perché ritenevano giusto che lo stato lo ammettesse, ma molti
si sono dichiarati personalmente contrari.
Prof. Giorgio Rochat
Con il matrimonio due persone si mettono insieme davanti allo stato. Poi, chi vuole, fa seguire una
benedizione in chiesa
Fino al Concordato tra stato italiano e chiesa cattolica (Mussolini e il papa) del 1929, il matrimonio
era per tutti i cittadini separato: prima quello civile, poi, per chi voleva, quello religioso.
4) NON AVETE DOGMI, NÈ GERARCHIE: ALLORA OGNUNO FA QUELLO CHE VUOLE?
Past. Giorgio Tourn
Il riferimento normativo è il vangelo.
No ai dogmi, no al magistero.
Past. Bruno Rostagno
Se i “dogmi” sono le verità affermate da autorità ecclesiastiche, non li abbiamo.
Abbiamo però dei punti fermi, centrali.
C’è da noi libertà, ma esiste un legame, un impegno un confronto.
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No alla gerarchia ma si alle assemblee, alle confessioni di fede, agli articoli che enunciano ciò che
crediamo.
Past. Gianni Genre
Non aver dogmi è un rischio da correre.
Preferiamo un riferimento alla scrittura con una lettura nostra, libera.
Per le chiese storiche si tratta di una lettura critica, per le chiese del risveglio una lettura
fondamentalista.
Per Lutero la Bibbia è insieme legge e libertà.
Le nostre chiese accettano questa sfida.
Sappiamo che Dio non può essere oggettivato, neanche nella parola. Dio è aldilà di questo.
Past. Daniela Di Carlo
No dogmi, ma organizzazione ecclesiastica col “vertice in basso” (sinodi, assemblee).
Siamo più liberi nel rapporto con Dio, senza mediazioni.
Dott. Daniele Tron
Anche nel ‘600 facevano la stessa domanda ai riformati.
Le gerarchie ci sono anche da noi.
La chiesa valdese è strutturata. La prima struttura disciplinare è del 1564.
I “dogmi” ci sono.
Alla confessione ugonotta della Rochelle aderiscono anche i valdesi nel 1559
Prof. Giorgio Rochat
La chiesa protestante ha ordine, responsabilità, ma non gerarchie autoritarie.
I responsabili, eletti dai credenti, decidono delle regole, che sono accettate da tutta la comunità, ma
che possono anche cambiare secondo i tempi e i luoghi.
5) I VALDESI NON SI VEDONO, NON SI SENTONO. NON VI INTERESSA CONVERTIRE?
Past. Giorgio Tourn
I valdesi sbagliano: devono comunicare le loro esperienze storiche.
Non valutano abbastanza i doni che hanno ricevuto.
Non vogliamo convertire, ma fare insieme un percorso di fede alla ricerca del vangelo.
Past. Bruno Rostagno
Non giriamo di porta in porta, ma non ci ritiriamo.
Siamo presenti con libri, settimanali, radio, televisione, servizi stampa, ecc.
Ci vogliamo far conoscere, ma lasciando agli altri la libertà di ascoltarci o no.
Past. Gianni Genre
E’ vero, il proselitismo non è la nostra vocazione.
Non abbiamo la verità in tasca.
Il nostro è un tirocinio che non finisce mai.
Siamo aperti al confronto.
Past. Daniela Di Carlo
No, non ci interessa convertire
Ci presentiamo all’esterno in tante occasioni.
Sta a chi si sente attratto di venirci incontro.
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Dott. Daniele Tron
Siamo una minoranza!
In Piemonte è più conosciuto il nome valdese che protestante o evangelico.
L’8 per mille ce lo danno in molti, quindi ci conoscono.
Altri gruppi fanno più proselitismo.
Nell’800 abbiamo capito che l’Italia non sarà protestante,
Preferisco esser minoranza!
Prof. Giorgio Rochat
La vita collettiva è cambiata, certe forme di propaganda di piazza hanno fatto il loro tempo (anche
nella politica).
La nostra chiesa non si estende più con campagne di evangelizzazione, né per matrimoni misti o
battesimi, ma per convinzioni personali.
6) IN FONDO SIAMO TUTTI CRISTIANI,…. NON È PIÙ COME UNA VOLTA!
Past. Giorgio Tourn
Una volta la nostra identità personale era fortemente collegata alla nostra confessione religiosa. La
religione costituiva l’identità.
Ora la religione è un fatto del tutto privato che non determina la nostra identità sociale, quindi
nemmeno la differenza. Apparentemente siamo tutti uguali.
Past. Bruno Rostagno
Oggi non ci si fa più la guerra, ma ci sono ancora delle differenze.
Sarà questione di tempo? Non è automatico.
Delle divisioni sono scomparse, ma ne nascono di nuove.
Noi auspichiamo di confrontarci sulla parola di Dio.
Past. Gianni Genre
La stessa fede cristiana viene espressa in modo diverso davanti a Dio.
Anche se un giorno fossimo una sola chiesa, esisterà sempre un modo cattolico e un modo
protestante di rapportarsi a Dio.
Past. Daniela Di Carlo
Ben venga la diversità! Segno positivo di una varietà che esiste nel mondo.
L’incontro è un incontro di differenze.
Non dobbiamo tendere all’omologazione.
Dott. Daniele Tron
Non siamo tutti uguali!
Non c’è di peggio di questo concetto di assimilazione.
E’ difficile e importante far capire alla gente che la diversità non è un concetto negativo.
Siamo diversi e sullo stesso piano (non superiori o inferiori).
Prof. Giorgio Rochat
Le differenze permangono e hanno un valore (vedi Jugoslavia).
Bisogna studiare le differenze per capirle e confrontarsi.
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PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA DOTTRINA PROTESTANTE
Sergio Ribet
Domande tipo a cui viene sottoposto un accompagnatore valdese
Prima domanda: Chi sono i valdesi?
trovare una risposta in positivo (non definirsi immediatamente in contrasto con il cattolicesimo)
Seconda domanda: Sei valdese?
articolare la risposta (es.: sì, però non nata e cresciuta qui; sì ma la mia famiglia era cattolica; sì e
mio marito è cattolico; sì, anche se non sono membro di chiesa; no, solo simpatizzante; non ancora;
no, ma sono protestante: battista, metodista…)
Terza domanda: Sono protestanti i valdesi?
Sì. È a questo punto che val la pena riflettere sui «principi fondamentali della dottrina protestante».
Quarta domanda: quali sono i «principi fondamentali della dottrina protestante? tentare di spiegarsi
parlando «come si mangia». Questo non significa non saper rispondere accademicamente: «Solus
Christus, Sola Scriptura, Sola Gratia, Sola Fide».
Polemica e apologia. Due facce della stessa medaglia
Servono oggi? Se sì, in che modo? Se no con che cosa si risponde?
Questioni ricorrenti
- Come erano belli i valdesi del medioevo......(pensiero espresso da cattolici o da alcune chiese
carismatiche come avventisti).
- Ma esiste una spiritualità valdese?
- E’ vero che i protestanti possono interpretare la Bibbia ciascuno a suo modo? (libero esame)
- Essere salvati per grazia è comodo.........
- Ma in fondo siamo tutti cristiani. Non è più come una volta!
- Ma da voi chi decide?
Questioni di metodo
-Quando parlo, lo faccio «a titolo personale», o sono una voce autorevole, o presento «la» dottrina
del protestantesimo...?
-Quando posso dire «i protestanti credono così, pensano così» e quando invece devo dire che non
c’è una posizione «ufficiale» del protestantesimo?
-Quando è necessario, o utile, precisare che “così credevano, agivano, pensavano i valdesi del
medioevo, o del 500, o dell’800”, e quando invece è necessario comprendere il valdismo come
qualcosa di unitario?
-Quando si può o si deve dire «non lo so», indicando una fonte più autorevole (uno storico, un
teologo, una bibliografia...) senza sfuggire ad una domanda?
Il compito dell’accompagnatrice/tore (codice deontologico).
-
dire la verità;
essere fedeli al mondo valdese;
essere coerenti;
parlare secondo coscienza...
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-Ma voi chi siete, cosa fate e chi decide?
Siamo dei cristiani, protestanti, con una storia particolare (il movimento valdese precede la Riforma
protestante);
Come quasi tutte le chiese cristiane, oltre al culto (adorazione, preghiera, spiritualità, liturgia) ci
occupiamo di formazione (scuola domenicale, catechismo, studio della Bibbia) e di diaconia
(ospedali, case per anziani, e ,più in generale, attenzione ai problemi sociali, volontariato ecc.).
Chi decide? vedi «Presbiteriani».
-Il Padre l’ho capito (almeno nel mio piccolo), il Figlio idem, ma che funzione ha lo Spirito Santo?
Beato te che hai già capito due terzi della questione!
Il tema c’entra eccome.
Non tutti quelli che si definiscono cristiani hanno una visione trinitaria.
I Valdesi sì. Che vuol dire?
Senza entrare in difficili questioni dogmatiche, è grazie allo Spirito Santo che possiamo credere
possibile una chiesa santa e universale, che altrimenti non vediamo su questa terra, che possiamo
credere possibile una comunione tra i credenti di ogni tempo e di ogni luogo, che possiamo credere
che i nostri peccati ci possono essere rimessi (dai nostri fratelli/sorelle, e, soprattutto, da Dio), e che
a nostra volta, possiamo perdonare a chi ci ha offeso, e solo per lo Spirito Santo possiamo credere
possibile la resurrezione e la vita eterna. Senza lo Spirito tutte queste cose ci sembrerebbero
impossibili.
In altre parole, lo Spirito Santo è Dio, quando agisce in noi e attraverso di noi.
-Lo Spirito Santo in che modo agisce nei valdesi?
Non lo so. Credo che posso dire che lo Spirito Santo ha agito anche nei valdesi, nella loro lunga
storia; spero che possa/voglia agire ancora in mezzo a noi, ma l’azione dello Spirito Santo è come
quella del vento, del fuoco: in qualche modo, si vede «dopo», nei frutti che lascia.
-Vi riunite in assemblee; i luoghi di culto o riunione non sono «sacri»; non avete una voce univoca
su eutanasia, aborto, divorzio; il sesso non è per la sola fecondazione. Cosa vi differenzia da un
ateo? Cosa vi fa essere chiesa?
Forse conviene iniziare dall’ultima domanda. Da un punto di vista umano (per usare parole grosse:
fenomenologico, antropologico) ben poco ci differenzia da un ateo.
Personalmente non credo che il credente abbia «una marcia in più»; a volte ha qualche problema in
più. Forse abbiamo alcuni criteri di valutazione: la parola di Dio, il confronto con quella, e con
fratelli e sorelle.
Dal punto di vista etico (sessualità, aborto, divorzio, eutanasia ecc.) non abbiamo un «magistero»
che ci dica cosa dobbiamo credere, pensare, fare: dobbiamo fare i conti con la nostra libertà e con la
nostra responsabilità (come un ateo).
Cosa ci fa essere chiesa?
Proprio perché non è «sacro» il luogo di culto e di riunione, quel che ci fa essere chiesa è il riunirci,
o il momento assembleare. Neanche questo è «sacro», ma il luogo e il momento del quale
cerchiamo di comprendere quale è la volontà di Dio per noi, come individui e come chiesa. In
questi momenti assembleari, di culto o decisionali, chiediamo che Dio ci assista e ci accompagni: in
questo ci differenziamo da un ateo. Naturalmente anche una persona sola può pregare,
leggere/ascoltare la parola di Dio, prendere delle decisioni, ma in senso proprio per noi è chiesa il
luogo e il tempo dove «due o tre sono riuniti» nel nome di Dio.
69
-Essendo che i Valdesi non hanno il culto della Madonna, cosa credono riguardo ad essa?
Essenzialmente, quel che la Bibbia dice di lei. Per esempio, nell’episodio delle nozze di Cana,
Maria dice, parlando di Gesù:
«Fate tutto quello che vi dirà»: questo è un grande insegnamento che ci viene da Maria.
Può essere interessante (ri)leggere in G.Tourn, «I Valdesi.....», III ed., 1999, a pag.21 e 22, le prime
«Letture» proposte: «Nudi seguendo Cristo nudo» e «La professione di fede di Valdo»: i valdesi
medievali credono «nella madre di Cristo» e «nella beata sempre vergine Maria».
Ricordiamo anche che i Riformatori non ebbero timore di usare il titolo di Maria «Madre di Dio»,
risalente ai concili di Efeso (431) e Calcedonia (451), pur sottolineandone la portata cristologica e
non mariologica (il titolo serve a tenere unite le due nature di Cristo, vero uomo e vero Dio, e non a
dare onore a Maria).
Cfr. Emidio Campi, Via Antiqua, umanesimo o riforma. Zwingli e la vergine Maria A.Meynier ed.,
Torino 1986, pag.27-30.
Roberto Nisbet, «Ma il vangelo non dice così,» Claud. To, 1974 (XVI ed., p.89).
-I valdesi credono al paradiso/purgatorio/inferno?
Certamente i valdesi non credono nell’esistenza del purgatorio (e del limbo). Cfr.già nel 1335 la
dichiarazione di Peroneta (G.Tourn, citato, pag.49). Più complesso dire cosa credano oggi i valdesi
a proposito del paradiso e dell’inferno: del resto anche nel cattolicesimo si è detto recentemente che
l’inferno «non è un luogo fisico».
Mi pare si possa dire che per i valdesi è più importante cercare di capire che cosa dice la Bibbia
sulla resurrezione che disquisire su termini come paradiso e inferno in termini di filosofia medievale
più che di riflessione biblica.
-Il periodo del Risveglio: un bilancio dal punto di vista della fede e della teologia.
In due parole: riscoperta di una fede personale e individuale.
Cfr.G.Tourn, pp.214-215. Vedi anche G.Tourn, «Daniel un valdese giacobino», Cl. TO 2000.
Per approfondire, Giuseppe Gangale, «Revival», Sellerio ed.Palermo 1991, (la prima edizione è del
1929).
-La Chiesa valdese è una chiesa presbiteriana?
Direi di sì.
G.Bouchard in Chiese e movimenti evangelici del nostro tempo( Cl.1992, p.31 e seguenti) parlando
de «Le chiese riformate» (cioè le chiese protestanti che si rifanno a Calvino più che a Lutero)
distingue queste in «zwingliani, riformati, presbiteriani e congregazionalisti». Si dicono
presbiteriani soprattutto i riformati di area anglosassone; ma può anche esservi una sottolineatura
relativa al tipo di organizzazione (presbìtero = anziano, presbitèri= un gruppo di chiese, guidate
dagli anziani).
Le chiese riformate o presbiteriane sono guidate da una gerarchia di assemblee, o generalmente
sono «sinodali» (il Sinodo come massima assemblea, composto da deputati delle chiese e pastori).
La chiesa valdese è una chiesa riformata, di tipo presbiteriano, con una sua storia specifica (anche in
periodo pre-riformato).
-Come esistono dei principi del Protestantesimo quali sono quelli del Cattolicesimo?
In due parole: una visione sacramentale, gerarchica e mediatrice della chiesa, prolungamento di
Cristo in terra.
Un bel libro di Ernesto Comba, Cristianesimo e cattolicesimo romano (Claudiana 1951, reprint
1981) dà la visione dei nostri padri, polemico-apologetica.
In sintesi, si può vedere R.Nisbet, Ma il vangelo non dice così.
70
Più scientifico, Vittorio Subilia, Il problema del cattolicesimo, Claudiana 1962.
Una presentazione esauriente dovrebbe conoscere il Vaticano II (1962-1965) e il dopo Concilio. Su
questo punto converrebbe chiedere un supplemento di informazione ai pastori locali. Sarebbe anche
interessante chiedere ad un sacerdote cattolico una breve definizione dei principi del Cattolicesimo.
-Quali sono le differenze principali tra la religione valdese e quella cattolica?
Sarei un po' pignolo: la religione è la stessa (la cristiana, nel bene e nel male); nel cristianesimo vi
sono varie confessioni: in ordine cronologico la ortodossa, la cattolica, la protestante.... ecc.
Tra protestanti e cattolici la differenza principale mi pare essere oggi la concezione della chiesa: per
i protestanti una chiesa testimone di Cristo, per i cattolici una chiesa che amministra (per conto di
Cristo) la salvezza.
Anche qui vorrei una risposta cattolica, non caricaturale, e un parere del pastore locale.
Mi pare importante anche indicare un approccio diverso in campo etico: nel mondo cattolico, una
obbedienza al magistero della chiesa (campo sessualità, ma anche dottrina sociale della chiesa,
ecc.), in sede protestante il binomio libertà/ responsabilità.
Non dimentichiamo tuttavia che il Concilio Vaticano II ha parlato, per la prima volta in sede
ufficiale, del primato della coscienza.
71
COS’È IL SINODO
Estratto da www.chiesavaldese.org/pages/sinodo
In base alle discipline della Chiesa valdese, questa "Chiesa è retta da una gerarchia di
assemblee, aventi ciascuna un proprio ambito di competenze: l’assemblea di ogni chiesa locale,
l’assemblea di ogni raggruppamento regionale o territoriale di chiese (distretto, nell’ordinamento
valdese, a cui si sono aggiunti i circuiti dell’ordinamento metodista, che sono circoscrizioni più
piccole all’interno dei distretti), il Sinodo, nelle sue due sessioni italiana e rioplatense" (Disciplina
generale delle chiese valdesi, art. 7).
"Il Sinodo è l’assemblea generale che esprime l’unità di tutte le chiese. Nello svolgimento
delle sue attività agisce nell’obbedienza alla Parola di Dio, come assemblea di credenti che
ricerca la guida dello Spirito Santo. Esso è la massima autorità umana della Chiesa in materia
dottrinaria, legislativa, giurisdizionale e di governo. " (DV, art. 27).
Il Sinodo delle chiese metodiste e valdesi è composto da 180 membri con voce deliberativa, a cui si
aggiunge un numero variabile di membri con voce consultiva.
Si apre con un culto durante il quale i futuri ministri, al termine dei loro studi e dopo un
esame pubblico, si impegnano a servire nella Chiesa e vengono consacrati con l’imposizione delle
mani.
L’assemblea sinodale affronta argomenti di carattere generale riguardanti la vita delle
chiese e della loro testimonianza:
- annuncio dell’Evangelo all’interno e all’esterno in parole ed opere
- temi culturali e di attualità
- esamina l’andamento delle varie opere sociali di assistenza;
- decide sui rapporti con lo Stato e si occupa dei rapporti con le altre Chiese;
- esamina l’amministrazione finanziaria e tutto l’operato della Tavola e delle opere che ad esso
rispondono.
Alla fine dei lavori il Sinodo elegge le commissioni amministrative a cui compete la
responsabilità di attuarne le decisioni e di amministrare i diversi settori di attività:
- Tavola Valdese,
- Comitato permanente dell'OPCEMI,
- Consiglio della Facoltà di teologia
- Commissione della diaconia (CSD)
La Tavola Valdese, composta da sette membri e presieduta dal moderatore, è l'organo che
rappresenta ufficialmente le chiese metodiste e valdesi nei rapporti con lo Stato e con le
organizzazioni ecumeniche.
72
CALENDARIO del SINODO (esempio dalla sessione del 2006)
La sessione ordinaria annuale del sinodo si convoca in Torre Pellice la domenica che precede l’ultimo venerdì di agosto. Il sinodo si apre con un
culto pubblico, durante il quale vi è anche la consacrazione dei/delle nuovi/e pastori/e (che sottoscrivono davanti al sinodo la
confessione di fede). Terminato il culto di apertura l’assemblea sinodale si costituisce; un seggio provvisorio guiderà l’assemblea
nell’elezione del seggio definitivo (scelto tra i membri del sinodo), composto da un presidente, un vice-presidente, un segretario e due
assessori. (Raccolta delle discipline, RG/1972-RZ/1972, articoli n.3,4,7,11)
Orario
8h00
8h30
9h00
10h45
15h00
17h15
21h00
Lunedì 21 agosto
Procedure
Relazione Commissione
d’Esame (CdE)1
Preambolo Relazione
Tavola Valdese2
Commemorazioni
Commissione Ecclesiologia
Commissione Ospedali
Laicità: IRC (Insegnamento
della Religione Cattolica) e
bioetica
Conferenza pubblica
Martedì 22 agosto
Mercoledì 23 agosto
Giovedì 24 agosto
Lettura e approvazione degli atti
Culto
Vita della Chiesa
Opcemi (Opera per le
Facoltà di Teologia
Campo di lavoro
Chiese
BMV4
Essere Chiesa Insieme
evangeliche
Rapporti ecumenici
Circuiti/Distretti
metodiste in
Chiesa Coreana
Rio de la Plata
Italia)
Cevaa3
Formazione
Commissione Sinodale per
Cultura
la Diaconia (CSD)
Opere che rispondono al
Sinodo (Collegio
Valdese)5
Serata con gli ospiti
Corpo pastorale
Rapporti con lo Stato
Amministrazione
Code
Venerdì 25 agosto
Commissione
regolamenti – proposte
Elezioni (11h00)
Culto (17h00)
Code
1
La Commissione d’Esame valuta l’operato della Tavola e delle commissioni sinodali amministrative (Consiglio di Facoltà, Opcemi; vi è una commissione d’esame apposita per
la CSD), e viene votata nel sinodo precedente. Deve essere composta da 4 membri, di cui due pastori o diaconi e un membro che ne abbia già fatto parte negli anni precedenti.
Entra in carica un mese prima dell’inizio del sinodo e, lavorando su verbali, corrispondenze ed altri documenti, deve fare un’analisi dell’operato ed indicare al sinodo se ha, e in
che modo, assolto il suo mandato. (Raccolta delle discipline vigenti nell’ordinamento valdese, RG/1972-RZ/1972, art.16)
2
Al termine del suo mandato la Tavola deve preparare una relazione sul suo operato da presentare al sinodo (Raccolta delle discipline, RG/1972-RZ/1972, art.10)
3
CEVAA: Comunità di Chiese in Missione (www.cevaa.org)
4
BMV: Battisti, Metodisti e Valdesi. Oltre all’Unione delle Chiese Valdesi e Metodiste nel 1975, vi è una stretta collaborazione con le Chiese Battiste in Italia (ad esempio: la
gestione congiunta del settimanale “Riforma”, la composizione interdenominazionale nella Federazione Giovanile Evangelica in Italia)
5
Cinque opere rispondono direttamente al sinodo del loro operato, e vengono valutate in modo più approfondito a rotazione: il Collegio Valdese a Torre Pellice, il Centro di
Ecumene a Velletri (Roma), il Centro Ecumenico Agape (Prali), il Centro diaconale La Noce (Palermo), il Servizio Cristiano di Riesi.
73
IL FUNZIONAMENTO DELLE CHIESE
Le chiese protestanti si reggono su una gerarchia di assemblee, che hanno competenze diverse, in base alla loro estensione territoriale.
La Chiesa Valdese si regge sulle seguenti assemblee, che hanno le competenze indicate per ognuna ed un esecutivo – sempre collegiale e le cui
nomine sono a termine – incaricato di eseguire le deliberazioni.
Assemblea
Territorio di competenza
Tutto quello che concerne la vita locale: programma dei
catechismi e scuola domenicale, delle riunioni quartierali,
gestione degli stabili, ecc..
Concistoro o Consiglio di
chiesa
Zona affine per attività (es.
Val Germanasca)
Coordinamento nell’esercizio delle funzioni esercitate dagli
incaricati dei vari ministeri: es. incontri delle scuole
domenicali, predicazioni nei culti, incontri e concerti di corali,
ecc..
Consiglio di circuito
Problemi generali della zona e questioni amministrative. Per
esempio: rapporti tra chiese e opere (ospedali, case per
anziani); problemi di chiese in difficoltà (senza pastore o con
servizio pastorale insoddisfacente); rapporti con altre chiese
evangeliche presenti nel distretto, ecc..
Commissione esecutiva
distrettuale (CED)
Tutti i temi che coinvolgono la chiesa a livello nazionale:
rapporti con altre chiese nel mondo; rapporti con la Chiesa
cattolica in Italia; Facoltà di Teologia; rapporti con lo stato;
funzionamento e regolamento degli istituti; altre regolamenti e
discipline; consacrazione dei pastori e dei diaconi; ecc..
Tavola Valdese (TV)
Comitato Opere Metodiste
(OPCEMI)
Commissione sinodale per la
diaconia (CSD)
Consiglio della Facoltà
valdese di teologia (FVT)
Distretto. In Italia ve ne
Conferenza distrettuale sono quattro: Valli valdesi;
Italia settentrionale; Italia
centrale; Italia meridionale
e Sicilia
Sinodo
Esecutivi
Chiesa locale
Assemblea di chiesa
Assemblea di circuito
Competenze
Tutta l’Italia (zona
europea).
Un’altra sessione sinodale
si svolge nella zona
Rioplatense (Uruguay e
Argentina)
74
LE DISCIPLINE ECCLESIASTICHE
La vita ecclesiastica nella Chiesa valdese è regolata da un complesso di discipline, così chiamate
per sottolineare il fatto che i membri di chiesa di tutti i secoli sono discepoli del Signore.
La parte più consistente di queste discipline stabilisce i vari titoli a cui si partecipa alla vita della
chiesa (Regolamenti sulle persone) e il modo di funzionamento della vita ecclesiastica
(Regolamenti sulle chiese locali, sugli organismi intermedi, sul Sinodo).
Le persone nella chiesa hanno tutte pari dignità. Caratteristica del Protestantesimo è l’assenza di
gerarchie tra le varia categorie di membri di chiesa. Questo non toglie, tuttavia, che la
partecipazione possa essere diversificata, sia per scelte personali, sia in base ai doni di ciascuno e
ciascuna.
Possiamo schematizzare come segue:
Identificazione
Fanciulli e catecumeni
Membri di chiesa (a domanda di solito scritta)
Membri elettori (a domanda di solito scritta)
Simpatizzanti (a domanda anche orale o in
semplice via di fatto)
Aderenti (in domanda anche orale o in semplice
via di fatto)
Persone
che
esercitano
un
ministero
regolamentato: pastori, anziani e diaconi
Persone
che
regolamentati
esercitano
ministeri
non
Caratteristiche
Sono i bambini/e e ragazzi/e che seguono i corsi
di preparazione, tradizionalmente fino a 17 anni,
quando ricevono il battesimo o – se battezzati da
piccoli – la confermazione.
Sono quelli che hanno chiesto e ricevuto il
battesimo/ la confermazione. Partecipano a tutte
le attività della chiesa a pieno titolo.
Sono quelli che, oltre a partecipare alle attività, si
impegnano anche, nelle assemblee di chiesa, a
votare e sono disponibili ad essere votati per
incarichi e delegazioni.
Sono membri di altre chiese (es. cattolici) che
seguono in qualche modo o partecipano alla vita
delle chiese locali o a qualche attività (es. corali).
Sono membri di altre chiese evangeliche che
vivono dove c’è una chiesa valdese e partecipano
alle sue attività, ma desiderano mantenere il
proprio legame con la chiesa di provenienza (es.
luterani o battisti).
Sono membri di chiesa come gli altri, incaricati
di un servizio particolare: i pastori e i diaconi di
solito a tempo pieno; gli anziani spesso nel loro
tempo libero. Nessuno di questi ministeri è
esercitato a vita nello stesso posto.
Monitori di scuola domenicale, catechisti,
direttori di corali, visitatori di famiglie e singoli,
ecc..
75
RIFLESSIONI SULL’ACCOMPAGNAMENTO NEI NOSTRI MUSEI
Giorgio Tourn
1 - L’ecomuseo fra mito e realtà
a) Arte – rovine - luogo di scampagnata ?
Gli ecomusei sono una realtà giunta a noi in tempi recenti ma che hanno alle spalle ormai decenni di
vita in Europa, specie nell’area di cultura germanica.
Illuminante è a questo riguardo il confronto con una nazione a noi vicina, la Francia dove il
patrimoine è l’insieme di quello che fonda l’identità comune della nazione, dal Louvres alla
cappella sperduta sulle Alpi, dai castelli della Loira alla pineta di Guascogna, dal mulino,alla
vecchia strada o la miniera. I quadri del Louvres non hanno la stessa natura del vecchio mulino e
diverso valore venale, ma dal punto di vista del tessuto culturale sono alla pari con quello.
Da noi è del tutto assente questa visione di un insieme di riferimenti culturali, e di conseguenza
anche la realtà degli ecomusei riesce diversa.
Anzitutto perché il “patrimonio” ha una diversa accezione, è la “roba” mia, della mia famiglia,
quello che noi possediamo, non quello che abbiamo in comune con altri.
In secondo luogo la nostra cultura fondamentalmente elitaria, di matrice classica e retorica,
stabilisce una scala di valori, una gerarchia fra le realtà culturali per cui il Museo Egizio, per
limitarci al Piemonte, non si pone sullo stesso piano del Forte di Fenestrelle e di un parco naturale;
il primo è arte, il secondo sono rovine e il terzo è luogo di scampagnata.
Nel campo della cultura materiale occorre fare subito una distinzione fra i musei etnografici e gli
ecomusei. I primi possono definirsi come contenitori di materiali etnografici, che si possono
realizzare anche a distanze considerevoli dai luoghi di provenienza.
Un ecomuseo è invece collocato nel suo habitat e organizza qui il suo materiale.
2 - Rischi e pericoli
a) Ecomuseo= complesso audiovisivo?
Superata la fase di pura esposizione, ci si orienta oggi verso presentazioni animate, nello sforzo di
far rivivere la realtà di cui il Museo è documento.
Fino a che punto però la trasformazione dell’ecomuseo in un complesso audio-visivo, dove i giochi
scenici finiscono per prevalere sulla realtà materiale, giova alla sua fruizione?
E’ un problema aperto di portata tutt’altro che secondaria.
b) Il museo fagocita il paese
Ma il maggior pericolo sembra essere quello di ridurre e appiattire l’identità degli ambienti su
un'immagine.
Facciamo un esempio: collocare al centro del sistema museale un’officina, una miniera, una
fabbrica può condurre all’identificazione della comunità umana del luogo con questa realtà
museale, per cui tutti i suoi abitanti finiscono con l’essere operai, muratori, meccanici, come se
l’intero cotesto di quella comunità fosse stato determinata da questa occupazione.
Non è il paese che diventa museo ma il museo diventa il paese, lo assume in toto, lo fagocita,
facendogli perdere in tal modo la complessità del tessuto sociale e la varietà delle situazioni e tutto
viene appiattito su una formula di base.
76
3 - Guida o guardia di frontiera?
a) Competenza e passione
Nella maggioranza dei casi il visitatore non conosce la realtà in questione: si tratta di fargli varcare
la frontiera della conoscenza e introdurlo nel mondo da scoprire.
Ad ogni persona che si propone di guidare una visita, qualsivoglia sia l’ambito in cui si effettua
storico, culturale, naturalistico, ambientale, si richiede una profonda conoscenza della materia.
Mentre la guida alla Galleria Sabauda o al Museo Egizio è relativamente facile (diciamo
relativamente perché gli stessi interrogativi si pongono anche lì) trattandosi di realtà appartenenti
definitivamente al passato, nel caso di un ecomuseo si tratta di attività in fase di conclusione di cui
esistono ancora ricordi, di attività morenti, si potrebbe dire, che hanno però coinvolto esistenze
umane.
E qui sta il nodo della questione perché qui sta lo specifico.
Una cosa è illustrare una natività di Defendente Ferrari, o la vita delle marmotte, altra cosa è
guidare la visita in una miniera o in un mulino.
Per questo si richiedono alla guida di un ecomuseo due caratteri essenziale competenza e passione.
b) Incontrare
E’ evidente che nel caso degli ecomusei la conoscenza nasce dall’esperienza. Volendo definire in
termini sintetici l’attività di una guida potremmo ricorrere alla metafora della frontiera: il visitatore
sta al di qua della frontiera, e le realtà che intende conoscere stanno al di là.
Il plurale non è casuale, diversifica atteggiamenti e attese nei visitatori.
Ecco un altro tema su cui occorrerebbe avviare una ricerca: la tendenza del mercato oggi imperante
riduce le richieste ben diverse dei visitatori al minimo comun denominatore di pubblico pagante.
Il problema diventa unicamente di natura quantitativa, mentre in realtà è qualitativa.
Conoscere può essere semplicemente appropriarsi di un insieme di dati oggettivi, arricchire il
proprio patrimonio di nozioni e dati, rimanendo sostanzialmente estraneo alla realtà visitata.
Incontrare è molto più di questo, significa penetrare in un universo diverso dal proprio, dialogare
con realtà nuove, lasciarsi in qualche misura coinvolgere e di conseguenza interpellare da quelle.
Le mummie del Museo Egizio si possono solo conoscere, in un eco-museo si possono fare incontri,
anzi il senso di queste strutture è proprio quello di provocare incontri.
c) Condurre oltre
Fra l’oggetto e il mondo da esplorare e incontrare il visitatore sta la guida/frontiera: a lei spetta
condurre il visitatore oltre.
E’ evidente che chi conosce per esperienza diretta il mondo di cui si intende parlare, chi ha zappato
un campo o trascinato una slitta, tagliato un albero o filato la lana, è il grado di descrivere le realtà
di cui si sta discorrendo, chi non ha questo tipo di esperienze è fortemente handicappato.
E’ accaduto non di rado di visitare una realtà ecomuseale con una guida professionale ma giovane, e
si tratta quasi sempre di persone qualificate, cortesi e disponibili, le cui informazioni riguardo
all’uso di attrezzi, di condizioni di vita, di usi locale erano molto approssimative, a volte del tutto
errate. E questo non per disinteresse, trascuratezza o negligenza della guida, ma per una sua
congenita ignoranza a cui non è quasi mai possibile porre rimedio.
d) Gli ecomusei hanno vita breve
Per questo la fase che potremmo definire di ottimizzazione degli ecomusei è molto breve, il tempo
di una o due generazioni in cui sono in vita coloro che hanno effettuato i lavori di cui si parla e ne
hanno vissuto e la piena realtà o di coloro che, pur non avendoli fatti, li hanno visti fare, hanno il
ricordo visivo o un approccio parziale nel tempo dell’infanzia.
77
Scomparsi quei testimoni non restano che le documentazioni scritte, firmale, registrate, e a questo
punto il museo entra in un’altra fase della sua vita.
e) Conoscere 100 per comunicare 10
E’ dunque evidente che illustrare a persone non competenti, e tali sono in genere i visitatori dei
musei (ma ancor più nel caso si tratti di persone competenti !), richiede una vastissima conoscenza,
che si acquisisce solo con uno studio intenso e prolungato. Se questo è vero per ogni guida lo è
tanto più per coloro che lavorano nel campo dell’ecomuseografia.
Tenendo conto del fatto che la quantità di dati e di conoscenze utilizzabili nella visita rappresenta
solo una parte minima delle conoscenza acquisite, si deve conoscere cento per comunicare dieci.
Non basta alla guida aver appreso una quota di nozioni da ripetere ai suoi visitatori, ma le si impone
un costante aggiornamento, lettura di commenti, raccolta di informazioni e non solo attinenti al
tema specifico del suo programma ma al contesto.
f) Evocare – fabulare – creare immagini
Stando sempre nell’ ambito dei problemi pratici, vi è un secondo elemento di notevole importanza
da tenere in considerazione.
La guida non è l’equivalente di un video, non è cioè un video mobile, collocato su un corpo in
movimento anziché su un supporto fisso; è un animatore culturale (assai più che un “operatore”).
La comunicazione del dato avviene perciò in forma creativa, questo significa che alla competenza
deve aggiungere l’arte del narrare, e questo richiede passione.
Si ipotizza naturalmente sempre la figura ideale a cui mirare, la realtà si muove raramente a questo
livello ma non ne può prescindere.
Parlare di “passione” oltre che di professionalità può parere eccessivo, è possibile far rientrare la
passione nella professionalità?
Riteniamo di sì dando naturalmente al termine passione la valenza minima di partecipazione,
coinvolgimento, sintonia. La guida deve in qualche modo essere partecipe del mondo di cui parla,
deve sentirlo come proprio; o meglio deve lasciar intendere che ne è parte, vi appartiene. Non
potendo essere un testimone della realtà che presenta, trattandosi come detto di mondi che non ha
personalmente conosciuto, deve esserne l’evocatore.
La vera guida di un museo etnografico, o di un ecomuseo, non è solo un documentarista, ma è
anche un attore, un fabulatore, un creatore di immagini, deve in qualche misura far rivivere le realtà
di cui sta parlando.
4 - Il patrimonio valdese
a) Informazione + partecipazione
Questo insieme di problemi tecnici, ideologici e culturali sono quelli che stiamo affrontando anche
noi da anni nel nostro lavoro di salvaguardia del patrimonio valdese alle Valli: rapporto museo—
identità, compito delle guide, impostazione del discorso museale.
Coloro che rinunciando a chiamare guide abbiamo definito “accompagnatori”, si trovano ad
affrontare un impegno che va molto oltre quello che si può richiedere ad un membro di chiesa
medio, tanto più se giovane.
Il problema si complica ulteriormente perché i visitatori richiedono in modo sempre crescente
informazioni che esulano dalla visita specifica, informazioni sulla natura della fede evangelica, sulla
storia, sulle posizioni delle nostre chiese in merito a problemi di attualità ecc. E perciò nel caso
nostro quelle due componenti: competenza e passione si trovano fuse a costituire la fisionomia della
guida; non basta raccontare al visitatore cosa è accaduto ai valdesi nel Cinquecento o
nell’Ottocento, bisogna essere in grado di dire cosa sta accadendo loro oggi e questo lo può dire in
modo efficace non solo chi è informato riguardo a questi temi, ma chi se ne sente partecipe.
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b) Folklorizzazione - appiattimento - conformismo
Sull’onda di etnografia museale e di folklore imperante, di rivalutazione del locale, della tradizione,
è inevitabile che anche la realtà valdese venga vista come uno degli elementi da utilizzare fra gli
altri, o, per usare un termine tecnico, un valore da spendere, una merce da vendere. Si tratta infatti
di un insieme particolarmente ricco e interessante per una serie di caratteristiche.
Non c’è dubbio che in questo contesto la nostra identità valdese rischia di essere fortemente
compromessa o per lo meno falsata. Che la cultura materiale delle nostre Valli sia una realtà
importante per noi, anzi imprescindibile è incontestabile, ma è altrettanto evidente (almeno per noi)
che lo specifico “valdese” in queste zone di cultura alpina non è né il patouà, né il vino, ma la
religione e tutto ciò che ad essa si ricollega come identità.
La folklorizzazione della nostra realtà non è soltanto frutto di una azione perseguita dall’esterno, da
Enti estranei alla nostra tradizione che perseguono fini politici, ma trova riscontro in non pochi
valdesi stessi. Ne è prova ormai l’impiego del costume valdese per tutte le varie manifestazioni a
carattere sociale, politico, turistico.
Le varie associazioni che operano nei nostri Comuni, non hanno la minima percezione
dell’importanza e dell’unicità di un’identità valdese da sostenere e valorizzare. Appiattiscono il loro
programma su quello che è il livello medio basso che si trova in giro: musiche e balli di
commovente arcaicità, grigliate, in un dilagare di scadente occitanismo.
Pare ci sia in giro nelle nostre Valli una volontà tenace di tradurre in termini sociali la dottrina
ecumenica che ormai regna indiscussa “tanto siamo tutti eguali”. Una politica di appiattimento e
conformismo profano (non direi laico perché la laicità è un valore troppo importante per usarlo qui)
di non ecclesiastico. Da parte di alcuni valdesi la paura è di fare la figura di essere chiesastici
“gleisiaire”, di puzzare di sacro, di bigotto, di religione.
c) Prospettive: assecondare – ostacolare – gestire?
Quale può essere oggi, a distanza di anni il nostro atteggiamento di fronte a questo processo di
omologazione? Possiamo assecondarlo, ostacolarlo o gestirlo.
Escluderei la prima ipotesi: assecondare perché non corrisponde alla nostra vocazione e di cui non
si vede per ora traccia nelle nostra comunità (intendendo per comunità la percentuale poco rilevante
numericamente, ma spiritualmente forte che costituisce il nucleo delle nostre chiese : discepoli del
Signore prima che occitani-barbetti).
Restano le altre due ipotesi: opporsi o gestire.
Ostacolare: rigettare il socio culturale nel nome della pura fede significa tracciare la frontiera fra
noi e il mondo, significherebbe assumere un atteggiamento di setta Il vero valdese, quello autentico,
è quello che si radica nella fede tutto il resto è falso, anzi non esiste neppure.
Contrapporre fede a balli, Gianavello a rastrelli, Bibbia a miniera, non sarebbe possibile e neppure
sarebbe efficace perché è oggettivamente priva di senso e non sarebbe compreso.
La difesa oltre tutto non è fruttuosa, non paga.
Occorre cercare dunque un'altra strada nella terza direzione: il gestire.
Gestire il patrimonio della storia e dell’attualità della chiesa nella forma migliore da presentare ad
un pubblico esterno è la linea che ha preso la chiesa valdese da anni attraverso il Coordimento dei
Musei e Luoghi Storici Valdesi che ha portato alla costituzione dell’ ufficio “il barba” per far fronte
a tutti gli aspetti organizzativi e promozionali.
Ma cosa significhi di volta involta gestire ogni aspetto di questo patrimonio è un discorso che
riguarda e coinvolge un numero ben più ampio di persone: dai concistori alle assemblee di chiesa,
dai pastori ai volontari che aggiornano e custodiscono i musei, dagli storici alle guide. Ed è un
discorso sempre aperto che ci obbliga a porci delle domande sulla nostra stessa identità ed esistenza
come comunità evangelica.
79
LE RELIGIONI NEL MONDO
Cristiani, di cui:
-Cattolici
-Protestanti
Questa cifra comprende le chiese “storiche”
(342.000.000) e le chiese “evangelical” o
carismatiche/pentecostali (285.000.000).
-Ortodossi
-Anglicani
-Altri
(es: Cattolici non romani, Testimoni di Geova, Mormoni,
ecc.)
Musulmani, di cui:
-Sunniti
-Sciiti
-Altri
Atei e non religiosi
Induisti
Seguaci delle religioni cinesi
Buddhisti
Seguaci delle religioni etniche
Seguaci delle nuove religioni
Sikh
Ebrei
Seguaci dello spiritismo
Altri
TOTALE
(2001 World Christian Trends)
1.999.563.838
1.057.328.093
33,0%
17,5%
627.001.605
10,20%
215.128.717
79.649.642
3,6%
1,3%
20.455.781
0,4%
1.188.242.789
1.002.542.801
170.100.000
15.599.988
918.248.462
549.583.323
384.806.732
359.981.757
228.366.515
102.356.297
23.258.412
14.434.039
12.333.735
273.873.101
6.055.049.000
19,6%
16,3%
2,8%
0,2%
15,2%
9,1%
6,4%
5,9%
3,8%
1,7%
0,4%
0,2
0,2%
4,5%
100,0%
In percentuale, su 100 cristiani nel mondo, 33 sono protestanti/evangelici, 50 sono cattolici romani,
10 sono ortodossi, i restanti 7 sono cristiani marginali, chiese indigene varie e cattolici non romani.
80
Cristiani nel mondo
67%
33%
Cristiani nel mondo
altri
Chiese cristiane nel mondo
Cattolici
50%
Protestanti
30%
altri
7%
Cattolici
Ortodossi
13%
Protestanti
Ortodossi
altri
81
Religioni in Italia
96,36%
0,44%
0,89%
0,34%
Protestanti
Cattolici
altri
1,98%
Testimoni di Geova
Mussulmani
Protestantesimo in Italia
48%
40%
12%
Chiese storiche
"Evangelical"
Stranieri
82
Cristiani in Europa
Ortodossi
33%
Cattolici
49%
Protestanti
18%
Cattolici
Protestanti
Ortodossi
I Protestanti: Quali?
705 milioni circa
225
250
200
150
89
80
84
90,3
100
50
0
70
54,5
12,6
Luterani
Riformati
Anglicani
Battisti
Metodisti
Avventisti
Pentecostali
Altri
I Protestanti in milioni
83
... i Luterani?
89 milioni
56
60
50
40
30
12,8
20
2
10
0
11
6
Europa
America America
Nord
Sud
1,2
Asia
Africa
Oceania
Luterani in milioni
... i Riformati?
80 milioni
25
25
20
20
18
14
15
10
5
0
1,5
Europa
America
Nord
America
Sud
1,5
Asia
Africa
Oceania
Riformati in milioni
84
... gli Anglicani?
84 milioni
50
40
42
26,5
30
20
10
0
5,5
7
1
Europa America America
Nord
Sud
2
Asia
Africa
Oceania
Anglicani in milioni
... i Battisti?
90,3 milioni
60
60
50
40
30
20
10
0
7
10
11
0,3
2
Europa
America America
Nord
Sud
Asia
Africa
Oceania
Battisti in milioni
85
... i Metodisti?
54,5 milioni
26
30
25
20
15
12
9
10
5
1,5
0
4
2
Europa America America
Nord
Sud
Asia
Africa
Oceania
Metodisti in milioni
... gli Avventisti?
12,6 milioni
4
3
2,3
1
0,4
Africa
Asia
America
Sud
America
Nord
Europa
0,4
Oceania
2
1
0
4,2
4,3
5
Avventisti in milioni
86
87
88
89
CHIESE E MOVIMENTI EVANGELICI DEL NOSTRO TEMPO
Informazioni tratte dall’omonimo libro di Giorgio Bouchard, Claudiana, 2003
1100 - XII SECOLO
POVERI DI LIONE (1170) => CHIESA EVANGELICA VALDESE
Movimento medievale confluito nella Riforma protestante nel 1532, seguendo la teologia
calvinista/riformata
45.000 membri in Italia e SudAmerica.
1400 - XV SECOLO
MORAVI
(anche: Unione fratelli boemi/moravi)
Nato da predicazione riformatore boemo Jan Hus (1369-1415), movimento si costituisce nel 1467.
Importante sviluppo nella comunità di Herrnhut in Germania (XVIII secolo).
700.000 nel mondo.
1500 - XVI SECOLO
CHIESA LUTERANA
(anche: Chiesa Evangelica / Evangelische Kirche)
Nata in Germania dalla predicazione di Martin Luther (31 ottobre 1517: affissione delle 95 tesi)
90 milioni nel mondo, 7.000 membri in Italia (Chiesa Evangelica Luterana in Italia, CELI).
CHIESE RIFORMATE
(nella storia anche dette calviniste o, in Francia, ugonotte)
•
Ulrich Zwingli, Zurigo: predicazione dal 1519 al 1531, formazione primo movimento riformato
•
Riformati francesi (1520-30): grande fermento innovatore e adesione ai principi del
protestantesimo
•
Jean Calvin, Ginevra (inizia sua opera di riformatore e organizzazione del pensiero riformato
nel 1536. Sua opera raccoglie movimenti nati a Zurigo e in Francia, e diffonderà riforma
calvinista/ chiesa riformata in Francia, Scozia, Olanda e Paesi Bassi.
80 milioni nel mondo (in Italia rappresentati dalla Chiesa Valdese).
COMUNIONE ANGLICANA
Nata in Gran Bretagna con l’Atto di supremazia di re Enrico VIII del 1534, con il quale il re è
proclamato “supremo capo in terra della Chiesa d’Inghilterra”. Si sviluppa inizialmente come “chiesa
cattolica nazionale”, poi avrà forte influenza filo-calvinista.
85 milioni nel mondo (14 comunità di lingua inglese in Italia).
90
ANABATTISTI
Movimento popolare nato in Svizzera nel 1525. Considerato “l’ala sinistra della Riforma”, venne
perseguitato da protestanti e cattolici per idee lette come estremiste: chiesa composta solo da “santi”
(credenti autentici e di alto valore morale); riconosciuto solo il battesimo da adulti (detti “anabattisti”
perché “ri-battezzavano” non considerando valido battesimo dei bambini); divisione netta vita religiosa
e civile.
Episodio di Münster in Germania (città anabattista distrutta nel 1535)
Da movimento anabattista nascono
• HUTTERITI => da Jacob Hutter, anabattista della Val Pusteria (1500); movimento diffuso
in Russia e Nord America. Circa 35.000 persone.
•
MENNONITI=> Menno Simons ricostruisce movimento dopo Münster, che si diffonde in
Olanda, Europa centrale e Nord America. Circa 1 milione nel mondo.
•
Dai Mennoniti nasce gruppo degli AMISH: XVII secolo, predicazione di Jakob
Ammann, gruppo rurale in Nord America).
Circa 150.000.
1600 - XVII SECOLO
NUOVO MOVIMENTO BATTISTA
(Puritani, Chiese Battiste)
Movimento nato in Inghilterra (prime comunità nel 1602), composto da vari gruppi (struttura
congregazionalista); alcuni sono chiamati “battisti particolari”, altri “battisti regolari”.
Ramo del movimento battista verrà definito Puritanesimo (tra cui i Padri Pellegrini del Mayflower).
90 milioni nel mondo, e circa 10.000 in Italia.
PIETISMO TEDESCO
Movimento nato nel 1675 da Philip Jacob Spener, come esigenza di riforma interna al Luteranesimo
tedesco.
QUACCHERI
Da to quake = tremare. Vero nome è “Società degli Amici”. Nato in Inghilterra nel 1647 dalla
predicazione di GEORGE Fox, aveva al centro l’esperienza della “luce interiore”, cioè l’illuminazione
spirituale che il credente riceve da Dio senza passare per forza dalla chiesa o dalla Bibbia.
Nel mondo sono circa 200.000.
1700 - XVIII SECOLO
MOVIMENTO METODISTA
Nato a Bristol, Inghilterra, dalla predicazione di John Wesley (1739), ebbe grande diffusione in
America del Nord.
70 milioni nel mondo (in Italia uniti alla Chiesa Valdese).
91
1800 - XIX SECOLO
ASSEMBLEE DEI FRATELLI
Nate nel 1825 a Dublino dalla predicazione di Edward Cronin su un’esperienza di conversione e di
Risveglio personale, ebbero grande diffusione. Vennero definite in seguito assemblee dei FRATELLI
APERTI (Open brethen) in distinzione dai FRATELLI STRETTI (exclusive brethen o darbisti)
sviluppatesi dalla predicazione di John Nelson Darby (Plymouth, 1848), con struttura più rigida.
Circa 1 milione nel mondo.
CHIESA AVVENTISTA
Questa chiesa si sviluppa in un primo tempo dalla predicazione della fine dei tempi fatta da William
Miller in Massachusetts (USA) nel 1816, raccogliendo molti credenti delle chiese battiste.
In seguito il movimento venne organizzato da Ellen Gould White (1849) che scrisse anche diversi libri
fondamentali nella dottrina avventista, per i quali viene considerata una profetessa.
Nel 1863 prese il nome di Chiesa Cristiana Avventista del settimo giorno.
30 milioni nel mondo, 20.000 persone in Italia.
ESERCITO DELLA SALVEZZA
Nato nel 1878 dalla predicazione di William Booth, in Inghilterra, rivolta soprattutto ai ceti popolari e
alle masse lavoratrici. Dovendo dare un’organizzazione al movimento, Booth la copiò liberamente
dall’esercito britannico, scegliendo però non una divisa ma un’uniforme (segno di uguaglianza) e dove
la gerarchia di “ufficiali” non era piramide di potere ma garanzia di efficienza. L’Esercito della
Salvezza si rivolse soprattutto al recupero morale e sociale dei diseredati e degli emarginati (lotta
all’alcolismo, mense gratuite, scuole, ecc..).
3 milioni e mezzo nel mondo, in Italia circa 1.000 aderenti.
CHIESA DEL NAZARENO
Nata nel 1895 dalla predicazione del pastore metodista Phineas Bresee, negli USA, e incentrata su
“nuclei di santità”, gruppi di credenti che volevano vivere la vita spirituale in accordo con le Scritture.
Circa 1 milione e 200.000 aderenti, e 1.000 aderenti in Italia.
CHRISTIAN SCIENCE
Nato nel New Hampshire (USA) dalla predicazione di Mary Baker Eddy, e dai suoi scritti, tra cui
“Scienza e salute, con chiave delle Scritture” del 1875.
Circa 800.000 aderenti, di cui la metà negli Stati Uniti.
1900 - XX SECOLO
MOVIMENTO PENTECOSTALE
Nato nel 1906 negli USA dalla predicazione di William J. Seymour, che sviluppò tra i fedeli un fervore
spirituale con l’esperienza di una nuova Pentecoste ed episodi di glossolalìa (parlare in lingue).
Difficile avere delle statistiche per l’universo pentecostale: alcune stime arrivano a 350 milioni (in
Italia circa 200.000).
CHIESA APOSTOLICA
Nata in Gran Bretagna negli anni 1904-1905, ha tra suoi fondamenti la glossolalìa (parlare in lingua) e
l'assunto che la Bibbia è Parola di Dio.
3.500 in Italia.
92
Movimento di restaurazione del cristianesimo apostolico
Stimolato dalla predicazione di diverse persone, che nella maggior parte dei casi non si conoscevano:
Barton Stone, Thomas e Alexander Campbell, John Smith, … intorno al 1832, e da cui nascono due
gruppi:
•
DISCEPOLI DI CRISTO,
•
CHIESE DI CRISTO,
strutturati come chiesa, soprattutto da predicazione di
Alexander Campbell. Circa 2 milioni e mezzo nel mondo.
composto da comunità indipendenti senza organizzazione strutturata.
Circa 5 milioni di aderenti nel mondo.
__________________________________________________
ALTRI GRUPPI
A fianco delle chiese nate dalla Riforma e dei movimenti evangelici sorti nei secoli successivi, esiste
un insieme di gruppi nati nelle “terre protestanti” ma che non possono essere definiti “evangelici” in
senso proprio, né desiderano essere considerati come tali. Alcuni di questi movimenti lasciano cadere
uno dei punti decisivi che collegano il Protestantesimo con la chiesa dei primi secoli: il dogma della
Trinità; altri modificano in parte il principio scritturale, che è uno dei cardini della Riforma, accostando
alla Bibbia i loro testi sacri. Tuttavia la loro morale è spesso di tipo protestante.
UNITARIANI
Nato nel 1500 (Lelio e Fausto Socino => detti anche “sociniani”), perseguitati molto nel Cinque e
Seicento, riformatisi in Nord America a fine settecento.
Definiscono Dio come uno e non trino (antitrinitari); unitariani erano ad es. Michele Serveto e Isaac
Newton.
Nel 1961 si fuse con Chiesa Universalista (principio salvezza aperta a tutti) e negli USA ha preso il
nome di Unitarian Universalist Association.
Negli Usa conta circa 170.000 membri.
TESTIMONI DI GEOVA
Nato dalla predicazione di Charles Taze Russel in Pennsylvania (1870), basato sulla teologia della fine
e visione apocalittica della storia, nel 1931 prende il nome di Testimoni di Geova.
Basato sul biblicismo (interpretazione letterale del testo biblico), antitrinitari, ritorno di Cristo (calcolo
data della fine).
Circa 16 milioni nel mondo, e 230.000 in Italia.
MORMONI
(o “Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni” o “Chiesa di Gesù Cristo”)
Nati dalla predicazione di Joseph Smith, in Nuova Inghilterra (USA), il quale ebbe una serie di visioni,
rivenne il “libro di Mormon” in lingua egiziana su placche d’oro e lo tradusse in inglese, e nel 1830
iniziò le sue predicazioni su tribù ebraiche emigrate negli USA in tempi antichissimi e visitate da Gesù
Cristo tra la morte e la Resurrezione.
Forte senso messianico e immagine del popolo americano come “popolo eletto”.
Perseguitati, nel 1846/47 fecero una marcia verso lo Utah guidati da Bringham Young.
Circa 11 milioni nel mondo, e 20.000 in Italia.
93
FORMAZIONE GUIDE del SISTEMA MUSEALE VALDESE
1) Il Sistema Museale Valdese
Nelle Valli Pellice e Chisone-Germanasca si è strutturato nel corso di oltre un secolo un complesso
di musei e luoghi di memoria legati alle vicende della storia valdese. I siti, organizzati nel Sistema
Museale Eco-storico delle Valli Valdesi, sono seguiti nella gestione ordinaria dal Coordinamento
Musei e Luoghi storici valdesi, e nella prenotazione e organizzazione di visite guidate dalla
Fondazione Centro Culturale Valdese.
I musei sono 9, a carattere storico e/o etnografico, dislocati a: Torre Pellice, Angrogna, Rorà,
Pomaretto, Balsiglia, Rodoretto, Prali; i luoghi di memoria sono 5, ad Angrogna, Bobbio Pellice,
Rorà. Sul territorio vi sono altri luoghi legati alla storia valdese, non inclusi nel complesso perché
privi di un monumento/sito museale o perché più difficili da raggiungere; molti sono comunque
gestiti e curati dal Comitato Luoghi Storici.
Nei percorsi di visita sono inoltre spesso inclusi i templi valdesi e altri edifici legati all’attività delle
chiese e a temi di attualità.
2) La formazione di guide, volontari, interessati
La Fondazione Centro Culturale Valdese si occupa della formazione delle guide per il Sistema
museale valdese. Si tratta di persone di varia esperienza, età e provenienza, che desiderano
presentare e approfondire la storia del territorio, delle Chiese Valdesi, del Protestantesimo.
La formazione è complessa, perché tratta di storia, teologia, ecclesiologia e cultura materiale;
inoltre deve preparare per l’accoglienza di diversi tipi di gruppi e linguaggi (scuole, gruppi di
chiesa, europei ed extraeuropei, turisti, studiosi…).
Per gestire questa complessità, la formazione è permanente: ogni anno vengono organizzati dei
corsi di base e di approfondimento, delle prove pratiche e dei laboratori, in modo che ogni guida,
che sia alle prime armi o in servizio da anni, possa proseguire il percorso “verticalmente”
(specializzandosi su alcuni temi), e/o “orizzontalmente” (preparandosi per accompagnare in un altro
museo o un altro tipo di gruppo).
3) Diventare guide nel Sistema museale valdese
Per essere guida del Sistema occorre:
a) Seguire i corsi di formazione sui contenuti (storia, teologia, ecclesiologia, cultura materiale) e
sulle modalità (struttura del sistema museale, tecniche di comunicazione, animazioni);
b) Osservare il lavoro delle guide già in servizio con gruppi di adulti o scuole; fare i primi tentativi
di accompagnamento con il supporto di un tutor;
c) Se interessati/e a proseguire, occorre fare domanda al Coordinamento Musei e Luoghi storici
valdesi, esplicitando la propria formazione e le motivazioni. L’approvazione della domanda
comporta l’iscrizione nell’elenco delle guide in servizio e la consegna del cartellino personale.
Una volta iscritti, i volontari sono anche coperti, nel corso dell’attività, dall’assicurazione
prevista nei luoghi utilizzati.
d) Partecipare regolarmente alle attività di formazione e approfondimento, per mantenere e
accrescere la propria formazione.
4) Essere volontari e volontarie “speciali”
L’attività svolta dalle guide viene detta “volontariato”, anche se di tipo particolare: infatti prevede
una formazione continua e complessa, tale da renderlo un volontariato altamente specializzato;
inoltre le guide ricevono un rimborso simbolico per ogni accompagnamento effettuato, del valore di
94
€20,00 per guide in italiano, e di €30,00 se in altra lingua. Il rimborso è calcolato per ogni guida di
mezza giornata, indipendentemente dalla durata (1 o 4 ore), e viene corrisposto semestralmente in
forma di rimborso o di contratto di collaborazione occasionale.
5) L’impegno richiesto
Il primo impegno richiesto per questa attività è senz’altro il tempo dedicato alla formazione:
durante i corsi, seguendo altre guide, leggendo e studiando a casa.
L’impegno nell’accompagnamento dipende dalla propria disponibilità, sia in termini di tempo (in
base ai propri impegni di studio o lavorativi, ecc..), sia di interesse (preferenza per un solo tipo di
gruppo, luogo o lingua, oppure interesse a variare). In base alle prenotazioni ogni guida viene
contattata con proposte di gruppi, luoghi e date, valutando insieme interessi, disponibilità,
esperienza e voglia di sperimentare…
95
VISITA DIDATTICA “VALDESI: STORIA ed ATTUALITÀ di una MINORANZA”
ipotesi di scaletta
INTRODUZIONE
(fatta nel luogo in cui si inizia la visita)
Introduzione generale:
 Presentazione reciproca (es. nome, età, professione e residenza guida; da dove vengono, che
gruppo/classe sono, sono mai stati in questa valle o in montagna, ecc..)
 Cosa sanno già (sui valdesi e sui luoghi che vedranno)
 Cosa si aspettano dalla giornata/mezza giornata/gita
 Informazioni sul programma (cosa visitiamo, quali sono i tempi, gli spostamenti)
Introduzione al tema:
 Introduzione sui valdesi in Italia e nel mondo (con animazione scritta o a voce)
Chi sono i valdesi oggi? Chiesa cristiana protestante (area riformata), caratterizzata da storia
particolare che inizia nel Medioevo, prima della Riforma protestante del 1500.
Quali sono i paesi nel mondo a maggioranza protestante? (nord Europa, nord America, ecc..)
Quanti sono i cristiani nel mondo? 2 miliardi circa: i cattolici (1 miliardo), i protestanti (650
milioni), gli ortodossi (300 milioni).
 Introduzione sul territorio (ad es. particolarità valli valdesi, ecc…)
TORRE PELLICE
MUSEO STORICO
 Introduzione alla storia valdese: lunga 8 secoli, divisa in tre periodi; illustrata con asse del tempo
(come racconto, o come attività fatta da loro) con i cartellini;
 Visita/racconto del museo sulla base di eventuale gioco animazione (asse del tempo, domande sui
pannelli/sulle bacheche, interviste, altro), con particolare attenzione ai seguenti avvenimenti:
 Nascita movimento: dove e perché. Chi era Valdo? Chi erano i Poveri?
 Scomunica e clandestinità. Sviluppo movimento: dove e perché. Barba Martino e cartina
dell’Europa.
 Riforma: periodo, contesto, personaggi. Cosa hanno fatto a scuola? (coinvolgere anche
insegnante di storia, se è il caso). Sottolineare le bibbie, le immagini (Lutero, Zwingli e
Calvino), le cartine, il plastico di Chanforan. Controriforma, fine della Riforma in Italia,
sopravvivenza dei valdesi in Piemonte. Perché?
 Persecuzioni in Piemonte. Quante e perché? (ad esempio) Racconto Glorioso Rimpatrio, il re
sole e Henry Arnaud
 Il ghetto nelle Valli: quali erano i confini? Perché in montagna? Quali erano i limiti imposti?
Cosa vuol dire “vivere nel ghetto”? (cosa vi immaginate?)
 L’interesse dal nord Europa. Il ruolo di Beckwith, la costruzione delle scuolette
 1848 e diritti civili e politici! Cosa significa libertà oggi? Cosa significava per loro? Cosa
rappresentano i falò?
 I valdesi, il Risorgimento, l’Evangelizzazione: la diffusione di chiese valdesi in tutta Italia.
L’emigrazione in America (nord e sud). Lo sviluppo di altre chiese protestanti in Italia.
 Le due guerre. Lo stato fascista e il concordato. Ricadute sui valdesi ed altre chiese. Resistenza.
96
TEMPIO
 Quali sono le caratteristiche dell’edificio? A che cosa vi fa pensare? Dove siamo?
 Quali differenze rispetto a una chiesa cattolica o al luogo di culto che conoscete? Cosa “manca”?
cosa c’è “in più”? (attenzione! Conviene chiedere sempre se la famiglia fa parte di una chiesa, se
hanno seguito catechismi o altro ecc..; con delicatezza e valorizzando le “minoranze”: spesso sono
migranti o figli di migranti; sempre più classi hanno studenti cattolici, ortodossi, evangelici,
musulmani, buddisti…)
 Quali sono le cose simili? Quali sono gli elementi che vi fanno pensare che questa è una chiesa
cristiana?
 Caratteristiche importanti: pulpito, panche, bibbia. Perché?
 Cos’è la Bibbia? (antico e nuovo testamento, traduzioni ecumeniche). Quali chiese hanno la bibbia
come testo di riferimento?
 Quali sono le differenze principali tra il cattolicesimo e il protestantesimo?
 Chiarimenti sul perché mancano alcune cose (tabernacolo e fonte battesimale=>solo due
sacramenti, e concepiti in maniera differente; confessionale=>non sacramento, ma c’è momento
individuale; immagini=>chiesa della Parola, pochi simboli, caratteristica chiese calviniste; ecc…)
 Altri approfondimenti secondo interesse: pastore donna/uomo, matrimonio, responsabilità e libertà
del credente, no gerarchie, no dogmi, ……
 Possibilità utilizzare animazione scritta: disegnare/descrivere il tempio
AULA SINODALE
 Cosa li colpisce (banchi, disegno, ecc.). a cosa serve questo posto? Chiesa, assemblea, tribunale?
 Spiegazione struttura chiesa assembleare e sinodo (eventualmente con distribuzione cartellini)
 Esempio alcune delle tematiche discusse al sinodo
 Proporre eventualmente un momento dell’assemblea da “ripetere” (es. discussione su un tema,
ragionando anche su modalità lavoro in assemblea)
VAL D’ANGROGNA
(Se la guida non ha già accompagnato il gruppo e lo vede per la prima volta, ripetere l’introduzione)
CHANFORAN
 Descrizione ambiente (dove ci troviamo? Cos’è questo monumento?)
 Cosa si ricordano della spiegazione del mattino? (Riforma, periodo, immagini)
 Descrizione clima storico ‘500: momento discussione idee riformatori, movimento valdese segue
temi e ne comincia a discutere. Ruolo dei barba, convocazione assemblea. Partecipazione varie
parti del movimento, delegazione svizzera (Farel). Temi di discussione, diverse correnti, scelta
finale.
 Sviluppi successivi: uscita dalla clandestinità e costruzione primi templi. Contatti con Ginevra e
altre zone di riformati sviluppate in Piemonte.
 Prime persecuzioni del 1560 e cambiamento organizzazione.
 Descrizione paesaggio: mostrare disposizione valli, ambiente alpino, terrazzamenti e resistenza
97
SCUOLETTA BECKWITH
 Descrizione ambiente (dove ci troviamo? Perché qui c’è una scuola? È ancora usata?ecc..)
 Cosa si ricordano del mattino (quadro Beckwith, racconti sul ghetto…)
 Descrizione importanza istruzione per protestanti (da 1500); organizzazione precedente alle scuole
dell’800 (istruzione famigliare/da parte del pastore; comitato olandese nel 1700, ecc..), ruolo inglesi
nell’800 e costruzione scuolette con interessamento Beckwith.
 Confronto scuole di montagna/città, di ieri/oggi (scuole nel centro perché c’è l’autobus, ecc..)
 Importanza istruzione oggi e per l’epoca: cosa gli serviva saper leggere? Cosa leggevano? (perché
la bibbia: collegarsi con spiegazioni nel museo e nel tempio).
GHEISA D’LA TANA
 Spiegazione nome e forma grotta.
 Idea della grotta-tempio, della grotta-simbolo: clandestinità medievale e persecuzioni del 1600
 Cosa si ricordano delle spiegazioni? Grotta legata a persecuzioni. Perché dovevano nascondersi?
Da chi?
MUSEO DELLE DONNE
 Perché un museo sulle donne: ricerca storica continua, potere della memoria, assenza e oblio in
storia
 Temi museo: s/Scrittura (bibbia e capacità leggere/scrivere) e viaggio (possibilità spostarsi)
 Donne valdesi ‘800: al centro museo, biografie e fotografie. Ad esempio leggere/commentare storia
maestra C. Bonnet a Cosenza, ricollegandosi a storia scuoletta e evangelizzazione vista al mattino.
 Donne valdesi e protestanti: sorores medievali (ricollegarsi alla storia dei barba), teologhe riforma,
predicatrici puritane ‘600, resistenti francesi nel ‘700, suffragiste statunitensi ‘800
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QUALCHE CONSIGLIO…
Scegliere la disposizione della guida e del gruppo / setting
• Dove mettersi? Dove fare sistemare il gruppo? È indispensabile per mantenere in seguito
l’attenzione. In base a quali aspetti si vogliono far osservare del luogo che si sta visitando, la guida
deve pensare bene dove posizionarsi, e far muovere il gruppo (venite avanti, venite verso destra,
sedetevi pure, etc..);
• Sempre meglio se il posto in cui parla la guida è un po’ rialzato, in modo da essere visti e sentiti
con più facilità; se si può, meglio se il gruppo è seduto (segue meglio);
• Fare attenzione a che tutti riescano a vedere e sentire, chiedere conferma;
• Mentre si spiega, è bene mostrare e descrivere l’ambiente (pannelli o oggetti nel museo, dettagli dei
luoghi storici, ecc..), magari anche spostandosi un poco; gli spostamenti riattivano le attenzioni
calanti.
Rapporto con insegnanti/capogruppo
• È sempre bene presentarsi all’inizio della visita, chiedere quali sono gli obiettivi della visita, se i
partecipanti hanno letto o visitato già altri luoghi, ecc..
• Cercare di “gestirli” il più possibile durante la visita, evitando sia l’ingerenza troppo marcata
(risponde al posto dei ragazzi, parla al posto della guida), sia l’assenteismo totale (soprattutto nel
caso di scuole, il ruolo dell’insegnante può essere importante nel rapporto con gli studenti).
Rapporto con classe/gruppo
• Incentivare le domande;
• Ripetere sempre ad alta voce le domande fatte dal gruppo (non tutti le sentono);
• “Raccogliere” il più possibile domande e commenti fatte dai partecipanti, e sfruttarle per una
spiegazione, anche quelle fatte per scherzo (possono essere utili per instaurare rapporto – risposta
scherzosa- e/o per spiegare qualcosa!);
• In particolare con bambini/ragazzi: stimolare loro ragionamento su alcuni temi; imparare alcuni dei
loro nomi, per poterli citare come esempio del racconto (“immaginiamo che Giovanni fosse un
barba”) o per richiamare la loro attenzione;
• Evitare di parlare se troppi chiacchierano tra loro o sono distratti; aspettare che si scambino i
commenti, poi richiamare l’attenzione (esplicitamente con i ragazzi; gli adulti spesso si
“richiamano” tra loro);
• Nel museo, lasciare del tempo “silenzioso” per permettere al gruppo di osservare le sale, i pannelli,
gli oggetti del museo, e fare liberamente dei commenti;
• Chiedere di spegnere o silenziare i telefoni cellulari a inizio visita: si evitano interruzioni;
• Spiegare/ricordare le fasi della visita (ora passiamo al 1600; ora proseguiamo per Chanforan...)
Animazioni utilizzabili durante la spiegazione
(alcuni esempi)
 Asse del tempo, per introdurre/riassumere la storia;
 Quiz cristiani nel mondo, per introdurre tema religioni e loro geografia;
 Osservazione del tempio: disegnarlo o rispondere a domande su sue caratteristiche;
 Schede con domande sul museo (da compilare a gruppi ed esporre): personaggi, luoghi, periodi;
 Acrostici su alcune parole-chiave (Valdo, barba, Riforma, diritti, ecc..) o altri “test” riassuntivi;
 Animazione nell’aula sinodale, con distribuzione ruoli e ricostruzione sinodo.
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