piano di miglioramento ambientale
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piano di miglioramento ambientale
PROVINCIA DI SONDRIO SETTORE RISORSE AMBIENTALI Servizio Caccia e Pesca PIANO DI MIGLIORAMENTO AMBIENTALE Fulvio Di Capita - Valerio Quadrio INDICE Premessa ..................................................................................................................................................................... Interventi ambientali generali ...................................................................................................................... » 6 ......................................................................................................................................................... » 6 ................................................................................................... » 7 ............................................................................................................ » 16 ...................................................................................................................... » 27 ........................................................................................................................................................................ » 27 » 33 ........................................................................................................................................................... » 34 .................................................................................................................................................................... » 38 ............................................................................................................................................ » 40 ...................................................................................................................................................................... » 51 ........................................................................................................................................ » 52 ................................................................................................................................................................... » 52 - Aspetti tecnici - Zone di fondovalle e prime pendici - Zone di media e alta montagna Interventi ambientali specifici - Ungulati pag. 5 - Lagomorfi ................................................................................................................................................................... - Gallo forcello - Coturnice Riferimenti normativi Beneficiari Aspetti amministrativi Conclusioni Foto di: Luca Corlatti: 6; Giacomo Moroni: 1,16; Ettore Mozzetti: 10,12; Giuliano Pizzi: 7,14,17,18; Valerio Quadrio: copertina, 2, 3, 4, 5, 8, 9, 11, 13, 15, 19, 20, 21, 22, 23, 24. PIANO DI MIGLIORAMENTO AMBIENTALE PREMESSA Gli strumenti normativi di riferimento sull’attività venatoria, la Legge n. 157/1992 e la L. R. n. 26/1993, che prescrivono alle Amministrazioni Provinciali la predisposizione di Piani faunistico-venatori, prevedono anche la redazione di Piani di miglioramento ambientale. Per miglioramenti ambientali si intendono quegli interventi attuati allo scopo di ricreare condizioni ambientali idonee laddove l’intervento dell’uomo, per l’impatto delle attività produttive o per incuria, abbia causato una rottura degli equilibri naturali, ivi compresa la dinamica delle popolazioni della fauna selvatica. Nella stesura degli interventi di miglioramento ambientale che qui si andranno a proporre ci si è attenuti a tre criteri ispiratori principali: - individuazione di pochi interventi significativi per la situazione faunistico-venatoria della provincia di Sondrio e indicazione di specifiche realtà territoriali su cui andare a posizionarli, in modo da evitare la dispersione delle esigue risorse in una molteplicità di interventi poco efficaci; - ricorso a tutti i possibili strumenti normativi che prevedano finanziamenti e possano ovviare alla cronica carenza di risorse per iniziative che, se hanno un’indubbia ricaduta positiva su tutta la collettività, scontano un rapporto costi/benefici non sempre vantaggioso, soprattutto a causa delle difficoltà insite nelle zone d’intervento; - riduzione al minimo degli interventi artificiali di ripopolamento. Gli argomenti sono suddivisi in tre parti. La prima parte farà riferimento in senso generale agli aspetti tecnici relativi alle pratiche di miglioramento ambientale a fini faunistici, con riferimento alle tipologie ambientali presenti sul territorio provinciale e in particolare all’individuazione degli ambiti ecologici in cui si suggerisce di concentrare gli interventi. Nella seconda parte si proporranno interventi ambientali relativi alle principali specie di interesse naturalistico e venatorio ospitate tra le nostre montagne. Nella terza parte, infine, si passeranno in rassegna gli strumenti normativi di riferimento, sia per un adeguato approccio operativo alla materia sia per una ricognizione sulle possibilità di attingere a finanziamenti pubblici in grado di incentivare i potenziali attuatori degli interventi. La presenza dell’uomo, con le modificazioni dell’ambiente che nel loro complesso passano sotto la definizione di “antropizzazione”, causa di norma una riduzione della biodiversità di un’area. La presenza di insediamenti abitativi e produttivi diffusi provoca, in questi casi, unitamente all’aumento delle infrastrutture necessarie, alla crescente intensivizzazione dei processi produttivi agricoli e ad una competizione sempre più marcata per la disponibilità di territorio, la progressiva “banalizzazione” degli ecosistemi. -5- D’altra parte il processo di progressivo abbandono della montagna cui abbiamo assistito in questi ultimi decenni, mentre è stato tra le cause di rarefazione di specie come Lepre comune, Coturnice e Gallo forcello, ha contribuito ad un notevole incremento di altri selvatici quali alcuni Ungulati. Questo fenomeno va attribuito principalmente all’espandersi del bosco su aree precedentemente occupate da colture foraggiere estensive, in primo luogo prati pascoli e pascoli. Un Piano di miglioramento ambientale equilibrato dovrà quindi privilegiare l’incentivazione di azioni già inserite nei processi produttivi agricoli tradizionali, ancora passibili di benefici influssi sulle condizioni della fauna selvatica. Dovendo far fronte al fattore limitante delle risorse disponibili, la strada migliore sembra quella di concentrare gli interventi su poche specie e su aree di limitata estensione, assecondando le tendenze evolutive in atto laddove considerazioni di carattere economico lo rendano consigliabile. 1. INTERVENTI AMBIENTALI GENERALI Nella redazione del presente capitolo, che per il suo carattere generale non abbisognava di sostanziali aggiornamenti, si è tenuto in particolare considerazione il precedente Piano di miglioramento ambientale della Provincia di Sondrio, Scherini 1994, opportunamente modificato ed integrato. 1.1 ASPETTI TECNICI La realizzazione di questi interventi si differenzia a seconda: - dell'area geografica e del tipo di habitat; - delle specie selvatiche che si intende tutelare o favorire. Ogni situazione ambientale rappresenta un caso a sè stante e necessita quindi di scelte specifiche. Ciononostante, considerando le caratteristiche del territorio provinciale, è possibile prevedere a questo fine l'applicazione di interventi specifici di miglioramento ambientale relativamente a due tipologie principali: - zone di fondovalle e prime pendici intensamente coltivate; - zone di media e alta montagna, in cui prevalgono il prato-pascolo, il pascolo, l'incolto e la foresta. Si farà inoltre un breve riferimento alle zone umide. Attraverso tale suddivisione del territorio si distinguono in modo implicito anche le specie selvatiche prevalenti nei diversi ambienti e quindi l'indirizzo faunistico dei provvedimenti. Nel 1° habitat, i miglioramenti ambientali saranno indirizzati soprattutto alla piccola selvaggina stanziale (fagiani, starne, lepri e, almeno parzialmente, caprioli). Nella seconda tipologia ambientale gli interventi saranno orientati invece prevalentemente agli ungulati ed eventualmente alle altre specie di piccola selvaggina stanziale presente (le specie già indicate e quelle più tipiche della montagna: pernice bianca, gallo cedrone e forcello, lepre variabile, coturnice, ecc.). Nelle zone umide tali interventi saranno rivolti prevalentemente a favore dell'avifauna acquatica. -6- 1.2 ZONE DI FONDOVALLE E PRIME PENDICI Queste sono le aree in cui si concentra la maggioranza delle attività antropiche. Anche l'agricoltura assume caratteri particolarmente intensivi determinando un maggiore impatto sull'ambiente e sulla fauna selvatica. Per questo motivo dal punto di vista tecnico gli interventi di miglioramento ambientale a fini faunistici applicati in queste zone si possono distinguere in due categorie principali: 1) interventi di miglioramento dell'habitat; 2) limitazione di alcune pratiche agricole dannose alla fauna selvatica. Il primo tipo d'interventi ha lo scopo di migliorare le disponibilità alimentari, incrementare le aree di rifugio e di protezione ed i siti di riproduzione delle specie selvatiche di maggior interesse. Il secondo tipo d'interventi intende invece limitare o eliminare le cause di mortalità della fauna selvatica indotte dall’adozione di alcune pratiche agricole pericolose. Interventi di miglioramento dell'habitat I più significativi da proporre in questi ambienti risultano quelli di seguito indicati. 1) Mantenimento e/o ripristino degli elementi fissi del paesaggio di valore ambientale e faunistico, come ad esempio: le siepi, gli arbusti, i cespugli, gli alberi, i frangivento, i boschetti, ecc. Gli elementi fissi del paesaggio hanno un'importanza determinante per il rifugio, la nidificazione e l'alimentazione di molte specie selvatiche. Per i Galliformi in particolare, i micro-ambienti delle siepi e degli arbusti risultano un sito preferenziale di nidificazione, oltre che un importante luogo di rifugio dall'attacco dei rapaci. A ciò va aggiunto il fondamentale apporto alimentare garantito da questi elementi, nel periodo autunnale e invernale, ad un'ampia gamma di Passeriformi. La loro presenza e diffusione favorisce l'indice di diversità ambientale di un determinato territorio e lo sviluppo del cosiddetto effetto margine. Ciò consente l'instaurarsi di una fauna più ricca qualitativamente (numero delle specie presenti) e quantitativamente (numero di individui per specie e biomassa complessiva). Oltre agli effetti benefici di tipo faunistico, tali elementi svolgono altre funzioni utili per l'ambiente e le produzioni agrarie, tra cui la riduzione dell'erosione del suolo, la funzione di barriera frangivento, l'incremento della presenza di insetti pronubi e di predatori/parassiti dei fitofagi. Per quanto riguarda le specie arboree ed arbustive da piantare o da favorire, sono da privilegiare le specie autoctone, anche se alcune specie naturalizzate si possono prestare bene ad una utilizzazione a scopi naturalistici e faunistici. Considerando le diverse situazioni pedoclimatiche del territorio risulta difficile fornire indicazioni univoche sulle specie da preferire. Per tale motivo si è ritenuto utile riportare nelle due tabelle che seguono – una per le essenze arboree, l’altra per quelle arbustive – le specie più vantaggiose per la fauna selvatica e le caratteristiche da considerare per una loro eventuale scelta. In linea generale appare utile alternare la presenza delle specie sempreverdi con le specie caducifoglie e prevedere anche l'impianto di alcune essenze in grado di produrre frutti eduli per favorire l'alimentazione dei selvatici. -7- Tabella 1. Principali specie arboree utilizzabili per interventi di mantenimento o ripristino degli elementi fissi del paesaggio di valore ambientale e faunistico -8- Tabella 2. Principali specie arbustive utilizzabili per interventi di mantenimento o ripristino degli elementi fissi del paesaggio di valore ambientale e faunistico -9- 2) Semina di "colture a perdere" e/o rinuncia alla raccolta di certe coltivazioni su appezzamenti di piccola estensione, per fini alimentari, di rifugio e di nidificazione. Con questi interventi si cerca soprattutto di sopperire alle carenze alimentari che si determinano durante l'annata nell'ecosistema agrario. Il susseguirsi delle diverse operazioni agricole sugli appezzamenti determina continue modificazioni nelle disponibilità alimentari dell'ambiente. In particolare in seguito alle raccolte ed alle altre operazioni come le lavorazioni del terreno, gli sfalci, le fertilizzazioni, i trattamenti, determinate risorse alimentari spariscono o vengono fortemente ridotte. Le colture a perdere svolgono quindi la funzione di integrare questi vuoti alimentari lasciati dalle colture agricole, che interessano in particolare i mesi autunnali ed invernali. In questo periodo, infatti, oltre alle carenze trofiche dell'ambiente coltivato, si aggiungono anche quelle dell'ambiente naturale. La presenza di questi micro-ambienti nell'ecosistema agrario svolge inoltre un'importante funzione per il rifugio e la nidificazione di diverse specie selvatiche che risentono negativamente delle continue e repentine modifiche dell'habitat coltivato. Per la scelta delle essenze più adatte da seminare, si rimanda alle indicazioni fornite nel cap. 1.3.1. 3) Predisposizione di punti di alimentazione e di abbeverata da rifornire nei periodi di maggiore carenza (periodi di siccità estiva e di carenza alimentare in inverno). Questi potranno prevedere dei sistemi polivalenti distribuiti uniformemente sul territorio, preferibilmente non lontano dalle zone di rifugio (foto 1). Foto 1: Punto di abbeverata 4) Modificazione dei sistemi di coltivazione, attraverso: una maggiore frammentazione degli appezzamenti e delle colture, l'adozione o il ripristino delle rotazioni colturali con cereali autunno-vernini e foraggiere, il ricorso alle lavorazioni minime del terreno ed alle tecniche di agricoltura biologica. Come è noto la frammentazione degli appezzamenti e delle colture è particolarmente favorevole alla fauna selvatica in quanto aumenta la biodiversità complessiva dell'ecosistema, - 10 - cioè la presenza di diverse specie animali e vegetali. È risaputo infatti che la fauna selvatica tende a frequentare soprattutto le aree di margine fra gli appezzamenti e le colture. Diversi autori hanno evidenziato una stretta correlazione tra la diversità colturale e la densità delle popolazioni selvatiche. Per quanto riguarda la nostra Provincia, comunque, è da rilevare come la situazione fondiaria sia già caratterizzata da un esasperato frazionamento e dalla polverizzazione delle aziende agricole (foto 2). Non è il caso quindi di indicare un’ulteriore spinta alla frammentazione tra gli interventi auspicabili. Foto 2: Scorcio del fondovalle valtellinese. Si denotano una spiccata antropizzazione ed un esasperato frazionamento della proprietà agricola. Più interessante potrebbe rivelarsi, in alcuni casi, un maggior ricorso alle rotazioni colturali introducendo l’impiego di cereali autunno-vernini e leguminose da affiancare al più tradizionale prato stabile. Nel caso di ricorso alle rotazioni si consiglia l’impiego di lavorazioni minime del terreno, i cui vantaggi nei confronti della fauna selvatica possono essere così sintetizzati: - un minore disturbo arrecato ai selvatici dalle ridotte lavorazioni e passaggi sul terreno; - una superiore e più prolungata disponibilità alimentare dovuta alla presenza dei residui della coltura precedente e alla maggiore presenza di microfauna; - condizioni più favorevoli per la riproduzione di diverse specie. Assieme a questi vantaggi bisogna tuttavia considerare anche un aspetto negativo: la necessità di aumentare il controllo delle piante infestanti e quindi l'aumen- 11 - to nell'uso dei diserbanti. Il non interramento dei residui della coltura precedente ed, in generale, la non lavorazione del terreno, favoriscono infatti lo sviluppo delle erbe infestanti. A questo aspetto negativo tuttavia è possibile ovviare attraverso la scelta dell'epoca e del tipo di principio attivo diserbante da distribuire, in modo da minimizzare i potenziali effetti negativi sulla fauna selvatica. Infine anche l'adozione delle tecniche di agricoltura biologica può avere effetti positivi per la fauna selvatica, soprattutto in relazione alla mancata diffusione di sostanze chimiche nell'ambiente rurale. 5) Mantenimento od impianto di formazioni forestali di limitata estensione con l’utilizzo di essenze autoctone ad elevata diversità strutturale, gestite in modo che siano presenti i diversi strati di vegetazione. Si può citare come esempio la recente iniziativa “10 grandi foreste”, con cui la Regione Lombardia ha accolto e finanziato un progetto del Settore Agricoltura della Provincia di Sondrio per la riqualificazione e la fruizione pubblica del bosco ripariale lungo l’asta dell’Adda nei dintorni del capoluogo. Oltre all’obiettivo turistico-ricreativo, primaria importanza ricopre l’obiettivo ecologico-naturalistico. I boschi ripariali dell’Adda, infatti, si configurano come il corridoio biologico più rilevante del territorio. La presenza di queste nuove formazioni forestali sul fondovalle sarà di supporto al mantenimento e al miglioramento della biodiversità vegetazionale e faunistica. 6) Poiché la situazione dei due principali fondovalle della provincia di Sondrio, quello valtellinese e quello valchiavennasco, si presenta alquanto compromessa per la progressiva urbanizzazione del territorio, si deve cercare di mantenere e, dove sia ancora possibile, ripristinare i corridoi faunistici indispensabili per impedire la continua frammentazione degli habitat, una delle principali cause della diminuzione della ricettività degli stessi sia in termini quantitativi che qualitativi, in altre parole della riduzione della biodiversità. La progettazione delle grandi infrastrutture, per esempio, deve tener conto dei punti di passaggio della fauna ungulata, sia per permettere collegamenti tra i versanti retico ed orobico (Valtellina) e tra le Alpi Lepontine e Retiche (Valchiavenna), sia per diminuire la possibilità di incidenti stradali che coinvolgono fauna selvatica ed automezzi, con perdita di animali e gravi rischi per l’incolumità dell’uomo. Riportiamo di seguito 2 tabelle ed un grafico (figura 1) che danno l’idea delle dimensioni non trascurabili del fenomeno. Tab. 3 Numero di incidenti stradali (e relativa percentuale sul totale) occorsi in Provincia di Sondrio in seguito ad impatto con ungulati, suddivisi per specie (dati cumulati dal 2000 al primo semestre 2006) (da Ritrovamenti di fauna selvatica in Provincia di Sondrio nel periodo 2000-2006 a cura del dott. Luca Corlatti, 2007). SPECIE N° INCIDENTI capriolo cervo cinghiale Totale 140 163 2 305 - 12 - % INCIDENTI 45,90 53,44 0,66 100,00 % % % % Tab. 4 Andamento del numero di incidenti stradali occorsi annualmente dal 2000 al 2005 in provincia di Sondrio in seguito ad impatto con ungulati, suddivisi per specie (da Ritrovamenti di fauna selvatica in provincia di Sondrio nel periodo 2000-2006 a cura del dott. Luca Corlatti, 2007). SPECIE 2000 2001 capriolo cervo cinghiale 15 26 0 28 26 0 Totale 41 54 ANNO 2002 2003 2004 2005 17 17 2 15 23 0 22 33 0 28 30 0 36 38 55 58 Fig. 1 Andamento annuale del numero di incidenti stradali occorsi fra il 2000 e il 2005 in provincia di Sondrio in seguito ad impatto con ungulati, suddivisi per specie (da Ritrovamenti di fauna selvatica in provincia di Sondrio nel periodo 2000-2006 a cura del dott. Luca Corlatti, 2007). Limitazione delle pratiche agricole dannose alla fauna selvatica 1) Riduzione dell'impiego dei fitofarmaci più dannosi alla fauna selvatica, astensione dalle irrorazioni nelle cosiddette tare aziendali e nelle fasce di coltivazione di maggiore importanza per la fauna, cioè lungo i fossi, le scoline, le siepi, i frangiventi, i boschetti, i confini fra una coltura e l'altra, per una larghezza da 4 a 6 m a seconda delle dimensioni degli appezzamenti. Gli effetti dannosi che i fitofarmaci possono determinare sulla fauna selvatica sono soprattutto di due tipi: a) diretti, in relazione agli effetti di tossicità acuta, tossicità cronica, mutagenesi, teratogenesi e cancerogenicità che possono provocare le sostanze chimiche sulle diverse specie; - 13 - b) indiretti, in relazione alla riduzione o all'eliminazione di alimenti significativi per le diverse specie e secondariamente alla riduzione o all'eliminazione di zone di rifugio e di nidificazione. Una definizione precisa dei prodotti più dannosi alle diverse specie selvatiche risulta difficile, in quanto i parametri da prendere in considerazione sono numerosi. Studi completi, in grado di riassumere questi effetti sulle diverse specie selvatiche, sono molto rari ed in genere riguardano solo situazioni specifiche difficilmente estrapolabili a diverse realtà territoriali. Relativamente alle popolazioni di starna e di Galliformi in generale, si è constatato che uno dei fattori limitanti più significativi è rappresentato dalla scarsità di insetti (soprattutto larve di lepidotteri e insetti a cosiddetto corpo molle) per l'alimentazione dei giovani Galliformi nelle prime settimane di vita. Poiché, come è noto, negli ambienti agrari tali insetti sono presenti in misura maggiore nelle aree di margine o di confine tra le colture, gli appezzamenti, i boschetti e le siepi, la riduzione nell'impiego dei fitofarmaci dovrebbe interessare soprattutto queste aree. Va detto comunque che la sensibilità a queste tematiche nella nostra Provincia è notevolmente cresciuta negli ultimi anni. A titolo di esempio si può citare la larga adesione dei frutticoltori al Regolamento di autodisciplina per la produzione integrata in frutticoltura, iniziativa patrocinata dalla Provincia, con il supporto della Fondazione Fojanini e dei tecnici operanti sul territorio, con cui gli agricoltori sottoscrivono volontariamente l’impegno a produrre le pregiate mele di Valtellina facendo il ricorso più limitato possibile a trattamenti fitosanitari e in ogni caso privilegiando i prodotti meno tossici per l’uomo, gli animali e l’ambiente. Gli ottimi risultati conseguiti sono testimoniati dalle risultanze delle numerose analisi chimiche eseguite sul prodotto finale. Si ha conferma di questo anche da un punto di vista faunistico, laddove l’ambiente dei frutteti ha ricominciato a essere frequentato abitualmente da selvatici, in particolare dalla lepre comune e dall’avifauna minore (foto 3). Foto 3: L’ambiente caratteristico dei frutteti ha ricominciato ad essere frequentato abitualmente da selvatici, lepri comuni in particolare. - 14 - Nel settore viticolo una strada analoga è stata intrapresa in tempi più recenti, ma anche in questo caso c’è un notevole interesse da parte del mondo agricolo, che va stimolato da parte di Pubblica Amministrazione, Organizzazioni di Categoria e tecnici sul territorio per favorirne, come già avviene in frutticoltura, la massima diffusione. Un Regolamento di autodisciplina per la produzione integrata in viticoltura è stato adottato a partire dalla campagna 2006, su proposta tecnica della Fondazione Fojanini e con il consenso della Provincia, della Camera di Commercio, delle Organizzazioni Professionali Agricole e del Consorzio Tutela Vini di Valtellina. 2) Adozione di misure specifiche durante le operazioni di sfalcio e di raccolta dei foraggi ed in generale di raccolta delle altre colture. Queste operazioni dovrebbero essere svolte partendo dal centro degli appezzamenti con direzione centrifuga, riducendo la velocità delle macchine, alzando le barre di taglio di almeno 10 cm dal suolo e prevedendo sistemi di allontanamento dei selvatici dalle superfici lavorate prima o durante le lavorazioni (ad esempio attraverso l'applicazione delle cosiddette “barre d'involo”, sistemate anteriormente agli organi falcianti). Anche i trattamenti con i prodotti chimici andrebbero realizzati partendo dal centro degli appezzamenti, per evitare irrorazioni dirette sugli animali o per evitare il contatto con la vegetazione trattata, dovuto allo spostamento di questi dal centro alla periferia dell’appezzamento. 3) Accorgimenti e pratiche agronomiche varie C’è poi tutta una serie di azioni, svolte abitualmente in campagna, che possono avere un significato agronomico preciso ma spesso non supportate da una valutazione della relativa incidenza da un punto di vista faunistico-ambientale. Tenere conto anche di questo aspetto può condurre a stilare un elenco semplice ma efficace di azioni da fare o non fare per favorire la fauna selvatica. Ne riportiamo di seguito una serie di particolare interesse per le condizioni del nostro territorio: - preservare l’esistenza di microambienti e biotopi naturali (siepi, macchie, fossi, stagni, rocce ecc.); - limitare l’espansione di superfici a monocoltura, evitando lavorazioni profonde del terreno; favorire, per quanto possibile, le rotazioni e tutto ciò che aumenta la biodiversità; - rispettare le aree marginali come potenziali ospiti di selvatici; - conservare la presenza del prato permanente e dei seminativi anche all’interno di zone prevalentemente boscate, con una particolare attenzione alle fasce di transizione costituite da specie arbustive; - limitare al minimo l’impiego di mezzi agricoli a motore e mantenerli in efficienza, in modo da contenere il rumore e le emissioni inquinanti; - evitare la cementificazione dei fossi. - 15 - 1.3 ZONE DI MEDIA E ALTA MONTAGNA Queste aree rappresentano generalmente le fasce altitudinali al di sopra delle zone coltivate intensivamente, ed è proprio qui che risultano più evidenti gli effetti dei cambiamenti in atto e dell’abbandono delle pratiche agricole e dell’utilizzo del suolo più tradizionali. Si tratta di quei territori in cui prevalgono le praterie più o meno pascolate, il bosco e le diverse zone di transizione tra queste due tipologie ambientali (foto 4), e dove negli ultimi anni si sono diffuse notevolmente alcune specie di fauna selvatica (soprattutto Ungulati). Foto 4: Zone di transizione tra boschi e maggenghi, dove l’effetto ecotonale è maggiore: sono ambienti ideali per diversi selvatici, dagli Ungulati alle Lepri. Gli obiettivi principali dei miglioramenti ambientali a fini faunistici per queste aree sono quelli tesi a favorire la presenza e a migliorare la gestione degli Ungulati e delle altre specie selva-tiche presenti, o potenzialmente presenti, riducendo contemporaneamente la frequenza dello sconfinamento degli Ungulati nelle aree coltivate. In particolare queste azioni sono finalizzate all'incremento delle disponibilità idriche ed alimentari del territorio, soprattutto nei periodi di maggiore carenza, e alla predisposizione di aree idonee al pascolo, al rifugio ed alla riproduzione delle specie presenti. Tali interventi dovranno essere realizzati al fine di favorire una più omogenea distribuzione spaziale delle popolazioni selvatiche con una riduzione dei danni alle compagini forestali ed alle coltivazioni agrarie presenti in prossimità di questi territori. In relazione agli obiettivi proposti vengono indicati i seguenti interventi. 1.3.1 AREE INCOLTE O PASCOLATE Dal punto di vista agronomico il Piano di gestione di un alpeggio deve prevedere l’organizzazione nel tempo e nello spazio dell’utilizzo del pascolo ed un piano di miglioramento del pascolo stesso. Tra i sistemi di governo della mandria possiamo distinguere il pascolo con sistema vagante o libero ed il pascolo con sistema con- 16 - trollato. Nel primo caso gli animali possono scegliere liberamente dove e quanto brucare, con la conseguenza di un rapido degrado del cotico erboso dovuto alla selezione che la mandria esercita nei confronti delle specie più appetibili, brucate anche nella delicata fase di ricaccio. Oltre alla conseguenza di una progressiva affermazione di specie cattive foraggiere, il pascolo così condotto è sottoposto a maggior calpestamento con comparsa di sentieramenti e gli animali stessi, muovendosi di più, sprecano energie sottraendole alla produttività. Il pascolo controllato, che si avvale principalmente dell’utilizzo di recinti elettrici mobili, permette un utilizzo molto più efficiente dell’alpeggio e ne garantisce nel tempo un’ adeguata continuità produttiva. In questo caso, infatti, è il caricatore a stabilire quali spazi e per quanto tempo possono essere utilizzati a turno dalla mandria. E’ quindi necessario determinare il momento ottimale di pascolamento, per quanto tempo gli animali potranno utilizzare una determinata superficie, il tempo che deve trascorrere tra un turno di utilizzo e il successivo, il carico di bestiame ottimale per unità di superficie. Questa impostazione, che deve tener conto di molte variabili, per esplicare appieno la sua efficacia presuppone l’intervento di un agronomo per la redazione del Piano di gestione del pascolo. E’ indubbio che la gestione razionale del pascolo comporti notevoli miglioramenti quali-quantitativi della produttività delle cotiche erbose, con effetti positivi sia per gli animali domestici sia per i selvatici Tali effetti, ampiamente dimostrati, possono essere sintetizzati nel modo seguente (Skovlin et al., 1968; Andrson & Scherzinger, 1975; Marchandeau, 1992): - il pascolo turnato, con opportuni carichi, comporta la drastica riduzione della densità di Graminacee perenni come Nardus stricta, pessime foraggiere e non gradite nemmeno agli erbivori selvatici (foto 5); Foto 5: Pascolo montano invaso da Graminacee perenni come Nardus stricta, pessima foraggiera. - 17 - - in tali casi si rileva un aumento della diversità specifica ed un miglioramento della digeribilità delle specie vegetali disponibili, che inoltre contengono maggiori quantità di proteine rispetto alle specie presenti nelle zone di pascolo non sfruttate dai domestici; - l’uso a rotazione del pascolo comporta un aumento della produttività della cotica erbosa di 2 - 2,5 volte e migliora la qualità del foraggio invernale per il cervo, i galliformi selvatici e per molte specie di vertebrati granivori. Il solo pascolo selvatico non è comunque in grado di mantenere nel tempo una soddisfacente produzione degli alpeggi, dal punto di vista sia quantitativo che qualitativo. Ove il pascolo non riesca più a garantire quegli effetti positivi innanzi illustrati, nelle aree incolte o insufficientemente pascolate in cui il bosco non è prevalente possono prevedersi: - la semina di colture a perdere; - la falciatura e l'erpicatura di alcune fasce di vegetazione spontanea, da realizzare ogni una o due annate, avendo cura di non danneggiare o disturbare la fauna selvatica presente (quindi meglio nella tarda estate); - uno sfalcio ripetuto, più volte in un anno, accompagnato da un’opportuna concimazione del terreno, ha come scopo una rinnovazione energica dei pascoli, con un ricaccio di essenze migliori dal punto di vista nutrizionale. Va effettuato su una parte del pascolo, il 25-30% del totale, e a macchia di leopardo. L’aumento di biodiversità cosi ottenuta avrà come conseguenza un aumento dell’entomofauna presente in loco; i Galliformi come il Gallo forcello e la Coturnice, al momento della schiusa delle uova e dello svezzamento, ne trarranno sicuro beneficio dal punto di vista alimentare come apporto proteico; - la predisposizione di punti di abbeverata e di alimentazione da rifornire nei momenti di particolare emergenza (carenza alimentare ed idrica); - l'allestimento di ripari artificiali di vario tipo. Colture a perdere L’abbandono della montagna verificatosi negli ultimi decenni, soprattutto nelle zone in pendio, consente il facile reperimento di aree idonee all'impianto di coltivazioni per gli animali selvatici. Non si tratta di voler fermare un processo storico e sociale, di cui per il momento non si prevede un'inversione di tendenza, e neppure ci si illude di poter ristabilire quelle condizioni che avevano favorito sensibilmente l'espansione delle popolazioni di Starna, Coturnice e Lepre comune, ma di tendere a ristabilire condizioni di vita possibili per i Fasianidi, essenzialmente granivori, e più favorevoli alla Lepre, che oggi può contare solo sulle coltivazioni foraggiere. Localmente si dovrà anche tener conto della eventuale presenza di Cervidi e Cinghiale, soprattutto nell'intento di scoraggiare incursioni nelle colture agricole esistenti. Nella progettazione degli interventi è opportuno rammentare che le colture per gli animali selvatici non hanno come scopo la produzione, ma devono rispondere a precise esigenze biologiche delle singole specie, fornendo alimento ricco e variato specialmente nei tempi più critici del ciclo annuale, in generale durante l'inverno e inizio primavera. Tale periodo coincide per Fasianidi e Lepre con la fase riproduttiva, e per gli Ungulati con il termine della gestazione nelle femmine e con la crescita dei palchi nei maschi dei Cervidi. - 18 - La localizzazione delle parcelle dovrà collocarsi possibilmente nei pressi delle abituali rimesse, godere di tranquillità e copertura, permettendo la pastura a qualsiasi ora del giorno. Inoltre se nell'area saranno presenti coltivi o vigneti, le coltivazioni a perdere dovranno costituire un deterrente onde evitare costosi risarcimenti. Al fine di fornire un alimento ricco e tenero è buona norma che i terreni prescelti vengano lavorati preventivamente in autunno e concimati adeguatamente, possibilmente con letame o con i fertilizzanti complessi disponibili in commercio. In base alle considerazioni esposte si forniscono di seguito alcune caratteristiche delle principali colture di interesse per la montagna. Cavolo da foraggio (Brassica oleracea var. acephala). Di elevato valore nutritivo, assicura foraggio verde per tutto l’inverno sino alla primavera; anche se brucato produce il secondo anno una grande quantità di foglia. Molto appetito, deve essere protetto fino all’utilizzo con una recinzione mobile da spostare gradualmente. (Lepre, Cervidi, Cinghiale). Rapa (Brassica rapa var. esculenta). Ottima sia in foglia che in tubero, seminata in luglio, può succedere a segale o avena, più appetite le varietà a collo rosso, il tubero è facilmente asportabile con gli zoccoli dagli Ungulati. Segale (Secale cereale). Resistente al freddo, alla siccità, all'altitudine, sviluppo rapido, resiste alla brucatura, molto appetita da Lepre, Cervidi e Fasianidi; seminata a fine giugno fornisce alimento per tutto l'inverno, ove non venga ricoperta da una spessa coltre di neve, e ancora foraggio verde in primavera. Le spighe mature in agosto potranno essere in seguito utilizzate anche dalla coturnice. Grano Saraceno (Fagopyrum esculentum). Pianta estiva a crescita rapida, poco esigente nei confronti del suolo purché caldo e asciutto, seminata in luglio con senape o colza produce una buona coltura invernale soprattutto per i Fasianidi. Erba medica (Medicago sativa). Merita attenzione in quanto resistente al freddo, alla siccità e può essere coltivata a grandi altitudini, la parcella a medica può persistere con buona produzione per una decina d'anni. Ovviamente, secondo le normali pratiche agricole, si attuerà una rotazione tra le colture alternando piante esigenti con altre più frugali o con Leguminose, inoltre avvicendando quelle facilmente infestate da erbe poco interessanti con altre che permettono la lavorazione del suolo (rape, cavolo). Miscele foraggiere - segale e veccia pelosa (Vicia pilosa), 10 kg + 8 kg/1000 mq, seminata in agosto dà foraggio da inizio inverno a primavera; - miscela di Landsberg (3 kg Vicia pilosa, 2 kg trifoglio incarnato, 2 kg Lolium multiflorum), seminata a fine agosto fornisce un ottimo foraggio invernale; - miscela di Ranwolf, seminata a maggio fornisce un ottimo alimento a tutta la fauna selvatica lungo tutto l'arco dell'anno, ha la composizione seguente: - 19 - Avena Lupino dolce Veccia comune Mais ibrido Carota da foraggio Bietola da foraggio Frumento Soia Ravizzone invernale kg 25,00 4,00 4,00 1,00 0,10 0,50 25,00 6,00 2,00 Grano saraceno Colza invernale Veccia primaverile Girasole Uccellina Senape Rapa Cavolo da foraggio Bietola da zucchero kg 7,00 3,00 3,00 1,00 1,00 0,10 1,00 0,20 0,20 Sono inoltre disponibili in commercio vari tipi di miscele preconfezionate, adatte alle diverse specie di selvatici che per ciascun intervento si intende favorire. Foraggiamento Il foraggiamento rappresenta una pratica spesso utilizzata nella gestione degli Ungulati selvatici. Vi sono Paesi, come Germania ed Austria, in cui il foraggiamento invernale degli Ungulati è prassi consolidata e intensiva. Gli aspetti positivi di questo intervento sono riconducibili ad un miglioramento della qualità dei singoli soggetti per la continua disponibilità di alimenti anche in condizioni avverse, maggiore protezione degli Ungulati legata alla scelta degli ambiti territoriali di fidelizzazione, limitazione dei danni causati al bosco dai selvatici in seguito alle carenze invernali di foraggio, aumento della capacità recettiva del territorio interessato. Tuttavia la somministrazione artificiale di alimenti è attualmente soggetta ad una revisione critica che ne suggerisce un uso limitato e ben oculato. La principale considerazione negativa cui va soggetta questa pratica è che con il foraggiamento artificiale vengono di fatto eliminati i periodi di carenza alimentare, annullando in tal modo il principale fattore naturale di regolazione delle popolazioni. Il risultato è un incremento delle popolazioni stesse che, se da un lato garantisce maggiori “rese” venatorie, d’altro canto favorisce la sopravvivenza anche dei soggetti più deboli, causando un decadimento della qualità della popolazione ed una maggior suscettibilità all’insorgenza di epizoozie, anche in conseguenza della concentrazione degli animali in aree più ristrette. Inoltre, mentre un tempo si impiegavano per il foraggiamento invernale esclusivamente alimenti poveri, principalmente fieno, il tipo di foraggio somministrato è divenuto via via più ricco, creando di fatto una situazione innaturale di dipendenza dall’uomo e una relativa perdita di “selvaticità”. In definitiva si contraddice in tal modo il principio che la conservazione del patrimonio faunistico debba avvenire nella maniera più naturale possibile. Per queste motivazioni gli orientamenti più moderni tendono a limitare il ricorso alla somministrazione artificiale di alimenti alle sole fasi iniziali di operazioni di reintroduzione di alcuni Ungulati (Caprioli e Cervi) al fine di favorirne la sopravvivenza cercando di trattenerli nelle zone di rilascio durante il primo insediamento. Va infine ricordato che quando si sia intrapresa la scelta del foraggiamento, questa va proseguita con assiduità per tutta la stagione invernale; eventuali interruzioni provocherebbero scompensi irreparabili nella popolazione alimentata artificialmente. Qualora il foraggio somministrato risulti povero di fibre, potrebbero sorgere problemi di scortecciamento in seguito alla necessità fisiologica dei selvatici di integrare la dieta. - 20 - Altane Anche se l’orografia del territorio della Provincia di Sondrio permette generalmente un buon controllo delle popolazioni di Ungulati è innegabile che la costruzione di altane ne favorirebbe la gestione. Per la costruzione di tali strutture, essendo precarie e movibili, necessita solamente una informativa all’Amministrazione comunale competente per territorio (foto 6). Sarà cura della Provincia, con apposita regolamentazione, provvedere alle autorizzazioni per il posizionamento sul territorio, opportunamente georeferenziato, definendone così le caratteristiche principali. Foto 6: una semplice altana. Ripari artificiali Sono tra i mezzi più semplici per fornire sicurezza, copertura termica e visiva negli ambienti aperti, per piccoli Passeriformi, Mammiferi di piccole e medie dimensioni ed anche Tetraonidi. Collocazione: vengono disposti agli angoli dei campi, degli incolti, in aperta campagna, nei pascoli, in prossimità di raccolte d'acqua, nonché in vicinanza di habitat a buona copertura, ma evitando il fondo di vallette e le strade. Un numero di 2-5 strutture per Ha sono più che sufficienti. - 21 - Si tratta in genere di 2 tipi di struttura: 1. Cataste: si possono preparare con qualsiasi materiale vegetale derivante dalla lavorazione di alberi, come potature, ramaglie, cespugliame, alberi caduti. Sotto la catasta devono rimanere spazi di 15-30 cm ottenuti costruendo la catasta su dei grossi sassi o sopra dei ceppi. L'altezza della catasta varia normalmente tra 1,5-2,5 m di altezza e 4-10 m di diametro; 2. Cumuli: già presenti sui nostri alpeggi da secoli, eredità dei tempi in cui grande era la "fame di erba", possono essere incrementati, migliorando al contempo la qualità dei pascoli; forniscono un clima più stabile ai loro ospiti (culbianchi, codirossi, ermellini, ecc.), sia come temperatura che umidità (foto 7). Sono adatte pietre di tutte le misure, anche se quelle più grosse (> 50 cm) devono essere disposte alla base in modo da lasciare interstizi spaziosi. Quando sono costruiti come posatoio o nido per i rapaci, dovrebbero essere collocati in posizione dominante. Le dimensioni variano tra 1-2 m di altezza, 3-4 m di diametro, con ogni tipo di forma, compresa quella ad igloo; 2-3 cumuli possono anche essere costruiti a pochi metri di distanza. Foto 7: Cumuli di pietre in un alpeggio ottenuti con lo spietramento delle superfici pascolate. - 22 - 1.3.2 GESTIONE FORESTALE In un'ottica di programmazione territoriale delle foreste in provincia di Sondrio tesa al raggiungimento delle massime capacità faunistiche consentite dai vari ambienti, il miglioramento ambientale si inserisce anche in questo ecosistema come un complesso di operazioni il cui scopo è in primo luogo quello di arricchire le disponibilità alimentari, nonché di migliorare la ricettività con una conseguente più omogenea distribuzione spaziale delle popolazioni animali. Per quanto riguarda la fauna prevalentemente associata alle aree boscate, Tetraonidi e Ungulati, specie particolarmente legate agli ambienti ecotonali, primaria importanza assume la gestione forestale (foto 8), che pertanto non deve più essere vista solo sotto il profilo della produzione del legno e della salvaguardia idrogeologica, ma di un uso multifunzionale, che comprenda anche quello di una migliore idoneità al mantenimento della fauna selvatica. Tale orientamento porterà anche al contenimento dei danni provocati dalla selvaggina alla foresta stessa e ad eventuali zone agricole confinanti. Foto 8: Zona di nidificazione del Gallo cedrone. Di particolare importanza risultano le tecniche di governo e di trattamento del bosco, tendenti al mantenimento di un'elevata diversità ambientale, sia per quanto concerne la composizione specifica, sia per la sua complessità strutturale: in senso planimetrico in funzione di una diversità della densità, alternandosi radure e chiarie a zone fitte; per lo sviluppo verticale in rapporto ad una diversa altezza degli elementi arborei e quindi alla disetaneità del popolamento. - 23 - Ciò pare possibile mediante la realizzazione di: - tagli a buca limitati a zone poco estese (< 500 mq) e notevolmente disperse sulla superficie forestale, al fine di creare radure, ove, innescandosi una nuova successione, l'evoluzione della vegetazione porti alla produzione di elementi erbacei ed arbustivi importanti dal punto di vista trofico; - sfoltimento su grandi estensioni, per mantenere e ricreare una struttura disetanea degli elementi arborei; - predisposizione di parcelle governate a ceduo nell’ambito di strutture forestali gestite a fustaia; - mantenimento della maggior diversità di specie compatibile con l'orizzonte considerato, sia con interventi di taglio, sia con la piantumazione; - mantenimento o creazione di un piano arboreo dominato molto ricco in specie anche fruttifere; - attuazione della ripulitura sistematica a mosaico, su parcelle poco estese e con periodicità non ravvicinata; - trattamento e governo del bosco esclusivamente dopo il 15 luglio nelle aree interessate dalla nidificazione del gallo cedrone (foto 9), forcello e francolino di monte. Foto 9: Un ambiente vario è più ricettivo; specie ormai rare come il Gallo cedrone possono trovare nicchie ecologiche ancora valide. - 24 - Partendo dalla considerazione che i boschi di latifoglie (compatibilmente con i diversi orizzonti fitoclimatici) sono da preferire a quelli di conifere e procedendo dal piano montano a quello culminale, specie vegetali di notevole interesse, sia da un punto di vista trofico sia di rifugio, per la fauna selvatica risultano essere: - nell'orizzonte montano, nelle fasce di margine delle coltivazioni, dei maggenghi e soprattutto nei prati da sfalcio abbandonati, sui bordi delle radure, tra le essenze arboree a foglia caduca: melo, pero, ciliegio, pruno, castagno, sorbi, noce, agrifoglio, ontano nero, spincervino, alloro; tra le resinose: l'abete bianco; tra le essenze arbustive: crespino, cotognastro, biancospini, prugnolo, fusaggine, sanguinelle, corniolo, ligustro, sambuco nero e rosso, viburni, rose selvatiche, lampone, ribes, ginepro; - all'interno delle aree forestali, accanto alle specie arboree a più ampia diffusione quali querce, faggio, acero, frassino, orniello, risulta interessante l'inserimento di tasso, salici, pioppo tremolo, betulla, ontani, carpino, olmo montano, maggiociondolo, tiglio; - nelle foreste di resinose dell'orizzonte subalpino possono utilmente inserirsi sorbi, abete bianco e soprattutto pino cembro e, tra gli arbusti, pero corvino, caprifogli, lampone, sambuco rosso, rosa pendulina, ribes. Per quanto riguarda le resinose, in particolare va sottolineato come spesso gli impianti monospecifici siano stati effettuati inserendo le specie autoctone in orizzonti altitudinali diversi da quelli loro propri. Da ultimo, allo scopo di favorire le attività di censimento e di prelievo delle popolazioni nonché la fruibilità naturalistica e ricreativa di determinate aree, è utile predisporre punti di osservazione in prossimità delle radure al fine di rendere più agevole l’osservazione degli animali. Gli strumenti più utilizzati a questi fini risultano essere le altane. ZONE UMIDE Le principali aree umide presenti sul territorio provinciale (Pian di Spagna, Pian Gembro) sono già tutelate con l’istituzione di aree protette (foto 10). Foto 10: Una veduta del Pian di Spagna. - 25 - Si ravvisa comunque l’importanza di provvedere, per ogni Comprensorio Alpino, ad un censimento complessivo dei luoghi umidi esistenti: laghi, stagni, paludi, torbiere, pozze d’alpeggio non più utilizzate, con particolare riguardo per quelle aree umide o acquitrinose (foto 11), in genere abbandonate, che con operazioni di modico impegno economico potrebbero essere ripristinate. Foto 11: In una situazione di crescente scarsità delle risorse idriche, un censimento complessivo dei luoghi umidi esistenti (stagni, paludi, piccole sorgenti, torbiere, pozze d’alpeggi) rivestirebbe grande importanza. Dal punto di vista della biodiversità anche le piccole sorgenti sui versanti siccitosi si rivelano particolarmente preziose. L’ abbandono delle zone agricole in quota ed il conseguente venir meno delle opere di manutenzione ordinaria hanno avuto, tra gli altri effetti, l’interramento e la scomparsa di queste sorgenti. Preziose informazioni circa la loro esistenza e ubicazione potranno essere fornite da anziani contadini, boscaioli e cacciatori, in modo da poterle riportare in vita ripristinando pozze d’abbeverata e d’insoglio. La disponibilità di risorse idriche ha, come ovvio, influssi positivi su tutte le componenti ecologiche, con particolare riferimento alla riproduzione e al rifugio della fauna minore (anfibi, rettili, crostacei) migliorando la biodiversità e l’equilibrio dinamico del sistema. Anche per le zone umide la vegetazione svolge un ruolo determinante come risorsa alimentare diretta, come microambiente ricco di prede, come rifugio e come sito di nidificazione per l’avifauna selvatica. La valorizzazione faunistica di ogni area umida prevede quindi il mantenimento e lo sviluppo della vegetazione presente e delle specie di maggior interesse per l’avifauna del luogo (foto 12). Anche in questo caso si cercherà di favorire l’eterogeneità delle essenze vegetali presenti cercando di evitare la prevalenza e l’eccessivo sviluppo di alcune specie rispetto ad altre. - 26 - Foto 12: Una zona umida paludosa. 2. INTERVENTI AMBIENTALI SPECIFICI Al fine di evitare inutili dispersioni dei pochi fondi a disposizione e della manodopera sempre più scarsa, si ritiene opportuno concentrare gli sforzi maggiori sui seguenti interventi ambientali specifici. UNGULATI INTERVENTI DI TAGLIO Nelle vallate alpine il bosco sarebbe la forma naturale di vegetazione dal fondovalle fino a 2200 metri circa di quota. La sua mancanza, nell’ambito descritto, è sempre conseguenza delle attività antropiche. I prati, i pascoli, i vigneti e i frutteti sono quindi habitat secondari. Lo sfruttamento del bosco per la produzione di legname ha fatto sì che il limite naturale della vegetazione arborea si abbassasse ovunque di circa 200 metri. L’attuale fase storica va in controtendenza. La situazione in provincia di Sondrio vede in espansione incontrollata le superfici boscate, sia di specie forestali sia di specie arbustive. Questo processo è naturale conseguenza dell’arretramento dell’attività agricola e del progressivo abbandono dei maggenghi e dei pascoli. Se in una prima fase questa evoluzione si è dimostrata vantaggiosa per gli Ungulati – che hanno potuto fruire indisturbati di risorse foraggiere pregiate – con la - 27 - crescita delle essenze arboree, la graduale chiusura del bosco ed il progressivo sopravvento di specie arbustive ed erbacee a scarso valore nutritivo il bilancio diventa negativo ed occorre prendere atto di una perdita netta di risorse alimentari a disposizione dei selvatici e di un successivo deterioramento generale della qualità ambientale rispetto alle esigenze ecologiche delle specie considerate. Si può ragionevolmente ipotizzare quindi che, dopo una fase di crescita significativa durata alcuni decenni, il naturale evolversi dei processi indicati influisca sulla consistenza delle popolazioni di Ungulati nella nostra provincia in direzione di una contrazione. Questa premessa ci consente di individuare i più efficaci interventi da proporre. Una volta stabilito che non è più proponibile da un punto di vista socioeconomico il ritorno a pratiche un tempo diffuse quali l’utilizzo razionale dei maggenghi attraverso sfalci e pascolamento e lo sfruttamento oculato delle malghe attraverso un carico di bestiame equilibrato e un’opportuna turnazione, l’unica alternativa percorribile è il ricorso a tagli della vegetazione sia arborea che arbustiva (ontano verde, rododendro), accompagnati da sfalci del cotico erboso infeltrito mirati a ripristinare ed ampliare gli ambienti favorevoli al pascolo degli Ungulati. Anche all’interno di estese strutture forestali, mediante interventi di taglio è opportuno favorire la formazione di nuove radure di superficie limitata (come ordine di grandezza, inferiori all’ettaro) e mantenerle sgombre in modo da garantire agli Ungulati la disponibilità di foraggio fresco (foto 13). Indicativamente si può considerare sufficiente un rapporto di un ettaro di radura ogni 50 ettari di bosco (2%). Foto 13: All’interno di estese strutture forestali, mediante interventi di taglio è opportuno favorire la formazione di nuove radure di superficie limitata e mantenerle sgombre in modo da garantire agli Ungulati la disponibilità di foraggio fresco. - 28 - Esperienze condotte in Lombardia ci permettono di stimare che una ventina di volontari possa, con l’ausilio di motoseghe e decespugliatori, tagliare, asportare e accatastare ordinatamente una superficie invasa da ontano verde pari a circa 2 ettari in 2 o 3 giorni di lavoro, secondo le condizioni della stazione (foto 14). I ricacci di ontano andrebbero controllati con la brucatura di capre o di pecore effettuata con l’impiego di recinti elettrificati. Foto 14: Squadra di cacciatori volontari all’opera. Gli stessi interventi conseguono importanti risultati a vantaggio di altre specie, quali la Lepre comune, la Lepre alpina, il Gallo forcello e la Coturnice. Per esplicare la massima efficacia gli interventi di taglio proposti dovrebbero presentare le seguenti caratteristiche tecniche: - Selettività: essere rivolti a poche specie invadenti, salvaguardando quelle utili, in particolare le baccifere (es. sorbo degli uccellatori, sorbo alpino, sambuco rosso); - Localizzazione: essere concentrati su superfici limitate, ritenute ideali per le specie oggetto dell’intervento, non collocate in zone marginali dell’habitat; - Gradualità: essere diluiti in un arco temporale pluriennale. - 29 - I 3 concetti precedenti trovano un punto di sintesi nel concetto di ecocompatibilità: l’intensità e l’estensione degli interventi devono consentire alle tendenze evolutive naturali di compiere comunque il loro corso naturale verso una situazione di equilibrio ecologico stabile (climax). Gli ecosistemi maturi, infatti, sono caratterizzati da un bilancio energetico equilibrato tra sintesi e decomposizione della sostanza organica e da una più elevata biodiversità. Ricordiamo che con l’entrata in vigore dei nuovi Criteri per la trasformazione del bosco e per i relativi interventi compensativi (D.G.R. n. 3002 del 27 luglio 2006) i seguenti interventi previsti all’interno dei Piani di miglioramento ambientale a fini faunistici: - conservazione o miglioramento degli habitat della fauna selvatica compreso il recupero delle aree ex pascolive e dei maggenghi “invasi” dalla vegetazione forestale; - creazione o ripristino di specchi, corsi d’acqua o ambienti naturali umidi interrati e in fase di colonizzazione boschiva; - conservazione o ripristino di brughiere e altri incolti erbacei, importanti per la conservazione della biodiversità; - conservazione o ripristino di “cannocchiali” visivi e viste panoramiche colonizzate dal bosco sono sempre esonerati dall’esecuzione di interventi compensativi, in quanto inseriti tra gli interventi di conservazione o di miglioramento della biodiversità o del paesaggio. Lo stesso documento dispone che il Piano provinciale preveda per ogni Comprensorio Alpino e per ogni Settore di caccia agli Ungulati una superficie massima annuale di bosco trasformabile. Tale indicazione è contenuta nella pagina seguente (tabella 5). Ogni anno ciascun Settore e collettivamente ciascun Comprensorio devono preventivamente sottoporre alla Provincia – ferme restando le competenze autorizzative previste dalle norme forestali – un piano dettagliato con l'ubicazione e la superficie degli interventi di trasformazione previsti. Per gli interventi ricadenti in aree protette, gli interventi di trasformazione del bosco devono essere individuati in accordo con gli enti gestori delle aree protette. Non si ritiene consigliabile l’utilizzo della tecnica dell’incendio “controllato” per il contenimento degli arbusti, della rinnovazione del bosco e l’eliminazione dello strato erbaceo infeltrito in quanto i benefici ottenibili, anche in relazione ad un modesto arricchimento del terreno, non giustificano l’assunzione di rischi ambientali così elevati. - 30 - Tabella 5 INTERVENTI DI MIGLIORAMENTO AMBIENTALE Superficie massima annuale di bosco trasformabile Comprensorio BORMIO TIRANO SONDRIO MORBEGNO CHIAVENNA Settore Sup. a bosco ettari Sup. max bosco trasformabile (1%) ettari AV 1 Sondalo 2.008,12 20,08 AV 2 Valdisotto 3.256,61 32,57 AV 3 Valdidentro 2.256,61 22,57 AV 4 Livigno 1.182,44 11,82 Tot. parz. 8.703,78 87,04 TI 1 Tirano sud 7.377,58 73,78 TI 2 Tirano nord 9.159,12 91,59 Tot. parz. 16.536,70 165,37 SO 1 Arcoglio 5.511,82 55,12 SO 2 Alta Valmalenco 5.236,44 52,36 SO 3 Val di Togno 3.366,42 33,66 SO 4 Val Fontana 2.067,18 20,67 SO 5 Val d'Arigna 2.762,88 27,63 SO 6 Venina - Scaiss 2.272,11 22,72 SO 7 Valle Livrio 4.808,21 48,08 SO 8 Valmadre 2.785,33 27,85 Tot. parz. 28.810,39 288,09 MO 1 Lesina - Gerola 6.102,14 61,02 MO 2 Tartano - Albaredo 7.247,93 72,48 MO 3 Val Masino 6.034,86 60,35 MO 4 Costiera dei Cech 2.351,10 23,51 Tot. parz. 21.736,03 217,36 CH 1 Lepontine 6.202,48 62,02 CH 2 Alta Valle Spluga 3.329,21 33,29 CH 3 Bregaglia - Codera 9.428,43 94,28 Tot. parz. 18.960,12 189,59 94.747,02 947,45 Totale generale - 31 - Tenendo conto delle precedenti indicazioni, si può concludere che l’area interessata dagli interventi dovrebbe avere una superficie minima pari allo 0,03 % della superficie agro-silvo-pastorale di ogni distretto dei 5 Comprensori Alpini di Caccia della Provincia di Sondrio. Le superfici in gioco sono riassunte nella seguente tabella. C.A.C. Sup. agro-silvo-pastorale (ha) Sup. minima da destinare a interventi (0,03% in ha) Bormio 34.049,15 10,21 Tirano 35.321,90 10,60 Sondrio 66.919,56 20,08 Morbegno 45.752,54 13,73 Chiavenna 53.392,05 16,02 POZZE DI ABBEVERATA E DI INSOGLIO Un sempre maggior utilizzo delle risorse idriche della montagna a fini idroelettrici, civili, industriali ed agricoli, accompagnato spesso da prolungati periodi di siccità durante la stagione estiva, può portare a limitazione per la distribuzione di diverse specie selvatiche. Diviene così estremamente utile – in special modo sui versanti retici, più soggetti a carenze idriche estive – provvedere alla creazione di piccole pozze (foto 15) che, oltre all’abbeverata, risulteranno molto gradite ai cervi quali luogo di insoglio dove gli animali, specialmente durante l’estate, possano, oltre che abbeverarsi, bagnarsi per particolari esigenze di termoregolazione e rotolarsi nel fango, anche al fine di creare una barriera protettiva che li difenda dalle punture di insetti. Foto 15: Diviene così estremamente utile - in special modo sui versanti retici, più soggetti a carenze idriche estive - provvedere alla creazione di piccole pozze che, oltre all’abbeverata, risulteranno molto gradite ai cervi quali luogo di insoglio. - 32 - Indicativamente si può stimare come situazione ideale la presenza di una pozza del diametro minimo di 3-5 m per kmq. Nel realizzare questi interventi, ed in particolare per risolvere il problema dell’impermeabilizzazione, sarà opportuno fare ricorso a tecniche e materiali il più possibile naturali e rispettosi dell’ambiente. Ci viene in aiuto in questo l’impiego di metodi tradizionali, quali l’uso di cenere o, per garantirne una maggior durata, di argilla fine, eventualmente addizionata con bentonite. In terreni come quelli della nostra provincia, caratterizzati generalmente da scarsa dotazione di argilla, è tollerato il più diffuso ricorso a guaine in polietilene o telo in PVC. La forma della pozza si consiglia rotondeggiante, con sezione dell’invaso conicopiramidale, per facilitare i moti naturali dell’acqua. Gli argini della pozza, in quanto percorribili, dovranno presentare la necessaria portanza a seguito del consolidamento ottenuto con sassi o paletti infitti nel terreno. Il deflusso dell’acqua in eccesso avverrà per tracimazione (foto 16). Foto 16: Pozza di abbeverata ripristinata. LAGOMORFI La densità di queste specie è strettamente legata ad un’abbondante disponibilità di essenze verdi a fini alimentari e di aree cespugliate, selezionate come siti preferiti per il riposo diurno. Per questo motivo gli interventi ideali a favore della Lepre sarebbero quelli relativi alla conservazione e al ripristino della coltivazione di cereali a semina autunnale per le zone di pianura. Queste colture infatti garantiscono per tutto il periodo invernale un’elevata disponibilità di alimento verde ad alto valore nutritivo. Nelle nostre condizioni, di scarso o nullo ricorso alla semina di cereali autunno-vernini, l’intervento più importante non può che consistere in una adeguata gestione dei prati-pascoli abbandonati ed in uso. Per quelli abbandonati, lo sfalcio periodico può assicurare un rinnovellamento della vegetazione e quindi incrementare la - 33 - disponibilità di alimenti di elevata qualità per la Lepre; per quelli ancora utilizzati in modo tradizionale, anche la limitazione del carico di bestiame può rivelarsi utile. E’ opportuno comunque – sia sulle superfici sfruttate a pascolo sia su quelle sfalciate – lasciare dei cespugli o piccole aree boscate variamente distribuiti, che costituiscano un potenziale rifugio dai predatori e una fonte alimentare di emergenza in caso di prolungato innevamento. Considerato anacronistico ed improponibile il ritorno ad un’economia agro-silvopastorale ormai appartenente al passato, si propone di concentrare gli interventi di sfalcio nelle zone in cui l’habitat si dimostra più favorevole alla specie, evitando cosi sprechi di risorse economiche e di mano d’opera, sempre troppo scarse per un intervento generalizzato ed uniforme su tutto il territorio. Piccoli appezzamenti di colture a perdere cerealicole (come orzo, segale e grano saraceno), cavoli o tuberi (come rape e topinambur) contribuirebbero a fornire un alimento ricco e variato, in particolar modo nei periodi dell’anno più critici per l’approvvigionamento alimentare come l’inverno e l’inizio della primavera. GALLO FORCELLO Il Gallo forcello presenta una densità massima nelle aree con vegetazione erbacea ed arbustiva bassa, inframmezzata da cespugli di maggiori dimensioni (tipiche le formazioni di ontano verde e pino mugo) o da rada vegetazione arborea (come larice, abete rosso, faggio). Sulle Alpi la specie si ritrova in genere in tutte le aree in cui sia ancora importante la presenza dell’uomo con una tradizionale attività agrosilvopastorale. Questo ci consente di concludere che il mantenimento di tali attività favorisce l’insediamento della specie in tutte le zone poste ai margini delle superfici foraggiere utilizzate (prati, prati-pascoli e pascoli). Più recentemente, con il progressivo abbandono degli alpeggi e della pratica della monticazione estiva, i pascoli vengono progressivamente invasi da uno strato pressoché continuo di bassi cespugli di rododendro e ontano verde e successivamente da alta vegetazione arbustiva ed arborea. Lo stesso ontano verde col tempo dà origine a cespugli di altezza crescente che, non più controllabili, tendono a colonizzare rapidamente e a richiudere le aree aperte, un tempo caratterizzate dalla presenza di pregiate specie erbacee e come tali soggette al pascolo. Pur nella consapevolezza che l’evoluzione socio-economica cui si assiste in montagna ben difficilmente potrà invertire questa tendenza all’abbandono dello sfruttamento delle risorse foraggiere in quota, è possibile mettere in atto alcune misure idonee a fronteggiare questa situazione ambientale e ripristinare le aree favorevoli alla pastura e alla riproduzione della specie. Tali interventi, sostanzialmente riconducibili a tagli, possono essere suddivisi in due categorie a seconda del degrado riscontrato nei vari ambienti: - sui pascoli abbandonati, dove il rododendro tende ad espandersi e ad occupare rapidamente le radure un tempo pascolate soppiantando la vegetazione erbacea, si deve intervenire con sollecitudine. Per eliminare la vegetazione a rododendro, si possono aprire delle discontinuità irregolari, estese circa 0,8 - 1 ha, utilizzando decespugliatori (foto 17). Alla fine si dovrebbe ottenere una sorta di mosaico colturale dove si alternino aree a pascolo e limitate superfici ricoperte da arbusti di piccole dimensioni. - 34 - Foto 17: L’utilizzo di decespugliatori facilita il taglio di piccoli arbusti e la rinnovazione dei abbandonati e degradati. Un ambiente può considerarsi ripristinato quando la vegetazione erbacea si estenda su almeno il 40-50% del territorio, quella arbustiva bassa (inferiore al metro) e quella di dimensioni maggiori, sostanzialmente presenti in eguale misura, coprano in maniera discontinua la restante superficie; - nelle fasce estese e continue costituite da piante mature di ontano verde o da pino mugo è necessario creare aperture piuttosto ampie (0,5-2 ha, solitamente 50-70 m per 120-150 m di lato), fortemente irregolari in modo da rendere quanto più lungo possibile il perimetro di contatto tra la fascia di cespugli e l’area aperta. L’intervento richiede alcune giornate di lavoro per ettaro con l’impiego della motosega per tagliare la massa legnosa che deve essere poi raccolta, ammassata e, se possibile, asportata. In queste situazioni può essere molto opportuno l’impiego di macchine trituratrici (trinciasarmenti o piccoli mulini), che permettono notevole risparmio di manodopera e consentono di ridistribuire in loco la biomassa asportata (foto 18). Foto 18: Macchina trituratrice al lavoro. L’impiego di tali macchine facilita l’opera di decespugliamento soprattutto nelle stazioni pianeggianti ed in presenza di poche pietre. - 35 - Per estrinsecare al meglio l’efficacia dell’intervento, il terreno sul quale è stato effettuato il taglio dev’essere completamente ripulito da ramaglie e cespugli. Considerato che la funzione di tali radure artificiali si esaurisce nel giro di 10/15 anni, esse dovrebbero essere programmate a rotazione in modo da mantenere un’apertura di 1 ha ogni 10-15 ha di fascia continua di arbusti (foto 19 e 20). Foto 19: Ecco come si presenta nel maggio 2007 uno dei primi interventi di taglio di arbusti effettuato in Valtellina nell’estate del 1998. Foto 20: A quasi 10 anni dal taglio degli arbusti il rododendro ha appena cominciato ad insediarsi, mentre i mirtilli con alcune graminacee, hanno colonizzato lo strato più basso della vegetazione. Nella progettazione e realizzazione di tali interventi occorre tenere in attenta considerazione il rischio che il taglio possa ridurre la stabilità della copertura nevosa su un intero versante. Per ovviare a ciò i tagli dovrebbero dare origine a sottili fasce arborate, strette e lunghe come una successione di onde; - al margine superiore del bosco, i tagli devono tendere a ridurre la densità della copertura arborea creando aperture abbastanza grandi, irregolari e frequenti, così da garantire quella discontinuità e quella sovrapposizione dei diversi piani vegetazionali che caratterizzano le aree in cui la densità del forcello risulta più elevata. - 36 - Foto 21: L’alimentazione animale sembra sia essenziale per i giovani tetraonidi; la presenza di formiche, con le loro pupe e uova, si dimostra indispensabile nelle vicinanze dei luoghi scelti dalle femmine per la deposizione. Qui vediamo un formicaio di dimensioni a dir poco eccezionali. I siti riproduttivi del forcello (foto 21) sono molto vari, tuttavia si può individuare un mosaico ambientale ideale caratterizzato dai seguenti rapporti proporzionali tra categorie di vegetazione (De Franceschi, 1994): - 40-60% prato o pascolo, in condizioni di assenza di infeltrimento; - 20-30% rodoreto o altri arbusti bassi, più o meno denso e alto; - 20-30% bosco di conifere, latifoglie o misto con ontaneto/mugheto. Nell’esecuzione degli interventi occorre tenere presenti pochi e semplici criteri (Scherini 1999): - osservare con attenzione il suolo sotto gli ontani e i rododendri; non tagliare dove la pendenza sia elevata; non faticare inutilmente dove il suolo sia pietroso; tagliare dove si giudichi probabile una ripresa della vegetazione erbacea o del mirtillo (foto 22). Foto 22: La vegetazione erbacea e del mirtillo è stata invasa dall’ontano verde. Il taglio dell’ontaneto ne renderà probabile una pronta ripresa. - 37 - Per quanto riguarda l’epoca di realizzazione degli interventi, vanno iniziati non prima del mese di agosto, meglio dopo la metà del mese, per non arrecare disturbo eccessivo all’allevamento delle covate eventualmente presenti in loco. Per lo stesso motivo si devono evitare operazioni generalizzate, ma va lasciata indisturbata almeno la metà della zona interessata. Per quanto riguarda le caratteristiche tecniche si rimanda ai criteri di selettività, localizzazione e gradualità già citati per gli Ungulati. La durata del ciclo di interventi dovrebbe essere compresa dai tre ai cinque anni, con l’obiettivo di arrivare a interessare circa il 10% dell’area potenziale della specie; questo in linea anche con le varie esperienze effettuate sull’arco alpino. COTURNICE L’habitat ideale della Coturnice va ricercato nelle pendici erbose discontinue, spesso assai ripide, intercalate da ghiaioni, rocce, creste, canaloni, pascoli inframmezzati con arbusteti nani posti sui versanti più asciutti e soleggiati, con esclusione dei pascoli abbandonati. Attualmente i nuclei di popolazione sono confinati in ambienti tipicamente alpini e subalpini a lenta evoluzione, in una fascia altimetrica collocata tra i 1500 e i 2300 m slm. In inverno può scendere anche sotto i 1000 m, in zone aperte di vegetazione erbacea situate all’interno delle formazioni forestali. Le ampie distese di cespugli alti e soprattutto di erbe secche e dense (tetti di paglia) che sono venuti ad insediarsi sui pascoli ormai abbandonati e degradati (foto 23) non rappresentano più ambienti ideali per la riproduzione di tutti i Galliformi, in quanto i pulcini, nei primi giorni dopo la schiusa delle uova, in queste condizioni fanno fatica a seguire la madre e a procurarsi il nutrimento. Foto 23: Ampie distese di erbe secche e dense (tetti di paglia) che sono venuti ad insediarsi sui pascoli ormai abbandonati e degradati non rappresentano più ambienti ideali per i Galliformi. Progetti di miglioramento e/o di recupero finalizzato di habitat per la coturnice a medio o a lungo termine (10-20 anni), su aree di almeno 100-200 ettari idonee alla specie, prevedono la ripetizione di interventi su alcuni ettari/anno per diversi anni di seguito. Tali trattamenti dovranno presentare una progressione a scacchiera o a mosaico un anno dopo l’altro, rispettando dei corridoi di 5-10 m di ampiezza dove la vegetazione seguirà l’evoluzione naturale del territorio e fornirà anche rifugio temporaneo alla fauna. In tal modo, nell’arco di tempo indicato, si sarà gradualmente - 38 - ringiovanito gran parte del cotico erboso, tenendo conto che spesso si interviene su situazioni abbandonate da decenni. L’epoca degli interventi dovrebbe essere tardiva, dopo la metà di agosto, per permettere lo spostamento dei nidiacei ormai abbastanza sviluppati. Per limitare il disturbo ed inibire gli spostamenti eccessivi vanno evitate operazioni estese su tutto il territorio idoneo alla specie, ma va sempre lasciato tranquillo almeno il 50% dell’area. Si procederà in modo analogo se si vorrà intervenire nel controllo della vegetazione utilizzando dei recinti elettrificati al cui interno dovranno essere ospitati temporaneamente ed a turno erbivori domestici. Si pensa che a tal proposito, per una prima azione di ripulitura dei pascoli infeltriti, possano essere utilizzati vantaggiosamente degli equini (cavalli e asini) per il tipo di vegetazione, la particolare modalità di sfruttamento del pascolo e la grande estensione di superficie foraggiera di cui essi abbisognano in natura. Successivamente a questo intervento, l’uso di piccoli greggi di pecore, dell’ordine di 30-50 capi, potrà aiutare a controllare la vegetazione erbacea in ciascun settore ricondotto artificialmente a pascolo e delimitato da un recinto elettrificato. L’uso di greggi in condizioni controllate non richiede molta manodopera né costringe il pastore a destinare molto tempo della sua giornata per controllare i propri animali. In sintesi si propone di mantenere negli habitat favorevoli un mosaico di copertura erbacea, arbustiva bassa e affioramenti rocciosi, dove ciascun elemento non superi il 50% della superficie. Ove possibile, si può anche procedere allo sfalcio della vegetazione con mezzi meccanici, come falciatrici o decespugliatori, su piccole superfici di circa 1 ha; in tal caso il fieno va accatastato in grandi mucchi, come riserva invernale a disposizione di tutta la fauna selvatica. Il pascolo con animali domestici avrà lo scopo di ridurre l’avanzamento degli arbusti e la rinnovazione delle specie arboree fra la vegetazione erbacea. L’ habitat della coturnice rappresenta una transizione intermedia della successione vegetazionale che evolve naturalmente in direzione della foresta e, pertanto, necessita di un mantenimento o di un ripristino. L’allevamento zootecnico e in particolare la pratica del pascolamento appaiono oggi come le uniche attività economiche capaci di contrastare la dinamica naturale della vegetazione negli spazi non più interessati dall’utilizzo agricolo tramite sfalcio, quindi nel prossimo futuro l’avvenire della coturnice dipenderà largamente dal destino di questa pratica. Altri interventi di riqualificazione che possono essere presi in considerazione sono: - la pulizia manuale o con decespugliatori dei sentieri di accesso a zone che siano divenute impraticabili per inerbimento ed incespugliamento; - creazione di spazi prativi aperti con il taglio raso terra, autunnale o primaverile, di tratti di ontaneto o mugheto con uso di arnesi da taglio o motoseghe, successivo accatastamento dei tronchi ed accumulo delle ramaglie; - alle quote inferiori dei pascoli piantumazione autunnale di piantine di sorbo degli uccellatori, dai cui frutti a tempo debito potranno trarre giovamento gallo forcello, coturnice e avifauna in genere; - 39 - - la stessa essenza (Sorbus aucuparia) può essere utilmente impiegata nelle alberature di strade di montagna, dove, oltre a un indubbio effetto paesaggistico, garantirà un sicuro vantaggio alimentare all’avifauna frugivora anche in condizioni difficili (foto 24). Foto 24: Il Sorbo degli uccellatori può essere utilmente impiegato nelle alberature delle strade di montagna, dove, oltre ad un indubbio effetto paesaggistico, garantirà un sicuro vantaggio alimentare all’avifauna frugivora anche in condizioni difficili. 3. RIFERIMENTI NORMATIVI Le riforme della Politica Agricola Comunitaria succedutesi nel corso degli ultimi 25 anni, e di conseguenza la produzione normativa intervenuta a livello nazionale e regionale, hanno avuto tra i principali criteri ispiratori la promozione di un’agricoltura ecocompatibile, consapevole cioè del fatto che al mondo rurale non è più demandato il solo obiettivo di produrre derrate alimentari ma anche quello, considerato altrettanto importante, di conservare l’ambiente in generale e il suolo in particolare come risorse limitate da preservare e consegnare integre alle generazioni future. Da questa impostazione discende anche il concetto di multifunzionalità dell’agricoltura, che significa tra l’altro cura del paesaggio e tutela della biodiversità, nella cui definizione rientra appieno un’oculata gestione del patrimonio faunistico. Si potrebbero citare numerosi provvedimenti normativi che, direttamente o più spesso senza avere finalità direttamente legate alla gestione faunistica, rivestono di fatto una notevole importanza per la salvaguardia dei selvatici. - 40 - Tralasciando i Regolamenti comunitari riguardanti i terreni ritirati dalla produzione (set aside) – di importanza trascurabile per la nostra provincia a causa della scarsa incidenza dei seminativi sulla superficie agricola utilizzata – le normative di riferimento attualmente in vigore sono: - Normativa nazionale - Legge 11 febbraio 1992 n° 157, “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”; - Legge 6 dicembre 1991 n° 394, “Legge quadro sulle aree protette”; - Normativa regionale - Legge Regionale 7 febbraio 2000 n° 7, “Norme per gli interventi regionali in agricoltura”, art. 4 “Sviluppo aziendale” e art. 25 “Protezione e valorizzazione delle superfici forestali ; - D.G.R. n°11807 del 30/12/2002, per la concessione di contributi per interventi finalizzati ad uno sviluppo rurale compatibile con la valorizzazione delle risorse faunistiche e ambientali; - Legge Regionale 16 agosto 1993 n° 26 e successive modifiche e integrazioni, “Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria”; - Piano di Sviluppo Rurale 2007-2013 della Regione Lombardia, in particolare la misura 214, “Misure agroambientali”. Le misure sopra elencate, con differenti modalità, prevedono la concessione di sovvenzioni economiche i cui beneficiari sono i proprietari e i conduttori di fondi agricoli. L’obiettivo generale è quello di favorire un’integrazione tra l’attività agricola tradizionale e le esigenze di un’oculata gestione delle risorse ambientali, tra cui quelle faunistiche. Esaminiamo più in dettaglio le principali norme di riferimento. MISURE INTRODOTTE DALLA LEGGE 157/92 La legge n° 157/92 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”, che disciplina l’attività venatoria a livello nazionale, attribuisce un ruolo importante agli interventi per l’incremento della produttività naturale del territorio attraverso il miglioramento delle condizioni ambientali, favorendo così l’aumento della riproduzione naturale delle specie selvatiche. In particolare prevede all’art. 10 che le Province predispongano, nell’ambito della programmazione territoriale a fini faunistico-venatori, piani di miglioramento ambientale volti a mantenere o ripristinare condizioni favorevoli allo sviluppo dei selvatici e a favorire la riproduzione naturale di fauna selvatica, obiettivo condiviso nelle premesse del presente Piano. A tale scopo la legge individua nei proprietari o conduttori dei fondi agricoli i principali destinatari delle sovvenzioni economiche a favore della fauna selvatica. L’intenzione del legislatore è evidentemente quella di incentivare il più possibile l’integrazione tra attività agricola e gestione faunistica del territorio, favorendo un rapporto sinergico tra agricoltori e cacciatori che consenta di evitare tanto un prelievo venatorio irrazionale quanto eccessive densità di selvatici. - 41 - La maggior parte dei compiti relativi alla gestione faunistico-venatoria locale è assegnata alle Province, che, per comprensori omogenei, devono predisporre: 1. i piani faunistico-venatori; 2. i piani di miglioramento ambientale; 3. i piani di immissione di fauna selvatica. Le Regioni hanno invece il compito di coordinare i piani provinciali, individuare le aree a gestione privata (aziende faunistico-venatorie e aziende agro-turistico-venatorie) e gli ambiti territoriali di caccia (ATC o CA), attraverso le competenti Amministrazioni provinciali. La pianificazione prevista dalla L. 157/92 a carico della Pubblica Amministrazione riguarda principalmente 3 aspetti: - uno strettamente faunistico, relativo cioè alla gestione delle popolazioni dei selvatici (reintroduzioni, ripopolamenti, controllo delle popolazioni); - uno venatorio (gestione e controllo del prelievo); - uno di tipo ambientale, relativo alla salvaguardia ed al miglioramento degli ambienti naturali in cui vivono e si riproducono le diverse specie selvatiche. I primi 2 punti sono oggetto di programmazione nel Piano faunistico venatorio; il 3° viene affrontato nel presente Piano di miglioramento ambientale. Esaminiamo quindi, in relazione a quest’ultimo aspetto, le possibili forme d’intervento. Il primo riferimento indiretto ai provvedimenti di miglioramento ambientale è individuabile nell’art. 1 comma 5. Vi è prevista l’istituzione da parte delle Regioni di “zone di protezione… lungo le rotte di migrazione dell’avifauna…finalizzate al mantenimento ed alla sistemazione, conforme alle esigenze ecologiche, degli habitat interni a tali zone e ad essi limitrofi…”. In queste aree dovranno realizzarsi misure di miglioramento ambientale per il “ripristino dei biotopi distrutti e la creazione di biotopi” favorevoli alla fauna selvatica. Negli artt. 10 e 14 si fa un riferimento preciso e significativo alle misure di miglioramento ambientale. L’art. 10 comma 7 prevede infatti che “le Province predispongono altresì piani di miglioramento ambientale tesi a favorire la riproduzione naturale di fauna selvatica…” e prosegue al comma 8 lettera g indicando come i piani faunistico-venatori debbano prevedere “i criteri per la corresponsione degli incentivi in favore dei proprietari o conduttori dei fondi rustici, singoli o associati, che si impegnino alla tutela ed al ripristino degli habitat naturali e all’incremento della fauna selvatica nelle zone di cui alle lettere a) e b)”, cioè le oasi di protezione e le zone di ripopolamento e cattura. L’art. 14 al comma 9 dà mandato alle Regioni di fissare con legge “le forme di partecipazione, anche economica, dei cacciatori alla gestione” dei territori compresi negli ambiti territoriali di caccia e, al comma 11, stabilisce che l’organismo di gestione “programma gli interventi per il miglioramento degli habitat, provvede all’attribuzione di incentivi economici ai conduttori dei fondi rustici per: a) la ricostituzione di una presenza faunistica ottimale per il territorio; le coltivazioni per l’alimentazione naturale dei mammiferi e degli uccelli soprattutto nei terreni - 42 - dismessi da interventi agricoli ai sensi del Reg. CEE 1094/88; il ripristino di zone umide e di fossati; la differenziazione delle colture; la coltivazione di siepi, cespugli, alberi adatti alla nidificazione; b) la tutela dei nidi e dei nuovi nati di fauna selvatica nonché dei riproduttori”. Negli artt. 15 e 23 infine si fa riferimento alle possibili fonti di finanziamento delle misure di miglioramento ambientale, affermando che “per l’utilizzazione dei fondi inclusi nel piano faunistico-venatorio regionale ai fini della gestione programmata della caccia, è dovuto ai proprietari o conduttori un contributo da determinarsi a cura delle amministrazioni regionali in relazione all’estensione, alle condizioni agronomiche, alle misure dirette alla tutela e alla valorizzazione dell’ambiente” (art. 15.c.1), e che “i proventi della tassa di cui al comma 1 (tassa di concessione regionale) sono utilizzati anche per il finanziamento o il concorso nel finanziamento di progetti di valorizzazione del territorio presentati anche da singoli proprietari o conduttori di fondi che, nell’ambito della programmazione regionale, contemplino, tra l’altro, la creazione di strutture per l’allevamento di fauna selvatica nonché dei riproduttori nel periodo autunnale, la manutenzione di apprestamenti di ambientamento della fauna selvatica; l’adozione di forme di lotta integrata e di lotta guidata; il ricorso a tecniche colturali e tecnologie innovative non pregiudizievoli per l’ambiente; la valorizzazione agrituristica di percorsi per l’accesso alla natura e alla conoscenza scientifica e culturale della fauna ospite; la manutenzione e pulizia dei boschi anche al fine di prevenire incendi” (art. 23 comma 4). In sintesi la legge 157/92 prevede che la programmazione e la gestione delle misure di miglioramento ambientale debbano essere approntate in funzione della zonizzazione, o specializzazione territoriale, prevista dalla legge stessa. Ogni istituto territoriale ha delle finalità specifiche e le fonti di finanziamento risultano altrettanto individuabili. A tale proposito si distinguono: 1. le aree protette definite dalla legge, cioè le oasi di protezione e le zone di ripopolamento e cattura; 2. gli istituti faunistico-venatori a gestione pubblica, vale a dire gli ambiti territoriali di caccia (ATC) ed i comprensori alpini (CA); 3. gli istituti a gestione privata, essenzialmente le aziende faunistico-venatorie e agri-turistico-venatorie. Nelle oasi di protezione e nelle zone di ripopolamento e cattura, le province definiscono i piani di miglioramento ambientale, che vengono coordinati a livello regionale nell’ambito dei piani faunistico-venatori. I finanziamenti previsti a favore dei proprietari o conduttori dei fondi rustici potranno derivare: - dal fondo per le tasse di concessione regionale all’esercizio dell’attività venatoria (art. 23); - dalle misure agroambientali di origine comunitaria previste nell’ambito dei Piani di Sviluppo Rurale pluriennali delle singole Regioni. - 43 - Per quanto riguarda gli ambiti territoriali di caccia (ATC) ed i comprensori alpini (CA), la programmazione degli interventi di miglioramento degli habitat e l’attribuzione degli incentivi economici ai conduttori dei fondi rustici è di competenza dell’organismo di gestione dell’ATC o CA. I finanziamenti per questi interventi potranno derivare: - dal fondo per le tasse di concessione regionale all’esercizio dell’attività venatoria (art. 23); - dai proventi dei contributi economici richiesti ai cacciatori aderenti all’ATC o CA (art. 14); - dalle misure agroambientali di origine comunitaria previste nell’ambito dei Piani di Sviluppo Rurale pluriennali delle singole Regioni. Come sopra riportato, i contributi previsti dall’art. 15 per i proprietari o conduttori dei fondi e derivanti dalle tasse di concessione regionale (art. 23), devono essere corrisposti “in relazione alla estensione, alle condizioni agronomiche, alle misure dirette alla tutela e valorizzazione dell’ambiente”. Appare evidente che un’utilizzazione efficace dal punto di vista faunistico ed ambientale di questi fondi dovrebbe premiare gli agricoltori che realizzano efficaci misure di tutela e valorizzazione dell’ambiente e non indistintamente tutti i produttori agricoli. Sovvenzioni generiche e diffuse, considerando la limitatezza delle risorse disponibili, finirebbero per risultare economicamente insignificanti per i produttori agricoli e inutili o insufficienti per gli scopi previsti. Per quanto riguarda infine gli istituti privati di caccia, la legge stabilisce che istituzionalmente le aziende faunistico-venatorie debbano realizzare programmi per la conservazione ed il ripristino ambientale al fine di garantire l’obiettivo naturalistico e faunistico. A tal fine, tuttavia, non sono previste sovvenzioni specifiche se non indirettamente, attraverso le misure agroambientali comunitarie. La distinzione, prevista dalla legge, tra aziende faunistico-venatorie, destinate alla gestione qualitativa, e aziende agri-turistico-venatorie, destinate più a fini produttivistici, dovrebbe essere favorita, nel primo caso, da sovvenzioni specifiche, o meglio, da facilitazioni fiscali che consentano di rendere economicamente conveniente anche la gestione naturalistica di questi comprensori. LA LEGGE REGIONALE 26/93 Nello strumento normativo di livello regionale – L.R. n° 26/93 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria” – i miglioramenti ambientali a fini faunistici sono richiamati all’art.15 – Piani di miglioramento ambientale e all’art. 31 – Compiti dei Comitati di gestione. Gli interventi attuabili sono strettamente collegati a quanto previsto dalla normativa nazionale, già esaminata in dettaglio. Per quanto riguarda le fonti di finanziamento, si dà pratica applicazione alle indicazioni della normativa nazionale attraverso l’art. 36 – Fondo regionale per i contributi a favore dei proprietari o conduttori agricoli, e l’art. 45 – Tassa di concessione regionale per l’abilitazione all’esercizio venatorio. Un altro aspetto importante contenuto nella L.R. 26/93, artt. 31 e 36, riguarda i soggetti promotori ed esecutori degli interventi di ripristino ambientale. - 44 - La norma regionale individua chiaramente come soggetto promotore la Provincia, la quale ha il dovere di intervenire direttamente quantomeno all'interno degli Istituti di tutela (Oasi, Z.R.C.) mentre lo stesso soggetto attraverso l'uso dei fondi appositamente erogati dalla Regione Lombardia, promuove sia nei territori aperti alla caccia che in quelli di tutela, l'azione dei privati, i quali percepiranno contributi modulati in funzione della tipologia degli interventi proposti. Analogamente, la legge regionale prevede che le stesse azioni debbano essere prodotte anche dai Comitati di Gestione, i quali dovranno però utilizzare fondi propri, derivati dalle quote di iscrizione dei cacciatori. LA LEGGE REGIONALE 27/2004 La L.R. 27/2004 “Tutela e valorizzazione delle superfici, del paesaggio e dell’economia forestale”, prevede tra l’altro che le autorizzazioni di trasformazione del bosco siano accompagnate da adeguati interventi di natura compensativa, che possono consistere tanto in interventi direttamente progettati ed eseguiti da chi richiede la trasformazione del bosco quanto nella costituzione di un fondo che raccolga i corrispettivi fissati con appositi conteggi. Criteri, procedure e limiti per le autorizzazioni alla trasformazione del bosco e per le relative compensazioni sono stati fissati con D.G.R. n. 3002 del 27 luglio 2006. Dal contenuto di tale Deliberazione si evince che gli Enti forestali (Comunità Montane o Enti Parco) hanno ampio margine di discrezionalità nello stabilire verso quali finalità orientare gli interventi progettati ed eseguiti direttamente dai richiedenti oppure in che modo impiegare le risorse raccolte tramite la monetizzazione degli stessi interventi compensativi. E’ ipotizzabile, da parte di chi sia interessato ad eseguire miglioramenti ambientali anche a fini faunistici, formulare agli stessi Enti forestali proposte progettuali che comprendano una sintetica descrizione delle opere previste, la loro finalità, ubicazione ed un preventivo di massima. L’Ente forestale, se ritiene valido il progetto, può inserirlo in un apposito elenco, chiamato “Albo delle opportunità di compensazione” a disposizione dei richiedenti la trasformazione del bosco, che possono richiedere allo stesso Ente di sviluppare il proprio progetto di compensazione su una o più proposte contenute nell’Albo. In altemativa, i progetti inseriti nell’Albo possono essere finanziati direttamente dagli Enti forestali coi proventi delle monetizzazioni degli interventi di compensazione. In tal caso l’Ente forestale stabilisce autonomamente i criteri di priorità cori cui individuare le proposte da finanziare. Fatta salva la discrezionalità di Comunità Montane ed Enti Parco, in questa sede preme sottolineare che la Delibera regionale in esame, stabilendo tra i suoi obiettivi l’incremento della qualità degli interventi compensativi per trasformarli in opportunità di miglioramento ambientale del territorio, dà ampie garanzie che anche gli interventi di miglioramento a fini faunistici possano essere inclusi tra le tipologie progettuali da ammettere e valorizzare. MISURE AMBIENTALI RELATIVE ALLE AREE PROTETTE E AGLI HABITAT Le zone vincolate previste dalla legge n° 394/1991 “Legge quadro sulle aree protette”, vale a dire i parchi e le riserve nazionali e regionali, svolgono un ruolo importante nella programmazione faunistica ed ambientale del territorio. Anche in queste - 45 - aree infatti possono essere previsti interventi di miglioramento ambientale. In particolare la legge all’art. 4 comma 1 prevede un coinvolgimento dei produttori agricoli attraverso contributi in conto capitale per “l’esercizio di attività agricole compatibili, condotte con sistemi innovativi ovvero con recupero di sistemi tradizionali funzionali alla protezione ambientale, per il recupero e il restauro delle aree di valore naturalistico degradate”. All’art. 7 comma 1 sono previste anche misure di incentivazione per “opere di conservazione e di restauro ambientale del territorio, ivi comprese le attività agricole e forestali” ed ancora, all’art. 15 comma 2, si stabilisce che “i vincoli derivanti.…alle attività agro-silvo-pastorali possano essere indennizzati”. I finanziamenti in questione sono gestiti dagli organi direttivi degli stessi enti parco ed hanno origine: - dai fondi di finanziamento comunitari, nazionali e regionali per le aree protette (legge 394/1991 e Reg. CEE n. 1973/92), gestiti dalle amministrazioni pubbliche e dagli organi direttivi delle stesse aree (enti parco); - dai provvedimenti agro-ambientali di origine comunitaria previsti nell’ambito dei Piani di Sviluppo Rurale pluriennali delle singole Regioni. Anche la Comunità Europea ha predisposto una serie di provvedimenti per la protezione ed il ripristino degli habitat nell’ambito di aree protette esistenti o da realizzare. Dopo la direttiva 79/409/CEE, in cui vengono fatti precisi riferimenti a questi provvedimenti rispettivamente all’art. 4 e all’art. 3, la Comunità ha predisposto la direttiva 92/43/CEE che si pone l’obiettivo di “…contribuire a salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato” (art. 2). A tale scopo “è costituita una rete ecologica europea coerente di zone speciali di conservazione, denominata Natura 2000. Questa rete, formata dai siti in cui si trovano tipi di habitat naturali elencati nell’allegato I e habitat delle specie di cui all’allegato II, deve garantire il mantenimento ovvero, all’occorrenza, il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, dei tipi di habitat naturali e degli habitat delle specie interessate nella loro area di ripartizione naturale” (art. 3). In particolare per garantire il mantenimento ed il ripristino degli habitat naturali e seminaturali la Comunità ha istituito uno strumento finanziario per l’ambiente (LIFE) con il Reg. CEE n. 1973/92. Tale strumento prevede che “…per la protezione dell’habitat e della natura, il sostegno (finanziario) deve in particolare contribuire al cofinanziamento delle misure necessarie per mantenere o ripristinare in uno stato di conservazione favorevole i tipi di habitat naturali prioritari e le specie prioritarie nei siti interessati figuranti rispettivamente negli allegati I e II della direttiva 92/43/CEE…”. Nel novembre 2002 la Commissione europea ha presentato il Rapporto finale sul finanziamento di Natura 2000, redatto da un apposito gruppo di lavoro. Il documento indica, al capitolo 4 le fonti di finanziamento comunitario per Natura 2000, suggerendo, oltre allo strumento del LIFE, l’utilizzazione dei fondi della - 46 - Politica Agricola Comune, riconoscendo con ciò lo stretto legame tra l’agricoltura e la conservazione dell’ambiente naturale e seminaturale, ed i fondi strutturali (Reg. CE n.1260/1999). La legislazione comunitaria e nazionale relativa alle aree protette ed agli habitat, evidenzia la necessità di un coordinamento per la definizione degli ambiti protetti lungo le rotte di migrazione (art. 1, legge 157/1992) e la rete ecologica Natura 2000 nella direttiva 92/43/CEE. MISURE PREVISTE DAI PROVVEDIMENTI DI ORIGINE COMUNITARIA L’Unione Europea, nell’ambito delle riforme della PAC (Politica Agricola Comunitaria) succedutesi negli ultimi anni, ha previsto una serie di regolamenti che possono avere un ruolo significativo per l’applicazione di misure agro-ambientali con finalità anche faunistiche. Trascurando i Regolamenti relativi al set-aside – che, come già anticipato, non trovano applicabilità in una provincia povera di seminativi come la nostra – tali provvedimenti trovano attuazione nell’ambito dei Piani di Sviluppo Rurale (P.S.R.) predisposti da tutte le Regioni. Al momento della redazione del presente Piano di miglioramento ambientale è in corso il processo di revisione della programmazione 20002006 che porterà all’adozione, da parte della Regione Lombardia, del nuovo Piano di Sviluppo Rurale con validità 2007-2013. Le precedenti misure agroambientali, che hanno avuto origine con il Reg. CEE 2078/92 e sviluppo con il successivo Reg. CE 1257/99 come misura F del P.S.R. 2000/2006, troveranno continuità nel nuovo P.S.R. con la misura 214 – “Pagamenti agroambientali” e, per quanto concerne le colture foraggiere, con la misura 211 – “Indennità a favore degli agricoltori delle zone montane”, meglio nota come indennità compensativa. E’ opportuno pertanto esaminare queste due misure più in dettaglio. Misura 211 – Indennità a favore degli agricoltori delle zone montane Quel che in precedenza costituiva una sorta di premio alla prosecuzione di pratiche agricole estensive tipiche delle zone montane – come il prato stabile, il prato-pascolo ed il pascolo – confluisce con la nuova programmazione nella misura 211, che prevede un’indennità compensativa del minor reddito ritraibile dall’attività agricola in montagna. Un rapido esame di questa misura ci permette di giudicarla non idonea come canale diretto di finanziamento per le iniziative oggetto del presente Piano, ma tutt’al più come uno strumento utile a contrastare l’abbandono delle superfici agricole in montagna, in particolare di quelle pascolive e foraggiere, il cui equilibrio abbiamo visto essere determinante anche ai fini della qualità e biodiversità degli habitat frequentati dalla fauna selvatica. Obiettivi della misura - salvaguardia dell’agricoltura nelle aree svantaggiate di montagna; - mantenimento della presenza umana sul territorio montano attraverso lo stimolo alla prosecuzione dell’attività agricola, al fine di garantire il presidio e la salvaguardia del territorio. - 47 - Beneficiari Imprese e cooperative agricole. Condizioni Il pagamento dell’indennità è subordinato alle seguenti condizioni: - Per le imprese agricole con allevamento: - allevare animali di specie bovina, equina, ovina e caprina; - impegnarsi a mantenere un adeguato rapporto fra UBA (capi adulti) e superficie foraggiera fissato dalle disposizioni attuative. - Per le imprese agricole senza allevamento: - coltivare una superficie minima fissata dalle disposizioni attuative. I beneficiari inoltre devono impegnarsi a proseguire l’attività agricola per almeno 5 anni a decorrere dal primo pagamento. Entità degli aiuti L’indennità è compresa tra 25,00 ed 250,00 per ettaro di superficie agricola utilizzata e riguarda sia le superfici foraggiere (prati, prati-pascoli* e pascoli), sia le superfici a vigneto, altre coltivazioni arboree e seminativi. Nel caso dei vigneti terrazzati, tipici della nostra Provincia, il massimale può essere elevato fino a 300,00 per ettaro. Misura 214 – Pagamenti agroambientali In realtà sarebbe vano cercare nei documenti comunitari e nel quadro normativo riferimenti diretti alla tutela della fauna. La stessa Decisione del Consiglio dell’Unione Europea (febbraio 2006) relativa agli orientamenti strategici comunitari per lo sviluppo rurale 2007-2013, nel capitolo relativo al miglioramento dell’ambiente e delle zone di campagna, non fa esplicito richiamo alla salvaguardia o incremento della fauna, ma individua 3 aree prioritarie a livello comunitario: - la biodiversità e la preservazione e lo sviluppo dell’attività agricola e di sistemi forestali ad elevata valenza naturale e dei paesaggi agrari tradizionali; - il regime delle acque; - il cambiamento climatico. E’ evidente che la tutela della fauna trova accoglienza, per quanto indiretta, soltanto nella prima di queste aree, a sua volta tenuta in considerazione particolare dalla Regione Lombardia nella redazione della nuova misura agroambientale (214), che troverà applicazione a partire da fine 2007. * Si precisa che, da un punto di vista agronomico, per prato-pascolo si intende un terreno investito a colture foraggiere permanenti utilizzato, a seconda del livello altimetrico, con 1-2 sfalci e il successivo pascolamento del bestiame. In provincia di Sondrio si può identificare con i tradizionali maggenghi. - 48 - Ma anche nell’ultima versione del testo disponibile, attualmente oggetto di esame per l’approvazione definitiva da parte degli organi della Commissione Europea, non si rilevano sottolineature particolari dei problemi legati alla salvaguardia della fauna selvatica, se non per i riferimenti indiretti alle finalità di conservazione e miglioramento dell’ambiente, declinate nei seguenti obiettivi: - preservazione e sviluppo di attività agricole a basso impatto ambientale; diffusione e consolidamento dell’attività agricola biologica; tutela del suolo; tutela della qualità delle risorse idriche superficiali e profonde; conservazione del paesaggio agrario tradizionale; incremento della produzione di biomasse legnose finalizzate alla produzione di energia da fonti rinnovabili; incremento della sicurezza degli alimenti attraverso la riduzione dell’utilizzo dei fitofarmaci e la diffusione dei metodi di produzione biologica; creazione di sistemi verdi territoriali per la fitodepurazione e di corridoi ecologici; salvaguardia e incremento della biodiversità; mantenimento e incremento delle coltivazioni estensive. Nel complesso tutte le finalità proposte hanno potenziali effetti positivi sulla fauna selvatica. Tuttavia potrà risultare particolarmente efficace in tal senso il perseguimento degli ultimi 3 obiettivi. Esaminiamo più in dettaglio, quindi, le azioni direttamente connesse a tali obiettivi, non prima di aver ribadito che stiamo esaminando un testo non ancora ufficiale e come tale passibile di ulteriori modifiche. Misura 214 azione C – Produzioni vegetali estensive Quest’azione, volta all’estensivizzazione dell’agricoltura anche attraverso un’azione che incentivi le colture foraggiere in territori di pianura e collina, per quanto riguarda l’ambito del territorio montano è confluita, come detto, nella nuova misura 211 del Piano di Sviluppo Rurale, trattata al paragrafo precedente. Misura 214 azione F – Strutture vegetali lineari e fasce tampone boscate Le siepi e i filari sono un importante elemento del paesaggio agrario di cui si vuole promuovere la conservazione e la diffusione. Costituiscono, insieme alle fasce tampone boscate, importanti corridoi ecologici che contribuiscono in maniera rilevante all’aumento della biodiversità e contribuiscono alla salvaguardia della qualità delle risorse idriche superficiali e profonde attraverso l’azione fitodepurante espletata principalmente dalle fasce tampone boscate. Attraverso questo impegno si intende contribuire alla conservazione del paesaggio agrario tradizionale, alla salvaguardia e incremento della biodiversità, all’incremento della produzione di biomasse legnose finalizzate alla produzione di energia da fonti rinnovabili nonché alla tutela della qualità delle risorse idriche. - 49 - Tipologie di intervento 1. Mantenimento strutture vegetali lineari (siepi e filari) e fasce tampone boscate costituite nell’ambito della precedente programmazione; 2. costituzione di nuove strutture vegetali lineari e fasce tampone boscate. Condizioni Durata dell’impegno: 10 anni Entità massima indennizzo annuale - Mantenimento strutture vegetali lineari e fasce tampone boscate costituite nell’ambito della precedente programmazione: fino a 500,00 per ettaro; - costituzione di nuove strutture vegetali lineari e fasce tampone boscate: fino a 1.500,00 per ettaro. Misura 214 azione G – Miglioramento ambientale del territorio rurale Obiettivo principale dell’azione è quello di preservare le zone rurali attraverso la conservazione del paesaggio agricolo e degli habitat naturali. Tipologie di intervento 1. Recupero e manutenzione dei fontanili e rinaturalizzazione di altri tipi di zone umide. L’intervento sarà attuato attraverso l’applicazione di operazioni di manutenzione secondo le prescrizioni indicate in apposito documento tecnico; 2. conservazione di ambienti agricoli ad alto valore naturale a rischio di scomparsa, presenti nelle aree protette e nelle aree Natura 2000. Gli interventi da attuare saranno descritti in singoli progetti predisposti dagli Enti gestori delle aree protette e delle aree Natura 2000, approvati dalla Direzione Generale Agricoltura della Regione, che oltrepasseranno le prescrizioni dei singoli Piani di gestione. I progetti dovranno riguardare interventi di manutenzione e ripristino dei terreni agricoli a rischio di abbandono delle zone umide presenti all’interno delle aree protette e delle aree Natura 2000, di pianura regionali; 3. ritiro dei seminativi per scopi naturalistici. Tale intervento consiste nella conversione delle superfici occupate da seminativi, in zone di interesse vegetazionale e faunistico, secondo le prescrizioni indicate in apposito documento tecnico. Condizioni Durata dell’impegno: da 5 a 7 anni. Entità massima indennizzo annuale - Recupero e manutenzione dei fontanili: 120,00 per fontanile fino ad un max di 450,00 per ettaro; - conservazione di ambienti agricoli ad alto valore naturale a rischio di scomparsa, presenti nelle aree protette e nelle aree Natura 2000: fino a 450,00 per ettaro; - ritiro dei seminativi per scopi naturalistici: fino a 450,00 per ettaro. - 50 - BENEFICIARI Insieme alla scarsa entità delle risorse disponibili, uno dei vincoli principali che ha limitato in passato l’efficacia degli interventi di miglioramento ambientale è stata la scarsa flessibilità con cui le normative di riferimento individuano i potenziali beneficiari degli aiuti economici, sostanzialmente limitati ai proprietari e conduttori di fondi agricoli. Queste 2 categorie, per motivazioni diverse ma sostanzialmente riconducibili alla scarsa redditività degli interventi eseguiti con finalità faunistico/ambientali, non dimostrano particolare interesse in proposito. Fortunatamente l’evoluzione in atto nell’ambito degli strumenti normativi ha rilevato la necessità di ampliare il campo dei possibili beneficiari per estenderlo ad attori più direttamente interessati alle positive ricadute ambientali degli interventi proposti. Sempre più spesso nei bandi approntati da Regioni e Province ai contributi possono accedere sia i tradizionali beneficiari privati sia nuovi soggetti pubblici (associazioni tra proprietari, Comuni, Comunità Montane, istituzioni ed enti vari). Potranno essere inoltre richiesti finanziamenti per l’attuazione di interventi da effettuarsi congiuntamente tra soggetti pubblici e privati, previa formalizzazione di specifici accordi. I più recenti bandi, affidati direttamente agli ambiti territoriali di caccia, sono spesso fatti gestire da tecnici agro-faunistici che orientano interventi e finanziamenti solo nelle aree di maggior interesse faunistico-venatorio o ambientale. A titolo di esempio riportiamo quanto previsto dalla Regione Lombardia, che, nella predisposizione della già richiamata misura 214 del Piano di Sviluppo Rurale – che assicurerà i Pagamenti agroambientali per il prossimo settennio – dopo aver indicato tra i beneficiari le aziende agricole singole e associate e le cooperative agricole, precisa che “ai fini della realizzazione degli obiettivi di carattere ambientale, le indennità possono essere corrisposte anche ad altri soggetti gestori del territorio”, con una voluta genericità che a priori non esclude nessuno. La tendenza ad ampliare i potenziali beneficiari di queste misure non va ascritta ad una volontà di minore coinvolgimento degli agricoltori nella gestione ambientale e faunistica del territorio, quanto ad una maggiore consapevolezza che ampie quote di territorio, soprattutto quelle più naturali e meno antropizzate di collina e montagna, non sono di proprietà o non sono gestite esclusivamente da agricoltori, ma anche da semplici proprietari terrieri, da enti pubblici o privati. Pertanto il crescente interesse per l’ambiente e le risorse naturali e l’attenzione sempre maggiore alla multifunzionalità del mondo rurale, da cui hanno origine il proliferare di politiche e normative agroambientali, non potranno limitare il raggio d’azione alla sola componente agricola, pur senza disconoscerne il ruolo essenziale, ma dovranno necessariamente coinvolgere a livello operativo qualunque soggetto giuridico possieda, conduca o abbia in gestione un terreno. E’ auspicabile che anche la redazione delle prossime disposizioni attuative regionali, così come i bandi di livello provinciale, tengano nel dovuto conto questa nuova impostazione. - 51 - ASPETTI AMMINISTRATIVI Ci pare opportuno concludere il Piano di miglioramento ambientale con un cenno agli aspetti amministrativi inerenti l’applicazione dei provvedimenti agro-faunistici. E’ un elemento che ci pare spesso sottovalutato ma che risulta alla fine determinante per garantire la reale efficacia sul territorio degli interventi previsti, a cascata, dalla normativa nazionale, dalle leggi e deliberazioni regionali e dai piani faunistico-venatori provinciali. La semplicità e la chiarezza con cui vengono definiti i bandi possono influenzare in modo determinante e non sufficientemente percepito il successo o il fallimento di queste iniziative. Uno spazio maggiore rispetto al passato dev’essere previsto per i controlli ex-post e per la valutazione dell’efficacia degli interventi realizzati sulla base di obiettivi predefiniti e parametri misurabili. Da ciò deriva la necessità di un attento monitoraggio preliminare che fornisca dati attendibili sulla situazione di partenza della zona prescelta. I controlli ex-post dovranno proseguire per un numero significativo di anni (almeno 3 – 5). Solo disponendo di questi dati sarà possibile esprimere un giudizio di efficacia ed efficienza circa gli strumenti utilizzati e sulla conseguente opportunità di proseguire o modificare la strada intrapresa. Per questo è importante che, nella predisposizione dei bandi, la competenza amministrativa sia supportata da una non meno importante competenza in materia agro-faunistica. Particolare attenzione, per quanto sopra, dovrà essere riservata agli elaborati tecnici da allegare alle domande, principalmente relazione tecnica ed allegati cartografici e fotografici. La qualità progettuale di tali elaborati costituisce elemento fondamentale, anche se non unico, per permettere in sede istruttoria la selezione dei progetti più meritevoli e garantire la massima efficacia degli interventi. Anche in questo caso è evidente l’importanza di appoggiarsi a tecnici di comprovata preparazione i quali, oltre alla fase di progettazione, dovranno farsi carico della direzione lavori e saranno gli interlocutori della Pubblica Amministrazione in sede di verifica finale degli interventi eseguiti. CONCLUSIONI Ci sembra opportuno terminare le nostre considerazioni sulla possibile efficacia delle azioni proposte con due osservazioni finali, riassuntive di quanto si è cercato di sviluppare lungo la redazione del presente documento e che richiamano i punti qualificanti stabiliti in premessa: - l’obiettivo primario è quello di privilegiare gli aspetti della qualità intrinseca dell’ambiente che favoriscano in modo naturale la biodiversità. Questo implica la scelta di diminuire progressivamente il ricorso agli interventi artificiali di ripopolamento. Tale orientamento, qualora condiviso, dovrà concretizzarsi nel vincolo di destinare una quota minima delle entrate per i Comprensori Alpini di Caccia alla realizzazione dei piani di miglioramento ambientale. Indicativamente, affinché tale quota rivesta carattere di significatività, non si dovrebbe scendere al di sotto del 10%; - tali risorse, che solo in misura limitata – come abbiamo visto – potranno essere accresciute attingendo ad altre fonti normative a carattere generale, dovranno essere impiegate per l’attuazione di pochi significativi interventi per ciascun Comprensorio, attraverso l’emissione di bandi più aperti, rispetto al passato, ad una pluralità di potenziali operatori, come risulta anche previsto nelle più recenti produzioni normative e in linea con l’evoluzione delle tematiche ambientali, percepite sempre più come argomento che riguarda l’intera collettività. - 52 -