Il motore guasto. Perversione narrativa di Svevo e di
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Il motore guasto. Perversione narrativa di Svevo e di
Mathijs Duyck Il motore guasto. Perversione narrativa di Svevo e di Flaubert in Una vita e L’Éducation sentimentale Il presente saggio intende indagare in chiave comparatistica il rapporto che si stabilisce tra inettitudine e ricerca narrativa. Punto d’avvio del discorso è un’osservazione che fece lo svevista André Bouissy già nel 1966 nel fondamentale saggio “Les fondéments idéologiques de l’oeuvre d’Italo Svevo”. Bouissy vi rileva tre precedenti importanti per la tecnica narrativa del primo Svevo: il romanzo francese dell’800 – e indica Stendhal e soprattutto il Flaubert dell’Education sentimentale –, il Bildungsroman tedesco e il pessimismo schopenhaueriano (1966, 220). In questo elenco, certo non esaustivo perché manca la tradizione letteraria italiana, Bouissy riteneva di maggior peso la componente schopenhaueriana. Se non si può negare l’importanza del filosofo tedesco per l’opera sveviana, pare ancora sottovalutato l’influsso del romanzo francese, non solo per il vasto serbatoio di temi e strutture narrative che rappresenta, ma anche per la sua capacità di integrare nuovi modelli e pensieri europei, come appunto il Bildungsroman tedesco e la filosofia schopenhaueriana1. L’Education sentimentale di Flaubert rappresenta a mio avviso un esempio straordinario di tale ricerca narrativa e capacità integrativa. La valutazione di un percorso analogo che si sviluppa sia nel capolavoro francese sia nel primo romanzo sveviano permetterà di rilevare l’impatto dell’inettitudine sui due testi narrativi2. L’analisi proposta si svolgerà in quattro tappe: dopo una ricognizione della costruzione dei personaggi, Frédéric e Alfonso, si procederà alla valutazione dell’impatto di essa su due strutture narrative nei rispettivi testi, cioè focalizzazione e intreccio. In un’ultima fase verranno considerate le conseguenze dei processi rilevati e le diverse soluzioni applicate da Flaubert e da Svevo. L’entrata in scena, è persino ovvio ricordarlo, determina in grande misura l’immagine che il lettore si costruisce del protagonista. Nel caso di Frédéric Moreau e di Alfonso Nitti, tale caratterizzazione pare riposare su una componente tradizionale e su una componente innovativa. I tratti topici dei protagonisti si possono ricondurre infatti al tipo del “giovane letterato”, che dalla lettura di testi letterari, filosofici e critici matura di sé un’idea di superiorità che condiziona la visione del mondo nonché la concezione dell’amore, fortemente lirico-umanistica per Alfonso e romantico-sentimentale per Frédéric. Inoltre, l’ambizione letteraria sollecita la volontà di affermarsi come autori, che in Alfonso si esprime nel progetto del trattato sulla morale, mentre Frédéric progetta una serie di capolavori di prosa, poesia, storia ed estetica. 1 Per lo studio dell’influsso di Schopenhauer su Svevo e di una possibile canalizzazione del pessimismo schopenhaueriano attraverso la letteratura tardo-ottocentesca francese non si può prescindere dai lavori di Luca Curti, Svevo e Schopenhauer. Rilettura di “Una vita” (1991) e di Mario Sechi, Il giovane Svevo : un autore mancato nell'Europa di fine Ottocento (2000). 2 L’analisi di un tale percorso analogo tra i due romanzi è stata a lungo trascurata dalla critica sveviana, che riteneva le analogie troppo ovvie o superficiali (Fusco 1988) o che limitava l’influenza flaubertiana sul piano contenutisticostrutturale al solo bovarismo (Langella 1990). La prima riflessione approfondita della problematica è da ritenersi quella di Mario Sechi (2000). 1 La componente innovativa invece consiste nella caratterizzazione psicologica dei personaggi. Frédéric e Alfonso sono timidi, immaturi e sognatori, la loro autodichiarata superiorità contrasta con un senso di inferiorità che provano nei rapporti sociali, ma soprattutto sono incapaci di concretizzare i rispettivi desideri. Non riescono a volere qualcosa in modo consistente, costante e duraturo né a realizzare questi loro desideri. Il desiderio viene invece mediato attraverso il dispositivo del sogno: Frédéric e Alfonso “sognano” l’amore, il successo, l’autoaffermazione nel mondo. Questo sogno a occhi aperti genera un appagamento istantaneo e talmente forte che toglie valore al perseguimento del desiderio nella realtà; i protagonisti ritengono che la concretizzazione del desiderio sia loro dovuta per la loro eccellenza e attendono quindi la felicità in uno stato di passività. Per di più, non conoscono la realtà degli oggetti desiderati perché non vedono oltre la propria immaginazione. Ad esempio, come si avrà modo di costatare, Frédéric e Alfonso non conoscono la donna amata, non amano la sua presenza concreta ma la proiezione di un loro amore lirico (per Alfonso) o romantico (per Frédéric) su di lei. ll loro desiderio quindi non stabilisce un legame con un oggetto nella realtà ma si ripiega sul soggetto desiderante, diventa autoreferenziale. Questo desiderio sterile, incostante e autoreferenziale, dai naturalisti definito “maladie de la volonté” è a mio avviso un nucleo essenziale della caratterizzazione psicologica che si definisce inettitudine3. I numerosi e pregevoli studi sulla collocazione dell’inettitudine letteraria nel contesto storico-culturale del tardo Ottocento nonché sulle sue implicazioni psicologiche, filosofiche e sociologiche hanno in certo senso adombrato l’impatto del concetto sul testo narrativo stesso in cui figura. L’azione di questa inettitudine sul funzionamento delle strutture narrative del secondo Ottocento è pure notevole e merita un esame scrupuloso. Nei due romanzi si costata infatti una correlazione tra protagonista inetto e focalizzazione interna. Nell’Éducation sentimentale una parte minore del racconto, quella relativa alla percezione della donna amata, viene narrata dalla prospettiva di Frédéric, mentre la prospettiva prevalente rimane quella tipica ottocentesca, cioè di grado zero, con un narratore extradiegetico ed onnisciente. La canalizzazione dell’immagine di Mme Arnoux attraverso la percezione di Frédéric pare essere problematica fin dalla sua prima comparsa, definita dal giovane come un’ “apparizione” (“ce fut comme une apparition” (ES 22))4. La repentina idealizzazione della donna – il cui fondamento letterario viene del resto esplicitato poche pagine più avanti: “[e]lle ressemblait aux femmes des livres romantiques” (ES 27) – viene sottilmente scomposta dall’attivazione di un sistema di contraddizioni testuali relative al corpo femminile. Dei suoi capelli si legge per esempio prima che sono castani, mentre poi sono neri5. Se nell’incipit il colore bruno della sua pelle fa supporre a Frédéric un’origine creola o 3 È tale “malattia della volontà” che Zola si propone di diagnosticare nella Joie de vivre. Il testo zoliano, pur fonte importante per la costruzione dell’inetto e per il trattamento letterario del pensiero schopenhaueriano, come hanno dimostrato Curti e Sechi, si trova esclusa della presente analisi per la sua “regolarità”. Per come esposta nel Roman expérimental, la poetica zoliana (e naturalista, per estensione) mira a un testo comunicativo e funzionale, in cui la tara psicologica o sociale, oggetto del romanzo, viene individuata e analizzata scientificamente. Ciò comporta una gestione rigorosa delle strutture narrative dallo “scrittore-medico-scienziato”, che non permette all’inettitudine di uscire dai confini della costruzione del personaggio né di ostacolare lo svolgimento del racconto e la sua interpretazione, come invece accade con Flaubert e Svevo. 4 Tutte le citazioni dell’Education sono state tratte da G. Flaubert, L’Éducation sentimentale, a cura di S. De Sacy, Paris, Gallimard, 2007 e saranno d’ora in avanti indicate nel testo dalla sigla ES, seguita dalla pagina. 5 Si vedano le pp. 79 e 87. 2 andalusa6, più in là il giovane si meraviglia della bianchezza della sua spalla nuda: “Il regardait attentivement les effilés de sa coiffure, caressant par le bout son épaule nue; et il n’en détachait pas ses yeux, il enfonçait son âme dans la blancheur de cette chair féminine” (ES 67). Per altro verso, Rosanette, l’amante di Frédéric, fornisce una descrizione alquanto contrastante della donna angelica: “Une personne d’un âge mûr, le teint couleur de réglisse, la taille épaisse, des yeux grands comme des soupiraux de cave, et vides comme eux!” (ES 443). La focalizzazione interna di Frédéric impedisce al lettore di farsi un’immagine coerente di Mme Arnoux7 e quel lettore quindi non può che costatare che l’inetto non è solo incapace di portare il desiderio nel reale, ma è altrettanto incapace di cogliere e di interpretare la realtà in modo coerente: la focalizzazione interna destabilizza la credibilità di quanto viene descritto. Il fatto che uno tra i più celebri lettori ottocenteschi dell’Education, lo scrittore americano Henry James, considerava questa impossibilità di conoscere la donna il maggior difetto del romanzo, è a mio avviso un indizio della non-convenzionalità dell’operazione narrativa eseguita da Flaubert (James 1914)8. Una simile destabilizzazione delle strutture informative legate alla narrazione si ritrova in Una vita. Essendo prevalentemente interna la focalizzazione del testo sveviano, il narratore raramente abbandona la prospettiva di Alfonso per seguire altri personaggi, esce soltanto dalla mente del protagonista per ironizzare su di lui o per smentire i suoi ragionamenti. A parte le informazioni ricavabili dai dialoghi tra Alfonso e altri personaggi (Macario, Francesca e in misura minore Miceni e White), la percezione della donna amata dipende anche qui dall’occhio del protagonista. L’uso abbondante degli aggettivi “dolce” e “nobile” palesa il trattamento parodico del condizionamento letterario dell’amore di Alfonso, come risulta dalla citazione seguente: “China a scrivere, i capelli bruni, lisci, ravviati semplicemente, nella mano leggiadra la penna, la vedeva per la prima volta del tutto dimentica della sua bellezza, noncurante di piacere o meno, le labbra chiuse e la fronte increspata, la testa nobile in nobile atteggiamento”(UV 144)9. Quando Alfonso incontra Annetta per la prima volta, la donna gli pare dozzinale, afferma che “il suo volto largo e roseo non gli piacesse” (UV 35). Quando crede di amarla, il viso della donna è di una bianchezza topica, il che, ovviamente, mette in maggior risalto l’altrettanto topico fenomeno dell’arrossire. Annetta è virginale e matronale, è sensuale e casta. Le informazioni fornite da Alfonso dipendono dal suo stato d’animo, sono proiezioni su un oggetto condannato a rimanere sconosciuto. Peraltro, questo processo in Svevo non coinvolge solo l’immagine fisica di Annetta, ma anche i suoi pensieri trasmessi attraverso l’indiretto libero, il che provoca alcuni 6 “Jamais il n’avait vu cette splendeur de sa peau brune, la séduction de sa taille, ni cette finesse des doigts que la lumière traversait […]. Il la supposait d’origine andalouse, créole peut-être” (ES 23). 7 Alla confusione intorno alla fisicità di Mme Arnoux rilevata supra si affianca un gioco onomastico: al nome topico ‘Marie’ se ne aggiunge un altro ancora più simbolico, ‘Angèle’, il che crea un impaccio quasi burlesco tra Hussonnet e Frédéric ( “– Voici la chose: c’est samedi prochain, 24, la fête de Mme Arnoux. – Comment, puisqu’elle s’appelle Marie? – Angèle aussi, n’importe!” (ES 98)). È inoltre interessante notare come Frédéric non si accorge dell’errore fatto dal visconte de Cisy nell’insulto di Mme Arnoux che provoca il duello: “Parbleu! Sophie Arnoux, tout le monde connaît ça!” (ES 247). Logicamente, una correzione da parte di Frédéric sarebbe bastata a evitare il duello, salvare l’onore della donna e mettere in ridicolo Cisy. 8 Citato da Brooks (2004, 198). 9 Tutte le citazioni di Una vita sono state tratte da I. Svevo, Romanzi e continuazioni, a cura di N. Palmieri, Milano, Mondadori, 2004 e saranno d’ora in avanti indicate nel testo dalla sigla UV, seguita dalla pagina. 3 problemi di interpretazione nei rari passi in cui pare svelarsi l’interiorità della donna, come si ha modo di costatare leggendo un passo del XII capitolo e che è da situare subito dopo il primo bacio avvenuti tra Alfonso e Annetta: Annetta sorrise per ringraziarlo; si sentiva di nuovo al sicuro accanto a quel ragazzo. Era stata proprio questa qualità di ragazzo che l'aveva portata con lui tanto innanzi. Che cosa aveva da temere da quella timidezza personificata? Era stata commossa dalla soavità di quell'amore senza parole, da quel silenzio timido perdurante anche dopo una prima arditezza lasciata impunita. Egli non aveva mai in nessun modo accennato a quel bacio rubato sulla sua mano, non aveva tradito impazienza ed ella ingenuamente aveva creduto ch'egli non chiedesse altro. Ingenuamente e superbamente. Ammetteva che il piccolo favore, perché venuto da lei, potesse bastare. Avevano ora fatto un passo gigantesco innanzi e non c'era più via al ritorno. Avevano parlato e quello ch'era peggio Alfonso aveva assistito alla commozione da persona debole di Annetta, aveva improvvisamente scoperto di essere lui il più forte. Annetta non se ne accorse e non comprese, e con un sorriso che doveva attenuare il dispotismo del suo ordine gl'impose di mai più parlarle d'amore. (UV 173) Qui come altrove il discorso indiretto libero permette al narratore di imbrogliare i legami tra enunciatore ed enunciato. Chi parla qui? Gli avverbi “ingenuamente” e “superbamente” indicano che difficilmente si può ascrivere il passo intero ad Annetta stessa, mentre è altrettanto improbabile che sia il narratore a giudicarla, perché tutte le descrizioni del carattere di Annetta passano attraverso i personaggi (Alfonso, Macario e Francesca). Il contenuto della citazione concorda peraltro completamente con l’immagine che Alfonso ha di Annetta. È Alfonso che crede che lei si conceda perché vinta, caduta dall’altezza da cui lei lo giudicava. È Alfonso che vede la conquista della donna come una lotta per la superiorità. Annetta, invece, come si saprà direttamente da lei nella notte d’amore e poi indirettamente da Francesca, è una persona altezzosa e incostante ma profondamente invaghita di Alfonso finché lui non la abbandona. Il ragionamento va quindi riportato ad Alfonso stesso, che crede di conoscere l’interiorità della donna. L’attribuzione del passo ad Alfonso trova sostegno nella frase che segue l’indiretto libero: “Annetta non se ne accorse e non comprese”. Con una manovra narrativa molto abile, Svevo fa ragionare Alfonso sulla presunta interpretazione del proprio contegno da parte di Annetta, come se fosse lei a parlare. Qui e in certi altri passi l’indiretto libero mira a problematizzare la figura di Annetta, a ridurla all’immagine che Alfonso se ne fa. Più spesso invece l’ambiguità s’innesta nel rapporto tra protagonista e narratore. Se il narratore non disdegna l’esecrazione aperta del personaggio – è la celebre stroncatura sveviana, la singola frase che distrugge l’intera analisi nittiana, di cui si parlerà fra poco – ancora più costante nel testo è quel dubbio indiretto libero che sempre riposa flaubertianamente sui tropi gemelli dell’ironia e della stupidità (Culler 1974, 85). A titolo d’esempio può bastare un breve passo che rivela il ragionamento di Alfonso dopo il fallito tentativo dell’educazione di Lucia: “Egli fu meno disinvolto; gli dispiaceva di essere stato vinto in generosità. Avrebbe dovuto cedere per il primo lui, la persona colta, il maestro” (UV 83). Riportando il condizionale passato al protagonista, i sostantivi in inciso accentuano la retorica agressiva del soliloquio di Alfonso, il cui ottuso egocentrismo non gli permette di vedersi come è, immaturo apprendista, e ben altro che “maestro”. Quando invece si attribuisce tutto il discorso al narratore, l’enfasi finale (“lui, la 4 persona colta, il maestro”) può essere interpretata in modo antifrastico dal lettore che ha appena assistito al fallimento totale dell’insegnamento di Alfonso. Del resto, anche quando si può indicare il responsabile dell’enunciato, ad esempio quando il narratore traspone i pensieri o le percezioni di Alfonso tramite il discorso indiretto, c’è sempre una forma verbale quale “credeva”, “gli parve”, “sembrava”, “doveva essere”, che destabilizza la credibilità delle capacità di percezione e di ragionamento del protagonista e che suggerisce al lettore che l’interpretazione riportata non è condivisa dal narratore (Senardi 1992). Il restringimento della focalizzazione sulla prospettiva interna dell’inetto – anche se parziale e ben delimitata come nel romanzo flaubertiano – costituisce un’operazione narrativa intenta a problematizzare non solo l’interpretazione ma anche lo stesso funzionamento testuale; a livello informativo compromette la costruzione del personaggio femminile, riducendolo a un oggetto inconoscibile; a livello discorsivo invece smonta i legami logici tra enunciatore ed enunciato, creando un vacuum comunicativo, un abisso di dubbio di cui approffita l’interiorità dell’inetto per impadronirsi del racconto. Una seconda struttura narrativa su cui agisce la costruzione dei personaggi inetti è l’intreccio, inteso nel presente discorso nell’accezione di Peter Brooks come “modello centrale di organizzazione narrativa e di significati” (2004, 183), come sintassi, forza dinamica del testo10. Già un indizio paratestuale come il titolo del testo induce il lettore ad attivare l’orizzonte di attesa che accompagna la lettura del Bildungsroman: il concetto dell’educazione sentimentale porta con sé le connotazioni della tradizione letteraria sette-ottocentesca per cui la donna responsabile dell’educazione incarna anche l’ascesa socio-economica e quindi tale educazione “sentimentale” è da intendersi più ampiamente come “educazione alla vita”. Il titolo del primo romanzo sveviano richiama il medesimo sistema di connotazioni attraverso l’eponimia con il romanzo Une vie de Maupassant (non va dimenticato che l’allievo di Flaubert firmò uno tra i più “classici” romanzi di formazioni del Secondo Ottocento francese, Bel-ami) e anche qui si individua una chiara correlazione tra “vita” e testo. L’impressione ricavata dal titolo è confermata dall’incipit dei due testi, dove l’inurbamento del giovane letterato crea una contrapposizione tra paese natio e città, quest’ultima rappresentata come luogo di possibilità, di successo. Il modello narrativo del Bildungsroman prevede infatti un racconto avviato da un protagonista, il giovane, che cerca di compensare una mancanza iniziale, nutre quindi un’ambizione, un desiderio di autoaffermazione nel mondo. Il giovane poi concretizza questo desiderio compiendo una serie di azioni che insieme compongono un percorso agentivo, cioè un percorso voluto, costante e preparato, in cui il personaggio funge da agente e che porta alla realizzazione del desiderio iniziale. Si nota quindi la funzione del desiderio come “primum mobile dell’intreccio” (Brooks 2004, 185), come motore narrativo che mette in marcia la macchina che è il testo. Un esempio tipico di questo modello si ritrova nel percorso svolto da Rastignac nel romanzo balzachiano il Père Goriot. È significativo che Frédéric e l’amico Deslauriers all’inizio del romanzo citino esplicitamente Rastignac ed esprimono la volontà di seguire il suo esempio (ibidem, 184). 10 La parafrasi è di Mario Sechi (2000, 79n). 5 Ma cosa succede quando si inserisce in questo schema un inetto, un personaggio con un desiderio problematico e autoreferenziale? Ricorrendo alla ben conosciuta metafora del volo del gabbiano, Luigia Abrugiati nella sua densa fenomenologia dell’inettitudine osserva come per le azioni dei non inetti una fase di preparazione, una salita calma e regolare, precede una fase di esecuzione, una caduta rapida come di oggetti di piombo. Applicato all’inetto, lo stesso schema dà un tutt’altro esito: a una fase di preparazione impetuosa e incostante segue un intervento mancato (Abrugiati 1982, 37-42). L’azione quindi si annulla, diventa appunto intervento mancato e non ne rimane che il proposito, il dispositivo mentale mancante di concretezza, spesso abbandonato subito, come nella citazione seguente: “Alfonso si era proposto di esporre lo stato delle sue cognizioni, ma non ne ebbe il coraggio” (UV 63). In Flaubert si ritrova un meccanismo analogo, anche se lì i propositi non vengono presentati esplicitamente come tali: “Il avait envie de partir. La peur de sembler lâche le retintˮ (ES 264). Inoltre, a proposito di Frédéric, il narratore informa che “l’action, pour certains hommes, est d’autant plus impraticable que le désir est plus fort” (ES 193). L’azione come realizzazione concreta del desiderio viene dunque problematizzata e non pare più praticabile. Se il desiderio autoreferenziale induce i protagonisti a uno stato di passività – poiché preferiscono attendere finché i sogni non si realizzano da sé – la mancanza di forza propria fa sì che essi siano fortemente soggetti a stimoli esterni. Incapace di agire come agente, l’inetto pare solo capace di reagire. Riveste in questo quadro un ruolo importante il motivo della rivalsa. Il primo atto di amore di Frédéric è una vendetta contro Mme Arnoux, esattamente come Alfonso decide di “trionfare” su Annetta, dopo una parola sprezzante di lei. Quasi tutti gli atti compiuti da Alfonso e da Frédéric sono riconducibili a tali meccanismi, quelli topici, come la conquista della donna, come quelli banali, come le passeggiate di Alfonso e le cene splendide di Frédéric. Poiché dipendono da stimoli esterni e non da una volontà interna, tali reazioni non rientrano nel percorso agentivo tipico del romanzo di formazione, che quindi nei due romanzi si svuota. L’unica azione non completamente o direttamente riconducibile a uno stimolo esterno è quella del rifiuto della donna conquistata. Alfonso rinuncia ad Annetta per raggiungere uno stato di tranquillità e quindi di felicità maggiore, credendo che la rinuncia alla donna e la fuga in campagna equivalgano a un’uscita della lotta. Frédéric, dal canto suo, si decide finalmente a rinunciare al matrimonio con Mme Dambreuse durante l’asta dei bene degli Arnoux da lei organizzata per oltraggiare il proprio amante e umiliare la rivale. Se la rinuncia di Frédéric viene spesso interpretata come un’ultima prova di amore per Mme Arnoux, il passo immediatamente successivo alla rottura smentisce tale lettura: [I]l exécrait Mme Dambreuse parce qu’il avait manqué, à cause d’elle, commettre une bassesse. Il en oubliait la Maréchale, ne s’inquiétait même pas de Mme Arnoux, – ne songeant qu’à lui, à lui seul, – perdu dans le décombre de ses rêves, malade, plein de douleur et de découragement ; et, en haine du milieu factice où il avait tant souffert, il souhaita la fraîcheur de l’herbe, le repos de la province, une vie somnolente passée à l’ombre du toit natal, avec des cœurs ingénus. (ES 448) Il passo dimostra con chiarezza come va accantonata del tutto l’idea dell’Éducation come un’ “oleografia romantica” (Langella 1990, 54): Frédéric non rifiuta soltanto Mme Dambreuse e Rosanette ma anche Mme Arnoux, ripiegandosi sul proprio egoismo (“ne songeant qu’à lui, à lui seul”). L’analogia con la rinunzia di Alfonso è sorprendente: non solo il protagonista rifiuta gli oggetti inizialmente desiderati ma il rifiuto della donna pare equivalere a un rifiuto del desiderio 6 stesso, espresso come la volontà di “une vie somnolente [...], avec des cœurs ingénus”. La qualificazione della città come “milieu factice où il avait tant souffert” richiama del resto l’idea che Alfonso si fa della città (“Era là dentro, in quell'alveare, che la gente si affannava per l'oro, e Alfonso, che là aveva conosciuto la vita e che credeva che così non fosse che là, respirò liberandosi con la foga da quella cappa di nebbia” (UV 253)). I protagonisti quindi rifiutano la donna, il proprio stesso desiderio, e si allontanano della città, luogo di lotta, verso una campagna idealizzata e arcadica. Ma il lettore ha subito modo di costatare che il rifiuto della donna non corrisponde affatto a una rinuncia al desiderio, poiché i protagonisti non sono contemplatori e quindi non sono capaci di uscire dalla propria autoreferenzialità. Salito sul treno che deve portarlo alla “vie somnolente” in campagna, Frédéric si ricorda infatti della fanciulla che vi aveva abbandonata, Louise Roque: Le souvenir de Louise lui revint. « Elle m’aimait, celle-là ! J’ai eu tort de ne pas saisir ce bonheur…Bah ! n’y pensons plus ! » Puis, cinq minutes après : « Qui sait, cependant ?...plus tard, pourquoi pas ? » Sa rêverie, comme ses yeux, s’enfonçait dans de vagues horizons […] et l’étourdissement du voyage et du grand air, la faiblesse qu’il gardait de ses émotions récentes, lui causant une sorte d’exaltation, il se dit : « Elle est peut-être sortie : si j’allais la rencontrer ! » (ES 449) Non occorrono dunque che cinque minuti a trasformare il ricordo doloroso dell’occasione mancata in una proiezione di rinnovate speranze. Le nozioni “rêverie” et “exaltation” confermano la riattivazione dei meccanismi del desiderio problematico ed è chiaro che il rinnovato amore per la piccola Roque non è altro che l’ennesimo tentativo di rivalsa del protagonista. Per quanto riguarda Alfonso, la presenza smisurata della medesima nozione del sogno nella descrizione del nuovo stato di distacco basta a smentire i ragionamenti del protagonista: Si trovava, credeva, molto vicino allo stato ideale sognato nelle sue letture, stato di rinunzia e di quiete [...]. Non desiderava di essere altrimenti [...]. Sognava che la sua pace ancora aumentasse. Sognava di rimanere come era e di dimenticare del tutto Annetta e di venirne dimenticato da lei e dagli altri. Sognava anche di diminuire l'odio di Maller e di vedersi accolto da lui un'altra volta come quella sera nella sua stanza ove lo aveva chiamato per incoraggiarlo con tanta dolcezza [...]. Non sognava miglioramento della sua posizione alla banca (UV 340-341). L’insistenza sul dispositivo del sogno palesa il fallimento del contegno da filosofo di Alfonso, che risulta non essere altro che un nuovo desiderio; se prima sognava l’amore, la ricchezza e la stima, ora il personaggio sogna il non-desiderio e rimane quindi chiuso nel medesimo sistema autoreferenziale. Il rifiuto della donna, che quindi non comporta un rifiuto del desiderio, è l’ultima tappa che chiude il graduale processo di rovesciamento dello schema del Bildungsroman: l’intreccio non ha più azioni agentive, cioè volute, costanti e preparate su cui riposare, mentre i propositi e le reazioni incostanti e casuali svuotano il percorso agentivo tipico. Quando nel lettore matura la convinzione che l’azione non è praticabile per l’inetto, ecco l’avvenimento del rifiuto esplicito e 7 meditato della donna e dell’ascesa sociale. L’unica azione da agente di Frédéric e di Alfonso è dunque da ritenersi il rifiuto del percorso tipico del Bildungsroman. Ciò significa che l’azione agentiva non è impossibile, ma si subordina alla nuova logica del testo, cioè al sistema del desiderio autoreferenziale. Lo schema convenzionale viene quindi progressivamente problematizzato, svuotato e infine negato. Ciò comporta un problema evidente per i due romanzi: svuotato dell’intreccio, non c’è più niente che muova il racconto, si entra nella zona del nonnarrato. Serve una nuova dinamica, nuovi avvenimenti, serve insomma una strategia narrativa capace di risolvere la paralisi del racconto e di spingerlo dallo smontaggio dello schema tradizionale a una conclusione del testo. Le soluzioni diverse adottate da Flaubert e da Svevo a questo punto di svolta chiudono il percorso analogo e costituiscono l’ultima tappa dell’analisi. Nell’Education il racconto si sospende letteralmente due pagine dopo il rifiuto: la storia si chiude con uno spazio bianco – che Marcel Proust riteneva l’apice espressivo del romanzo – e seguono due epiloghi, il sesto e il settimo capitolo, in cui Frédéric invecchiato di 16 anni brevemente fa il bilancio della propria vita, prima con Mme Arnoux, poi con Deslauriers. All’inizio del VI capitolo il narratore descrive come il desiderio si è evoluto nel tempo: “et puis la véhémence du désir, la fleur même de la sensation était perdue. Ses ambitions d’esprit avaient également diminué. Des années passèrent; et il supportait le désœuvrement de son intelligence et l’inertie de son coeur” (ES 451). Risulta interessante notare come i quattro concetti espressi (veemenza del desiderio perduto, ambizione diminuita, inoperosità dell’intelligenza, inerzia del cuore) coprono il sistema del desiderio nella sua totalità. L’azione del tempo sul desiderio causa dunque un degrado di esso, quasi un logoramento, il desiderio perde la sua intensità ma non sparisce, diventa sopportabile e Frédéric si rassegna, si autocondanna all’inerzia. Peraltro, indagando le cause del proprio fallimento, Frédéric dice: “C’est peut-être le défaut de ligne droite”. Quando capisce che “forse” gli mancava la linearità, il protagonista acquista consapevolezza della natura del proprio desiderio, il che potrebbe significare non solo un’uscita del sistema dell’autoreferenzialità, ma anche una presa di distanza della propria quête, poiché questo desiderio fungeva come forza portante del testo 11. Tutto ciò però non avviene. La rilevanza della nuova consapevolezza pare molto ridotta. Frédéric ormai ha mancato la vita e rivolge lo sguardo interamente al passato. Insieme a Deslauriers si mette ad evocare ricordi, si narrano la storia vissuta. Questa narrazione intradiegetica (e autodiegetica) non integra però la consapevolezza acquisita da Frédéric, lui ne sembra già del tutto dimentico, si esalta ad evocare i dolci ricordi. L’idealizzazione del passato, narrato ripetutamente, è l’ultima prova della persistenza del desiderio autoreferenziale. Flaubert quindi non colma il vuoto lasciato dall’intreccio ma finisce la storia e l’ellissi temporale tra storia ed epilogo, che permette di introdurre la prospettiva retrospettiva, dimostra come il desiderio 11 Walter Geerts ha notato l’analogia di questa frase con l’ultima frase del biglietto di amore di Annetta: “Con te cedetti sempre, tu però non volesti sempre la stessa cosa” (Geerts 1994, 115). L’analogia consiste infatti nell’incostanza del contegno dei protagonisti, non nella consapevolezza di questo contegno: laddove Frédéric per una rara volta si autoanalizza e giunge ad una consapevolezza (parziale) del proprio sistema, Alfonso non afferra la caratterizzazione perentoria del proprio contegno e legge il biglietto invece nei termini della lotta che per lui definiscono i rapporti con la donna: “La lettera si chiudeva definitivamente con una frase con cui Annetta voleva spiegare e scusare la sua caduta” (UV 230). 8 autoreferenziale, se non travolge più il personaggio nel presente, continua a condizionarlo nell’evocazione del passato. In Una vita invece il naufragio dell’intreccio tradizionale non avviene alla fine del testo bensì un po’ oltre la metà del romanzo. Come già detto, Alfonso crede che la rinuncia ad Annetta tramite la fuga in campagna equivalga ad una rinuncia del desiderio, ad un’uscita della lotta e quindi ad un ritorno “alle sue abitudini da puritano, a quell'ideale di lavoro e di solitudine che nessuno gli contendeva” (UV 168). Tornato in città, scopre però con sorpresa che l’annuncio del fidanzamento di Macario con Annetta non lo lascia indifferente. Si accorge quindi di non aver ancora raggiunto lo stato di distacco totale auspicato e così il racconto si va creando con una nuova quête, con un nuovo scopo, il distacco totale di Alfonso, il cui raggiungimento dovrebbe portare a un miglioramento, per dirlo con Brémond. Poiché il nuovo scopo è uno stato mentale, il racconto si muove sempre più nell’interiorità del personaggio. Il desiderio del distacco totale porta a una serie di riflessioni e di autoanalisi, che insieme compongono un percorso narrativo verso una sempre maggiore comprensione di sé. Anche qui si ritrovano delle “peripezie” che l’eroe deve sormontare: vari avvenimenti fanno capire ad Alfonso che le analisi fatte non spiegano i propri sentimenti o le vicende del mondo. Si autoanalizza quindi nuovamente e ne trae una nuova conclusione che gli pare veicolare “maggiore comprensione” di sé e dei fatti (nel testo reso da incisi quali: “ora la comprendeva”, “ora lo sapeva”). In questo modo, Alfonso costruisce un percorso narrativo ascendente, crede cioè di raggiungere una sempre maggiore comprensione di sé e un maggior distacco, fino al suicidio, accolto come la liberazione da sé e consecutivo all’ultima comprensione acquisita, quella di avere un organismo che non conosce la pace e di essere incapace alla vita. La nuova quête, come sanno i lettori, è però un’enorme truffa. Ogni nuova tappa raggiunta è un nuovo inganno. I nuovi ragionamenti non portano a una maggiore comprensione e talvolta sovvertono analisi corrette precedenti. Alfonso non si sbaglia sempre, ma riesce sempre ad annullare il ragionamento giusto e a sovvraporvi un inganno. Spesso è il narratore a smentire il nuovo faux pas, con una stroncatura subito dopo l’indiretto libero, come quando Alfonso dice che “ora era un uomo nuovo che sapeva quello che voleva [...].”, e il narratore commenta: “Non era la prima volta ch'egli credeva di uscire dalla puerizia” (UV 304) oppure nel passo seguente: Disse a se stesso che l'unica via per sottrarsi [all’odio] era dimettersi dal suo posto, ma non sentì così. Era quell'odio e quel disprezzo che gli dispiacevano, non il timore delle persecuzioni che gliene sarebbero derivate. Un'altra volta ancora non fu sincero con se stesso e non giunse ad essere perfettamente conscio della vera ragione per cui non abbandonava l'impiego. Non si disse che l'unica sua speranza era di poter attenuare quell'odio e farsi stimare da chi lo disprezzava, ma voleva convincersi che rimaneva da Maller perché ancora non sapeva se quell'odio si sarebbe manifestato e di più se realmente sussistesse. (UV 326-327) Risulta interessante notare nel passo riportato come l’inganno non solo si sovrappone sistematicamente al ragionamento corretto o all’inganno precedente, ma si distingue anche linguisticamente dal ragionamento. È molto interessante notare come l’inganno è spesso annunciato da verba dicendi. Quando si analizza, Alfonso “pensa”, “ragiona”, “riflette”. Quando però s’inganna tende a “parlarsi”. Le forme verbali che precedono l’inganno sono “disse a se stesso”, “si chiese”, “persuadendosi che” e addirittura una volta “raccontava a se stesso”. L’inganno è quindi l’opera del “solilocutore”, avviene nello spazio discorsivo e non del 9 ragionamento12. Alcune volte l’inganno sfocia perfino in un discorso diretto, indicato nel testo col trattino: “si chiese: – perché non vivono più quieti?” (UV 252). Si ha quindi a che fare con una struttura narrativa che, attraverso un personaggio, dirotta il romanzo da un intreccio tradizionale verso un percorso innovativo mentale e ingannevole. L’interiorità di Alfonso gradualmente prende il controllo del racconto: si traveste assumendo le sembianze del pensiero di un altro (accade, come si è avuto modo di costatare, con i presunti pensieri di Annetta) e si sovrappone alla realtà, che viene fraintesa, modificata e negata. Alfonso si costruisce un percorso ascendente che è in verità una lenta e graduale sconfitta, che si manifesta soprattutto quando si entra nello spazio discorsivo, in cui Alfonso si scinde in due entità: quella che parla e quella che ascolta. La componente distruttiva è quella discorsiva: l’inetto è il solilocutore, ed è parlando a se stesso che Alfonso finisce col suicidarsi. La morte, peraltro, non il suicidio, è tematizzata e previdibile, ma Alfonso non ne è consapevole, per lui è una reazione impulsiva a un ultimo autoinganno. Come ha rilevato Mara Santi, il suicidio dell’inetto sembra cancellare il valore letterario e filosofico dell’atto (2011) ed è la parola del letterato che porta al suicidio. La secca lettera finale, invece, fa il punto sul ruolo di questo letterato nella società moderna: un ruolo tanto marginale da non permettergli nemmeno di essere il tema principale della lettera che parla della sua morte, incentrata invece sul danaro che Alfonso aveva in tasca. Bibliografia Abrugiati L. 1982 Il volo del gabbiano. Fenomenologia dell’inettitudine nella letteratura italiana fra Ottocento e Novecento, Lanciano, Carabba. Bouissy A. 1966 Les fondements idéologiques de l’oeuvre d’Italo Svevo, in "Revue des études italiennes", nn. 3-4. Brooks P. 1984 Reading for the Plot: Design and Intention in Narrative, New York, Knopf (trad. it.: Trame, Torino, Einaudi, 2004). Buccheri M., Costa L. (cur.) 1995 Italo Svevo tra moderno e postmoderno, Atti del convegno a York University, Toronto, 18-19 aprile 1991, Ravenna, Longo. Culler J. 1974 Flaubert: The Uses of Uncertainty, Cornell University Press, Ithaca N.Y. Curti L. 12 Il termine “solilocutore” è introdotto da Costantino Maeder in relazione ai soliloqui nell’Orlando Innamorato. Maeder osserva come già nel capolavoro boiardesco la pronuncia ad alta voce dei pensieri intimi rappresenta un momento di espressione identitaria e autoaffermativa che accompagna personaggi fallimentari e li definisce contrastivamente rispetto ai personaggi che non si perdono in soliloqui ma agiscono (relazione universitaria a Gand, il 25 novembre 2011). 10 1991 Svevo e Schopenhauer. Rilettura di "Una Vita", Roma, ETS. Fusco M. 1988 De Flaubert à Svevo: variations sur «L’Éducation sentimentale», in "Chroniques italiennes", nn. 13-14. Geerts W. 1995 Posizione di **Una vita**: Svevo, Nietzsche, la moda, la modernità, in Buccheri, Costa (1995). Langella G. 1990 "Una Vita" di Italo Svevo e il romanzo francese dell’Ottocento, in «Cahiers du CERCIC», n. 12. Sechi M. 2000 Il giovane Svevo : un autore mancato nell'Europa di fine Ottocento, Roma, Donzelli. Senardi F. 1992 «Una vita» di Italo Svevo: fenomenologia dell’inettitudine e strutture narrative, in «Periodico quadrimestrale di cultura», settembre-dicembre. Santi M. 2011 La parodia dei padri ovvero la narrativa di Italo Svevo, in Antichità/Unità. Storia, cultura e cinema in Italia, Cuneo, Nero su Bianco, 2013. 11