Salute e lavoro delle donne nel settore agroalimentare

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Salute e lavoro delle donne nel settore agroalimentare
■ Rubrica: Lavoro e salute
Salute e lavoro delle donne nel settore
agroalimentare: risultati di un’indagine sul campo
Irene Figà-Talamanca*
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utte le donne del mondo sono produttrici di cibo. Più della metà di loro
(53%) sono anche lavoratrici del settore agroalimentare. In Europa, dove
la presenza femminile si trova in tutti gli ambiti lavorativi, questa percentuale è molto più bassa. In Italia, in particolare, la percentuale di lavoratrici agricole è progressivamente diminuita dal 14,5% nel 1980, al 7,2% nel 1995 e all’attuale 3,5%, che corrisponde a circa 225.000 donne. Al contrario, in questo periodo, è stato registrato un progressivo aumento della presenza di donne nell’industria
alimentare che oggi raggiunge quasi 144.000 unità.
Le regioni italiane dove le donne sono maggiormente dedite all’agricoltura sono
le regioni del Sud e in particolare la Calabria, mentre la Lombardia ha la minore
presenza di donne in agricoltura. Nell’industria alimentare invece, la manodopera
femminile (ma anche maschile) è maggiormente presente nelle regioni del Nord e
Centro Italia.
Storicamente il lavoro agricolo e di preparazione del cibo è stato considerato
un’attività «normale» per le donne, anche se già un secolo fa vari studiosi avevano
identificato i danni alla salute delle donne in relazione a lavori «femminili» come la
produzione di tabacco, di riso, di seta, di canapa, di lino ecc. Più recentemente è
stato anche studiato il rischio per la salute delle donne nel settore agroalimentare,
specialmente in rapporto all’uso sempre più diffuso di antiparassitari e in relazione
ai problemi ergonomici dell’industria alimentare.
Ma quali sono le condizioni del lavoro, i disagi, le malattie e i problemi che oggi hanno le lavoratrici del settore agroalimentare?
Dai dati ufficiali (Istat, Inail) disponibili si ricavano solo risposte parziali a questo quesito. Si vede, per esempio, che le donne in agricoltura sono in maggioranza
lavoratrici dipendenti piuttosto che indipendenti, nonostante il fatto che tali donne abbiano un livello d’istruzione in media superiore agli agricoltori maschi. Il lavoro con contratto annuale e part-time è prevalente nel Nord-est del paese, mentre
al Sud molte donne lavorano solo con contratto stagionale. Da altre speciali inda-
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Università degli Studi «Sapienza» di Roma.
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gini Istat, inoltre, sappiamo che le lavoratrici agricole hanno famiglie più numerose, ma, nello stesso tempo, circa un quarto di loro lavora più di 40 ore alla settimana. Tutto questo indubbiamente conferma quello che intuitivamente è già noto: le
lavoratrici agricole sono più svantaggiate economicamente, professionalmente e socialmente rispetto alle lavoratrici di altri settori.
Sempre dalle fonti ufficiali si possono estrarre alcune informazioni anche per le
lavoratrici dell’industria alimentare. Anche in questo settore, così come in quello
agricolo, le donne hanno le qualifiche più basse, mentre in questo caso i contratti
di lavoro sono quasi sempre a tempo indeterminato.
Tuttavia sappiamo poco sulle reali condizioni del lavoro, sulla salute e la sicurezza delle donne nel settore agroalimentare oggi in Italia e su come loro stesse vivono
e affrontano questi temi. La carenza di informazioni dal mondo del lavoro reale, e
l’obbligo della nuova normativa che enfatizza la necessità di valutare il rischio lavorativo anche in relazione al «genere», hanno condotto al progetto della Fondazione
Metes Salute e sicurezza per le donne del settore agroalimentare108. Il progetto ha consentito di realizzare, nel periodo tra novembre 2011 e marzo 2012, interventi formativi sulla prevenzione dei rischi lavorativi in due aziende agricole e due aziende
dell’industria alimentare. È stato così possibile raccogliere dati direttamente da un
totale di 271 lavoratrici attraverso la somministrazione di un questionario con lo
scopo di indagare la percezione e la soggettività delle donne sui rischi e sui danni alla salute derivanti dal lavoro, sulle misure di prevenzione adottate (o omesse), sui
disagi e i problemi che queste donne affrontano ogni giorno nello svolgimento del
lavoro e nel conciliare il lavoro con i compiti famigliari. Vediamo ora alcuni dei risultati di queste indagini.
Alcuni risultati dell’indagine sulle lavoratrici agricole
Le due aziende coinvolte nella ricerca fanno parte del comparto ortofrutticolo e
florovivaistico e sono situate rispettivamente nella provincia di Ragusa e di Siena.
Esse presentano un ciclo lavorativo simile come scenario (coltivazione e immagazzinamento del prodotto), ma differenti nel trattamento del prodotto (ortaggi e piante/fiori).
I risultati dell’indagine mostrano come i dispositivi di protezione individuali siano più utilizzati nell’azienda toscana rispetto a quella siciliana. L’uso della tuta/divisa, per esempio, nell’azienda di Siena era presente nel 93% delle donne contro il
34% nell’azienda siciliana.
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Aa.Vv., Salute e Sicurezza per le donne del settore agroalimentare. Indagine sulle condizioni di lavoro
e salute delle donne in agricoltura e nell’industria alimentare, Fondazione Metes, Roma 2012.
Rubrica: Lavoro e salute
Per quanto riguarda i disagi sul luogo di lavoro, il microclima è un aspetto riportato dalle donne in ambedue le aziende. Un altro disagio ancora più presente è
di tipo ergonomico. Lavorare in piedi, per esempio, è il problema in assoluto più
sofferto per le donne siciliane. Nell’azienda di Siena le donne hanno denunciato anche altri problemi ergonomici come il sollevamento di carichi e soprattutto il lavoro in posizioni scomode.
Il rischio chimico derivante dai pesticidi è presente soprattutto nell’azienda florovivaistica di Siena dove il lavoro si svolge in serra. Tuttavia il 98% delle donne rispetta i tempi di rientro dopo i trattamenti fitosanitari anche se solo il 40% conosce il grado di tossicità (classe di rischio) dei pesticidi utilizzati nel proprio lavoro.
Interessante è notare come la percentuale di donne che hanno avuto almeno un
infortunio lavorando nell’azienda attuale sia più elevata tra le lavoratrici toscane rispetto a quelle siciliane (23,3% contro 5,6%). Questo dato potrebbe dipendere, oltre che da una diversa propensione a denunciare gli infortuni nelle due realtà, anche dalla tipologia del lavoro.
Le donne dell’azienda florovivaistica di Siena, pur essendo più giovani, riportano
patologie croniche più frequentemente delle lavoratrici siciliane. Questo risultato,
apparentemente sorprendente, è probabilmente dovuto ad una maggiore consapevolezza delle lavoratrici toscane nel riconoscere il legame tra alcuni disturbi cronici
(ad esempio osteoarticolari) ed il lavoro. Infatti, come era da aspettarsi, tra le donne siciliane è stato rilevato, complessivamente, uno stato di salute più precario rispetto a quelle toscane.
Infine, dalle risposte aperte presenti nel questionario somministrato, riguardo
ai disagi delle donne nel loro ambiente di lavoro, si sono potute riassumere le
problematiche soggettive riportate dalle lavoratrici stesse. Sono stati confermati
i problemi relativi alla presenza di disturbi fisici e di fatica, derivanti anche da
problemi ergonomici. Un dato nuovo, che emerge soprattutto dalle dichiarazioni delle lavoratrici toscane, è il disagio dovuto a problemi dell’organizzazione del
lavoro (orari, turni, rotazione ecc.) nella loro azienda, confermando, così, una
consapevolezza dei rischi e della capacità di queste lavoratrici di fornire soluzioni praticabili.
I problemi che le lavoratrici coinvolte nella ricerca hanno sollevato in relazione
alle differenze di genere (ossia nei confronti dei loro colleghi maschi) riguardano soprattutto il doppio carico di lavoro (in famiglia e in azienda), particolarmente tra le
donne siciliane e il lavoro faticoso/discriminante del quale si lamentano specialmente le donne dell’azienda toscana.
Molte delle risposte al questionario variano secondo l’età della donna; ad esempio, l’uso dei dispositivi di protezione individuale è più frequente tra le lavoratrici
più giovani in tutte e due le aziende. Tuttavia la percentuale di donne che utilizza
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questi dispositivi, a prescindere dalla classe d’età, è maggiore in Toscana (88,4%
contro il 23,7% della Sicilia).
Anche il numero dei disagi e dei rischi percepiti sembra essere più alto tra le donne più giovani e più istruite, mentre le patologie croniche presentano un trend crescente con l’aumento dell’età.
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Alcuni risultati dell’indagine sulle lavoratrici dell’industria alimentare
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Le due aziende incluse nell’indagine fanno parte del comparto per la lavorazione
delle carni avicole situate rispettivamente nella provincia di Macerata e in quella di
Verona.
L’azienda marchigiana ha circa 1.800 lavoratori, dei quali il 70% donne, mentre
quella veneta è composta da circa 1.250 lavoratori, dei quali 300 circa sono donne.
Le lavoratrici intervistate nelle due aziende sono state complessivamente 190. In
generale, le lavoratrici dell’industria alimentare sono più motivate ad adottare misure di sicurezza e prevenzione rispetto alle lavoratrici agricole. Per esempio, l’uso di
mezzi di protezione (guanti, cuffie, mascherine, grembiuli, scarpe antiscivolo ecc.)
è sistematico ed è probabile che questo sia dovuto, almeno in parte, all’obbligatorietà dell’uso di Mpi per la protezione del prodotto e, quindi, alla continua sorveglianza dell’applicazione delle regole, cosa non presente nel settore agricolo. Le visite mediche periodiche sono in genere eseguite ed in tutte e due le aziende sono stati effettuate alcune attività formative sui temi della prevenzione e della sicurezza.
Anche in questo le due aziende industriali sono molto più avanti rispetto al lavoro
in agricoltura precedentemente riportato.
L’indagine evidenzia che i disagi più frequenti, derivanti dall’attività lavorativa,
sono: il lavoro in piedi, il microclima freddo e l’affaticamento del braccio/polso dovuto alla catena di montaggio. Infine, i ritmi di lavoro elevati sono stati riferiti da
più della metà delle donne. Sono, inoltre, stati riportati numerosi infortuni causati
da strumenti manuali taglienti e dovuti a ritmi lavorativi elevati.
Le patologie più frequenti sono quelle riguardanti la spalla/gomito/mano, sicuramente associate ai movimenti ripetitivi e al sollevamento di pesi. Queste patologie aumentano notevolmente con l’età.
Considerazioni conclusive
Questa indagine ha rilevato che i principali disagi e rischi per la salute delle partecipanti derivano dal doppio lavoro, dalla fatica fisica, dalle posizioni disagevoli
(per le addette al lavoro agricolo) e dai problemi microclimatici, ergonomici e organizzativi (per le donne addette all’industria alimentare). Le patologie croniche la-
Quali indicazioni per la prevenzione?
Il primo passo, in qualsiasi intervento di prevenzione nei luoghi di lavoro, è quello della valutazione del rischio. Già in questa fase, è importante adottare un approccio non «neutrale», assicurandosi che vengano rilevati e valutati i rischi specifici per le donne. La normativa vigente, cioè il Testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (d.lgs. 81/2008), prevede all’art. 6 l’obbligo di «promuovere la considerazione della differenza di genere in relazione alla valutazione dei
rischi e alla predisposizione delle misure di prevenzione». In assenza di una specifica considerazione delle problematiche di genere, la valutazione del rischio sarebbe
incompleta, in quanto priva di attenzione alla specificità delle donne dal punto di
vista biologico ma anche dal punto di vista sociale (si ricorda che le donne quasi
sempre devono sopportare un doppio carico lavorativo).
La valutazione del rischio lavorativo non è un mero esercizio burocratico da affidare esclusivamente ad «esperti» esterni, che spesso «valutano» i rischi in astratto, inserendo i dati forniti dall’azienda in programmi computerizzati standard. Queste
procedure valutative, prive di una conoscenza diretta del lavoro, dei disagi e dei problemi che i lavoratori affrontano nello svolgimento quotidiano del lavoro, possono
produrre un quadro molto diverso dalla realtà. Solo un diretto coinvolgimento di
tutti i lavoratori, uomini e donne, in tutte le fasi di accertamento del rischio e nell’analisi delle differenze di genere può fornire indicazioni utili per valutare il rischio
e, soprattutto, per trovare soluzioni che lo possano ridurre.
Nella fase di implementazione delle misure preventive, la prima opzione deve
essere quella della eliminazione della sorgente di danno alla fonte. Se l’unica soluzione è quella dell’uso di dispositivi di protezione individuale, questa deve essere concordata con le lavoratrici stesse in modo da consentire l’accettazione dell’uso di tali dispositivi con il massimo grado di protezione ed il minimo di disagio. Infatti, spesso questi dispositivi sono disegnati per il lavoratore «medio» e
male si adattano alle esigenze delle donne. Dall’indagine precedentemente riportata, abbiamo visto che l’uso di questi dispositivi è spesso trascurato specialmente dove mancano la formazione sulla loro utilità e l’incentivazione al loro
utilizzo costante.
Rubrica: Lavoro e salute
voro-correlate, emerse dall’indagine, dipendono dal tipo di lavoro, dalle misure di
prevenzione, dalle pause, dalle ore lavorate per settimana, dalle condizioni ambientali nel luogo di lavoro, ma anche dall’età e dalla formazione delle lavoratrici. La
consapevolezza dei rischi da lavoro e l’adozione di misure di prevenzione mancano
maggiormente tra le donne più svantaggiate, cioè quelle più anziane e meno istruite, specialmente nell’azienda ortofrutticola collocata in Sicilia.
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L’indagine ha evidenziato come la consapevolezza dei rischi e dei danni dalle condizioni di lavoro dipenda dal grado d’istruzione delle donne e dalla loro età (meno
presente tra le donne anziane e meno istruite) e, inoltre, è emerso anche come tale
consapevolezza sia determinante per l’applicazione di buone pratiche di lavoro e per
l’uso dei mezzi protettivi disponibili. Segue l’importanza della formazione per rendere le lavoratrici consapevoli. Tale formazione non deve essere semplicemente un
«intervento» unico e isolato. Mantenere alta l’attenzione per la prevenzione è possibile solo attraverso la formazione continua che possa permettere la partecipazione a
corsi periodici, con il rinnovo delle buone pratiche e la supervisione e incentivazione alla loro applicazione.
È probabile che alcuni di questi interventi di prevenzione siano già adottati nelle grandi aziende del settore agroalimentare. Come abbiamo constatato in questa indagine la situazione è particolarmente critica nelle aziende agricole del Sud. La sfida di domani è quella di portare un’efficace prevenzione in tutte le aziende agricole, specialmente in quelle piccole, dove gli investimenti in prevenzione non sono sostenibili. Interventi statali o/e degli enti locali, con facilitazioni fiscali, assistenza tecnica e, specialmente, interventi di formazione al livello capillare nelle zone rurali,
potrebbero incentivare le misure di prevenzione, nonché ridurre gli infortuni e i
danni alla salute delle lavoratrici e dei lavoratori del settore agroalimentare.