l`abbigliamento tradizionale degli abitanti di elmas

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l`abbigliamento tradizionale degli abitanti di elmas
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L’ABBIGLIAMENTO TRADIZIONALE
DEGLI ABITANTI DI ELMAS
Nel passato ogni paese della Sardegna si distingueva dagli altri
per la lingua, il costume e la gastronomia. L’identità di ogni popolo ha
stretto legami con ciò che mangia e con ciò che indossa per ripararsi
dalle intemperie o dal troppo sole e che lo identifica come abitante di
un certo territorio.
Il costume, inteso come abito, e la gastronomia sono i legami tra
l’uomo la terra, gli animali e le piante che popolano i luoghi in cui lo
stesso vive.
Le materie prime abbondanti nei diversi territori hanno fatto si
che le popolazioni fin dai tempi più antichi abbiano via via migliorato
il loro tenore di vita, arrivando a ritenere importante non solo il
mangiare, ma cosa mangiare, come migliorare il gusto delle pietanze
con l’aggiunta di odori e spezie che si veniva a conoscere con i
commerci e in seguito anche come presentarlo a tavola con stoviglie di
ceramica (su strexu ‘e terra) sempre più raffinate.
Anche il costume lega l’uomo ai suoi territori, infatti, in base alle
materie prime disponibili si sono tessute le stoffe per preparare gli abiti.
E se prima servivano solo per coprirsi, dopo diventano identificativi
anche della posizione sociale che ogni membro del villaggio riveste.
Tutto
questo
si
tramanda
da
sempre
di
generazione
in
generazione, custodendo saperi e competenze per far sempre meglio, ma
con uno sguardo alle tradizioni che mai dovrebbero essere dimenticate
perché sono le nostre origini. Chi viene in Sardegna ha la possibilità di
fare un viaggio straordinario nel tempo e di rendersi conto di tesori
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inestimabili e meravigliosi non sempre conosciuti, a volte neanche
dagli stessi sardi. È un viaggio alla scoperta dell’artigianato sardo, in
particolare l’abbigliamento, costumi semplici ma allo stesso tempo
ricchi di fantasia e di creatività. Ce ne sono un’infinità, l’uno diverso
dall’altro. Nessun’altra regione dell’Italia ne ha un numero uguale.
In Sardegna ogni paese difende i propri costumi con orgoglio,
perché essi rappresentano la testimonianza vivente della cultura e
dell’esprimere su stoffa ciò che il popolo sardo viveva; infatti, in passato
ogni abito, evidenziava gli aspetti più importanti della vita: la semplice
quotidianità, la sfarzosità delle feste, la compostezza e la sobrietà nei
momenti di lutto. Naturalmente nessuno indossa più questi antichi
costumi nelle città, ma ci sono molti centri nell’interno in cui è
possibile ammirarli indosso a donne e ad anziani che vogliono
continuare a mantenere vive queste tradizioni meravigliose. Ci sono
almeno
tre
occasioni, in
Sardegna, di
vedere
sfilare
i costumi
tradizionali delle otto provincie: il primo maggio a Cagliari, per la
Sagra di Sant'Efisio; la terza domenica di maggio a Sassari, per la
Cavalcata Sarda, e l'ultima domenica di agosto a Nuoro, in occasione
della Sagra del Redentore. A parte queste eccezioni, però, il costume si
può rindossare alla festa popolare paesana: ogni paese ne ha una
propria, di solito quella dedicata al santo patrono. Queste feste sono
moltissime e si svolgono per lo più in estate, perché per un popolo così
povero che viveva di agricoltura e pastorizia non c’era periodo migliore
per festeggiare del periodo del raccolto.
Un altro periodo di festa era il mese di settembre, l’inizio
dell’anno agrario, durante il quale i contadini affidavano ai campi le
speranze per un futuro di benessere. In questo giorno, molti indossano i
costumi tradizionali per andare in chiesa, partecipare alle processioni
religiose o ritrovarsi in piazza per dare vita ai balli. A Elmas sono
conservati alcuni abiti tradizionali femminili della seconda metà
dell’ottocento, mentre dell’abbigliamento maschile si conservano pochi
indumenti, tra i quali alcuni gilet.
L’uso dell’abito femminile tradizionale, anche se con alcune
varianti dettate dalle mode del periodo, fu usato fino al 1920 circa. I
tessuti e la foggia della gonna erano comuni alla gran parte dei paesi
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del circondario di Cagliari: Assemini, Sestu, Monserrato, Pirri. Dal ’20
in poi si andò via via utilizzando l’abito alla moda continentale
chiamata “bistiri de sennora” o “a sa moda”.
I due gruppi folk Sa Nassa e Su Masu formatisi entrambi intorno
ai primi anni ’70, prendono il nome uno da uno strumento usato nella
laguna per pescare Sa Nassa, l’altro dal nome dalla villa d’origine
fenicia Del Mas, in sardo Su Masu. I gruppi indossano principalmente
abiti festivi riprodotti, mentre alcuni originali sono indossati solo nelle
occasioni importanti.
I costumi erano confezionati in famiglia. Infatti, quando le
ragazze raggiungevano l’età dello sviluppo, si preparava is arrobas,
cioè tutto ciò che doveva riempire la casa che il marito preparava
prima del matrimonio: su strexu de terra, (scodelle, pentole, casseruole,
vasi, broche ecc;) su strexu de fenu (corbule, cestini, setacci, ceste, pale
da forno, cucchiai di legno ecc.) Sa mobilia (di cui facevano parte
tutti i mobili della casa) sa biacheria de lettu, de coxina e su bistuari.
Della biancheria personale faceva parte anche il costume e quanto più
si era ricchi o benestanti, tanto più erano preziose le stoffe usate che
potevano essere differenti, ma si doveva seguire sempre dei canoni ben
precisi. Così anche Elmas ha costumi diversi tra loro pur essendo dello
stesso paese. Il costume più antico ritrovato in paese appartiene a una
signora nata nel 1840 (passato poi di generazione in generazione per
centocinquant’anni.)
L’ABBIGLIAMENTO FEMMINILE
L’ABITO FESTIVO
L’abito
è
di
fine
ottocento,
indossato
anche
in
occasione del matrimonio.
La testa è coperta da un fazzoletto di forma triangolare, marrone
in cotone stampato – su trubanti – che serve a raccogliere i capelli e si
annoda dietro la nuca.
Su muncadori (il fazzoletto) è beige in seta operata, di forma
quadrata. S’indossa piegato a triangolo e annodato sotto il mento.
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Su sciallu (lo scialle) è di colore viola e argento in seta operata
a motivi floreali, di forma quadrata e con frange lungo i bordi.
S’indossa piegato a triangolo, con i lembi liberi e fermati ai fazzoletti
con spilloni.
Sa camisa
(la
camicia)
è
bianca
in
cotone,
con
scollo,
giromanica e polsini ricamati a puntu vanu o sprighita. Lo scollo e i
polsini potevano essere arricchiti con pizzo realizzato a sfilato, sa
camisa a prefalliu. Era chiamata anche camisa bona o arranda
manna.
Su spensu (il giacchino) è nero e fucsia in lana e seta
operata a motivi floreali, pieghettato e sagomato, termina a
punta sul davanti. Ha le maniche attillate con uno sbuffo a
palloncino all’altezza del gomito, sa bocia (la palla). Lo
sbuffo è ricoperto da volant circolari, prefallius, impreziositi
da passamaneria in seta operata a motivi floreali policromi, fetas
pintadas. le maniche sono realizzate con pieghe sovrapposte, a foll’’e
stoia.
Sa gunnedda (la gonna) è di colore rosso e
blu
in
cotone
pesante,
abordau,
interamente
plissettata eccetto il pannello frontale coperto dal
grembiule. La plissettatura è realizzata in modo
da lasciare a vista la riga rossa. E ‘ rifinita in vita con nastro verde in
broccato.
Su deventabi (il grembiule) è marrone in seta operata, bordato
con pizzo giallo.
Is butineddus (gli stivaletti) neri in pelle, con il tacco.
Essendo un abito senza tasche si poteva applicare sa busciaca di
asuta. Tasca marrone in seta operata, di forma rettangolare e bordata
con passamaneria in seta operata a fiori. Ha un’apertura centrale
arricchita da un cuore in seta applicato, si nasconde sotto il grembiule.
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IS PRENDAS
GIOIELLI E ACCESSORI
Sono oggetti in oro, argento, filigrana finissima che, nelle forme
rotonde o allungate, contengono spesso sottintesi di tipo
sessuale. Così avviene ad esempio, per i bottoni di forma
mammellare, per i campanellini, per i pendenti.
Le tecniche di realizzazione sono arcaiche e si ricollegano
al sottile significato magico di antichi rituali che richiamano la vita,
la fertilità e l'amore. La grande varietà di monili, medaglioni, anelli,
spille, braccialetti e collane, attribuisce alle donne fascino maggiore.
Gli orecchini, arrecadas a palia, di fine
Ottocento. In oro e perle scaramazze. Composti di
tre elementi: quello superiore a forma di fiore,
quello centrale a forma di fiocco e quello inferiore
tripartito sempre a forma di fiore.
Spille d’oro, agullas di oru di fine Ottocento. A
forma di margherita.
Catena, ghetau, di fine Ottocento. In oro con maglie
di diversa forma e spessore, utilizzata anche per appendere il
ventaglio. Alla catena è fissato un pendente, su dominu.
Collana, cannaca, di fine Ottocento. In oro lavorato a croxiu
de nuxedda. Costituita solitamente da dodici vaghi, pibionis.
Esistono anche esemplari formati da trenta e più pibionis di diverse
dimensioni.
Pendente, lasu, di fine Ottocento. In oro laminato
composto di tre elementi: quello superiore a forma di
fiocco, con pietra incastonata color ambra al centro,
quello centrale con pietra incastonata viola e quello
inferiore con cammeo raffigurante un profilo femminile,
con tre pendenti.
Anelli, aneddus, in oro fine Ottocento
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ABBIGLIAMENTO
MASCHILE
ABITO FESTIVO
L’abito è di fine Ottocento e anche per l’uomo la
ricchezza si rifletteva nell’uso di stoffe più o meno
pregiate.
La testa era coperta de sa berrita, di panno nero,
a forma tubolare e con bordi arrotondati, lunga circa un metro.
S’indossa ripiegata su se stessa sul davanti, ed è fermata da un
fazzoletto marrone in cotone operato che cinge la fronte e si annoda
dietro il capo.
Sa camisa- (la camicia bianca di cotone), ha i ricami nel collo,
nel giromanica e nei polsini, arricchiti anche da pizzo. E’ chiusa al
collo con due bottoni d’oro in filigrana.
Su cropetu (il gilet), è viola in broccatello a fiorami policromi,
chiuso da bottoni in filigrana d’oro. Poteva essere in velluto, chiuso da
bottoni più semplici, ma il più diffuso era in seta o velluto operato a
motivi floreali.
Su serenicu (il cappotto corto), è nero in panno, con cappuccio.
Bordato con velluto rosso che riveste anche parte delle maniche e delle
tasche laterali, è arricchito da applicazioni di cordoncini, tulle e
nappine nere, sul davanti è cucita una catena in argento e granati;
sui fermagli a forma di cuore sono rappresentati due amorini.
Is mudandas- (i calzoni) sono bianchi in tela di cotone, lunghi
fino a metà polpaccio. S’indossano infilati nelle ghette.
Is cratzonis de arroda- (il gonnellino), è nero in orbace, lungo
a metà coscia. Una sottile striscia di tessuto unisce la parte anteriore e
posteriore del gonnellino, passando sotto il cavallo dei pantaloni.
Is cratzas (le ghette) sono nere in panno, coprono il polpaccio e
terminano arrotondate, nascondendo parte delle scarpe.
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IS PRENDAS
GIOIELLI ED ACCESSORI
Sa carrighera (la cintura) è di cuoio marrone, rivestita di velluto
verde e rifinita di passamaneria dorata. Ha un’applicazione di
su
broccatello bianco. Nell’abbigliamento maschile non mancava
muncadori generalmente rosso con disegni, era tenuto alla cintura.
SAGRE ENOGASTRONOMICHE TIPICHE
DEL CIRCONDARIO DI CAGLIARI.
SA COIA ANTIGA
LO
Ogni
anno,
a
SPOSALIZIO
partire
dal
SELARGINO
1962,
a
Selargius
si
rivive
un
antichissimo rito Nuziale che per la sua bellezza e la sua particolarità
riesce a coinvolgere non solo l'intera popolazione del paese, ma attira
l'interesse di tutta la Sardegna.
La seconda domenica di settembre le strade del centro di
Selargius,
matrimonio
si
affollano
per
campidanese.
assistere
all’antica
L’ottocentesco
rito
cerimonia
nuziale
del
selargino,
decaduto da più di un secolo, tornò in auge grazie a un commerciante
di pellami, Efisio Salis che ebbe la felice intuizione di proporre la
riedizione, in chiave di spettacolo dell’antica cerimonia, nell’autunno
del 1962.
I
riti
cominciano
ufficialmente
il
giorno
precedente,
con
la
tradizionale visita dei familiari dello sposo alla casa della sposa per
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ammirare il corredo che poi sarà trasportato nella casa degli sposi,
dove le due madri preparano il letto nuziale.
E’ di domenica mattina che fervono gli ultimi
preparativi precedenti alla funzione religiosa con il
rito della vestizione.
Gli sposi indossano i ricchi abiti di broccato e veli di
pizzo lavorati a mano della tradizione selargina e sono parte
importante del costume gli immancabili ori e gioielli della tradizione:
is prendas.
Un gioiello di grande pregio che appare nel
costume femminile è su lasu (forse il laccio perché
legato al collo). Ha la forma di un fiocco a farfalla e
una cadenza graduale a tre elementi, che dal collo giungono a coprire
l’ampia scollatura della camicia impreziosita di ricami. Gli artigiani
locali, particolarmente creativi, hanno prodotto meravigliosi pezzi tutti
diversi tra loro e di una leggerezza e perfezione di stile straordinario.
La sposa indossa is arrecadas a palia, i grandi orecchini
quadrangolari che riproducono lo stesso disegno arabesco di su lasu.
Occupa un posto tutto suo l’anello selargino: la preferenza delle
donne per questo gioiello, ha fatto sì che si conservasse a Selargius un
modello antichissimo, dove le tecniche di forgiatura della filigrana
parrebbero del tutto originali, e non mancano nemmeno le bellissime
spille in filigrana d’oro con pietra granata.
Per quanto riguarda il costume maschile, un elemento importante
è: Su Graucheri, ovvero la catena d’argento che tiene unito il mantello
ai classici bottoni in filigrana d’oro a doppia calotta e pietra granata,
cuciti sul collo della camicia.
E’ sui polsini di quest’ultima che invece troviamo i gemelli, anch’essi in
filigrana d’oro e impreziositi da pietra granata, mentre il corsetto è
chiuso con dei bottoni in filigrana d’argento. Tutti questi bottoni sono
ritenuti un simbolo di prosperità, poiché riproducono in maniera
stilizzata il seno femminile.
L’ultimo gioiello che l’uomo porta con sé è l’orologio con catena
d’argento.E’ inevitabile che dinanzi all’abbondanza di gioielli della
sua sposa, l’uomo risulterà senz’altro meno appariscente.
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La tradizione racconta che, una volta, quando si celebrava il
fidanzamento ufficiale, i genitori dello sposo regalavano alla sposa is
prendas, vero e proprio corredo di gioielli, considerati evidentemente
indispensabili per il costume e motivo di orgoglio nelle solennità
religiose e civili.
Una volta indossati abiti e gioielli dopo un lungo preparativo, gli
sposi ricevono nelle rispettive dimore, la benedizione da parte delle
proprie madri. Sarà lo sposo a riceverla per prima dinanzi ai propri
parenti, alle personalità più importanti del paese, cioè il Sindaco e il
consiglio comunale in vesti ufficiali, e sarà la mamma a impartirla.
Questa é la benedizione originale in lingua campidanese,
recitata da Leonzia Pibiri al figlio Efisio Secci:
S’aratzia e sa benedizioni de sa mamma
“In nomini de su Babbu, de su Fillu e de su Spiridu Santu
A Tui, Fillu amau e caru, deu ghettu cust’ aratzia.
Impari a Babbu tù, ringratziaus a Deus e a nosta Sennora,
de s’essiri fattu custa grandu grazia.
Grazia, de t’hai donau sa vida,
de tessir’ imparau s’educatzioni e su rispettu,
po chini t’ha connottu e t’ha donau tant’affettu.
T’eus cresciu onestu, bellu e traballanti,
e auguraus a Tui e a sa Sposa Tua
poi is fillus chi ant’arribai, chi fatzais attrettanti.
Sa domu, e sa famiglia,
chi t’ha biu pippiu, piccioccheddu e bagadiu,
Tui òi dà lassasa,
po andai un’atra an di formai
cun sa Sposa Tua istimada.
Caru Fillu, custu coru de mamma
milli augurius immoi t’iada bolli donai,
Esti stettiu bellu candu t’happu sanziàu in su barzòlu,
ma medas bortas, tappu puru strattallàu.
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Una mamma, pònidi a su mundu unu fillu,
d’anninnìada, ddu curada, ddu crescidi e ddu proteggidi,
in su mentris su tempus ci passada e arriba s’ora cumenti po Tui òi,
de ti lassai andai, po sa strada tua.
Ma in tottu custa bella storia
una cosa sola gei Ti dda potzu assicurai.
Po cantu appa bivi “Fillu miu”
s’affettu miu po Tui, non ada tenni fini mai.
Tengu meda cuntentesa e cummotzioni
e cun manu tremanti , in nomini de Deus
Ti ongu benedizioni
E T’affidu a sa Mamma divina cun fervori
Chi Ti ònghidi, bundadi, saludi,
e tantu e tantu amori.
In nomini de su Babbu, de su Fillu e de su Spiridu Santu.
Amen e aìcci siàda”.
Benedizione della Mamma
(Traduzione dal sardo, all’italiano)
“In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito,
A Te, Figlio amato e caro, t’impartisco questa benedizione.
Insieme a tuo Padre, ringraziamo Dio e nostra Signora,
di averci fatto questa grande grazia.
Grazia di averti donato la vita,
di averti insegnato l’educazione e il rispetto,
e per chi ti ha conosciuto e ti ha dato tanto affetto.
Ti abbiamo cresciuto onesto, bello e lavoratore,
e auguriamo a Te e alla tua Sposa,
che per i figli che verranno facciate altrettanto.
La casa, la famiglia,
che ti ha visto bambino, ragazzino e giovanotto,
tu oggi la lasci,
per andare a formarne un’altra,
con la Tua Sposa amata.
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Caro Figlio, questo cuore di mamma,
mille auguri adesso ti fa,
mille raccomandazioni ti vorrebbe fare.
E’ stato bello quando nella culla ti ho dondolato,
ma molte volte, ti ho pure sgridato.
Una Mamma, mette al mondo un figlio,
lo coccola, lo cura, lo cresce e lo protegge,
nel mentre il tempo passa,
e arriva l’ora come per Te oggi,
di lasciarti andare, per la tua strada.
Ma in tutta questa bella storia,
una sola cosa ti posso assicurare,
Per quanto vivrò “Figlio mio”,
il mio affetto per Te, non avrà mai fine.
Ho tanta contentezza e commozione
E con mano tremante, in nome di Dio
Ti do la benedizione
e Ti affido alla Madre divina con fervore,
che Ti dia bontà, salute
e tanto e tanto amore.
In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Amen e così sia.”
Dopo questi primi momenti di commozione inizia l’interminabile
corteo che tra il calore della folla attraversa le principali vie del paese.
Con copiose manciate di sale, oltre che con una pioggia di grano, i
selargini cospargono il corteo diretto verso la chiesa dove sarà celebrato
il rito. La folla che fa ala durante il percorso, benedice appunto gli sposi
col sale e col grano, e prodigandosi così sul loro cammino, acquistano
il valore di un auspicio di prosperità e gioia. Ai due giovani, che si
apprestano a saldare con un legame indissolubile il proprio destino, è
rivolto l’augurio che questa loro unione duri.
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"ad medas annos cun saludi e cun trigu"
Ossia
Per molti anni con salute e con grano
Il corteo è preceduto dai carabinieri in alta uniforme, dopodiché
procedono i suonatori di launeddas, (tipico strumento a fiato, a tre
canne di antichissime origini).
Aprono il corteo donne in costume che sostengono sul
capo dei cestini contenenti i doni offerti alla giovane
coppia per il banchetto nuziale: il pane lavorato in
varie forme, i dolci fantasiosi tra i quali spiccano le
due monumentali torte nuziali di “gatou” (dolce di mandorla.)
Sarà la volta della sposa accompagnata dal padre, così come lo
sposo alle sue spalle. Le madri non accompagnano gli sposi.
Al seguito non possono mancare tutti i parenti
e quelli più stretti indossano il costume tradizionale
della festa. E’ la volta de is traccas, i carri trainati
dai buoi, ornati di fiori e le cui corna sono
intrecciate con nastri leggiadri e pendagli.
Singolare la traslazione del letto nuziale in ferro battuto e legno
antico, abbellito con una bellissima coperta di pizzo bianco lavorato a
mano.
La sfilata prosegue con il carro degli arnesi da cucina, come
teglie e stoviglie di rame. Un altro carro trasporta panche, sgabelli e
cassettoni che racchiudono gli abiti della sposa.
Durante la sfilata si
ha inoltre modo di ammirare la fantasia cromatica dei costumi. Per
questo evento sfilano, infatti, i costumi di tutta la Sardegna: i costumi
del Capo di sopra, ricchi di variazioni spagnolesche e di una ricchezza
contadina, i costumi della Barbagia di Nuoro, dai toni di rosso,
azzurro e giallo, in pure combinazioni, dove il colore è usato quasi a
sottolineare il carattere arcaico della civiltà dei pastori. I gruppi che
sfilano a questa splendida parata sono ben 45. Quindi tutta la
Sardegna
è
coinvolta
in
quest’unica
esperienza
di
folklore,
soprattutto partecipa alla felicità della cerimonia nuziale.
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ma
Gli sposi continuano a essere guidati dal proprio padre per tutto il
corteo fino a congiungersi dinanzi all’altare. Ha quindi inizio la
funzione religiosa che è celebrata interamente in lingua campidanese.
Al termine della Messa lo sposo infila al
mignolo della mano sinistra l’anello di una catena
d’argento con la quale cinge la vita della sposa, e
così legati rimarranno sino all’ingresso nella nuova
casa.
Alla fine del rito nuziale si ha uno dei momenti più suggestivi del
matrimonio: Sa Promissa. Infatti, gli sposi firmeranno ognuno su di
una pergamena la loro promessa d’amore. Le parole però saranno
scritte da loro il giorno precedente e saranno ufficializzate la
Domenica alla presenza del sacerdote celebrante, dopo aver letto loro
gli articoli 143,144,147 della legge civile italiana.
La pergamena una volta firmata sarà chiusa in
una teca sigillata con la cera lacca e sarà poi
conservata nella Chiesa di San Giuliano, poco distante
dalla Chiesa patronale.
Questo rito magnifico è risalente al XVII secolo e grazie a Efisio
Salis è tornato di nuovo a vivere.
Dopo tutta la commozione, il rinnovarsi di una tradizione, la
dimostrazione di affetto nell’augurare ogni bene e felicità agli sposi,
bisogna soddisfare la gola……tutti al banchetto nunziale!
Un lussuoso pranzo alla campidanese: antipasti misti di salumi
con olive, malloreddus con salsiccia, ravioli di ricotta, porchetti e
agnelli arrosto e tanta tanta verdura fresca. I dolci sono tanti e fatti in
casa:
amaretti,
ciambelle,
pistocheddu,
pabassinus,
pirichitus,
biacheddus, pistocus po su cafè, sa truta de gatou a forma di casa o di
castello o di altre forme.
Un tempo anche i liquori si facevano a casa e si accompagnava
ciascuno a un particolare dolce.
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ASSEMINI
UN PAESE RICCO DI TRADIZIONI
Le tradizioni e il folklore di un paese sono importanti per
conoscere meglio gli abitanti. La popolazione è gelosa custode di
alcune festività tradizionali di carattere religioso che si ripetono
annualmente a cura di appositi comitati.
I Santi venerati dagli asseminesi sono Pietro e Paolo, patroni del
paese, San Giovanni Battista, Santa Lucia e viene anche festeggiata la
B.V. del Carmine. Una tradizione che continua da secoli è la festa di
Sant'Andrea, la cui chiesetta è posta ai limiti del bivio principale per
Assemini, a pochi metri dall'iglesiente.
La chiesa diroccata e corrosa dal tempo sino a poco
tempo fa, in seguito alle vibrate proteste dei cittadini,
che hanno costretto le autorità a risanarla, è stata
restituita al culto dei fedeli.
Sant'Andrea è il protettore dei pescatori. La particolare devozione
degli asseminesi nei confronti del Santo è strettamente
legata al tipo di economia basata sulla pesca che è stata
esercitata per secoli dalla popolazione del luogo. Durante
la festa si svolge la sagra del pesce che è arrostito e distribuito insieme a
buon vino.
Da alcuni anni è stata ripristinata la festa di San Cristoforo per
iniziativa di un gruppo di camionisti molto devoti al loro santo
protettore. Le tradizioni religiose rimarcano sotto certo aspetti la realtà
socio-economica della popolazione. Una o due settimane prima della
festa di Sant’Andrea si svolge una manifestazione chiamata
PANADARTE. Durante questa sagra un gruppo di signore
insegna a chi volesse
imparare
come
si prepara, “sa
panada”. Questo piatto tipico di Assemini altro non è che
un contenitore di pane che contiene o carne o pesce condito
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con aglio, prezzemolo, pomodoro secco, il tutto tritato, un filo d’olio
extravergine di oliva e sale q.b. e che cuoce nel forno.
LA RICETTA -(Dosi per 4 persone)Per la pasta :
farina 300gr. Oppure 150 gr. di farina e 150gr. di semola fina
20gr di strutto di maiale
Acqua tiepida salata
Ripieno d’anguille :
400 gr. d’anguille tagliate a pezzetti
Patate e piselli a piacere
Sale, pepe, pomodori secchi, prezzemolo, aglio.
2 cucchiai di olio d’oliva
Ripieno di carne :
300gr. di carne di manzo, maiale o agnello tagliata a pezzetti
Patate, carciofi o piselli a piacere
Sale, pepe, pomodori secchi, prezzemolo, aglio.
2 cucchiai di olio d’oliva
Preparazione
S’inizia a preparare una sfoglia non troppo sottile,
impastando la farina con acqua tiepida salata e lo strutto di maiale
(oppure metà farina e metà semola per ottenere una pasta più
croccante). La pasta così ottenuta si lavora a lungo e infine si tira una
sfoglia circolare.Si deve mettere da parte un po’ di pasta lavorata
(circa un pugno) che servirà per il coperchio. La sfoglia circolare si
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dispone su una terrina per aiutarsi a dare la forma di “pentola”. A
questo punto si può iniziare a sistemare il ripieno che deve essere messo
tutto a crudo. Per “sa panada” di anguille: mettere le anguille tagliate
a pezzi e i piselli alternando con strati di aromi, pomodori secchi
(abbondanti), sale, pepe, prezzemolo, aglio secondo il gusto. Per “sa
panada” di carne: mettere la carne di manzo, maiale o agnello
tagliata a pezzi alternando con strati di aromi, come già descritto,
piselli, patate, carciofi o melanzane, sempre secondo il gusto. Dopo aver
disposto buona parte del ripieno, si devono sollevare piano piano i bordi
della pasta, seguendo la forma “a pentola” e lasciando qualche
centimetro di bordo. A questo punto prima di mettere il coperchio, si
devono aggiungere alcuni cucchiai di olio d’oliva. Se ci si dimentica,
l’olio si può aggiungere durante la cottura facendo un buco nel tappo
che sarà richiuso con un po’ di pasta fresca. Per chiudere “sa panada” si
utilizza la pasta messa da parte, dalla quale si ricava una sfoglia
circolare. Il coperchio così ottenuto, è posato su una “pentola” ed è
pizzicato ripetutamente per saldarlo alla stessa. Quest’operazione è
molto importante perché la tenuta deve essere perfetta e quindi la
giuntura deve essere fatta con molta attenzione e con forte pressione
delle dita. S’inforna a temperatura media e si fa cuocere per 3/4d’ora
(per le anguille) o 1ora (per la carne). Accorgimenti: se il forno fosse
troppo caldo e la pasta diventasse ben dorata prima di aver raggiunto
il punto di cottura, basta proteggere la parte superiore con un foglio di
carta stagnola e continuare la cottura per il tempo ancora necessario.
Si può controllare empiricamente la cottura scuotendo leggermente”sa
panada” se il contenuto si muove, significa che è ben cotta. Servire
tiepida accompagnandola con vini adeguati. Si consigliano vino
rosato per quella di anguille, vino rosso per quella di carne.
Il movimento turistico non manca soprattutto durante il
cosiddetto "luglio asseminese" che prevede una serie di manifestazioni.
Assemini è considerato "paese di antica tradizione
della ceramica. I primi reperti, venuti alla luce nella
zona di Sant'Andrea, testimoniano che questo tipo di
pratica
dominazione
punica
artigianale
della
risale
Sardegna.
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I
al
reperti
periodo
di
della
maggiore
importanza e in numero più consistente possono essere datati tra la
fine del V e l'inizio del III secolo a.C. È molto probabile che la cospicua
produzione
di
ceramiche
(prevalentemente
casseruole,
scodelle,
tegami e brocche e manufatti ornamentali) avvenisse in particolari
cortili detti (in sardo) "strexiaius" (strexius è un plurale che significa
appunto
stoviglie)
in
cui
si
trovavano
pozzi
per
l'estrazione dell'argilla alcalina di cui il territorio è
particolarmente ricco, vasche per la decantazione e la
levigazione, il tornio, tettoie per essiccare i manufatti e
forni a legna in mattoni crudi di forma cilindrica (probabilmente di
derivazione orientale).
Durante
il
Medioevo
corporazioni
apposite,
dette
Gremii,
disciplinarono le attività creative e commerciali degli strexiaius con
statuti e regolamenti, onde imporre l'obbligo di non variare le forme e
di non modificare i canoni fissati. Con l'avvento della dominazione
spagnola che durò sino al XVIII secolo, gli strexiaius furono compresi
negli ampi cortili delle case campidanesi di cui ancora oggi,
rimangono ben conservate numerose testimonianze.
La tradizione della ceramica, così profondamente radicata nel
territorio e negli asseminesi, trova la sua espressione anche nello
stemma comunale che rappresenta, tra l'altro, un'antica brocca.
Attualmente ad Assemini si producono stoviglie ornamentali,
arricchite di motivi naturalistici (spesso ispirati a modelli molto
antichi) o geometrici, in rilievo o a graffito.
La destinazione d'uso di questi prodotti artistici è diversa perché
una parte di questi, per quanto raffinati, è destinata all'uso quotidiano
(soprattutto stoviglie). Sebbene la foggia delle opere sia molto varia a
seconda degli artisti, è possibile riscontrare nell'intera produzione
numerosi elementi in comune che coinvolgono tanto i motivi decorativi
quanto le tecniche di realizzazione: ciò conferisce alla produzione di
ceramiche artistiche asseminesi uniformità e originalità in rapporto ad
altre tradizioni, rendendola unica per i suoi tratti distintivi.
18
Nel 1995 l'amministrazione comunale ha dato vita alla Mostra mercato permanente della Ceramica Asseminese presso il "Centro Pilota
per la Ceramica", uno spazio espositivo di circa 500 metri quadrati, nel
quale possono essere ammirate molte opere dei più importanti ceramisti
asseminesi.
Sempre in luglio, nell'ultima decade durante i festeggiamenti di
San Cristoforo, ha luogo il "Matrimonio Asseminese", manifestazione
in cui si celebrano matrimoni secondo i costumi locali e con la
rievocazione di riti secolari, durante i quali i partecipanti indossano i
costumi sardi tipici asseminesi e tutto il rito si svolge
interamente in lingua sarda. La celebrazione del
matrimonio
sardo
tipico
asseminese
che
prevede
l'incatenamento degli sposi. La cerimonia non è una
finta teatrale, bensì un vero rito religioso perché gli
sposi sono scelti fra coloro che intendono seriamente
unirsi in matrimonio. Lo sposo in costume secondo l'usanza, appresa
mediante il misterioso ritrovamento di un manoscritto poi altrettanto
misteriosamente sparito, si reca a casa della promessa sposa, da dove si
dirige in testa al corteo verso la chiesa.
Il
sacerdote
procede
alla
celebrazione
dell'antico
rito,
in
un'atmosfera gaia riservata per le grandi occasioni. Nella sagrestia,
dietro l'altare, un coro accompagna con canti religiosi in sardo le
varie fasi della cerimonia. Dopo il rito religioso, gli sposi sono
incatenati ai polsi con una catena dorata, simbolo della perennità del
vincolo nuziale. Al termine della cerimonia i testimoni accompagnano
gli sposi a casa dei genitori della novella sposa, dove la madre benedice
la coppia con l'acqua e il grano.
Sul selciato in concomitanza con l'arrivo degli sposi è lanciato il
tradizionale piatto colmo di grano, fiori, ecc., come auspicio di
fertilità. Il matrimonio asseminese, così com’è stato concepito, si
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ricollega con la società agro-pastorale e pre-cristiana, alla quale è
stata data una colorazione religiosa, secondo lo stile ecclesiastico usato
nei periodi relativi al passaggio dal paganesimo al cristianesimo.
Domenica tra il 13 e il 15 giugno (Sant'Isidoro) si tiene
la Sagra della Mietitura. Nelle campagne del
paese si può seguire la raccolta del grano come
si faceva un tempo. I contadini tagliavano le
spighe facendo i covoni che erano radunati nel campo fino
all’arrivo dei carri che li portavano nelle diverse case dove il
grano si batteva per essere separato dalla paglia e ripulito dalla pula e
quindi preparato per la macinatura.
Domenica tra il 23 e il 25 giugno (San Giovanni) si tiene la Sagra
della Pecora. In ricordo di un’economia agro-pastorale la pecora si
cucina come si faceva nei gioni della tosatura negli ovili. La gente si
affolla per ricevere la carne con le patate e cipolle bollite. Assemini è un
grosso centro molto vicino al capoluogo ma che ha saputo mantenere e
riportare all’interesse di tutti molte tradizioni che si erano perse o
erano nel ricordo dei cittadini più anziani.
SESTU
e
LA DEVOZIONE AL SUO SANTO
Sestu deriva dal latino “ ad sextum lapidem” che significa “ alla
sesta pietra miliare” per indicare la distanza da Cagliari che è appunto
di sei miglia; questo lo dimostra anche il ritrovamento della pietra
miliare romana dell’imperatore Lucio Settimio Severo nella chiesa di
San Giorgio. Non si sono certi se la parte di strada proseguisse per
Monastir fino a Portotorres, oppure per Ussana e quindi per Olbia.
Probabilmente il primo tratto di questa strada, fino al sesto miglio, era
in comune. La pietra miliare è nota come “sa perda mulla”.
20
L'abitato di Sestu, si è sviluppato, con pianta sparsa, attorno a
varie strade provinciali. Il Rio Cannas lo
attraversa
dividendolo in due parti: Part’ e Susu e
Part’e Jossu.
Nasce come modesto aggregato di
capanne
raggruppate nell’ansa di questo torrente nel 2000 a. C. circa e si
sviluppa progressivamente a raggiera attorno al primo nucleo fino a
raggiungere l’estensione attuale di circa 200 ettari. Fino al 1800 non
abbiamo dati sulla sua configurazione e sulle dimensioni reali, ma da
vari documenti d’archivio possiamo dedurre che negli ultimi secoli e
fino alla seconda guerra mondiale praticamente è rimasto statico
essendo stato assai modesto il suo accrescimento. Il Comune di Sestu si
trova in una posizione geo-economica di grande importanza essendo
collegato strettamente al Capoluogo sia sul piano geografico che su
quello economico. La caratteristica geologica del suo territorio ne ha
sempre
condizionata
l'economia
basata
in
preponderanza
sull'agricoltura. Il territorio, esclusivamente pianeggiante, argilloso e
ricco di humus, ha sempre consentito la coltivazione dei cereali, degli
ortaggi e della vite, affiancata da un modesto allevamento zootecnico.
L’abitato,
con
la
sua
forma
di
poligono
irregolare, nel nucleo più antico è caratterizzato da
strade irregolari, strette e tortuose, oggi asfaltate e
dotate d’idonee strutture per lo scolo delle acque, ma
una volta sconnesse
ed emananti mefitici effluvi
dovuti ai pantani che si formavano sul loro fondo in terra battuta, e
a cui si aggiungevano le esalazioni provenienti dai letamai esistenti
nei cortili delle case. Solo dopo il 1850 si diede una sistemazione alle
strade facendo il selciato. Notizie sull’abitato, approssimative ma di
rilievo, le abbiamo solamente dagli inizi del XIX secolo. Fino
a
qualche decennio fa ha avuto un’estensione modesta, circa 40 ettari
intorno agli anni 20-30, poi, nell’ultimo trentennio, con l’esplosione
demografica, ha avuto una rapida e convulsa crescita dovuta alle
massicce immigrazioni, tuttora in atto. La mancanza di un piano
conservativo e di recupero, la carenza di aree edificali e gli alti costi
di quelle disponibili, ha indotto tanti a demolire la vecchia casa e a
21
riedificare sullo stesso suolo, ma con una tipologia moderna e
variegata. Così, piano piano, si è snaturato il vecchio centro storico,
che in assenza di norme per la sua salvaguardia è destinato a
scomparire.
Oggi
assistiamo
alla
compresenza
nell’abitato
di
paesaggi urbani differenti e spesso contrastanti tra loro, da quello
dell’antico villaggio a quello della città moderna.
La cerealicoltura
L'attività
cerealicola
sestese
risale
a
tempi
remoti,
come
testimoniano anche le tracce dei modesti ma
significativi insediamenti umani, sparsi in
tutto l'agro, alcuni preistorici, altri risalenti
al periodo dell'occupazione romana, sorti
questi per l'appoggio all'attività agricola. La
cerealicoltura sestese è confermata nei secoli
successivi da documenti d'archivio, quale la statistica pisana del 1322
e altri documenti ecclesiastici dello stesso secolo. Sestu paga tributi al
Comune toscano in grano e orzo, ma questi non sono gli unici prodotti
seminati, perché si coltivano anche fave, ceci, cicerchie, lenticchie.
Significativi sono i raccolti degli anni 1843 e 1844. La superficie di
terreno destinata al seminerio è di 2.500 starelli, mentre altrettanta se
ne lascia ogni anno a riposo.
L'orticoltura
Rinomata in tutta l'Isola. Gli ortaggi prodotti a
Sestu, freschi e gustosi, sono stati sempre apprezzati in
tutti i mercati. Impareggiabili maestri sono i Sestesi in quest’attività,
documentata fin dal XIV secolo in atti ecclesiastici, favorita dalla
presenza dell'acqua a profondità limitata. Ciò ha permesso lo scavo di
pozzi
dotati,
nel
passato,
di
ruote
azionate
da
animali,
che
attingevano l'acqua necessaria a irrigare le colture. Oggi gran parte
della produzione proviene da piccole aziende a conduzione familiare
ed è assorbita dal mercato ortofrutticolo di Cagliari. La chiusura negli
ultimi anni di piccole fabbriche locali ha incrementato il numero
degli addetti a quest’attività.
22
La viticoltura
La natura argillosa del terreno ha favorito a Sestu lo sviluppo
della viticoltura, altra voce importante dell'economia sestese sia per
l'estensione che per la qualità dei vini prodotti. Dice a proposito
l'Angius che si coltivavano uve bianche e rosse, da tavola e da vino,
come nel resto del Campidano, le viti hanno una buona esposizione, il
terreno a disposizione è adatto a tale coltivazione, se le
viti sono ben curate, si ottiene una grande quantità di
mosto. Fino a qualche tempo fa una piccola parte del
mosto era cotta per fare la “sapa” per preparare i dolci.
Già rilevante nel XVI secolo, come si apprende dagli atti notarili
dell'epoca, si ha via via un aumento della superficie coltivata a vite,
tanto che agli inizi del 900 si raggiunge una produzione tanto
elevata da superare la maggior parte dei paesi del campidano.
Anche
in
questo
settore
la
proprietà
è
molto
frazionata
e
la
coltivazione è fatta prevalentemente dagli stessi proprietari, nel tempo
libero, essendo per lo più occupati in altre attività economiche. Oggi la
superficie coltivata è diminuita.
L'allevamento
Se
pur
molto
più
modesto
l'apporto
economico
rispetto
all'agricoltura, non è mancato nel passato, e non manca attualmente,
l'allevamento
del
bestiame.
E'
prevalso
sempre
l'allevamento di pecore, perché più adatto a sfruttare i
resti
dopo
la
mietitura
del
grano
e
i
maggesi
disponibili a Sestu. Numericamente il bestiame come
buoi e cavalli sono stati in numero sempre minore, in prevalenza era
bestiame da lavoro e da tiro, animali costosi e preziosi oramai
scomparsi.
Nelle case erano allevati gli animali da cortile e maiali
per il fabbisogno domestico. Si praticava anche la caccia e c’era un
buon commercio di pelli di lepri e conigli.
Altre attività
La presenza abbondante di argilla nel territorio di Sestu ha
favorito nel passato lo sviluppo della fabbricazione di tegole e laterizi,
raggiungendo livelli eccellenti, anche se non da primato come
23
nell'orticoltura. Così troviamo nei documenti dei secoli scorsi citati
vasai, tegolai e fabbricanti di mattoni. Numerose erano le cave di
argilla e diversi i forni per la cottura, attivi a Sestu.
SAN GEMILIANO
In ogni paese c’e’ un luogo, un monumento nel quale i cittadini
identificano le proprie tradizioni, la propria
religione e la propria memoria storica ciò per
i sestesi è rappresentato dalla località di S.
Gemiliano, in cui sorge l’omonima chiesa.
Situato a nord del centro abitato, dista circa
5 km Il luogo fu abitato fin dall’era prenuragica, come testimoniano i
reperti trovati, che ora sono conservati nel museo civico di Cagliari.La
storia di S. Gemiliano è legata alla Villa medievale di Sussua, che
faceva parte della diocesi di Cagliari.
La chiesa, in stile romanico fu edificata nella
seconda metà del 1200, in pietra arenaria tufacea;
nel ‘500 si costruì il bellissimo portico (sa bovida) a tre
navate
sagrestia
e
la
casa
a
del
giorno,
nel
guardiano.
1700
La
furono
pianta
aggiunte
della
chiesa
la
è
rettangolare, composta di due navate affiancate, che hanno un
ingresso ciascuna; queste navate sono divise da archi che appoggiano
sui pilastri e riempite con le volte a botte.
L’edificio è circondato da un muro in pietra, e
consente l’accesso con tre aperture. Le porte e il
recinto
sono
stati
recentemente
ristrutturati.
Lo
spazio interno del recinto è stato abbellito con
sculture fatte in pietra da artisti locali e una discreta presenza di
verde.
Questa chiesa fu dedicata a San Gemiliano, secondo
vescovo di Cagliari, che in questo luogo, morì lapidato tra
il 65 e il 68 d.C. all’epoca di Nerone.
24
La gente, ovviamente, sente molto la festa, che ricorre in due
periodi dell’anno: l’ultima domenica di maggio, Santu Millaneddu, e
la più importante, la prima domenica di settembre con ben cinque
giorni di festeggiamento che va dal venerdì al martedì. Nella festa di
maggio si ricorda il periodo vero e proprio del martirio. La festa dura
tre giorni: dal venerdì, giorno in cui il Santo è accompagnato in
processione nei luoghi dove morì e dove si cantano is gocius; la
domenica giorno in cui fa ritorno in paese sempre in processione.
La festa di settembre è più lunga e ricca di cerimonie religiose,
spettacoli folcloristici e moderni, si degustano arrosti e vini tipici. La
peculiarità della festa era l’usanza di moltissime famiglie di trasferirsi
in alloggi situati nella zona interna al muro che circonda la chiesa,
chiamati “stalis”, realizzati con stuoie, frasche, canne. Probabilmente
quest’usanza fu introdotta dagli abitanti di Sussua, che trasferitisi a
Sestu, cercavano di ricreare il loro luogo di origine. Il periodo di festa
non è casuale: infatti, sono due periodi di raccolta, di abbondanza, di
allegria, grano e altri cereali.
A settembre -Cabid’anni-si pregava il Santo per buoni auspici per
il nuovo anno agricolo. Nel secolo scorso i sestesi, si recavano nel luogo
di culto a piedi o con le tracas, seguendo in processione il Santo dentro
il suo cocchio.
Vista la distanza tra la chiesa e il paese, la gente viveva, nei
giorni di festa, dentro is stalis (come già detto), chiusi con le stuoie
alla curiosità, ma aperti agli amici, ai conoscenti e così vivere insieme
una festa importante dal punto di vista sociale e religiosa.
All’interno di questi alloggiamenti si preparavano tutte le cibarie
più tradizionali: is malloreddus con la salciccia, salumi vari che
anticamente erano preparati a casa (avendo la materia prima a
disposizione il maiale), tutte le verdure fresche degli orti di Sestu. Fuori
da is stalis si prepara il fuoco per arrostire la carne di maialetto, di
polli, anatre, agnelli, anguille ecc.
Prima la chiesa di San Gemiliano possedeva un gregge, retaggio
di tempi ancora più lontani quando i frati Vittorini possedevano molti
animali e
terreni, gregge
che
era alimentato
dai paesani che
regalavano alla chiesa un agnello o una pecora che figliando
25
aumentava il gregge stesso. Anche il pastore che custodiva gli animali
traeva il suo sostentamento dai proventi del gregge.
Nel periodo della festa molti agnelli erano arrostiti per la
popolazione che si recava a venerare il Santo.
Ancora oggi i Sestesi
rinnovano anno dopo anno la devozione al loro San Gemiliano.
Partecipano alla processione che accompagna la statua sistemata nel
suo cocchio e la sua reliquia( parte del suo cranio) trainato da una
coppia di buoi infiorati, con i campanacci che che fanno un suono
caratteristico dovuto al movimento degli animali e che si amalgama a
tutta la musica che fa da contorno alla festa . Gruppi folcloristici, la
banda musicale, suonatori di launeddas, cavalieri in costume, gente
del paese e dei paesi vicini anima la processione con is gocius (dedicati
al Santo), preghiere e canti religiosi. Il Santo parte da Sestu, il venerdì,
che ancora il sole è alto nel cielo, si arriva alla chiesa che è ormai buio.
Candele e fiaccole illuminano il cammino, sa ramadura (petali
di fiori sparsi nella via) è d’obbligo all’ingresso delle
mura
che
contornano
lo
spazio
chiesa.
I
fuochi
d’artificio illuminano la soglia, dove il Santo passa per
raggiungere il suo posto all’interno della chiesa, il coro
intona is gocius che snocciolano tutta la vita e le opere di questo
martire così venerato.
La domenica la processione è fatta intorno alla chiesa stessa: gli
uomini portano in spalla la statua del Santo e le donne portano la
reliquia.
Segue
la
messa
con il
panegirico.
I festeggiamenti
continuano anche nei giorni successivi, ma le famiglie non dormono
più a San Gemiliano perché in macchina tornano a casa in paese, e
tornano tutti i giorni fino a quando riaccompagnano a Sestu in
processione, il Santo che fino a maggio sosta nella chiesa di San Giorgio
Martire in attesa che gli uomini ripetano i riti sempre con grande
devozione.
Anticamente ballavano al suono delle launeddas e
dell’organetto, cantavano mutettos, si chiacchierava, s’incontravano
amici che da tempo non si aveva l’occasione di vedere (dato la scarsità
dei mezzi di trasporto), si beveva il buon vino di Sestu.
insieme
ai
festeggiamenti
religiosi
ci
sono
quelli
Anche oggi
civili:
balli
tradizionali eseguiti dai gruppi folk, musica tradizionale e non che
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oggi come ieri diventa il sottofondo di tutta la festa, si aggiungono
svaghi più attuali si proiettano film, si ballano motivi in voga e a
seconda del presidente del comitato della festa possono esserci mostre di
pittura, dibattiti o altri avvenimenti culturali.
Il lunedì pomeriggio il Santo torna a Sestu in processione e il
martedì i festeggiamenti religiosi e civili si svolgono in paese.
FINE
(parte seconda)
Fonti consultate
HTTP://W.W.W.COMUNE.SESTU.CA.IT-HYTTP://W.W.W.COMUNE ASSEMINI.CA.IT
HTTP://W.W.W.COSAS PREZIOSAS.IT-HYTTP://W.W.W.FINESETTIMANA.IT
HTTP://W.W.W.FLICKR.COM-HYTTP://W.W.W.GENTEDISARDEGNA.IT
HTTP://W.W.W.GIUSEPPEMELIS.COM-HYTTP://W.W.W.HOSPITALITYSARDINIA.IT
HTTP://W.W.W.HOTELSCAUT.IT-HYTTP://W.W.W.LEBORSEDIPOPPY,COM
HTTP://W.W.W.REGIONE.SARDEGNAIT-HYTTP://W.W.W.SARDEGNA.COM
HTTP://W.W.W.SARDEGNADIGITALIBRARY.IT-HYTTP://W.W.W.TRIVAGO.IT
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Bibliografia e video
IL COSTUME DI ELMAS
COSTUME E GIOIELLI DELLA SARDEGNA-PAESE PER PAESEVOL.4
LA BIBLIOTECA DELL’IDENTITA’- L’UNIONE SARDA
WWW.sardi.it/sardegna/costu 1.htm
DVD : SU CONTU DE SU MASU film documentario sulla memoria storica di Elmas
A cura di Emmanuele Garau e Marco Lutzu
SELARGIUS
MATRIMONIO SELARGINO
YOU TUBE MATRIMONIO SELARGINO
VIDEO Sardinia.it (lo sposalizio in chiesa)
www.slideshare.net/salfra/folklore-e-identit-sarda (antico matrimonio selargino)
Sardinia-il blog(my Blog.it)
IL SARDO.IT
Sardiniapoint.it
Scuola.repubblica.it
ASSEMINI- UN PAESE RICCO DI TRADIZIONI
www.comune.assemini.ca.it
ASSEMINI.NET
www.assemini.net/cucina
Sa Panada
Sestu e la devozione al suo Santo
www.comune.sestu.ca.it
http://spazioinwind.libero.it/sestus2K/isantibn.htm
I SANTI SESTESI
DVD: SESTU FESTAS E TRADITZIONIS
Un documentario di Marco Lutzu e Andrea Lotta
Da un’idea della Associazione Culturale Musicale :Ennio Porrino di Elmas.
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