l`abbigliamento tradizionale degli abitanti di elmas
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l`abbigliamento tradizionale degli abitanti di elmas
1 L’ABBIGLIAMENTO TRADIZIONALE DEGLI ABITANTI DI ELMAS Nel passato ogni paese della Sardegna si distingueva dagli altri per la lingua, il costume e la gastronomia. L’identità di ogni popolo ha stretto legami con ciò che mangia e con ciò che indossa per ripararsi dalle intemperie o dal troppo sole e che lo identifica come abitante di un certo territorio. Il costume, inteso come abito, e la gastronomia sono i legami tra l’uomo la terra, gli animali e le piante che popolano i luoghi in cui lo stesso vive. Le materie prime abbondanti nei diversi territori hanno fatto si che le popolazioni fin dai tempi più antichi abbiano via via migliorato il loro tenore di vita, arrivando a ritenere importante non solo il mangiare, ma cosa mangiare, come migliorare il gusto delle pietanze con l’aggiunta di odori e spezie che si veniva a conoscere con i commerci e in seguito anche come presentarlo a tavola con stoviglie di ceramica (su strexu ‘e terra) sempre più raffinate. Anche il costume lega l’uomo ai suoi territori, infatti, in base alle materie prime disponibili si sono tessute le stoffe per preparare gli abiti. E se prima servivano solo per coprirsi, dopo diventano identificativi anche della posizione sociale che ogni membro del villaggio riveste. Tutto questo si tramanda da sempre di generazione in generazione, custodendo saperi e competenze per far sempre meglio, ma con uno sguardo alle tradizioni che mai dovrebbero essere dimenticate perché sono le nostre origini. Chi viene in Sardegna ha la possibilità di fare un viaggio straordinario nel tempo e di rendersi conto di tesori 2 inestimabili e meravigliosi non sempre conosciuti, a volte neanche dagli stessi sardi. È un viaggio alla scoperta dell’artigianato sardo, in particolare l’abbigliamento, costumi semplici ma allo stesso tempo ricchi di fantasia e di creatività. Ce ne sono un’infinità, l’uno diverso dall’altro. Nessun’altra regione dell’Italia ne ha un numero uguale. In Sardegna ogni paese difende i propri costumi con orgoglio, perché essi rappresentano la testimonianza vivente della cultura e dell’esprimere su stoffa ciò che il popolo sardo viveva; infatti, in passato ogni abito, evidenziava gli aspetti più importanti della vita: la semplice quotidianità, la sfarzosità delle feste, la compostezza e la sobrietà nei momenti di lutto. Naturalmente nessuno indossa più questi antichi costumi nelle città, ma ci sono molti centri nell’interno in cui è possibile ammirarli indosso a donne e ad anziani che vogliono continuare a mantenere vive queste tradizioni meravigliose. Ci sono almeno tre occasioni, in Sardegna, di vedere sfilare i costumi tradizionali delle otto provincie: il primo maggio a Cagliari, per la Sagra di Sant'Efisio; la terza domenica di maggio a Sassari, per la Cavalcata Sarda, e l'ultima domenica di agosto a Nuoro, in occasione della Sagra del Redentore. A parte queste eccezioni, però, il costume si può rindossare alla festa popolare paesana: ogni paese ne ha una propria, di solito quella dedicata al santo patrono. Queste feste sono moltissime e si svolgono per lo più in estate, perché per un popolo così povero che viveva di agricoltura e pastorizia non c’era periodo migliore per festeggiare del periodo del raccolto. Un altro periodo di festa era il mese di settembre, l’inizio dell’anno agrario, durante il quale i contadini affidavano ai campi le speranze per un futuro di benessere. In questo giorno, molti indossano i costumi tradizionali per andare in chiesa, partecipare alle processioni religiose o ritrovarsi in piazza per dare vita ai balli. A Elmas sono conservati alcuni abiti tradizionali femminili della seconda metà dell’ottocento, mentre dell’abbigliamento maschile si conservano pochi indumenti, tra i quali alcuni gilet. L’uso dell’abito femminile tradizionale, anche se con alcune varianti dettate dalle mode del periodo, fu usato fino al 1920 circa. I tessuti e la foggia della gonna erano comuni alla gran parte dei paesi 3 del circondario di Cagliari: Assemini, Sestu, Monserrato, Pirri. Dal ’20 in poi si andò via via utilizzando l’abito alla moda continentale chiamata “bistiri de sennora” o “a sa moda”. I due gruppi folk Sa Nassa e Su Masu formatisi entrambi intorno ai primi anni ’70, prendono il nome uno da uno strumento usato nella laguna per pescare Sa Nassa, l’altro dal nome dalla villa d’origine fenicia Del Mas, in sardo Su Masu. I gruppi indossano principalmente abiti festivi riprodotti, mentre alcuni originali sono indossati solo nelle occasioni importanti. I costumi erano confezionati in famiglia. Infatti, quando le ragazze raggiungevano l’età dello sviluppo, si preparava is arrobas, cioè tutto ciò che doveva riempire la casa che il marito preparava prima del matrimonio: su strexu de terra, (scodelle, pentole, casseruole, vasi, broche ecc;) su strexu de fenu (corbule, cestini, setacci, ceste, pale da forno, cucchiai di legno ecc.) Sa mobilia (di cui facevano parte tutti i mobili della casa) sa biacheria de lettu, de coxina e su bistuari. Della biancheria personale faceva parte anche il costume e quanto più si era ricchi o benestanti, tanto più erano preziose le stoffe usate che potevano essere differenti, ma si doveva seguire sempre dei canoni ben precisi. Così anche Elmas ha costumi diversi tra loro pur essendo dello stesso paese. Il costume più antico ritrovato in paese appartiene a una signora nata nel 1840 (passato poi di generazione in generazione per centocinquant’anni.) L’ABBIGLIAMENTO FEMMINILE L’ABITO FESTIVO L’abito è di fine ottocento, indossato anche in occasione del matrimonio. La testa è coperta da un fazzoletto di forma triangolare, marrone in cotone stampato – su trubanti – che serve a raccogliere i capelli e si annoda dietro la nuca. Su muncadori (il fazzoletto) è beige in seta operata, di forma quadrata. S’indossa piegato a triangolo e annodato sotto il mento. 4 Su sciallu (lo scialle) è di colore viola e argento in seta operata a motivi floreali, di forma quadrata e con frange lungo i bordi. S’indossa piegato a triangolo, con i lembi liberi e fermati ai fazzoletti con spilloni. Sa camisa (la camicia) è bianca in cotone, con scollo, giromanica e polsini ricamati a puntu vanu o sprighita. Lo scollo e i polsini potevano essere arricchiti con pizzo realizzato a sfilato, sa camisa a prefalliu. Era chiamata anche camisa bona o arranda manna. Su spensu (il giacchino) è nero e fucsia in lana e seta operata a motivi floreali, pieghettato e sagomato, termina a punta sul davanti. Ha le maniche attillate con uno sbuffo a palloncino all’altezza del gomito, sa bocia (la palla). Lo sbuffo è ricoperto da volant circolari, prefallius, impreziositi da passamaneria in seta operata a motivi floreali policromi, fetas pintadas. le maniche sono realizzate con pieghe sovrapposte, a foll’’e stoia. Sa gunnedda (la gonna) è di colore rosso e blu in cotone pesante, abordau, interamente plissettata eccetto il pannello frontale coperto dal grembiule. La plissettatura è realizzata in modo da lasciare a vista la riga rossa. E ‘ rifinita in vita con nastro verde in broccato. Su deventabi (il grembiule) è marrone in seta operata, bordato con pizzo giallo. Is butineddus (gli stivaletti) neri in pelle, con il tacco. Essendo un abito senza tasche si poteva applicare sa busciaca di asuta. Tasca marrone in seta operata, di forma rettangolare e bordata con passamaneria in seta operata a fiori. Ha un’apertura centrale arricchita da un cuore in seta applicato, si nasconde sotto il grembiule. 5 IS PRENDAS GIOIELLI E ACCESSORI Sono oggetti in oro, argento, filigrana finissima che, nelle forme rotonde o allungate, contengono spesso sottintesi di tipo sessuale. Così avviene ad esempio, per i bottoni di forma mammellare, per i campanellini, per i pendenti. Le tecniche di realizzazione sono arcaiche e si ricollegano al sottile significato magico di antichi rituali che richiamano la vita, la fertilità e l'amore. La grande varietà di monili, medaglioni, anelli, spille, braccialetti e collane, attribuisce alle donne fascino maggiore. Gli orecchini, arrecadas a palia, di fine Ottocento. In oro e perle scaramazze. Composti di tre elementi: quello superiore a forma di fiore, quello centrale a forma di fiocco e quello inferiore tripartito sempre a forma di fiore. Spille d’oro, agullas di oru di fine Ottocento. A forma di margherita. Catena, ghetau, di fine Ottocento. In oro con maglie di diversa forma e spessore, utilizzata anche per appendere il ventaglio. Alla catena è fissato un pendente, su dominu. Collana, cannaca, di fine Ottocento. In oro lavorato a croxiu de nuxedda. Costituita solitamente da dodici vaghi, pibionis. Esistono anche esemplari formati da trenta e più pibionis di diverse dimensioni. Pendente, lasu, di fine Ottocento. In oro laminato composto di tre elementi: quello superiore a forma di fiocco, con pietra incastonata color ambra al centro, quello centrale con pietra incastonata viola e quello inferiore con cammeo raffigurante un profilo femminile, con tre pendenti. Anelli, aneddus, in oro fine Ottocento 6 ABBIGLIAMENTO MASCHILE ABITO FESTIVO L’abito è di fine Ottocento e anche per l’uomo la ricchezza si rifletteva nell’uso di stoffe più o meno pregiate. La testa era coperta de sa berrita, di panno nero, a forma tubolare e con bordi arrotondati, lunga circa un metro. S’indossa ripiegata su se stessa sul davanti, ed è fermata da un fazzoletto marrone in cotone operato che cinge la fronte e si annoda dietro il capo. Sa camisa- (la camicia bianca di cotone), ha i ricami nel collo, nel giromanica e nei polsini, arricchiti anche da pizzo. E’ chiusa al collo con due bottoni d’oro in filigrana. Su cropetu (il gilet), è viola in broccatello a fiorami policromi, chiuso da bottoni in filigrana d’oro. Poteva essere in velluto, chiuso da bottoni più semplici, ma il più diffuso era in seta o velluto operato a motivi floreali. Su serenicu (il cappotto corto), è nero in panno, con cappuccio. Bordato con velluto rosso che riveste anche parte delle maniche e delle tasche laterali, è arricchito da applicazioni di cordoncini, tulle e nappine nere, sul davanti è cucita una catena in argento e granati; sui fermagli a forma di cuore sono rappresentati due amorini. Is mudandas- (i calzoni) sono bianchi in tela di cotone, lunghi fino a metà polpaccio. S’indossano infilati nelle ghette. Is cratzonis de arroda- (il gonnellino), è nero in orbace, lungo a metà coscia. Una sottile striscia di tessuto unisce la parte anteriore e posteriore del gonnellino, passando sotto il cavallo dei pantaloni. Is cratzas (le ghette) sono nere in panno, coprono il polpaccio e terminano arrotondate, nascondendo parte delle scarpe. 7 IS PRENDAS GIOIELLI ED ACCESSORI Sa carrighera (la cintura) è di cuoio marrone, rivestita di velluto verde e rifinita di passamaneria dorata. Ha un’applicazione di su broccatello bianco. Nell’abbigliamento maschile non mancava muncadori generalmente rosso con disegni, era tenuto alla cintura. SAGRE ENOGASTRONOMICHE TIPICHE DEL CIRCONDARIO DI CAGLIARI. SA COIA ANTIGA LO Ogni anno, a SPOSALIZIO partire dal SELARGINO 1962, a Selargius si rivive un antichissimo rito Nuziale che per la sua bellezza e la sua particolarità riesce a coinvolgere non solo l'intera popolazione del paese, ma attira l'interesse di tutta la Sardegna. La seconda domenica di settembre le strade del centro di Selargius, matrimonio si affollano per campidanese. assistere all’antica L’ottocentesco rito cerimonia nuziale del selargino, decaduto da più di un secolo, tornò in auge grazie a un commerciante di pellami, Efisio Salis che ebbe la felice intuizione di proporre la riedizione, in chiave di spettacolo dell’antica cerimonia, nell’autunno del 1962. I riti cominciano ufficialmente il giorno precedente, con la tradizionale visita dei familiari dello sposo alla casa della sposa per 8 ammirare il corredo che poi sarà trasportato nella casa degli sposi, dove le due madri preparano il letto nuziale. E’ di domenica mattina che fervono gli ultimi preparativi precedenti alla funzione religiosa con il rito della vestizione. Gli sposi indossano i ricchi abiti di broccato e veli di pizzo lavorati a mano della tradizione selargina e sono parte importante del costume gli immancabili ori e gioielli della tradizione: is prendas. Un gioiello di grande pregio che appare nel costume femminile è su lasu (forse il laccio perché legato al collo). Ha la forma di un fiocco a farfalla e una cadenza graduale a tre elementi, che dal collo giungono a coprire l’ampia scollatura della camicia impreziosita di ricami. Gli artigiani locali, particolarmente creativi, hanno prodotto meravigliosi pezzi tutti diversi tra loro e di una leggerezza e perfezione di stile straordinario. La sposa indossa is arrecadas a palia, i grandi orecchini quadrangolari che riproducono lo stesso disegno arabesco di su lasu. Occupa un posto tutto suo l’anello selargino: la preferenza delle donne per questo gioiello, ha fatto sì che si conservasse a Selargius un modello antichissimo, dove le tecniche di forgiatura della filigrana parrebbero del tutto originali, e non mancano nemmeno le bellissime spille in filigrana d’oro con pietra granata. Per quanto riguarda il costume maschile, un elemento importante è: Su Graucheri, ovvero la catena d’argento che tiene unito il mantello ai classici bottoni in filigrana d’oro a doppia calotta e pietra granata, cuciti sul collo della camicia. E’ sui polsini di quest’ultima che invece troviamo i gemelli, anch’essi in filigrana d’oro e impreziositi da pietra granata, mentre il corsetto è chiuso con dei bottoni in filigrana d’argento. Tutti questi bottoni sono ritenuti un simbolo di prosperità, poiché riproducono in maniera stilizzata il seno femminile. L’ultimo gioiello che l’uomo porta con sé è l’orologio con catena d’argento.E’ inevitabile che dinanzi all’abbondanza di gioielli della sua sposa, l’uomo risulterà senz’altro meno appariscente. 9 La tradizione racconta che, una volta, quando si celebrava il fidanzamento ufficiale, i genitori dello sposo regalavano alla sposa is prendas, vero e proprio corredo di gioielli, considerati evidentemente indispensabili per il costume e motivo di orgoglio nelle solennità religiose e civili. Una volta indossati abiti e gioielli dopo un lungo preparativo, gli sposi ricevono nelle rispettive dimore, la benedizione da parte delle proprie madri. Sarà lo sposo a riceverla per prima dinanzi ai propri parenti, alle personalità più importanti del paese, cioè il Sindaco e il consiglio comunale in vesti ufficiali, e sarà la mamma a impartirla. Questa é la benedizione originale in lingua campidanese, recitata da Leonzia Pibiri al figlio Efisio Secci: S’aratzia e sa benedizioni de sa mamma “In nomini de su Babbu, de su Fillu e de su Spiridu Santu A Tui, Fillu amau e caru, deu ghettu cust’ aratzia. Impari a Babbu tù, ringratziaus a Deus e a nosta Sennora, de s’essiri fattu custa grandu grazia. Grazia, de t’hai donau sa vida, de tessir’ imparau s’educatzioni e su rispettu, po chini t’ha connottu e t’ha donau tant’affettu. T’eus cresciu onestu, bellu e traballanti, e auguraus a Tui e a sa Sposa Tua poi is fillus chi ant’arribai, chi fatzais attrettanti. Sa domu, e sa famiglia, chi t’ha biu pippiu, piccioccheddu e bagadiu, Tui òi dà lassasa, po andai un’atra an di formai cun sa Sposa Tua istimada. Caru Fillu, custu coru de mamma milli augurius immoi t’iada bolli donai, Esti stettiu bellu candu t’happu sanziàu in su barzòlu, ma medas bortas, tappu puru strattallàu. 10 Una mamma, pònidi a su mundu unu fillu, d’anninnìada, ddu curada, ddu crescidi e ddu proteggidi, in su mentris su tempus ci passada e arriba s’ora cumenti po Tui òi, de ti lassai andai, po sa strada tua. Ma in tottu custa bella storia una cosa sola gei Ti dda potzu assicurai. Po cantu appa bivi “Fillu miu” s’affettu miu po Tui, non ada tenni fini mai. Tengu meda cuntentesa e cummotzioni e cun manu tremanti , in nomini de Deus Ti ongu benedizioni E T’affidu a sa Mamma divina cun fervori Chi Ti ònghidi, bundadi, saludi, e tantu e tantu amori. In nomini de su Babbu, de su Fillu e de su Spiridu Santu. Amen e aìcci siàda”. Benedizione della Mamma (Traduzione dal sardo, all’italiano) “In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito, A Te, Figlio amato e caro, t’impartisco questa benedizione. Insieme a tuo Padre, ringraziamo Dio e nostra Signora, di averci fatto questa grande grazia. Grazia di averti donato la vita, di averti insegnato l’educazione e il rispetto, e per chi ti ha conosciuto e ti ha dato tanto affetto. Ti abbiamo cresciuto onesto, bello e lavoratore, e auguriamo a Te e alla tua Sposa, che per i figli che verranno facciate altrettanto. La casa, la famiglia, che ti ha visto bambino, ragazzino e giovanotto, tu oggi la lasci, per andare a formarne un’altra, con la Tua Sposa amata. 11 Caro Figlio, questo cuore di mamma, mille auguri adesso ti fa, mille raccomandazioni ti vorrebbe fare. E’ stato bello quando nella culla ti ho dondolato, ma molte volte, ti ho pure sgridato. Una Mamma, mette al mondo un figlio, lo coccola, lo cura, lo cresce e lo protegge, nel mentre il tempo passa, e arriva l’ora come per Te oggi, di lasciarti andare, per la tua strada. Ma in tutta questa bella storia, una sola cosa ti posso assicurare, Per quanto vivrò “Figlio mio”, il mio affetto per Te, non avrà mai fine. Ho tanta contentezza e commozione E con mano tremante, in nome di Dio Ti do la benedizione e Ti affido alla Madre divina con fervore, che Ti dia bontà, salute e tanto e tanto amore. In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen e così sia.” Dopo questi primi momenti di commozione inizia l’interminabile corteo che tra il calore della folla attraversa le principali vie del paese. Con copiose manciate di sale, oltre che con una pioggia di grano, i selargini cospargono il corteo diretto verso la chiesa dove sarà celebrato il rito. La folla che fa ala durante il percorso, benedice appunto gli sposi col sale e col grano, e prodigandosi così sul loro cammino, acquistano il valore di un auspicio di prosperità e gioia. Ai due giovani, che si apprestano a saldare con un legame indissolubile il proprio destino, è rivolto l’augurio che questa loro unione duri. 12 "ad medas annos cun saludi e cun trigu" Ossia Per molti anni con salute e con grano Il corteo è preceduto dai carabinieri in alta uniforme, dopodiché procedono i suonatori di launeddas, (tipico strumento a fiato, a tre canne di antichissime origini). Aprono il corteo donne in costume che sostengono sul capo dei cestini contenenti i doni offerti alla giovane coppia per il banchetto nuziale: il pane lavorato in varie forme, i dolci fantasiosi tra i quali spiccano le due monumentali torte nuziali di “gatou” (dolce di mandorla.) Sarà la volta della sposa accompagnata dal padre, così come lo sposo alle sue spalle. Le madri non accompagnano gli sposi. Al seguito non possono mancare tutti i parenti e quelli più stretti indossano il costume tradizionale della festa. E’ la volta de is traccas, i carri trainati dai buoi, ornati di fiori e le cui corna sono intrecciate con nastri leggiadri e pendagli. Singolare la traslazione del letto nuziale in ferro battuto e legno antico, abbellito con una bellissima coperta di pizzo bianco lavorato a mano. La sfilata prosegue con il carro degli arnesi da cucina, come teglie e stoviglie di rame. Un altro carro trasporta panche, sgabelli e cassettoni che racchiudono gli abiti della sposa. Durante la sfilata si ha inoltre modo di ammirare la fantasia cromatica dei costumi. Per questo evento sfilano, infatti, i costumi di tutta la Sardegna: i costumi del Capo di sopra, ricchi di variazioni spagnolesche e di una ricchezza contadina, i costumi della Barbagia di Nuoro, dai toni di rosso, azzurro e giallo, in pure combinazioni, dove il colore è usato quasi a sottolineare il carattere arcaico della civiltà dei pastori. I gruppi che sfilano a questa splendida parata sono ben 45. Quindi tutta la Sardegna è coinvolta in quest’unica esperienza di folklore, soprattutto partecipa alla felicità della cerimonia nuziale. 13 ma Gli sposi continuano a essere guidati dal proprio padre per tutto il corteo fino a congiungersi dinanzi all’altare. Ha quindi inizio la funzione religiosa che è celebrata interamente in lingua campidanese. Al termine della Messa lo sposo infila al mignolo della mano sinistra l’anello di una catena d’argento con la quale cinge la vita della sposa, e così legati rimarranno sino all’ingresso nella nuova casa. Alla fine del rito nuziale si ha uno dei momenti più suggestivi del matrimonio: Sa Promissa. Infatti, gli sposi firmeranno ognuno su di una pergamena la loro promessa d’amore. Le parole però saranno scritte da loro il giorno precedente e saranno ufficializzate la Domenica alla presenza del sacerdote celebrante, dopo aver letto loro gli articoli 143,144,147 della legge civile italiana. La pergamena una volta firmata sarà chiusa in una teca sigillata con la cera lacca e sarà poi conservata nella Chiesa di San Giuliano, poco distante dalla Chiesa patronale. Questo rito magnifico è risalente al XVII secolo e grazie a Efisio Salis è tornato di nuovo a vivere. Dopo tutta la commozione, il rinnovarsi di una tradizione, la dimostrazione di affetto nell’augurare ogni bene e felicità agli sposi, bisogna soddisfare la gola……tutti al banchetto nunziale! Un lussuoso pranzo alla campidanese: antipasti misti di salumi con olive, malloreddus con salsiccia, ravioli di ricotta, porchetti e agnelli arrosto e tanta tanta verdura fresca. I dolci sono tanti e fatti in casa: amaretti, ciambelle, pistocheddu, pabassinus, pirichitus, biacheddus, pistocus po su cafè, sa truta de gatou a forma di casa o di castello o di altre forme. Un tempo anche i liquori si facevano a casa e si accompagnava ciascuno a un particolare dolce. 14 ASSEMINI UN PAESE RICCO DI TRADIZIONI Le tradizioni e il folklore di un paese sono importanti per conoscere meglio gli abitanti. La popolazione è gelosa custode di alcune festività tradizionali di carattere religioso che si ripetono annualmente a cura di appositi comitati. I Santi venerati dagli asseminesi sono Pietro e Paolo, patroni del paese, San Giovanni Battista, Santa Lucia e viene anche festeggiata la B.V. del Carmine. Una tradizione che continua da secoli è la festa di Sant'Andrea, la cui chiesetta è posta ai limiti del bivio principale per Assemini, a pochi metri dall'iglesiente. La chiesa diroccata e corrosa dal tempo sino a poco tempo fa, in seguito alle vibrate proteste dei cittadini, che hanno costretto le autorità a risanarla, è stata restituita al culto dei fedeli. Sant'Andrea è il protettore dei pescatori. La particolare devozione degli asseminesi nei confronti del Santo è strettamente legata al tipo di economia basata sulla pesca che è stata esercitata per secoli dalla popolazione del luogo. Durante la festa si svolge la sagra del pesce che è arrostito e distribuito insieme a buon vino. Da alcuni anni è stata ripristinata la festa di San Cristoforo per iniziativa di un gruppo di camionisti molto devoti al loro santo protettore. Le tradizioni religiose rimarcano sotto certo aspetti la realtà socio-economica della popolazione. Una o due settimane prima della festa di Sant’Andrea si svolge una manifestazione chiamata PANADARTE. Durante questa sagra un gruppo di signore insegna a chi volesse imparare come si prepara, “sa panada”. Questo piatto tipico di Assemini altro non è che un contenitore di pane che contiene o carne o pesce condito 15 con aglio, prezzemolo, pomodoro secco, il tutto tritato, un filo d’olio extravergine di oliva e sale q.b. e che cuoce nel forno. LA RICETTA -(Dosi per 4 persone)Per la pasta : farina 300gr. Oppure 150 gr. di farina e 150gr. di semola fina 20gr di strutto di maiale Acqua tiepida salata Ripieno d’anguille : 400 gr. d’anguille tagliate a pezzetti Patate e piselli a piacere Sale, pepe, pomodori secchi, prezzemolo, aglio. 2 cucchiai di olio d’oliva Ripieno di carne : 300gr. di carne di manzo, maiale o agnello tagliata a pezzetti Patate, carciofi o piselli a piacere Sale, pepe, pomodori secchi, prezzemolo, aglio. 2 cucchiai di olio d’oliva Preparazione S’inizia a preparare una sfoglia non troppo sottile, impastando la farina con acqua tiepida salata e lo strutto di maiale (oppure metà farina e metà semola per ottenere una pasta più croccante). La pasta così ottenuta si lavora a lungo e infine si tira una sfoglia circolare.Si deve mettere da parte un po’ di pasta lavorata (circa un pugno) che servirà per il coperchio. La sfoglia circolare si 16 dispone su una terrina per aiutarsi a dare la forma di “pentola”. A questo punto si può iniziare a sistemare il ripieno che deve essere messo tutto a crudo. Per “sa panada” di anguille: mettere le anguille tagliate a pezzi e i piselli alternando con strati di aromi, pomodori secchi (abbondanti), sale, pepe, prezzemolo, aglio secondo il gusto. Per “sa panada” di carne: mettere la carne di manzo, maiale o agnello tagliata a pezzi alternando con strati di aromi, come già descritto, piselli, patate, carciofi o melanzane, sempre secondo il gusto. Dopo aver disposto buona parte del ripieno, si devono sollevare piano piano i bordi della pasta, seguendo la forma “a pentola” e lasciando qualche centimetro di bordo. A questo punto prima di mettere il coperchio, si devono aggiungere alcuni cucchiai di olio d’oliva. Se ci si dimentica, l’olio si può aggiungere durante la cottura facendo un buco nel tappo che sarà richiuso con un po’ di pasta fresca. Per chiudere “sa panada” si utilizza la pasta messa da parte, dalla quale si ricava una sfoglia circolare. Il coperchio così ottenuto, è posato su una “pentola” ed è pizzicato ripetutamente per saldarlo alla stessa. Quest’operazione è molto importante perché la tenuta deve essere perfetta e quindi la giuntura deve essere fatta con molta attenzione e con forte pressione delle dita. S’inforna a temperatura media e si fa cuocere per 3/4d’ora (per le anguille) o 1ora (per la carne). Accorgimenti: se il forno fosse troppo caldo e la pasta diventasse ben dorata prima di aver raggiunto il punto di cottura, basta proteggere la parte superiore con un foglio di carta stagnola e continuare la cottura per il tempo ancora necessario. Si può controllare empiricamente la cottura scuotendo leggermente”sa panada” se il contenuto si muove, significa che è ben cotta. Servire tiepida accompagnandola con vini adeguati. Si consigliano vino rosato per quella di anguille, vino rosso per quella di carne. Il movimento turistico non manca soprattutto durante il cosiddetto "luglio asseminese" che prevede una serie di manifestazioni. Assemini è considerato "paese di antica tradizione della ceramica. I primi reperti, venuti alla luce nella zona di Sant'Andrea, testimoniano che questo tipo di pratica dominazione punica artigianale della risale Sardegna. 17 I al reperti periodo di della maggiore importanza e in numero più consistente possono essere datati tra la fine del V e l'inizio del III secolo a.C. È molto probabile che la cospicua produzione di ceramiche (prevalentemente casseruole, scodelle, tegami e brocche e manufatti ornamentali) avvenisse in particolari cortili detti (in sardo) "strexiaius" (strexius è un plurale che significa appunto stoviglie) in cui si trovavano pozzi per l'estrazione dell'argilla alcalina di cui il territorio è particolarmente ricco, vasche per la decantazione e la levigazione, il tornio, tettoie per essiccare i manufatti e forni a legna in mattoni crudi di forma cilindrica (probabilmente di derivazione orientale). Durante il Medioevo corporazioni apposite, dette Gremii, disciplinarono le attività creative e commerciali degli strexiaius con statuti e regolamenti, onde imporre l'obbligo di non variare le forme e di non modificare i canoni fissati. Con l'avvento della dominazione spagnola che durò sino al XVIII secolo, gli strexiaius furono compresi negli ampi cortili delle case campidanesi di cui ancora oggi, rimangono ben conservate numerose testimonianze. La tradizione della ceramica, così profondamente radicata nel territorio e negli asseminesi, trova la sua espressione anche nello stemma comunale che rappresenta, tra l'altro, un'antica brocca. Attualmente ad Assemini si producono stoviglie ornamentali, arricchite di motivi naturalistici (spesso ispirati a modelli molto antichi) o geometrici, in rilievo o a graffito. La destinazione d'uso di questi prodotti artistici è diversa perché una parte di questi, per quanto raffinati, è destinata all'uso quotidiano (soprattutto stoviglie). Sebbene la foggia delle opere sia molto varia a seconda degli artisti, è possibile riscontrare nell'intera produzione numerosi elementi in comune che coinvolgono tanto i motivi decorativi quanto le tecniche di realizzazione: ciò conferisce alla produzione di ceramiche artistiche asseminesi uniformità e originalità in rapporto ad altre tradizioni, rendendola unica per i suoi tratti distintivi. 18 Nel 1995 l'amministrazione comunale ha dato vita alla Mostra mercato permanente della Ceramica Asseminese presso il "Centro Pilota per la Ceramica", uno spazio espositivo di circa 500 metri quadrati, nel quale possono essere ammirate molte opere dei più importanti ceramisti asseminesi. Sempre in luglio, nell'ultima decade durante i festeggiamenti di San Cristoforo, ha luogo il "Matrimonio Asseminese", manifestazione in cui si celebrano matrimoni secondo i costumi locali e con la rievocazione di riti secolari, durante i quali i partecipanti indossano i costumi sardi tipici asseminesi e tutto il rito si svolge interamente in lingua sarda. La celebrazione del matrimonio sardo tipico asseminese che prevede l'incatenamento degli sposi. La cerimonia non è una finta teatrale, bensì un vero rito religioso perché gli sposi sono scelti fra coloro che intendono seriamente unirsi in matrimonio. Lo sposo in costume secondo l'usanza, appresa mediante il misterioso ritrovamento di un manoscritto poi altrettanto misteriosamente sparito, si reca a casa della promessa sposa, da dove si dirige in testa al corteo verso la chiesa. Il sacerdote procede alla celebrazione dell'antico rito, in un'atmosfera gaia riservata per le grandi occasioni. Nella sagrestia, dietro l'altare, un coro accompagna con canti religiosi in sardo le varie fasi della cerimonia. Dopo il rito religioso, gli sposi sono incatenati ai polsi con una catena dorata, simbolo della perennità del vincolo nuziale. Al termine della cerimonia i testimoni accompagnano gli sposi a casa dei genitori della novella sposa, dove la madre benedice la coppia con l'acqua e il grano. Sul selciato in concomitanza con l'arrivo degli sposi è lanciato il tradizionale piatto colmo di grano, fiori, ecc., come auspicio di fertilità. Il matrimonio asseminese, così com’è stato concepito, si 19 ricollega con la società agro-pastorale e pre-cristiana, alla quale è stata data una colorazione religiosa, secondo lo stile ecclesiastico usato nei periodi relativi al passaggio dal paganesimo al cristianesimo. Domenica tra il 13 e il 15 giugno (Sant'Isidoro) si tiene la Sagra della Mietitura. Nelle campagne del paese si può seguire la raccolta del grano come si faceva un tempo. I contadini tagliavano le spighe facendo i covoni che erano radunati nel campo fino all’arrivo dei carri che li portavano nelle diverse case dove il grano si batteva per essere separato dalla paglia e ripulito dalla pula e quindi preparato per la macinatura. Domenica tra il 23 e il 25 giugno (San Giovanni) si tiene la Sagra della Pecora. In ricordo di un’economia agro-pastorale la pecora si cucina come si faceva nei gioni della tosatura negli ovili. La gente si affolla per ricevere la carne con le patate e cipolle bollite. Assemini è un grosso centro molto vicino al capoluogo ma che ha saputo mantenere e riportare all’interesse di tutti molte tradizioni che si erano perse o erano nel ricordo dei cittadini più anziani. SESTU e LA DEVOZIONE AL SUO SANTO Sestu deriva dal latino “ ad sextum lapidem” che significa “ alla sesta pietra miliare” per indicare la distanza da Cagliari che è appunto di sei miglia; questo lo dimostra anche il ritrovamento della pietra miliare romana dell’imperatore Lucio Settimio Severo nella chiesa di San Giorgio. Non si sono certi se la parte di strada proseguisse per Monastir fino a Portotorres, oppure per Ussana e quindi per Olbia. Probabilmente il primo tratto di questa strada, fino al sesto miglio, era in comune. La pietra miliare è nota come “sa perda mulla”. 20 L'abitato di Sestu, si è sviluppato, con pianta sparsa, attorno a varie strade provinciali. Il Rio Cannas lo attraversa dividendolo in due parti: Part’ e Susu e Part’e Jossu. Nasce come modesto aggregato di capanne raggruppate nell’ansa di questo torrente nel 2000 a. C. circa e si sviluppa progressivamente a raggiera attorno al primo nucleo fino a raggiungere l’estensione attuale di circa 200 ettari. Fino al 1800 non abbiamo dati sulla sua configurazione e sulle dimensioni reali, ma da vari documenti d’archivio possiamo dedurre che negli ultimi secoli e fino alla seconda guerra mondiale praticamente è rimasto statico essendo stato assai modesto il suo accrescimento. Il Comune di Sestu si trova in una posizione geo-economica di grande importanza essendo collegato strettamente al Capoluogo sia sul piano geografico che su quello economico. La caratteristica geologica del suo territorio ne ha sempre condizionata l'economia basata in preponderanza sull'agricoltura. Il territorio, esclusivamente pianeggiante, argilloso e ricco di humus, ha sempre consentito la coltivazione dei cereali, degli ortaggi e della vite, affiancata da un modesto allevamento zootecnico. L’abitato, con la sua forma di poligono irregolare, nel nucleo più antico è caratterizzato da strade irregolari, strette e tortuose, oggi asfaltate e dotate d’idonee strutture per lo scolo delle acque, ma una volta sconnesse ed emananti mefitici effluvi dovuti ai pantani che si formavano sul loro fondo in terra battuta, e a cui si aggiungevano le esalazioni provenienti dai letamai esistenti nei cortili delle case. Solo dopo il 1850 si diede una sistemazione alle strade facendo il selciato. Notizie sull’abitato, approssimative ma di rilievo, le abbiamo solamente dagli inizi del XIX secolo. Fino a qualche decennio fa ha avuto un’estensione modesta, circa 40 ettari intorno agli anni 20-30, poi, nell’ultimo trentennio, con l’esplosione demografica, ha avuto una rapida e convulsa crescita dovuta alle massicce immigrazioni, tuttora in atto. La mancanza di un piano conservativo e di recupero, la carenza di aree edificali e gli alti costi di quelle disponibili, ha indotto tanti a demolire la vecchia casa e a 21 riedificare sullo stesso suolo, ma con una tipologia moderna e variegata. Così, piano piano, si è snaturato il vecchio centro storico, che in assenza di norme per la sua salvaguardia è destinato a scomparire. Oggi assistiamo alla compresenza nell’abitato di paesaggi urbani differenti e spesso contrastanti tra loro, da quello dell’antico villaggio a quello della città moderna. La cerealicoltura L'attività cerealicola sestese risale a tempi remoti, come testimoniano anche le tracce dei modesti ma significativi insediamenti umani, sparsi in tutto l'agro, alcuni preistorici, altri risalenti al periodo dell'occupazione romana, sorti questi per l'appoggio all'attività agricola. La cerealicoltura sestese è confermata nei secoli successivi da documenti d'archivio, quale la statistica pisana del 1322 e altri documenti ecclesiastici dello stesso secolo. Sestu paga tributi al Comune toscano in grano e orzo, ma questi non sono gli unici prodotti seminati, perché si coltivano anche fave, ceci, cicerchie, lenticchie. Significativi sono i raccolti degli anni 1843 e 1844. La superficie di terreno destinata al seminerio è di 2.500 starelli, mentre altrettanta se ne lascia ogni anno a riposo. L'orticoltura Rinomata in tutta l'Isola. Gli ortaggi prodotti a Sestu, freschi e gustosi, sono stati sempre apprezzati in tutti i mercati. Impareggiabili maestri sono i Sestesi in quest’attività, documentata fin dal XIV secolo in atti ecclesiastici, favorita dalla presenza dell'acqua a profondità limitata. Ciò ha permesso lo scavo di pozzi dotati, nel passato, di ruote azionate da animali, che attingevano l'acqua necessaria a irrigare le colture. Oggi gran parte della produzione proviene da piccole aziende a conduzione familiare ed è assorbita dal mercato ortofrutticolo di Cagliari. La chiusura negli ultimi anni di piccole fabbriche locali ha incrementato il numero degli addetti a quest’attività. 22 La viticoltura La natura argillosa del terreno ha favorito a Sestu lo sviluppo della viticoltura, altra voce importante dell'economia sestese sia per l'estensione che per la qualità dei vini prodotti. Dice a proposito l'Angius che si coltivavano uve bianche e rosse, da tavola e da vino, come nel resto del Campidano, le viti hanno una buona esposizione, il terreno a disposizione è adatto a tale coltivazione, se le viti sono ben curate, si ottiene una grande quantità di mosto. Fino a qualche tempo fa una piccola parte del mosto era cotta per fare la “sapa” per preparare i dolci. Già rilevante nel XVI secolo, come si apprende dagli atti notarili dell'epoca, si ha via via un aumento della superficie coltivata a vite, tanto che agli inizi del 900 si raggiunge una produzione tanto elevata da superare la maggior parte dei paesi del campidano. Anche in questo settore la proprietà è molto frazionata e la coltivazione è fatta prevalentemente dagli stessi proprietari, nel tempo libero, essendo per lo più occupati in altre attività economiche. Oggi la superficie coltivata è diminuita. L'allevamento Se pur molto più modesto l'apporto economico rispetto all'agricoltura, non è mancato nel passato, e non manca attualmente, l'allevamento del bestiame. E' prevalso sempre l'allevamento di pecore, perché più adatto a sfruttare i resti dopo la mietitura del grano e i maggesi disponibili a Sestu. Numericamente il bestiame come buoi e cavalli sono stati in numero sempre minore, in prevalenza era bestiame da lavoro e da tiro, animali costosi e preziosi oramai scomparsi. Nelle case erano allevati gli animali da cortile e maiali per il fabbisogno domestico. Si praticava anche la caccia e c’era un buon commercio di pelli di lepri e conigli. Altre attività La presenza abbondante di argilla nel territorio di Sestu ha favorito nel passato lo sviluppo della fabbricazione di tegole e laterizi, raggiungendo livelli eccellenti, anche se non da primato come 23 nell'orticoltura. Così troviamo nei documenti dei secoli scorsi citati vasai, tegolai e fabbricanti di mattoni. Numerose erano le cave di argilla e diversi i forni per la cottura, attivi a Sestu. SAN GEMILIANO In ogni paese c’e’ un luogo, un monumento nel quale i cittadini identificano le proprie tradizioni, la propria religione e la propria memoria storica ciò per i sestesi è rappresentato dalla località di S. Gemiliano, in cui sorge l’omonima chiesa. Situato a nord del centro abitato, dista circa 5 km Il luogo fu abitato fin dall’era prenuragica, come testimoniano i reperti trovati, che ora sono conservati nel museo civico di Cagliari.La storia di S. Gemiliano è legata alla Villa medievale di Sussua, che faceva parte della diocesi di Cagliari. La chiesa, in stile romanico fu edificata nella seconda metà del 1200, in pietra arenaria tufacea; nel ‘500 si costruì il bellissimo portico (sa bovida) a tre navate sagrestia e la casa a del giorno, nel guardiano. 1700 La furono pianta aggiunte della chiesa la è rettangolare, composta di due navate affiancate, che hanno un ingresso ciascuna; queste navate sono divise da archi che appoggiano sui pilastri e riempite con le volte a botte. L’edificio è circondato da un muro in pietra, e consente l’accesso con tre aperture. Le porte e il recinto sono stati recentemente ristrutturati. Lo spazio interno del recinto è stato abbellito con sculture fatte in pietra da artisti locali e una discreta presenza di verde. Questa chiesa fu dedicata a San Gemiliano, secondo vescovo di Cagliari, che in questo luogo, morì lapidato tra il 65 e il 68 d.C. all’epoca di Nerone. 24 La gente, ovviamente, sente molto la festa, che ricorre in due periodi dell’anno: l’ultima domenica di maggio, Santu Millaneddu, e la più importante, la prima domenica di settembre con ben cinque giorni di festeggiamento che va dal venerdì al martedì. Nella festa di maggio si ricorda il periodo vero e proprio del martirio. La festa dura tre giorni: dal venerdì, giorno in cui il Santo è accompagnato in processione nei luoghi dove morì e dove si cantano is gocius; la domenica giorno in cui fa ritorno in paese sempre in processione. La festa di settembre è più lunga e ricca di cerimonie religiose, spettacoli folcloristici e moderni, si degustano arrosti e vini tipici. La peculiarità della festa era l’usanza di moltissime famiglie di trasferirsi in alloggi situati nella zona interna al muro che circonda la chiesa, chiamati “stalis”, realizzati con stuoie, frasche, canne. Probabilmente quest’usanza fu introdotta dagli abitanti di Sussua, che trasferitisi a Sestu, cercavano di ricreare il loro luogo di origine. Il periodo di festa non è casuale: infatti, sono due periodi di raccolta, di abbondanza, di allegria, grano e altri cereali. A settembre -Cabid’anni-si pregava il Santo per buoni auspici per il nuovo anno agricolo. Nel secolo scorso i sestesi, si recavano nel luogo di culto a piedi o con le tracas, seguendo in processione il Santo dentro il suo cocchio. Vista la distanza tra la chiesa e il paese, la gente viveva, nei giorni di festa, dentro is stalis (come già detto), chiusi con le stuoie alla curiosità, ma aperti agli amici, ai conoscenti e così vivere insieme una festa importante dal punto di vista sociale e religiosa. All’interno di questi alloggiamenti si preparavano tutte le cibarie più tradizionali: is malloreddus con la salciccia, salumi vari che anticamente erano preparati a casa (avendo la materia prima a disposizione il maiale), tutte le verdure fresche degli orti di Sestu. Fuori da is stalis si prepara il fuoco per arrostire la carne di maialetto, di polli, anatre, agnelli, anguille ecc. Prima la chiesa di San Gemiliano possedeva un gregge, retaggio di tempi ancora più lontani quando i frati Vittorini possedevano molti animali e terreni, gregge che era alimentato dai paesani che regalavano alla chiesa un agnello o una pecora che figliando 25 aumentava il gregge stesso. Anche il pastore che custodiva gli animali traeva il suo sostentamento dai proventi del gregge. Nel periodo della festa molti agnelli erano arrostiti per la popolazione che si recava a venerare il Santo. Ancora oggi i Sestesi rinnovano anno dopo anno la devozione al loro San Gemiliano. Partecipano alla processione che accompagna la statua sistemata nel suo cocchio e la sua reliquia( parte del suo cranio) trainato da una coppia di buoi infiorati, con i campanacci che che fanno un suono caratteristico dovuto al movimento degli animali e che si amalgama a tutta la musica che fa da contorno alla festa . Gruppi folcloristici, la banda musicale, suonatori di launeddas, cavalieri in costume, gente del paese e dei paesi vicini anima la processione con is gocius (dedicati al Santo), preghiere e canti religiosi. Il Santo parte da Sestu, il venerdì, che ancora il sole è alto nel cielo, si arriva alla chiesa che è ormai buio. Candele e fiaccole illuminano il cammino, sa ramadura (petali di fiori sparsi nella via) è d’obbligo all’ingresso delle mura che contornano lo spazio chiesa. I fuochi d’artificio illuminano la soglia, dove il Santo passa per raggiungere il suo posto all’interno della chiesa, il coro intona is gocius che snocciolano tutta la vita e le opere di questo martire così venerato. La domenica la processione è fatta intorno alla chiesa stessa: gli uomini portano in spalla la statua del Santo e le donne portano la reliquia. Segue la messa con il panegirico. I festeggiamenti continuano anche nei giorni successivi, ma le famiglie non dormono più a San Gemiliano perché in macchina tornano a casa in paese, e tornano tutti i giorni fino a quando riaccompagnano a Sestu in processione, il Santo che fino a maggio sosta nella chiesa di San Giorgio Martire in attesa che gli uomini ripetano i riti sempre con grande devozione. Anticamente ballavano al suono delle launeddas e dell’organetto, cantavano mutettos, si chiacchierava, s’incontravano amici che da tempo non si aveva l’occasione di vedere (dato la scarsità dei mezzi di trasporto), si beveva il buon vino di Sestu. insieme ai festeggiamenti religiosi ci sono quelli Anche oggi civili: balli tradizionali eseguiti dai gruppi folk, musica tradizionale e non che 26 oggi come ieri diventa il sottofondo di tutta la festa, si aggiungono svaghi più attuali si proiettano film, si ballano motivi in voga e a seconda del presidente del comitato della festa possono esserci mostre di pittura, dibattiti o altri avvenimenti culturali. Il lunedì pomeriggio il Santo torna a Sestu in processione e il martedì i festeggiamenti religiosi e civili si svolgono in paese. FINE (parte seconda) Fonti consultate HTTP://W.W.W.COMUNE.SESTU.CA.IT-HYTTP://W.W.W.COMUNE ASSEMINI.CA.IT HTTP://W.W.W.COSAS PREZIOSAS.IT-HYTTP://W.W.W.FINESETTIMANA.IT HTTP://W.W.W.FLICKR.COM-HYTTP://W.W.W.GENTEDISARDEGNA.IT HTTP://W.W.W.GIUSEPPEMELIS.COM-HYTTP://W.W.W.HOSPITALITYSARDINIA.IT HTTP://W.W.W.HOTELSCAUT.IT-HYTTP://W.W.W.LEBORSEDIPOPPY,COM HTTP://W.W.W.REGIONE.SARDEGNAIT-HYTTP://W.W.W.SARDEGNA.COM HTTP://W.W.W.SARDEGNADIGITALIBRARY.IT-HYTTP://W.W.W.TRIVAGO.IT 27 Bibliografia e video IL COSTUME DI ELMAS COSTUME E GIOIELLI DELLA SARDEGNA-PAESE PER PAESEVOL.4 LA BIBLIOTECA DELL’IDENTITA’- L’UNIONE SARDA WWW.sardi.it/sardegna/costu 1.htm DVD : SU CONTU DE SU MASU film documentario sulla memoria storica di Elmas A cura di Emmanuele Garau e Marco Lutzu SELARGIUS MATRIMONIO SELARGINO YOU TUBE MATRIMONIO SELARGINO VIDEO Sardinia.it (lo sposalizio in chiesa) www.slideshare.net/salfra/folklore-e-identit-sarda (antico matrimonio selargino) Sardinia-il blog(my Blog.it) IL SARDO.IT Sardiniapoint.it Scuola.repubblica.it ASSEMINI- UN PAESE RICCO DI TRADIZIONI www.comune.assemini.ca.it ASSEMINI.NET www.assemini.net/cucina Sa Panada Sestu e la devozione al suo Santo www.comune.sestu.ca.it http://spazioinwind.libero.it/sestus2K/isantibn.htm I SANTI SESTESI DVD: SESTU FESTAS E TRADITZIONIS Un documentario di Marco Lutzu e Andrea Lotta Da un’idea della Associazione Culturale Musicale :Ennio Porrino di Elmas. 28