Inverno 2010 - Leggere per Crescere

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Inverno 2010 - Leggere per Crescere
PERIODICO DI FORMAZIONE E DI AGGIORNAMENTO PER OPERATORI DELL’INFANZIA E LE FAMIGLIE
Illustrazione da: Jean-Baptiste Baronian e Noris Kern, UN MONDO DI BENE, Edizioni C’era una volta..., 1998.
Anno VI N. 1
Inverno 2010
o o
INSERTO SPECIALE
Bisogno di
fratelli
In questo numero
Gli sguardi che dicono più delle parole
Le stimolabili capacità di attenzione dei bambini
Quando i bambini si difendono inventando la realtà
Le prime esperienze modellano l’architettura del cervello
Non ci sono bambini irrimediabilmente difficili
I fantasmi nella stanza dei bambini
Far amare il libri ai bambini in 14 mosse
Libri in vetrina
Progetto “Leggere per Crescere”. Lo sviluppo in Italia
L’integrazione dei bambini stranieri nella Regione del Veneto
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NTRO LA FINE del primo anno di vita, i bambini diventano capaci di attirare e dirigere l’attenzione degli adulti, di esprimere sentimenti ed emozioni, persino di formulare domande ricorrendo a varie modalità di comunicazione non verbali. Tra queste, la prin-
E
CAPITOLO 1
cipale di tali modalità è rappresentata
dalla capacità di scambiare sguardi; capacità che, d’altra parte, è considerata
la base di ogni comunicazione umana.
Il neonato nelle prime tre-cinque settimane di vita guarda il viso della mamma, fissa lo sguardo nei suoi occhi e lo
fa per circa il venti per cento del tempo in cui è sveglio; a sette settimane,
per il novanta per cento. Lo sguardo rivolto agli occhi della madre non è stimolato dal loro movimento, come si potrebbe pensare, ma soltanto dal fatto
che sono occhi. Lo dimostra il fatto che
se si mostra a un piccolo la figura di un
Visi materni inespressivi,
bambini tristi
LI INTRICATI SCAMBI tra madre e bambino negli incontri faccia a
faccia sono stati paragonati a un valzer, nel quale i partner si muovono in stretta sincronia sulla base di un programma condiviso e rispondono prontamente ai passi dell’altro. Ma cosa accade se uno dei due
partner non accetta “l’invito al ballo”?
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Diversi ricercatori hanno chiesto alle mamme di modificare deliberatamente il loro usuale comportamento assumendo una immobilità facciale, ovvero rimanendo senza espressione e in silenzio mentre sedevano
di fronte al loro bambino. I resoconti descrittivi mostrano chiaramente
che i piccoli di 2 o 3 mesi sono disturbati e infastiditi da un tale comportamento. Quando la madre non li saluta nel modo usuale essi la
guardano facendole un breve sorriso e, se non sono ricambiati, distolgono lo sguardo.
I piccoli alterneranno quindi sguardi diversi alla mamma con sguardi ad
altre componenti dell’ambiente, sorridendo di tanto in tanto e sempre più
cautamente. Gli sguardi a soggetti diversi dalla madre divengono via via
più lunghi finché, alla fine, il bambino si allontana completamente
orientando faccia e corpo di lato e rimanendo girato rispetto alla madre.
Alcuni bambini divengono manifestamente angosciati in queste situazioni, e sia l’angoscia sia la circospezione possono continuare fino a quando
alla madre viene suggerito di riassumere un comportamento normale.
Queste osservazioni consentono di comprendere gli effetti della depressione materna sui bambini. La mancanza di reattività della madre è in
quel caso reale e, essendo continua, può avere notevoli conseguenze sul
bambino. Le madri depresse hanno difficoltà a sintonizzarsi con i comportamenti del figlio, a coglierne i segnali di comunicazione e a rispondervi in modo appropriato. Forse non forniscono più la quantità di risposte di cui i bambini contingentemente necessitano per imparare gli
scambi relativi all’interazione sociale, e perciò non è sorprendente scoprire che essi svilupperanno diversi disturbi comportamentali: avranno
maggiori probabilità di piangere, di isolarsi e di mostrare una perdita
generale di energia.
Le emozioni che i bambini abitualmente mostrano tendono a essere
negative, come la tristezza o la rabbia, piuttosto che positive come nel
caso della gioia e dell’interesse. Quindi il loro comportamento rispecchia
quello della madre depressa e suggerisce che essi corrono il pericolo di
sviluppare uno stile di interazione sociale completamente distorto se non
vengono presi in tempo dei provvedimenti adeguati. È interessante notare il fatto che le madri depresse ma con un’occupazione fuori casa
hanno una relazione con il loro bambino molto più positiva rispetto a
quella mostrata dalle madri depresse e senza occupazione.
Fonte: H. Rudolph Schaffer, Lo sviluppo sociale, Raffaello Cortina Editore, 1998.
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I bambini sono capaci
di comunicare in modo
molto efficace ben prima
di potersi esprimere
con parole comprensibili.
Elisabetta Fenwick,
Il libro completo
della mamma e del bambino.
Dal concepimento ai tre anni,
De Agostini, 2007.
Nello stesso tempo, quando un bambino viene preso in braccio, per esempio per allattarlo, spontaneamente la
mamma lo guarda soprattutto fissandolo negli occhi, ricavandone un profondo senso di un legame fortemente
emotivo. È una condivisione dell’attenzione che per lunghi minuti si realizza
nel guardarsi negli occhi.
cessivi stadi dello sviluppo.
“Dai tre mesi in avanti, i bambini prestano attenzione al profilo della faccia;
a 4 mesi percepiscono tutti i lineamenti
interni del viso; dopo i 5 mesi rispondono anche alla particolare espressione emozionale delle persone e, approssimativamente, dai 7 mesi in avanti ha luogo il cambiamento maggiore
in quanto da quel momento in poi il sorriso non è più provocato in modo indiscriminato da tutte le facce, ma soltanto
da quelle familiari”2.
La condivisione
dell’attenzione
Gli sguardi regolatori
dei comportamenti
“Nel corso del primo anno, la condivisione di attenzione è abituale: quando
il bambino guarda un oggetto, subito
lo guarda anche la madre. In seguito,
verso la fine del primo anno, lo scambio di sguardi diventa per il bambino
una guida preziosa: quando esplora
l’ambiente circostante, regolarmente
cerca lo sguardo dell’adulto che è con
lui, la madre o il padre, per sapere se
può continuare l’esplorazione o se deve fermarsi”1. Lo sguardo della madre
è il primo regolatore del comportamento del bambino. I sorrisi stessi, in
principio, vengono innescati nel bambino esclusivamente dagli sguardi: tutti gli altri lineamenti del viso sono irrilevanti; diventeranno importanti nei suc-
Perché lo scambio di sguardi assolva efficacemente la funzione di regolatore
dei comportamenti e degli stati emozionali del bambino, occorre la convergenza di almeno tre condizioni: una
sufficiente vicinanza, un’adeguata ripetizione, una coerenza di contenuto
fra sguardo ed espressione del viso
guardato.
La vicinanza non è solo un elemento
spaziale (nei primi mesi, il bambino può
avere un contatto visivo a non più di
mezzo metro di distanza; successivamente, a 4-5 mesi, lo sguardo può essere avvertito anche a distanza di qualche metro), ma anche affettivo (vedi riquadro). Un’adeguata ripetizione è ov-
viamente necessaria perché lo scambio
comunicativo acquisisca senso e si fissi nella mente del bambino. “Infine,
questo insieme interattivo deve essere
regolarmente coerente perché il senso
che il bambino ne ricava sia a sua volta coerente; per esempio, se la madre
dice “no”, ma il volto è aperto e permissivo, ossia il suo volto dice “sì” quando la parola è “no”, il bambino si fa guidare dal senso preliminare e implicito
della comunicazione, perché l’espressione del volto passa sopra la proibizione
formale. Al contrario, il volto può dire
“no” perché è chiuso e preoccupato e
le parole possono dire “sì”: il bambino
resta timoroso e inibito nonostante l’autorizzazione apparente”1.
Fin qui si è dato spazio alle interazioni
visive prevalentemente fra bambino e
madre; ma sarebbe una grande limitazione non comprendere l’intero spazio
familiare e quello sociale (per esempio
all’asilo nido) nella guida del bambino
verso la maturazione. Gli spazi familiari e sociali, infatti, sono i luoghi in cui
il bambino trova altre persone a cui attribuisce importanza e senso e del cui
sguardo egli ha bisogno, come uno
specchio in cui riflettersi, per riconoscersi
e divenire se stesso.
1. Marcelli D., Il bambino sovrano, Raffaello Cortina Editore, 2004.
2. Schaffer H.R., Lo sviluppo sociale, Raffaello Cortina Editore, 1998.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010
viso senza gli occhi, egli non reagisce,
mentre dimostra grande interesse quando alla stessa vengono aggiunti.
Fotografia da:
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LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010
“Il mio bambino è terribilmente distratto: non riesco a trattenere la sua attenzione su niente e la cosa mi preoccupa non tanto per l’oggi, che è piccolo,
quanto per quando comincerà ad andare a scuola e dovrà essere capace di
concentrarsi, se vorrà imparare”. È questa una preoccupazione spesso manifestata da molte mamme e che indubbiamente merita di essere presa in considerazione almeno da tre punti di vista: � cercare di capire che cosa si deve intendere per attenzione; � prendere atto che la capacità di attenzione
varia molto a seconda dell’età e delle
condizioni ambientali in cui i diversi
bambini crescono; � conoscere i mezzi disponibili per stimolarla, a partire dalla prima infanzia.
CAPITOLO 2
più possono rendere efficienti determinate nostre prestazioni. Considerata sotto questi profili, l’attenzione entra nei
nostri stati mentali e nei nostri comportamenti in modo selettivo, privilegiandone alcuni rispetto a una moltitudine di altri possibili, che vengono posti in secondo piano. Si può fare l’esempio che si trova spesso nei manuali: si pensi a un bambino seduto nel suo
banco di scuola: è del tutto disattento
rispetto alla lezione dell’insegnante, ma
nello stesso tempo è attentissimo al girovagare di una formica giunta chissà
come sul piano davanti a lui. L’attenzione indubbiamente c’è, quello che
manca è la capacità di dirigerla verso un
preciso obiettivo.
Che cos’è l’attenzione
La gradualità dello sviluppo dell’attenzione
La nozione di attenzione è relativamente
recente nella cultura occidentale; si può
dire infatti che la sua prima compiuta
definizione è stata data dal filosofo francese Cartesio (1596-1650) che la intese come l’atto con cui la mente prende in considerazione un unico oggetto
per un certo tempo. Immersi come siamo tutti in una gigantesca rete di stimolazioni (visive, acustiche, tattili ecc.),
l’attenzione consiste sostanzialmente
nella capacità di selezionare, fra gli stimoli che ci giungono dall’esterno e dal
nostro stesso interno corporeo e psichico, quelli che più ci interessano o che
Nei bambini, la capacità di attenzione
si sviluppa gradualmente; da molto piccoli, sono molto distraibili: qualsiasi stimolo di una certa entità li fa reagire, talvolta anche in modo che agli adulti appare del tutto sproporzionato alla stimolazione ricevuta; con l’avanzare dell’età, i bambini a poco a poco sviluppano la capacità di discriminare e di adeguare il proprio comportamento rispetto
a quello che vedono e ascoltano.
Gli psicologi dell’età evolutiva hanno riscontrato che, in generale, fino a sette
anni il bambino sviluppa una capacità
di attenzione di tipo spontaneo, invo-
lontario, con scarsa capacità di applicarsi
in modo consapevole in attività che
richiedono organizzazione e persistenza. Dagli otto agli undici anni, i bambini sviluppano e portano a maturazione la capacità di prestare attenzione in
modo volontario verso oggetti o situazioni specifici sui quali orientare poi
consapevolmente le proprie attività.
La stimolazione
dell’attenzione
Le possibilità di stimolare la capacità di
attenzione sono numerose. Limitandoci prevalentemente ai bambini in età
prescolare, fascia alla quale è dedicato
il Progetto “Leggere per Crescere”, è
stato ben documentato il fatto che uno
dei modi migliori per stimolare la capacità di attenzione dei bambini consiste nel raccontare e leggere loro ad alta voce, preferibilmente nella modalità
faccia-a-faccia, e possibilmente ogni
giorno, anche per pochi minuti.
La capacità di attenzione nei bambini,
soprattutto in età prescolare, può variare
moltissimo: ci sono bambini che possono stare ad ascoltare anche per più
di mezz’ora di seguito, altri che non ci
stanno per più di trenta secondi.
La valutazione della
capacità di attenzione
La valutazione della capacità di attenzione è molto importante quando si de-
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Genitori ed educatori spesso lamentano che i loro bambini
sono troppo distratti, non prestano abbastanza attenzione.
Il più delle volte, i bambini stanno attenti semplicemente
quanto possono a seconda dell’età: altre volte presentano
problemi di attenzione perché viene impedito loro di concentrarsi, mentre li si può aiutare riducendo il consumo di TV
e aumentando il tempo della narrazione e della lettura ad alta
voce e quello dedicato all’attività fisica.
cide di stimolarla in quanto, a prescindere dai mezzi adottati, progressi significativi e permanenti sono ottenibili se gli interventi sono molto graduali:
se, per esempio, la capacità di attenzione alla lettura è inizialmente di un minuto, passare a due minuti può richiedere sedute anche di più giorni. È anche importante ricordare che, a volte,
i bambini più piccoli, a partire fin dai primi mesi di vita, hanno capacità di concentrazione maggiore rispetto a quella
che possono dimostrare bambini di
maggiore età.
Nel praticare la narrazione e la lettura
ad alta voce allo scopo di stimolare la
capacità di attenzione (che implica anche lo sviluppo delle capacità di memoria e di apprendimento) i progressi
che via via vengono ottenuti possono
essere indirettamente valutati sulla base degli atteggiamenti e dei comportamenti che i bambini dimostrano nei
confronti dei racconti, dei libri, delle persone che parlano loro.
Un rilevante contributo all’aumento della capacità di attenzione nei bambini
può essere offerto anche dal contenimento del tempo di esposizione alla televisione a ai videogame. Numerose ricerche, infatti, hanno dimostrato che un
tempo eccessivo (oltre le due ore al giorno) dedicato a queste attività può favorire in modo non trascurabile l’insorgere di problemi di attenzione nei bambini in età scolare.
Infine, è opportuno incoraggiare l’attività fisica all’aperto: la pratica di giochi
e di sport stimola prestazioni il cui successo è largamente basato all’attenzione
con cui vengono effettuate.
Dai 18 ai 23 mesi, il bambino di solito dimostra piacere a essere intrattenuto con il racconto o la lettura ad alta voce di piccole brevi storie, progressivamente articolate, con un inizio e una fine, ripetute più e più volte per il piacere del piccolo che apprezza e pretende sentirsele raccontare.
Dai 2 ai 3 anni, è importante assecondare le capacità e le preferenze che il bambino matura in questo periodo in quanto:
■ ha imparato a maneggiare le pagine di carta;
■ ha imparato a sfogliare i libri avanti e indietro per trovare le immagini preferite;
■ dice intere frasi e talvolta intere storie;
■ coordina i testi con le immagini;
■ protesta quando l’adulto usa una parola diversa in una storia conosciuta;
■ si “legge” i libri che gli sono familiari.
Dai 3 ai 4 anni, il piccolo dimostra di preferire, dimostrando particolare attenzione, le pubblicazioni che raccontano storie riguardanti bambini che gli
assomigliano e che vivono come lui, ma anche quelle dedicate a luoghi e modi di vivere diversi da quelli che gli sono familiari, pubblicazioni con testi semplici che possono essere memorizzati, pubblicazioni che riguardano i numeri, l’alfabeto, le parole.
Dai 4 ai 5 anni, matura rapidamente la capacità di capire e di prestare attenzione, di cogliere il senso delle storie che gli vengono raccontate per cui si possono proporre libri che aprono sul mondo pur mantenendo saldo il legame con le sue esperienze quotidiane; è spiccato il piacere di sentire storie e fiabe in
cui vi è una sorta di viaggio iniziatico del protagonista con prove da superare, sconfitta del cattivo, vittoria del buono ecc.; è notevole il senso del comico e
quindi apprezzati sono i racconti buffi e divertenti.
Oltre i 5 anni, i genitori vanno incitati a continuare a contribuire allo sviluppo dell’attenzione (e più in generale, a quello intellettivo) del loro bambino:
continuando a leggere ad alta voce ogni giorno, tenendo conto che a questa età può ascoltare storie anche lunghe; introducendo nuove parole in un contesto significativo per i suoi interessi; conversando con lui, dandogli il tempo di rispondere a suo agio; evitando di completare le frasi sostituendosi a lui.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010
Lo sviluppo dell’interesse dei bambini
verso le narrazioni
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CAPITOLO 3
L’immaginazione
non si limita
a risolvere
dispiaceri
e insoddisfazioni
ma contribuisce
alla formazione
della conoscenza
della realtà.
IÙ DI SETTANTA ANNI FA, nel
1936, Anna Freud (18951982), figlia di Sigmund fondatore della psicanalisi, e lei
stessa grande psicanalista nota per i suoi
studi sull’infanzia, pubblicò un opera sui
meccanismi di difesa dei bambini contro realtà e sentimenti penosi o insopportabili1. In quell’opera, un capitolo è
dedicato alla possibilità che il bambino
ha di “scacciare, negandolo, ciò che nella realtà non gli riesce gradito”. Di questa possibilità egli si serve in misura cospicua, non solo rifugiandosi nella fantasia, in cui può eludere il dispiacere che
lo affligge, ma anche operando rappresentazioni che rovesciano le situazioni reali in cui egli vive con sofferenza, sia che alberghino nel suo intimo sia
che appartengano al mondo esterno,
come frequentemente avviene nei così detti giochi di immaginazione, in particolare nei giochi di ruolo.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010
P
Il rifugio nella
fantasia, il sollievo
nei giochi
di immaginazione
Il bambino che soffre può alleviare la
propria sofferenza rifugiandosi nella fantasia, abbandonando il mondo reale.
I giochi di ruolo sono giochi di imma-
ginazione in cui il bambino rappresenta per un certo tempo la parte di un altro diverso da sé, interpretandone parole e azioni. Può anche darsi che il bambino, in questi giochi, non rinunci alla
propria identità, ma la conservi, assegnando ruoli diversi per esempio a una
bambola, a un giocattolo, a un oggetto qualunque su cui scaricare le proprie
tensioni.
Anna Freud pone in rilievo una importante differenza fra il diniego delle cause di dispiacere mediante il ricorso alla
fantasia rispetto a quello mediato dalla parola e dall’azione, come avviene nel
gioco. Infatti, “il bambino nel fantasticare è sovrano. Finché non comunica a
nessuno le sue fantasie, l’ambiente circostante non ha la possibilità di intralciarlo. Invece, la rappresentazione delle fantasie attraverso la parola e l’azione richiede spazio nel mondo esterno”1.
La compiacenza del mondo esterno verso l’agire del bambino diventa allora una
condizione necessaria perché il meccanismo del diniego, mediante le rappresentazioni, funzioni.
La compiacenza ambientale verso i giochi di immaginazione dei bambini è generalmente assicurata, purché le rappresentazioni rientrino entro determinati
argini socialmente accettati. Quando i
comportamenti eccedono i limiti considerati tollerabili dagli adulti, la compiacenza viene meno e subentra la proibizione. Allora può accadere che il bambino riduca le sue manifestazioni a livello di accettabilità o ancora meno,
adattando i suoi meccanismi di diniego fino a soddisfare gli adulti che si occupano di lui, giungendo al limite di nascondere i propri sentimenti e le proprie
emozioni. Ciò naturalmente non cambia la sua situazione di sofferenza.
La compiacenza
degli adulti
utile se equilibrata
Questo significa che la compiacenza verso le manifestazioni di negazione del
bambino, espresse mediante parole e
azioni, è uno strumento da usare con
delicatezza perché una eccessiva indulgenza verso manifestazioni eccessive o
esageratamente eccentriche può essere controproducente rispetto a una efficace difesa dalla sofferenza. Anna
Freud, nel suo scritto, attira l’attenzione su un aspetto che in modo più o meno rilevante entra nei meccanismi di difesa basati sul diniego delle realtà fonte di dispiacere: la diffusa tendenza da
parte degli adulti a trasmettere ai bambini messaggi che negano i fatti e le lo-
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Nei giochi di ruolo i bambini trovano
spesso non solo la possibilità di
superare intime difficoltà e dispiaceri,
ma anche terreno per sviluppare
la propria creatività.
Illustrazione da:
Miriam Stoppard, Il Bambino da 0 a 5
Il concorso dei grandi
alla negazione della realtà
ELLA VITA QUOTIDIANA si assicura anche al bambino più piccolo che è già “tanto grande”, e si afferma, contro l’evidenza dei fatti, che egli è forte “come il papà”, abile “come
la mamma”, coraggioso “come un soldato”, o “tenace” come il “fratello più grande”.
È comprensibile che per consolare il bambino ci si debba servire di questi rovesciamenti
della realtà. Non appena il bambino si ferisce, l’adulto lo assicura che “non fa già più
male”; i cibi che il bambino non gradisce “non hanno un sapore cattivo”; se qualcuno è
andato via procurando al bambino un grosso dispiacere “torna subito”.
Alcuni bambini accolgono realmente queste formule consolatorie e le applicano in maniera stereotipata, per descrivere ciò che è doloroso. Per esempio, una bimbetta di due anni
prende atto della scomparsa della madre dalla sua stanza con un mormorio meccanico: “la
mamma viene subito”. Un altro bambino, ogni volta che deve prendere una medicina dal
gusto cattivo, è solito dire, con voce lamentevole, “mi piace, mi piace”, frammento che gli
è rimasto di una frase usata dall’infermiera per incoraggiarlo a pensare che la sua medicina è buona.
Anche molti dei regali che gli adulti, magari più estranei ai bambini, portano loro, alimentano lo stesso tipo di illusioni. Una borsettina, un piccolo parasole o un ombrellino
sono destinati a sostenere la finzione di una bambina dell’essere “una signora”. Un bastone da passeggio, un’uniforme e armi giocattolo d’ogni sorta servono, nel caso del maschietto, a rappresentare la virilità. Le bambole, oltre a tutti gli altri scopi, creano la finzione della
maternità; i trenini e le ferrovie, le automobiline e i blocchi da costruzioni procurano la
gradevole fantasia di poter dominare il mondo.
N
ro esperienze reali (vedi riquadro).
I giochi di immaginazione, nei quali rientrano quelli di ruolo, non hanno tuttavia la sola funzione liberatoria rispetto
ad ansie, paure, angosce cui il bambino può essere esposto. Per lungo tempo, i giochi di immaginazione sono stati considerati anche espressione di
meccanismi messi in atto per soddisfare
desideri frustrati, e spesso tali da ostacolare o ritardare lo sviluppo della capacità da parte del bambino di esaminare e di comprendere la realtà. Invero, l’immaginazione che si concretizza
nei giochi di finzione non è né una distorsione né sempre una negazione della realtà, bensì, nel bambino, l’inizio di
una creatività mentale capace di considerare le molte alternative possibili della realtà, nonché un mezzo per procedere a poco a poco verso la conoscenza del mondo.2
1.Freud A., “L’Io e i meccanismi di difesa”,
in Opere 1922-1943, volume 1., Boringhieri, 1978.
Anna Freud, Opere 1922-1943, volume 1., Boringhieri, 1978.
2. Harris P.H., L’immaginazione nel bambino, Raffaello Cortina Editore, 2008.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010
anni, Idea Libri, 2002.
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CAPITOLO 4
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010
MODELLANO L’ARCHITETTURA
Nello sviluppo delle capacità
ricettive dei bambini un ruolo
importante hanno le esperienze
visive, la possibilità di esplorare
immagini accompagnate
da parole che le spiegano.
Illustrazione da: Leo Lionni,
Piccolo blu e piccolo giallo,
Babalibri.
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LI STUDIOSI DI NEUROSCIENZE hanno da tempo
scoperto che specifiche
esperienze influenzano
particolari circuiti cerebrali, nel corso di
specifiche fasi dello sviluppo del cervello.
Vale a dire, per esempio, che la qualità dell’ambiente in cui un bambino viene fatto crescere e la possibilità di avere esperienze adatte nelle giuste fasi dello sviluppo sono cruciali nel determinare
la forza o la debolezza dell’architettura del suo cervello, condizioni da cui dipende l’efficienza delle sue capacità di
pensare e di controllare le proprie emozioni. Per questo complesso di ragioni,
si può ben comprendere come sia di vitale importanza cogliere precocemente le opportunità per migliorare le strutture e le funzioni cerebrali durante le varie fasi critiche del loro sviluppo.
G
Le età e le condizioni
critiche per lo sviluppo
del cervello
Sebbene il cervello mantenga la capacità di cambiare e di adattarsi lungo tutta la vita di una persona, questa capacità decresce con il passare degli anni.
Per questa ragione, l’influenza eccezionalmente forte delle prime esperienze nel modellare l’architettura del
cervello rende i primi anni di vita di ogni
individuo un periodo sia di grandi opportunità sia di grande vulnerabilità. Infatti, un ambiente precocemente sfavorevole, una nutrizione insufficiente,
l’esposizione ad agenti tossici, la carenza
di adeguate stimolazioni sensoriali, sociali e affettive sono risultati causa di deficiente costruzione dei circuiti cerebrali.
Inoltre, una volta stabilite, deboli fondamenta cerebrali possono pregiudicare ulteriori sviluppi del cervello, anche
se successivamente vengono ristabilite
condizioni ambientali favorevoli.
In sostanza, su solide basi scientifiche
si può dire che i caratteri critici dell’architettura cerebrale cominciano a essere
modellati dalle esperienze vissute già
prima e subito dopo la nascita e che
molti aspetti fondamentali di quell’architettura vengono sviluppati molto pri-
“
Gli elementi fondamentali
dell’architettura del
cervello si formano molto
presto nella vita di una
persona, attraverso una
serie continua
di interazioni in cui
le condizioni ambientali
e le esperienze personali
hanno un determinante
impatto sull’espressione
delle predisposizioni
genetiche.
”
ma che il bambino cominci ad andare
a scuola.
Le principali esperienze stimolanti consistono nelle interazioni, negli scambi
che un bambino vive nell’ambiente in
cui cresce, fin da quando è ancora nel
grembo materno. Le esperienze prenatali contribuiscono a sviluppare i circuiti cerebrali elementari; dopo la nascita, le interazioni con il mondo esterno assumono un’importanza via via crescente nel modellare l’architettura dei
circuiti nervosi, adattandoli ai caratteri
specifici dell’ambiente in cui il bambino vive. E per lo sviluppo di ogni circuito
c’è un periodo in cui l’ambiente e le
esperienze individuali hanno maggiore
influenza, terminato il quale modificarne disposizione e funzione diviene
difficile. Questo significa che le esperienze precoci hanno una finestra temporale molto stretta, o addirittura chiusa, per attivare nuovi circuiti o per esercitare la loro influenza sullo sviluppo di
circuiti già arrivati a maturazione.
In altre parole, le differenti capacità
mentali maturano nel corso di differenti
fasi dello sviluppo del bambino, secondo un andamento gerarchico per i vari circuiti che costituiscono l’architettura del cervello. I circuiti nervosi che presiedono alla funzione visiva, per esempio, sono diversi e giungono a maturazione in tempi differenti rispetto a quelli dell’udito, del linguaggio, della memoria, del controllo dei movimenti volontari, delle reazioni emotive. Inoltre,
nell’ambito di uno stesso complesso di
circuiti che presiedono a una determinata funzione, si possono riscontrare ancora differenti fasi di maturazione. Nella funzione visiva, per esempio, i circuiti
che analizzano la forma, il colore, i movimenti di un oggetto giungono a maturazione molto prima di quelli che interpretano segnali molto più complessi come le espressioni facciali.
Detto molto semplicemente, tutto
questo vuol dire che la capacità del
bambino di interpretare ciò che vede
cambia a mano a mano che i suoi cir-
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010
Le esperienze più stimolanti per lo sviluppo della struttura
e delle funzioni cerebrali sono rappresentate dagli scambi sociali
cui un bambino viene esposto nei primi anni di vita.
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MODELLANO L’ARCHITETTURA
cuiti cerebrali maturano. Pertanto, è
importante che le esperienze cui il
bambino viene esposto nei primissimi
anni di vita siano adeguate al livello di
maturazione a cui il suo cervello è giunto. Leggere un libro illustrato con un
bambino che muove i primi passi e appena comincia a imparare a parlare,
per esempio, offre una vantaggiosa opportunità per indicare le figure e parlarne, mentre non è utile focalizzare la
sua attenzione sulle parole scritte, dal
momento che la capacità di decodificare la scrittura matura più tardi
quando si saranno formati e saranno
funzionanti i circuiti nervosi di più alto livello, specifici per l’interpretazione delle parole scritte.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010
L’adeguamento delle
esperienze al grado
di maturazione
Dal momento che i circuiti cerebrali di
livello elementare vengono modellati
prima, e spesso molto prima, di quelli
di livello superiore, tentare di anticipare i tempi di esposizione a determinate esperienze non solo è una inutile perdita di tempo, ma può compromettere l’equilibrato sviluppo del cervello in
quanto le esperienze premature possono esporre il bambino a stress eccessivi. Subito dopo la nascita, esperienze elementari – sensoriali, emotive,
sociali – sono essenziali per ottimizzare la maturazione dei circuiti elementari;
successivamente esperienze più complesse saranno critiche per stimolare la
formazione dei circuiti cerebrali superiori. Nei primi mesi di vita le esperienze da cui il bambino può ricavare i maggiori vantaggi sono offerte dalla madre
che provvede alla sua alimentazione, a
vezzeggiarlo, a infondergli fiducia, so-
prattutto amore, simpatia, calore, benessere. Verso i diciotto mesi-due anni fino ai cinque, quando il bambino a
poco a poco si avvia verso la maturazione della propria personalità e l’acquisizione del senso della propria autonomia, le esperienze più favorevoli sono affidate alla mobilità; ai giochi soprattutto di immaginazione; a prestazioni che implicano una crescente necessità di pensare prima di agire; alla
narrazione e alla lettura ad alta voce,
stimolanti la fantasia e l’arricchimento
del linguaggio; all’ampliamento delle
relazioni sociali in condizioni che rafforzino la fiducia e la sicurezza di essere amato.
studioso noto per le sue ricerche sull’attaccamento precoce (l’ungherese
Peter Fonagy), il cervello è un organo prettamente sociale e la psicanalista inglese Sue Gerhardt (ricordata
a pagina 12) aggiunge “La nostra
mente emerge e le nostre emozioni
si organizzano attraverso il legame
con altre menti, non nell’isolamento.
Questo significa che le forze invisibi-
L’insostituibile
ruolo delle esperienze
sociali
Procurare al bambino le giuste esperienze nelle fasi corrette del suo sviluppo cerebrale è importante, ma ancora più importante è evitargli esperienze negative perché queste, durante
i periodi critici della maturazione, possono alterare l’architettura e le funzioni di specifici circuiti cerebrali adattandoli alle negatività vissute in modo persistente e stabile fino all’età
adulta. Sebbene la plasticità cerebrale possa mitigare questa evenienza, resta la possibilità che i circuiti cerebrali compromessi da esperienze negative continuino a funzionare negativamente per tutta la vita.
Nel quadro delle possibili esperienze
che possono influenzare in modo significativo lo sviluppo dell’architettura
cerebrale dei bambini, un’importanza particolare viene attribuita alle relazioni sociali. Come ha scritto uno
Leggere un libro illu
no che muove
comincia a imparar
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lo sviluppo delle su
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ustrato con un bambie i primi passi e
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Le realistiche possibilità di ricupero
delle carenze cerebrali
I progressi nelle neuroscienze, vistosi
negli ultimi anni, divulgati con variabile,
ma spesso insoddisfacente competenza, hanno alimentato nell’opinione
pubblica diversi atteggiamenti. Maggiori disponibilità a sfruttare le conoscenze acquisite per migliorare le condizioni ambientali e promuovere comportamenti degli adulti più favorevoli
allo sviluppo mentale dei bambini. Attese irrealistiche sulla possibilità di ottenere grandi risultati mediante l’applicazione di metodi educativi disallineati rispetto ai vari stadi di maturazione dei bambini oppure, al contrario, eccessive preoccupazioni circa l’irrecuperabilità di carenze per deprivazioni subite dai piccoli.
Vale la pena di distinguere tra i fatti
scientificamente verificati e le credenze distorte, almeno su tre questioni. La
prima riguarda la durata della plasticità cerebrale. È vero che una gran parte dell’architettura cerebrale viene modellata nei primi tre anni di vita, ma non
è vero che dopo i tre anni vengano meno le possibilità di favorirne ulteriormente lo sviluppo. Parti rilevanti del cervello, responsabili di funzioni di alto livello (incluse le più elevate capacità cognitive, emotive e sociali) non arrivano
a maturazione nei primi tre anni o, se
sono presenti, lo sono a un livello estremamente elementare. Pertanto, senza
nulla togliere alla validità del principio
della maggiore plasticità cerebrale nei
primi anni di vita, per cui si dice spesso, a proposito dei possibili interventi
facilitatori, “prima è meglio che dopo”,
resta il fatto che quello che importa è
che le esperienze più adatte e produttive si verifichino in armonia con i tempi propri di ogni funzione.
Per la maggior parte delle funzioni cerebrali superiori, la finestra delle possibilità rimane aperta, come è esperienza comune, ben oltre i tre anni. Infatti, l’impianto generale del cervello si modella soprattutto nei primi anni, per conseguire lo sviluppo maggiore in quelli
successivi fino ai venti, per declinare gradualmente, come possibilità di rimodellamento, con l’avanzare dell’età. Di
qui l’importanza delle esperienze nel periodo che va dalla primissima infanzia
fino alla fine dell’adolescenza.
Un altro aspetto riguarda la possibilità
di ricuperare danni da deprivazione
esperienziale riscontrabili, per esempio,
nei bambini allevati negli orfanotrofi più
arretrati: non vi è dimostrazione scientifica a sostegno dell’aspettativa che
successivi intensi arricchimenti di esperienze producano apprezzabili miglioramenti nell’architettura del cervello.
Infine, è da mettere in particolare rilievo
il fatto che le neuroscienze hanno sfatato la credenza secondo cui video e
musica registrata sarebbero di grande
efficacia positiva nel modellamento del
cervello in sviluppo. In realtà, numerose ricerche hanno dimostrato che nulla può sostituire, nel modellamento ottimale dell’architettura del cervello di
un bambino, il rapporto diretto con le
persone che si occupano di lui, in primo luogo i genitori.
Fonte principale: National Scientific Council on the Developing Child, Center on the
Developing Child at Harvard University, The
Timing and Quality of Early Experiences
Combine to Shape Brain Architecture,
Working Paper 5, 2007.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010
li che strutturano le nostre risposte
emotive nel corso della vita non sono in primo luogo i nostri interni impulsi biologici, ma i modelli delle esperienze emotive con altre persone, che
vengono costituiti in maniera più intensa nell’infanzia. Questo modelli
non sono immutabili, ma come tutte
le abitudini sono difficili da modificare
una volta costituiti”.
12
I SONO BAMBINI irrimediabilmente difficili? Con
una certa sicurezza, si
può rispondere di no.
Numerosi psicologi che si occupano
di infanzia hanno riscontrato, nelle loro ricerche, che “persino il più
difficile e irritabile dei bambini risponde bene a dei genitori capaci
di corrispondere ai suoi bisogni”1
specialmente nel primo anno di vita.
Questo sostanzialmente vuol dire che
i bambini difficili possono essere in
gran parte il prodotto di genitori
emotivamente poco disponibili nei lo-
basta) riconoscere i segnali che il bambino piccolo invia a chi si occupa di lui
circa i suoi stati emotivi; mentre non è
difficile creare le condizioni che li possono influenzare positivamente.
ro confronti, soprattutto, come è prevedibile, nel caso di bambini dotati di
particolare sensibilità.
un grande numero di mamme, per necessità o per scelta, devono confrontarsi
con un problema spesso causa di molta sofferenza: la difficoltà di conciliare il
lavoro con l’accudimento del proprio
bambino nei tempi a lui più congeniali
e di durata adeguata alle sue esigenze.
C
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010
CAPITOLO 5
Riconoscere e soddisfare i bisogni fondamentali dei bambini nella prima infanzia non è impresa facilissima, anche
se, fortunatamente, la maggior parte
dei genitori istintivamente ci riesce per
quanto riguarda le esigenze fisiche come la nutrizione, la pulizia, le condizioni
ambientali; un po’ meno invece rispetto alle attenzioni necessarie per assicurare uno sviluppo emotivo equilibrato.
Il fatto è che non è facile (e l’istinto non
Il pianto, gli sguardi, il sorriso, i movimenti del corpo sono segnali solo apparentemente di facile interpretazione;
in realtà, tutti possiedono una gamma
di sfumature significanti che, per essere capite, richiedono molta attenzione
e soprattutto molto tempo da dedicarvi
in modo quotidianamente continuo.
Tutto questo confligge con il fatto che
Fin dalla nascita, il bambino ha bisogno
di una persona che non solo lo curi, ma
che addirittura si identifichi con il piccolo così strettamente da sentire i suoi
bisogni come propri e questa persona
non può, naturalmente, che essere soprattutto la madre.
La continuità del legame madre-bambino implica conseguenze di grande rilevanza nella regolazione degli stati
emotivi del piccolo; per esempio, quando una madre avverte un disagio nel
suo bambino, subito lo condivide provando essa stessa uno stato di sofferenza che la induce immediatamente a
intervenire con atti consolatori, facendo percepire al suo piccolo con tenerezza il calore del suo affetto. Da una
mamma così disponibile, il bambino
non solo riceve consolazione, ma anche
impara ad ascoltare i propri stati d’animo e a regolarli. Quando una mamma
13
I bambini sono molto sensibili a questo
tipo di messaggi impliciti e inizialmente tendono a reagire a ciò che i genitori fanno piuttosto che a ciò che dicono. Quando i genitori riescono con
l’esempio a condividere correttamente
gli stati emotivi del bambino, allora i
suoi sentimenti possono fluire ed emergere alla coscienza. In particolar modo,
se chi si prende cura del bambino risponde in maniera prevedibile, iniziano
a costruirsi in lui dei modelli: il piccolo
può accorgersi che “quando piango la
mamma mi prende sempre in braccio
con delicatezza” o “quando si mette il
cappotto, sentirò presto il profumo dell’aria fresca”.
Questi modelli di aspettative non verbali acquisiti inconsciamente sono stati descritti da vari autori secondo diverse teorie. Indipendentemenete dalle teorie sostenute, tutti concordano sul fatto che le aspettative sui comportamenti
di altre persone sono registrate nel cervello al di fuori della consapevolezza, nel
periodo dell’infanzia, per sostenere il
comportamento relazionale nel corso di
tutta la vita. Non siamo consapevoli delle nostre attese, ma esse esistono e si
basano sulle nostre esperienze precoci.
La più cruciale di tutte queste attese
è quella per cui gli altri sono emotivamente disponibili per aiutarci a
prendere nota e a elaborare i nostri
sentimenti, per dare conforto quando
ne abbiamo bisogno. I bambini che
crescono senza questa aspettativa sono caratterizzati da una insicura capacità di attaccamento affettivo.
Occorre quindi che i genitori siano una
specie di istruttori delle emozioni. C’è
bisogno che siano presenti e che si mettano in sintonia con gli stati emotivi elementari continuamente mutevoli del
bambino, ma occorre anche che essi
aiutino il piccolo nel passaggio al livello successivo. Per diventare pienamente umano, infatti, il bambino deve elaborare le risposte elementari e svilupparle in sentimenti più specifici e complessi.
Sotto la guida dei genitori, lo stato elementare di “sentirsi a disagio” si differenzia in una serie di sentimenti più
complessi come irritazione, delusione,
rabbia, fastidio, offesa. Ancora, il lattante o il bambino poco più grande non
può operare queste distinzioni senza
l’aiuto di coloro che le conoscono. Il genitore può aiutare il bambino a divenire consapevole dei propri sentimenti e
lo può fare per esempio parlandogli enfatizzando ed esagerando le parole e i
gesti in modo che il bambino si renda
conto che mamma e papà non stanno
semplicemente esprimendo se stessi,
ma stanno “mostrandogli” i suoi sentimenti 2.
Quanto detto fino ad ora, indubbiamente acutizza il problema del tempo
della donna divisa fra gli impegni di madre e quelli di lavoratrice. Il problema
è certamente serio, ma non senza una
mediazione possibile accettando il concetto di madre buona abbastanza”.
Il concetto di “madre buona abbastanza” è stato formulato da Donald W.
Winnicott, pediatra e psicoterapeuta inglese (1896-1971), in contrasto con
quello della “madre perfetta”. Sulla base di una pluridecennale esperienza clinica, egli giunse alla conclusione che la
madre disponibile in ogni momento a
soddisfare le necessità e le richieste del
proprio bambino in realtà finisce per limitarne lo sviluppo. Al contrario la “madre buona abbastanza” che, pur prov-
vedendo ai bisogni del proprio bambino, lascia intervalli di tempo crescente
fra le sue richieste e la loro soddisfazione
lo aiuta meglio a crescere.
Di fronte alle richieste non immediatamente soddisfatte e alle reazioni di protesta del bambino, la “madre buona abbastanza” cerca di contenere queste ultime in modo gentile, ma fermo, facendo
tuttavia in modo che il rapporto non perda mai trasporto e calore. Il mancato soddisfacimento immediato delle richieste
del bambino lo induce a compensare la
temporanea deprivazione con una maggiore attività mentale e un accrescimento
delle capacità di agire. In tal modo il bambino impara a controllare per crescenti
periodi di tempo sia le esigenze del proprio Io sia le tensioni istintuali, mentre
emerge e si afferma il senso della realtà e la madre viene via via sempre più
percepita come una persona separata,
contribuendo a sviluppare la capacità di
stare da solo.
La “madre buona abbastanza” comincia con un quasi completo adattamento ai bisogni del proprio bambino; poi,
con il trascorrere del tempo, lo fa sempre meno, gradualmente, secondo le crescenti capacità dell’infante di affrontare
le sue omissioni”3. Mediante sospensioni date in piccole dosi e nei tempi opportuni, la madre aiuta dunque il bambino a sviluppare un proprio importante senso di indipendenza.
Un’avvertenza è importante: dare sempre
al bambino il senso di un delicato allentamento del rapporto, e non il trauma di
essere bruscamente abbandonato.
1. Gerhardt S., Perché, si devono amare i
bambini, Raffaello Cortina Editore,
2006.
2. Gerhardt S., Ibidem.
3. Winnicott D.W., Collected Papers:
Trough Paediatrics to Psycho-Analysis,
London, Tavistock Publications, 1958.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010
non può assicurare una piena disponibilità, il bambino può crescere nella convinzione che egli stesso non dovrebbe
provare sentimenti, dal momento che
la propria mamma non si accorge o non
mostra di essere interessata a quello che
lui prova.
14
CAPITOLO 6
Illustrazione da:
Valeri Gorbachev,
Tommaso e i cento lupi
cattivi,
Nord-Sud Edizioni, 2007.
ELLA STANZA di ogni bambino ci sono spesso dei fantasmi: “sono i visitatori del
passato non ricordato dei
genitori... Nelle situazioni migliori questi visitatori, ostili e non invitati, vengono cacciati dalla stanza e ritornano
alla loro dimora sotterranea. Il bambino fa la sua imperativa richiesta di amore al genitore e, proprio come nelle fiabe, i legami d’amore proteggono il
bambino e i suoi genitori dagli intrusi,
i fantasmi maligni”1.
Ma non sempre questo accade: i fantasmi maligni del passato dei genitori si
insediano nella stanza dei bambini impedendo l’instaurarsi di un vero rapporto d’amore, fondamento di uno sviluppo emotivo armonico.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010
N
Selma Fraiberg, studiosa inglese cui si
deve l’espressione che regge il titolo di
questo capitolo, nel volume citato, riporta un caso che fa ben comprendere come il passato infantile di un genitore possa compromettere il rapporto
con il proprio figlio e come questo rapporto possa rifiorire ricuperando alla coscienza gli eventi del passato, passo essenziale per arrivare ad annullarne gli effetti negativi nel presente.
Il caso è quello di Mary.
Il pianto di Mary
Mary ha cinque mesi e mezzo quando giunge all’osservazione della dottoressa Fraiberg e del suo gruppo di
lavoro presso l’Infant Mental Health
Program (Programma per la salute
mentale dell’infante). La madre di
Mary, la signora March, viene descrit-
ta come una “madre rifiutante”.
“Fin dal primo incontro c’erano motivi di forte preoccupazione per Mary.
A cinque mesi e mezzo portava tutte
le stigmate di un bambino che aveva
trascorso la maggior parte della propria vita in una culla ricevendo soltanto
le cure strettamente indispensabili. Era
adeguatamente nutrita e fisicamente
curata, ma la sua nuca era calva. Mostrava poco interesse per ciò che la circondava, era indifferente, troppo silenziosa. Sembrava avere solo un tenue collegamento con la madre. Sorrideva raramente. Non si avvicinava
spontaneamente a sua madre attraverso il contatto visivo o gesti di avvicinamento. C’erano poche vocalizzazioni spontanee. In momenti di sconforto e angoscia non si rivolgeva alla
È ormai divenuto un concetto comune che alla
struttura portante della vita emotiva
di ogni essere umano contribuiscono in modo
determinante le esperienze infantili.
Di queste, spesso, si finisce per non ricordare
più nulla; eppure esse non vengono dimenticate:
rimangono impresse nel nostro intimo e danno
in gran parte forma al nostro sentire e al nostro agire.
madre. Quando, durante la visita, un
suono inatteso infranse la sua soglia
di tollerabilità, Mary cadde in uno stato di terrore.
Anche la madre sembrava chiusa in un
terrore privato, remoto, rimosso, dimostrandoci tuttavia rari sprazzi di una
capacità di accudimento. Per settimane ci siamo aggrappati a una minuscola scena catturata dalla telecamera: la bambina faceva un goffo tentativo di avvicinamento alla madre, e la
mano della madre spontaneamente si
muoveva verso la bambina. Le mani
non si sono mai incontrate, ma il gesto simbolizzava per il terapeuta una
ricerca reciproca, e ci siamo aggrappati
a questa speranza simbolica.
Nel corso di una seduta registrata,
Mary comincia a piangere, disperatamente: è tra le braccia della madre, ma
non le si rivolge per essere consolata,
come di solito fanno tutti i bambini.
La madre sembra distante, assorta in
se stessa. Compie un gesto assente
per consolare la bambina, poi smette. Allontana lo sguardo. Le urla della bambina continuano per cinque
strazianti minuti. Esaminando successivamente il nastro della registrazione
Selma Fraiberg e i suoi collaboratori si
dicono: «È come se questa madre non
sentisse le urla della sua bambina».
Questa riflessione ha fatto sorgere la
domanda diagnostica cruciale: «Perché questa madre non sente il pianto della sua bambina?».
muoveva avanti e indietro tra la sua
bambina – “Non posso amare Mary”
– e la propria infanzia – “Nessuno mi
voleva” – la terapeuta apriva dei sentieri all’espressione dei sentimenti…,
dando alla signora March il permesso
di sentire e di ricordare i propri sentimenti. Doveva forse essere stata la prima volta nella vita della signora March
che qualcuno le dava questo permesso. E, lentamente, iniziarono a emergere
il dolore, le lacrime e l’angoscia inesprimibile per se stessa, bambina rifiutata. Alla fine fu un sollievo riuscire a
piangere, una consolazione sentire di
essere capita dalla propria terapeuta. E
ora, a ogni seduta, la terapeuta assisteva
al verificarsi di qualcosa di veramente
incredibile tra madre e figlia.
I fantasmi
della madre di Mary
La madre
ritrova Mary
Da approfondite indagini successive, la
madre di Mary risultò essere stata una
bambina abbandonata dalla madre e
cresciuta emarginata in una famiglia a
sua volta socialmente e affettivamente
emarginata, una madre i cui pianti di
bambina non erano mai stati ascoltati.
La sua storia, inizialmente, l’aveva raccontata come un succedersi di fatti, senza visibile sofferenza, senza lacrime. Tutto ciò che era visibile era lo sguardo triste, vuoto, disperato sul suo volto. Aveva chiuso la porta alla bambina che
piangeva dentro di sé come sicuramente aveva chiuso la porta alla sua
bambina che piangeva. Questo ci ha
portati – scrive Selma Fraiberg – alla prima ipotesi clinica: «Quando i suoi pianti verranno ascoltati, questa madre
ascolterà i pianti di sua figlia?»”.
All’inizio della terapia, se Mary richiedeva attenzione, la madre si alzava nel
mezzo del colloquio per cambiarla o
portarle il biberon. Più spesso la bambina veniva ignorata se non era lei a
richiamare l’attenzione. Ma, appena la
signora March cominciò a ottenere il
permesso di ricordare i propri sentimenti, di piangere, e di sentire il conforto e la simpatia della terapeuta, la
osservavamo avvicinarsi alla sua bambina nel bel mezzo dei suoi sfoghi.
Prendeva in braccio Mary, inizialmente distaccata e assorta in se stessa, ma
la teneva. E poi, un giorno, ancora nel
primo mese di trattamento, la signora March, nel mezzo di uno sfogo di
dolore, sollevò Mary, la tenne stretta
stretta, e le si rivolse canticchiano dolcemente con voce commossa. E questo è poi accaduto di nuovo, diverse
volte, negli incontri successivi. Dopo es-
Mentre la storia della signora March si
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010
15
16
CAPITOLO 6
sersi sfogata per i vecchi dolori accoglieva la bambina fra le sue braccia. I
fantasmi cominciavano ad andarsene
dalla stanza della bambina.
Il legame tra la madre e la bambina era
emerso. E la bambina stessa stava rafforzando questi legami. Ai gesti di affetto della madre ricambiava con generose risposte d’amore. Era la prima
volta, così pensavamo, che la signora
March sentiva di essere adorata da
qualcuno.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010
Non tutti i problemi della madre e della bambina erano risolti: quello raggiunto non era il traguardo, bensì il punto di partenza verso una normalità che
richiedeva ancora molto lavoro terapeutico; tuttavia, una volta formato il legame, quasi tutto il resto poteva risolversi. Quello che è stato importante, nel
caso della signora March, è stata la possibilità di aiutarla a vedere i collegamenti
tra il passato e il presente e a mostrarle come, senza rendersene conto, avesse portato le sofferenze del suo passato nella relazione con la sua bambina.
I fantasmi nella stanza dei bambini non
sono sempre visitatori facilmente sospettabili attraverso il riflesso di comportamenti genitoriali vistosamente generatori di sofferenza. Ve ne sono di particolarmente subdoli, spesso paludati di
buone intenzioni e di finto amore.
Dalle ricerche e dalle riflessioni di un’altra importante studiosa delle cause delle sofferenze dei bambini, Alice Miller 2,
si possono ricordare due esemplari storie di vita compromesse da legami (o
mancanza di legami) con genitori carichi di residui negativi ricevuti, a loro volta, dai loro padri e dalle loro madri. Una
storia riguarda il grande poeta e drammaturgo tedesco Friedrich von Schiller
Friedrich Schiller soffrì nell’infanzia
per un padre che gli soffocò
sentimenti e gioia di vivere
all’insegna delle necessità di una
rigida disciplina militare di cui egli
gnificava per lui sforzarsi di soffocare le
espressioni spontanee, creative e la gioia
di vivere del figlioletto”, che, a tredici
anni, spedì all’accademia militare. Qui
il giovane Schiller per otto anni soffrì
enormemente della ferrea quanto insensata e crudele disciplina tipica di
quella nazione e di quell’epoca (e non
solo). Divenne un giovane uomo malato: “Per dare espressione al suo stato
di bisogno, egli non trovò altro rifugio
se non nella lingua della malattia, la muta lingua del corpo che nessuno per centinaia di anni volle mai capire”. Nella sua
stanza di bambino prima, in quella all’accademia militare poi, il fantasma maligno aveva assunto la subdola parvenza della “necessità” della disciplina, della sottomissione all’autorità.
stesso era stato vittima.
(1759-1805), l’altra il non meno importante narratore francese Marcel
Proust (1871-1922).
Il fantasma
della disciplina
Friedrich Schiller trascorse i primi decisivi tre anni di vita da solo accanto a una
madre amorevole con cui potè sviluppare la propria personalità e i grandissimi talenti di cui era dotato. Quando
ebbe quattro anni, il padre tornò a casa da una lunga guerra (era ufficiale medico). Uomo severo, impaziente, iracondo, ottusamente caparbio, non è
difficile immaginare che nel fondo della sua memoria giacessero non ricordate
esperienze di dura educazione, come allora si usava e come si può dedurre dalla scelta della vita militare. “Educare si-
“Schiller, in tutta la sua opera, da i Masnadieri al Guglielmo Tell, ha ininterrottamente combattuto l’esercizio della violenza cieca esercitata dall’autorità, suscitando in molti cuori, grazie alla potenza della lingua, la speranza che
quella battaglia un giorno potesse essere vinta. Ma lui stesso non è mai consapevole, in nessuna delle sue opere, del
fatto che la ribellione contro gli assurdi ordini impartiti dai potenti traevano
alimento dalle precoci esperienze del
suo corpo. La sofferenza provocata in
lui dal padre che esercitava un potere
incomprensibile e terrorizzante lo aveva spinto a scrivere, ma egli non riuscì
mai a riconoscere quella motivazione.
Volle scrivere opere letterarie grandi e
belle, volle dire la verità attraverso personaggi della storia, e ciò gli riuscì in
modo straordinario. Tacque soltanto la
verità della propria sofferenza causatagli dal padre, che rimase nascosta a lui
stesso fino alla morte precoce, un segreto per lui e per la società che lo am-
17
L’inautenticità
dei sentimenti
cupava molto per lui, ma voleva decidere fin nei minimi particolari tutto
quanto lo riguardava, voleva imporgli le
relazioni che riteneva giuste, poteva permettergli o proibirgli ciò che doveva fare quando già aveva diciotto anni, voleva che lui fosse il figlio di cui lei aveva bisogno: dipendente e malleabile”2.
Marcel Proust, subito dopo la morte della madre, in una lettera a un amico scrisse: “Mi sa così incapace di vivere senza
di lei […]. La mia vita ha perduto ormai
il solo scopo, la sola dolcezza, il solo
amore, la sola consolazione che avesse.
Ho perduto colei che con la sua incessante vigilanza mi portava, con la pace
e l’affetto, il solo miele della mia vita […].
Ho bevuto alla fonte del dolore […]. Come diceva la suora che la curava, per lei
io avevo sempre quattro anni.
In realtà, quello che la madre dello scrittore continuamente riversava su di lui,
era solo attenzione a che si comportasse
bene, come si conveniva nella società
del tempo. Scrive Proust, che ha espresso la sua sofferenza anche nell’asma
di cui pativa: “Inspiro troppa aria e non
posso espirarla, tutto ciò che lei mi dà
deve essere per me una buona cosa, anche se mi soffoca”.
“A suo modo, lei lo ‘amava’. Si preoc-
La madre di Proust apparteneva alla
Paolo Cajelli © 2009
Marcel Proust, ossessivamente accudito da una
madre in cui ricercò sempre, ma inutilmente, una
autenticità dei sentimenti
che ella non poteva dare
per l’educazione formale
e affettivamente inautentica nella quale era stata a
sua volta allevata.
Illustrazione: Paolo Cajelli.
buona borghesia e la sua principale
preoccupazione era quella di svolgere
nel modo migliore “il ruolo di moglie
di un medico di buona reputazione, onde godere la stima della società al cui
giudizio teneva molto. L’originalità e la
vivacità del figlio costituivano una provocazione che lei voleva a tutti i costi
togliere di mezzo”. Dentro di lei operava costantemente un’educazione che
fin dall’infanzia imponeva che per essere accettati bisogna osservare le convenienze e quelle della sua classe sociale
erano particolarmente formali e sentimentalmente inautentiche, lontane da
quel vero amore che il piccolo Marcel
cercava invano nelle pur assidue attenzioni della madre.
L’inautenticità dei sentimenti più profondi è stato il fantasma che ha frequentato per lungo tempo la stanza del
piccolo Proust, inautenticità che egli non
ha voluto riconoscere nella madre , ma
che ha colpito nella società che ha descritto in seguito, dopo la morte della
madre, nella sua opera principale: La ricerca del tempo perduto, in cui si può
immaginare una pervasiva domanda:
“Mamma, perché tutte queste persone sono più interessanti di me? Non vedi come sono vacue, snob? Perché tu
dai così poca importanza alla mia vita,
alla nostalgia che ho di te, all’amore che
ti porto? Perché ti sono di peso?”.
1. Fraiberg S., Il sostegno allo sviluppo,
Raffaello Cortina Editore, 1999.
2. Miller A., La rivolta del corpo. I danni di un’educazione violenta, Raffaello
Cortina Editore, 2005.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010
mira da secoli prendendolo a modello
poiché egli ha combattuto con le sue
opere per la libertà e la verità”2.
18
CAPITOLO 7
L’attenzione nel bam-
UTTI I GENITORI ormai sanno che per migliorare nei
bambini le capacità di comprendere, di provare emozioni e sentimenti, per stimolare la loro creatività e la loro immaginazione, per
insegnar loro a vivere con gli altri, un
mezzo di grande importanza è rappresentato da una frequente, se non addirittura quotidiana, pratica di intrattenimento con racconti e letture ad alta
voce di storie, fiabe o altro di adatto secondo l’età.
T
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010
Molti genitori, più o meno esplicitamente, con le letture condivise con i loro bambini, mirano anche ad accelerare l’apprendimento della lettura e della scrittura. È un obiettivo legittimo, purché non sia il principale e neppure posto con eccessivo anticipo rispetto alle
reali possibilità dei piccoli. Si può dire
che gli si può dedicare una crescente attenzione a partire dalla fine della scuola dell’infanzia, nel passaggio verso la
scuola primaria.
Imparare a leggere è un processo che
richiede fatica e tempo. Fin dalla prima
infanzia i bambini amano, e traggono
vantaggio, dall’ascolto di filastrocche,
poesiole, fiabe e racconti di crescente
lunghezza e complessità a mano a mano che il tempo passa, comprendendo,
nelle letture ad alta voce, che le parole vanno insieme con dei segni stampati
e che questi segni hanno un significa-
bino può essere
stimolata in vari
modi. Certamente
uno dei più efficaci è
la narrazione e la lettura ad alta voce.
Illustrazione da:
Klaas Verplancke,
Gigante, ZOOlibri,
2007.
to; la comprensione del significato delle parole ascoltate è facilitata dalle illustrazioni che le accompagnano (oggetti,
esseri animati, paesaggi) elementi che
la mamma o il papà che legge non
mancherà di indicare e di spiegare avviando a poco a poco il figlio verso la
rappresentazione astratta di quanto
ascolta. Lungo tale percorso, il bambino sarà facilitato a entrare nel primo
mondo dell’istruzione, la scuola primaria, dove l’apprendimento della lettura
diventa obiettivo principale, affidato all’azione didattica di professionisti il cui
compito non è soltanto quello di rendere i bambini semplicemente capaci di
leggere, ma soprattutto capaci di leggere per imparare.
Un effetto non secondario della pratica della narrazione e della lettura ad alta voce ai e con i bambini in età prescolare è rappresentato dall’incentivazione dell’amore per i libri che, se alimentato in questa fase della vita, dura
di solito per sempre. Per rafforzare questo effetto, qui di seguito sono elencati alcuni suggerimenti utili per far entrare nell’intelligenza, nella sensibilità e
nelle abitudini dei bambini lo spirito di
conservazione del libro come amico tangibile e sempre disponibile, un vero e
proprio compagno di vita.
19
Senza libri propri è più difficile
imparare a leggere per imparare.
■ Assegnare al bambino una piccola
■ Incoraggiare e aiutare il bambino a
libreria in cui, fin da piccolissimo,
possa trovare i “suoi” libri, prenderli
e riporli con facilità.
“costruire” propri libri con i suoi disegni e scarabocchi a imitazione della scrittura, collage di elementi ritagliati da pubblicazioni e anche materiali vari come stelline, granelli colorati, pezzettini di corda e quanto
di non pericoloso gli è disponibile
nell’ambiente in cui vive.
■
Consentire ai bambini di riporre i
propri libri fra quelli dei genitori a cui
normalmente attribuiscono un valore particolare e che trasferiscono
ai propri.
tutti possono attingere, lui compreso non appena imparerà a leggere.
■ Nell’ arricchire la bibliotechina del
bambino inserire qualche volumetto molto illustrato che guidi a semplici attività della vita quotidiana come cucinare, lavorare il legno, coltivare i fiori e così via.
■ Molto stimolante risulta l’incorag-
gliere il libro che più desidera che gli
venga letto, anche se per lungo tempo è sempre lo stesso e di cui alla
fine l’adulto è naturalmente sommamente annoiato.
giamento e l’aiuto a fare dei segnalibri di vari colori da inserire nei
libri che il bambino a mano a mano riceve.
■ Far frequentare librerie e biblioteche
leggono abitualmente. Il bambino è
un forte imitatore, specialmente dei
comportamenti dei genitori.
pubbliche instaurando così la conoscenza che esiste un mondo di libri aperto a tutti, sia per acquistare
sia per consultazioni e prestiti gratuiti.
■ Quando il bambino è già grandicello
■ Far partecipare il più possibile il bam-
e capisce il significato di un’eventuale paghetta, e quindi il valore del
denaro, mettere in evidenza che una
parte del suo gruzzolo viene usata
per acquistare libri per lui: in tal modo il valore si trasferisce dal denaro
al libro.
bino alle frequenti manifestazioni
che si svolgono nelle librerie per
bambini e ragazzi.
■ Dare l’esempio che mamma e papà
■ Invitare amici e parenti a regalare al
bambino libri in occasione di feste
tradizionali e di anniversari, limitando il più possibile soprattutto i giocattoli elettronici e alla moda.
■ Collocare un dizionario a portata di
mano, nel luogo dove si racconta
e si legge al bambino, e consultarlo frequentemente quando si incontrano parole che il bambino non
conosce; è un’operazione che fa
comprendere al bambino che esiste un forziere in cui sono racchiuse tutte le parole del mondo e a cui
■ Raccogliere i libri che il bambino che
cresce non legge più, rimetterli in ordine in modo che siano ancora presentabili, farne una confezione dignitosa e, in sua compagnia, portarla, come un dono prezioso a famiglie amiche, alla biblioteca dell’asilo o della scuola dell’infanzia, a
un reparto pediatrico di un ospedale,
all’oratorio della parrocchia od ovunque si è sicuri che vi è interesse a riceverli.
■ Incoraggiare il bambino e aiutarlo a
tenere un elenco dinamico, cioè
puntualmente aggiornato, dei libri
che gli vengono letti; eventualmente, per ogni titolo registrato, con
un breve commento e un ricordo di
quando è stato letto. Sarà uno strumento utile, quando sarà adulto per
essere un genitore migliore ricordando la propria infanzia, i propri bisogni di allora, le parole e le immagini che hanno colorato le origini
della propria personalità.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010
■ Lasciare che sia il bambino a sce-
20 Libri in vetrina
A cura di WALTER FOCHESATO
I fantasmi nella stanza
dei bambini
MAURICE SENDAK
Nel paese dei mostri
selvaggi
Babalibri,
Pagg. 48, 12,50 euro
Un grande e indubitabile classico, un’opera sapiente e intrigante, ricchissima
di echi e di occasioni. Mandato a letto
senza cena, Max vede la sua cameretta trasformarsi in una foresta, per lui inizia così un lungo viaggio alla ricerca di
se stesso. Da quest’opera è stato tratto, pochi mesi or sono, l’ottimo film Nel
paese delle creature selvagge di Spike
Jonze, con la stretta collaborazione dello stesso Sendak.
PHILIPPE CORENTIN
Papà
Babalibri, 1999
Pagg. 32, euro 11,50
Un cucciolo di mostro e un bambino si
preparano per andare a nanna, il fatto
è che si ritrovano nello stesso letto e,
per ognuno di loro, c’è un “diverso” per
cui aver paura e strillare. Alla fine si divideranno in santa pace il sonno e il letto. Pagina dopo pagina, un continuo
susseguirsi di sorprese in un libro ricco
di ironia e di dolcezza.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010
La mente dei bambini
fra realtà e fantasia
STEFANO DISEGNI
Illustrazioni di ALBERTO RUGGIERI
L’erba voglio
Franco Cosimo Panini, 2009
Pagg. 36, euro 16
Bell’album in gran formato con una divertente e fresca storia, assai ben illustrata. È la storia di un bambino che,
grazie alle virtù di una pianta, scopre di
poter realizzare tutti i suoi desideri, anche quelli appena pensati. Naturalmente
tutto ciò darà vita ad una serie di equivoci e di guai finché capirà che “volere tutto subito e ottenerlo non è detto
che sia una cosa bella”.
HELEEN VAN ROSSUM
Illustrazioni di TIJN SNOODIJK
Un Buongiorno Perfetto
ZOOlibri, 2006
Pagg. 26, 11,50 euro
Quando al mattino Piùdiuno si sveglia
prima di alzarsi deve rassettarsi, mettere
a posto tutti i suoi pezzi. Fatto l’inventario si accorge che manca qualcosa:
aveva lasciato, proprio lì sul comodino,
il suo ombelico. Caratterizzato da un segno sobrio ed efficace e graficamente
modernissimo, il volume riesce a coniugare elementari informazioni sul come siamo fatti con un continuo scatto
fantastico venato di surrealismo.
TARO GOMI
Vai a fare il bagno!
Kalandraka, 2009
Pagg. 32, 15 euro
Ben noto anche in Italia per la fortunata
serie degli Scarabocchi, edita da Corraini, Taro Gomi ci regala un impagabile albo illustrato dedicato alla vita quotidiana del bimbo e alle sue faticose
conquiste. Ma tutto viene costruito con
grande fantasia e capacità d’invenzione. Il segno dell’autore, lineare e pacato, si accende di divertiti lampi di ironia e vivida festosità.
Esperienze e memorie
ALFREDO STOPPA
Illustrazioni di SONIA M.L. POSSENTINI
Grande o piccolo?
La Margherita Edizioni, 2009
Pagg. 28, 16 euro
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in Grande o piccolo un testo essenziale ma raffinato e intenso accompagna
le grandi e delicate tavole a colori della Possentini. “Lui” è un bambino che
di volta in volta, nel dialogo non sempre fruttuoso con mamma e papà, viene considerato ora grande per certe cose, ora decisamente piccolo per altre.
“È tardi. E poi sei già troppo grande per
giocare con un pupazzo!”. “Mettiti a
dormire, che sei piccolo ancora e poi hai
paura del lupo”.
GIUSI QUARENGHI
BEATRICE MASINI
Illustrazioni
di ANTONGIONATA FERRARI
Manuale di buone maniere
per bambine e bambini
Rizzoli, 2009
Pagg. 58, 12,50 euro
Le vivacissime filastrocche della Quarenghi e i pacati commenti in prosa della Masini danno vita ad un libro fresco
e arguto, perfetto per essere letto insieme da adulti e bambini. Perfetti i numerosi disegni al tratto di Ferrari, incalzanti e vivacissimi.
THIERRY ROBBERECHT
Illustrazioni di PHILIPPE GOOSSENS
Come far amare la lettura
BRIAN LIES
Pipistrelli in biblioteca
Il Castoro, 2009
Pagg. 32, euro 13,50
Basta una finestra lasciata aperta per
sbaglio e arriva la notte tanto attesa per
tutti i pipistrelli: entrare in biblioteca e
scoprirne i tesori, leggere storie bellissime, guardare le figure, divertirsi e incantarsi. Fino all’arrivo dell’alba e nella
speranza che un giorno un’altra finestra
rimanga socchiusa.
MONIQUE FELIX
C’era una volta un topo
chiuso in un libro…
Emme Edizioni, 2009
Pagg. 28, euro 6,50
Ritorna finalmente in libreria un piccolo grande classico moderno, pubblicato per la prima volta nel 1981. Un volumetto rigorosamente senza parole. Un
simpaticissimo topolino che, rinchiuso
in un libro, comincia a rosicchiarne i bordi e man mano vede apparire un bellissimo paesaggio di campagna. Decide allora, per scoprire il mondo, di costruirsi con la pagina un piccolo aeroplano di carta.
Piccoli fantasmi
MONIQUE FELIX
Seconda storia di un topo
chiuso in un libro…
Emme Edizioni, 2009
Pagg. 28, euro 6,50
Questa volta il nostro piccolo eroe,
nuovamente alle prese con un libro,
scopre il mare ed è quindi obbligato a
realizzare, in tutta fretta, una barchetta. Ho sempre pensato che questi due
deliziosi libretti fossero, nel loro invito
a scoprire il mondo, una perfetta metafora attorno ai tesori che si possono
trovare nei libri.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010
ZOOlibri, 2006
Pagg. 26, 12,50 euro
Caratterizzato dalle calde e tenere illustrazioni di Goossens, l’albo ci racconta di una piccola disavventura. Rimasta
sola in casa la piccola protagonista vuol
giocare con la collana della mamma (cosa che le è stata vietata). La fa cadere
e tutte le perle rotolano per terra. È indecisa se confessare o no quel che ha
combinato ma ecco che dalla sua bocca esce “il fantasma delle parole mai
dette. Ripeto le parole che i bambini
non hanno il coraggio di dire”.
22
Lo sviluppo in Italia
Accoglienza
Educazione
Integrazione
Un progetto
GSK - Regione
del Veneto
ell’ambito di una convenzione stipulata nel 2006 fra
l’Assessorato alle Politiche
Sociali della Regione del Veneto e GlaxoSmithKline, Progetto “Leggere per Crescere”, è stata promossa
nella Regione una serie di 21 corsi di formazione per 1.310 educatrici di asilo nido e insegnanti delle scuole dell’infanzia, nei bienni 2006-2007 e 2007-2008,
sul perché, come e che cosa leggere ad
alta voce ai bambini in età prescolare.
I risultati ottenuti hanno stimolato le
parti a proseguire nella collaborazione
dedicandola ai problemi di accoglienza,
educazione e integrazione dei bambini stranieri negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia di otto comuni della Regione, puntando su corsi di formazione prevalentemente rivolti alla promozione del linguaggio, a livello sia dell’apprendimento dell’italiano sia della
valorizzazione delle lingue materne
delle famiglie immigrate.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010
N
La scelta del tema principale dei corsi
di formazione per il biennio 2008-2009
è stata dettata dalla considerazione che
il passaggio fra rischio di esclusione e
integrazione può essere favorito nei
bambini stranieri in vari modi, ma uno
appare fra i più efficaci: lo sviluppo di
un linguaggio comune ai coetanei del
Paese di accoglienza nei primi anni di
vita, possibile soprattutto nelle strutture maggiormente adatte alla socializzazione quali sono tradizionalmente, al di fuori della famiglia, gli asili ni-
do e le scuole dell’infanzia.
Il linguaggio non è soltanto il mezzo per
comunicare fra esseri umani; è anche
lo strumento mediante il quale l’uomo
elabora, rappresenta, condivide la realtà che lo circonda, il proprio modo di
sentire, di pensare, di essere, di appartenere alla comunità in cui conduce la
propria esistenza.
Lo sviluppo di un linguaggio comune
può dunque essere considerato un presupposto essenziale in ogni processo di
integrazione, presupposto tanto meglio
costruibile nei bambini quanto più viene fondato su attività educative specifiche, modulate secondo e in armonia
con i loro stadi di sviluppo.
Fra le possibili attività favorevoli ai processi di integrazione attraverso lo sviluppo del linguaggio e l’apprendimento della lingua del Paese di accoglien-
za, un ruolo di grande efficacia è unanimamente riconosciuto alle narrazioni e alle letture ad alta voce.
Infatti, un racconto, una lettura, un’illustrazione sono nello stesso tempo uno
specchio, nel quale il bambino si può
guardare e riconoscersi, ma sono anche
una finestra attraverso la quale egli vede il mondo e le persone con le quali
deve interagire e possibilmente integrarsi.
Inoltre, la narrazione e la lettura ad alta voce, se opportunamente scelte, offrono al bambino (naturalmente non solo al bambino straniero, ma anche ai
suoi coetanei italiani) maggiori possibilità di costruire dentro di sé una visione delle cose, della loro varietà e delle
loro diversità, in larga misura sgombra
da pregiudizi, presupposto di una qualità imprescindibile della convivenza: la
tolleranza, forte antiveleno contro ogni
23
dentità originaria, dall’altra non accettato nella società di accoglienza, in
quanto ritenuto estraneo anche per l’insufficiente padronanza della seconda
lingua.
Nell’operazione prevista nella citata
convenzione è stato considerato con
particolare attenzione anche il fenomeno del bilinguismo e i problemi che
vi sono sottesi. Parlare una lingua significa esprimere un modo di essere e
di pensare di una particolare comunità, quella che parla lo stesso idioma,
condizionato dall’ambiente, dalla storia
attraverso la quale si è sviluppato nel
corso di secoli, ed è legato per ogni individuo ai ricordi, alla convivenza con
genitori, nonni, fratelli, amici.
In tempi ben lontani, il filosofo tedesco
Georg Christoph Lichtenberg (17421799), attento ai valori umani e critico
di ogni forma di fanatismo, ha scritto:
“conoscere una lingua a fondo significa conoscere a fondo il popolo che la
parla”. Anche su questo assunto sono
stati informati i corsi di formazione oggetto dell’intesa fra Regione del Veneto e GlaxoSmithKline. Le ragioni di questa scelta possono essere riassunte in
poche righe.
Appartenere a una cultura è fondamentale per la strutturazione della
personalità: è una caratteristica e una
necessità dell’essere umano quella di
condividere valori, tradizioni, costumi di
una definita società in cui vivere, pensare, venire pensato e accettato per
quello che si è nei propri pensieri, nelle credenze, nei sentimenti, nei comportamenti.
Il bambino immigrato si trova sospeso
al bivio fra due possibilità: essere emarginato, in quanto portatore di una lingua diversa da quella dominante; oppure essere esposto al rischio-necessità di abbandonare la lingua di origine
per inserirsi nella società che lo accoglie,
adottandone i caratteri che la distinguono: in sostanza, a rinunciare alla propria prima identità. Esiste una terza possibilità: quella di rimanere senza nulla
e venire, da una parte, privato, con la
perdita della lingua dei padri, dell’i-
In questo quadro è stata anche inserita la proposta di partecipazione rivolta
ai familiari (i genitori, in primo luogo)
dei bambini accolti negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia sedi delle operazioni descritte, nell’ottica di favorire una
contiguità se non proprio una continuità
fra le esperienze educative al di fuori
della famiglia (negli asili nido e nelle
scuole dell’infanzia) e i vissuti entro le
mura domestiche.
Il proposito è stato quello di mettere in
atto situazioni che favorissero la cono-
Queste necessità vanno comprese da
parte di educatrici e insegnanti ed è in
questa direzione che sono stati diretti i
corsi di formazione, orientati a consentire ai bambini (soprattutto ai figli di
genitori immigrati di prima generazione) di costruire la propria identità favorendone lo sviluppo mediante la valorizzazione delle due lingue, di origine e di accoglienza, e delle rispettive culture, a partire dal loro rispetto e dall’incentivazione a coltivarle ed eventualmente condividerle con i coetanei
italiani.
scenza-ponte fra persone di diversa cultura (per lo più esposte a condizioni di
reciproca separatezza e di emarginazione sociale) finalizzate al riconoscimento dei loro valori quali sono espressi dal loro patrimonio di favole, miti, leggende.
I metodi e i mezzi per conseguire tali finalità non sono mai predittivamente
ipotizzabili astrattamente, a prescindere dalle realtà locali, da cui è sempre necessario partire per dar vita a specifiche
occasioni di aggregazione multiculturale
in cui promuovere i due principi che
hanno ispirato tutta l’operazione posta
in opera dalla Regione del Veneto e da
GlaxoSmithKline: 1. la valorizzazione
delle culture altre e l’arricchimento derivabile per tutti dalla loro conoscenza;
2. il sostegno del bilinguismo famigliare (parallelamente all’apprendimento
dell’italiano) come fattore importante
non solo per lo sviluppo dell’identità
personale, ma anche per il mantenimento degli equilibri dei legami affettivi all’interno delle famiglie.
La necessità di tener conto delle diverse realtà locali ha suggerito di delineare e concretizzare alcune iniziative rivolte
ai familiari, successivamente ai corsi di
formazione e sulla base delle indicazioni
fornite dalle educatrici e dalle insegnanti
che vi hanno partecipato.
Nell’ambito dei corsi di formazione, alle educatrici e alle insegnanti sono stati illustrati metodi e mezzi per sostenere, nei piccoli stranieri loro affidati, lo sviluppo del linguaggio e l’acquisizione dell’italiano, con il compito di registrarne le progressioni in funzione dei metodi utilizzati e delle iniziative individualmente e collettivamente intraprese.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2010
forma di discriminazione. Considerazione questa, tanto più importante in
quanto l’integrazione è un processo bidirezionale: il bambino straniero verso
il bambino italiano e viceversa.
Tutti gli operatori
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GlaxoSmithKline (GSK) è una multinazionale farmaceutica basata sulla ricerca presente in Italia dal 1932.
Oggi nel Paese GSK comprende tutte le componenti industriali del ciclo economico aziendale: la ricerca, la produzione, il marketing
e la vendita dei farmaci, dei prodotti da banco e di largo consumo.
Nell’ambito delle proprie iniziative a favore della comunità, GSK sviluppa in Italia dal 2001 interventi a favore dei bambini e degli anziani con il programma di responsabilità sociale “Salute & Società”.
Periodico del Progetto “Leggere per Crescere” - Registrazione del Tribunale di Verona n. 1602 del 17/6/2004 - Direttore responsabile Romolo Saccomani
© GlaxoSmithKline 2010
■ Progetto editoriale e testi Garamond SAS, Milano ■ Grafica TypeDesign, Milano ■ Redazione Luciana Bozzotti ■ Stampa Cortella S.p.A., Verona
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