o Bulgarelli
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o Bulgarelli
primo piano o Bulgarelli, n uomo vero Qui sopra, Bulgarelli con Sandro Mazzola prima di una partita. A sinistra, con Rivera, Pagani, Campana, De Sisti e Giacomini in uno dei primi storici Consigli Direttivi. mo giusto a Bologna. Fu proprio Bulgarelli quello che più si attivò per organizzarla, ricordo che ci trovammo nella sede di un club di tifosi, poco lontano dalla stazione. Fu lui dunque a telefonarmi da quel ritiro della Nazionale, subito gli dissi che intanto volevo pensarci un po’, ma dentro di me già sapevo che avrei accettato”. Giancarlo De Sisti “Sul piano umano, per quelli che sono stati i rapporti fuori dal campo, ho il ricordo di una persona magnifica, molto ma molto intelligente, già guardandoti pareva capisse quel che gli volevi dire, prima insomma di cominciare a parlargli. Era uno sempre pronto a fare il giocherellone ma quando c’era da rimboccarsi le maniche, da stare lì sul pezzo, era molto serio. Anche lui ha dato una mano a far nascere l’Associazione Calciatori e per le riunioni era sempre disponibile, anche a costo di rinunciare a qualche lunedì libero. Sul campo era per me un artista e lo dico io che lì a Roma ero cresciuto vedendo e imparando da Schiaffino, quel suo intuito lì in mezzo al campo, quella sua capacità tattica. Giacomo era un po’ più vecchio di me e per quello che era anche il mio ruolo, l’ho sempre considerato uno dei miei punti di ri- ferimento. I primi anni aveva ancor più la voglia di fare gol e gli riusciva pure, ma sapeva anche bene distribuire palla, nel breve e nel lungo, offrire assist. Poi con gli anni ha arretrato il suo raggio d’azione, diventando però ancor più geniale, era uno di quelli che era proprio difficile superare proprio per come sapeva stare in campo. Devo dire che come lo era stato sul campo, per me Bulgarelli è stato poi un punto di riferimento anche come commentatore televisivo. Lui ha lasciato la Nazionale dopo la Corea dove si fece male a un ginocchio che poi ha continuato a tormentarlo. Se si provasse a mettere assieme una scaletta dei centrocampisti ideali, io penso che Giacomo sarebbe senz’altro da mettere tra i primissimi posti”. più che volentieri, ma quando c’era poi da fare sul serio era sempre davanti. Era un tipo anche tosto, nello spogliatoio non era di quelli che lasciavano perdere, insisteva sulle cose che si dovevano fare, come le si dovevano fare. Era un centrocampista completo: sapeva difendere, lanciare le punte e anche andare a concludere. Uno come lui sono convinto che sarebbe ancora oggi un numero uno”. Sandro Mazzola “Lo ricordo intanto proprio per l’Associazione Calciatori, fu tra i fondatori e quando lì nel raduno della Nazionale si cominciò a pensare a chi avrebbe potuto fare il presidente, fu Giacomo a indicare il nome di Campana e fu certo quella una grande intuizione da parte sua. Avevano giocato assieme e ricordo che quella telefonata la fece proprio con noi lì davanti. In un primo momento Sergio era un po’ titubante, diceva che sapeva bene quanto potessero essere volubili i calciatori, c’erano anche state delle esperienze precedenti di sindacato che non avevano funzionato. Ma Giacomo insistette, almeno ci si doveva incontrare dai: fu così che Campana si rese conto che facevamo sul serio. In campo posso dire che Bulgarelli era davvero un compagno ideale, aveva qualche anno più di noi e io lo guardavo come un esempio. Quando c’era da scherzare lo faceva Gianni Rivera “Di anni con Giacomo in fondo posso dire di averne passati tanti, a partire dalle Olimpiadi e poi in Nazionale. Ci si vedeva così spesso e ricordo il periodo proprio della nascita dell’Associazione Calciatori, lì ci si frequentò ancora di più. Di aneddoti particolari non ne ricordo adesso, certo però rimane tutto quello che su di lui è stato scritto in questi giorni dopo la sua morte: si nota subito la concordanza di tutti su quelle che erano la personalità, la cultura, direi la qualità di Bulgarelli. Era un classico emiliano, gli piaceva la gioia, il divertimento e la compagnia anche se certo non scantonava quando c’era da affrontare argomenti e ragionamenti diciamo più seri. Era una persona attenta ai valori, dovunque li trovasse, nei vecchi o nei giovani: penso che quella sua disponibilità ad accettare la gioventù che veniva avanti, eravamo in tanti di noi allora a condividerla”. 25 l’inchiesta di Barnaba Ungaro Più educazione calcistica in campo Dai giocatori un c “Lippi ha ragio Da chi veste l’azzurro (Di Natale), a chi si sta imponendo nel grande calcio (Molinaro), a chi è una bandiera della Nazionale del suo Paese (Zanetti) c’è unanimità: “La correttezza alla base di tutto” Al giro di boa della Serie A, tutto sembra filare liscio. Il campionato è interessante sia in testa che in coda, lo spettacolo è di alta qualità, ed il pubblico sta progressivamente tornando ad aumentare. Ci voleva. Dopo un periodo un po’ buio, caratterizzato dai numerosi interrogativi e strascichi lasciati da “Calciopoli”, la serie A ed in genere l’intero movimento stanno ritrovando consensi. Ma è veramente tutto ok? Si può sempre migliorare, non c’è dubbio. Anche nei momenti positivi bisogna riflettere a 360 gradi, ed allora prendiamo spunto da un appello lanciato Marcello Lippi durante la festa per il quarantennale dell’Associazione Calciatori a Milano. “Vorrei da tutti i giocatori un po’ più di educazione calcistica quando sono in campo”: questo, in sintesi, l’auspicio del commissario tecnico campione del mondo. In breve, la speranza di vedere il meno possibile proteste plateali e contrasti verbali, e non solo quelli, tra colleghi durante la partita. Come hanno accolto i giocatori le parole di Lippi? Non c’era dubbio: tutti le sottoscrivono. “Sono pienamente d’accordo con il nostro commissario tecnico” – assicura Antonio Di Natale, punta dell’Udinese e della Nazionale – “possiamo e dobbiamo migliorare nei nostri atteggiamenti in campo. È importante curare il rapporto con gli arbitri; da un po’ di tempo c’è una sorta di ricambio generazionale tra i direttori di gara, ve ne sono di molto giovani, ed attraver- 26 so un dialogo corretto potremmo contribuire a rendere più sereno il loro compito. Per fortuna, rispetto ad una volta, adesso con gli arbitri è possibile parlare: su questo presupposto è indispensabile portare avanti colloqui corretti ed educati, capaci sicuramente di agevolare i rispettivi ruoli, quello dell’arbitro e quello dei giocatori. Bisogna seguire questa linea. In confronto a qualche anno fa, comunque, mi pare che la situazione stia migliorando sempre più. Sull’appello di Lippi, comunque, non c’è dubbio: ha ragione, ed anzi noi calciatori dobbiamo raccogliere il suo monito”. “Credo molto nell’importanza del fair play” – è il parere di Cristian Molinaro – “e nel rispetto dei ruoli tra tutti coloro che vanno in campo ed in tribuna. In particolare tra arbitro e giocatori: ne guadagna la qualità sia dell’uno che degli altri. Da qui l’importanza a non abbandonarsi a proteste plateali, che vanno inutilmente ad accendere le polemiche Sopra, l’intervento di Marcello Lippi alla festa del quarantennale Aic di Milano. Sotto, Di Natale, Zanetti e Molinaro. ed il clima sugli spalti. Lippi ha fatto bene, in un momento positivo per il nostro calcio, a sottolineare l’importanza di mantenere un comportamento educato durante una partita. La situazione, comunque, mi pare sia in miglioramento. In tutte le società professionistiche nelle quali ho militato, Salernitana, Siena e Juventus, vedo come nei settori giovanili ci sia sempre più l’impegno anche ad educare i ragazzi, oltre che ad insegnare a giocare a pallone. Ricordo, ad esempio, che quando ero un giovane della Salernitana, i dirigenti ci chie- l’inchiesta n coro: gione” devano di non esultare platealmente dopo una vittoria, ma di contenere la gioia proprio nel rispetto degli avversari; un insegnamento importante, che mi porto ancora dentro. E proprio su questo presupposto, sono fiducioso che le cose miglioreranno. L’appello di Lippi darà certamente i suoi frutti”. “A volte noi giocatori ci lasciamo andare, è vero” – ammette Javier Zanetti, capitano dell’Inter e bandiera anche della Nazionale argentina – “capita qui in Italia, così come nel mio Paese, ed in tutto il mondo. Per questo Lippi ha ragione. Non dobbiamo dimenticarci che noi giocatori rappresentiamo spesso un esempio per tanti bambini e ragazzi che ci seguono con tanta passione. La tensione della partita deve quindi manifestarsi nella voglia di vincere giocando meglio, non nel cercare di imporsi con le parole o magari con atteggiamenti plateali. So che non è facile, ma noi calciatori dobbiamo tenere ben presente questo nostro impegno. Le parole di Lippi, quindi, cadono a pennello, proprio adesso che in tutti i campionati comincerà la fase più decisiva della stagione”. Il 22 febbraio scorso La scomparsa di Candido Cannavò È morto il 22 febbraio scorso, all’età di 78 anni, nella clinica Santa Rita di Milano dove era ricoverato per una emorragia cerebrale, Candido Cannavò, storico direttore della Gazzetta dello Sport, giornale che aveva condotto per 19 anni, dal 1983 al 2002, facendolo diventare il più diffuso quotidiano sportivo d’Europa. Nato a Catania nel novembre 1930, Cannavò aveva iniziato la sua carriera di giornalista nel 1949 nel quotidiano della sua città, “La Sicilia”, occupandosi di sport ma anche di temi sociali e di costume. Nel 1955 era entrato alla Gazzetta come corrispondente; nel 1981 ne era diventato vicedirettore, poi condirettore e nel 1983 aveva preso il posto di Gino Palumbo alla guida del quotidiano. Lasciata la Gazzetta, rimanendo, fino all’ultimo giorno, comunque editorialista, Cannavò aveva pubblicato la sua biografia “Una vita in rosa” e tre saggi che testimoniano il suo impegno sociale: “Libertà dietro le sbarre”, “E li chiamano disabili” e, l’anno scorso, “Pretacci”, storie di uomini che portano il Vangelo sul marciapiede. “Oggi lo sport ha perso un campione”- ha detto il presidente del Coni Gianni Petrucci, che ha aggiunto: “Un campione che amava lo sport e lo ha narrato con sublime passione e impareggiabile sentimento. Candido Cannavò non è stato solo un fuoriclasse del giornalismo, ma anche un maestro di vita. Rappresentava per me un punto di riferimento costante, una figura carismatica”. Il presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete, lo ha ricordato come “un vero uomo di sport, impegnato a favore dei meno fortunati, con l’etica nel sangue. È stato un patrimonio per tutto lo sport, aveva un rapporto forte, intenso con tutte le discipline”, mentre Antonio Matarrese, presidente della Lega calcio ha aggiunto: “Scriveva e raccontava il calcio con severità, ma con tanto amore. Sempre pronto a bacchettare da buon ‘maestro’ quando qualcuno provava ad andare fuori dai binari dell’etica. Ricordo con commozione la sua gioia quando scoprì che nella mia valigia settimanale che uso per andare in Lega nascondevo gelosamente una bellissima foto di Facchetti. Ora stanno insieme e da lassù Candido e Giacinto continueranno a guardare noi e le nostre debolezze con severità e amore, quell’amore che noi ricambiamo e che non verrà mai meno”. Il Commissario Tecnico della Nazionale Marcello Lippi ha sottolineato: “Per lo sport, e in particolare per il calcio, è una grande perdita. Si può dire che fosse la Gazzetta. Lo avevo incontrato proprio qualche settimana fa. Mi mancherà, ci mancherà”. “La scomparsa di Candido Cannavò” - ha dichiarato il Presidente dell’Aic Sergio Campana - “è una gravissima perdita non solo per il giornalismo e lo sport, ma anche per la società civile, considerando il suo impegno nel sociale. L’Associazione Italiana Calciatori gli deve grande riconoscenza per l’attenzione e l’interesse che ha sempre dimostrato per la nostra organizzazione e per la nostra attività”. 27 ha scritto per noi di Alessandro Comi Federico Marchetti, portiere del Cagliari In A con due amici nel cuore Federico Marchetti, nato a Bassano del Grappa il 7 febbraio del 1983, è stato il primo acquisto della stagione 2008/2009 del Cagliari. Arrivato da Bergamo, sponda Albinoleffe, è cresciuto nelle giovanili del Torino; dopo il fallimento della squadra granata, è sceso in C2 a Vercelli pur di giocare, poi Biellese, Crotone, Torino ed Albinoleffe. La scorsa stagione, dopo quattro giorni dalla finale play off contro il Lecce e la mancata promozione in serie A, è stato contattato dal Cagliari che lo acquisito con un “prestito oneroso con diritto di riscatto”, con cifra già stabilita. Ha firmato un contratto di quattro anni. Tanto coraggio e un pizzico di incoscienza uniti ad un ottimo bagaglio tecnico: queste sono le doti migliori di Federico Marchetti, portierone alto 1.90, molto reattivo tra i pali e capace di interventi molto spettacolari. Difficile questo salto in serie A? “Senza dubbio non semplice, dovuto soprattutto al fatto che dopo 5 giornate eravamo ancora a 0 punti e quindi è stato po’ scioccante questo debute. Poi, per forto nella massima serie. ni con cui tuna, grazie ai compagni mi son trovato subito bene e la tranquillità acquisitaa man mano con i risultati chee sono pirato arrivati, abbiamo respirato un aria più tranquilla poo più tendo vivere in modo sereno la partita”. mpioTrovarti di fronte campiomovic, ni come Kakà, Ibrahimovic, Del Piero, Totti, che emozione ti ha dato? mana qual“Logico che in settimana e che preoccupazione timore reverenziale lo senti, maa entrato in tti uguali e campo siamo poi tutti penso alla partita, al risultato, zionanon mi faccio condiziona- 28 re… anzi do ancora di più!”. Quali sono le esperienze positive o negative che ricordi maggiormente nella tua breve esperienza calcistica, essendo ancora tu ancora giovane e con parecchi anni di carriera davanti? “Sicuramente l’esperienza più bella la ho vissuta all’Albinoleffe l’anno scorso quando, partiti per centrare la salvezza, ci siamo ritrovati ad un passo dall’essere promossi in serie A. Sarebbe stata una grande favola! Per fortuna la massima serie poi son riuscito a trovarla ugualmente qui a Cagliari! Invece ricordi negativi direi in alcune situazioni vissute in serie C2, dove c’erano società che non pagavano gli stipendi e campionati giocati in zona rischio retrocessione, quindi sudati fino alla fine! E una cosa che mi ha deluso molto è quando ero a Torino, facevo il terzo portiere, avevo esordito contro il Treviso causa espulsione di Sorrentino e il secondo portiere era infortunato: la società invece di aver fiducia in un giovane, ha prefe preferito correre ai ripari comprando ssubito Berti e non dandomi una seconda sec possibilità dopo il mio eso esordio”. Qualche prospettiva prospe per il futuro? “Nell’immediat direi si“Nell’immediato curamente fa fare bene qui a Cagliari. Arrivo A da una buona gavetta gave fatta in campionati minori, so quanto è difficile arrivare e confermarsi e so qua quanti giocatori anche bravi br in serie C non hanno avuto molta fortuna; qu quindi mi tengo ben stretta, finché posso, questa serie A. Per il resto sono un tipo tranquillo, mi piace andare al cinema, leggere libri (soprattutto biografie di sportivi) e convivo con la mia ragazza Rachele che ha origini sarde”. Hai un tatuaggio particolare che ti fa molto “onore”: puoi spiegarci a cosa si riferisce? “Sì, è un qualcosa a cui tengo molto e che mi ricorda due splendide persone ma soprattutto due cari amici: Andrea Tagliaferri e Francesco Varrenti. Con loro avevo un legame fortissimo nato ai tempi della Pro Vercelli, nel 200304, in serie C2. Purtroppo il destino ci ha divisi tragicamente: Andrea ha perso la vita il 16 dicembre del 2004 in seguito ad un incidente stradale, accaduto nei pressi di Fidenza. Appena due anni dopo, il 13 novembre 2006, è stata la volta di Francesco, ai tempi militante nella Biellese, morto sulla A4 Torino-Milano, nelle vicinanze di Greggio, assieme a Eleonora Boschetti. Tra i feriti di quell’incidente anche Marcello Koffi, ex capitano della Carrarese e Veronica Buffon, sorella di Gianluigi portiere della Juventus e della Nazionale. Con Andrea e Francesco avevo un rapporto davvero speciale che andava al di là del campo. Eravamo non solo amici nel rettangolo di gioco, ma anche fuori. Per due estati di fila abbiamo fatto le vacanze insieme in Giamaica e a Cuba e ci eravamo promessi di andare in Messico nell’estate 2005, di nuovo tutti e tre. Poi il tragico destino. Così decisi di fare quel tanto desiderato viaggio in Messico, ma da solo. Laggiù mi feci tatuare sul braccio sinistro la scritta “Andrea e Francy with me forever”. Questo è stato il modo per ricordare per sempre due splendide persone alle quali ero e rimarrò legatissimo”. amarcord 0ǸɉǸɑɜȨɜǸ ȃȣȐȽɄȽȇȨȹȐȽɜȨȃɄ Mi ritorni in mente… … Mattia Notari (Mantova) “Se proprio ne devo indicare una allora penso alla vittoria sulla Juventus, quel suo anno in serie B, era allora imbattuta da più di un anno e mezzo, l’ultima l’avevano persa col Milan. Era il primo sabato del gennaio 2007, come vedi me lo ricordo davvero bene, per come stiamo andan- do adesso col Mantova pare tanto più lontano nel tempo. Mai avevamo visto il Martelli così pieno, tra l’altro era in gran parte tutto bianconero e c’era un’atmosfera davvero speciale, specialmente per noi abituati fino a poco tempo prima ai 3000 paganti. Sembrava insomma una missione impossibile ma quel Mantova ne seppe farne quell’anno dato che battemmo sia Napoli che Genoa che poi salirono con la Juve in A. Ricordo alla vigilia che come sempre mister Di Carlo ci mostrava i dvd degli avversarie e in effetti vedendo chi dovevamo affrontare pareva di star lì davanti alla playstation. Comunque sia, con la nostra grinta e la nostra fame li mettemmo anche in difficoltà, 1 a 0 per noi, gol mezzo e mezzo tra Bernacci e Kovac, fu più un autogol comunque, con noi a fare barricate poi sino alla fine. Pensa che loro ne persero un’altra quell’anno, col Brescia, e la persero ancora al Martelli, a Mantova, perchè c’era campo neutro. Ricordo la valanga di sms che ci arrivò, c’era da sorridere a pensare quanto poteva muovere una partita di calcio, di sicuro avevamo fatto contenti tanti milanisti e interisti. Al martedì ci ritrovammo, erano pur sempre e solo tre punti, noi speravamo nei playoff che poi nemmeno ci furono, avevano di più quelle tre davanti. Ma rimase certo la soddisfazione di aver giocato contro dei campioni del mondo come Buffon, Del Piero e Camoranesi; e per una volta averli anche battuti”. Fabio Tinazzi (Sambenedettese) “Ricordo la partita di ritorno dei playout, era contro il Chieti, la giocavamo in casa noi della Fermana perchè alla fine del campionato eravamo finiti davanti a loro. All’andata era finita 0 a 0 e insomma a noi bastava pareggiare e ci saremmo così salvati. E così in effetti stavano andando le cose quando poi loro all’89’ hanno fatto gol, di colpo ci siamo trovati retrocessi, partita praticamente finita. Invece, giusto a 30” dalla fine, abbiamo pareggiato, fu Micallo quella volta a segnare. No, non è che allo stadio ci fosse poi chissà quanta gente, fu che giocammo anche una buona partita ma tutto sommato fummo anche fortunati, all’andata loro sbagliarono anche un rigore, mi pare l’abbia calciato proprio Quagliarella che adesso è all’Udinese, nelle due partite ebbero più occasioni ma insomma fummo noi a salvarci. Fu tutto così molto intenso, è soprattutto questo che più mi è rimasto dentro”. Sergio Pellissier (Chievo) “Quella che mi viene subito alla mente è quando al Bentegodi abbiamo battuto il Milan per 2 a 1, se non sbaglio era esattamente il dicembre 2005, il campionato che siamo poi arrivati sino alla Coppa Uefa e ci siamo ritrovati in Champions, con noi c’era anche Amauri e in panchina c’era Pillon: è stata una bella stagione quella. Ricordo quella vittoria un po’ perchè non capita spesso di battere il Milan, un po’ perchè a far gol ci abbiamo pensato io e Tiribocchi, siamo amici, così è stato ancora più bello e infine perchè il giorno dopo c’era il battesimo di mia figlia Sofia. Prima della partita avevo pensato anche alla cerimonia, speravo insomma di poterci andare contento, quando perdi non sei mai felicissimo e invece tutto andò bene. Il mio è stato il gol del pareggio: c’è stata una punizione, Mandelli l’ha messa in mezzo e io ho anticipato Kaladze e di sinistro l’ho messa dentro”. lì proprio in campo che provammo una emozione fortissima visto come si erano messe le cose. Eravamo quell’anno un gruppo molto giovane, io ero arrivato a gennaio da Grosseto, era Cari l’allenatore. Ricordo quanto fu lunga quella settimana, lì ad aspettare di giocare quella partita decisiva e non andammo comunque in ritiro, l’allenatore preferì lasciarci il più possibile tranquilli. Devo dire 29 pianeta Lega Pro di Pino Lazzaro Daniele Cinelli rappresentante Aic del Benevento “Vent’anni di calcio un grazie a m “Col calcio ho cominciato lì al mio paese, Monte San Giovanni Campano, provincia di Frosinone; all’oratorio, ero un pulcino ed è stato poi, da allievo, che sono passato al settore giovanile di Isola del Liri, 6 chilometri da casa mia, facevo la quarta superiore quando sono arrivato a esordire in prima squadra. Ricordo la scuola, partivo la mattina col pullman e dentro la borsa del calcio mettevo anche i libri; tornavo poco prima di cena, ero cotto e dovevo mettermi lì a fare i compiti. A scuola me la sono sempre cavata bene, semo e pure con voti pre promosso abbastanza alti,i, ricordo ancora ssero di arrabbiacome ce ne fossero rofessori perchè ti tra i miei professori cisi col calcio decisi di non continuare gli studi,, sono comunque tronico, anche un perito elettronico, ai se non ho mai fatto nulla o. Giocavo poi al riguardo. ri all’Isola del Liri e mi vide avarra, era Rosettano Navarra, el presidente del Fano, mi care, lui più portò lì a giocare, tardi ha fatto pure il preinone”. sidente a Frosinone”. prio col “È stato proprio passaggio al Fano, a quello che era ricosì il mio prito mo campionato tiprofessionistipito co, che ho capito che davvero anch’io avrei potuto farmi una carriera, che potevo starci. Eraa il 1995 e fu quello un anno colare per davvero particolare rdita di mia me, con la perdita usto madre, era giusto da poco quel- 30 la la prima volta per me fuori di casa, mia madre se ne andò a dicembre, fu durissima e mi aiutò il fatto d’avere un carattere abbastanza forte. Ci teneva mia madre che giocassi, veniva anche a vedermi, so che era una gioia per lei vedermi professionista e fu proprio a mia madre che portai il mio primo stipendio. Ho fatto la mia carriera e se mi chiedi se potevo fare di più dico che quando io alla sera vado a dormire e guardo indietro, sento di poter dire che non mi posso rimproverare chissà che cosa, che ho fatto tutto quello che potepot vo fare e insomma ho avuto ppiù o meno quello che era gius giusto avessi. Ma un rammarico m m’è rimasto, lo devo dire. Penso a quand’ero ad Avellino, Avellin avevamo vinto la C1 C ed eravamo così in B, l’anno prima prim avevo giocato 34 partite ed eero stato nom nominato quale qua miglior calc ciatore ddel girone di C1. VenVe ne Zeman Zem e dopo poche poc partite mi ritr ritrovai fuori rosa e ancora non so perchè. Non l’ho l’h mai capito e mai m mi è capitato di chiederglielo il perchè”. “È vero, adesade so hann hanno cambiato il nome da “se- Daniele Cinelli è nato a Isola Liri (FR) il 5 ottobre 1975. È sposato con Lorenza: hanno una figlia, Lucrezia, di 11 anni. Così Cinelli: “Per un bel po’ di anni loro mi hanno sempre seguito, adesso mia moglie lavora e così a casa ci torno la domenica sera; sono sacrifici che facciamo tutti assieme, sanno bene che loro sono la mia vita”.dell’incontro. rie C” a “Lega Pro” e hanno anche detto che quel “serie C” era riduttivo ma io sinceramente non mi sono mai sentito “uno di serie C” in quel senso. Anzi, pur con la mia umiltà ma sempre con la determinazione che so di avere, dico invece che mi ritengo tra i più forti giocatori della Lega Pro, di campionati ne ho vinti sinora quattro e al di là di quella che può essere la visibilità che un calciatore può avere a questi livelli, so bene la stima che nei miei confronti hanno compagni e allenatori che ho avuto. Con i giovani sono uno di quelli che non fa fatica, sono tra i primi a dare una mano quando c’è da accoglierne uno, qualche consiglio lo do volentieri. Ma non sono di quelli che urlano, direi che sono più un leader silenzioso, ecco, se c’è da dare l’esempio preferisco farlo con gli atteggiamenti, non a parole. Ne potrei dire parecchi di compagni che negli anni mi hanno insegnato molto ma per ricordarne uno vado indietro al mio primo anno in C2 a Fano. Lì c’era Rolando Maran, lui adesso allena la Triestina: come pianeta Lega Pro cio e… a mio padre” detto era quella anche la prima volta che ero via da casa e ho imparato parecchio, lo ricordo come un professionista esemplare, già allora era in fondo un allenatore”. “Quest’anno è la prima volta che faccio il rappresentante di squadra, sono il più vecchio della squadra, l’abbiamo deciso parlando tra noi nello spogliatoio: sono sempre stato iscritto all’Associazione e mi sono anche sentito in dovere di farlo io stavolta il punto di riferimento. Per iscrivere i compagni non ci sono stati poi grandi problemi anche se devo dire che le questioni difficili non mancano, tipo il discorso delle “rose”, tra l’altro ancor più negative proprio per quelli più avanti con gli anni naturalmente. Ne ho fatti parecchi di anni in questa categoria e a me pare che non siano poi tanto cambiate le cose: soprattutto qui riescono a far bene quei gruppi fatti da ragazzi in gamba che riescono davvero a mettersi assieme, a fare una squadra unita, allora sì fai strada. La mia di fortuna adesso è di stare con una società come questa, penso ce ne siano pochissime come il Benevento. A condurlo sono due fratelli, Oreste e Ciro Vigorito, mai viste due persone così sollecite e corrette. I programmi sono ambiziosi e anche come strutture devo dire che qui siamo all’avanguardia: due mesi dopo la vittoria dalla C2 alla C1 era già pronto un campo in erba sintetica di ultima generazione. È insomma una società modello, seria in tutti i sensi. Devo dire che in tutta la mia carriera penso di essere stato fortunato, grazie a Dio mi è sempre andata bene, so che non è certo così in giro ma insomma bene o male sono sempre riuscito a prendere tutto”. La scheda “Al dopo ci penso e non ci penso, l’idea è intanto di continuare ancora per un po’ a giocare anche se sto già pensando di cominciare a prendere intanto il patentino di allenatore. Comunque sia sono molto concentrato in quello che sto facendo, punto a vincere il mio quinto campionato e chissà che non possa poi continuare e chiudere più avanti la mia carriera proprio qui a Benevento. Vorrei qui approfittare per fare un ringraziamento che non ho mai fatto e lo voglio fare a mio padre. Dai 13 ai 18 anni è stato sempre lui che mi ha portato in giro, ha vissuto passo passo le mie gioie e insomma mi è stato sempre vicino, fin da piccolo. Ecco così anche da qui, dal Calciatore, il mio grazie a lui, a mio padre”. 31 femminile di Pino Lazzaro Brunozzi, Nasuti e Masia La parola alle “rappresentanti” Magari piano piano, anzi pianissimo, ma dicono comunque che il movimento sta andando avanti, poco a poco sta insomma prendendo piede e tutte e tre guardano specialmente alle ragazzine, alle tante di più che ora si avvicinano al pallone, segno che anche le famiglie – dicono – oppongono meno resistenze. Sono ormai anni che qui sulla rivista dedichiamo uno spazio (la “storica” rubrica “Noi della C”, ora diventata “Pianeta Lega Pro”) ai rappresentanti di squadra di società appartenenti alla Lega di Firenze, sparsi nel territorio. Ecco così che stavolta abbiamo deciso di aprire i microfoni a tre ragazze di Serie A che sono per l’appunto le rappresentanti dell’Associazione Calciatori nelle loro rispettive squadre: Carla Brunozzi (Bardolino), Gioia Masia (Roma) e Giulia Nasuti (Reggiana). Carla Brunozzi (Bardolino) “Miglioramenti continui” “Faccio la rappresentante di squadra perchè del gruppo sono quella che ha dato più disponibilità a farlo. Da una parte ci tenevo e ci tengo, dall’altra non è insomma una cosa che porta via chissà quanto tempo. Tra l’altro tante delle mie compagne sono spesso via con la Nazionale, io ci sono stata prima e dunque posso anche prodigarmi un po’. Grazie alla Champions che abbiamo fatto in questi ultimi due anni col Bardolino (già l’avevo fatta a suo tempo con la Torres) ho potuto toccare con mano la realtà di squadre famose come l’Arsenal e il Lione che hanno pure la sezione femminile, è con loro che ci siamo misurate. Proprio un altro modo di vedere non solo il legame calcio-donna ma quello più ampio di donna e sport e si sa che noi qui siamo indietro anni luce, il solito riferimento alla cultura. Comunque miglioramenti continuo a vederne, sono sempre di più le ra- gazzine che vogliono e cominciano a far calcio: da una parte aumenta la predisposizione verso questo sport e dall’altra si avvertono sempre meno i “blocchi” decisi dalle famiglie”. “Qui a Bardolino so bene di essere in una società che è all’avanguardia per quel che è il nostro calcio, peccato che sia tutto sommato ancora una eccezione. Qui insomma si avvertono meno i “soliti” problemi tipo la difficoltà di trovare persone da coinvolgere nel progetto di una squadra di calcio femminile e il reperire fondi per l’insieme delle attività. Gli stessi risultati hanno contribuito a darci visibilità e non sono poche le ragazze, anche straniere, che bussano per essere magari tesserate”. “Tornando alla Champions, devo dire che in tanti anni che gioco – e penso anche alle squadre incontrate con la Nazionale, ne ho 55 di presenze con la maglia azzurra – mai avevo incontrato una formazione così forte come il Lione, non a caso in parecchie di loro sono andate adesso a giocare nel campionato professionistico negli Stati Uniti. Di solito la differenza che Dopo gli inizi con i maschi nel Torricella Sicura (Te) e il successivo passaggio al Teramo in serie C, Carla – classe ’76, gioca in porta – ha esordito in serie A con la Lazio a 17 anni giocando poi, sempre in A, via via con Ascoli, Oristano, Torres, Senigallia e infine Bardolino. più vedevo era quella dell’aspetto fisico ma stavolta c’era in loro pure una grande qualità tecnica. Ho sentito che guadagnano anche bene e lì a Lione abbiamo giocato nello stadio dove giocano anche i maschi, bellissimo, pure il presidente di tutto il Lione era allo stadio, anche all’andata lui era presente al Bentegodi”. “No, non ho fatto nessuna fatica a iscrivere le mie compagne. Qui magari va tutto, come dire, in automatico ma anche quand’ero a Senigallia, bastava proprio poco perchè anche le ragazze più giovani comprendessero quanto fosse utile iscriversi all’Associazione. Che vuoi, spero proprio che la nostra Federazione possa e voglia fare di più per aiutare il nostro movimento, che possa intervenire la stessa Lega Dilettanti, anche per stare un minimo al passo con quel che viene fatto in tante squadre straniere”. Gioia Masia (Roma) “Qui alla Roma ci sono da tre anni, all’Associazione Calciatori sono sempre stata iscritta e così ho deciso di farla io la rappresentante. In effetti giusto tre stagioni fa dovevo andare al Bardolino, mi lusingava e avv e aanche c e accettato, ma avrei aalla lla fine ho deciso di seguire il cuore, sì lui, vist visto che sono lla compagna dell’allenatore, di Giampiero (Serafinni; n.d.r.), se no non fosse stato cos così credo come det detto che sarei and andata a giocarci col Bardolino. A quel tempo decisi così di ripartire dalla ” femminile Giulia Nasuti (Reggiana) “Serve più visibilità” “Ho sempre giocato qui a Reggio, sono il capitano e anche per questo ho deciso di fare io il rappresentante di squadra per l’Associazione. All’Aic ho cominciato a iscrivermi appena sono diventata maggiorenne e per quello che sto vedendo con le mie compagne devo dire che si iscrivono praticamente tutte, non è insomma che siano necessarie da parte mia delle particolari spiegazioni e le poche volte che magari mi capita di dover motivare il perchè iscriversi, batto da una parte il tasto della possibilità di avere al proprio fianco un supporto (tipo un avvocato) se si hanno problemi con la società, dall’altra il valore più generale della partecipazione il più possibile ampia per far crescere il movimento”. “La mia storia col calcio è stata, come dire, graduale, col parco sottocasa qui nel quartiere: andavo sempre a giocare con un mio cugino. Poi lui è andato in una squadretta, non erano in tanti, mi hanno chiesto se mi andava di giocarci anch’io e così ho cominciato, pure fortunata perchè c’era questa realtà vicino a casa mia. Negli anni ho visto che tutto sommato il nostro movimento è andato allargandosi, io penso specialmente per quel che riguarda il calcio a cinque e anche di squadre primavera ce ne sono di più, questo almeno è quel che capita qui nella mia provincia con parecchie adesso realtà in serie C e D, il che vuol dire che le stesse famiglie sono intanto meno contrarie di prima. Resta sempre il problema di reperire “veri” sponsor che diano reale supporto, anche per questo io vedo quanta fatica si faccia pure ad avvicinarci a strutture decenti, penso ai campi e agli stessi spogliatoi”. “Sul fatto che di noi non si legga praticamente nulla, penso che non sia una questione legata esclusivamente al calcio giocato dalle donne. Il nostro non è altro insomma che uno dei tanti sport cosiddetti minori che ci sono da noi, che non hanno visibilità. Mi piacerebbe così dire alla Gazzetta dello Sport che invece di Classe ’85, Giulia gioca “da metà campo in su”. Dopo la triennale in Filosofia, si sta ora specializzando in Antropologia. dedicare 20 pagine al calcio maschile – dai e dai senza così dire alcunché – potrebbe parlare di tutti gli altri sport, tenendo conto di quanti sono coloro che li praticano e non fanno calcio. Dove arrivano le televisioni ci sono soldi e strutture, dunque arriva la visibilità in riferimento allo spettacolo e al discorso economico che è conseguente. Il tutto a prescindere da quel che può essere il numero dei partecipanti, è quel che in genere mi dispiace, non tanto lo specifico riferimento al nostro calcio”. “Più avanti rispetto ad una volta” serie B, prima ero in A col Bojano, c’era questo progetto ambizioso e così in due campionati ora sono tornata a giocare qui con loro in serie A. Visto che all’inizio tante ragazze qui non sapevano nulla dell’Aic – come ho detto sono sempre stata una iscritta – ho pensato di farla io la portavoce e “fatica” non ne ho proprio fatta, anzi c’è stata più d’una che si è lamentata perchè non avendo ancora 18 anni, non poteva fare l’iscrizione”. “Con Giampiero sono assieme da tre anni, di giorno ognuno sta dietro alle proprie cose e spesso è proprio alla sera in campo che ci ritroviamo. È un rapporto questo che lo stiamo vivendo in modo mi pare normalissiCapitana della Roma, difensore, classe ’77, Gioia ha vestito in precedenza le maglie di Torres, Lazio e Bojano. mo, è già capitato più di una volta che m’abbiano poi detto che nemmeno s’erano accorti che noi due siamo assieme. Sono anche il capitano, devo e voglio rappresentare tutte le mie compagne e se gli devo dire qualcosa non mi faccio certo problemi. Naturalmente sono abituata alla solita battuta che gioco sempre perchè sto con lui e devo comunque dire che quando là dietro prendiamo un gol, io gioco per l’appunto in difesa, stai sicuro che la prima che lui nomina sono proprio io. In fondo l’unico giorno in cui siamo davvero insieme resta così la domenica e ti assicuro che di tutto si parla tranne che di calcio femminile. Se in futuro farò anch’io l’allenatore? No, non credo proprio. Intanto non so se sarei all’altezza, poi a dir la verità ho ancora tanta e tanta voglia di giocare. Se penso a quando smetterò, allora mi vedo più come mamma e se per dire capitasse avessi una bambina e lei volesse un giorno giocare a calcio, ecco che di certo l’asseconderei, la accompagnerei e tutto il resto, sicuro”. “Naturalmente siamo molto ma molto indietro rispetto ad altre nazioni, loro fanno per dire dieci passi e noi magari giusto uno e mezzo ma comunque siamo più avanti rispetto a prima. Penso per esempio alle scuole calcio femminili, solo a parlarne si sarebbero messi a ridere anni fa, invece ne vedi tante adesso di ragazzine, anche piccolissime, tutte con la loro divisa la loro borsa. Anche questo un modo per far ancor più conoscere il nostro calcio, assieme al segnale che sono sempre di meno i pregiudizi da parte dei genitori”. 33 l’incontro ɄȹȐɕɜǸȨѵ Moreno Torricelli, allenatore della lla Pistoiese “Vivo a Firenze e quel che faccio ora come ora è il papà a tempo pieno, ci tengo a seguirli, ho l’esempio di mio padre, lui mi è sempre stato dietro tantissimo. La più grande ha 14 anni e come sport fa la pallanuoto; poi c’è il ragazzino che va matto per il motocross e la più piccola che la passione per la musica e che ora si dà da fare con la batteria. Provo a stare per bene con tutti ed è per questo che parlo di tempo pieno. Con il calcio sino la scorsa stagione ero nel settore giovanile della Fiorentina, avevo gli esordienti regionali, ma quest’anno ho preferito lasciar stare. Non mi sono trovato d’accordo su come venivano gestiti i ragazzini, la società Ultima ora: mentre andavamo in stampa, Moreno Torricelli è diventato l’allenatore della Pistoiese. a chiedermi di puntare su quelli più “bravi”, io che ne avevo in tutto 27 facevo invece giocare tutti, dicevano che facevo troppo turn-over. Ragazzetti di undici-dodici anni, che sono proprio all’inizio, quasi mi viene da dire che anche a un’età così conta più il vincere il campionato che crescerli... non so, non sono d’accordo, non la vedo così”. “L’idea di allenare posso dire d’averla avuta da tanto tempo ma mi sono preso il mio tempo, pensando prima di prendere tutti e tre i patentini: di base, di seconda poi anche quello di prima. Vediamo un po’ quel che succede, l’idea di un settore giovanile mi m attira sempre ma vista anche l’espe l’esperienza con la Fiorentina forse èm meglio per me prenderne di più ggrandi, magari una Primavera per dire. Come calcio giocato faccio ogni tanto del calcetto e quand’ero lì con i ragazzini alla Fiorentina, certo che giocavo le partitine. Pensando a questo mio desiderio di allenare penso comunque sia un ruolo molto difficile e in un c calcio come l’attuale credo che la ccosa più complicata sia quella di m motivare tutti allo stesso modo, re rendere tutti partecipi. Come appr approccio credo che sarò comunque uun democratico, non certo un serge sergente di ferro tenendo presente in og ogni caso che le decisioni le devo poi pprendere io dato che se va male sono sempre io quello che poi viene sostit sostituito”. “È ve vero, al mio tempo molti parlarono di “favola”, io che giocavo in Cnd salii fino alla Juventus e se mi chiedi se potevo fare di più cosa vuoi che ti dica. I sogni io sono riuscito a realizzarli, sono arrivato a giocare in una grandissima squadra, ho partecipato alla Coppa Campioni, sono stato anche in Nazionale e se proprio devo dire un qualcosa che non è andato, dove magari posso avere un po’ di rammarico è proprio con la maglia azzurra: ci sono stato cinquesei anni e ho messo assieme soltanto dieci presenze. Solo questo, con dall’altra parte però tutto il bello che ho avuto. Sì, penso d’essere stato un professionista scrupoloso, cercavo di stare attento insomma anche ai minimi particolari, uno di quelli che arrivavano ben prima come orario, specie più avanti negli anni della carriera quando dovevo cercare di fare le cose ancora meglio per via degli infortuni che ho avuto. In più m’è sempre piaciuto poter fare le cose con calma, senza fretta”. “Certamente Trapattoni è stato una persona importante per me. D’accordo nel farmi passare dall’Interregionale alla Juventus ma anche per quel suo starmi attento, quel suo farmi capire come dovevo anche gestirmi fuori del campo, nel rapporto con i media per esempio. Un’altra presenza che per me è sta- ta fondamentale nello spogliatoio è stata quella di Vialli. Lui era un campione ovviamente del tutto affermato eppure vedendolo così attento a tutti i particolari è stato un grande insegnamento, per me ma anche per tutti quelli che erano lì con lui nello spogliatoio. No, non era una “storia”, facevo davvero il falegname solo che devo dire che lavoravo più che altro con le macchine, non è insomma che fossi con un artigiano che m’insegnava a usare per davvero le mani. Lavorare col legno è un mestiere bello e antico e se l’avessi potuto fare appunto con un artigiano sarebbe stato meglio, anche per me intendo, avrei imparato di più, vedi i lavori qui in casa dove al massimo arrivo a fare qualche scaffale, che va comunque giù in cantina, fin lì posso arrivare”. “Allo stadio non ci vado molto, tutto sommato preferisco vedermele a casa le partite. Idem per andare ospite in qualche trasmissione televisiva, non ci tengo, nemmeno quando giocavo ci tenevo, il più delle volte sono solo polemiche e non mi piace. Ecco così che ci vado giusto un paio di vol- te l’anno, in tv locali qui di Firenze. Se penso al pallone quel che più mi manca è l’atmosfera che hai modo di vivere nell’avvicinarsi a grandi appuntamenti come può essere una partita di Champions. Ecco, quell’adrenalina lì mi manca, un qualcosa che ti fa sentire anche importante se vuoi: penso che pagherei adesso per poter rivivere momenti così. Con gli arbitri posso dire che ho sempre avuto un buon rapporto; mi capitava sì di esagerare quando per me avevano fischiato male, ma sono sicuro di non aver mai mancato di rispetto come del resto hanno fatto loro nei miei confronti, capivano insomma la concitazione di un momento, sapevano chiudere un occhio”. “Una partita che rigiocherei volentieri è quella famosa contro l’Inter, quella dell’episodio del rigore su Ronaldo, tutti poi a dire di campionato falsato e una montagna di parole. Al di là di quell’episodio, per me invece quell’anno non ce n’era per nessuno, l’abbiamo meritato quello scudetto ed è proprio per questo che la rigiocherei quella partita. Chi invece mi ha fatto proprio penare è stato Lentini; ricordo in particolare il suo primo anno al Milan, mi ha proprio fatto soffrire allora. Che vuoi, so La scheda bene che tutti hanno i loro sogni da inseguire e se proprio dovessi provare a dire una cosa ai giovani, allora dico di fare in modo di allenarsi sempre al meglio, di credere nelle proprie possibilità, cercando sempre di migliorarsi non tanto per convincere questo o quell’allenatore, quanto per sé stessi. Un tale approccio penso sia così uno stimolo ancora più grande: un atteggiamento che prima o poi viene ripagato. Un’ultima cosa la vorrei poi dire io. Quel che non mi è mai piaciuta è la simulazione, la trovo una cosa squallida quell’ingannare arbitro e avversario, anche da giocatore mi faceva arrabbiare. Ecco, mi piacerebbe che chi segue questo tipo di strada cercasse di limitarsi anche perchè con tutte quelle immagini che ci sono adesso in televisione è proprio evidente quando uno fa finta. Se interverrò magari da allenatore? Certamente qualcosa lo proverei a fare, già il limitare è un qualcosa, certo però che dipende dal giocatore: o ce l’hai dentro una cosa così o non ce l’hai”. Moreno Torricelli, classe ’70, giocava nella Caratese (Cnd) e fu dopo un’amichevole disputata contro la Juventus che venne convocato per un provino proprio con i bianconeri allenati da Giovanni Trapattoni. Superò “l’esame” e così partendo proprio dalla cima della piramide, si aprirono per lui le porte del calcio professionistico. Con la Juve ha vinto tre scudetti, due Coppe Italia, una Supercoppa Italiana, una Coppa Uefa, una Champions League, una Supercoppa Uefa e una Coppa Intercontinentale. Con la maglia della Nazionale conta dieci presenze e ha fatto parte del gruppo azzurro all’Europeo del ’96 e al Mondiale del ’98. Ha giocato anche con Fiorentina, Espanyol e Arezzo. Sposato, tre figli, vive a Firenze. segreteria Una decisione interessante ed… “educativa” Arbitri per… punizione Il nostro Fiduciario di Venezia, avvocato Roberto Zanata, ci ha inviato la decisione alquanto insolita, ma certamente interessante ed “educativa”, emessa dalla Commissione Disciplinare di Venezia, assunta nell’ambito di una vicenda che ha avuto vasta eco anche sulla stampa: si tratta dell’episodio che ha visto protagonisti, alla fine dell’aprile scorso, alcuni giovani calciatori della squadra Team Biancorossi di Salgareda (TV) che disputa il campionato giovanissimi. Sette di loro, dopo aver realizzato nei confronti dei pari età della squadra del Cimapiave la quinta rete (i gol alla fine saranno ben 8) si sono diretti verso il settore occupato dai tifosi avversari e, schieratisi in linea orizzontale, come si legge nella delibera, “hanno mostrato le spalle agli spettatori, e dopo essersi leggermente chinati in avanti hanno abbassato i calzoncini al fine di mostrare agli astanti i propri glutei”. La bravata, oltretutto non segnalata dall’arbitro nel proprio referto, ha fatto ben presto il giro delle redazioni arrivando sulle pagine del Gazzettino e della Tribuna di Treviso. Tanto che la società, per stigmatizzare l’accaduto, aveva subito provveduto alle “scuse ufficiali” e punito i giovani “spogliarellisti” obbligandoli a “lavori socialmente utili”: tagliare l’erba del campo, sistemare le reti, raccattare le immondizie. Ma il grave gesto di antisportività li ha successivamente portati, giustamente, anche avanti alla Commissione Disciplinare. E qui la sorpresa: tre giornate di squalifica (fin qui nulla di strano) e obbligo di arbitrare fino al termine della stagione le gare dei pulcini e dei “piccoli amici”. Su idea dello stesso presidente della società Team Biancorossi, Stefano Mazzola, interpellato dalla procura federale della 36 Figc, ripensando al lavoro educativo che svolge la società Team Biancorossi con i loro calciatori, è stato infatti ideato un progetto per far crescere nel servizio i suoi disinibiti giocatori: partendo dal fatto che dalle sole sanzioni non possono imparare molto, la società ha pensato di renderli partecipi del calcio dei loro compagni più piccoli, vestendoli di nero e con un fischietto in bocca, facendoli diventare arbitri e attori delle proprie scelte, con i rischi e i pregi che il decidere porta, comprese certe assurde contestazioni che si vedono sui campi di calcio. E poi, magari, meditare sopra a certe esperienze. Una decisione interessante, dicevamo, ma per la sua “particolarità”, da un punto di vista prettamente “tecnico” non facile da prendere: la vicenda sulla quale la Commissiono Disciplinare Territoriale è stata chiamata a pronunciarsi doveva essere infatti esaminata sotto diversi angoli visuali. In primis lo stesso fatto in sé: il comportamento dei calciatori (vale a dire l’essersi abbassati i pantaloncini con le terga rivolte verso il pubblico dopo la segnatura di un goal) si configurava come assolutamente pacifico e poteva anche non essere approfondito dalla stessa Commissione che poteva ritenere di poca utilità le ulteriori sfumature che lo connotavano (ad esempio i metri di distanza dei giocatori dalla recinzione, i gradi d’inclinazione adottati dai ragazzi nell’eseguire il gesto, il livello di abbassamento dei pantaloncini, ecc.). In secondo luogo, era da stabilire il significato di tale comportamento (certamente ineducato e sportivamente non corretto, ma fine a sé stesso? espressione di una poco meditata esuberanza adolescenziale?) e i destinatari (avversari? pubblico di parte? pubblico avversario?). D’altro canto, volendo applicare in termini puramente formali le regole del giudizio disciplinare, il fatto che il direttore di gara, primo giudice dell’evento, non avesse in alcun modo registrato l’episodio nel suo referto, né adottato alcuna sanzione nei confronti dei suoi autori - il tutto certamente non spiegabile con la mancata percezione dell’accaduto, visti il numero dei giocatori implicati e le modalità dell’evento – avrebbe potuto indirizzare ad attribuire al gesto incriminato un significato non particolarmente offensivo contro alcuno ed addirittura renderlo esente da sanzione. Vero è altresì, ed al contrario, che una diversa lettura, restando pur sempre da valutarne l’oggettività, era stata proposta dagli Organi di stampa che hanno trattato della vicenda. Il punto è, in realtà, che al di là dell’effettivo significato che gli autori abbiano inteso attribuirgli, quel comportamento, in sé appariva certamente confliggente con i principi di lealtà, correttezza e probità che (art. 1 C.G.S) devono caratterizzare il contegno dei tesserati nello svolgimento dell’attività sportiva e ben poteva prestarsi ad essere interpretato come offensivo e dileggiante dal pubblico. Da qui la decisione, una punizione che vuole diventare una scuola di rispetto e di crescita morale e personale per i sette giovanissimi calciatori: dal momento in cui hanno fatto valere la loro superiorità in campo sbeffeggiando avversari (Cimapiave) e spettatori, sono diventati protagonisti di un programma condiviso tra procura federale e la stessa società sportiva, utile a ribadire il rispetto per i valori sportivi ed educativi. medicina di Piero Volpi Lo specialista in medicina dello sport nella progettazione dei calendari e dei percorsi di gara Pubblichiamo di seguito un ampio riassunto della relazione che il consulente Medico Aic dott. Piero Volpi ha tenuto il 20 febbraio scorso a Torino in occasione del XXXII Congresso Nazionale della Federazione Medico Sportiva Italiana. In questi ultimi anni nello sport professionistico si è visto consolidare un rapporto, sport e medicina, che è notevolmente cresciuto ed evoluto in termini organizzativi, normativi, assistenziali. Fra gli anni ’80 e ‘90 per esempio nel calcio, sport più popolare in Italia, le squadre professionistiche italiane, anche sulla spinta di obblighi normativi, si sono strutturate con la presenza dapprima saltuaria, ma poi continuativa di un medico responsabile dell’attività medica della società, specialista in Medicina dello Sport. Le competenze a cui è demandato il responsabile medico nello sport professionistico sono molteplici e di grande impegno: organizzare e sovraintendere tutto il settore medico, valutare l’idoneità psicofisica degli atleti al momento del loro inserimento nella squadra e durante la stagione sportiva, instaurare ogni presidio preventivo atto a salvaguardare la tutela della salute degli atleti, impostare gli indirizzi diagnostici e terapeutici per gli infortunati compresi gli interventi di pronto soccorso. Inoltre deve controllare le prestazioni sportive in collaborazione con l’allenatore e i preparatori atletici stabilendo insieme programmi di allenamento, fornire protocolli dietetici e consigli di nutrizione, vigilare sull’uso di farmaci e integratori non personalmente prescritti o autorizzati, eseguire ogni accertamento sanitario previsto dalle leggi sportive compresa l’assistenza durante i controlli antidoping. La prevenzione rappresenta per il medico dello sport il principale e più importante obiettivo da conseguire, in questo ambito con la collaborazione dell’allenatore e del preparatore atletico deve stabilire i carichi di lavoro e la pianificazione degli allenamenti. Deve consigliare là dove sia necessario dispositivi di protezione contro i traumi come caschi, tutori, bendaggi, parastinchi, plantari, ecc. Inoltre deve verificare le condizioni degli ambienti di lavoro (spogliatoi, palestre, ecc.) le attrezzature sportive (piste, superfici e terreni da gioco). Il medico dello sport dovrebbe inoltre con i dirigenti e gli organizzatori delle manifestazioni sportive poter incidere sul numero e la frequenza delle competizioni sportive onde evitare una ravvicinata ed elevata partecipazione alle gare che potrebbero influire negativamente sul rendimento e sull’integrità fisica degli atleti. Per esempio nel calcio professionistico i calciatori di squadre che partecipano a gare di campionato, Coppa Italia e Coppe europee hanno un rapporto allenamenti/gara di circa 3.6 a 1. Questo indice testimonia come ci sia poco tempo per allenarsi rispetto agli impegni agonistici, soprattutto in considerazione che gli allenamenti che precedono e seguono la gara non possono essere considerati “allenanti”. Questo dato inoltre risulta essere in difetto perché non include le partecipazioni di numerosi calciatori, italiani e stranieri, nelle loro rappresentative nazionali durante la stagione. Tale indice, che per primi abbiamo introdotto in letteratura (1) è stato recentemente ripreso anche da altri autori (2), costituisce un quoziente utile per gli allenatori e preparatori in merito alla prevenzione dei traumi: maggiore è il quoziente allenamento/ gara, minore risulta il rischio lesivo. È indubbio che nel settore professionistico, soprattutto ad alto livello, il numero totale delle gare ufficiali, gli impegni infrasettimanali, gli avvii di stagione troppo affrettati ed intensi che accorciano un periodo di preparazione fisiologico, costituiscono potenziali concause al determinarsi di infortuni. I terreni da gioco rientrano fra le cause di rischio traumatico. I campi di allenamento e di gara dovrebbero essere erbosi con superfici regolari e assenze di strutture pericolose a bordo campo. Inoltre si dovrebbe giocare su superfici simili. Le calzature del calciatore sono da sempre scarpe tecniche: la presenza nella suola di dispositivi, tacchetti, lamelle, barrette,ecc., che consentono maggiore aderenza al terreno da gioco rappresentano l’elemento caratteristico. Suole che privilegiano una aderenza massimale al terreno, come richiesto dalla rapidità del gioco moderno, favoriscono un maggior blocco delle articolazioni distali (caviglia e piede), con maggior vulnerabilità delle articolazioni prossimali (ginocchio). I nuovi modelli di calzature con suole più aderenti, garantiscono più elevati coefficienti di presa al terreno rispetto ai coefficienti di scivolamento. In tal modo in presenza di terreni imperfetti, strutture muscolari degli arti inferiori dei calciatori sempre più potenti, rapidità gestuale massimale, il rischio traumatico muscolotendineo e articolare appare aumentato (3). BIBLIOGRAFIA 1. Volpi P Soccer injury epidemiology. J Sports Traumatol 2000; 22: 123-131 2. Ekstrand J Preventing injury in Football Medicine Martin Dunitz Ed 2003; 39-119 3. Volpi P Epidemiology and risk factors in soccer. Med Sport 2008; 61: 65-70 37 internet di Mario Dall’Angelo I link utili Simone Perrotta tra calcio e impegno sociale È uno dei campioni del mondo in carica, tutt’ora giocatore della Nazionale e colonna della Roma. Simone Perrotta, calabrese nato in Inghilterra nel 1977, è uno di quelli che non si tirano mai indietro, sul campo ma anche nella vita. Simone, l’Italia e il mondo intero stanno attraversando un periodo di grave recessione economica. Temi qualche ripercussione anche per il calcio? «Penso che si allargherà sempre di più la forbice. I giocatori top guadagneranno sempre di più mentre quelli normali avranno sempre di meno». Ma ti sembra che anche tra i calciatori ci sia consapevolezza che il momento è difficile? «Noi calciatori di alto livello viviamo in una sfera di cristallo, siamo molto fortunati. Però, sia pura indirettamente, la crisi la sentiamo anche noi. Tutti abbiamo parenti e amici che tirano avanti con uno stipendio normale e fanno molta fatica. Certo, poi ognuno guarda al proprio orticello e più uno può guadagnare, più cerca di farlo. Nessuno firma i contratti con la pistola alla tempia. Del resto noi calciatori siamo i primi attori di questo sport, facciamo lavorare tante persone e se sento che un dirigente guadagna più dei calciatori penso che non sia giusto». Quali ti sembra siano l’attenzione e la cura per i settori giovanili nel calcio italiano? «Mi pare che le cose stiano migliorando. Lo dimostrano tutti i ragazzi di ottimo livello che hanno debuttato nei grandi club in queste ultime stagioni. Prendiamo la Juventus: è tra le prime in campionato, è in Champions League dove lotta per arrivare al titolo e ha lanciato senza paura Giovinco, Marchisio, De Ceglie e Ariaudo». 38 Forse però la dirigenza bianconera è stata un po’ forzata dagli eventi - la retrocessione in B del 2006 - a promuovere in prima squadra i migliori della Primavera. «Non credo che si stato solo per questo. In serie B i giovani hanno giocato poco, perché in campo ci andavano Buffon, Trezeguet, Del Piero e gli altri big». E allargando lo sguardo, vedi altre società che stanno lanciando i giovani senza timori? «Anche l’Inter, ad esempio con Balotelli che esordì la scorsa stagione quando aveva 17 anni. Lo stesso Milan con Paloschi. E poi la Roma: Aquilani, De ngono tutti Rossi e Totti vengono nile. dal settore giovanile. Quindi direi proprio che il calcio italiano, inn questi ultimi anni,, ha perso i timori ta che aveva una volta gionei confronti dei vani». scu cute tteeree e Ha fatto molto discutere fi c a indignare la squalifica di uunn Man anni niianno comminata a ManniTa Tas a s per pe r ni e Possanzini dal se e nt t a ar arr un ritardo nel presentaranti tido ti do dodo si a un controllo an antidon ito it o la ping. L’Aic ha definito la posi po sita si ta a taa sentenza “spropositata s ta a nza nz a e assurda”. In sostanza la Wada, l’agenzia internazionale per la lotta al doping, ha ottenuto di equiparare una mancanza, qual è un ritardo, alla prova di colpevolezza, cioè la positività al controllo. «Ci sono delle voci secondo cui i due colleghi non si sarebbero comportati correttamente con gli addetti dell’antidoping. Ma se così non fosse stato, la sentenza è assurda. E secondo me, noi calciatori dovremmo prendere un altro provvedimento: presentarci tutti all’antidoping con 25 minuti di ritardo, fino alla fine del campionato. Vorrei vedere cosa farebbero: squalificherebbero tutti i calciatori italiani?» Certo al Tas, che ha sede in Svizzera, non si scompongono facilmente per le proteste. Piuttosto, da parte di tutti, occorreva gestire meglio il caso. «Penso che occorra buon senso da parte degli addetti all’antidoping. Era una situazione particolare: i ragazzi avevano perso in casa e c’era un riunione negli spogliatoi subito dopo la gara. Occorreva anche presentare una documentazione che spiegasse subito il perché perch del ritardo». Molt Mo l lt t i gio gi o ocat oc cat a o si prodigano persoMolti giocatori nnalmente na alm lmen ente te nel n sociale e tu non fai eeccezione. ec ccezi zion on «Sos «Sostengo l’associazione Gia Gianmarco De Maria, cche appoggia il reparto pediatrico dell’ospedale di Cosenza. Aiuta i famigliari dei bambini ricoverati con una casa di accoglienza per chi arriva da lo lontano. Quando possibile vado aall’ospedale a Cosenza a trovare i ppiccoli». Il ssit iitto internet? inte in teern sito «È www.g www.gianmarcodemaria.it». internet di Stefano Fontana Calciatori in rete Buffon e Amelia: web in mani sicure www.gianluigibuffon.com Completamente rinnovato il sito ufficiale di Gianluigi Buffon. Il “portierone” nazionale stupisce i suoi tifosi con uno spazio internet sbalorditivo, talmente scenografico da risultare difficile da descrivere a parole. Una volta effettuata la canonica scelta linguistica tra inglese ed italiano, accediamo all’introduzione. Gianluigi è solo in uno stadio deserto, con la telecamera che gli gira intorno… nell’arco di pochi secondi partono una serie di filmati contenenti le parate più spettacolari effettuate in carriera, accompagnate dai commenti originali delle riprese televisive e legate l’una all’altra da un trascinante motivo musicale. L’introduzione culmina nell’home page del sito: già da qui si capisce di essere di fronte a qualcosa di particolare, fresco, inedito. Schermo scuro, grigio fumo, al centro del quale troviamo Buffon non ritratto in una fotografia, bensì animato, vivo, pulsante. Alle spalle del giocatore uno stadio stilizzato, poco più in alto i collegamenti con le varie sezioni del sito. Ad esempio, il menù “the goalkeeper” contiene la scheda tecnica, esaustive note biografiche, palmares e carriera completa. Ciascuna scheda è un’autentica miniera d’informazioni. Oltre a questo è impossibile non notare come la cosmesi e la cura realizzativa di questo sito siano notevoli anche nelle pagine più interne. Il menù “media” è un’altra sezione del sito in bilico tra originalità e spettacolo puro. L’attenta selezione di ogni scatto della fotogallery trasmette tutta la concentrazione di Buffon, solo in mezzo ai pali. Molto intensi i tuffi plastici, cristallizzati dallo scatto dell’obbiettivo. Non mancano alcuni scatti in privato che vedono Gianluigi circondato dai suoi affetti. La sezione video è altrettanto nutrita: un sapiente mix di interviste e azioni con un unico denominatore comune: il Gigi nazionale. Nella “download area” troviamo una moltitudine di gadget digitali come ad esempio gli sfondi per il desktop. La sezione press raccoglie tutti gli ultimi articoli della stampa nazionale ed estera con Buffon come protagonista, mentre lo spazio “my team” è dedicato ovviamente alla Juventus. Lo spazio a nostra disposizione si sta inesorabilmente esaurendo: resta margine sufficiente per consigliare a tutti una visita in questo ottimo sito internet, ricco di sorprese e tocchi di classe. www.marcoamelia.it Nella nostra rubrica dedicata al web, questo mese trova spazio un altro portiere. Un altro portiere della nazionale azzurra, per la precisione. Stiamo parlando proprio di lui, di Marco Amelia: uno dei più quotato sulla piazza, campione del mondo nel 2006 e attualmente in forze al Palermo. Marco dispone di un sito internet agile e veloce da consultare, ricco di informazioni e materiale fotografico. I colori dominanti sono il verde del rettangolo erboso e il rosa-nero del Palermo. Altri soggetti dell’homepage sono infatti una foto di Marco con la sciarpa della squadra siciliana e alcuni scatti della rovente, appassionata curva del Palermo. Molto bella la galleria fotografica, costituita da un elevato numero di fotografie relative a Marco in azione tra i pali. Dettagliata ed esauriente la sezione biografica, capace di abbracciare tutta la vita di Amelia, dai primi vagiti… calcistici fino ad oggi. I primi calci al pallone sono con la Lupa Frascati. Passa presto alla Roma, dove si rende protagonista di due belle stagioni con la Primavera. Nell’estate del 2001 il Livorno lo acquista in prestito. L’anno seguente, con gli amaranto saliti in Serie B, viene promosso titolare e gioca 35 partite, attirando l’attenzione dei grossi club della Serie A. Dopo aver trascorso la stagione 2003-2004 tra Lecce e Parma, nel 2004 torna definitivamente al Livorno, dove diviene titolare: con la squadra toscana disputa ben 31 partite in Serie A nell’annata 2004-2005 e contribuisce al buon campionato della sua squadra, conclusosi con la salvezza. Nel 2006-2007, fa il suo esordio nelle coppe europee, partecipando con il Livorno alla Coppa UEFA. Il 2 novembre 2006, durante una partita contro il Partizan Belgrado, entra a far parte della ristretta cerchia di portieri capaci di andare in rete, realizzando un gol all’87’ e consentendo al Livorno di raggiungere l’1-1 finale. Nel giugno del 2008 si trasferisce a titolo definitivo al Palermo per il quale firma un contratto quadriennale. Grande rispetto ed amicizia legano tutt’ora Marco all’ambiente calcistico livornese. Il sito è completo di un guestbook dove lasciare un messaggio direttamente a Marco, oltre alla canonica scheda tecnica ricca completa di tutti i dati del caso. 39 segreteria di Diego Murari Uno per tutti, tutti per Unico1 In viaggio con Diego/4 Quarta puntata di questa nostra rubrica dedicata e pure affidata a Diego Murari. Della storia di Diego abbiamo avuto modo di scrivere più volte qui sul Calciatore, come pure della sua straordinaria volontà, del suo essere insomma agonista pur nella malattia che lo ha colpito, della sua voglia di vivere e di lottare, anche pensando “a tutti coloro che saranno in futuro costretti a confrontarsi con la mia stessa patologia”. Uno spazio questo che possa magari anche stimolare delle iniziative che possano così aiutare a veicolare ancor più il marchio “Unico 1”. Un grande ciao a tutti voi miei marinai e grandi campioni. In questo navigare voglio intanto ricordare la santa festa di Natale, da poco trascorsa. Voglio ricordare con gioia quanto tutti voi mi siate stati vicini e quale significato abbia avuto nella mia quotidianità questo evento speciale. Voglio dire grazie a tutti per avermi regalato un sorriso, per avermi fatto sentire che non sono solo e per avermi aiutato a raggiungere ancora una volta questo traguardo. Un altro anno è passato, 12 duri, lunghi e meravigliosi mesi, pieni di vita, di respiri, di lacrime, speranze e sogni. Grazie miei preziosi marinai, grazie a chi ogni giorno mi dona un messaggio con un semplice «Ciao Diego», che mi spinge ad issare le vele. Grazie a tutti coloro che ogni giorno mi mandano un pensiero, una preghiera, perché mi regalano la speranza. Grazie a chi, dal suo cuore, mi ha donato l’acqua calda e la possibilità di riscaldarmi in casa, riparandomi l’impianto idraulico dopo mesi di sofferenza, grazie a chi ogni giorno si ricorda di me porgendomi un piccolo, ma per me grande caffè, perché in questo gesto gentile ed in questo mare sperduto ritrovo la solidarietà, l’amicizia e la voglia di credere in un futuro migliore e ancora grazie a voi, di ogni gesto, di ogni goal, di ogni tiro e di ogni parata che in questo anno trascorso avete inventato, dando a tutti noi tifosi, l’emozione di seguirvi e di immedesimarci in ogni 40 vostra gara. Si grazie a voi, siete un equipaggio speciale. Gli occhi dei bambini Anche in questi giorni mi sono ritrovato alcune volte per controlli o terapie a “visitare” alcuni ospedali e non posso non raccontarvi quegli occhi, quei sorrisi e quelle voci, di tutte quelle persone che stanno soffrendo. Non posso non raccontarvi quanto siete importanti voi ragazzi per tutti quei bambini che tra le lacrime affrontano ogni giorno una partita, o un viaggio, dove nessuno può immaginare quale sia il risultato o l’arrivo. Solo il fatto di passargli accanto, sorridergli, dirgli ‘ciao campione’ o un semplice come ti chiami; ecco, questo è tutto quello che ci chiedono e io, miei straordinari marinai, sono orgoglioso e fiero di poter contare su di voi, raccontando a loro in ogni occasione le vostre battaglie, i vostri gesti, le vostre indimenticabili vittorie in ogni nuova e diversa partita. Oppure portando nei reparti qualche maglia o pallone che voi mi mandate o donate e anche di questo vi ringrazio, di essere un “equipaggio” meraviglioso. Un giorno speciale “Mi raccomando di essere puntuale”, mi disse al telefono sorridendo Davide Rebellin. Mi aveva infatti invitato alla presentazione ufficiale della sua nuova squadra prof: “Diquigiovanni Androni Giocattoli”, ma non c’era solo questo perché -mi spiegò- anche grazie all’intervento di sua moglie Selina, il team avrebbe vestito e portato sulle maglie, tute, bici, il marchio Unico 1, per aiutarmi a propagandare nel migliore dei modi questo nostro progetto. Mi mancava il respiro, anche perché non credevo, non pensavo, non immaginavo. E invece il “Fenomeno” (Davide) me l’aveva veramente combinata grossa. Infatti già il giorno dopo venni chiamato per un servizio fotografico su un mensile specializzato per una intervista e qualche foto assieme a Davide. “Questo è matto” pensai e tra terapie e dolore, mi armai di stampelle e sorriso e raggiunsi il posto dove mi stavano aspettando. Quando Davide e Selina mi videro, scoppiarono a ridere e mi presero in giro ma io in realtà (non glielo ho mai detto) me la facevo sotto e tremavo tutto. È stato così che ho iniziato questa avventura, questo nuovo viaggio che mi porterà assieme alla squadra addirittura a gare come la Milano-Sanremo e il meraviglioso e splendido Giro d’Italia nel mese di maggio. Dopo qualche giorno, Davide mi chiamò al telefono e mi disse: “Preparati per lunedì prossimo che ora viene il bello”. Mi mandò l’indirizzo dove avrei dovuto andare, dicendomi di invitare anche Kristian Ghedina, A fianco, la presentazione della nuova squadra Diquigiovanni Androni Giocattoli marchiata Unico1. Sopra, Diego con Gilberto Simoni e Davide Rebellin. altro nostro caro marinaio valoroso, pieno di voglia di vita e di sorriso in ogni momento. Arrivò il giorno e insieme a mamma Silvana e papà Gianni arrivammo nella sede del Team Diquigiovanni. C’era già un sacco di gente, macchine fotografiche, telecamere, microfoni e quant’altro. Arrivò anche Kristian Ghedina e un po’ tutti cominciarono a chiamarlo per foto, interviste eccetera. Agitatissimo entrai nel salottino dell’azienda, mi fecero sedere e mi portarono un the caldo. Tutti mi venivano a conoscere, a chiedere la mia storia, a “ringraziarmi”; scrivevano appunti su di me, mi scattarono delle foto e io sempre seduto là, quasi senza rendermi conto di quel che c’era attorno. Poi arrivò Davide con Selina e non vi dico la confusione. Tutti che lo cercavano, lo chiamavano, urlavano il suo nome, cercavano di intervistarlo. Ma lui passò tra tutti e venne diritto da me!! Mi abbracciò e io scoppiai in lacrime, tutto intorno ci fu un grande applauso (che io nemmeno sentii): “Quanto sei grande Davide” urlai dentro di me. Pian piano arrivarono gli atleti; da Gilberto Simoni detto “Gibo” a Michele Scarponi, Gavazzi, Bertolini e tutti gli altri. Uno a uno sono venuti da me, a parlarmi, a ridere e scherzare e mi hanno portato nello spogliatoio con loro e non ho parole per dirvi quante emozioni ho meravigliosamente respirato in quei momenti. Uscimmo nel piazzale, per le foto ufficiali del Team; faceva un freddo boia ma non sentivo niente: mi infilarono in mezzo alla squadra e per 15’ sentivo intorno a me scatti a ripetizione. Arrivarono per le foto anche il D.S. Gianni Savio, persona splendida, il grande Francesco Moser e tanti altri campioni di sport e di vita tra i quali Alfredo Martini che abbracciandomi mi disse: “Complimenti Diego, sei unico”. Pensavo fosse finito tutto e invece il patron del team mi disse di raggiungere un ristorante della zona per l’augurio della nuova stagione, che non potevo mancare perché mi disse che “ero e sono il cuore della squadra”. Io tra di loro Quel che sapevo era che dovevo andare a fare terapia, che dovevo rientrare per riposare un po’; ero stanchissimo ma non potevo mancare. Mi fecero accomodare con la squadra in mezzo ai ragazzi (fantastico sogno). Arrivò anche Ghedina, sempre circondato da tifosi e fotografi: con gli occhi mi cercava continuamente, per “aiutarmi”. Iniziò la conferenza stampa in questo grandissimo salone imbandito e colmo di gente. Davide Cassani intervistò pian piano tutto il team, le loro ambizioni, le loro certezze e tutti ad uno ad uno mi regalavano un gesto, una parola. Era stupendo ciò che stavo vivendo e quando il D.S. Gianni Savio parlò di me, del mio progetto “Unico 1”, fu un vero momento di gioia e di straordinaria felicità. Sentir dire che il team “Diquigiovanni-Androni Giocattoli” sposava e aiutava in tutti i modi Diego e il suo Unico 1! Quando poi il grande Davide Rebellin spiegò e parlò di sé, dei suoi obiettivi e della sua vita, dicendo che il suo futuro era Unico 1, io guardai mia mamma e già piangevo. Tutti applaudivano e per me è stato incredibile: grande Rebellin, immenso Rebellin dissi tra me e me (lo è veramente, ragazzi). Infine, quando ormai tutti gli ospiti avevano parlato, premiato e fotografato e pensavo cominciasse il pranzo, il presentatore (Alessandro Fabretti) disse: “E ora il momento più importante, Diego Murari” e mi passò il microfono: la gente applaudiva me! Io non sono un campione, non sono famoso, non sono nulla ma poi lasciai parlare il mio cuore, raccontando il semplice Diego, il grande Toldo, Rebellin, Baggio, Ghedina, Fauner, l’Associazione Calciatori, il vero mondo del calcio, la lealtà nel credere ancora al ciclismo, alla fatica, al sudore, all’amicizia, allo sport. Durò un minuto o forse un minuto e mezzo il mio parlare col mio cuore e la sala scoppiò in un applauso lunghissimo. In molti piangevano, venivano da me, mi dicevano tante cose, mi abbracciavano, mi donavano un sorriso, una carezza. Io tra le lacrime salutai tutti, con il cuore in gola avrei voluto sparire, scappare, urlare, avrei voluto gettare le stampelle, la malattia. Alla prossima Eccoci ragazzi dal cuore straordinario, anche questo mio viaggio è andato e sono fiero perché anche questa volta, grazie a voi, ho vissuto emozioni intense, potendo raccontare quanto in realtà ognuno di voi è unico al mondo e ognuno di voi è nel mondo un numero 1. Grazie meraviglioso e prezioso equipaggio. Non si molla. Alla prossima ragazzi. 41 tempo libero musica libreria Edus Law International Rivista di Diritto ed Economia dello Sport Quadrimestrale – abbonamento annuale € 90,00 La Rivista di Diritto ed Economia dello Sport (RDES) è una rivista scientifica quadrimestrale fondata e diretta dall’Avv. Michele Colucci che si avvale di un Comitato Scientifico e di Redazione composto da esperti del settore a livello nazionale ed internazionale. RDES fornisce una documentazione completa e aggiornata del diritto dello sport, proponendosi di affrontare le problematiche giuridiche comuni a tutte le discipline sportive, in primis il calcio, a livello nazionale ed internazionale. La Rivista è disponibile on line sul sito (www.rdes.it) e in formato cartaceo (abbonamento: 90 euro all’anno). La newsletter della Rivista è inviata periodicamente (con scadenza settimanale) agli oltre 4200 iscritti. Per abbonarsi è sufficiente inviare una mail di richiesta a [email protected]. Negramaro Sedizioni Lucentissimo l’opposto cuoio delle scarpe e della testa di Antonio Barillà – 134 pagine - €11,00 Macerie di nobiltà, come ad esempio il derby Pro Vercelli - Novara. Capita di dover scrivere un articolo nostalgico e sfogliare così un libro di memorie, allungare un’occhiata distratta e intraprendere un viaggio infinito. Ritagli d’epoca e foto sgranate svelano il calcio duro e puro dei pionieri: bombette e baffi arricciati, piedi nudi e palloni sformati, il fagotto con le pagnotte e i mutandoni, il fumo delle osterie, la polvere dei campi. Ti incuriosisci, sfili un secondo volume, affondi nelle radici di un’altra squadra: non ci sono più ragazzi che bucano la nebbia in bicicletta per andare a giocare la partita, ma altri che s’azzuffano su un molo, scimmiottando i marinai inglesi e il loro sport bizzarro. Città e paesi diversi, lontani. Ovunque passione, povertà, fantasia. Ancora un libro, un quotidiano ingiallito, un diario dimenticato, una testimonianza commossa: piccole storie che si fondono nella storia del pallone, basta solo incollarle con semplicità. Le Lettere Edizioni Tutti i colori del calcio di Sergio Salvi e Alessandro Savorelli 221 pagine - €19,00 Dagli usi cavallereschi della guerra e dei tornei, il calcio ha ereditato il suo aspetto così affascinante di spettacolo a colori. La scelta dei colori delle sue casacche, e le regole che la governano, hanno infatti origine nel linguaggio cromatico della battaglia medievale, di cui, a sua insaputa, il calcio è la più stupefacente interpretazione moderna, oggi che i cavalieri si vedono soltanto al cinema. Questo libro, attraverso una storia universale del calcio come gioco e come istituzione – che è anche la storia dei suoi club più famosi – traccia una mappa dei colori di centinaia di squadre e ne rintraccia l’origine; a proposito della quale, innestate su una rigorosa sintassi araldica, la moda, l’appartenenza sociale, la politica, la religione e soprattutto il caso e il gusto sono stati spesso determinanti. Insomma: come e perché la maglia del Chelsea è azzurra, quella del Liverpool rossa, quella del Celtic biancoverde? E perche la Juventus ha mutato il suo rosa iniziale nell’ormai tradizionale bianconero? Un capitolo è dedicato ai marchi dei club; il sistema dei segni probabilmente più noto al mondo, che sfata l’opinione comune secondo la quale la scienza del blasone sarebbe un passatempo per iniziati, incomprensibile e misterioso. 42 San Siro Live Cd e dvd (prodotto dalla Sugar di Caterina Caselli) per rivivere le emozioni di una storica serata, quella del 31 maggio scorso in cui oltre 45.000 spettatori hanno cantato le canzoni dei Negramaro, prima band italiana ad esibirsi nel mitico palco di San Siro. Ventuno tracce live (nel video) e 4 brani inediti (nel cd): si apre con “Meraviglioso”, un omaggio ad un grandissimo della musica italiana, anch’esso pugliese, vale a dire Domenico Modugno. Una rivisitazione del brano che acquistando la sonorità e il timbro vocale dei Negramaro vive una nuova vita. “Meraviglioso”, è anche la soundtrack del film “Italians” di Veronesi (che firma anche la regia del videoclip che vede la partecipazione straordinaria di Verdone e Scamarcio). Quindi “Your Eyes-La finestra” (con i Mattafix), “Solo per te” in versione elettrica e “Blu Cobalto” (versione elettrica e acustica). Cambiando lettore ed inserendo il dvd, ecco un muro umano in trepida attesa che ci accoglie nel catino di San Siro. Un palco essenziale e fortemente tecnologico, una giusta miscela tra immagini in bianco e nero e a colori, e la musica coinvolgente, raffinata ed elegante dei Negramaro fanno il resto. Tra gli ospiti sul palco di San Siro troviamo i Solis String Quartet, Mattafix, Jovanotti, Mauro Pagani, Antonio Castrignanò e i tamburi del Salento. Il concerto del 31 maggio a San Siro è l’ideale coronamento del percorso fatto finora dai Negramaro, una grande festa con i propri fans, una giornata di grande musica dal vivo e di grandi emozioni. sostiene www.chforch.com