o Bulgarelli

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o Bulgarelli
primo piano
o Bulgarelli,
n uomo vero
Qui sopra, Bulgarelli con Sandro Mazzola
prima di una partita. A sinistra, con Rivera, Pagani, Campana, De Sisti e Giacomini in uno dei
primi storici Consigli Direttivi.
mo giusto a Bologna. Fu proprio Bulgarelli quello che più si attivò per organizzarla, ricordo che ci trovammo
nella sede di un club di tifosi, poco
lontano dalla stazione. Fu lui dunque
a telefonarmi da quel ritiro della Nazionale, subito gli dissi che intanto
volevo pensarci un po’, ma dentro di
me già sapevo che avrei accettato”.
Giancarlo De Sisti
“Sul piano umano, per quelli che
sono stati i rapporti fuori dal campo, ho il ricordo di una persona magnifica, molto ma molto intelligente,
già guardandoti pareva capisse quel
che gli volevi dire, prima insomma di
cominciare a parlargli. Era uno sempre pronto a fare il giocherellone ma
quando c’era da rimboccarsi le maniche, da stare lì sul pezzo, era molto
serio. Anche lui ha dato una mano a
far nascere l’Associazione Calciatori
e per le riunioni era sempre disponibile, anche a costo di rinunciare a
qualche lunedì libero. Sul campo era
per me un artista e lo dico io che
lì a Roma ero cresciuto vedendo e
imparando da Schiaffino, quel suo intuito lì in mezzo al campo, quella sua
capacità tattica. Giacomo era un po’
più vecchio di me e per quello che
era anche il mio ruolo, l’ho sempre
considerato uno dei miei punti di ri-
ferimento. I primi anni aveva ancor
più la voglia di fare gol e gli riusciva
pure, ma sapeva anche bene distribuire palla, nel breve e nel lungo, offrire
assist. Poi con gli anni ha arretrato il
suo raggio d’azione, diventando però
ancor più geniale, era uno di quelli che era proprio difficile superare
proprio per come sapeva stare in
campo. Devo dire che come lo era
stato sul campo, per me Bulgarelli
è stato poi un punto di riferimento
anche come commentatore televisivo. Lui ha lasciato la Nazionale dopo
la Corea dove si fece male a un ginocchio che poi ha continuato a tormentarlo. Se si provasse a mettere
assieme una scaletta dei centrocampisti ideali, io penso che Giacomo
sarebbe senz’altro da mettere tra i
primissimi posti”.
più che volentieri, ma quando c’era
poi da fare sul serio era sempre davanti. Era un tipo anche tosto, nello
spogliatoio non era di quelli che lasciavano perdere, insisteva sulle cose
che si dovevano fare, come le si dovevano fare. Era un centrocampista
completo: sapeva difendere, lanciare
le punte e anche andare a concludere.
Uno come lui sono convinto che sarebbe ancora oggi un numero uno”.
Sandro Mazzola
“Lo ricordo intanto proprio per
l’Associazione Calciatori, fu tra i fondatori e quando lì nel raduno della
Nazionale si cominciò a pensare a
chi avrebbe potuto fare il presidente, fu Giacomo a indicare il nome di
Campana e fu certo quella una grande intuizione da parte sua. Avevano
giocato assieme e ricordo che quella
telefonata la fece proprio con noi lì
davanti. In un primo momento Sergio era un po’ titubante, diceva che
sapeva bene quanto potessero essere volubili i calciatori, c’erano anche
state delle esperienze precedenti di
sindacato che non avevano funzionato. Ma Giacomo insistette, almeno ci
si doveva incontrare dai: fu così che
Campana si rese conto che facevamo
sul serio. In campo posso dire che
Bulgarelli era davvero un compagno
ideale, aveva qualche anno più di noi
e io lo guardavo come un esempio.
Quando c’era da scherzare lo faceva
Gianni Rivera
“Di anni con Giacomo in fondo posso
dire di averne passati tanti, a partire
dalle Olimpiadi e poi in Nazionale. Ci
si vedeva così spesso e ricordo il periodo proprio della nascita dell’Associazione Calciatori, lì ci si frequentò
ancora di più. Di aneddoti particolari
non ne ricordo adesso, certo però
rimane tutto quello che su di lui è
stato scritto in questi giorni dopo la
sua morte: si nota subito la concordanza di tutti su quelle che erano la
personalità, la cultura, direi la qualità
di Bulgarelli. Era un classico emiliano,
gli piaceva la gioia, il divertimento e la
compagnia anche se certo non scantonava quando c’era da affrontare argomenti e ragionamenti diciamo più
seri. Era una persona attenta ai valori, dovunque li trovasse, nei vecchi
o nei giovani: penso che quella sua
disponibilità ad accettare la gioventù
che veniva avanti, eravamo in tanti di
noi allora a condividerla”.
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l’inchiesta
di Barnaba Ungaro
Più educazione calcistica in campo
Dai giocatori un c
“Lippi ha ragio
Da chi veste l’azzurro (Di Natale), a chi si sta imponendo nel grande calcio
(Molinaro), a chi è una bandiera della Nazionale del suo Paese (Zanetti) c’è
unanimità: “La correttezza alla base di tutto”
Al giro di boa della Serie A, tutto
sembra filare liscio. Il campionato è
interessante sia in testa che in coda,
lo spettacolo è di alta qualità, ed il
pubblico sta progressivamente tornando ad aumentare.
Ci voleva. Dopo un periodo un po’
buio, caratterizzato dai numerosi
interrogativi e strascichi lasciati da
“Calciopoli”, la serie A ed in genere
l’intero movimento stanno ritrovando consensi.
Ma è veramente tutto ok? Si può
sempre migliorare, non c’è dubbio.
Anche nei momenti positivi bisogna
riflettere a 360 gradi, ed allora prendiamo spunto da un appello lanciato
Marcello Lippi durante la festa per il
quarantennale dell’Associazione Calciatori a Milano.
“Vorrei da tutti i giocatori un po’ più
di educazione calcistica quando sono
in campo”: questo, in sintesi, l’auspicio del commissario tecnico campione del mondo. In breve, la speranza
di vedere il meno possibile proteste
plateali e contrasti verbali, e non solo
quelli, tra colleghi durante la partita.
Come hanno accolto i giocatori le
parole di Lippi? Non c’era dubbio:
tutti le sottoscrivono.
“Sono pienamente d’accordo con il
nostro commissario tecnico” – assicura Antonio Di Natale, punta
dell’Udinese e della Nazionale –
“possiamo e dobbiamo migliorare
nei nostri atteggiamenti in campo.
È importante curare il rapporto
con gli arbitri; da un po’ di tempo
c’è una sorta di ricambio generazionale tra i direttori di gara, ve ne
sono di molto giovani, ed attraver-
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so un dialogo corretto potremmo
contribuire a rendere più sereno il
loro compito. Per fortuna, rispetto
ad una volta, adesso con gli arbitri
è possibile parlare: su questo presupposto è indispensabile portare
avanti colloqui corretti ed educati,
capaci sicuramente di agevolare i
rispettivi ruoli, quello dell’arbitro e
quello dei giocatori. Bisogna seguire
questa linea. In confronto a qualche
anno fa, comunque, mi pare che la
situazione stia migliorando sempre
più. Sull’appello di Lippi, comunque,
non c’è dubbio: ha ragione, ed anzi
noi calciatori dobbiamo raccogliere
il suo monito”.
“Credo molto nell’importanza del
fair play” – è il parere di Cristian
Molinaro – “e nel rispetto dei ruoli
tra tutti coloro che vanno in campo ed in tribuna. In particolare tra
arbitro e giocatori: ne guadagna la
qualità sia dell’uno che degli altri. Da
qui l’importanza a non abbandonarsi
a proteste plateali, che vanno inutilmente ad accendere le polemiche
Sopra, l’intervento di Marcello Lippi alla festa del quarantennale Aic di Milano.
Sotto, Di Natale, Zanetti e Molinaro.
ed il clima sugli spalti. Lippi ha fatto
bene, in un momento positivo per il
nostro calcio, a sottolineare l’importanza di mantenere un comportamento educato durante una partita.
La situazione, comunque, mi pare sia
in miglioramento. In tutte le società
professionistiche nelle quali ho militato, Salernitana, Siena e Juventus,
vedo come nei settori giovanili ci sia
sempre più l’impegno anche ad educare i ragazzi, oltre che ad insegnare a giocare a pallone. Ricordo, ad
esempio, che quando ero un giovane
della Salernitana, i dirigenti ci chie-
l’inchiesta
n coro:
gione”
devano di non esultare platealmente
dopo una vittoria, ma di contenere
la gioia proprio nel rispetto degli
avversari; un insegnamento importante, che mi porto ancora dentro.
E proprio su questo presupposto,
sono fiducioso che le cose miglioreranno. L’appello di Lippi darà certamente i suoi frutti”.
“A volte noi giocatori ci lasciamo
andare, è vero” – ammette Javier
Zanetti, capitano dell’Inter e bandiera anche della Nazionale argentina – “capita qui in Italia, così come
nel mio Paese, ed in tutto il mondo.
Per questo Lippi ha ragione. Non
dobbiamo dimenticarci che noi giocatori rappresentiamo spesso un
esempio per tanti bambini e ragazzi
che ci seguono con tanta passione.
La tensione della partita deve quindi
manifestarsi nella voglia di vincere
giocando meglio, non nel cercare di
imporsi con le parole o magari con
atteggiamenti plateali. So che non
è facile, ma noi calciatori dobbiamo
tenere ben presente questo nostro
impegno. Le parole di Lippi, quindi,
cadono a pennello, proprio adesso
che in tutti i campionati comincerà
la fase più decisiva della stagione”.
Il 22 febbraio scorso
La scomparsa
di Candido Cannavò
È morto il 22 febbraio scorso, all’età di 78 anni, nella clinica Santa Rita di Milano dove
era ricoverato per una emorragia cerebrale, Candido Cannavò, storico direttore della
Gazzetta dello Sport, giornale che aveva condotto per 19 anni, dal 1983 al 2002, facendolo diventare il più diffuso quotidiano sportivo d’Europa.
Nato a Catania nel novembre 1930, Cannavò aveva iniziato la sua carriera di giornalista
nel 1949 nel quotidiano della sua città, “La Sicilia”, occupandosi di sport ma anche di
temi sociali e di costume. Nel 1955 era entrato alla Gazzetta come corrispondente; nel
1981 ne era diventato vicedirettore, poi condirettore e nel 1983 aveva preso il posto di
Gino Palumbo alla guida del quotidiano. Lasciata la Gazzetta, rimanendo, fino all’ultimo
giorno, comunque editorialista, Cannavò aveva pubblicato la sua biografia “Una vita in
rosa” e tre saggi che testimoniano il suo impegno sociale: “Libertà dietro le sbarre”, “E
li chiamano disabili” e, l’anno scorso, “Pretacci”, storie di uomini che portano il Vangelo
sul marciapiede.
“Oggi lo sport ha perso un campione”- ha detto il presidente del Coni Gianni Petrucci,
che ha aggiunto: “Un campione che amava lo sport e lo ha narrato con sublime passione
e impareggiabile sentimento. Candido Cannavò non è stato solo un fuoriclasse del giornalismo, ma anche un maestro di vita. Rappresentava per me un punto di riferimento
costante, una figura carismatica”.
Il presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete, lo ha ricordato come “un vero uomo di
sport, impegnato a favore dei meno fortunati, con l’etica nel sangue. È stato un patrimonio per tutto lo sport, aveva un rapporto forte, intenso con tutte le discipline”, mentre
Antonio Matarrese, presidente della Lega calcio ha aggiunto: “Scriveva e raccontava il
calcio con severità, ma con tanto amore. Sempre pronto a bacchettare da buon ‘maestro’ quando qualcuno provava ad andare fuori dai binari dell’etica. Ricordo con commozione la sua gioia quando scoprì che nella mia valigia settimanale che uso per andare
in Lega nascondevo gelosamente una bellissima foto di Facchetti. Ora stanno insieme
e da lassù Candido e Giacinto continueranno a guardare noi e le nostre debolezze con
severità e amore, quell’amore che noi ricambiamo e che non verrà mai meno”.
Il Commissario Tecnico della Nazionale Marcello Lippi ha sottolineato: “Per lo sport, e
in particolare per il calcio, è una grande perdita. Si può dire che fosse la Gazzetta. Lo
avevo incontrato proprio qualche settimana fa. Mi mancherà, ci mancherà”.
“La scomparsa di Candido Cannavò” - ha dichiarato il Presidente dell’Aic Sergio Campana - “è
una gravissima perdita non solo
per il giornalismo e lo sport,
ma anche per la società civile,
considerando il suo impegno
nel sociale. L’Associazione Italiana Calciatori gli deve grande
riconoscenza per l’attenzione e
l’interesse che ha sempre dimostrato per la nostra organizzazione e per la nostra attività”.
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ha scritto per noi
di Alessandro Comi
Federico Marchetti,
portiere del Cagliari
In A con due
amici nel cuore
Federico Marchetti, nato a Bassano
del Grappa il 7 febbraio del 1983, è
stato il primo acquisto della stagione
2008/2009 del Cagliari. Arrivato da
Bergamo, sponda Albinoleffe, è cresciuto nelle giovanili del Torino; dopo
il fallimento della squadra granata, è
sceso in C2 a Vercelli pur di giocare,
poi Biellese, Crotone, Torino ed Albinoleffe. La scorsa stagione, dopo
quattro giorni dalla finale play off contro il Lecce e la mancata promozione
in serie A, è stato contattato dal Cagliari che lo acquisito con un “prestito
oneroso con diritto di riscatto”, con
cifra già stabilita. Ha firmato un contratto di quattro anni.
Tanto coraggio e un pizzico di incoscienza uniti ad un ottimo bagaglio
tecnico: queste sono le doti migliori
di Federico Marchetti, portierone alto
1.90, molto reattivo tra i pali e capace
di interventi molto spettacolari.
Difficile questo salto in serie A?
“Senza dubbio non semplice, dovuto
soprattutto al fatto che dopo 5 giornate eravamo ancora a 0 punti e quindi
è stato po’ scioccante questo debute. Poi, per forto nella massima serie.
ni con cui
tuna, grazie ai compagni
mi son trovato subito bene e
la tranquillità acquisitaa man
mano con i risultati chee sono
pirato
arrivati, abbiamo respirato
un aria più tranquilla poo più
tendo vivere in modo
sereno la partita”.
mpioTrovarti di fronte campiomovic,
ni come Kakà, Ibrahimovic,
Del Piero, Totti, che emozione ti ha dato?
mana qual“Logico che in settimana
e
che preoccupazione timore reverenziale lo senti, maa entrato in
tti uguali e
campo siamo poi tutti
penso alla partita, al risultato,
zionanon mi faccio condiziona-
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re… anzi do ancora di più!”.
Quali sono le esperienze positive o
negative che ricordi maggiormente
nella tua breve esperienza calcistica,
essendo ancora tu ancora giovane e
con parecchi anni di carriera davanti?
“Sicuramente l’esperienza più bella la
ho vissuta all’Albinoleffe l’anno scorso
quando, partiti per centrare la salvezza,
ci siamo ritrovati ad un passo dall’essere promossi in serie A. Sarebbe stata
una grande favola! Per fortuna la massima serie poi son riuscito a trovarla
ugualmente qui a Cagliari!
Invece ricordi negativi direi in alcune
situazioni vissute in serie C2, dove
c’erano società che non pagavano gli
stipendi e campionati giocati in zona
rischio retrocessione, quindi sudati
fino alla fine!
E una cosa che mi ha deluso molto
è quando ero a Torino, facevo il terzo portiere, avevo esordito contro il
Treviso causa espulsione di Sorrentino e il secondo portiere era infortunato: la società invece di aver fiducia
in un giovane, ha prefe
preferito correre
ai ripari comprando ssubito Berti e
non dandomi una seconda
sec
possibilità dopo il mio eso
esordio”.
Qualche prospettiva
prospe
per il
futuro?
“Nell’immediat direi si“Nell’immediato
curamente fa
fare bene qui
a Cagliari. Arrivo
A
da una
buona gavetta
gave
fatta in
campionati minori, so
quanto è difficile arrivare e confermarsi
e so qua
quanti giocatori
anche bravi
br in serie C
non hanno avuto molta
fortuna; qu
quindi mi tengo
ben stretta, finché posso, questa serie
A. Per il resto sono un tipo tranquillo, mi piace andare al cinema, leggere
libri (soprattutto biografie di sportivi)
e convivo con la mia ragazza Rachele
che ha origini sarde”.
Hai un tatuaggio particolare che ti fa
molto “onore”: puoi spiegarci a cosa
si riferisce?
“Sì, è un qualcosa a cui tengo molto e
che mi ricorda due splendide persone
ma soprattutto due cari amici: Andrea
Tagliaferri e Francesco Varrenti. Con
loro avevo un legame fortissimo nato
ai tempi della Pro Vercelli, nel 200304, in serie C2. Purtroppo il destino
ci ha divisi tragicamente: Andrea ha
perso la vita il 16 dicembre del 2004
in seguito ad un incidente stradale, accaduto nei pressi di Fidenza. Appena
due anni dopo, il 13 novembre 2006,
è stata la volta di Francesco, ai tempi
militante nella Biellese, morto sulla
A4 Torino-Milano, nelle vicinanze di
Greggio, assieme a Eleonora Boschetti. Tra i feriti di quell’incidente anche
Marcello Koffi, ex capitano della Carrarese e Veronica Buffon, sorella di
Gianluigi portiere della Juventus e
della Nazionale.
Con Andrea e Francesco avevo un
rapporto davvero speciale che andava al di là del campo. Eravamo non
solo amici nel rettangolo di gioco, ma
anche fuori. Per due estati di fila abbiamo fatto le vacanze insieme in Giamaica e a Cuba e ci eravamo promessi
di andare in Messico nell’estate 2005,
di nuovo tutti e tre. Poi il tragico destino. Così decisi di fare quel tanto
desiderato viaggio in Messico, ma da
solo. Laggiù mi feci tatuare sul braccio
sinistro la scritta “Andrea e Francy
with me forever”. Questo è stato il
modo per ricordare per sempre due
splendide persone alle quali ero e rimarrò legatissimo”.
amarcord
0ǸɉǸɑɜȨɜǸ
ȃȣȐȽɄȽȇȨȹȐȽɜȨȃɄ
Mi ritorni
in mente…
…
Mattia Notari (Mantova)
“Se proprio ne devo indicare una allora penso alla vittoria sulla Juventus,
quel suo anno in serie B, era allora
imbattuta da più di un anno e mezzo, l’ultima l’avevano persa col Milan. Era il primo sabato del gennaio
2007, come vedi me lo ricordo davvero bene, per come stiamo andan-
do adesso col Mantova pare tanto
più lontano nel tempo. Mai avevamo
visto il Martelli così pieno, tra l’altro
era in gran parte tutto bianconero e
c’era un’atmosfera davvero speciale,
specialmente per noi abituati fino a
poco tempo prima ai 3000 paganti.
Sembrava insomma una missione impossibile ma quel Mantova ne seppe
farne quell’anno dato che battemmo
sia Napoli che Genoa che poi salirono con la Juve in A. Ricordo alla vigilia che come sempre mister Di Carlo
ci mostrava i dvd degli avversarie e in
effetti vedendo chi dovevamo affrontare pareva di star lì davanti alla playstation. Comunque sia, con la nostra
grinta e la nostra fame li mettemmo
anche in difficoltà, 1 a 0 per noi, gol
mezzo e mezzo tra Bernacci e Kovac, fu più un autogol comunque, con
noi a fare barricate poi sino alla fine.
Pensa che loro ne persero un’altra
quell’anno, col Brescia, e la persero
ancora al Martelli, a Mantova, perchè
c’era campo neutro. Ricordo la valanga di sms che ci arrivò, c’era da sorridere a pensare quanto poteva muovere una partita di calcio, di sicuro
avevamo fatto contenti tanti milanisti
e interisti. Al martedì ci ritrovammo,
erano pur sempre e solo tre punti,
noi speravamo nei playoff che poi
nemmeno ci furono, avevano di più
quelle tre davanti. Ma rimase certo la
soddisfazione di aver giocato contro
dei campioni del mondo come Buffon, Del Piero e Camoranesi; e per
una volta averli anche battuti”.
Fabio Tinazzi (Sambenedettese)
“Ricordo la partita di ritorno dei playout, era contro il Chieti, la giocavamo in casa noi della Fermana perchè
alla fine del campionato eravamo
finiti davanti a loro. All’andata era
finita 0 a 0 e insomma a noi bastava
pareggiare e ci saremmo così salvati.
E così in effetti stavano andando le
cose quando poi loro all’89’ hanno
fatto gol, di colpo ci siamo trovati retrocessi, partita praticamente finita.
Invece, giusto a 30” dalla fine, abbiamo pareggiato, fu Micallo quella volta
a segnare. No, non è che allo stadio
ci fosse poi chissà quanta gente, fu
che giocammo anche una buona partita ma tutto sommato fummo anche
fortunati, all’andata loro sbagliarono
anche un rigore, mi pare l’abbia calciato proprio Quagliarella che adesso è all’Udinese, nelle due partite
ebbero più occasioni ma insomma
fummo noi a salvarci. Fu tutto così
molto intenso, è soprattutto questo
che più mi è rimasto dentro”.
Sergio Pellissier (Chievo)
“Quella che mi viene subito alla
mente è quando al Bentegodi abbiamo battuto il Milan per 2 a 1, se non
sbaglio era esattamente il dicembre
2005, il campionato che siamo poi
arrivati sino alla Coppa Uefa e ci siamo ritrovati in Champions, con noi
c’era anche Amauri e in panchina
c’era Pillon: è stata una bella stagione quella. Ricordo quella vittoria un
po’ perchè non capita spesso di battere il Milan, un po’ perchè a far gol
ci abbiamo pensato io e Tiribocchi,
siamo amici, così è stato ancora più
bello e infine perchè il giorno dopo
c’era il battesimo di mia figlia Sofia.
Prima della partita avevo pensato anche alla cerimonia, speravo insomma
di poterci andare contento, quando
perdi non sei mai felicissimo e invece
tutto andò bene. Il mio è stato il gol
del pareggio: c’è stata una punizione,
Mandelli l’ha messa in mezzo e io ho
anticipato Kaladze e di sinistro l’ho
messa dentro”.
lì proprio in campo che provammo
una emozione fortissima visto come
si erano messe le cose. Eravamo
quell’anno un gruppo molto giovane,
io ero arrivato a gennaio da Grosseto, era Cari l’allenatore. Ricordo
quanto fu lunga quella settimana, lì
ad aspettare di giocare quella partita
decisiva e non andammo comunque
in ritiro, l’allenatore preferì lasciarci
il più possibile tranquilli. Devo dire
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pianeta Lega Pro
di Pino Lazzaro
Daniele Cinelli
rappresentante Aic del Benevento
“Vent’anni di calcio
un grazie a m
“Col calcio ho cominciato lì al mio
paese, Monte San Giovanni Campano, provincia di Frosinone; all’oratorio, ero un pulcino ed è stato poi, da
allievo, che sono passato al settore
giovanile di Isola del Liri, 6 chilometri
da casa mia, facevo la quarta superiore quando sono arrivato a esordire in prima squadra. Ricordo la scuola, partivo la mattina col pullman e
dentro la borsa del calcio mettevo
anche i libri; tornavo poco prima di
cena, ero cotto e dovevo mettermi
lì a fare i compiti. A scuola me la
sono sempre cavata bene, semo e pure con voti
pre promosso
abbastanza alti,i, ricordo ancora
ssero di arrabbiacome ce ne fossero
rofessori perchè
ti tra i miei professori
cisi
col calcio decisi di non continuare gli studi,, sono comunque
tronico, anche
un perito elettronico,
ai
se non ho mai fatto nulla
o. Giocavo
poi al riguardo.
ri
all’Isola del Liri e mi vide
avarra, era
Rosettano Navarra,
el
presidente del Fano, mi
care, lui più
portò lì a giocare,
tardi ha fatto pure il preinone”.
sidente a Frosinone”.
prio col
“È stato proprio
passaggio al Fano,
a quello che era
ricosì il mio prito
mo campionato
tiprofessionistipito
co, che ho capito
che davvero anch’io
avrei potuto farmi
una carriera, che potevo starci. Eraa il 1995
e fu quello un anno
colare per
davvero particolare
rdita di mia
me, con la perdita
usto
madre, era giusto
da poco quel-
30
la la prima volta per me fuori di casa,
mia madre se ne andò a dicembre,
fu durissima e mi aiutò il fatto d’avere un carattere abbastanza forte. Ci
teneva mia madre che giocassi, veniva anche a vedermi, so che era una
gioia per lei vedermi professionista e
fu proprio a mia madre che portai il
mio primo stipendio. Ho fatto la mia
carriera e se mi chiedi se potevo fare
di più dico che quando io alla sera
vado a dormire e guardo indietro,
sento di poter dire che non mi posso
rimproverare chissà che cosa, che
ho fatto tutto quello che potepot
vo fare e insomma ho avuto ppiù
o meno quello che era gius
giusto
avessi. Ma un rammarico m
m’è
rimasto, lo devo dire. Penso a
quand’ero ad Avellino,
Avellin
avevamo vinto la C1
C
ed eravamo così in
B, l’anno prima
prim
avevo giocato 34
partite ed eero
stato nom
nominato quale
qua
miglior calc
ciatore ddel
girone di
C1. VenVe
ne Zeman
Zem
e dopo poche
poc
partite mi ritr
ritrovai fuori rosa e
ancora non so
perchè. Non l’ho
l’h
mai capito e mai
m
mi è capitato di
chiederglielo il
perchè”.
“È vero, adesade
so
hann
hanno
cambiato il
nome da
“se-
Daniele Cinelli è nato a Isola Liri (FR) il 5
ottobre 1975. È sposato con Lorenza: hanno
una figlia, Lucrezia, di 11 anni. Così Cinelli: “Per
un bel po’ di anni loro mi hanno sempre seguito,
adesso mia moglie lavora e così a casa ci torno
la domenica sera; sono sacrifici che facciamo
tutti assieme, sanno bene che loro sono la mia
vita”.dell’incontro.
rie C” a “Lega Pro” e hanno anche
detto che quel “serie C” era riduttivo ma io sinceramente non mi sono
mai sentito “uno di serie C” in quel
senso. Anzi, pur con la mia umiltà ma
sempre con la determinazione che
so di avere, dico invece che mi ritengo tra i più forti giocatori della Lega
Pro, di campionati ne ho vinti sinora
quattro e al di là di quella che può
essere la visibilità che un calciatore
può avere a questi livelli, so bene la
stima che nei miei confronti hanno
compagni e allenatori che ho avuto.
Con i giovani sono uno di quelli che
non fa fatica, sono tra i primi a dare
una mano quando c’è da accoglierne
uno, qualche consiglio lo do volentieri. Ma non sono di quelli che urlano,
direi che sono più un leader silenzioso, ecco, se c’è da dare l’esempio
preferisco farlo con gli atteggiamenti,
non a parole. Ne potrei dire parecchi
di compagni che negli anni mi hanno
insegnato molto ma per ricordarne
uno vado indietro al mio primo anno
in C2 a Fano. Lì c’era Rolando Maran,
lui adesso allena la Triestina: come
pianeta Lega Pro
cio e…
a mio padre”
detto era quella anche la prima volta che ero via da casa e ho imparato
parecchio, lo ricordo come un professionista esemplare, già allora era
in fondo un allenatore”.
“Quest’anno è la prima volta che
faccio il rappresentante di squadra,
sono il più vecchio della squadra,
l’abbiamo deciso parlando tra noi
nello spogliatoio: sono sempre stato
iscritto all’Associazione e mi sono
anche sentito in dovere di farlo io
stavolta il punto di riferimento. Per
iscrivere i compagni non ci sono
stati poi grandi problemi anche se
devo dire che le questioni difficili
non mancano, tipo il discorso delle
“rose”, tra l’altro ancor più negative
proprio per quelli più avanti con gli
anni naturalmente. Ne ho fatti parecchi di anni in questa categoria e
a me pare che non siano poi tanto
cambiate le cose: soprattutto qui riescono a far bene quei gruppi fatti da
ragazzi in gamba che riescono davvero a mettersi assieme, a fare una
squadra unita, allora sì fai strada. La
mia di fortuna adesso è di stare con
una società come questa, penso ce
ne siano pochissime come il Benevento. A condurlo sono due fratelli,
Oreste e Ciro Vigorito, mai viste due
persone così sollecite e corrette.
I programmi sono ambiziosi e anche
come strutture devo dire che qui
siamo all’avanguardia: due mesi dopo
la vittoria dalla C2 alla C1 era già
pronto un campo in erba sintetica di
ultima generazione. È insomma una
società modello, seria in tutti i sensi.
Devo dire che in tutta la mia carriera
penso di essere stato fortunato, grazie a Dio mi è sempre andata bene,
so che non è certo così in giro ma
insomma bene o male sono sempre
riuscito a prendere tutto”.
La scheda
“Al dopo ci penso e non ci penso,
l’idea è intanto di continuare ancora
per un po’ a giocare anche se sto già
pensando di cominciare a prendere
intanto il patentino di allenatore. Comunque sia sono molto concentrato
in quello che sto facendo, punto a
vincere il mio quinto campionato e
chissà che non possa poi continuare
e chiudere più avanti la mia carriera proprio qui a Benevento. Vorrei
qui approfittare per fare un ringraziamento che non ho mai fatto e lo
voglio fare a mio padre. Dai 13 ai 18
anni è stato sempre lui che mi ha
portato in giro, ha vissuto passo passo le mie gioie e insomma mi è stato
sempre vicino, fin da piccolo. Ecco
così anche da qui, dal Calciatore, il
mio grazie a lui, a mio padre”.
31
femminile
di Pino Lazzaro
Brunozzi, Nasuti e Masia
La parola
alle “rappresentanti”
Magari piano piano, anzi pianissimo, ma dicono comunque che il movimento
sta andando avanti, poco a poco sta insomma prendendo piede e tutte e tre
guardano specialmente alle ragazzine, alle tante di più che ora si avvicinano
al pallone, segno che anche le famiglie – dicono – oppongono meno resistenze. Sono ormai anni che qui sulla rivista dedichiamo uno spazio (la “storica”
rubrica “Noi della C”, ora diventata “Pianeta Lega Pro”) ai rappresentanti di
squadra di società appartenenti alla Lega di Firenze, sparsi nel territorio.
Ecco così che stavolta abbiamo deciso di aprire i microfoni a tre ragazze di
Serie A che sono per l’appunto le rappresentanti dell’Associazione Calciatori
nelle loro rispettive squadre: Carla Brunozzi (Bardolino), Gioia Masia (Roma)
e Giulia Nasuti (Reggiana).
Carla Brunozzi (Bardolino)
“Miglioramenti continui”
“Faccio la rappresentante di squadra
perchè del gruppo sono quella che ha
dato più disponibilità a farlo. Da una
parte ci tenevo e ci tengo, dall’altra
non è insomma una cosa che porta via
chissà quanto tempo. Tra l’altro tante delle mie compagne sono spesso
via con la Nazionale, io ci sono stata
prima e dunque posso anche prodigarmi un po’. Grazie alla Champions
che abbiamo fatto in questi ultimi due
anni col Bardolino (già l’avevo fatta a
suo tempo con la Torres) ho potuto
toccare con mano la realtà di squadre famose come l’Arsenal e il Lione
che hanno pure la sezione femminile, è con loro che ci siamo misurate. Proprio un altro modo di vedere
non solo il legame calcio-donna ma
quello più ampio di donna e sport e
si sa che noi qui siamo indietro anni
luce, il solito riferimento alla cultura.
Comunque miglioramenti continuo
a vederne, sono sempre di più le ra-
gazzine che vogliono e cominciano a
far calcio: da una parte aumenta la
predisposizione verso questo sport e
dall’altra si avvertono sempre meno i
“blocchi” decisi dalle famiglie”.
“Qui a Bardolino so bene di essere in
una società che è all’avanguardia per
quel che è il nostro calcio, peccato
che sia tutto sommato ancora una
eccezione. Qui insomma si avvertono meno i “soliti” problemi tipo la
difficoltà di trovare persone da coinvolgere nel progetto di una squadra
di calcio femminile e il reperire fondi
per l’insieme delle attività. Gli stessi
risultati hanno contribuito a darci visibilità e non sono poche le ragazze,
anche straniere, che bussano per essere magari tesserate”.
“Tornando alla Champions, devo dire
che in tanti anni che gioco – e penso anche alle squadre incontrate con
la Nazionale, ne ho 55 di presenze
con la maglia azzurra – mai avevo incontrato una formazione così forte
come il Lione, non a caso in parecchie
di loro sono andate adesso a giocare
nel campionato professionistico negli
Stati Uniti. Di solito la differenza che
Dopo gli inizi con i maschi nel Torricella Sicura (Te) e il successivo passaggio al Teramo
in serie C, Carla – classe ’76, gioca in porta
– ha esordito in serie A con la Lazio a 17 anni
giocando poi, sempre in A, via via con Ascoli,
Oristano, Torres, Senigallia e infine Bardolino.
più vedevo era quella dell’aspetto fisico ma stavolta c’era in loro pure una
grande qualità tecnica. Ho sentito che
guadagnano anche bene e lì a Lione
abbiamo giocato nello stadio dove giocano anche i maschi, bellissimo, pure
il presidente di tutto il Lione era allo
stadio, anche all’andata lui era presente al Bentegodi”.
“No, non ho fatto nessuna fatica a
iscrivere le mie compagne. Qui magari
va tutto, come dire, in automatico ma
anche quand’ero a Senigallia, bastava
proprio poco perchè anche le ragazze
più giovani comprendessero quanto
fosse utile iscriversi all’Associazione.
Che vuoi, spero proprio che la nostra
Federazione possa e voglia fare di più
per aiutare il nostro movimento, che
possa intervenire la stessa Lega Dilettanti, anche per stare un minimo al
passo con quel che viene fatto in tante
squadre straniere”.
Gioia Masia (Roma)
“Qui alla Roma ci sono da tre anni,
all’Associazione Calciatori sono
sempre stata iscritta e così ho deciso di farla io la rappresentante. In
effetti giusto tre stagioni fa dovevo
andare al Bardolino, mi lusingava e
avv e aanche
c e accettato, ma
avrei
aalla
lla fine ho deciso di seguire il cuore, sì lui,
vist
visto che sono
lla compagna
dell’allenatore, di Giampiero (Serafinni; n.d.r.), se
no
non fosse stato
cos
così credo come
det
detto che sarei
and
andata a giocarci
col Bardolino. A
quel tempo decisi
così di ripartire dalla
”
femminile
Giulia Nasuti (Reggiana)
“Serve più visibilità”
“Ho sempre giocato qui a Reggio,
sono il capitano e anche per questo
ho deciso di fare io il rappresentante
di squadra per l’Associazione. All’Aic
ho cominciato a iscrivermi appena
sono diventata maggiorenne e per
quello che sto vedendo con le mie
compagne devo dire che si iscrivono
praticamente tutte, non è insomma che siano necessarie da parte
mia delle particolari spiegazioni e le
poche volte che magari mi capita di
dover motivare il perchè iscriversi, batto da una parte il tasto della
possibilità di avere al proprio fianco
un supporto (tipo un avvocato) se
si hanno problemi con la società,
dall’altra il valore più generale della
partecipazione il più possibile ampia
per far crescere il movimento”.
“La mia storia col calcio è stata, come
dire, graduale, col parco sottocasa
qui nel quartiere: andavo sempre a
giocare con un mio cugino. Poi lui è
andato in una squadretta, non erano in tanti, mi hanno chiesto se mi
andava di giocarci anch’io e così ho
cominciato, pure fortunata perchè
c’era questa realtà vicino a casa mia.
Negli anni ho visto che tutto sommato il nostro movimento è andato
allargandosi, io penso specialmente
per quel che riguarda il calcio a cinque e anche di squadre primavera ce
ne sono di più, questo almeno è quel
che capita qui nella mia provincia con
parecchie adesso realtà in serie C e
D, il che vuol dire che le stesse famiglie sono intanto meno contrarie
di prima. Resta sempre il problema
di reperire “veri” sponsor che diano
reale supporto, anche per questo io
vedo quanta fatica si faccia pure ad
avvicinarci a strutture decenti, penso ai campi e agli stessi spogliatoi”.
“Sul fatto che di noi non si legga
praticamente nulla, penso che non
sia una questione legata esclusivamente al calcio giocato dalle donne.
Il nostro non è altro insomma che
uno dei tanti sport cosiddetti minori
che ci sono da noi, che non hanno
visibilità. Mi piacerebbe così dire alla
Gazzetta dello Sport che invece di
Classe ’85, Giulia gioca “da metà campo in
su”. Dopo la triennale in Filosofia, si sta ora
specializzando in Antropologia.
dedicare 20 pagine al calcio maschile
– dai e dai senza così dire alcunché
– potrebbe parlare di tutti gli altri
sport, tenendo conto di quanti sono
coloro che li praticano e non fanno
calcio. Dove arrivano le televisioni ci
sono soldi e strutture, dunque arriva
la visibilità in riferimento allo spettacolo e al discorso economico che è
conseguente. Il tutto a prescindere
da quel che può essere il numero dei
partecipanti, è quel che in genere mi
dispiace, non tanto lo specifico riferimento al nostro calcio”.
“Più avanti rispetto ad una volta”
serie B, prima ero in A col Bojano,
c’era questo progetto ambizioso e
così in due campionati ora sono tornata a giocare qui con loro in serie
A. Visto che all’inizio tante ragazze
qui non sapevano nulla dell’Aic –
come ho detto sono sempre stata
una iscritta – ho pensato di farla io
la portavoce e “fatica” non ne ho
proprio fatta, anzi c’è stata più d’una
che si è lamentata perchè non avendo ancora 18 anni, non poteva fare
l’iscrizione”.
“Con Giampiero sono assieme da
tre anni, di giorno ognuno sta dietro
alle proprie cose e spesso è proprio
alla sera in campo che ci ritroviamo.
È un rapporto questo che lo stiamo
vivendo in modo mi pare normalissiCapitana della Roma, difensore, classe ’77,
Gioia ha vestito in precedenza le maglie di Torres, Lazio e Bojano.
mo, è già capitato più di una volta che
m’abbiano poi detto che nemmeno
s’erano accorti che noi due siamo assieme. Sono anche il capitano, devo
e voglio rappresentare tutte le mie
compagne e se gli devo dire qualcosa
non mi faccio certo problemi. Naturalmente sono abituata alla solita
battuta che gioco sempre perchè sto
con lui e devo comunque dire che
quando là dietro prendiamo un gol,
io gioco per l’appunto in difesa, stai
sicuro che la prima che lui nomina
sono proprio io. In fondo l’unico
giorno in cui siamo davvero insieme
resta così la domenica e ti assicuro
che di tutto si parla tranne che di
calcio femminile. Se in futuro farò
anch’io l’allenatore? No, non credo proprio. Intanto non so se sarei
all’altezza, poi a dir la verità ho ancora tanta e tanta voglia di giocare. Se
penso a quando smetterò, allora mi
vedo più come mamma e se per dire
capitasse avessi una bambina e lei
volesse un giorno giocare a calcio,
ecco che di certo l’asseconderei, la
accompagnerei e tutto il resto, sicuro”.
“Naturalmente siamo molto ma molto indietro rispetto ad altre nazioni,
loro fanno per dire dieci passi e noi
magari giusto uno e mezzo ma comunque siamo più avanti rispetto a
prima. Penso per esempio alle scuole calcio femminili, solo a parlarne
si sarebbero messi a ridere anni fa,
invece ne vedi tante adesso di ragazzine, anche piccolissime, tutte con
la loro divisa la loro borsa. Anche
questo un modo per far ancor più
conoscere il nostro calcio, assieme
al segnale che sono sempre di meno
i pregiudizi da parte dei genitori”.
33
l’incontro
ɄȹȐɕɜǸȨѵ
Moreno Torricelli,
allenatore della
lla Pistoiese
“Vivo a Firenze e quel che faccio ora
come ora è il papà a tempo pieno, ci
tengo a seguirli, ho l’esempio di mio
padre, lui mi è sempre stato dietro
tantissimo. La più grande ha 14 anni
e come sport fa la pallanuoto; poi c’è
il ragazzino che va matto per il motocross e la più piccola che la passione per la musica e che ora si dà da
fare con la batteria. Provo a stare per
bene con tutti ed è per questo che
parlo di tempo pieno. Con il calcio
sino la scorsa stagione ero nel settore giovanile della Fiorentina, avevo
gli esordienti regionali, ma quest’anno ho preferito lasciar stare. Non
mi sono trovato d’accordo su come
venivano gestiti i ragazzini, la società
Ultima ora: mentre andavamo in
stampa, Moreno
Torricelli è diventato
l’allenatore
della Pistoiese.
a chiedermi di puntare su quelli più
“bravi”, io che ne avevo in tutto 27
facevo invece giocare tutti, dicevano
che facevo troppo turn-over. Ragazzetti di undici-dodici anni, che sono
proprio all’inizio, quasi mi viene da
dire che anche a un’età così conta
più il vincere il campionato che crescerli... non so, non sono d’accordo,
non la vedo così”.
“L’idea di allenare posso dire d’averla avuta da tanto tempo ma mi sono
preso il mio tempo, pensando prima
di prendere tutti e tre i patentini: di
base, di seconda poi anche quello
di prima. Vediamo un po’ quel che
succede, l’idea di un settore giovanile mi
m attira sempre ma vista anche
l’espe
l’esperienza con la Fiorentina forse
èm
meglio per me prenderne di più
ggrandi, magari una Primavera
per dire. Come calcio giocato
faccio ogni tanto del calcetto
e quand’ero lì con i ragazzini alla Fiorentina, certo che
giocavo le partitine. Pensando a questo mio desiderio di
allenare penso comunque sia
un ruolo molto difficile e in un
c
calcio
come l’attuale credo che la
ccosa più complicata sia quella di
m
motivare tutti allo stesso modo,
re
rendere tutti partecipi. Come
appr
approccio credo che sarò comunque uun democratico, non certo un
serge
sergente di ferro tenendo presente
in og
ogni caso che le decisioni le devo
poi pprendere io dato che se va male
sono sempre io quello che poi viene
sostit
sostituito”.
“È ve
vero, al mio tempo molti parlarono di “favola”, io che giocavo in Cnd
salii fino alla Juventus e se mi chiedi se potevo fare di più cosa vuoi
che ti dica. I sogni io sono riuscito
a realizzarli, sono arrivato a giocare
in una grandissima squadra, ho partecipato alla Coppa Campioni, sono
stato anche in Nazionale e se proprio devo dire un qualcosa che non
è andato, dove magari posso avere
un po’ di rammarico è proprio con la
maglia azzurra: ci sono stato cinquesei anni e ho messo assieme soltanto dieci presenze. Solo questo, con
dall’altra parte però tutto il bello che
ho avuto. Sì, penso d’essere stato un
professionista scrupoloso, cercavo
di stare attento insomma anche ai
minimi particolari, uno di quelli che
arrivavano ben prima come orario,
specie più avanti negli anni della carriera quando dovevo cercare di fare
le cose ancora meglio per via degli
infortuni che ho avuto. In più m’è
sempre piaciuto poter fare le cose
con calma, senza fretta”.
“Certamente Trapattoni è stato
una persona importante per me.
D’accordo nel farmi passare dall’Interregionale alla Juventus ma anche
per quel suo starmi attento, quel
suo farmi capire come dovevo anche gestirmi fuori del campo, nel
rapporto con i media per esempio.
Un’altra presenza che per me è sta-
ta fondamentale nello spogliatoio è
stata quella di Vialli. Lui era un campione ovviamente del tutto affermato eppure vedendolo così attento a
tutti i particolari è stato un grande
insegnamento, per me ma anche per
tutti quelli che erano lì con lui nello
spogliatoio. No, non era una “storia”, facevo davvero il falegname solo
che devo dire che lavoravo più che
altro con le macchine, non è insomma che fossi con un artigiano che
m’insegnava a usare per davvero le
mani. Lavorare col legno è un mestiere bello e antico e se l’avessi potuto fare appunto con un artigiano
sarebbe stato meglio, anche per me
intendo, avrei imparato di più, vedi
i lavori qui in casa dove al massimo
arrivo a fare qualche scaffale, che va
comunque giù in cantina, fin lì posso
arrivare”.
“Allo stadio non ci vado molto, tutto sommato preferisco vedermele a
casa le partite. Idem per andare ospite in qualche trasmissione televisiva,
non ci tengo, nemmeno quando giocavo ci tenevo, il più delle volte sono
solo polemiche e non mi piace. Ecco
così che ci vado giusto un paio di vol-
te l’anno, in tv locali qui di Firenze.
Se penso al pallone quel che più mi
manca è l’atmosfera che hai modo di
vivere nell’avvicinarsi a grandi appuntamenti come può essere una partita
di Champions. Ecco, quell’adrenalina
lì mi manca, un qualcosa che ti fa
sentire anche importante se vuoi:
penso che pagherei adesso per poter rivivere momenti così. Con gli
arbitri posso dire che ho sempre
avuto un buon rapporto; mi capitava
sì di esagerare quando per me avevano fischiato male, ma sono sicuro
di non aver mai mancato di rispetto
come del resto hanno fatto loro nei
miei confronti, capivano insomma la
concitazione di un momento, sapevano chiudere un occhio”.
“Una partita che rigiocherei volentieri è quella famosa contro l’Inter,
quella dell’episodio del rigore su Ronaldo, tutti poi a dire di campionato
falsato e una montagna di parole. Al
di là di quell’episodio, per me invece
quell’anno non ce n’era per nessuno,
l’abbiamo meritato quello scudetto
ed è proprio per questo che la rigiocherei quella partita. Chi invece
mi ha fatto proprio penare è stato
Lentini; ricordo in particolare il suo
primo anno al Milan, mi ha proprio
fatto soffrire allora. Che vuoi, so
La scheda
bene che tutti hanno i loro sogni da
inseguire e se proprio dovessi provare a dire una cosa ai giovani, allora
dico di fare in modo di allenarsi sempre al meglio, di credere nelle proprie possibilità, cercando sempre di
migliorarsi non tanto per convincere questo o quell’allenatore, quanto
per sé stessi. Un tale approccio penso sia così uno stimolo ancora più
grande: un atteggiamento che prima
o poi viene ripagato. Un’ultima cosa
la vorrei poi dire io. Quel che non
mi è mai piaciuta è la simulazione, la
trovo una cosa squallida quell’ingannare arbitro e avversario, anche da
giocatore mi faceva arrabbiare. Ecco,
mi piacerebbe che chi segue questo
tipo di strada cercasse di limitarsi
anche perchè con tutte quelle immagini che ci sono adesso in televisione è proprio evidente quando
uno fa finta. Se interverrò magari da
allenatore? Certamente qualcosa lo
proverei a fare, già il limitare è un
qualcosa, certo però che dipende dal
giocatore: o ce l’hai dentro una cosa
così o non ce l’hai”.
Moreno Torricelli, classe ’70, giocava nella Caratese
(Cnd) e fu dopo un’amichevole disputata contro la
Juventus che venne convocato per un provino proprio con i bianconeri allenati da Giovanni Trapattoni.
Superò “l’esame” e così partendo proprio dalla cima
della piramide, si aprirono per lui le porte del calcio professionistico. Con la Juve
ha vinto tre scudetti, due Coppe Italia, una Supercoppa Italiana, una Coppa Uefa,
una Champions League, una Supercoppa Uefa e una Coppa Intercontinentale.
Con la maglia della Nazionale conta dieci presenze e ha fatto parte del gruppo
azzurro all’Europeo del ’96 e al Mondiale del ’98. Ha giocato anche con Fiorentina, Espanyol e Arezzo. Sposato, tre figli, vive a Firenze.
segreteria
Una decisione interessante
ed… “educativa”
Arbitri per…
punizione
Il nostro Fiduciario di Venezia, avvocato Roberto Zanata, ci ha inviato la
decisione alquanto insolita, ma certamente interessante ed “educativa”,
emessa dalla Commissione Disciplinare di Venezia, assunta nell’ambito
di una vicenda che ha avuto vasta
eco anche sulla stampa: si tratta
dell’episodio che ha visto protagonisti, alla fine dell’aprile scorso, alcuni
giovani calciatori della squadra Team
Biancorossi di Salgareda (TV) che
disputa il campionato giovanissimi.
Sette di loro, dopo aver realizzato
nei confronti dei pari età della squadra del Cimapiave la quinta rete (i
gol alla fine saranno ben 8) si sono
diretti verso il settore occupato dai
tifosi avversari e, schieratisi in linea
orizzontale, come si legge nella delibera, “hanno mostrato le spalle agli
spettatori, e dopo essersi leggermente chinati in avanti hanno abbassato i calzoncini al fine di mostrare
agli astanti i propri glutei”.
La bravata, oltretutto non segnalata dall’arbitro nel proprio referto, ha
fatto ben presto il giro delle redazioni
arrivando sulle pagine del Gazzettino
e della Tribuna di Treviso. Tanto che la
società, per stigmatizzare l’accaduto,
aveva subito provveduto alle “scuse
ufficiali” e punito i giovani “spogliarellisti” obbligandoli a “lavori socialmente
utili”: tagliare l’erba del campo, sistemare le reti, raccattare le immondizie.
Ma il grave gesto di antisportività li
ha successivamente portati, giustamente, anche avanti alla Commissione Disciplinare. E qui la sorpresa: tre
giornate di squalifica (fin qui nulla di
strano) e obbligo di arbitrare fino al
termine della stagione le gare dei pulcini e dei “piccoli amici”. Su idea dello
stesso presidente della società Team
Biancorossi, Stefano Mazzola, interpellato dalla procura federale della
36
Figc, ripensando al lavoro educativo
che svolge la società Team Biancorossi con i loro calciatori, è stato infatti
ideato un progetto per far crescere
nel servizio i suoi disinibiti giocatori:
partendo dal fatto che dalle sole sanzioni non possono imparare molto, la
società ha pensato di renderli partecipi del calcio dei loro compagni più
piccoli, vestendoli di nero e con un
fischietto in bocca, facendoli diventare arbitri e attori delle proprie scelte,
con i rischi e i pregi che il decidere
porta, comprese certe assurde contestazioni che si vedono sui campi di
calcio. E poi, magari, meditare sopra
a certe esperienze.
Una decisione interessante, dicevamo, ma per la sua “particolarità”,
da un punto di vista prettamente
“tecnico” non facile da prendere: la
vicenda sulla quale la Commissiono
Disciplinare Territoriale è stata chiamata a pronunciarsi doveva essere
infatti esaminata sotto diversi angoli
visuali. In primis lo stesso fatto in sé:
il comportamento dei calciatori (vale
a dire l’essersi abbassati i pantaloncini con le terga rivolte verso il pubblico dopo la segnatura di un goal)
si configurava come assolutamente
pacifico e poteva anche non essere
approfondito dalla stessa Commissione che poteva ritenere di poca
utilità le ulteriori sfumature che lo
connotavano (ad esempio i metri di
distanza dei giocatori dalla recinzione, i gradi d’inclinazione adottati dai
ragazzi nell’eseguire il gesto, il livello
di abbassamento dei pantaloncini,
ecc.).
In secondo luogo, era da stabilire il
significato di tale comportamento
(certamente ineducato e sportivamente non corretto, ma fine a sé
stesso? espressione di una poco meditata esuberanza adolescenziale?) e
i destinatari (avversari? pubblico di
parte? pubblico avversario?).
D’altro canto, volendo applicare in
termini puramente formali le regole del giudizio disciplinare, il fatto
che il direttore di gara, primo giudice dell’evento, non avesse in alcun
modo registrato l’episodio nel suo
referto, né adottato alcuna sanzione nei confronti dei suoi autori - il
tutto certamente non spiegabile con
la mancata percezione dell’accaduto,
visti il numero dei giocatori implicati
e le modalità dell’evento – avrebbe
potuto indirizzare ad attribuire al
gesto incriminato un significato non
particolarmente offensivo contro alcuno ed addirittura renderlo esente
da sanzione.
Vero è altresì, ed al contrario, che una
diversa lettura, restando pur sempre
da valutarne l’oggettività, era stata
proposta dagli Organi di stampa che
hanno trattato della vicenda. Il punto
è, in realtà, che al di là dell’effettivo significato che gli autori abbiano inteso
attribuirgli, quel comportamento, in
sé appariva certamente confliggente
con i principi di lealtà, correttezza e
probità che (art. 1 C.G.S) devono caratterizzare il contegno dei tesserati
nello svolgimento dell’attività sportiva e ben poteva prestarsi ad essere
interpretato come offensivo e dileggiante dal pubblico.
Da qui la decisione, una punizione
che vuole diventare una scuola di
rispetto e di crescita morale e personale per i sette giovanissimi calciatori: dal momento in cui hanno fatto
valere la loro superiorità in campo
sbeffeggiando avversari (Cimapiave)
e spettatori, sono diventati protagonisti di un programma condiviso tra
procura federale e la stessa società
sportiva, utile a ribadire il rispetto
per i valori sportivi ed educativi.
medicina
di Piero Volpi
Lo specialista in medicina
dello sport nella progettazione
dei calendari e dei percorsi di gara
Pubblichiamo di seguito un ampio riassunto della relazione che il consulente Medico Aic dott. Piero Volpi ha tenuto il 20
febbraio scorso a Torino in occasione del XXXII Congresso Nazionale della Federazione Medico Sportiva Italiana.
In questi ultimi anni nello sport professionistico si è visto consolidare un
rapporto, sport e medicina, che è notevolmente cresciuto ed evoluto in termini organizzativi, normativi, assistenziali. Fra gli anni ’80 e ‘90 per esempio
nel calcio, sport più popolare in Italia,
le squadre professionistiche italiane,
anche sulla spinta di obblighi normativi, si sono strutturate con la presenza
dapprima saltuaria, ma poi continuativa di un medico responsabile dell’attività medica della società, specialista in
Medicina dello Sport. Le competenze
a cui è demandato il responsabile medico nello sport professionistico sono
molteplici e di grande impegno: organizzare e sovraintendere tutto il settore medico, valutare l’idoneità psicofisica degli atleti al momento del loro
inserimento nella squadra e durante la
stagione sportiva, instaurare ogni presidio preventivo atto a salvaguardare la
tutela della salute degli atleti, impostare
gli indirizzi diagnostici e terapeutici per
gli infortunati compresi gli interventi di
pronto soccorso. Inoltre deve controllare le prestazioni sportive in collaborazione con l’allenatore e i preparatori
atletici stabilendo insieme programmi di
allenamento, fornire protocolli dietetici
e consigli di nutrizione, vigilare sull’uso
di farmaci e integratori non personalmente prescritti o autorizzati, eseguire
ogni accertamento sanitario previsto
dalle leggi sportive compresa l’assistenza durante i controlli antidoping.
La prevenzione rappresenta per il medico dello sport il principale e più importante obiettivo da conseguire, in
questo ambito con la collaborazione
dell’allenatore e del preparatore atletico deve stabilire i carichi di lavoro e
la pianificazione degli allenamenti. Deve
consigliare là dove sia necessario dispositivi di protezione contro i traumi
come caschi, tutori, bendaggi, parastinchi, plantari, ecc. Inoltre deve verificare
le condizioni degli ambienti di lavoro
(spogliatoi, palestre, ecc.) le attrezzature sportive (piste, superfici e terreni da
gioco). Il medico dello sport dovrebbe
inoltre con i dirigenti e gli organizzatori
delle manifestazioni sportive poter incidere sul numero e la frequenza delle
competizioni sportive onde evitare una
ravvicinata ed elevata partecipazione
alle gare che potrebbero influire negativamente sul rendimento e sull’integrità
fisica degli atleti.
Per esempio nel calcio professionistico
i calciatori di squadre che partecipano a gare di campionato, Coppa Italia
e Coppe europee hanno un rapporto
allenamenti/gara di circa 3.6 a 1. Questo indice testimonia come ci sia poco
tempo per allenarsi rispetto agli impegni agonistici, soprattutto in considerazione che gli allenamenti che precedono
e seguono la gara non possono essere
considerati “allenanti”. Questo dato
inoltre risulta essere in difetto perché
non include le partecipazioni di numerosi calciatori, italiani e stranieri, nelle
loro rappresentative nazionali durante
la stagione. Tale indice, che per primi
abbiamo introdotto in letteratura (1) è
stato recentemente ripreso anche da
altri autori (2), costituisce un quoziente utile per gli allenatori e preparatori
in merito alla prevenzione dei traumi:
maggiore è il quoziente allenamento/
gara, minore risulta il rischio lesivo.
È indubbio che nel settore professionistico, soprattutto ad alto livello, il
numero totale delle gare ufficiali, gli
impegni infrasettimanali, gli avvii di stagione troppo affrettati ed intensi che
accorciano un periodo di preparazione fisiologico, costituiscono potenziali
concause al determinarsi di infortuni. I
terreni da gioco rientrano fra le cause
di rischio traumatico. I campi di allenamento e di gara dovrebbero essere
erbosi con superfici regolari e assenze
di strutture pericolose a bordo campo.
Inoltre si dovrebbe giocare su superfici
simili. Le calzature del calciatore sono
da sempre scarpe tecniche: la presenza
nella suola di dispositivi, tacchetti, lamelle, barrette,ecc., che consentono
maggiore aderenza al terreno da gioco
rappresentano l’elemento caratteristico. Suole che privilegiano una aderenza
massimale al terreno, come richiesto
dalla rapidità del gioco moderno, favoriscono un maggior blocco delle articolazioni distali (caviglia e piede), con
maggior vulnerabilità delle articolazioni
prossimali (ginocchio). I nuovi modelli di calzature con suole più aderenti,
garantiscono più elevati coefficienti di
presa al terreno rispetto ai coefficienti
di scivolamento. In tal modo in presenza di terreni imperfetti, strutture muscolari degli arti inferiori dei calciatori
sempre più potenti, rapidità gestuale
massimale, il rischio traumatico muscolotendineo e articolare appare aumentato (3).
BIBLIOGRAFIA
1. Volpi P Soccer injury epidemiology. J Sports Traumatol 2000; 22: 123-131
2. Ekstrand J Preventing injury in Football Medicine Martin Dunitz Ed 2003; 39-119
3. Volpi P Epidemiology and risk factors in soccer. Med Sport 2008; 61: 65-70
37
internet
di Mario Dall’Angelo
I link utili
Simone Perrotta
tra calcio e impegno sociale
È uno dei campioni del mondo in carica, tutt’ora giocatore della Nazionale e colonna della Roma. Simone
Perrotta, calabrese nato in Inghilterra nel 1977, è uno di quelli che non
si tirano mai indietro, sul campo ma
anche nella vita.
Simone, l’Italia e il mondo intero
stanno attraversando un periodo di
grave recessione economica. Temi
qualche ripercussione anche per il
calcio?
«Penso che si allargherà sempre di
più la forbice. I giocatori top guadagneranno sempre di più mentre quelli
normali avranno sempre di meno».
Ma ti sembra che anche tra i calciatori ci sia consapevolezza che il momento è difficile?
«Noi calciatori di alto livello viviamo
in una sfera di cristallo, siamo molto
fortunati. Però, sia pura indirettamente, la crisi la sentiamo anche noi.
Tutti abbiamo parenti e amici che
tirano avanti con uno stipendio normale e fanno molta fatica. Certo, poi
ognuno guarda al proprio orticello e
più uno può guadagnare, più cerca di
farlo. Nessuno firma i contratti con
la pistola alla tempia. Del resto noi
calciatori siamo i primi attori di questo sport, facciamo lavorare tante
persone e se sento che un dirigente
guadagna più dei calciatori penso che
non sia giusto».
Quali ti sembra siano l’attenzione e
la cura per i settori giovanili nel calcio italiano?
«Mi pare che le cose stiano migliorando. Lo dimostrano tutti i ragazzi
di ottimo livello che hanno debuttato
nei grandi club in queste ultime stagioni. Prendiamo la Juventus: è tra le
prime in campionato, è in Champions
League dove lotta per arrivare al titolo e ha lanciato senza paura Giovinco,
Marchisio, De Ceglie e Ariaudo».
38
Forse però la dirigenza bianconera è
stata un po’ forzata dagli eventi - la
retrocessione in B del 2006 - a promuovere in prima squadra i migliori
della Primavera.
«Non credo che si stato solo per
questo. In serie B i giovani hanno
giocato poco, perché in campo ci andavano Buffon, Trezeguet, Del Piero
e gli altri big».
E allargando lo sguardo, vedi altre
società che stanno lanciando i giovani senza timori? «Anche l’Inter,
ad esempio con Balotelli che esordì
la scorsa stagione quando aveva 17
anni. Lo stesso Milan con Paloschi.
E poi la Roma: Aquilani, De
ngono tutti
Rossi e Totti vengono
nile.
dal settore giovanile. Quindi
direi proprio che il
calcio italiano, inn
questi ultimi anni,,
ha perso i timori
ta
che aveva una volta
gionei confronti dei
vani».
scu
cute
tteeree e
Ha fatto molto discutere
fi
c
a
indignare la squalifica di uunn
Man
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sentenza “spropositata
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e assurda”. In sostanza la
Wada, l’agenzia internazionale per la
lotta al doping, ha ottenuto di equiparare una mancanza, qual è un ritardo, alla prova di colpevolezza, cioè la
positività al controllo.
«Ci sono delle voci secondo cui i due
colleghi non si sarebbero comportati
correttamente con gli addetti dell’antidoping. Ma se così non fosse stato,
la sentenza è assurda. E secondo me,
noi calciatori dovremmo prendere
un altro provvedimento: presentarci tutti all’antidoping con 25 minuti
di ritardo, fino alla fine del campionato. Vorrei vedere cosa farebbero:
squalificherebbero tutti i calciatori
italiani?»
Certo al Tas, che ha sede in Svizzera, non si scompongono facilmente
per le proteste. Piuttosto, da parte
di tutti, occorreva gestire meglio il
caso.
«Penso che occorra buon senso da
parte degli addetti all’antidoping. Era
una situazione particolare: i ragazzi
avevano perso in casa e c’era un riunione negli spogliatoi subito dopo
la gara. Occorreva anche presentare
una documentazione che spiegasse
subito il perché
perch del ritardo».
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«Sostengo l’associazione
Gia
Gianmarco De Maria,
cche appoggia il reparto
pediatrico dell’ospedale di Cosenza.
Aiuta i famigliari
dei bambini ricoverati con una casa di
accoglienza per chi
arriva da lo
lontano. Quando possibile vado aall’ospedale a Cosenza
a trovare i ppiccoli».
Il ssit
iitto internet?
inte
in
teern
sito
«È www.g
www.gianmarcodemaria.it».
internet
di Stefano Fontana
Calciatori
in rete
Buffon e Amelia:
web in mani sicure
www.gianluigibuffon.com
Completamente rinnovato il sito ufficiale di Gianluigi Buffon. Il “portierone” nazionale stupisce i suoi tifosi
con uno spazio internet sbalorditivo,
talmente scenografico da risultare difficile da descrivere a parole. Una volta
effettuata la canonica scelta linguistica tra inglese ed italiano, accediamo
all’introduzione. Gianluigi è solo in
uno stadio deserto, con la telecamera
che gli gira intorno… nell’arco di pochi secondi partono una serie di filmati contenenti le parate più spettacolari
effettuate in carriera, accompagnate
dai commenti originali delle riprese
televisive e legate l’una all’altra da un
trascinante motivo musicale. L’introduzione culmina nell’home page del
sito: già da qui si capisce di essere di
fronte a qualcosa di particolare, fresco,
inedito. Schermo scuro, grigio fumo,
al centro del quale troviamo Buffon
non ritratto in una fotografia, bensì
animato, vivo, pulsante. Alle spalle del
giocatore uno stadio stilizzato, poco
più in alto i collegamenti con le varie
sezioni del sito. Ad esempio, il menù
“the goalkeeper” contiene la scheda
tecnica, esaustive note biografiche,
palmares e carriera completa. Ciascuna scheda è un’autentica miniera
d’informazioni. Oltre a questo è impossibile non notare come la cosmesi
e la cura realizzativa di questo sito
siano notevoli anche nelle pagine più
interne. Il menù “media” è un’altra sezione del sito in bilico tra originalità e
spettacolo puro. L’attenta selezione di
ogni scatto della fotogallery trasmette tutta la concentrazione di Buffon,
solo in mezzo ai pali. Molto intensi i
tuffi plastici, cristallizzati dallo scatto
dell’obbiettivo. Non mancano alcuni
scatti in privato che vedono Gianluigi
circondato dai suoi affetti.
La sezione video è altrettanto nutrita:
un sapiente mix di interviste e azioni
con un unico denominatore comune: il
Gigi nazionale. Nella “download area”
troviamo una moltitudine di gadget
digitali come ad esempio gli sfondi per
il desktop. La sezione press raccoglie
tutti gli ultimi articoli della stampa
nazionale ed estera con Buffon come
protagonista, mentre lo spazio “my
team” è dedicato ovviamente alla Juventus. Lo spazio a nostra disposizione si sta inesorabilmente esaurendo:
resta margine sufficiente per consigliare a tutti una visita in questo ottimo sito internet, ricco di sorprese e
tocchi di classe.
www.marcoamelia.it
Nella nostra rubrica dedicata al web,
questo mese trova spazio un altro
portiere. Un altro portiere della nazionale azzurra, per la precisione.
Stiamo parlando proprio di lui, di
Marco Amelia: uno dei più quotato
sulla piazza, campione del mondo nel
2006 e attualmente in forze al Palermo. Marco dispone di un sito internet
agile e veloce da consultare, ricco di
informazioni e materiale fotografico.
I colori dominanti sono il verde del
rettangolo erboso e il rosa-nero del
Palermo. Altri soggetti dell’homepage
sono infatti una foto di Marco con la
sciarpa della squadra siciliana e alcuni
scatti della rovente, appassionata curva del Palermo.
Molto bella la galleria fotografica, costituita da un elevato numero di fotografie relative a Marco in azione tra i
pali. Dettagliata ed esauriente la sezione biografica, capace di abbracciare
tutta la vita di Amelia, dai primi vagiti… calcistici fino ad oggi. I primi calci
al pallone sono con la Lupa Frascati.
Passa presto alla Roma, dove si rende
protagonista di due belle stagioni con
la Primavera. Nell’estate del 2001 il
Livorno lo acquista in prestito. L’anno
seguente, con gli amaranto saliti in Serie B, viene promosso titolare e gioca
35 partite, attirando l’attenzione dei
grossi club della Serie A. Dopo aver
trascorso la stagione 2003-2004 tra
Lecce e Parma, nel 2004 torna definitivamente al Livorno, dove diviene
titolare: con la squadra toscana disputa ben 31 partite in Serie A nell’annata 2004-2005 e contribuisce al buon
campionato della sua squadra, conclusosi con la salvezza. Nel 2006-2007,
fa il suo esordio nelle coppe europee,
partecipando con il Livorno alla Coppa UEFA. Il 2 novembre 2006, durante una partita contro il Partizan Belgrado, entra a far parte della ristretta
cerchia di portieri capaci di andare in
rete, realizzando un gol all’87’ e consentendo al Livorno di raggiungere
l’1-1 finale. Nel giugno del 2008 si trasferisce a titolo definitivo al Palermo
per il quale firma un contratto quadriennale. Grande rispetto ed amicizia legano tutt’ora Marco all’ambiente
calcistico livornese. Il sito è completo di un guestbook dove lasciare un
messaggio direttamente a Marco, oltre alla canonica scheda tecnica ricca
completa di tutti i dati del caso.
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segreteria
di Diego Murari
Uno per tutti,
tutti per Unico1
In viaggio
con Diego/4
Quarta puntata di questa nostra rubrica dedicata e pure affidata a Diego
Murari. Della storia di Diego abbiamo avuto modo di scrivere più volte qui
sul Calciatore, come pure della sua straordinaria volontà, del suo essere
insomma agonista pur nella malattia che lo ha colpito, della sua voglia di
vivere e di lottare, anche pensando “a tutti coloro che saranno in futuro
costretti a confrontarsi con la mia stessa patologia”. Uno spazio questo
che possa magari anche stimolare delle iniziative che possano così aiutare
a veicolare ancor più il marchio “Unico 1”.
Un grande ciao a tutti voi miei
marinai e grandi campioni.
In questo navigare voglio intanto ricordare la santa festa di Natale, da
poco trascorsa. Voglio ricordare con
gioia quanto tutti voi mi siate stati
vicini e quale significato abbia avuto
nella mia quotidianità questo evento
speciale. Voglio dire grazie a tutti per
avermi regalato un sorriso, per avermi fatto sentire che non sono solo e
per avermi aiutato a raggiungere ancora una volta questo traguardo. Un
altro anno è passato, 12 duri, lunghi
e meravigliosi mesi, pieni di vita, di
respiri, di lacrime, speranze e sogni.
Grazie miei preziosi marinai, grazie a
chi ogni giorno mi dona un messaggio con un semplice «Ciao Diego»,
che mi spinge ad issare le vele. Grazie a tutti coloro che ogni giorno mi
mandano un pensiero, una preghiera, perché mi regalano la speranza.
Grazie a chi, dal suo cuore, mi ha
donato l’acqua calda e la possibilità
di riscaldarmi in casa, riparandomi
l’impianto idraulico dopo mesi di
sofferenza, grazie a chi ogni giorno si
ricorda di me porgendomi un piccolo, ma per me grande caffè, perché
in questo gesto gentile ed in questo
mare sperduto ritrovo la solidarietà, l’amicizia e la voglia di credere in
un futuro migliore e ancora grazie
a voi, di ogni gesto, di ogni goal, di
ogni tiro e di ogni parata che in questo anno trascorso avete inventato,
dando a tutti noi tifosi, l’emozione di
seguirvi e di immedesimarci in ogni
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vostra gara. Si grazie a voi, siete un
equipaggio speciale.
Gli occhi dei bambini
Anche in questi giorni mi sono ritrovato alcune volte per controlli o
terapie a “visitare” alcuni ospedali
e non posso non raccontarvi quegli
occhi, quei sorrisi e quelle voci, di
tutte quelle persone che stanno soffrendo. Non posso non raccontarvi
quanto siete importanti voi ragazzi per tutti quei bambini che tra le
lacrime affrontano ogni giorno una
partita, o un viaggio, dove nessuno
può immaginare quale sia il risultato o l’arrivo. Solo il fatto di passargli
accanto, sorridergli, dirgli ‘ciao campione’ o un semplice come ti chiami; ecco, questo è tutto quello che
ci chiedono e io, miei straordinari
marinai, sono orgoglioso e fiero di
poter contare su di voi, raccontando a loro in ogni occasione le vostre
battaglie, i vostri gesti, le vostre indimenticabili vittorie in ogni nuova
e diversa partita. Oppure portando
nei reparti qualche maglia o pallone
che voi mi mandate o donate e anche di questo vi ringrazio, di essere
un “equipaggio” meraviglioso.
Un giorno speciale
“Mi raccomando di essere puntuale”,
mi disse al telefono sorridendo Davide Rebellin. Mi aveva infatti invitato
alla presentazione ufficiale della sua
nuova squadra prof: “Diquigiovanni
Androni Giocattoli”, ma non c’era
solo questo perché -mi spiegò- anche grazie all’intervento di sua moglie Selina, il team avrebbe vestito e
portato sulle maglie, tute, bici, il marchio Unico 1, per aiutarmi a propagandare nel migliore dei modi questo
nostro progetto. Mi mancava il respiro, anche perché non credevo, non
pensavo, non immaginavo. E invece
il “Fenomeno” (Davide) me l’aveva
veramente combinata grossa. Infatti
già il giorno dopo venni chiamato per
un servizio fotografico su un mensile specializzato per una intervista
e qualche foto assieme a Davide.
“Questo è matto” pensai e tra terapie e dolore, mi armai di stampelle e
sorriso e raggiunsi il posto dove mi
stavano aspettando. Quando Davide
e Selina mi videro, scoppiarono a ridere e mi presero in giro ma io in
realtà (non glielo ho mai detto) me la
facevo sotto e tremavo tutto. È stato
così che ho iniziato questa avventura, questo nuovo viaggio che mi porterà assieme alla squadra addirittura
a gare come la Milano-Sanremo e il
meraviglioso e splendido Giro d’Italia nel mese di maggio.
Dopo qualche giorno, Davide mi
chiamò al telefono e mi disse: “Preparati per lunedì prossimo che ora
viene il bello”. Mi mandò l’indirizzo
dove avrei dovuto andare, dicendomi
di invitare anche Kristian Ghedina,
A fianco, la presentazione della nuova squadra Diquigiovanni Androni Giocattoli marchiata
Unico1. Sopra, Diego con Gilberto Simoni e Davide Rebellin.
altro nostro caro marinaio valoroso,
pieno di voglia di vita e di sorriso in
ogni momento. Arrivò il giorno e insieme a mamma Silvana e papà Gianni arrivammo nella sede del Team
Diquigiovanni. C’era già un sacco di
gente, macchine fotografiche, telecamere, microfoni e quant’altro. Arrivò
anche Kristian Ghedina e un po’ tutti
cominciarono a chiamarlo per foto,
interviste eccetera. Agitatissimo entrai nel salottino dell’azienda, mi fecero sedere e mi portarono un the
caldo. Tutti mi venivano a conoscere,
a chiedere la mia storia, a “ringraziarmi”; scrivevano appunti su di me,
mi scattarono delle foto e io sempre
seduto là, quasi senza rendermi conto di quel che c’era attorno. Poi arrivò Davide con Selina e non vi dico
la confusione. Tutti che lo cercavano, lo chiamavano, urlavano il suo
nome, cercavano di intervistarlo. Ma
lui passò tra tutti e venne diritto da
me!! Mi abbracciò e io scoppiai in lacrime, tutto intorno ci fu un grande
applauso (che io nemmeno sentii):
“Quanto sei grande Davide” urlai
dentro di me. Pian piano arrivarono
gli atleti; da Gilberto Simoni detto
“Gibo” a Michele Scarponi, Gavazzi,
Bertolini e tutti gli altri. Uno a uno
sono venuti da me, a parlarmi, a ridere e scherzare e mi hanno portato
nello spogliatoio con loro e non ho
parole per dirvi quante emozioni ho
meravigliosamente respirato in quei
momenti. Uscimmo nel piazzale, per
le foto ufficiali del Team; faceva un
freddo boia ma non sentivo niente:
mi infilarono in mezzo alla squadra
e per 15’ sentivo intorno a me scatti
a ripetizione. Arrivarono per le foto
anche il D.S. Gianni Savio, persona
splendida, il grande Francesco Moser e tanti altri campioni di sport
e di vita tra i quali Alfredo Martini
che abbracciandomi mi disse: “Complimenti Diego, sei unico”. Pensavo
fosse finito tutto e invece il patron
del team mi disse di raggiungere un
ristorante della zona per l’augurio
della nuova stagione, che non potevo mancare perché mi disse che “ero
e sono il cuore della squadra”.
Io tra di loro
Quel che sapevo era che dovevo andare a fare terapia, che dovevo rientrare per riposare un po’; ero stanchissimo ma non potevo mancare. Mi
fecero accomodare con la squadra in
mezzo ai ragazzi (fantastico sogno).
Arrivò anche Ghedina, sempre circondato da tifosi e fotografi: con gli
occhi mi cercava continuamente, per
“aiutarmi”.
Iniziò la conferenza stampa in questo
grandissimo salone imbandito e colmo di gente. Davide Cassani intervistò pian piano tutto il team, le loro
ambizioni, le loro certezze e tutti ad
uno ad uno mi regalavano un gesto,
una parola. Era stupendo ciò che stavo vivendo e quando il D.S. Gianni
Savio parlò di me, del mio progetto
“Unico 1”, fu un vero momento di
gioia e di straordinaria felicità. Sentir
dire che il team “Diquigiovanni-Androni Giocattoli” sposava e aiutava
in tutti i modi Diego e il suo Unico 1!
Quando poi il grande Davide Rebellin
spiegò e parlò di sé, dei suoi obiettivi
e della sua vita, dicendo che il suo
futuro era Unico 1, io guardai mia
mamma e già piangevo. Tutti applaudivano e per me è stato incredibile:
grande Rebellin, immenso Rebellin
dissi tra me e me (lo è veramente,
ragazzi). Infine, quando ormai tutti
gli ospiti avevano parlato, premiato e
fotografato e pensavo cominciasse il
pranzo, il presentatore (Alessandro
Fabretti) disse: “E ora il momento
più importante, Diego Murari” e mi
passò il microfono: la gente applaudiva me! Io non sono un campione,
non sono famoso, non sono nulla ma
poi lasciai parlare il mio cuore, raccontando il semplice Diego, il grande Toldo, Rebellin, Baggio, Ghedina,
Fauner, l’Associazione Calciatori, il
vero mondo del calcio, la lealtà nel
credere ancora al ciclismo, alla fatica, al sudore, all’amicizia, allo sport.
Durò un minuto o forse un minuto e
mezzo il mio parlare col mio cuore
e la sala scoppiò in un applauso lunghissimo. In molti piangevano, venivano da me, mi dicevano tante cose,
mi abbracciavano, mi donavano un
sorriso, una carezza. Io tra le lacrime salutai tutti, con il cuore in gola
avrei voluto sparire, scappare, urlare, avrei voluto gettare le stampelle,
la malattia.
Alla prossima
Eccoci ragazzi dal cuore straordinario, anche questo mio viaggio è
andato e sono fiero perché anche
questa volta, grazie a voi, ho vissuto
emozioni intense, potendo raccontare quanto in realtà ognuno di voi è
unico al mondo e ognuno di voi è nel
mondo un numero 1. Grazie meraviglioso e prezioso equipaggio. Non si
molla. Alla prossima ragazzi.
41
tempo libero
musica
libreria
Edus Law International
Rivista di Diritto
ed Economia dello Sport
Quadrimestrale – abbonamento annuale € 90,00
La Rivista di Diritto ed Economia dello Sport (RDES) è una rivista
scientifica quadrimestrale fondata e diretta dall’Avv. Michele Colucci che si avvale di un Comitato Scientifico e di Redazione composto da esperti del settore a livello nazionale ed internazionale.
RDES fornisce una documentazione completa e aggiornata del diritto dello sport, proponendosi di affrontare le problematiche giuridiche comuni a tutte
le discipline sportive, in primis il calcio, a livello nazionale ed internazionale.
La Rivista è disponibile on line sul sito (www.rdes.it) e in formato cartaceo (abbonamento: 90 euro all’anno). La newsletter della Rivista è inviata periodicamente (con scadenza
settimanale) agli oltre 4200 iscritti. Per abbonarsi è sufficiente inviare una mail di richiesta a [email protected].
Negramaro
Sedizioni
Lucentissimo l’opposto cuoio
delle scarpe e della testa
di Antonio Barillà – 134 pagine - €11,00
Macerie di nobiltà, come ad esempio il derby Pro Vercelli - Novara. Capita di dover scrivere un articolo nostalgico e sfogliare così
un libro di memorie, allungare un’occhiata distratta e intraprendere un viaggio infinito. Ritagli d’epoca e foto sgranate svelano il
calcio duro e puro dei pionieri: bombette e baffi arricciati, piedi
nudi e palloni sformati, il fagotto con le pagnotte e i mutandoni,
il fumo delle osterie, la polvere dei campi. Ti incuriosisci, sfili un
secondo volume, affondi nelle radici di un’altra squadra: non ci sono più ragazzi che
bucano la nebbia in bicicletta per andare a giocare la partita, ma altri che s’azzuffano su
un molo, scimmiottando i marinai inglesi e il loro sport bizzarro. Città e paesi diversi,
lontani. Ovunque passione, povertà, fantasia.
Ancora un libro, un quotidiano ingiallito, un diario dimenticato, una testimonianza commossa: piccole storie che si fondono nella storia del pallone, basta solo incollarle con
semplicità.
Le Lettere Edizioni
Tutti i colori del calcio
di Sergio Salvi e Alessandro Savorelli
221 pagine - €19,00
Dagli usi cavallereschi della guerra e dei tornei, il calcio ha ereditato
il suo aspetto così affascinante di spettacolo a colori. La scelta dei
colori delle sue casacche, e le regole che la governano, hanno infatti
origine nel linguaggio cromatico della battaglia medievale, di cui, a sua
insaputa, il calcio è la più stupefacente interpretazione moderna, oggi
che i cavalieri si vedono soltanto al cinema.
Questo libro, attraverso una storia universale del calcio come gioco e come istituzione –
che è anche la storia dei suoi club più famosi – traccia una mappa dei colori di centinaia di
squadre e ne rintraccia l’origine; a proposito della quale, innestate su una rigorosa sintassi
araldica, la moda, l’appartenenza sociale, la politica, la religione e soprattutto il caso e il
gusto sono stati spesso determinanti. Insomma: come e perché la maglia del Chelsea è
azzurra, quella del Liverpool rossa, quella del Celtic biancoverde? E perche la Juventus ha
mutato il suo rosa iniziale nell’ormai tradizionale bianconero?
Un capitolo è dedicato ai marchi dei club; il sistema dei segni probabilmente più noto al
mondo, che sfata l’opinione comune secondo la quale la scienza del blasone sarebbe un
passatempo per iniziati, incomprensibile e misterioso.
42
San Siro Live
Cd e dvd (prodotto dalla Sugar di Caterina Caselli) per rivivere le emozioni
di una storica serata, quella del 31 maggio scorso in cui oltre 45.000 spettatori
hanno cantato le canzoni dei Negramaro, prima band italiana ad esibirsi nel mitico palco di San Siro.
Ventuno tracce live (nel video) e 4 brani
inediti (nel cd): si apre con “Meraviglioso”, un omaggio ad un grandissimo della
musica italiana, anch’esso pugliese, vale a
dire Domenico Modugno. Una rivisitazione del brano che acquistando la sonorità e il timbro vocale dei Negramaro
vive una nuova vita. “Meraviglioso”, è
anche la soundtrack del film “Italians”
di Veronesi (che firma anche la regia
del videoclip che vede la partecipazione
straordinaria di Verdone e Scamarcio).
Quindi “Your Eyes-La finestra” (con i
Mattafix), “Solo per te” in versione elettrica e “Blu Cobalto” (versione elettrica
e acustica).
Cambiando lettore ed inserendo il dvd,
ecco un muro umano in trepida attesa
che ci accoglie nel catino di San Siro. Un
palco essenziale e fortemente tecnologico, una giusta miscela tra immagini
in bianco e nero e a colori, e la musica
coinvolgente, raffinata ed elegante dei
Negramaro fanno il resto. Tra gli ospiti sul palco di San Siro troviamo i Solis
String Quartet, Mattafix, Jovanotti,
Mauro Pagani, Antonio Castrignanò e i
tamburi del Salento.
Il concerto del 31 maggio a San Siro è
l’ideale coronamento del percorso fatto
finora dai Negramaro, una grande festa
con i propri fans, una giornata di grande
musica dal vivo e di grandi emozioni.
sostiene
www.chforch.com