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L’ITALIA DELLE REGOLE E DEGLI "ALTRIMENTI" E’ l’alba, quando all’improvviso il silenzio è interrotto dal suono del campanello. Il sonno dei padroni di casa viene bruscamente spezzato da quel suono sordo. Siamo in casa del Signor De Furbis, una villetta elegante appena fuori città, con un bel giardino curato e un garage sul retro dove troneggia il fuoristrada nero super accessoriato, che ha da qualche tempo sostituito l’utilitaria di famiglia. Il nostro padrone di casa è quel che si dice un uomo “che si è fatto da sè”. E’ figlio della Signora Maria, casalinga, e del Signor Antonio, operaio, che avevano fatto mille sacrifici per far studiare il loro figliolo all’Università. Ma il nostro De Furbis, giovane e promettente studente, aveva ben presto imparato che a camminare sempre sulla strada stretta e difficile dei principi e dei valori, del rispetto delle regole che gli erano stati trasmessi fin da bambino, sarebbe diventato poco più, nella scala dell’importanza sociale, di suo padre e sua madre. Quando si mise in proprio, aprendo una piccola azienda, decise che sarebbe diventato presto molto ricco e importante. Credeva in se stesso, sapeva di essere ambizioso e capace. Così affittò un paio di locali da un certo Signor Volpinis, il quale gli disse: <<Dottò, sarebbero 500 euro al mese, ma per voi, che siete così simpatico e intelligente, fanno 300… Ma senza ricevuta, eh? Altrimenti, se proprio la volete, la fattura…>>. Il Signor De Furbis, che era simpatico ma soprattutto intelligente, capì al volo che senza “altrimenti” avrebbe risparmiato 200 euro al mese che poteva usare per comprarsi una cravatta firmata o un cellulare di ultima generazione, così da cominciare a sembrare davvero un uomo di successo. La sua attività cominciò ad andare bene; i clienti erano sempre più numerosi, anche perché sapevano che quando il Signor De Furbis presentava il conto, diceva sempre questa frase: <<Caro cliente, per il mio lavoro mi devi 1.000 euro, ma visto che mi sei simpatico e sembri una personcina intelligente, puoi pagarmene solo 700. Ma senza fattura, s’intende… Altrimenti…>>. E chissà perché De Furbis aveva solo clienti simpatici, ma soprattutto tanto intelligenti da non prendere mai in considerazione quell’altrimenti. Con il passare del tempo i clienti simpatici ed intelligenti di De Furbis erano diventati così numerosi che cominciò ad aver bisogno di qualcuno che lo aiutasse. Così chiamò due giovanotti di belle speranze e con tanta voglia di fare e disse loro: <<Qui c’è tanto lavoro e voi avete bisogno di guadagnare. Potrei assumervi, ma dovete considerare che a quel punto ci saranno delle trattenute in busta paga, dovrei pagare dei contributi all’INPS, che vi servirebbero in caso di malattia o di maternità, ad esempio. Ma voi non siete donne e mi sembrate dei giovanotti simpatici, intelligenti, ed in salute; non vi ammalerete mica, eh? Così potremmo metterci d’accordo e non dichiarare che voi lavorate per me, un po’ di lavoro nero non fa male a nessuno, e vi terrà al riparo dalle malattie… Altrimenti>>. Ebbene, indovinate cosa scelsero di fare quei giovanotti simpatici, intelligenti e di sana e robusta costituzione? Non scelsero l’altrimenti, naturalmente. Per anni e anni il nostro De Furbis andò avanti così, e tutto ciò che riusciva a sottrarre con i suoi altrimenti andava ad alimentare un bottino sempre più ricco, tanto da potersi permettere ben presto un ricco matrimonio, la villetta con giardino, una bella macchina, la colf e il giardiniere (tutti ovviamente in nero e senza contributi). Sapeva bene che il suo comportamento, il suo modo di agire e di produrre profitto non era corretto, né onesto, ma da tempo aveva scelto di seguire la via dell’egoismo e del guadagno ad ogni costo. In fondo gli era sembrato così facile nascondere i suoi guadagni e i modi poco ortodossi che seguiva. Insomma, se era così semplice, quella strada, non doveva poi essere così sbagliata. E poi, in fondo, che male faceva? E a chi? Non c’era alle porte del suo ufficio una fila di persone scontente o arrabbiate, non lo era il signor Volpinis quando gli aveva affittato i locali dell’ufficio, né i suoi clienti, né tanto meno i giovanotti in forma che lavoravano da lui o i suoi domestici. Ma succedeva a volte che, nel silenzio e nel vuoto in cui era precipitata la sua anima, gli sembrava di tanto in tanto di udire una voce. Più che una voce sembrava quasi un sussurro, debole, proveniente da chissà dove. Quella voce, quasi di bambino, appena udibile, che soltanto sforzandosi, si riusciva a comprendere, pareva dire, sillabando : Al-tri-men-ti! Quel sussurro ultimamente agitava i sogni di De Furbis; gli sembrava provenire da qualcosa che aveva dentro, ma che non riusciva a capire. Poi, con il passare del tempo, quella vocina, inizialmente sottile, sembrava aver trovato una forza nuova, qualcosa lì dentro nella sua anima a cui aggrapparsi e che la nutriva e le dava il coraggio di farsi sentire sempre più. Ecco, magari se il Signor De Furbis fosse stato meno simpatico e meno intelligente, avrebbe ben presto capito che quella voce apparteneva a qualcosa che aveva cercato a lungo di soffocare, ma che era stranamente rinata: la fanciulla Coscienza! Ma è ora arrivato il momento di tornare in casa De Furbis; a quella mattina in cui il sonno, ormai agitato del padrone di casa, viene bruscamente interrotto dal suono del campanello. Con le gambe tremanti di paura, De Furbis apre la porta di casa convinto di trovarsi davanti un ufficiale della Guardia di Finanza, venuto a rendergli conto delle sue azioni e, invece, con suo grande stupore scorge sull’uscio una bambina con due grandi occhi severi che lo scrutano dalla penombra. Con un sospiro di sollievo chiede alla fanciulla: << Chi sei piccina? Che fai qui a quest’ora del mattino? Ti sei persa? >> La bimba risponde, senza staccargli gli occhi severi: <<Ebbene si, mi sono persa…Sono qui proprio per ritrovare la strada giusta, e tu mi aiuterai!>>. <<Come ti chiami?>> <<Il mio nome è Coscienza>>. De Furbis riconosce nella bambina la vocina che da tempo gli agita i sogni e cominciò ad aver paura. Si rivolge a lei: <<Cosa vuoi da me? Perché mi tormenti?>>. La bimba: <<Voglio mostrarti un mondo, un mondo popolato da tante persone come te, un’infinità di Signori De Furbis. Tu dammi la mano e seguimi, non temere, forse dopo ti sveglierai e capirai che sei migliore di quanto credi!>> . De Furbis capisce di non avere altra scelta e segue pazientemente la bambina, ma ecco che, appena fuori dal giardino della sua casa, sul viottolo arriva come un fulmine una moto guidata da due giovani che, avvistata una signora alla fermata dell’autobus, le scippano prontamente la borsa per poi sparire nel traffico. Il nostro eroe, in uno slancio di altruismo e di pietà, corre a soccorrere la poveretta caduta in terra. E con il super moderno telefonino che aveva acquistato grazie al risparmio sull’ultimo simpatico e intelligente cliente, tenta di mettersi in contatto con la Polizia. In linea, dall’altro capo, una voce, con lieve accento straniero, dice: <<Al momento siamo tutti impegnati, non appena possibile la metteremo in contatto con un agente della Polizia>>. De Furbis, attende qualche minuto con il sottofondo di una musichetta, poi ancora la stessa voce, che lo prega di attendere il primo agente di Polizia disponibile. Infine sbotta spazientito: <<Ma insomma, questa è un’emergenza. C’è una signora che ha bisogno di voi, volete mandarci qualcuno ad aiutarci?>>. La voce dall’altro capo, irritata gli replica: <<Signore, cosa crede, che le rispondiamo dalla sua città? Noi siamo un call center in Romania, perché costiamo poco, e il personale della polizia è stato molto ridotto negli ultimi anni, non lo sa? E quei pochi sono tutti impegnati, non è che quando avete bisogno possono correre subito. Dovrete aspettare il vostro turno. Ringrazi quel signore simpatico ed intelligente che è la causa di tutto questo!>>. La telefonata si interrompe bruscamente e De Furbis rimane senza parole vedendo gli occhi severi di Coscienza, la bambina che lo ha trascinato in questo mondo strano, che continuano a fissarlo. <<Bene>>, dice lui, <<Questo mondo non deve essere poi così malvagio! Aiuterò io questa povera signora. La accompagno in ospedale con la mia macchina>>. Una volta saliti in macchina, però, De Furbis si rende conto che è quella strada che aveva fatto mille e mille volte, non sembra più la stessa. L’asfalto è completamente rovinato, pieno di buche e segnalazioni di cantieri cominciati e mai ultimati perché i soldi al Comune sono finiti. La signora, intanto, piange disperata perché nella sua borsetta ci sono i pochi soldi della pensione che a malapena bastano per comprare le medicine, perché ormai in questo Paese le tasse sono così alte e le pagano solo i pensionati e i lavoratori dipendenti a causa di “certi” signori tanto simpatici ed intelligenti. De Furbis comincia ad intuire, con orrore, dove si trova e a conferma incontra lo sguardo sempre più severo di Coscienza. Una volta giunto al Pronto Soccorso dell’Ospedale entra di corsa chiedendo l’aiuto di qualche infermiere, ma con sua grande sorpresa la sala d’attesa è stracolma di gente, ma di infermieri, dottori, nemmeno l’ombra. Si avvicina per chiedere informazioni ma non c’è nessuno. Suona il campanello ma nessuno arriva. Chiama e urla, ma, niente, nessuno. Ad un certo punto dalla folla di poveracci in attesa si leva una voce: << Seee, Dottò…Noi siamo in coda da ore, aspettate il vostro turno. Qui ci sono anche casi urgenti, ma da stamattina non si è fatto vedere nessuno. Sono tutti impegnati: i medici e gli infermieri sono pochi, perché lo Stato ha pochi soldi. C’è chi si è sentito male aspettando un autobus che è arrivato dopo ore ed ore di attesa al freddo. C’è chi deve aspettare mesi e mesi per una normale visita in ospedale. E ancora, lo vede quel giovanotto lì? Sono tre giorni che aspetta. Non ha neanche potuto prendersi un giorno di malattia dal lavoro, perché il suo simpatico ed intelligente principale non lo ha neanche assicurato >>. De Furbis allora capisce che il mondo in cui Coscienza lo ha trascinato è popolato da tanti, tantissimi uomini che vivono, agiscono e lavorano con i suoi stessi criteri. Il non rispetto delle regole che lo Stato ci detta genera solo disservizi. Lo Stato ha bisogno di noi e noi dello Stato. L’evasione dei tanti, troppi De Furbis produce una carenza di servizi sociali, che sono necessari al benessere di tutti. Ogni volta che un De Furbis propone un “altrimenti”, danneggia gli altri, ma anche se stesso, perché anche lui usufruisce dei servizi che lo Stato mette a disposizione dei propri cittadini. De Furbis, grazie alla Coscienza rinata e risvegliata, ha imparato la lezione. Si sveglierà dall’incubo di una società in cui tutti gli abitanti sono dominati dall’egoismo e dal guadagno personale, dalla ricchezza facile e dal non rispetto delle regole, dalla mancanza di solidarietà per chi ha meno possibilità economiche e più necessità. Tutto questo porta ad una società peggiore per tutti, anche per De Furbis e per la sua famiglia. Quando pensiamo, come De Furbis: <<Tanto che male c’è? Così alla fine fanno tutti>>, compiamo il più grave degli errori. Ci disinteressiamo di quello che è un bene comune. Lo disprezziamo e lo calpestiamo. Dobbiamo imparare tutti, ognuno nel proprio piccolo e con le proprie possibilità, a dare valore al rispetto delle regole e ad avere consapevolezza che determinate azioni compiute nel quotidiano, che a noi sembrano senza importanza, generano a lungo delle conseguenze anche pesanti. Così, quando andiamo al bar a fare colazione, dobbiamo chiedere e pretendere lo scontrino. Quando l’idraulico viene a fare delle riparazioni dobbiamo pretendere che ci lasci la fattura. Quando andiamo dal dentista, dal medico, dall’avvocato, dobbiamo sempre chiedere che ci lascino una ricevuta. In ogni caso la lezione che ci consegna De Furbis, alla fine di questa storia, è di non permettere mai che siano gli “altrimenti” a prevalere, a farci vivere fuori dalle regole civili di una Società. E che le persone davvero simpatiche ed intelligenti non evadono mai! Sara Markakis Classe II sez. I