Atti di Spelaion 2007 - Centro Altamurano Ricerche Speleologiche

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Atti di Spelaion 2007 - Centro Altamurano Ricerche Speleologiche
ATTI DEL CONVEGNO
7-8-9 DICEMBRE 2007
MONASTERO DEL SOCCORSO
ALTAMURA
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7-8-9 DICEMBRE 2007
MONASTERO DEL SOCCORSO
ALTAMURA
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ore 17,00 Apertura segreteria e iscrizioni
ore 10,45 L’attività del Soccorso Speleologico in Puglia dal 2001, alla luce delle nuove
disposizioni della Legge 74/01
Franco Alò*,William Formicola**
*DelegatoCNSASPuglia
**Vice-DelegatoCNSASPuglia
ore 18,30 Inaugurazione mostre
ore 11,00 Coffee break
Sabato 8 dicembre 2007
ore 11,15 Il catasto delle grotte della Puglia
Giuseppe Savino,Enzo Pascali,Giovanni Ragone,
Mimmo Lorusso,Totò Inguscio
FederazioneSpeleologicaPugliese
Monastero del Soccorso
Monastero del Soccorso, Sala Tommaso Fiore
ore 8,30
Apertura segreteria e iscrizioni
ore 9,00
Saluto delle Istituzioni
Programma del convegno
Mario StaccaSindacodiAltamura
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Vincenzo DivellaPresidentedellaProvinciadiBari
Michele LosappioAssessoreregionaleall’Ecologia
Pietro PepePresidentedelConsiglioRegionale
Corrado PetrocelliRettoredell’UniversitàdiBari
Giuseppe AndreassiSoprintendenteperiBeniArcheologicidellaPuglia
Giovanni CalcagnìPresidenteOrdineReginaledeiGeologidellaPuglia
Giampiero MarchesiPresidenteSocietàSpeleologicaItaliana
Giuseppe SavinoPresidenteFederazioneSpeleologicaPugliese
Vincenzo MartimucciPresidentedelCentroAltamuranoRicercheSpeleologiche
ore 9,30
ore 9,45
Gli “Spelaion”: dodici incontri di speleologia pugliese
Ferdinando Didonna, Pino Pace, Vincenzo Manghisi
GruppoPugliaGrotte
La comunità biologica delle raccolte d’acqua
nelle Murge baresi: lo zooplancton
Tiziana Quartulli*-**,Giuseppe Alfonso*,Genuario Belmonte*
*LaboratoriodiZoogeografiaeFaunistica,DiSTeBAUniversitàdelSalentodiLecce
**GruppoSpeleologicoMartinese
ore 10,00 Grotta Romanelli (Castro, Lecce). C’era una volta un... pinguino (Alca impennis)
Nini Ciccarese
GruppoSpeleologicoSalentino“P.deLorentiis”
ore 10,15
Ambienti e climi dei Neandertaliani del Salento
Vittorio Marras*,Marco Delle Rose*-**
*GruppoSpeleologicoNeretino
**ConsiglioNazionaledelleRicerche
ore 10,30 “Una Grotta Per Aula”, esperienze didattiche del Gsm
Rosanna Bagnardi, Carmelo Taglio
GruppoSpeleologicoMartinese
ore 11,45 L’intervento di bonifica del Pulo di Altamura
Pietro Pepe,Giovanni Ragone
CentroAltamuranoRicercheSpeleologiche
ore 12,00 La salvaguardia della Grotta di Torre di Lesco (Altamura) nel progetto di
ampliamento della S.S. 96
Pasquale Scorcia*,Vincenzo Martimucci**,William Formicola**
*UfficioProgettiANASCompartimentoperlaviabilitàdellaPuglia
**CentroAltamuranoRicercheSpeleologiche
ore 12,15 Le cave di tufo di Altamura
Giovanni Ragone,Antonio Denora,Erwan Gueguen,Vincenzo Martimucci,
Filippo Cristallo
CentroAltamuranoRicercheSpeleologiche
ore 12,30 L’evento del 07.05.2007 di via Barcellona, Altamura - Il contributo del CARS
alle strategie d’intervento del rischio connesso
Giuseppe Spilotro*,Vito Specchio**,Pietro Pepe***
*Dipartimentodistrutture,geotecnica,geologiaapplicataall’ingegneria,UniversitàdegliStudidellaBasilicata
**SogesidS.p.A.***ApoGeoSoc.Coop.arl
ore 12,45 Grotte dei cordari di Monte S. Angelo
Giulio Cappa
SocioonorariodelGruppoGrotteMilano(CAI-SEM)
ore 13,00 Studio preliminare di un ambiente ipogeo urbano: la cisterna di Sammichele di Bari
Oronzo Simone,Vincenzo Iurilli*
*GruppoSpeleologicoRuvese
ore 13,15 Recenti esplorazioni nel complesso Vore Spedicauro e nell’Inghiottitoio di Coelimanna (Le). Risultati e prospettive future
Antonio Alba,Gabriella Amato,Marcello Lentini,Chiarina D’Agostino,Francesco
De Natale,Daniela Festa,Emanuele Ingrosso,Giorgio Pancosta,Giovanni Treglia,
Luca Trevisi,Gianluca Selleri
*GruppoSpeleologicoLeccese‘Ndronico
Programma del convegno
Venerdì 7 dicembre 2007
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ore 14,30 Sinkhole naturali: analisi e classificazione delle situazioni suscettibili al
fenomeno
Alessandro Reina*,Raffaele Macina*
*DipartimentoIngegnariaCivileedAmbientale-PolitecnicodiBari
ore 14,45 Le grotte di Cassano Murge
Francesco Del Vecchio,Italo Rizzi †
CentroAltamuranoRicercheSpeleologiche
Programma del convegno
ore 15,00 Dal diario di Medeot, Tommasini, Vianello, Ferri, Coloni…
Manlio Porcelli
CentroAltamuranoRicercheSpeleologiche
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ore 15,15 La grotta Palombara2 (PU 951) - morfologia e speleopoiesi
Claudio Calasso*,Bruno Capilungo*,Paolo Negro*,Massimiliano Beccarisi**,Gianluca Rondine**,Marco Delle Rose**-***
*GruppoSpeleologicoSalentino
**GruppoSpeleologicoNeretino
***ConsiglioNazionaleDelleRicerche
ore 15,30 “Le Festole” di Trecchina (Pz)
Giampaolo Pinto*,Erwan Gueguen**-***,Marilena Rodi*,Carmine Marotta****,Daniele Sportelli*
*GruppoPugliaGrotte
**CentroAltamuranoRicercheSpeleologiche
***IstitutodiMetodologieperl’AnalisiAmbientale-CNR
****GruppoGeo-SpeleoValledelNoce
ore 15,45 Il “Cocito” di grotta Zinzulusa (Castro,Lecce). Dal 1957 al 2007: 50 anni di
Speleologia Subacquea.
Nini Ciccarese*,Raffaele Onorato**
*GruppoSpeleologicoSalentino“P.deLorentiis”
**CentrodiSpeleologiaSottomarinaApogon
ore 16,00 Nuove esplorazioni a Preveticelli
Antonio Denora,Vincenzo Martimucci,Erwan Gueguen
CentroAltamuranoRicercheSpeleologiche
ore 16,15 Prime notizie sulla grotta Santa Francesca- Francavilla Fontana(BR) - F°
203 Villa Castelli IV SO
Daniele Fantastico,Valerio Puzzovio,Emanuela Devita
GruppoGotteGrottaglie
ore 16.30 Ipotesi speleogenetiche sulla Grave di Monte Pelosello a Martina Franca
Michele Marraffa,Giovanni Indelicato
GruppoSpeleologicoMartinese
ore 16,45 Presentazione del Calendario 2008 dell’Ordine dei Geologi della Puglia
“Grotte e ipogei della Puglia”
Carlos Solito**,Giovanni Calcagni’*
*PresidenteOrdinedeiGeologidellaPuglia
**Scrittoreefotoreporter
ore 17,00 Coffee break
ore 17,15 Presentazione del libro “Mi chiamo Terra”
Totò Inguscio,Emanuela Rossi
StudioambientaleAvanguardie
ore 17,30 Dati scientifici recenti dalle cavità carsiche di Altamura
Vincenzo Iurilli,Giovanni Palmentola †
GruppoSpeleologicoRuvese
ore 17,45 Caratteri geomorfologici e naturalistici delle gravine di Grottaglie
Aurelio Marangella*,Mario Parise**
*SpeleoClubCryptaeAliae
**IstitutodiRicercaperlaProtezioneIdrogeologica,CNRdiBari
ore 18,00 Attività esplorativa speleologica nel territorio del comune di Gorgoglione
(MT)
Mario Parise*-**, Angela Rizzi**,
Mariangela Sammarco**-***,Antonio Trocino**
*IstitutodiRicercaperlaProtezioneIdrogeologica,CNRdiBari
**AssociazioneExplora
***DipartimentoBeniCulturali,UniversitàdelSalentodiLecce
ore 18,15 Da cava a geoparco: un’opportunità di sviluppo. L’esempio della cava “Minervino Beton” a Minervino Murge
Erwan Gueguen*-**,Daniela Cannone**
*IstitutodiMetodologieperl’AnalisiAmbientale-CNR
**CentroAltamuranoRicercheSpeleologiche
ore 18,30 “Marmo Platano 2007”, La prima spedizione speleologica italo-cubana
svolta in Italia
Mario Parise*, Carlos Aldana Vilas**,Cosimo G. Gentile***,Aurelio Marangella****, Antonio Trocino*****
*IstitutodiRicercaperlaProtezioneIdrogeologica,CNRdiBari
**EscuelaNacionaldeEspeleologia“AntonioNuñezJimenez”,ElMoncada,Cub
***GruppoSpeleoStatte
****SpeleoClubCryptaeAliae
*****AssociazioneExplora
Programma del convegno
ore 13.30 Pausa pranzo
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ore 18,45 Isola di Palawan, Filippine. Nuove esplorazioni al Puerto Princesa Subterranean River.
Antonio De Vivo,Francesco Lo Mastro,Giuseppe Savino
LaVenta,Associazionediesplorazionigeografiche
ore 19,00 Ricerche speleologiche in Albania: primi dati sulle cavità nei pressi del lago di Prespa
AntonioTrocino*,MarioParise*-**,AngelaRizzi*
*AssociazioneEsplora
**IstitutodiRicercaperlaProtezioneIdrogeologica,CNRdiBari
Sabato 8 dicembre 2007
Monastero del Soccorso, Sala Camasta
Programma del convegno
ore 9,30 - 20,00 Apertura Stand Annullo Filatelico
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PosteItaliane
ore 10,00 -19,00 Proiezioni no stop
documentieresocontidiesplorazioni
Monastero del Soccorso
ore 10,00 -12,00 Riunione Commissione Cavità Artificiali della FSP
acuradiVincenzoManghisi
ore 10,00 -19,00 Consiglio Società Speleologica Italiana
ATTI DEL CONVEGNO
7-8-9 DICEMBRE 2007
MONASTERO DEL SOCCORSO
ALTAMURA
C.da Buoncammino Altamura
ore 21,00
Psychedelic Speleo Party Sequence
organizzatodalcars
coniBlueDevil’sBand
Domenica 9 dicembre 2007
ore 9,00
Apertura Segreteria
ore 9,30
Visita guidata al sito di Lamalunga e al Pulo
Escursione all’inghiottitoio del Pulo
partenzadalpiazzalecentrovisiteLamalunga
ore 9,00
Commissione Nazionale Scuole di Speleologia
riunionedeirappresentantidellescuoledispeleologiapugliese
Monastero del Soccorso - Sala didattica
ore 10,00 Assemblea della Federazione Speleologica Pugliese (F.S.P.)
gruppispeleologicipugliesi
Monastero del Soccorso - Sala Tommaso Fiore
ore 13,30 Chiusura lavori Spelaion 2007
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INTRODUZIONE
Vincenzo Martimucci
Presidente CARS - Centro Altamurano Ricerche Speleologiche 2005-2007
Spesso noi speleologi consideriamo molti termini e argomenti che trattiamo quotidianamente, conosciuti e noti a chiunque. Durante queste manifestazioni, lo stupore e la meraviglia dei non addetti ai lavori per i mondi che raccontiamo nelle
nostre relazioni con ampia dovizia di particolari topografici, fotografici, video e
quant’altro, fa comprendere a noi speleologi che il punto di vista “tecnico” con cui
affrontiamo questi argomenti ha bisogno di premessa introduttiva per contribuire
ad avvicinare a questo mondo chi ne è estraneo.
Tralasciando quindi di introdurre questi argomenti per gli speleologi “addetti ai
lavori”, riassumiamo brevemente il contenuto di questo volume per i non addetti
ai lavori:
La speleologia, pur attingendo a disparate metodologie di ricerca scientifica e a particolari discipline (fisica terrestre, idrogeologia, mineralogia, biologia, scienze preistoriche
ecc.) per lo studio dei singoli fenomeni e di talune manifestazioni del mondo sotterraneo
naturale, rimane tuttavia una scienza a sé per la specifica unità di indirizzo delle sue
indagini, le quali si compiono in un particolare e ben definito campo di ricerca: la cavità naturale sotterranea. Vera scienza geografica, la speleologia presenta e illustra con
visione sintetica complessiva i principali aspetti di forme e di sviluppo, esamina i fenomeni del mondo fisico, biologico e antropico che in essa si svolgono e che si sono svolti nel
lontano passato, fenomeni fra loro collegati sia da rapporti di correlazioni di concetti,
sia da legami di interdipendenza. Sono gli stessi legami che uniscono i fenomeni che si
compiono sulla superficie della Terra, oggetto di studio della Geografia, o in determinati ambienti naturali, lo studio dei quali costituisce il campo d’indagine di specifiche
discipline scientifiche, come la limnologia (studio dei laghi), la glaciologia (studio dei
ghiacciai), l’oceanografia (studio dei mari)
Franco Anelli – 1966 - Lezioni di speleologia
Il volume che avete tra le mani è il resoconto della manifestazione SPELAION
2007, manifestazione regionale a cadenza annuale ideata e promossa dalla Federazione Speleologica Pugliese. Il convegno è stato organizzato dal CARS - Centro
Altamurano Ricerche Speleolgiche, è durato tre giorni e si è svolto il 7 l’8 e il 9
dicembre 2007 ad Altamura nelle sale dell’ex Monastero del Soccorso.
Il convegno promuove sinergie culturali e rappresenta occasione di confronto tra
le singole esperienze di ricerca condotte dai gruppi speleologici pugliesi. I risultati
delle attività di ricerca e di esplorazione vengono esposti durante gli interventi ed
illustrati con mostre fotografiche, proiezioni di documentari, pubblicazioni a tema.
Rappresentanti degli organismi regionali e nazionali (la Federazione Speleologica
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Pugliese, la Commissione Scuole di Speleologia, il Corpo Nazionale di Soccorso Alpino) contribuiscono ad
arricchire la manifestazione con riunioni tecniche e di
taglio scientifico.
Ora che finalmente mandiamo in stampa questi atti,
oltre a ringraziare Giovanni Ragone che caparbiamente
ha preso e portato a termine l’impegno della redazione
di questo volume, devo citare e ringraziare alcuni soci del
CARS che hanno dato supporto costante e continuo durante
le riunioni di coordinamento ed organizzative pre-manifestazione: Angela Clemente, Giovanni Dinardo, e Nicola Dinardo. A loro e a tutti i soci del CARS vanno i
miei ringraziamenti per aver contribuito alla riuscita di questa manifestazione.
All’apertura del convegno hanno partecipato il Sindaco di Altamura Mario Stacca,
il Presidente del Consiglio Regionale Pietro Pepe, il Presidente dell’Ordine Regionale dei Geologi Giovanni Calcagnì, il Presidente della Società Speleologica Italiana
Giampiero Marchesi e il Presidente della Federazione Speleologica Pugliese Giuseppe Savino; sono inoltre giunti i saluti scritti dell’Assessore all’Ecologia della Regione
Puglia Michele Losappio e del Rettore dell’Università di Bari Corrado Petrocelli,
del Presidente della Provincia Vincenzo Divella, del Soprintendente per i Beni Archeologici della Puglia Giuseppe Andreassi.
Sono state presentate ed illustrate 32 relazioni riguardanti risultati delle attività di
ricerca e di esplorazione oltre a mostre fotografiche, proiezioni di documentari,
pubblicazioni a tema, attività di arrampicata assistita per bambini.
Nelle sale a piano terra, è stato allestito dalle Poste Italiane un Servizio Postale Temporaneo con annullo filatelico celebrativo della manifestazione.
In contemporanea al Convegno, si sono tenute riunioni dei rappresentanti degli
organismi regionali e nazionali (Federazione Speleologica Pugliese, Commissione
Scuole di Speleologia, Commissione Catasto Cavità Artificiali, Consiglio della Società Speleologica Italiana).
La tre giorni speleologica altamurana si è completata con escursioni guidate nel
territorio (Centro Visite di Lamalunga e Pulo di Altamura).
Alla manifestazione hanno preso parte speleologi provenienti da tutta l’Italia.
Per la promozione della manifestazione, sono state prodotti inviti, locandine, adesivi e opuscoli.
Agli intervenuti è stata distribuita una cartellina con materiale informativo sulla
manifestazione e sul territorio.
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ATTI DEL CONVEGNO
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SPELAION, SPELEOLOGI A RACCOLTA
Ferdinando Didonna, Pino Pace, Vincenzo Manghisi
Gruppo Puglia Grotte (Castellana-Grotte)
Abstract
Dal 1996 al 2007 si sono tenuti in Puglia una serie di incontri di speleologia contraddistinti dall’evoluzione della stessa speleologia pugliese.
“Spelaion”, nato da una necessità di riunire le forze speleologiche regionali, partì
già nel 1995 da un’idea della Federazione Speleologica Pugliese, che identificò la necessità di un proprio spazio per realizzare raduni di speleologi in cui si confrontava
le diverse esperienze, sia nel territorio pugliese, sia realizzato dai pugliesi in territori
extraregionali ed internazionali.
Questi incontri a scadenza annuale si sono evoluti in maniera spontanea e sono
diventati degli strumenti mediatici che hanno fatto crescere i gruppi speleologici
pugliesi, i quali, sotto il patrocinio della Federazione Speleologica Pugliese, hanno
migliorato capacità organizzative e relazionali, favorendo uno sviluppo quantitativo
e qualitativo della stessa speleologia pugliese.
Un aspetto importante è stato la migrazione territoriale che fu alla base del principio di “Spelaion”, che ha permesso ai vari gruppi di valorizzare i fenomeni carsici
del proprio territorio e di farli conoscere agli altri gruppi speleologici.
Spèlaion, speleologi a raccolta, così Vincenzo Martimucci, presidente del Centro
Altamurano Ricerche Speleologiche, che ha ospitato la dodicesima edizione degli
incontri regionali di speleologia (Altamura, 7-9 dicembre 2007), ha brillantemente sintetizzato, nella sua lettera di invito, lo spirito dell’assise dei gruppi aderenti
alla Federazione Speleologica Pugliese (FSP), l’organismo di rappresentanza, che
attualmente, a distanza di trentuno anni dalla sua istituzione avvenuta nel 1976,
riunisce ben diciassette gruppi, che in essa si riconoscono e per mezzo della quale
coordinano le proprie attività.
Essi sono:
Archeo Speleo Club Rignano Garganico (Rignano Garganico, Fg)
Centro Altamurano Ricerche Speleologiche (Altamura, Ba)
Gruppo Grotte Grottaglie (Grottaglie, Ta)
Gruppo Puglia Grotte (Castellana-Grotte, Ba)
Gruppo Ricerche Carsiche Putignano - CAI (Putignano, Ba)
Gruppo Ricerche Speleologiche Mattinata (Mattinata, Fg)
Gruppo Speleologico Dauno (Foggia)
Gruppo Speleologico Leccese ‘Ndronico (Lecce)
Gruppo Speleologico Martinese (Martina Franca, Ta)
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Gruppo Speleologico Montenero (San Marco in Lamis, Fg)
Gruppo Speleologico Neretino (Nardò, Le)
Gruppo Speleologico Ruvese (Ruvo di Puglia, Ba)
Gruppo Speleologico Salentino P. de Lorentiis (Maglie, Le)
Gruppo Speleologico Vespertilio - CAI (Bari)
Gruppo Speleo Statte (Statte, Ta)
Speleo Club Cryptae Aliae (Grottaglie, Ta)
Speleo Club Sperone (San Giovanni Rotondo, Fg)
La prima edizione di Spèlaion, organizzata dal Gruppo Puglia Grotte nel venticinquesimo anniversario della propria fondazione, avvenuta nel 1971, ebbe luogo
a Castellana-Grotte nel 1996, ma l’idea di un tale evento era nata l’anno prima,
allorché la FSP avvertì la necessità di riunire le forze speleologiche regionali in un
proprio spazio, itinerante, affinché vi si confrontassero le diverse esperienze, maturate sul territorio pugliese e in quelli extra regionali e internazionali. Quella lontana
prima edizione non aveva, forse, la pretesa di veder consolidato il proprio ruolo e
l’annuale appuntamento, individuato fin da allora nei primi giorni di dicembre. Ma
così, per fortuna, non è stato. Da quel 1996, ogni anno l’evento è stato organizzato,
a turno, dai gruppi speleologici che hanno voluto assumersi questo onere, evolvendosi in maniera spontanea e divenendo strumento mediatico che ha contribuito a
far crescere i gruppi federati. Questi, sotto il patrocinio della FSP, hanno sempre più
migliorato capacità organizzative e relazionali, favorendo, così, lo sviluppo quantitativo e qualitativo della speleologia pugliese. Spèlaion è stato inteso, da subito,
come spazio autogestito da ogni singolo gruppo che ha, via via, fatto di esso un
incontro, una vetrina, un laboratorio di idee, un convegno, un incontro nazionale.
Un altro aspetto importante di questi appuntamenti è rappresentato dalla periodica
migrazione territoriale degli speleologi, fenomeno che fu alla base dell’ispirazione
di Spèlaion e che ha permesso ai vari gruppi di valorizzare la conoscenza carsica
dei propri territori e di farla conoscere, non solo agli altri speleologi ma anche alle
persone che in quei territori vivono e operano.
1996-2007. Dodici edizioni di Spèlaion, ed è già tempo di scriverne la storia.
Come detto, il primo Spèlaion, organizzato dal Gruppo Puglia Grotte, si tenne a
Castellana-Grotte il 14 e 15 dicembre 1996. Oltre al contorno di relazioni e di mostre
delle attività dei gruppi - momenti di compartecipazione che si succederanno di qui
in poi in ogni appuntamento - si svolsero il II stage teorico di tecnica speleologica e
il II incontro regionale sulla Fruizione degli ambienti naturali.
Nel 1997, nella splendida cornice naturale di Castro Marina, il Gruppo Speleologico Salentino P. de Lorentiis, il più antico sodalizio pugliese - fondato nel 1938 -,
poco tempo dopo la conclusione delle campagne esplorative Zinzulusa Speleosub
1996 e 1997 che avevano portato alla scoperta di 130 metri di nuove gallerie sommerse nella famosa grotta salentina e della spugna troglobia Higginzia ciccaresei,
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ospitò il 7 e l’8 dicembre, in collaborazione con il Gruppo Speleologico Neretino, la
seconda edizione di Spèlaion, che vide, tra l’altro, i partecipanti in visita alla Grotta
La Zinzulusa.
Da un estremo all’altro della regione, dal Salento al Gargano, la successiva edizione
di Spèlaion vide gli speleologi pugliesi riunirsi dal 12 al 13 dicembre 1998 a Sannicandro Garganico. Organizzatore dell’incontro fu quel Gruppo Speleologico Dauno che, costituitosi nel 1976, contava già una vastissima attività di ricerca ed esplorazione nell’area garganica e una qualificata serie di pubblicazioni sulla speleologia
di quel territorio, tra cui una splendida monografia sulle “Grotte del Gargano”.
Nel 1999 a organizzare l’annuale raduno, ospitato nel Palazzo Ducale di Martina
Franca nei giorni 11 e 12 dicembre, fu il Gruppo Speleologico Martinese, attivo dal
1975. Nel corso di Spèlaion 1999, che contò circa cento iscritti, particolarmente
seguita fu la relazione del professor Delfino Pesce sull’Uomo di Altamura, da poco
scoperto dagli speleologi del Centro Altamurano Ricerche Speleologiche.
Questi ultimi, sull’onda dello storico ritrovamento, e per festeggiare i cinquant’anni di attività del loro gruppo, risalente al 1950, si assunsero l’onere di mettere in
cantiere, dal 1 al 3 dicembre, Spèlaion 2000. Questa quinta edizione era destinata
a segnare una svolta, perché per la prima volta furono pubblicati gli Atti della manifestazione, che vide la partecipazione di oltre 170 speleologi e vari eventi degni di
nota: la mostra sui cinquant’anni di vita del CARS, l’annullo filatelico sull’Uomo
di Altamura, la consegna di attestati ai soci fondatori del sodalizio e la visita guidata
al sito di Lamalunga, ove era stato rinvenuto l’Uomo di Altamura.
L’alternarsi delle destinazioni dell’annuale migrazione speleologica portò, l’8 e il 9
dicembre 2001, Spèlaion in provincia di Taranto, a Grottaglie. Padrone di casa fu il
Gruppo Grotte Grottaglie, fondato nel 1968, che si avvalse della collaborazione del
concittadino Speleo Club Cryptae Aliae, costituitosi nel 1996, per l’organizzazione
delle escursioni, che portarono i circa cento partecipanti in visita all’Eremo di Santa
Maria in Campitelli - sede del Gruppo Grotte Grottaglie -, alla Gravina di Riggio,
nei pressi di Grottaglie e alla Grave di Castel Pagano, in agro di Cisternino (Br).
Come si è accennato all’inizio, Spèlaion è stato, nelle sue varie versioni, incontro,
vetrina, laboratorio di idee, convegno, incontro nazionale. Il 2002 è la volta della
versione convegno. Il Gruppo Puglia Grotte, infatti, candidatosi a organizzare per
la seconda volta l’appuntamento speleologico, facendo seguito alle edizioni del 1981
e del 1992, tenne a Castellana-Grotte, nei giorni 6-8 dicembre, il III Convegno di
speleologia pugliese. Gli Atti, comprendenti i lavori presentati, vennero ospitati in
Grotte e dintorni n. 4, la rivista del Museo Speleologico Franco Anelli e delle Grotte
di Castellana.
Finalmente nel 2003, con notevole coraggio e una buona dose di spregiudicatezza,
lo Speleo Club Sperone, fondato nel 1990, chiamato a cantierizzare a San Giovanni
Rotondo, nei giorni 5 e 8 dicembre, l’ottava edizione di Spèlaion, si ritrovò a gestire,
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anziché un raduno regionale, un incontro nazionale. L’annuale incontro degli speleologi italiani che si sarebbe dovuto tenere all’inizio di novembre, infatti, rischiava di
saltare, in quanto nessuno si era fatto avanti per chiederne l’organizzazione. Fu appunto grazie al coraggio dello Speleo Club Sperone, supportato efficacemente dagli
altri gruppi della Federazione Speleologica Pugliese, che l’evento poté svolgersi, per
altro con notevole successo. Vi fu la partecipazione di mille e settecento speleologi e
vi ebbero luogo proiezioni, mostre, escursioni in grotta e trekking. Gli Atti, infine,
furono pubblicati sulle “Edizioni del Parco” Nazionale del Gargano.
A organizzare il secondo Spèlaion in terra salentina fu, dal 10 al 12 dicembre 2004,
il Gruppo Speleologico Leccese ‘Ndronico, fondato nel 1990, che alla tradizionale
attività speleologica affianca la pratica in cavità urbane, l’escursionismo e il trekking. Anche in questo raduno, al quale furono presenti oltre centoventi speleologi, ebbero luogo mostre - tra le quali quella dedicata alla Grotta della Monaca di
Sant’Agata di Esaro (Cs), filmati ed escursioni guidate nelle grotte marine e lungo
la Serra di Ugento. I lavori presentati furono raccolti e pubblicati sugli Atti della
manifestazione.
Anche per il Gruppo Speleologico Martinese giunse il momento di riproporsi
nell’organizzazione di Spèlaion; anche in questo caso l’occasione venne fornita da
un anniversario importante: il trentesimo anno dalla fondazione, risalente al 1975.
Spèlaion 2005 si tenne, così, a Martina Franca, sotto l’alto patronato del Presidente
della Repubblica, oltre ai consueti patrocini di Regione, Provincia e Comune, e
con la partecipazione di centotrenta speleologi. Il Gruppo Speleologico Martinese,
per l’occasione, organizzò il Convegno Stato e conservazione delle aree carsiche e
ne pubblicò gli Atti, comprendenti anche i resoconti di questo decimo raduno, nel
quale si vollero coinvolgere quanti più soggetti possibili, speleologi e cittadini, enti
e istituzioni, associazioni e mondo della scuola, anche grazie ai numerosi filmati,
alle proiezioni e alle mostre, programmate nei giorni 8-11 dicembre. Particolarmente coinvolgente fu la proiezione che concluse la prima giornata dei lavori: una commossa rivisitazione di foto storiche riguardanti i primi passi del gruppo.
La terza volta che Spèlaion scalò i rilievi del Gargano correva l’anno 2006. Questa
volta ci si ritrovò a Borgo Celano, frazione di San Marco in Lamis, dove venne inaugurato il Centro visite del Parco Nazionale del Gargano, anche sede di un museo
del carsismo. Centoventi furono gli speleologi che parteciparono al raduno, dall’8
al 10 dicembre, organizzato dal Gruppo Speleologico Montenero, costituitosi nel
1986, che, oltre alla presentazione di lavori, filmati e mostre - particolarmente seguita quella sul ritrovamento di orme di dinosauri in Marocco -, vide lo svolgimento
delle consuete escursioni in grotta e di trekking.
Anche di questo appuntamento sono in corso di pubblicazione gli Atti.
Ed eccoci a Spèlaion 2007, secondo appuntamento del Centro Altamurano Ricerche Speleologiche, nel corso del quale, in una cornice organizzativa di alto livello,
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furono presentati ben trentadue lavori - secondi solo ai trentaquattro di Spelaion
2005 - oltre a vari momenti di socializzazione con l’ambiente cittadino, quali proiezioni, mostre fotografiche, annullo filatelico della manifestazione, parete attrezzata
di arrampicata sportiva. Nel corso del raduno furono effettuate visite guidate al sito
di Lamalunga e al Pulo di Altamura e si tennero il Consiglio della Società Speleologica Italiana (SSI) e l’Assemblea della FSP, che provvide all’elezione dei nuovi
organi societari.
È il momento di un bilancio.
A distanza di dodici anni dalla sua istituzione si può affermare che Spèlaion rappresenti ormai un appuntamento adulto, specchio di una speleologia - non più percepita come aggregazione di curiosi esponenti di una cultura marginale - approdata,
finalmente, a livelli professionali e pronta, dunque, a confrontarsi con la società
senza complessi di inferiorità, orgogliosa, anzi, di proporsi come interlocutrice privilegiata per tematiche di rinascita culturale, quali la difesa dell’ambiente carsico.
Tematiche, per altro, foriere - in un prevedibile futuro - anche di sviluppo occupazionale. Tocca agli speleologi pugliesi, quindi, raccogliere la sfida e non lasciar
cadere le opportunità insite nelle nuove frontiere che si profilano.
Bibliografia
AA.VV., 2000 - Atti delle giornate, Altamura, 1-3 dicembre 2000, pp.256.
AA.VV., 2002 - Atti del III Convegno di Speleologia Pugliese, Castellana-Grotte, 6-8 dicembre 2002, Grotte
e dintorni, n. 4, pp.
AA.VV., 2003 - Spelaion 2003. Atti del Raduno Nazionale di Speleologia, San Giovanni Rotondo, 5 - 8 dicembre 2003. Edizioni del Parco, pp. 303.
AA.VV., 2004 - Atti del Convegno sullo “Stato attuale delle scoperte speleo-archeologiche nelle grotte pugliesi, Lecce, 10-12 dicembre 2004, pp. 240.
AA.VV., 2005 - Atti del Convegno “Stato e conoscenze delle aree carsiche”, Martina Franca, 8-11 dicembre
2005, pp. 300.
19
CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE COMUNITÀ BIOLOGICHE DELLE RACCOLTE D’ACQUA NELLE MURGE BARESI: LO ZOOPLANCTON
CONTRIBUTION TO THE STUDY OF THE BIOLOGICAL COMMUNITY OF THE WATER RESERVOIRS IN THE MURGE BARESI: THE ZOOPLANKTON
Tiziana Quartulli, Giuseppe Alfonso, Genuario Belmonte
Laboratorio di Zoogeografia e Faunistica, DiSTeBA Università del Salento, Lecce
Abstract
Il territorio pugliese, e la Murgia in particolare, è caratterizzato dalla carenza di acque superficiali. La presenza di calcari fortemente fessurati e carsificati causa la penetrazione immediata dell’acqua meteorica nel sottosuolo. Nei secoli l’uomo murgiano si è ingegnato a trovare le soluzioni più idonee per sopperire a tale problema
attraverso la realizzazione di opere rurali per la raccolta e la conservazione dell’acqua. Votani, piscine, pozzi e cisterne, sono stati realizzati a potenziare le raccolte
dovute alle caratteristiche del terreno (avvallamenti, doline e lame). Recentemente,
la costruzione di acquedotti dalle terminazioni capillari ha reso superate le tradizionali raccolte d’acqua che in molti casi sono andate interrandosi spontaneamente o
sono state colmate per ottenere maggiori superfici coltivabili. Le mutate condizioni
di vita, pertanto, stanno indirettamente cancellando una testimonianza storica della
vita rurale e contemporaneamente un ambiente prezioso e raro nel territorio murgiano, che esisteva solo in conseguenza degli interventi di manutenzione e che, pertanto, ospitava (in modo non ancora valutato) una biodiversità altrimenti assente.
Lo studio presente offre un primo studio delle comunità biologiche presenti nelle
raccolte d’acqua superficiali ancora reperibili nell’area murgiana. Nell’inverno 2006
dei 24 siti visitati sull’Alta Murgia, solo 12 presentavano acqua. I dati preliminari,
qui forniti, relativi alla fauna sono stati ricavati da 9 di essi. Lo zooplancton è risultato costituito soprattutto da Cladocera e Copepoda (Crustacea), ma sono ben
rappresentati anche i Diptera (Insecta). Le presenze faunistiche sono state valutate
e discusse alla luce dell’estremo isolamento dei siti, della loro giovane età, la loro
eventuale comunicazione con la falda ipogea, e l’interferenza umana dovuta alla
gestione che ne veniva fatta.
Apulia, and Murgia in detail, is characterized from the scarcity of surface waters. The fissured limestone of the karstic territory, caused the penetration of surface running waters
into the underground system. In the centuries of his history man realized rural works to
pick up rainy waters. “Votani”, swimming pools, wells and cisterns, were realized for
strengthening the temporary harvests due to the ground morphology (subsidence, dolines, and canyons). Recently, the realization of aqueducts made useless the traditional
20
21
water reservoirs. The change of life conditions, therefore, indirectly eliminated a historical testimony of the rural life and contemporarily a precious and otherwise unexisting
biodiversity linked to this particular habitat in the territory of Murgia. In the present
study we report the first evaluation of the biodiversity in the remaining surface harvests
of water in a portion of Murgia area (Alta Murgia). In winter 2006 we visited 24 sites, 12
were floded, and data here presented derive from the study on 9 of them. The zooplankton community resulted composed by Cladocera and Copepoda (Crustacea), but also
Diptera (Insecta) were well represented. The zooplankton community has been evaluated and discussed under the light of the site isolation, their possible communication
with underground water, and the man disturbance due to management.
Key words
Zooplancton, raccolte d’acqua, Alta Murgia, Puglia
Zooplankton, water reservoirs, Alta Murgia, Apulia
Introduzione
Nel contesto geologico italiano, e più in generale nell’area mediterranea, la Puglia
costituisce un’entità distinta dalle regioni adiacenti. Questa regione si identifica
per lo più con la parte affiorante della piattaforma apula esterna (l’avampaese della catena appenninica meridionale), formata da una potente successione di rocce
calcareo - dolomitiche di età mesozoica affioranti a livello del Gargano, le Murge e
il Salento (BOENZI et alii., 1991; RUSSO & SERRAVEZZA, 1991). Le Murge corrispondono, nel complesso, ad un esteso altopiano carsico, che si allunga da NW a SE
al centro della Puglia, e si estende per circa 7.000 Km² tra il corso dell’Ofanto a
Nord e la cosiddetta “soglia messapica” a Sud (PIERI, 1980; SAURO, 1991). L’altopiano
comprende nel settore settentrionale le cosiddette Murge NW (Alta Murgia) e nel
settore meridionale le Murge SE (Bassa Murgia) (PIERI, 1980; BOENZI et alii., 1991;
ZEZZA & ZEZZA, 1999).
Sull’Alta Murgia si riscontrano quasi tutti i maggiori fenomeni del carsismo superficiale, che hanno formato nel tempo avvallamenti, doline, pozzi e lame. Gli
idronomi citati in vecchi documenti indicano la presenza, almeno periodica, di
piscine, laghi, fontane, torrenti e pantani (SAURO, 1991; PALMISANO & FANIZZI, 1992;
CASTORO et alii., 2005).
La mancanza d’acqua in superficie nella Murgia è pertanto dovuta non tanto alla scarsità
delle piogge, ma al carsismo che impedisce la presenza di sorgenti e di una rete idrica
naturale attiva (RUSSO & SERRAVEZZA, 1991; PALMISANO & FANIZZI, 1992).
I solchi di erosione sono molto numerosi e costituiscono un reticolo abbastanza
denso. Si tratta delle cosiddette lame, sede di rapidi e brevi deflussi superficiali, dove
le acque che non hanno fatto in tempo ad essere inghiottite dalle fessure dei calcari
si incanalano solo dopo forti piogge (CASTIGLIONI, 1979).
22
L’inserimento a più livelli stratigrafici d’orizzonti impermeabili rende irregolare il
profilo e l’andamento dell’acquifero e consente il rinvenimento di falde secondarie
a portata modesta e a profondità più vicine alla superficie di quelle alle quali giace
la falda principale.
L’assenza di un esteso reticolo idrografico superficiale ha reso indispensabile nell’intera regione e sull’Alta Murgia in particolare, fin dal più remoto passato, l’approvvigionamento a scopo domestico e produttivo dell’acqua (PALMISANO & FANIZZI,
1992; PERRETTA, 2001).
L’annoso problema della povertà d’acqua nella Siticulosa Apulia (Puglia assetata),
come la chiamava Orazio nel suo terzo epodo, ha origini molto antiche (LENTINI,
1992; PERRETTA, 2001). La disponibilità dell’acqua ha sempre fortemente condizionato il processo di antropizzazione del nostro territorio e lo sviluppo socio-economico delle comunità sparse, o accentrate, che su di esso si insediarono (BAUER &
GIACOVELLI, 1983; PERRETTA, 2001).
Il particolare rapporto che l’uomo ha intrattenuto con questo ambiente nei secoli
ha necessariamente richiesto la realizzazione di opere rurali per la raccolta dell’acqua, ottimizzando tutte le possibilità offerte dalla natura e dalle caratteristiche
fisiche del terreno (BAUER & GIACOVELLI, 1983; PALMISANO & FANIZZI, 1992; PERRETTA, 2001; MARANÓ, 2007). Ciò ha consentito ad un gran numero d’animali di
vivere e pascolare, come testimonia l’allevamento di grandi quantità di pecore
durante il periodo della “Dogana per la mena delle pecore in Puglia”, istituita
nel 1443 per opera di Alfonso I d’Aragona, che cerca di incrementare in tutti i
modi le attività pastorali, elargendo privilegi e prerogative ai possessori di greggi e imponendo una serie di servitù e restrizioni ai territori delle Università, dei
feudatari e dei privati.
Avviene, dal XIV al XVIII secolo, un processo di riorganizzazione e trasformazione
del territorio, privilegiando la pastorizia e con essa l’incolto, il pascolo, le macchie
e il bosco rispetto all’agricoltura (LICINIO, 1998; PASTORE, 2000; CASTORO et alii.,
2005).
A supporto di questo intenso sfruttamento del territorio viene costruita una
innumerevole serie di strutture e manufatti: jazzi, masserie e poste, fortemente
legati ai sistemi di raccolta dell’acqua piovana (votani, pozzi, piscine e neviere)
(CALDERAZZI & PANNACCIULLI, 2002; CASTORO et alii., 2005).
A valle e sulla Murgia Alta, negli avvallamenti e nelle doline si trovano i cosiddetti
votani, cilindri di grande diametro realizzati in materiale a secco (tufo o pietre)
affondati nel terreno e impermeabilizzati all’interno, al centro di affossamenti naturali del terreno. Antenati dei pozzi, se ne differenziano proprio per essere aperti
(mentre questi presentano copertura) e spesso sono recintati da alberi che, facendo ombra diminuiscono il fenomeno di evaporazione dell’acqua (CASTORO et alii.,
2005). Sono bacini usati, in passato e tutt’ora, per l’irrigazione dei campi e per
23
l’abbeveraggio degli animali (CASTORO et alii., 2005;). Anche i pozzi (o cisterne)
consentono l’utilizzazione degli strati acquiferi sottostanti e come i votani sono ricavati da scavi verticali praticati nel terreno, e sono coperti sempre in materiale a secco
(in pietra e tufo) (PASTORE, 2000). Sono simili ai trulli interrati con volte a botte.
Sono in genere realizzati solo nelle zone periferiche della Murgia, in fondo a doline,
lame e in punti dove la falda freatica è affiorante o poco profonda. I pozzi sorgivi
sono molto rari ma quelli piovani sono visibili in ogni masseria che presenta, a sua
volta, un sistema complesso di grondaie, canalizzazioni e pendenze per raccogliere
l’acqua dai tetti e dai terrazzi (BAUER & GIACOVELLI, 1983; LENTINI, 1992; PASTORE &
GIACOVELLI, 2002; MARANÓ, 2007).
Le piscine, invece, sono state costruite per l’abbeveraggio degli armenti. Sono a forma
di parallelepipedo con volta a botte e una copertura a tetto spiovente e possono essere
scambiate per case di pietra. Sono interrate e site in avvallamenti o nelle lame per favorire la raccolta dell’acqua. Si possono scorgere soprattutto nei punti di passaggio delle
greggi, in prossimità dei tratturi e delle masserie (CASTORO et alii., 2005).
Le neviere erano veri e propri frigoriferi naturali realizzati dall’uomo per immagazzinare la neve caduta durante l’inverno. Nel periodo caldo, il ghiaccio che vi si
ricavava, era usato per conservare le derrate alimentari e per refrigerare bevande. La
loro ubicazione era alla periferia degli agglomerati urbani della Murgia, presso le
masserie, e sempre sui versanti in ombra delle ondulazioni del terreno. Le neviere,
anche se esteriormente possono sembrare simili alle piscine, hanno un piano calpestabile fatto da terriccio che ricopre il tetto per isolarlo meglio dal calore esterno.
Sono anche più profonde e più sporgenti rispetto al piano di terra (BAUER & GIACOVELLI, 1983; GUARELLA, 1988; CASTORO et alii., 2005).
Alcune di queste strutture funzionali all’approvvigionamento idrico, fatta eccezione
delle neviere, sono in uso ancora oggi, anche se la costruzione di acquedotti dalle
terminazioni capillari le ha rese superate. Le mutate condizioni di vita, pertanto,
stanno indirettamente cancellando una testimonianza storica di vita rurale e contemporaneamente un ambiente prezioso e raro nel territorio murgiano, che ha consentito lo sviluppo e il mantenimento di una biodiversità altrimenti impossibile in
tale territorio, sia fungendo da punti di abbeveraggio della selvaggina, sia offrendo
asilo a specie acquatiche.
Materiali e metodi
Nell’inverno 2006 (febbraio - marzo) sono stati visitati 24 siti sull’Alta Murgia (BA),
dove sia per le caratteristiche geomorfologiche del territorio che per testimonianze
toponomastiche e/o di architettura rurale sono stati individuati legami storici con la
presenza di acqua. I prelievi sono stati effettuati solo in 12 siti, di diversa tipologia,
non essendo stata rinvenuta acqua negli altri (Tab. I).
24
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sotterranea; R: risorgiva.
Tab: I - Sites with water - S: subsurface; A: artificial lake; D: doline / depression; C: cistern
underground; R: risorgiva.
In laboratorio i 12 campioni raccolti sono stati analizzati al microscopio ottico invertito
ZEIS ad ingrandimenti 5, 10, 20, e 40 X, con l’ausilio di telecamera con fermo immagine. Gli organismi raccolti sono stati identificati con uso di chiavi dicotomiche e classificati secondo categorie di conteggio (nella maggior parte dei casi corrispondenti
alla specie). Inoltre è stata condotta una ricerca bibliografica sulle caratteristiche
strutturali, naturali e antropiche delle raccolte d’acqua presenti sulla Alta Murgia.
Risultati
Molti dei siti visitati sono risultati in abbandono o in cattivo stato di manutenzione e, nonostante il periodo della visita (inverno) risultavano secchi. Il votano di
Gurlamanna, le “fontane” di San Magno, il pozzo Strappete, lo sbarramento
artificiale di Masseria Cristo, e quello di Masseria il Cardinale, sono risultati
quelli in miglior stato di conservazione. Solo in 12 è stata rinvenuta acqua, e qui
si riportano i dati ottenuti da 9 di questi (Fig. 1).
25
totale presenze
Mass. CRISTO
Mass. IL CARDINALE
PILONE
S.CATALDO
STRAPPETE
TAV. NUOVA II
x
S.MAGNO
TAV. NUOVA I
GURLAMANNA
x
COPE PODA
a
b
Calanoida
Copidodiaptomus steueri
x
Cyclops abyssorum
Cyclops vicinus
x
Diacyclops bicuspidatus
Cyclopoida
Eucyclops serrulatus
x
x
copepoditi cyclopoida
x
x
3
2
x
x
x
x
x
x
x
x
x
copepoditi calanoida
TOT. COPEPODA ad.
c
d
1
1
3
2
1
1
0
1
x
2
x
9
x
1
2
CLADOCE RA
Alona guttata
Bosmina longirostris
x
Chydorus sphaericus
x
Daphnia longispina
Daphnia obtusa
x
x
Daphnia similis
x
x
x
x
f
x
1
x
2
x
2
x
2
3
2
Pleuroxus aduncus
e
2
x
x
Tropocyclops prasinus
1
2
x
1
TOT. CLADOCERA
1
2
2
0
0
2
2
0
4
TOT. CRUSTACEA
3
4
6
3
2
4
3
2
8
x
x
3
5
4
3
9
I NSECTA
Diptera
Chaoboridae
x
x
x
x
TOTALE
4
5
7
4
x
7
Tab. II - Categorie tassonomiche nelle 9 raccolte d’acqua.
Tab. II - Taxonomy categories in 9 water reservoirs.
g
h
Fig. 1 - Le 9 raccolte d’acqua: a) Taverna Nuova
I, b) Taverna Nuova II, c) votano Gurlamanna,
d) Pozzo Strappete, e) Fontane di S. Magno, f )
Il Pilone, g) Masseria Il Cardinale, h) masseria
Cristo, i) San Cataldo.
i
26
Fig. 1 - The 9 water reservoirs: a) Taverna Nuova
I, b) Taverna Nuova II, c) votano Gurlamanna,
d) Pozzo Strappete, e) Fontane di S. Magno, f )
Il Pilone, g) Masseria Il Cardinale, h) masseria
Cristo, i) San Cataldo.
In questi 9 siti sono state riconosciute 16 categorie di conteggio di organismi planctonici; delle quali 13 determinate a livello di specie (Tab. II). Le specie identificate
appartengono ai Cladocera (7 specie) e ai Copepoda (5 Cyclopoida e 1 Calanoida).
Inoltre, si è riscontrata la presenza di Diptera (Chaoboridae).
Su un totale di 13 specie di Crustacea, 6 sono state rinvenute a Masseria Cristo; con
un rapporto Cladocera: Copepoda 4:2; seguita da Taverna Nuova II con 5 specie e
un rapporto 2:3 (Fig. 2).
Come si osserva dalla Tab. II, Masseria Cristo risulta l’unico sito in cui si riscontra
la presenza di 1 specie di Calanoida (Copidodiaptomus steueri) e rappresenta la raccolta d’acqua con il maggior numero di categorie (9). Dallo studio è emerso che,
27
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䌀伀倀䔀 倀伀䐀䄀
吀 伀吀 䄀䰀 䔀
䌀䰀 䄀䐀伀䌀䔀 刀䄀 Fig. 2 - Confronto tra numero totale di specie di Cladocera e Copepoda nei 9 dei siti di
campionamento.
Fig. 2 - Comparison between total number of Cladocera and Copepoda species on 9 sites of
sampling.
invece, le raccolte d’acqua di Masseria il Cardinale e di Pozzo Strappete sono quelle
con il minor numero di crostacei, dove sono state riconosciute rispettivamente le
specie Cyclops vicinus e Diacyclops bicuspidatus.
Le categorie più frequenti (ad es. copepoditi Cyclopoida, presenti ovunque, e Chaoboridae, presenti in 7 siti su 9) sono quelle che comprendono verosimilmente
rappresentanti di più specie. Il sito “il Pilone” è l’unico che non ha fornito adulti
di copepodi. Ad ogni modo sono stati riportati copepoditi di Cyclopoida ed è pertanto evidente che una visita in periodo differente potrà facilmente indicare la o le
specie di copepodi presenti. Le specie più frequenti nei campionamenti sono risultate Diacyclops bicuspidatus (Cyclopoida) e Daphnia obtusa (Cladocera), entrambe
con tre siti occupati.
Il gruppo dei Cyclopoida è risultato presente in tutti i siti almeno come copepoditi,
mentre i Cladocera erano presenti solo in 6 dei 9 siti indagati.
In genere quando i due gruppi tassonomici sono contemporaneamente presenti
nello stesso sito, il numero di specie di Cladocera è sempre risultato maggiore di
quello dei Copepoda, con la sola eccezione dello stagno Taverna Nuova II dove si è
verificata la situazione opposta (Fig. 2).
Discussione e conclusioni
La presenza di acqua in soli 12 siti dei 24 visitati nell’inverno 2006 sull’Alta Murgia,
28
può essere derivato non solo da sfavorevoli condizioni climatiche di quell’anno in
particolare (inverno poco piovoso), ma anche da una loro cattiva manutenzione. Il
declino delle attività tradizionali legate all’uso di questi ambienti, e la costruzione,
a partire dalla metà degli anni 80, dell’Acquedotto Rurale delle Murge ha portato a
una loro ridotta gestione e a un rapido quanto inevitabile processo di interramento.
In questo quadro di risistemazione del territorio e di utilizzazione delle sue risorse si
è operata la sistematica “bonifica” di molti invasi d’acqua naturali, che sono andati
così notevolmente riducendosi di numero (FRISEDDA & BIMBO,1987; PALMISANO & FANIZZI, 1992; CASTORO et alii., 2005).
Come si osserva dalla Tab. II, è emersa una minore presenza di Cladocera rispetto ai
Copepoda e in particolare rispetto ai Cyclopoidae, che sono stati rinvenuti in tutti i
corpi d’acqua indagati, ciò è da porre in relazione principalmente con la capacità di
dispersione di questi organismi che consentono la colonizzazione di corpi d’acqua
anche molto distanti tra loro. La dispersione è di tipo passivo e riguarda soprattutto
gli stadi quiescenti che possono venire veicolati da agenti meteori e dagli animali
(in particolare gli uccelli) (STOCH, 1985), ma anche alla loro plasticità ecologica.
In alcuni casi: pozzo Strappete, Fontane di San Magno e Masseria Il Cardinale,
presentano solamente ciclopoidi.
Da altri studi è noto che la presenza o assenza di pesci può influenzare notevolmente la composizione dello zooplancton presente in laghi e stagni (JÜRGES et alii,
1999; ZHAO & DONG, 2005). Le specie di zooplancton di grossa taglia come
quelle del genere Daphnia sono le prede preferite da più tipi di pesci giovani e adulti, mentre lo zooplancton di dimensione più piccola (GLIWICZ, 2002; FORRÓ et
alii, 2003), come alcune specie di Cyclopoida sono meno vulnerabili alla presenza
di pesci, e quindi sono più abbondanti. Ciò può giustificare il ritrovamento di un
solo Cyclopoida (Cyclops vicinus) in “Masseria il Cardinale”, dove la presenza di
pesci è testimoniata dall’esistenza di un’attività di pesca sportiva.
La composizione delle biocomunità presenti nelle raccolte d’acqua indagate ha mostrato i caratteri peculiari di questi ambienti. Ambienti piccoli ma, a differenza
di pozze e stagni cui potrebbero somigliare, sono perenni, artificiali o comunque
seminaturali. In qualche modo l’uomo attraverso la loro manutenzione determina
la persistenza dell’acqua ma anche esercita uno stress che si ripercuote sulla biodiversità acquatica. Inoltre, alcune di queste raccolte (ad es. cisterne, pozzi e votani ),
raccolgono da una parte acqua piovana, e dall’altra acqua di falda freatica. Nel caso
dei pozzi, essendo coperti, oppongono problemi allo sviluppo delle alghe fotosintetizzanti e arrivano, con questo, a somigliare agli ambienti acquatici ipogei. Possono
essere considerati “ambienti di confine” in quanto possono essere colonizzati sia da
organismi epigei, che rappresentano in parte il mondo delle raccolte d’acqua superficiali, che da organismi ipogei stigofili.
I Cyclopoida rinvenuti in questi ambienti (Diacyclops bicuspidatus e Eucyclops ser29
rulatus) erano già noti in seguito a studi condotti sulla fauna in acque freatiche
del Salento da Pesce et alii (1974-1978) come rappresentati dell’ambiente freatico.
Viceversa i Cladocera sono tipici rappresentanti della fauna planctonica epigea. E’
noto che, in generale, nelle acque sotterranee, per quanto riguarda la componente
zooplanctonica, si ha una netta prevalenza di Copepoda Cyclopoida, mentre sono
pressoché assenti i Cladocera (COTTARELLI & BERERA, 2003), presumibilmente a causa delle abitudini alimentari in quanto molte sono le specie di cladoceri legate alla presenza di fitoplancton e vegetazione sommersa e anche alla loro spiccata
tendenza per le acque eutrofiche (CARAMUJO & BOAVIDA, 2000).
Questo lavoro è un punto di partenza per una valutazione delle comunità delle raccolte d’acqua nelle murge baresi e da parte del laboratorio di Zoogegrafia e Faunistica dell’Università del Salento si prevedono degli ulteriori approfondimenti (ricerca
di ulteriori raccolte d’acqua, visite delle medesime in diversi periodi dell’anno, analisi anche quantitative delle biocomunità acquatiche, confronti con biocomunità
acquatiche ipogee, confronti con corpi d’acqua presenti nelle altre porzioni della
Puglia o di regioni vicine).
Ringraziamenti
Ringraziamo: Ente Parco dell’Alta Murgia per le autorizzazioni, il dott. Vincenzo
Iurilli (Università degli Studi di Bari) per la sua disponibilità come guida e per
averci fornito documentazioni geologiche e cartografiche, dott. Gianbattista Bello
(Provincia di Bari-Ufficio Ambiente) per averci fornito la cartografia sui corpi idrici
superficiali e i proprietari delle masserie: di Cristo, Il Cardinale, Gurlamanna, Cellaforza e Taverna Nuova.
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31
GROTTA ROMANELLI (CASTRO, LECCE)
C’ERA UNA VOLTA UN… PINGUINO (ALCA IMPENNIS)
Nini Ciccarese
Gruppo Speleologico Salentino “P.de Lorentiis” - ente morale - Maglie (Le)
Abstract
Tra il 1920 ed il 1927 il prof. G.A. Blanc, pubblicò le prime note sugli scavi effettuati
in grotta Romanelli (Castro, Lecce) e comunicò ed approfondì, tra l’altro, circa il
rinvenimento di reperti paleontologici di Alca impennis, pinguino boreale di habitat artico. La presenza di Alca nei depositi di Romanelli (livelli C e D) fu una delle
più evidenti prove del protrarsi, lungo le coste del mediterraneo, della glaciazione
wurniana fino a circa 9.000 a.c..Con l’aumento delle temperature del post-wurniano e l’arretramento dei ghiacciai, Alca impennis abbandonò il mediterraneo per
insediarsi su alcune isolate coste rocciose dell’Atlantico settentrionale. Ma in quelle
zone, tra la metà del 1700 e la metà del 1800 l’Alca impennis fu vittima, per mano
dell’Uomo, della prima grande estinzione di una specie vivente avvenuta durante
l’era moderna. Dopo decenni di spietata caccia e scempio, le cronache dell’epoca
riportano che il 03 giugno 1844, per alimentare il mercato del collezionismo, fu
uccisa anche l’ultima coppia di Alca impennis e l’unico uovo in cova fu schiacciato
dai cacciatori. Poi più nulla. Estinta!.
I due reperti di Alca impennis rinvenuti da G.A. Blanc nei depositi paleolitici di
grotta Romanelli, relitti della vita preistorica lungo le nostre coste testimoniano,
tra l’altro, la ricorrente incapacità degli uomini di valutare le conseguenze di azioni
reiterate a danno degli equilibri naturali.
In un momento come l’attuale, in cui i problemi climatici e la richiesta di azioni
adeguate preoccupano e sollecitano il mondo scientifico ed il semplice cittadino, si
propone l’esemplare ed amara storia di Alca impennis, pacifico pinguino boreale,
sopravvissuto ai grandi cambiamenti climatici ma non all’Uomo.
Relazione completa non pervenuta
32
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AMBIENTI E CLIMI DEI NEANDERTALIANI DEL SALENTO
ENVIRONMENTS AND CLIMATES OF SALENTO NEANDERTALIENSIS
Marco Delle Rose1,2,Vittorio Marras1
1
Gruppo Speleologico Neretino
2
Consiglio Nazionale delle Ricerche, IRPI
Abstract
Alcune grotte del Distretto Preistorico di Nardò contengono manufatti musteriani
riferibili al Riss finale. Numerosi siti ipogei del Salento conservano depositi con
industrie, in alcuni casi anche reperti osteologici, di Homo neandertaliensis del Pleistocene Superiore, che costituiscono una importante registrazione geologica benché
l’inquadramento cronologico non è ancora definito. Considerando lo stato dell’arte
di varie discipline, si pongono le basi per definire gli indicatori geologici paleoclimatici del Tirreniano e del Würm e si delineano scenari ambientali di fasi cruciali
delle parabola esistenziale di Homo neandertaliensis.
Some caves of the Prehistoric District of Nardò (DPN) contain Mousterian flint tools
which are referable to the later Riss. A number of Salento ipogean sites store deposits
containing industry, in some cases also bone finds, of Upper Pleistocene Homo neandertaliensis, that forms as a whole an important geological record, even if the chronological placement is not defined yet. Tacking into account the state of the art of various
scientific fields, the base to define Tyrrenian and Würmian palaeo-climatological indicators are found and environmental scenarios of Homo neandertaliensis existence-crucial
phases are traced.
Key words
Paleoclimatologia, Würm, Distretto Preistorico di Nardò.
Palaeoclimatology, Würm, Prehistoric District of Nardò.
Introduzione
Il genere Homo si è evoluto in un’era di cambiamenti climatici radicali, con alternanze di condizioni miti e rigide più o meno sfasate nel tempo tra le varie aree
geografiche. L’antropologia e la paletnologia hanno sempre avuto, di conseguenza,
stretti legami con la paleoclimatologia (Furundarena & Jimenez, 1998), mentre
lo schema delle quattro glaciazioni alpine Gunz, Mindel, Riss e Würm (Penck &
Bruckner, 1909) ha esercitato grande influenza sugli studi preistorici e paleoantropologici oltre che su varie discipline delle Scienze della Terra (geomorfologia,
stratigrafia, ecc.). Esso ha costituito una Teoria Dominante che “funzionava come
34
35
un contenitore in cui inserire tutti i nuovi dati, anche se contraddittori” (Angelucci,
2004). Le ricerche paleoclimatologiche si sono avvalse, non di meno, dei contributi
scientifici di varie discipline, quali le variazioni cicliche delle radiazioni solari astronomicamente indotte dai moti della terra (Milankovitch, 1941), le fluttuazioni del
livello del mare, valutate in base al rapporto tra gli isotopi 16 e 18 dell’ossigeno dei
sedimenti marini (Emiliani, 1955; Chappell & Shackleton, 1986) o per mezzo di
depositi marini terrazzati (Bonifay & Mars, 1959).
Oggi si ammettono, per gli ultimi 2,5 milioni di anni, sino a 50 cicli climatici di
riscaldamento-raffreddamento, undici dei quali a partire dalla prima glaciazione
continentale (Raymo et alii, 1989). Nei più recenti cicli medio pleistocenici, ciascun
glaciale ha avuto una durata di 80.000-100.000 anni, circa 5 volte maggiore dei periodi più caldi o temperati (interglaciali). Le oscillazioni minori, indicate come “stadi glaciali” (o stadiali) e “interstadi” (interstadiali), permettono “una ripartizione in
periodi distinti (ad es. Würm I, Würm II, Würm III, ecc.)” delle glaciazioni (Castiglioni, 1979). Anche negli studi di archeologia preistorica il Würm è “classicamente” tripartito o, in schemi degli ultimi decenni, tetrapartito. Allo stato attuale delle
conoscenze geocronologiche, mentre il Würm è unanimemente collocato nel Pleistocene Superiore e coincide con l’ultimo ciclo di riscaldamento-raffreddamento,
le precedenti glaciazioni sono diversamente inquadrate dagli Autori nel Pleistocene
Medio e Inferiore, ciascuna comprendendo più cicli climatici.
Inoltre, benché limite Pleistocene Medio - Superiore, definito su base stratigrafica,
corrisponde alla base dell’Eemiano e coincide con l’inizio dello stadio isotopico 5
(Chappell & Shackleton, 1986), “esistono numerosi termini informali, suddivisioni riconosciute regionalmente o basate sui più svariati parametri (zone polliniche, […
industrie litiche], paleomagnetismo, ecc.), che complicano notevolmente la stratigrafia quaternaria e la locazione cronologica degli eventi” (Angelucci, 2004). La base
del Pleistocene Superiore è fatta coincidere, in genere, con l’inizio del Paleolitico
Medio. In ogni caso i passaggi Paleolitico inferiore - medio e Paleolitico medio superiore (Finlayson et alii, 2006), sono avvenuti attraverso forme di transizione
che hanno interessato diversi ominidi e relative industrie, e tale transizione si è
manifestata in differenti intervalli di tempo nelle varie regioni occupate dall’uomo.
Con tali premesse, e previa una rassegna critica dello stato dell’arte, questa nota
si prefigge di contribuire alla individuazione di indicatori geologici utili per la ricostruzione di aspetti paleoambientali del Tirreniano e del Würm nel Salento. In
questa area geografica sono stati già evidenziati vari indicatori geologici riferibili a differenti condizioni paleoclimatiche plioceniche e quaternarie (Delle Rose,
2007). Le ricerche hanno visto la partecipazione del Gruppo Speleologico Neretino
(GSN) e sono illustrate in un volume sui “Cambiamenti Climatici” del Consiglio
Nazionale delle Ricerche (CNR, 2007). Il presente lavoro costituisce un ulteriore
contributo del GSN a tale tematica di stridente attualità.
36
I siti dei Neandertal nel Salento
Il tardo Quaternario ha visto l’ascesa, il declino e l’estinzione dell’Uomo di Neandertal. Forme arcaiche di questa specie sembrano essere presenti in Europa da circa
400.000 anni fa (Vacca 2006); a 300.000 anni è ricondotto il sito di proto-neandertal di Atapuerca (Pievani, 2002), mentre l’uomo di Altamura si collocherebbe
in una fase evolutiva successiva (Vacca, 1999).
“I ritrovamenti dei neandertaliani si fanno più frequenti superata la soglia di 200.000
anni fa e […] li troviamo in un’area molto estesa, dalla Spagna al Galles, dalla Francia
al Medio Oriente, e da qui fino oltre il Mar Caspio, nell’attuale Uzbekistan. […Gli
ultimi neandertaliani sopravvissero forse sino a] 24.000 anni fa, convivendo probabilmente per decine di migliaia di anni con Homo sapiens” (Pievani, 2002).
Le tracce più antiche di Neandertal nel Salento sono ritenute quelle rinvenute a
Grotta dell’Alto e Riparo Marcello Zei (Distretto Preistorico di Nardò), in depositi
brecciati contenenti manufatti attribuiti all’industria litica musteriana di tecnica
La Quina (GSN, 1995) del Riss finale. Numerose grotte e cavità carsiche del Salento, oltre a siti all’aperto o in prossimità di ripari sotto-roccia, conservano più
ampie testimonianze di Homo neandertaliensis nel Pleistocene Superiore. L’insieme
di questi depositi costituisce una preziosa registrazione degli eventi geologici tardoquaternari, benché il relativo inquadramento cronologico di dettaglio, in mancanza
di datazioni assolute e analisi polliniche, non è definibile univocamente. Tuttavia la
Puglia “costituisce certamente una delle aree più significative per lo studio della umanità preistorica […anche perché la collocazione dei siti] nella maggioranza dei casi, si
integra e caratterizza situazioni paesaggistiche straordinarie” (Vacca, 2006).
Homo neandertaliensis è classicamente associato alla cultura musteriana in virtù di
frequenti ritrovamenti nei medesimi strati dei rispettivi reperti osteologici e manufatti. Nel Salento ben sei siti hanno restituito resti umani neandertaliani, mentre
le industrie musteriane sono documentate in una ventina di giacimenti quasi tutti
ipogei (Cremonesi et alii, 1984; Bologna et alii, 1994; GSN, 1995, cum biblio;
Ingravallo, 1997). Il Distretto Preistorico di Nardò (DPN, Fig. 1) rappresenta il
contesto territoriale con maggiore densità di rinvenimenti, in massima parte ubicati
in grotte oggi prossimi alla linea di riva e con elevazioni di una decina di metri sul
mare. Esse non occupavano però durante il glaciale posizioni costiere; infatti nel
Würm “il livello del mare si mantenne sempre al disotto di quello attuale […] la conformazione pressoché piatta dei fondali […] consente, già con un abbassamento di 40
metri del mare, l’emersione di estensioni pianeggianti fino a 8-10 km dalla costa attuale […inoltre sembra] essere testimoniato nelle stratigrafie di grotta qualche momento
di abbandono o di minore frequentazione umana. Gli strati che testimoniano sono
composti da sabbie eoliche sterili, generatisi in un clima più freddo e secco. [La piana
costiera oggi al di sotto del mare] si inaridì sempre più, le risorgenti si prosciugarono
per ricomparire affievolite più a valle: il mare doveva essere al livello minino dei [-120 m
37
a piane costiere e a sorgenti d’acqua dolce; 2) siti posti in vicinanza di depressioni
interne con specchi d’acqua temporanei o rare e discontinue risorgenze.
Considerando l’intero Salento, quindi anche l’area del Tavoliere di Lecce (c.d. Alto
Salento), altri contesti ambientali idrogeologicamente favorevoli all’insediamento
dei paleolitici sono stati, ad esempio, il cordone dunare di Oria e i canali che da esso
si diramano; e ancora, nel territorio tra Ceglie Messapica e Francavilla Fontana, il
bacino idrografico Bax-Bottari su cui campeggia il sito di Donna Lucrezia.
Fig. 1 - Siti nendertaliani del Salento leccese. Gli asterischi indicano reperti osteologici.
Fig. 1 - H. Neandertaliensis sites of the Lecce Salento. Asterisks for bone finds.
(Lambeck & Chappell, 2001)] e la costa relativamente ancora più lontana. Minori
piogge significano vegetazione più povera, suoli aridi sciolti e sabbiosi a formare grandi
dune” (GSN, 1995).
Nello studio dei siti preistorici emerge costantemente un dualismo tra due elementi
vitali per l’uomo del Paleolitico Medio cioè la materia prima litica e l’associazione
acqua-selvaggina. Ad esso sono connesse la scelta degli insediamenti e la facies dei
siti archeologici (Meignen & Texier, 1986).
Per il Musteriano del Salento leccese, si possono distinguere due principali contesti
territoriali rispetto alle disponibilità di risorse idriche: 1) rupi più o meno prossime
38
Cronologia delle variazioni climatiche
I processi alla base dei cambiamenti climatici sono le periodiche variazioni orbitali
terrestri che determinano fluttuazioni dei valori di insolazione in modo diacrono in funzione della latitudine (Hays et alii, 1976). Ma a determinare “sfasamenti
temporali” del manifestarsi e dell’esaurirsi di periodi freddi e caldi, intervengono
anche i complessi processi delle circolazioni atmosferica e oceanica. Ad esempio, è
argomento di “attualità scientifica”, il possibile raffreddamento che il continente
europeo potrebbe subire nel prossimo futuro, qualora lo scioglimento della calotta
glaciale artica, a sua volta dovuto al riscaldamento globale (CNR, 2007), causasse
la deviazione della corrente atlantica che attualmente svolge una funzione climatica
mitigatrice (Bryden et alii, 2005).
L’inizio del peggioramento climatico post-tirreniano è, ad esempio, una fase che
sembra non coincidere con il passaggio tra gli stage isotopici 5e-5d (Fig. 2), essendo
documentati “impulsi di acque fredde nel Nord Atlantico già nel tardo 5e, ma permanendo caldo l’Atlantico Centrale per gran parte del 5d […e] le condizioni interglaciali
in Europa sud-occidentale rimanendo inalterate dalla crescita dei ghiacciai sino al tardo
5d, quando le foreste scomparvero rapidamente” (Kukla et alii, 2002). Il medesimo
“sfasamento climatico” è documentato anche per il Mediterraneo centrale, ed in
particolare in Grecia nord-occidentale (Tzedakis et alii, 2002). Ma anche la fase
di massima avanzata dei ghiacciai würmiani presenta caratteri diacronici: benché
il picco del Weicheselian è posto a 18.000 anni (Siegert et alii, 2001), sui Pirenei
essa è datata anteriormente a 30.000 anni fa (Garcìa Ruiz et alii, 2003) mentre
la massima estensione del ghiacciaio di Campo Imperatore è datata a 22.600 anni
(Giraudi & Frezzotti, 1997). La distinzione tra glaciali e interglaciali deve quindi
essere “intesa in senso relativo, sia perché l’espansione dei ghiacciai d’una glaciazione
è graduale, prolungata nel tempo, come pure prolungata nel tempo è la loro fusione
(quindi non [avrebbe] molto senso stabilire il momento in cui una glaciazione ha avuto
inizio o termine), sia perché spesso queste ricostruzioni hanno valore solo per alcune
regioni e non per altre” (Castiglioni, 1979).
Essendo nel Quaternario continentale di largo uso unità stratigrafiche basate su
eventi biologici e climatici, peraltro con status non ben definito da accordi internazionali, è opportuno mantenere rigorose distinzioni nel loro impiego ed assegnare
39
ad esse precisi significati biocronologici, biostratigrafici, climatostratigrafici e cronostratigrafici, evitando assegnazioni incerte e controverse. In particolare, le unità
climatostratigrafiche riguardano eventi globali, regionali o locali ma sono “diacroniche e non danno luogo a correlazioni di significato strettamente cronostratigrafico”
(Ravazzi, 2003). Inoltre le variazioni climatiche potrebbero essere avvenute con
ritmi non compatibili con le velocità di migrazioni delle specie vegetali, e quindi la
distribuzione degli habitat poteva essere non in equilibrio, per periodi più o meno
lunghi, con le fasce climatiche (Birks, 1986). E ancora, nonostante “il grande numero di sequenze polliniche studiate in Europa, un costante handicap è stato la mancanza
di inquadramenti cronologici sufficientemente precisi, essendo l’incertezza delle datazioni dell’ordine del 10% o maggiore” (Tzedakis et alii, 2002).
Il quadro paleoambientale tardo pleistocenico si può pertanto delineare quindi solo
per linee generali, usando come riferimento le tre fasi di massima avanzata dei ghiacciai
eurasiatici (Siegert et alii, 2001) ricostruite secondo la cronologia nord-europea Weichselian (sostanzialmente analoga al Würm della sequenza Alpina, v. Fig. 2).
Durante l’ultima glaciazione, nell’Europa mediterranea l’espansione di foreste decidue
di querce, olmi, tigli e carpini si può ritenere massima al prevalere di condizioni umide;
al diminuire di umidità e temperature, si ebbe invece il prevalere di foreste aperte a pino
e abete, con Quercus ilex e Pistacia. Già durante lo stage isotopico 4 (Fig. 2), la vegetazione nord europea era dominata da specie erbacee; successivamente brevi interstadiali
(circa 50.000, 40.000 e 30.000 anni fa) furono caratterizzati da vegetazione arbustiva
con Betula nana e salici con caratteri fisiografici di tundra e compatibile con temperature invernali di -25°C, scarse precipitazioni e forte aridità (Birks, 1986). È significativo
sottolineare come i suddetti interstadi sembrano coincidere con gli eventi di imponenti
derive di iceberg nel Nord Atlantico H5, H4 e H3 (Heinrich, 1988), relativi a frammentazioni della banchisa polare avvenute durante “ondate fredde” precedenti ad alcuni
dei rapidi episodi di riscaldamento denominati eventi Dansgaard-Oeschger (Hemming
et alii, 1998; Rahmstorf, 2003). Tutto ciò suggerisce situazioni climatiche particolarmente “perturbate” al passaggio tra il Wurmiano medio e quello finale.
Artemisia e piante della famiglia delle Cheonopodiaceae attualmente tipiche di ambienti
steppici, erano molto diffuse in Europa centro-meridionale come nell’Italia peninsulare
nel würmiano superiore e in misura sempre maggiore all’approssimarsi del Massimo
Glaciale (Milliken, 1998; Petrucci et alii, 2005; Yll et alii, 2006), ad indicare condizioni aride con clima continentale.
Indicazioni paleoambientali per prossimità geografica al Salento, considerando però le
differenze di quote, distanza dalle coste e contesto geomorfologico, possono trarsi dal
record pollinico supra pleistocenico del Lago Grande di Monticchio, e specialmente per
ricorrenza e intensità di condizioni aride all’approssimarsi del picco glaciale (Allen et
alii, 2000). Tuttavia, come al passaggio dal Pleistocene Superiore all’Olocene “l’incremento di umidità avrebbe precocemente influenzato tale località montana rispetto al poco
40
Fig. 2 - Ipotesi di relazioni tra geocronologia e paleoclimatologia (schema provvisorio). (1), migliaia di
anni da oggi; (2) da Siegert et alii (2001); (3) Stadi Isotopici Marini; (4) cfr. Blanc (1938) (5) cfr. Rusticoni
et alii (1994); (6) cfr. Bologna et alii (1994).
Fig. 2 - Geochronological and palaeo-climatological relationships hypothesis (preliminary scheme).
(1) thousands years before present; (2) from Siegert et alii (2001); (3) Marine Isotopic Stages; (4) cf.
Blanc (1938) (5) cf. Rusticoni et alii (1994); (6) cf. Bologna et alii (1994).
elevato e carsico Salento” (Harding, 1999), qui l’aumento di condizioni aride tra il würmiano medio e finale (Fig. 2) potrebbe essere stato anticipato e più marcato.
Carsismo, ambienti e variazioni climatiche
Nelle ricostruzioni paleoambientali, l’inquadramento cronologico di dettagliato dei
depositi costituisce una premessa indispensabile. La scuola francese, ed in particolare il metodo Bordes di stratigrafia quantitativa, con attribuzioni tipologiche
delle industrie associate a faune ritenute climaticamente significative, ha sovente
costituito un riferimento (forse una Teoria Dominante) applicato anche a depositi
musteriani dell’Italia meridionale. Il Würm della Scuola Francese di Preistoria è
comunque un concetto distinto dal Würm inteso in senso paleoclimatologico. Così
in archeologia preistorica, “la scissione tra Würm antico [corrispondente all’insieme
Würm iniziale e Würm medio di Fig. 2] e Würm recente, attorno ai 35 anni fa, rappresenta più un cambiamento di cultura che un avvenimento geologico […per l’Europa
41
continentale] all’inizio del Würm recente e per circa 15.000 anni il clima è rigido come
alla fine del Würm antico. Faune e flore sono molto simili, eccettuati i livelli corrispondenti a tre lievi oscillazioni climatiche” (Renault-Miskovsky, 1987).
L’inquadramento cronologico dell’evoluzione delle industrie musteriane del Salento non è unanimemente definito, specie per la fase più arcaica del Paleolitico Medio
(Cremonesi et alii, 1984) e le scale temporali proposte dagli Autori (cfr. Borzatti
won Löwentern, 1966; GSN, 1995, cum biblio) presentano sostanziali differenze.
Ma anche per ciò che attiene ai depositi di spiaggia il quadro è tutt’altro che definito e sovente le attribuzioni di letteratura a “spiagge tirreniane” sono generiche e
non suffragate da dati analitici (Delle Rose & Resta, 2006; Calasso et alii, questo
volume). Per essi è emersa infatti la necessità di chiarirne la valenza paleoclimatica
e stratigrafica, questione peraltro comune anche ad altre unità tardo quaternarie di
controverso significato (Ravazzi, 2003).
Con uno stato dell’arte così criticamente delineato, definire aspetti paleoambientali
supra pleistocenici sembrerebbe un mero esercizio speculativo. In realtà le ricostruzioni geologiche costituiscono il supporto schematico necessario alle ipotesi di
lavoro che, in quanto tali, sono mezzi e non scopi della ricerca, modificabili e perfettibili ad ogni nuova scoperta o re-interpretazione di dati di letteratura.
Ciò premesso, si intende di seguito delineare due possibili scenari ambientali e climatici quasi agli estremi del lasso temporale corrispondente alla presenza di Homo
neandertaliensis nel Salento, e cioè rispettivamente la base del würmiano iniziale e
il passaggio da würmiano medio a quello finale, in due fasi cruciali delle parabola
esistenziale di tale specie.
Nel würmiano iniziale si ebbero prevalenti condizioni temperato-calde, come confermato dagli studi sulle macrofaune (Blanc, 1938; Bologna et alii, 1994). Specie
nei periodi più umidi e con temperature massime non eccessive, con stazionamenti marini non più di qualche decina di metri al di sotto dell’attuale, è possibile
ipotizzare l’esistenza di copiose sorgenti costiere d’acqua dolce antistanti l’areale
del DPN. Condizioni generali favorevoli all’insediamento stabile si dovevano avere anche in contesti interni della penisola salentina, quali luoghi in prossimità di
depressioni interne con specchi d’acqua temporanei, come nei territori di Maglie,
Melpignano e Supersano (siti 1, 2 e 3 di Fig. 1). Ma anche rare e discontinue risorgenze dell’entroterra, come quelle della depressione tettonica denominata La
Cupa, ancora attive alla fine dell’800 (Delle Rose, 2004), potevano offrire ai neandertaliani associazioni acqua-selvaggina (cfr. Bologna et alii, 1994) sufficienti a
permetterne l’insediamento.
Nel corso del würmiano medio il clima, pur con varie oscillazioni e inversioni di
tendenza, subì un progressivo deterioramento. In ogni caso, l’effetto mitigatore del
mare doveva giocare un ruolo importante se verrà confermato che“nella Grotta Romanelli è la sottile stalagmite superiore [datata 40.000 anni da Fornaca Rinaldi &
42
Radmilli, 1968] sovrapposta allo strato di terra rossa [contenente industrie musteriane], che segna la transizione tra fauna calda, che scompare per sempre, e fauna fredda”
(Blanc, 1938). Pur con le incertezze delle attribuzioni cronologiche, indizi di prevalenti condizioni di aridità emergono da vari studi condotti nel Salento e in altri
contesti pugliesi (Rusticoni et alii, 1994; Arobba et alii, 2004; Petrucci et alii,
2005). Queste tendenze climatiche generali (Fig. 2) avrebbero determinato per il Salento, poche decine di migliaia di anni dopo, un insieme di scenari completamente
diversi, il cui emblema può essere considerato l’Alca impennis, il “grande pinguino” di Grotta Romanelli (Blanc, 1938; v. Ciccarese, questo volume). La fine del
Würmiano medio fu infatti caratterizzata da condizioni freddo-aride che ridussero
le potenzialità idriche della falda carsica con conseguente scarsità di fonti d’acqua
dolce. Probabilmente nelle piane costiere di allora (oggi al disotto del livello del
mare) divennero più frequenti gli specchi d’acqua salmastra, proprio quando, circa
30.000 anni fa, il Salento costituiva uno degli ultimi “rifugi” dei neandertaliani.
Il raffreddamento del clima, una ridotta piovosità, l’inaridimento del suolo e un
abbassamento del livello marino “rapido” (in termini geologici) e “ampio” (il maggiore della glaciazione würmiana) causarono una crisi idrica (Delle Rose, in preparazione) che contribuì probabilmente a decretarne la locale scomparsa che, a livello continentale e con differenze di alcuni millenni, ricalcò l’estinzione di Homo
neandertaliensis. All’aumentare dell’aridità, le acque costiere si salsificarono e le paludi salmastre divennero verosimilmente predominati, con riduzione delle portate
ed episodi critici di assenza di sorgenti d’acqua dolce. Freddo e aridità contribuirono a rendere quantomeno poco favorevole l’insediamento stabile di collettività
umane con conseguente riduzione di densità sul territorio, mentre le aree interne
potrebbero aver offerto disponibilità idriche occasionali, in stretta dipendenza dalle
piogge, nelle aree con primo sottosuolo argilloso (ad es. il Tavoliere di Lecce) o con
sorgenti carsiche intermittenti come quella di Sant’Oronzo ad Ostuni (Delle Rose
& Parise, 2003). Si ebbero in sostanza situazioni che probabilmente causarono per
i neandertaliani una “catastrofe cognitiva”, la cui mente “non poté che funzionare in
maniera formalmente completa ma [sbagliando] progressivamente tutte le proprie scelte
adattative [e avviandosì così] verso la fine” (Mammini & Mallegni, 2006).
Considerazioni finali
Al di là dei fattori ambientali, determinante sull’estinzione dell’uomo di Neandertal
deve essere stato il carattere “catastrofico” (rispetto al Pianeta in generale), della specie a cui noi apparteniamo. Homo sapiens ebbe infatti una inarrestabile espansione
in Europa a partire da 40.000 anni fa, che rompendo “una simmetria consolidata,
alterò gli equilibri della sopravvivenza di neanderthal. La regressioni di questi ultimi in
Europa non avvenne precipitosamente (durò [almeno] 13.000 anni), ma fu inesorabile.
[…] In alcuni siti europei gli strati neandertaliani si alternano con quelli dei sapiens,
43
come se nell’area le popolazioni si fossero sostituite l’un l’altra più volte. Nella Francia
occidentale e nella Spagna settentrionale […] fra 36.000 e 32.000 anni fa, una cultura
ibrida […chiamata] chatelperroniana, forse [venne] prodotta dalla stretta interazione
fra antiche popolazioni neandertaliane e invasori sapiens” (Pievani, 2002). La “variante” mediterranea del Chatelperroniano, vale a dire l’Uluzziano, individuato e
definito proprio nel DPN (Palma di Cesnola, 1966), per la produzione della quale
venne impiegato calcare selcioso laminato (lastrina) presente nell’area, fu opera dei
neandertal, come confermato dai denti infantili rinvenuti in Grotta del Cavallo
(figg. 1 e 2), a meno che sapiens “coevi col neandertal, abbiano ucciso e portato in
grotta bambini di tribù nemiche […ipotesi questa] che non di può del tutto definire
assurda” (GSN, 1995). Altro elemento che non permise l’amalgamazione delle due
specie fu la separazione genetica tra neandertaliensis e sapiens, confermata da studi
di genetica che hanno stabilito l’assenza di tracce di un contributo neandertaliano
al Dna mitocondriale di Homo sapiens (Krings et alii, 1999; Ovchinnikov et alii,
2000). Sembra quindi che tra le due specie non vi sia stato flusso genico poiché non
potevano incrociarsi e dare vita a una prole ibrida feconda.
L’estinzione Homo neandertaliensis appare comunque ancora imperscrutabile se si
considera che “fra 50.000 e 40.000 anni fa, i neanderthal si erano ulteriormente diffusi
in Europa e i loro accampamenti erano diventati più frequenti e meglio organizzati” (Pievani, 2002), benché intorno a 30.000 anni fa l’inasprimento del clima e
le migrazioni delle prede possono aver contribuito alla crisi (Arsuaga, 1999). La
semplice competizione demografica per il reperimento delle risorse, potrebbe aver
determinato tra le due specie una disparità lieve ma comunque tale da far soccombere la perdente in alcuni millenni per effetto di fattori moltiplicatori (Zubrow,
1976). “Sacche di resistenza neandertaliana potrebbero aver resistito in alcune zone
isolate fino 27.000 anni fa, come sembra essere avvenuto nella penisola iberica, nei Balcani e anche in Italia” (Pievani, 2002). Nell’enclave neandertaliana del Salento può
quindi aver avuto un ruolo determinate una catastrofe cognitiva (sensu Mammini
& Mallegni, 2006) conseguente ai cambiamenti ambientali accaduti a partire da
circa 30.000 anni fa, che interessarono l’intero bacino del Mediterraneo, e che nel
territorio carsico della Puglia sud-orientale provocarono probabilmente una crisi
idrica (Delle Rose, in preparazione). Non si può inoltre escludere che l’Uluzziano
non rappresenti le tracce degli ultimi neandertaliani del Salento. Infatti occorre
considerare che la cultura successiva, il Protoaurignaziano, individuata in grotte del
DPN superiormente a spessi accumuli eolici sabbiosi arrossati contenenti elementi
musteroidi (interpretabili come loess), risente nei livelli più antichi “della cultura uluzziana o tardo uluzziana, abbondan[do] gli strumenti su lastrina ed anche le
schegge rifiuto di lavorazione risultano costituite in massima parte da questo materiale”
(Spennato, 1981). Più imperscrutabile sembrano le conseguenze immateriali, ad
esempio sui rituali propiziatori, che i mutamenti climatici indussero nelle popo44
lazioni di allora. Della valenza cultuale attribuita all’acqua da Homo sapiens, sono
giunte invece sino a noi varie tracce, come a Grotta Zinzulusa, già sito neandertaliano (Fig. 1). Così, durante la crisi di aridità medio-olecenica, che rappresentò per
gli uomini che popolavano il Salento un ennesimo periodo nel quale sorgenti e riserve d’acqua divennero un bene particolarmente prezioso, la persistenza di specchi
d’acqua nella Grotta dei Cervi contribuì a determinare la valenza cultuale, come
suggerito dalla rappresentazioni parietali di tale ipogeo (Delle Rose & Mattioli,
2006, cum biblio).
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46
47
UNA GROTTA PER AULA
ESPERIENZE DIDATTICHE DEL GRUPPO SPELEOLOGICO MARTINESE
Rosanna Bagnardi
Gruppo Speleologico Martinese
L’intervento del GSM sulla didattica, per Spèlaion 2007, nella sua prima parte, punta ad evidenziare quanto l’aspetto didattico sia significativo nell’attività speleologica
Al di là dell’ovvia importanza che rivestono i corsi di speleologia annualmente svolti
da tutti i gruppi speleologici, la didattica su scala più generale è una parte essenziale
nella vita di moltissimi fra essi. In questo ambito, il Gruppo Speleologico Martinese
desidera, nell’occasione di incontro offerta da Spèlaion 2007, esporre qualche tratto
generale e qualche momento più significativo delle esperienze vissute con l’obiettivo
di accostare ai temi della speleologia persone di diversa età e diverse attitudini.
Pertanto il nostro tema è Didattica e speleologia, ed il quesito, davvero fondamentale,
che si pone è questo: “…ma chi ce lo fa fare?!?!”
Da ciò scaturisce l’opportunità di sottoporre alla nostra attenzione un questionario
dal titolo Didattica, questa sconosciuta, ovvero Cos’è la didattica per il mondo della
speleologia:
• passatempo per speleo a riposo?
• occasione per finire sui giornalini scolastici?
• rassegnata accettazione di richieste di professori ambientalisti e/o dirigenti con la
fissa dei p.o.f. alternativi?
• risposta all’ardente e incontenibile desiderio di conoscenza da parte di giovani di
belle speranze?
Anche il GSM, come gli altri gruppi, nella sua storia, si è trovato ad affrontare il dilemma: “Didattica o non didattica: al di fuori dei corsi speleo, è opportuno dedicare
tempo ed energie a svelare i segreti ipogei ai profani, e specialmente al mondo della
scuola??? ” rappresentato talvolta da bambini e giovani presi (ahimè) da altre gravose, e ben più impegnative attività culturali, come scambiarsi sms, ascoltare musica,
divorare merendine di vario tipo….attività che sappiamo bene come costituiscano
la quotidiana “faticosa attività scolastica” di una classe tipo
Malgrado ciò, la Speleologia deve essere portata al di fuori, uscire dal buio ed entrare anche nella Scuola. E così: Speleologia a scuola é diventato. per il GSM. più
che uno slogan, un vero e proprio impegno Quindi, già dai primissimi anni dopo
la costituzione del Gruppo, si è percorsa la strada della didattica e dell’apertura al
territorio, riguardo alle scoperte e alle acquisizioni che via via il GSM realizzava.
Nella prima fase, l’ipotesi di lavoro è consistita soprattutto nell’accettare le richieste
di docenti e dirigenti scolastici, particolarmente sensibili a tematiche ambientali,
ad intervenire in incontri sul tema carsismo rivolti agli insegnanti, ma anche, e poi
48
49
sempre più, alle scolaresche (con un inserimento nella programmazione didattica,
talvolta, un po’estemporaneo).
A tal proposito, nel Convegno del dicembre 1998 organizzato dal GSM, si è dato
spazio ad una relazione intitolata proprio Speleologia a scuola, svolta dalla scrivente, che documentava come già in questo periodo, il GSM avesse una presenza
meno frammentaria nella scuola, con discreti risultati in termini di programmazione didattica:….mentre l’attenzione cominciava a rivolgersi a settori più ampi
(scouts, associazioni, etc.) ed anche ai cosiddetti diversamente abili, con notevole
gratificazione soprattutto nostra: infatti quest’ultimo è un percorso particolarmente
significativo, che abbiamo proseguito nel tempo.
Nel nostro fare speleologia a scuola, è possibile quindi individuare anche una seconda fase, sviluppata su due piani:
- da un lato, richieste di interventi a scuola inseriti in progetti didattici articolati e
spesso più ampi e meglio coordinati
- dall’altro, proposte alle Scuole da parte del GSM di iniziative volte alla conoscenza
del patrimonio carsico e alla sua tutela
È qui che si afferma l’idea e si inserisce l’iniziativa del GSM di realizzare un testo di
approccio alla speleologia, rivolto alla comunità scolastica, pensato soprattutto
per gli alunni del 1° biennio superiore, ma, come abbiamo in seguito verificato, utilizzato anche da classi elementari, Università popolari, insegnanti, e via dicendo. Il
suo titolo? Speleologia a scuola, naturalmente.
Di certo, però, non ci limitiamo a fare speleologia a scuola: siamo anche noi, fra i
tanti, a scegliere Una grotta per aula (da qui il titolo che ho dato a questo intervento). cioè a portare la scuola a casa della speleologia, trovandoci spesso (come tutti
gli speleo che fanno didattica sanno) alle prese con alunni spericolati, o intimoriti,
o preoccupati…e prof. ansiosi, e pignoli, e claustrofobici, in proporzioni e combinazioni varie.
Anche nei nostri Incontri ufficiali di Speleologia abbiamo voluto creare spazi per la
Scuola. Da ciò ha avuto origine il lavoro dello Spazio Scuola a Spèlaion 2005-Martina Franca (il 2° Convegno Regionale svoltosi da noi), in cui abbiamo creato laboratori, videoproiezioni, mostre di lavori realizzati dalle classi, giochi didattici
in un luogo dedicato esclusivamente alle scuole. Senza tralasciare, naturalmente,
anche la partecipazione delle classi sia ai vari momenti del Convegno che alle visite
alle mostre.
Dagli anni 2000-2001, l’impegno per l’educazione ambientale del Gruppo Speleologico Martinese
si è fattivamente concretizzato nella impegnativa scelta di gestire il Laboratorio di
Educazione Ambientale della Provincia di Taranto, in un primo momento attraverso un’ATI tra WWF Italia e GSM, e successivamente, dal 2006 ad oggi, con una
gestione condotta in prima persona dal GSM.
Ci sembra non trascurabile l’importanza di questa scelta, che apre l’azione del Grup50
po ad attività di carattere educativo ed ambientalistico in senso lato, allargando
anche le possibilità d’intervento su quelle tematiche che, da strettamente speleologiche, sono divenute estremamente cruciali per l’intera società, come la difesa delle
falde acquifere sotterranee e l’uso, a dir poco criminale, delle cavità ipogee e degli
ambienti carsici quali discariche di rifiuti, ivi compresi quelli nocivi. e pericolosi.
Si tratta di adeguarsi e preparare nuove strategie, allargare il raggio d’azione e non
accontentarsi di ripetere all’infinito schemi e percorsi fin troppo noti. Bisogna prepararsi ad affrontare, insieme a proposte d’intervento che rimangono tuttora valide,
nuovi percorsi legati a tematiche attuali e sempre più coinvolgenti e pressanti, interloquendo con la società civile e con le Istituzioni
Al contempo resta sempre importante l’obiettivo di attirare l’interesse di nuovi
speleologi: gli iscritti ai prossimi corsi speleo possono essere quei giovani curiosi e
di belle speranze, a cui ironicamente, ma non troppo, faceva riferimento l’ultimo
quesito del nostro scherzoso iniziale questionario.
51
L’ATTIVITÀ DEL SOCCORSO SPELEOLOGICO IN PUGLIA DAL 2001,
ALLA LUCE DELLE NUOVE DISPOSIZIONI DELLA LEGGE 74/2001
Franco Alò1, William Formicola2
1
Delegato Cnsas - Puglia e Basilicata,
2
Vice-delegato Cnsas - Puglia e Basilicata
L’anno 2001 ha segnato una tappa importante per il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e
Speleologico: viene infatti emanato un provvedimento normativo, la Legge n. 74 del 21
marzo 2001 (Disposizioni per favorire l’attività svolta dal Corpo Nazionale Soccorso Alpino e
Speleologico) che riordina e definisce la precedente disciplina riguardante i compiti di istituto
del C.N.S.A.S.
La nascita del Soccorso Speleologico
Facendo una breve disamina storica, il Soccorso Speleologico nacque come articolazione del
Soccorso Alpino del Club Alpino Italiano (C.A.I.)1 all’indomani dell’istituzione del Corpo
di Soccorso Alpino (C.S.A.) del C.A.I. avvenuta nel 19542, poi diventato Corpo Nazionale
Soccorso Alpino - C.N.S.A. Con la Legge 26 gennaio 1963, n. 91 (Riordinamento del Club alpino italiano) il C.A.I. assunse in forma istituzionale, come espressamente previsto all’art. 2,
i compiti riguardanti “la prevenzione degli infortuni nell’esercizio dell’alpinismo e per il soccorso
degli alpinisti ed escursionisti infortunati o pericolanti per qualsiasi causa, nonché per il recupero
delle salme dei caduti”. Nel 1965, a seguito di due incidenti mortali avvenuti in grotta3, vi
fu una svolta decisiva che portò all’istituzione del Soccorso Speleologico. Fu nel 1966 dopo
poco più di dieci anni, che avvenne formalmente l’istituzione del Soccorso Speleologico,
data la ineludibile necessità di disporre di un organismo strutturato a carattere nazionale,
che affrontasse il problema delle emergenze in ambiente ipogeo. Il Soccorso Speleologico
si configurò dapprima come organismo autonomo4, poi come Sezione dell’allora C.S.A.
1 Costituito il 23 ottobre 1863 a Torino dal Ministro Quintino Sella, all’interno dell’ordinamento italiano, la struttura centrale del Club Alpino Italiano (C.A.I.) si configura come un Ente Pubblico non Economico (L. 70/1975),
mentre tutte le sue strutture periferiche (Sezioni, raggruppamenti regionali e provinciali) sono soggetti di diritto
privato (C. Conti, Sez. contr. enti, 02/02/1988, n.1958). Quale Ente Pubblico, il C.A.I. è soggetto al controllo della
Corte dei Conti (T.A.R. Lazio, Sez. I, 02/02/1983, n.84) e può godere in giudizio della rappresentanza e del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato (D.P.R. 22 marzo 1985, n. 200).
2 L’istituzione di un organismo deputato alle gestione del Soccorso Alpino avvenne con deliberazione del Consiglio Centrale del C.A.I. del 12 dicembre 1954 con cui venne sciolta la vecchia Commissione Soccorsi Alpini allora
esistente e fu contestualmente nominata la “Direzione del Corpo di Soccorso Alpino del C.A.I.”
3 Nella Grotta Guglielmo (Monte Palanzone - Como) morì il milanese Gianni Piatti precipitando nel pozzo terminale della grotta di circa 40 m, per il quale fu necessaria una settimana per recuperarne la salma; alcuni giorni
dopo in Sardegna, nella Grotta di Su Anzu, morì il torinese Eraldo Saracco cadendo in un pozzo, ed il cui recupero
venne effettuato dai compagni di esplorazione
4 Il 5 e 6 marzo 1966 si tenne a Torino l’Assemblea Costituente del Soccorso Speleologico “Eraldo Saracco” e venne
approntato il Regolamento del Soccorso Speleologico.
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(Corpo Soccorso Alpino)5, avente come preciso scopo “il soccorso in caso di incidenti in grotta
e la prevenzione degli infortuni speleologici”.6 Per l’operatività delle strutture di soccorso, il
territorio nazionale venne suddiviso in Zone di competenza (chiamate anche Gruppi o Delegazioni) in cui, sia il Soccorso Alpino che il Soccorso Speleologico operavano con squadre
di volontari che col passare del tempo andavano via via costituendosi e sviluppandosi nelle
diverse realtà territoriali. Le Sezioni Speleologiche, pur avendo propria autonomia tecnica ed amministrativa, dipendevano dal C.S.A., alle cui Stazioni si appoggiavano in caso
di operazione; il reperimento delle attrezzature speleologiche era comunque compito delle
Sezioni Speleologiche7 del C.S.A. Con la successiva Legge 24 dicembre 1985, n. 776 (Nuove
disposizioni sul Club alpino italiano), all’art. 2, vengono confermati ed ampliati i compiti istituzionali del C.A.I. stabilendo espressamente che “Il Club alpino italiano provvede, a favore
sia dei propri soci sia di altri (…) all’organizzazione di idonee iniziative tecniche per la vigilanza
e la prevenzione degli infortuni nell’esercizio delle attività alpinistiche, escursionistiche e speleologiche, per il soccorso degli infortunati o dei pericolanti e per il recupero dei caduti”. Non più
soltanto, quindi, l’attività veniva espletata in favore dei propri soci, ma anche in favore “di
altri” ossia all’esterno dell’organizzazione. Pertanto, in linea con la legge del 1985, nacque il
Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico (C.N.S.A.S.) quale “sezione particolare a norma
dell’art. 33 dello Statuto del C.A.I.”, con la specifica finalità di contribuire alla vigilanza ed alla
prevenzione degli infortuni nell’esercizio delle attività connesse alla frequentazione dell’ambiente montano e delle attività speleologiche, al soccorso degli infortunati, dei pericolanti
e dei dispersi, al recupero dei caduti, anche in collaborazione con organizzazioni esterne.8
Attualmente, nella nuova formulazione statutaria e regolamentare del CAI, il C.N.S.A.S. è
individuato come Struttura Operativa Nazionale del CAI (Art. IV.III.3, 2)9.
Il C.N.S.A.S. nell’ambito della Protezione Civile italiana
Dopo un lunghissimo e travagliato iter parlamentare iniziato nel 1982, il 24 febbraio 1992
viene promulgata la legge n. 225, che istituisce il Servizio Nazionale della Protezione Civile,
5 Nel giugno del 1968, grazie all’aiuto del Direttore del C.S.A. Bruno Toniolo, il Soccorso Speleologico entrò a far
parte del Corpo Soccorso Alpino del C.A.I.
6 Cfr., C.A.I. Corpo Soccorso Alpino - Sezione Speleologica, Regolamento (1968), Art. 2.
7 Il rapporto funzionale e gerarchico fra Sezione Speleologica e C.S.A. era quello risultante dall’Art. 4 del Regolamento del 1968.
8 Cfr. Statuto del C.N.S.A.S., Artt. 1 e 3 (Approvato all’Assemblea del C.N.S.A.S. del 18/09/94 e modificato
dall’Assemblea del C.N.S.A.S. del 20/03/99).
9 L’Art. IV.III.3, 2 del Regolamento Generale del CAI (testo adottato dal Comitato Centrale di Indirizzo e di
Controllo in data 12 febbraio 2005, modificato in data 23 luglio 2005, 19 novembre 2005 e 29 marzo 2008) recita
testualmente: “Il corpo nazionale soccorso alpino e speleologico (C.N.S.A.S.) -operante su tutto il territorio dello Stato,
in coordinamento con il Servizio sanitario nazionale e il Servizio nazionale della protezione civile- è struttura operativa
nazionale del Club alpino italiano dotata di caratteristiche peculiari, riconosciute da specifiche leggi dello Stato, di proprio specifico ordinamento e di ampia autonomia organizzativa, funzionale e patrimoniale”.
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vale a dire un sistema organico ed integrato di funzioni e competenze, rimesso a più enti e
strutture. Per la prima volta, funzioni e compiti in materia di soccorso pubblico passavano
in parte dallo Stato alle Autonomie regionali e locali, in una visione ripartita delle attività
di protezione civile (previsione, prevenzione, soccorso, ripristino) a tutte le componenti del
“Sistema Stato”, vale a dire Governo, Regioni, Province e Comuni, individuando competenze e responsabilità. La legge 225/92 all’art. 11 individuava e stabiliva anche quali fossero le Strutture Operative Nazionali del Servizio Nazionale della Protezione Civile le quali
sono chiamate a svolgere, a richiesta del Dipartimento della Protezione Civile, le attività
previste dalla legge nonché compiti di supporto e consulenza per tutte le amministrazioni
componenti il Servizio nazionale della protezione civile. Le strutture individuate dalla L.
225/92 all’art. 11, comma 1 sono le seguenti: a) il Corpo nazionale dei vigili del fuoco quale
componente fondamentale della protezione civile; b) le Forze armate; c) le Forze di polizia;
d) il Corpo forestale dello Stato; e) i Servizi tecnici nazionali; f ) i gruppi nazionali di ricerca
scientifica di cui all’articolo 17, l’Istituto nazionale di geofisica ed altre istituzioni di ricerca; g)
la Croce Rossa Italiana; h) le strutture del Servizio sanitario nazionale; i) le organizzazioni di
volontariato; l) il Corpo nazionale soccorso alpino-CNSA (CAI). Fra queste figura appunto
anche il C.N.S.A.- C.A.I. che, sebbene strutturato in forma volontaria, va ad assumere con
questa formulazione, un rango di rilievo istituzionale con il riconoscimento del suo ruolo
tecnico specialistico, e con l’attribuzione di compiti specifici. Circa una settimana prima
dell’emanazione della Legge 225/92, veniva promulgato un provvedimento normativo riguardante il C.N.S.A.S., la Legge 18 febbraio 1992, n. 162 (Provvedimenti per i volontari del
corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico e per l’agevolazione delle relative operazioni di
soccorso) che garantiva ai volontari del C.N.S.A.S. il diritto ad astenersi dal lavoro nei giorni
di svolgimento delle operazioni di soccorso e di esercitazioni con la conservazione dell’intero
trattamento economico, e prevedendo un indennizzo per la mancata prestazione lavorativa
sia in favore del datore di lavoro (ove il volontario fosse lavoratore dipendente), ovvero per il
volontario stesso in caso quest’ultimo fosse un lavoratore autonomo. La stessa legge stabiliva, inoltre, alcune prerogative e facoltà per i veicoli impegnati nel trasporto dei soccorritori
e dei materiali di soccorso del Corpo che potevano fare uso dei dispositivi di segnalazione
acustica e visiva di emergenza10, e stabiliva la deroga ad alcuni divieti di circolazione quali
le limitazioni poste da leggi regionali e provinciali e da regolamenti locali, ovvero nelle aree
incluse in parchi nazionali, parchi regionali, riserve naturali e aree protette11. La Legge 31
10 Cfr. L. 162/92, Art. 4, comma 1. Un successivo provvedimento legislativo, la Legge 27 dicembre 1997, n. 449
all’Art. 17 al comma 28, lett. b), stabilisce la modifica al Codice della Strada (D.lvo 285/92) all’Art. 177 che così
risulta formulato: “L’uso del dispositivo acustico supplementare di allarme e, qualora i veicoli ne siano muniti,
anche del dispositivo supplementare di segnalazione visiva a luce lampeggiante blu è consentito ai conducenti degli
autoveicoli e motoveicoli adibiti a servizi di polizia o antincendio, a quelli del corpo nazionale del soccorso alpino e
speleologico del Club Alpino Italiano, nonché agli organismi equivalenti, esistenti nella regione Valle d’Aosta e nelle
province autonome di Trento e Bolzano, a quelli delle autoambulanze e veicoli assimilati adibiti al trasporto di
plasma ed organi, solo per l’espletamento di servizi urgenti di istituto”.
11 Cfr. L. 162/92, Art. 4, comma 4 “I volontari del Corpo impiegati nelle operazioni di soccorso e nelle esercitazioni
possono circolare con i veicoli e le unità cinofile occorrenti, in deroga ai divieti e alle limitazioni poste da leggi regionali e
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luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui
sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo) assegnavaa anche le frequenze radio destinate
al servizio di Protezione Civile ed in particolare anche per il Corpo nazionale del Soccorso
Alpino12. Il C.N.S.A.S. con il ruolo e le capacità tecniche che gli erano proprie, è dunque
ormai, in veste istituzionale, integrato del sistema della Protezione Civile, ruolo che troverà
sempre maggiore definizione ed inquadramento specifico con il passare degli anni. Inoltre,
con D.M. del 02 marzo 2002, viene istituito il Comitato Operativo di Protezione Civile ai fini
della direzione unitaria e del coordinamento delle attività di emergenza di tipo “C” ossia
le grandi calamità, e nella cui composizione13 fra le varie strutture nazionali, figura anche il
Corpo nazionale del soccorso alpino. Inoltre, quale Struttura Operativa Nazionale della P.C. il
C.N.S.A.S. è chiamato ad essere presente, anche a livello territoriale, come componente di
diritto nei C.C.S. (Centro Coordinamento Soccorsi) istituiti presso le Prefetture in caso di
particolari emergenze, ovvero nelle Sale Operative regionali ove istituite.
Un recente provvedimento, la Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 03
dicembre 2008, “Indirizzi operativi per la gestione delle emergenze” finalizzato alla definizione
di procedure operative al fine di ottimizzare le capacita di allertamento, di attivazione e di
intervento del Servizio Nazionale di Protezione Civile, ha di fatto riformulato la composizione del Comitato Operativo della Protezione Civile e degli interventi prioritari da disporre
a livello nazionale per supportare ed integrare adeguatamente la risposta locale di protezione
civile in caso di eventi di Tipo “C”.14 Fra le componenti individuate vi è anche il C.N.S.A.S.
provinciali e da regolamenti locali, anche nelle aree incluse in parchi nazionali, parchi regionali, riserve naturali e aree
protette”.
12 La L. 249/77 all’Art. 1 (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), comma 6, lett. a), stabilisce fra i suoi
compiti che essa “esprime parere al Ministero delle comunicazioni sullo schema del piano nazionale di ripartizione delle
frequenze da approvare con decreto del Ministro delle comunicazioni, sentiti gli organismi di cui al comma 3 dell’articolo
3 della legge 6 agosto 1990, n. 223, indicando le frequenze destinate al servizio di protezione civile, in particolare per
quanto riguarda le organizzazioni di volontariato e il Corpo nazionale del soccorso alpino (…) elabora, avvalendosi
anche degli organi del Ministero delle comunicazioni e sentite la concessionaria pubblica e le associazioni a carattere
nazionale dei titolari di emittenti o reti private nel rispetto del piano nazionale di ripartizione delle frequenze, i piani di
assegnazione delle frequenze, comprese quelle da assegnare alle strutture di protezione civile ai sensi dell’articolo 11 della
legge 24 febbraio 1992, n. 225, in particolare per quanto riguarda le organizzazioni di volontariato e il Corpo nazionale
del soccorso alpino…”.
che è chiamato ad assicurare come risposta in caso di emergenza nazionale, sia azioni immediate, che entro le prime 12 ore. Quali azioni immediate il C.N.S.A.S. deve: “a) fornire un
quadro informativo riguardante la presenza del Corpo sul territorio interessato dall’evento, con le
relative consistenze di personale, professionalità, dotazioni strumentali e logistiche con particolare
riferimento alle attività SAR, sanitarie e di assistenza alla popolazione; b) proporre l’eventuale
impiego di risorse aggiuntive, individuandone provenienza, caratteristiche, tempistiche e modalità di impiego”. Quali azioni entro 12 ore: “a) proporre l’eventuale invio di team di specialisti
per la valutazione di specifiche situazioni di rischio”.
Inoltre, il 20 Ottobre 2008 è stato stilato un Accordo di Programma Quadro15 fra la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Protezione Civile ed il C.N.S.A.S.
“per definire le modalità della risposta operativa del C.N.S.A.S. e mettere a disposizione del Dipartimento nuclei speciali di intervento quando se ne ravvisi la necessità”. Il contenuto dell’Accordo di Programma riguarda l’impiego da parte del Dipartimento, in caso di necessità, di
nuclei specializzati di intervento del C.N.S.A.S. ed in particolare: a) nel settore della cinofilia
relativamente all’attività svolta per l’impiego di cani per ricerca in superficie; b) nell’impiego
delle squadre medicalizzate composte da Tecnici del Soccorso affiancati da un medico o da un
infermiere; c) nell’impiego dei disostruttori e/o speleosub cioè squadre di tecnici che operano
in ambienti confinati. Non di minore importanza, va menzionato anche un Provvedimento
del Garante per la Protezione dei Dati Personali del 19 dicembre 200816 che ha stabilito la liceità all’acquisizione, da parte del C.N.S.A.S., dei dati sulla localizzazione di persone -anche
senza il loro consenso- nei nell’ipotesi di ricerca dispersi in zone montane ovvero di persone
che vertano in situazione di pericolo e non in grado di comunicare la propria posizione.
La definizione dei compiti di istituto del C.N.S.A.S.
È con l’emanazione della Legge 21 marzo 2001, n. 74 (Disposizioni per favorire l’attività
svolta dal Corpo nazionale soccorso Alpino e speleologico) che il C.N.S.A.S. ha visto
mutare, in senso ampliativo e con specifica definizione, il panorama delle proprie
competenze ed attività istituzionali. Con la Legge 74/2001, che di fatto stabilisce i
compiti di istituto del C.N.S.A.S., viene riconosciuto il valore di solidarietà sociale la
funzione di servizio di pubblica utilità svolta dal Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Spele-
13 Il Decreto del Ministro dell’Interno delegato per il coordinamento della Protezione Civile del 02 Marzo 2002,
all’Art. 2, comma 1, stabiliva che il comitato era così composto: “a) da tre rappresentanti del Dipartimento stesso; b) da
un rappresentante del Corpo nazionale dei vigili del fuoco; c) da un rappresentante delle Forze armate; d) da un rappresentante delle Forze di polizia; e) da un rappresentante del Corpo forestale dello Stato; f ) da un rappresentante della Croce
rossa italiana; g) da un rappresentante del Ministero della salute; h)da un rappresentante del Comitato nazionale di volontariato di protezione civile, nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri; i) da un rappresentante del
Corpo nazionale del soccorso alpino; j) da un rappresentante dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi
tecnici; k) da un rappresentante dei gruppi nazionali di ricerca scientifica di cui all’art. 17 della legge n. 225/1992, designato dal Presidente della Commissione nazionale grandi rischi; l) da un rappresentante del CNR; m) da un rappresentante
dell’ENEA; n) da due rappresentanti designati dalla Conferenza unificata Stato-regioni-città ed autonomie locali”.
14 La Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 03 dicembre 2008, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale
n. 36 del 13 febbraio 2009, prevede quali componenti delle strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile che assicurano l’attuazione degli interventi stabiliti, i rappresentanti di: a) Corpo nazionale dei vigili del
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fuoco; b) Forze armate; c) Forze di Polizia; d) Corpo Forestale dello Stato; e) Comando generale delle Capitanerie di
porto - Guardia costiera; f ) Croce Rossa Italiana; g) Organizzazioni nazionali di volontariato; h) Corpo Nazionale del
Soccorso Alpino e Speleologico; i) Regioni e province autonome; l) Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali;
m) ENAC; n) ENAV; o) Gestori servizi elettricità - Terna; p) ANAS / Autostrade per l’Italia / AISCAT; q) Ferrovie dello
Stato - RFI / Trenitalia; r) Società di telefonia fissa e mobile - Telecom Italia, Vodafone, Wind, H3G; s) RAI; t) Poste
Italiane; u) ENI.
15 Tale Accordo di Programma Quadro è stato approvato in via definitiva con Decreto del Capo del Dipartimento
della Protezione Civile in data 10/02/2009 (Rep. 272).
16 Il Provvedimento del Garante per la Protezione dei Dati Personali “Persone disperse in montagna: si può localizzare il cellulare per rintracciarle” è stato pubblicato sullo speciale Bollettino dell’Autorità n. 100/dicembre 2008.
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ologico (CNSAS) del Club alpino italiano (CAI)17; in base a tale qualificazione, i volontari
del C.N.S.A.S. nell’esercizio delle loro specifiche funzioni sono incaricati di pubblico servizio
a tutti gli effetti delle disposizioni di legge in materia. Con la L. 74/2001 vengono attribuite
le specifiche competenze tecniche ed istituzionali del C.N.S.A.S., ossia il soccorso degli infortunati, dei pericolanti, il recupero dei caduti nel territorio montano, nell’ambiente ipogeo e
nelle zone impervie del territorio nazionale18.
Il C.N.S.A.S. -sempre ai sensi delle L. 74/2001- contribuisce anche alla prevenzione ed alla
vigilanza degli infortuni nell’esercizio delle attività alpinistiche, sci-alpinistiche, escursionistiche
e degli sport di montagna, delle attività speleologiche19.
Tali specificazioni afferiscono alle attività istituzionali proprie dell’organizzazione, e costituiscono le specifiche del soccorso tecnico urgente tipicamente espletato dal C.N.S.A.S. Un
aspetto di non poca rilevanza è la funzione di coordinamento delle operazioni che viene attribuita al C.N.S.A.S. nel caso di intervento di squadre appartenenti a diverse organizzazioni.
Tale ruolo viene ribadito e meglio specificato da una successiva disposizione contenuta nella
L. 289/2002 che attribuisce al C.N.S.A.S. il “coordinamento dei soccorsi”, non solo nel caso
della presenza di più “organizzazioni” ma anche di “altri Enti” 20. La legge 74/2001, inoltre
nel ribadire il rango di Struttura Operativa Nazionale del C.N.S.A.S., stabilisce anche che
questi concorre al soccorso, in caso di eventi calamitosi, in cooperazione con le strutture di
protezione civile, nell’ambito delle proprie competenze tecniche ed istituzionali21.
A tal proposito, una recente disposizione normativa, la L. 13/2009, in caso di impiego
del C.N.S.A.S. in attività di protezione civile estende sia alla Croce Rossa Italiana che al
C.N.S.A.S. i benefici di cui al DPR 194/200122.
17 Cfr. L. 74/2001, Art. 1, comma 1: “La Repubblica riconosce il valore di solidarietà sociale e la funzione di servizio di
pubblica utilità del Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico (CNSAS) del Club alpino italiano (CAI)”.
18 Cfr. L. 74/2001, Art. 1, comma 2: “Il CNSAS provvede in particolare, nell’ambito delle competenze attribuite al CAI
dalla legge 26 gennaio 1963, n. 91, e successive modificazioni, al soccorso degli infortunati, dei pericolanti e al recupero dei
caduti nel territorio montano, nell’ambiente ipogeo e nelle zone impervie del territorio nazionale”.
19 Cfr. L. 74/2001, Art. 1, comma 3: “Il CNSAS contribuisce, altresì, alla prevenzione ed alla vigilanza degli infortuni
nell’esercizio delle attività alpinistiche, sci-alpinistiche, escursionistiche e degli sport di montagna, delle attività speleologiche e di ogni altra attività connessa alla frequentazione a scopo turistico, sportivo, ricreativo e culturale in ambiente
montano ed ipogeo”.
20 La Legge 289/02 all’Art. 80, comma 39 recita testualmente: “Il soccorso in montagna, in grotta, in ambienti ostili
ed impervi, è di norma, attribuito al C.N.S.A.S. del C.A.I. ed al Bergrettungs - Dienst (BRD) dell’Alpenverein Sudtirol
(AVS). Al C.N.S.A.S. ed al BRD spetta il coordinamento dei soccorsi in caso di presenza di altri Enti o organizzazioni,
con esclusione delle grandi emergenze o calamità”.
21 Cfr. L. 74/2001, Art. 1, comma 4: “Il CNSAS, quale struttura nazionale operativa del Servizio nazionale della
protezione civile di cui alla legge 24 febbraio 1992, n. 225, e successive modificazioni, concorre al soccorso in caso di
eventi calamitosi in cooperazione con le strutture di protezione civile nell’ambito delle proprie competenze tecniche ed
istituzionali”.
22 La Legge 13/2009 (conversione in legge del D.L. 30/12/08 n. 208), all’Art. 8 (Disposizioni in materia di protezione civile) comma 5-ter recita testualmente “Gli articoli 9 e 10 del regolamento di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 8 febbraio 2001, n. 194, si applicano anche alla componente volontaristica dell’Associazione italiana della
Croce Rossa ed ai volontari del Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico impiegati in attività di protezione civile,
58
Importante definizione contenuta nella L. 74/2001 è anche la regolazione dei rapporti con
il Servizio Sanitario Nazionale (Art. 2), chiamato ad operare in stretto coordinamento con il
C.N.S.A.S. Tale previsione normativa costituisce un aspetto importante e necessario per il
corretto ed efficace svolgimento delle attività previste dal precedente Art. 1; in particolare la
norma dispone, nello specifico, che le Regioni individuino nelle Strutture Operative Regionali e provinciali del C.N.S.A.S. (i Servizi Regionali e Provinciali) i soggetti di riferimento
esclusivo23 per l’attuazione del soccorso sanitario nel territorio montano ed in ambiente ipogeo, riconoscendo una specificità non solo tecnica, ma soprattutto tecnico-sanitaria, essendo
il C.N.S.A.S. l’unico Corpo in grado di fornire un soccorso sanitario medicalizzato, le cui
figure professionali specialistiche sanitarie (medico per emergenza ad alto rischio nel territorio montano e medico per emergenza ad alto rischio nell’ambiente ipogeo) sono individuate e
riconosciute dallo Stato nel prosieguo dell’articolato normativo. Ai fini dell’attuazione di
tali disposizioni, la legge stabilisce anche che le Regioni, nell’ambito dell’organizzazione dei
servizi di urgenza ed emergenza sanitaria, stipulino apposite convenzioni con le strutture
operative regionali e provinciali del C.N.S.A.S. proprio in ragione del fatto che il C.N.S.A.S.
rappresente l’unica struttura in grado di fornire un soccorso di tipo tecnico e medicalizzato,
in montagna, nelle zone impervie del territorio nazionale, nonché in ambienti ostili e confinati. La presenza di convenzioni stipulate fra il C.N.S.A.S. e le Regioni per il servizio di
emergenza 118 (in attuazione dei principi di cui al D.P.R. 27 marzo 1992) ad oggi, non copre
però tutto il territorio nazionale, essendoci diverse Regioni (in particolare quelle del centrosud) che non hanno ancora ottemperato a tale disposizione di legge, fra cui anche la Puglia.
La legge 74/2001 ha anche riconosciuto il carattere di attività specialistica svolta dal
C.N.S.A.S. attribuendo compiti e funzioni relativi alla formazione, certificazione ed alla
verifica periodica dell’operatività dei propri tecnici e delle unità cinofile del C.N.S.A.S.24,
tramite l’attività delle Scuole Nazionali anch’esse disciplinate dalla L. 74/2001, che provvedono ad attestare e certificare le qualifiche conseguite e mantenute dai volontari, su apposito
libretto personale. La Legge inoltre conferisce al C.N.S.A.S. -per quanto attiene le proprie
specifiche competenze- la potestà di operare tramite specifiche convenzioni la formazione
sanitaria del personale del S.S.N. ed il relativo aggiornamento; tale facoltà riconosciuta al
C.N.S.A.S., è estesa -sempre dalla stessa legge- anche nei confronti di altre organizzazioni
operanti nel settore del soccorso alpino e speleologico.
Di fondamentale importanza, inoltre, è il riconoscimento della certificazione -di
concerto con l’ENAC (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile)- delle figure tecniche
con oneri a carico dei rispettivi bilanci, ovvero con risorse provenienti da finanziamenti esterni”.
23 Cfr. L. 74/2001, Art. 2, comma 2: “Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, in attuazione dei princìpi stabiliti dall’atto di indirizzo e coordinamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1992,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 76 del 31 marzo 1992, e dalla presente legge, individuano nelle strutture operative
regionali e provinciali del CNSAS i soggetti di riferimento esclusivo per l’attuazione del soccorso sanitario nel territorio
montano ed in ambiente ipogeo”.
24 Cfr. L. 74/2001, Art. 4, comma 1: “La formazione, la certificazione e la verifica periodica dell’operatività dei tecnici
e delle unità cinofile del CNSAS sono disciplinate dalle scuole nazionali di cui all’articolo 5”.
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per l’elisoccorso in montagna ed il riconoscimento della figura specialistica del Tecnico di Elisoccorso. A tal proposito va, per inciso, ricordato che recenti disposizioni
ENAC sulle operazioni HEMS (Circolare OPV-18A)25 nella parte dedicata al Rapporto tra operazioni HEMS e ricerca e soccorso (SAR), fanno espresso riferimento,
per le operazioni in ambiente montano e impervio che prevedano sbarco e imbarco
di personale o infortunati, alle disposizioni di legge di cui alla L. 74/2001.
Importante e decisivo passo in avanti è stata l’individuazione ed il riconoscimento delle
Scuole Nazionali del C.N.S.A.S. (Art. 5, L. 74/2001) e delle Figure Professionali Specialistiche
(Art. 6, L. 74/2001). Con tali disposizioni, il C.N.S.A.S. e le sue figure specialistiche riconosciute (e le relative certificazioni), hanno valore legale erga omnes e non solo inter partes, ossia
non si qualificano più come atto interno al C.N.S.A.S. di mera derivazione regolamentare
o statutaria, bensì ricoprono carattere pubblicistico ed hanno pertanto valenza pubblica in
quanto regolate da una specifica disposizione di legge. La legge 74/2001 inoltre, riconosce
piena autonomia organizzativa e funzionale26 stabilendo che le attività delle scuole nazionali sono regolate da specifici regolamenti operativi. La legge individua all’Art. 5 ben otto
differenti scuole: a) scuola nazionale tecnici di soccorso alpino; b) scuola nazionale tecnici di
soccorso speleologico; c) scuola nazionale medici per emergenza ad alto rischio nel territorio montano; d) scuola nazionale medici per emergenza ad alto rischio nell’ambiente ipogeo; e) scuola
nazionale unità cinofile da valanga; f ) scuola nazionale unità cinofile da ricerca in superficie;
g) scuola nazionale tecnici di soccorso in forra; h) scuola nazionale direttori delle operazioni di
soccorso. Le scuole, oltre che la potestà certificativa, in forza del combinato disposto di cui
all’art. 4, possono operare la formazione anche al di fuori del C.N.S.A.S.. Al successivo Art.
5 sono invece individuate e riconosciute le Figure Professionali Specialistiche, in numero di
nove: a) tecnico di soccorso alpino; b) tecnico di elisoccorso; c) unità cinofila da valanga; d) unità
cinofila da ricerca in superficie; e) medico per emergenza ad alto rischio nel territorio montano;
f ) medico per emergenza ad alto rischio nell’ambiente ipogeo; g) tecnico di soccorso speleologico;
h) tecnico di soccorso in forra; i) direttore delle operazioni di soccorso. Di queste va rilevata in
particolare la figura del Tecnico di Elisoccorso, la cui formazione afferisce la Scuola Nazionale
Tecnici di Soccorso Alpino e la certificazione, quale apposita figura professionale necessaria
per l’elisoccorso in montagna, viene predisposta di concerto con l’ENAC27. Di recente istituzione nel C.N.S.A.S. ma non ancora recepita con provvedimento di legge, è l’istituzione
25 La Circolare ENAC OPV-18° del 09/10/2008 (Serie Operazioni Volo), nella parte Rapporto tra operazioni
HEMS e ricerca e soccorso (SAR) stabilisce che “Per le operazioni in ambiente montano e impervio che prevedano
sbarco e imbarco di personale o infortunati, devono essere considerate le altre disposizioni di legge applicabili in merito
alle attività di soccorso in generale (ad esempio la legge 21 marzo 2001, n. 74, Disposizioni per favorire l’attività svolta dal
Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico)”.
26 Già in altri provvedimenti normativi al CNSAS sono state riconosciute forme di accentuata autonomia organizzativa e funzionale: “In sede di revisione statutaria ai sensi dell’articolo 13, sono riconosciute, nell’ambito dell’organizzazione del Club alpino italiano (CAI), forme accentuate di autonomia organizzativa e funzionale al Corpo nazionale
del soccorso alpino” (D.lvo 29 ottobre 1999, n. 419, Art. 6, comma 6).
27 Cfr. L. 74/2001, Art. 4, comma 5: “Il CNSAS propone all’Ente nazionale per l’aviazione civile (ENAC) la predispo-
sizione delle certificazioni per apposite figure professionali necessarie per l’elisoccorso in montagna”.
60
della Scuola Nazionale Tecnici di Soccorso Speleosubacqueo, che forma specialisti in grado di
operare a profondità superiori ai 40 m (altofondalisti) in grado di fornire anche in questo
caso il soccorso medicalizzato in post-sifone ed il relativo trasporto del ferito in superficie.
Il C.N.S.A.S. opera inoltre, tramite specifiche convenzioni SAR con i Corpi Militari dello
Stato28 in base alle quali viene disciplinato il concorso di squadre C.N.S.A.S. in supporto ad
eventuali esigenze del Servizio S.A.R. (Search and Rescue) per incidenti aeronautici su terra,
ed impiego di aeromobili del comparto Difesa (Esercito, Marina, Aeronautica) in supporto
ad eventuali esigenze C.N.S.A.S. in caso di incidenti alpinistici, speleologici e speleosubacquei. Il C.N.S.A.S. opera inoltre, in forza di specifiche convenzioni29 anche con la Guardia
di Finanza ed il Corpo Forestale dello Stato.
L’istituzione del Servizio Regionale Pugliese del C.N.S.A.S.
Sulla scorta di quanto previsto dal nuovo statuto del C.N.S.A.S. e per poter consentire di
attuare le previsioni di cui alla L. 74/2001 per gli aspetti legati all’emergenza sanitaria, è
stato istituito anche in Puglia nel 2004 il Servizio Regionale Pugliese del C.N.S.A.S. (ossia la
Struttura Operativa Regionale), affinché potesse essere consentito al C.N.S.A.S. di operare
in linea con la nuove disposizioni. Con la creazione del Servizio Regionale Pugliese, vengono
ampliati quelli che erano stati i compiti di istituto della VII° Zona di Soccorso Speleologico
del C.N.S.A.S.30 che si limitavano, per competenza specifica, ai soli interventi di soccorso
speleologico. Pertanto, attualmente, accanto a quelle che erano le sole competenze sugli
interventi di soccorso di natura meramente speleologica, oggi al Servizio Regionale Pugliese
competono ed afferiscono tutti i compiti che la Legge 74/2001 e le normative di settore,
attribuiscono al C.N.S.A.S.
Il Servizio Regionale Pugliese del C.N.S.A.S., così come previsto dallo Statuto nazionale, è
dotato di autonomia giuridica e patrimoniale. L’attuale assetto del Servizio Regionale Pugliese vede l’articolazione in Stazioni di Soccorso Speleologiche ed Alpine (speleo-alpinistiche)31,
che costituiscono le unità operative territoriali dislocate geograficamente su: a) Gargano; b)
28 Si tratta nello specifico di un Accordo tecnico SAR tra lo Stato Maggiore Difesa ed il CNSAS, sottoscritto
a Roma il 15 ottobre 2009 che sostituisce quello del 20 dicembre 1970 C.A.I. e Soccorso Aereo dell’Aeronautica
Militare.
29 Si tratta della Dichiarazione di Principio fra il C.N.S.A.S. - C.A.I. ed il S.A.G.F. della Guardia di Finanza
(Roma, 12 giugno 1996), e della Convenzione tra il Ministero per le Politiche Agricole - Corpo Forestale dello Stato
ed il Club Alpino Italiano (Roma, 25 settembre 1997).
30 Nell’ambito del Soccorso Speleologico il territorio nazionale è suddiviso in 16 Zone di Soccorso Speleologico
che rispondo a criteri di territorialità ed ottimizzazione degli interventi, come di seguito indicate: 1° Zona (Piemonte - Valle d’Aosta); 2° Zona (Friuli Venezia Giulia); 3° Zona (Toscana); 4° Zona (Umbria); 5° Zona (Lazio); 6°
Zona (Veneto - Trentino Alto Adige); 7° Zona (Puglia - Basilicata); 8° Zona (Sardegna); 9° Zona (Lombardia); 10°
Zona (Sicilia); 11° Zona (Marche); 12° Zona (Emilia Romagna); 13° Zona (Liguria); 14° Zona (Campania - Molise);
15° Zona (Abruzzo); 16° Zona (Calabria); Cfr. Art. 15 del Regolamento del Soccorso Speleologico del Corpo Nazionale
Soccorso Alpino e Speleologico (Approvato dall’Assemblea Nazionale del 21 novembre 2009).
31 Cfr. Art. 15 dello Statuto del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico (Approvato dall’Assemblea Nazionale
del 21 novembre 2009); Cfr. Art. 18 del Regolamento Generale del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico
(Approvato dall’Assemblea Nazionale del 21 novembre 2009).
61
Murgia; c) Salento. Resta ferma la competenza per gli interventi di carattere prettamente
speleologico anche sulla Regione Basilicata ancora compresa nella VII° Zona di Soccorso
Speleologico del C.N.S.A.S. Il Servizio Regionale Pugliese, quale articolazione territoriale
del C.N.S.A.S.-C.A.I. è anche componente di diritto del Comitato Regionale di Protezione
Civile ai sensi del L.R. 39/95, Art. 3, lett. m).
Sempre riguardo la normativa regionale, fino a qualche tempo fa, il C.N.S.A.S. trovava un
riferimento indiretto nella L.R. n. 32 del 03 ottobre 1986 “Tutela e valorizzazione del patrimonio speleologico. Norme per lo sviluppo della speleologia” che riconosceva alle squadre di
soccorso speleologico contributi finanziari per la propria attività32. È stata di recente promulgata dal Consiglio della Regione Puglia una nuova legge (L.R. 33/2009) che, nell’abrogare
la precedente normativa e nel riformularne l’impianto, inserisce nell’articolato -per la prima
volta- specifici riferimenti al C.N.S.A.S. In particolare, la nuova Legge Regionale33 riconosce
il C.N.S.A.S.:
1) quale soggetto di riferimento per la prevenzione e la vigilanza degli infortuni nell’esercizio
delle attività connesse alla frequentazione a scopo turistico, sportivo, scientifico, ricreativo e
culturale degli ambienti ipogei34;
2) inserisce il C.N.S.A.S. fra le Istituzioni legittimate alla redazione e presentazione di specifici progetti per il raggiungimento delle finalità e gli scopi della legge35;
3) attribuisce al C.N.S.A.S. (unitamente ad altri soggetti) il ruolo di collaboratore alle funzioni di controllo e sorveglianza sulle violazioni alla legge36.
Secondo tale formulazione, rispetto alla precedente normativa, il C.N.S.A.S. trova finalmente un formale riconoscimento anche da parte dell’Istituzione Regionale riguardo i propri
compiti istituzionali, anche se di per sé già spettanti a questi in quanto attribuitigli dalle leggi statali; in ogni caso, anche se l’enunciazione della norma possiede natura prevalentemente
32 La Legge Regionale n. 33 del 04 dicembre 2009 “Tutela e valorizzazione del patrimonio geologico e speleologico”
approvata dal Consiglio della Regione Puglia, è stata pubblicata sul B.U.R.P. n. 196 del 07 dicembre 2009.
33 Cfr. L.R. 33/2009, Art. 1, comma 3, lett. d): “la prevenzione e la vigilanza degli infortuni nell’esercizio delle attività
connesse alla frequentazione a scopo turistico, sportivo, scientifico, ricreativo e culturale degli ambienti ipogei, riconoscendo quale soggetto di riferimento per tali attività il Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico (CNSAS)”.
34 Cfr. L.R. 33/2009, Art. 7, comma 1: “La Regione promuove specifici progetti, redatti nel rispetto e per il perseguimento delle finalità della presente legge, a cura di comuni singoli e associati, province, comunità montane ed enti parco
nei quali ricadono i siti compresi nei catasti di cui agli articoli 3 e 4, di università, enti di ricerca, CNSAS (articolo 11
legge 24 febbraio 1992, n. 225 - Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile)…”
35 Cfr. L.R. 33/2009, Art. 9, comma 2: “Le funzioni di controllo e sorveglianza sulle violazioni alla presente legge sono
demandate al Corpo forestale dello Stato. Attività di controllo può altresì essere svolta dalle polizie provinciali e municipali, dalle guardie di caccia e pesca e dalle guardie ecologiche volontarie (legge regionale 28 luglio 2003, n. 10 - Istituzione
del servizio volontario di vigilanza ecologica), avvalendosi, ove necessario, della collaborazione e supporto della FSP, di
gruppi speleologici riconosciuti nell’ambito speleologico nazionale (Società speleologica Italiana e club alpino italiano) e
del CNSAS”.
36 La presenza della Protezione Civile e delle sue componenti alla Manifestazione della Festa della Repubblica del
2 giugno, fu voluta nel 2003 dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi con la motivazione che “la Protezione Civile assolve ad una delle funzioni essenziali dello Stato”, premiandola inoltre con medaglia d’oro per l’opera
condotta al servizio dei cittadini.
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dichiarativa e non costitutiva, costituisce comunque un risultato molto importante per il
C.N.S.A.S. pugliese. Fra i riconoscimenti istituzionali ottenuti a livello locale, va ricordato
che il Servizio Regionale Pugliese del C.N.S.A.S. dal giugno del 2005 è chiamato a partecipare, quale Struttura della Protezione Civile alla sfilata dei Corpi dello Stato, in occasione della
Festa della Repubblica, che viene organizzata annualmente, dal Comando della III° Regione
Aerea dell’Aeronautica Militare, che si svolge ogni anno a Bari.
Sempre dal 2004 il Servizio Regionale Pugliese ha provveduto anche all’istituzione della
Scuola Regionale Tecnici di Soccorso Speleologico (cui è demandata la formazione te Tecnici
di Soccorso Speleologico), nonché nel 2007 all’istituzione di una Squadra Alpina e di Ricerca di Superficie per le persone disperse, che ha compiuto numerose attività sul territorio in
concorso con altri Corpi dello Stato. Nel corso di questi anni il Servizio Regionale Pugliese
ha svolto numerose attività di ricerca, soccorso e supporto in protezione civile fra cui alcune
meritevoli di segnalazione. In particolare, per la Ricerca Dispersi: 1) a Castelnuovo della
Daunia (FG) nel luglio del 2004 in collaborazione con i Carabinieri; 2) a Lucera nel maggio
del 2005 in collaborazione con i Carabinieri; 3) ad Andria e Barletta nel settembre del 2005
con l’impiego dell’Unità Cinofila Ricerca di Superficie del C.N.S.A.S. e Speleosub, operazione svolta in collaborazione con Polizia Municipale, Polizia di Stato, Vigili del Fuoco; 4)
a Troia e Faeto (FG) nel dicembre 2005 per la scomparsa di due ingegneri olandesi Henning
Nielsen e Peer Osterdal Gimonsen travolti con la loro auto dalla piena di un fiume, operazione
condotta con i Carabinieri e Vigili del Fuoco, e con impiego di speleosub del C.N.S.A.S.;
5) a Gravina in Puglia per la scomparsa dei fratellini Pappalardi nel giugno del 2006, ritrovati poi due anni dopo in una cisterna di una abitazione privata, e per la cui operazione il
C.N.S.A.S. ha mobilitato tutte le proprie energie e professionalità in collaborazione con
Prefettura, Questura, Polizia di Stato, Polizia Municipale, Corpo Forestale dello Stato, Carabinieri, Vigili del Fuoco, Croce Rossa, ecc.; 6) a Trani nel giugno del 2009 in collaborazione
con la Polizia di Stato; 7) ed inoltre, sempre nel 2009, a Mottola (TA) e Monte Sant’Angelo
(FG). Per Recupero Caduti (salme): 1) a Castellana Grotte (BA) nel giugno del 2005, per
un turista deceduto all’interno delle grotte di Castellana a circa 1 Km dall’uscita; 2) a San
Marco in Lamis (FG) nel settembre del 2009 per recupero salma di un allevatore travolto
dalla piena di un torrente a causa del maltempo. Per Attività di Polizia Giudiziaria: 1) a San
Marco in Lamis (FG) nell’agosto del 2009 per recupero resti umani dalla Grava di Zazzano.
Per Soccorso in Zone Impervie: 1) a Matera nell’ottobre del 2008, in collaborazione con i Vigili del Fuoco per recupero ferito caduto con l’auto nella Gravina di Matera. Per Attività di
Protezione Civile: 1) a Bari - Cassano delle Murge nell’ottobre 2005 a seguito di emergenza
idrogeologica ed alluvione, con presenza del C.N.S.A.S. nel C.C.S. della Prefettura di Bari
e messa a disposizione degli speleosub; 2) a Grumo Appula (BA) nel gennaio - febbraio del
2006 per apertura di una voragine con cavità, con costituzione e partecipazione al C.O.C.;
3) a Gallipoli (LE) nell’aprile del 2007, per sprofondamento volta di cavità sottostante abitazioni ed apertura voragine, con partecipazione all’unità di crisi in Prefettura di Lecce; 4)
ad Altamura (BA) nel maggio del 2007 (evento similare ripetutosi nel dicembre 2008), per
sprofondamento volta di cavità sottostante abitazioni ed apertura voragine, con costituzio63
ne e partecipazione al C.O.C.; 5) a San Vito dei Normanni (BR) nel dicembre del 2008
per apertura di una voragine con cavità. Per Soccorso Speleologico; 1) a Castellana Grotte
(BA) nel febbraio del 2008 per soccorso ad una turista colta da malore durante il percorso;
2) in supporto alla 14° Zona (Campania) nel maggio del 2009 per incidente speleologico
nella Grava di Fra Gentile (SA); 3) sempre in supporto alla 14° Zona (Campania) nel luglio
del 2009 per incidente speleologico nella Grava di Vallicelli (SA). Inoltre va ricordata una
importante e delicata operazione di bonifica da ordigni bellici della Grave di Pasciuddo nel
territorio di Cassano Murge (BA), in collaborazione con gli artificieri del Genio Militare,
nell’ottobre del 2005.
Fra le attività formative di particolare rilievo, va ricordata la partecipazione alla Esercitazione
Internazionale S.A.R. “SQUALO 2004” tenutasi in Salento (Base militare di Galatina - LE),
e l’Esercitazione Internazionale S.A.R. “SQUALO 2007” tenutasi in Molise e Capitanata
(Base militare di Amendola - FG), entrambe svoltesi in forza dei protocolli S.A.R. allora
in essere tra C.A.I. ed Aeronautica Militare. La Puglia ha inoltre ospitato una importante
Esercitazione Nazionale Speleosubacquea del C.N.S.A.S. nel settembre del 2007 presso la
Grotta del Ciolo (Gagliano del Capo - LE).
Attualmente nel Servizio Regionale Pugliese del C.N.S.A.S. sono presenti le seguenti figure
professionali e specializzazioni: Operatori di Soccorso Speleologico (OSS); Tecnici di Soccorso Speleologico (TSS); Tecnici di Soccorso Speleologico - Tecnici di Recupero (TSS-TR);
Tecnici di Speleosub (TSub); Operatori di Soccorso Alpino (OSA); Tecnici di Soccorso
Alpino (TESA); Unità Cinofila da Ricerca in Superficie (UCRS); Medico per emergenza ad alto rischio nel territorio montano (con relativi infermieri); Medico per emergenza
ad alto rischio nell’ambiente ipogeo (con relativi infermieri); Direttore delle Operazioni di
Soccorso (DOS); Coordinatore delle Operazioni di Ricerca (COR). Vi sono inoltre figure
specialistiche della Commissione Disostruzione, della Commissione Medica, Commissione
Comunicazione e Documentazione, Commissione Speleosubacquea, Commissione Tecnica, Commissione di Ricerca in Superficie. Vi è inoltre un Istruttore Regionale Tecnici di
Soccorso Speleologico che cura con altri collaboratori la relativa Scuola Regionale. A livello
formativo, nei diversi ambiti, il Servizio Regionale Pugliese del C.N.S.A.S. promuove e partecipa a circa 40 eventi formativi l’anno.
foto 1. Calata alpina della barella.
foto 2. Commissione medica
foto 3. Commisione speleosub
foto 4. Recupero barella
foto 5. Ricerca dispersi zona impervia.
foto 6. Attività S.A.R.
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IL CATASTO DELLE GROTTE DELLA PUGLIA
Giuseppe Savino, Enzo Pascali, Giovanni Ragone, Mimmo Lorusso, Totò
Inguscio
FSP - Federazione Speleologica Pugliese
Scheda catastale: pagina della planimetria
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Il Progetto “Catasto”, come comunemente detto, è stato un lavoro sviluppato e
concluso qualche mese fa, ma, va detto, aveva origini e radici piuttosto lontane.
Se si vogliono considerare gli anni ottanta, appunto, un periodo piuttosto lontano
e forse sì, vista la relativamente giovane vita della Federazione Speleologica Pugliese.
È stato infatti in quegli anni che è stato avviato un primo progetto pilota, quello
relativo alla realizzazione di un prototipo catastale riguardante solo l’area murgiana
della Puglia.
Successivamente, negli ultimi anni novanta, una prima tranche del progetto regionale ha impegnato i gruppi pugliesi, coordinati dalla Federazione e, questa volta,
con competenze su tutta la regione pugliese.
Così nacque un primo, ufficiale catasto della Regione Puglia.
Un Catasto della Regione Puglia non in antitesi con quello della Federazione e
considerato il primo “autorevole” e “fruibile” strumento nato da una collaborazione
fra “associazione” e “istituzione”. Ma ancora da perfezionare.
La guida e il riferimento per la costruzione di un nuovo progetto era sempre quella:
la Legge Regionale n. 32/86, e l’obiettivo soprattutto quello di dare corpo, e senso,
a quell’articolo 3 che prevedeva, appunto, la istituzione di un catasto.
Insomma, il Catasto delle Grotte della Puglia doveva essere lo STRUMENTO,
non una semplice raccolta di dati, spesso eterogenea, ma un database completo e
versatile, chiaro ed esaustivo.
La Legge, i desiderata riportati dal sig. Assessore all’Ecologia, gli obiettivi comuni,
hanno alla fine partorito la terza e, sinora, ultima versione del “Progetto Catasto”.
Il Progetto, sviluppato a più mani con i tecnici dell’Assessorato all’Ecologia, della
Università e del Politecnico ha visto la Federazione Speleologica Pugliese coordinare
16 gruppi (su 17 federati), e si è concretizzato in tre distinte fasi.
Il primo step ha riguardato la rivisitazione e armonica riorganizzazione della Scheda del Catasto delle Grotte della Puglia che, alla fine, ha rappresentato un output
significativo e di livello del Progetto medesimo.
Quindi è stato dedicato molto tempo alla attività di campagna, anche questa ben
strutturata e organica in quanto a metodologia di ricerca e raccolta dei dati, grazie
pure alla realizzazione di un corso e alla pubblicazione di un vademecum a uso degli
operatori.
E poi l’elaborazione che, a conclusione, ha condotto alla realizzazione del database
ultimo, e ora fruibile sul website dell’Assessorato alla Ecologia della Regione Puglia.
67
Al fine della costruzione e della realizzazione di questo Progetto, il ruolo della
Federazione e dalla Speleologia in quanto “disciplina”, è stato determinante.
E determinante lo sarà per il futuro, a
fronte della profonda collaborazione
che c’e’ stata, e che in futuro vi sarà, fra
l’Associazione, e l’Istituzione regionale.
Per dare un forte contributo alla parte
culturale del Progetto Catasto è stato
pubblicato un libro, “Grotte e carsismo
in Puglia”, di 200 pagine, che affronta
in maniera completa (obiettivo molto
difficile, ovviamente) i vari aspetti dalla
attività speleologica: l’esplorazione, la
sua storia in Puglia e quella dei gruppi
speleologici, la ricerca scientifica e archeologica, il rapporto fra l’Uomo e la
Grotta. Un ultimo capitolo, che “ulti- Copertina del libro
Grotte e carsismo in Puglia
mo proprio non è, è stato dedicato al
fragile sistema “grotta”, e alla sua tutela.
Un capitolo “voluto” e “dovuto”, visto anche il modo spesso vessatorio e al limiti
della legalità di gestire un territorio, quello pugliese, fra l’altro, noto per essere uno
dei maggiori a forte percentuale di carsificabilità.
Per questo motivo, o meglio, anche per questo motivo, la pubblicazione di un libro:
per incontrare la gente, coinvolgerla e comunicare la Speleologia: in che modo sia
cambiata negli anni, come sia maturata e in che modo si stia rapportando con la
Società Civile, con le Istituzioni, con il mondo del lavoro.
Il progetto è ormai concluso, ma solo in una parte aprendo altre vie e altre direzioni, una su tutte: l’aggiornamento dei dati. Altre grotte attendono, infatti, di essere
documentate e inserite nel corpo catastale della regione.
Un forte ringraziamento va a tutti coloro che hanno contribuito alla determinazione e realizzazione del Progetto, a ogni livello e in ogni direzione, rendendo così
possibile la creazione di uno strumento completo, competente e fruibile.
E un riconoscimento al Sig. Assessore Regionale all’Ecologia e a tutto lo staff
dell’Ufficio “Parchi e Riserve”, senza la cui volontà e assistenza non sarebbe stato
possibile raggiungere tale traguardo.
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L’INTERVENTO DI BONIFICA DEL PULO DI ALTAMURA
THE CLEANING UP OF THE ALTAMURA’S PULO
Giovanni Ragone, Pietro Pepe
CARS - Centro Altamurano Ricerche Speleologiche
Abstract
Dopo anni di tentativi, finalmente il 18 novembre 2005 il Pulo di Altamura, una
delle più grandi doline europee, è stato ripulito dalle decine di carcasse di automobili ed altri rifiuti che ne deturpavano i pendii e il fondo. Il progetto di bonifica,
promosso dal CARS - Centro Altamurano Ricerche Speleologiche e della Federazione Speleologica Pugliese, è stato finanziato con fondi regionali e comunali. Un
elicottero ha sollevato e rimosso i rifiuti tirando su oltre 130 carcasse di automobili
e più di 50.000 kg di pneumatici…
Finally, after a lot of attempts, in November 2005 Altamura’s Pulo, one of the biggest
dolines in Europe, has been cleaned up from dozens of cars and waste that disfigured
its slopes and bottom. The environmental remediation, promoted by CARS - Centre for
Speleological Research from Altamura and by the Speleological Federation of Puglia,
has been possible thanks to Municipal and Regional funding. A helicopter removed the
waste, by lifting more than 130 cars and 50.000 kilograms of tires…
Key words
Pulo, Altamura, Bonifica, Ecotassa.
Il Pulo di Altamura (Pu 25) è una delle più grandi ed interessanti doline d’Europa,
oggetto di studi geologici intensi sin dal secolo scorso (Colamonico C., 1916). Si
tratta di una dolina di crollo (Castiglioni B. & Sauro U., 2000) e si trova a circa 8
chilometri a nord della città, ha un diametro di circa 500 metri e una profondità di
80 metri. Due grandi canyon confluiscono da est e da ovest. Essi diventano attivi in
caso di forti piogge trasformandosi in veri e propri torrenti.
Il Pulo presenta interessanti aspetti naturalistici, geologici ed archeologici. Il fondo
del Pulo veniva un tempo coltivato.
Numerose sono le grotte frequentate dall’uomo preistorico, soprattutto lungo la
Parete Nord, come Grotta Prima (Pu 867), il cui ingresso è situato sul pianoro ed
è costituito da una scalinata scolpita nella roccia, o come la sottostante Grotta Seconda. Scavi archeologici effettuati in più riprese testimoniano una frequentazione
umana nel paleolitico superiore, neolitico, età del Bronzo, epoca ellenistica, romana
e medioevale (Biancofiore F., 1959 & 1964; Venturo D., 1991 & 1992).
69
Le grotte del canyon orientale sono cavità orizzontali di breve sviluppo, utilizzate
anche come ovili fino a metà del ‘900. Più interessante è la Grave del Pulo (Pu 860),
un inghiottitoio profondo complessivamente circa 60 metri, oggetto da tempo di
intense ricerche da parte del CARS per individuare eventuali prosecuzioni (Angelastri F., 1979). Si trova proprio nel letto della gola, un po’più a valle delle grotte.
L’imbocco è protetto da una grata a causa della sua pericolosità.
Nel canalone occidentale, alla base di una liscia parete rocciosa, si scorge il basso
ingresso di Grotta Mario (Pu 1238), un cunicolo che si addentra per circa settanta
metri, con alcune diramazioni che si stringono sempre più fino a diventare impraticabili (Ragone G. & Solito C., 2002).
Il Pulo costituisce inoltre un importante sito di interesse naturalistico ed è attualmente inserito nella perimetrazione del Parco Nazionale dell’Alta Murgia. Vi si arriva attraverso una strada brecciata che, dopo aver raggiunto un terrazzo artificiale,
che funge da belvedere, ne costeggia in parte l’orlo meridionale. Ciò facilita senz’altro l’avvicinamento dei visitatori ma, purtroppo, da quando fu costruita, la strada
ha facilitato lo scarico nella dolina di carcasse d’auto rubate, elettrodomestici, vecchi
mobili, pneumatici e rifiuti di ogni genere.
Più volte, in passato, ci sono stati tentativi di pulizia che non hanno dato però grossi
risultati. Già negli anni ’70 il CARS, per interessamento soprattutto di Pierino Locapo, all’epoca presidente della associazione, tenta di estrarre le carcasse utilizzando
una gru posizionata sul belvedere. Per l’inadeguatezza del mezzo e per la presenza di
rocce sporgenti l’impresa si rivela inefficace, oltre che pericolosa.
Locapo raccontava di avere anche interessato l’esercito (ad Altamura c’è una caserma) nell’ipotesi di utilizzare i mezzi militari per il recupero. Se ne concluse che il
carro armato non avrebbe potuto affrontare i ripidi pendii e piloti degli elicotteri
di allora consideravano troppo rischioso avventurarsi nella dolina. Negli anni ‘80 si
pensa anche di sezionare le carcasse per facilitarne il trasporto dal fondo ma poi non
se ne fa nulla.
Nel 2001 si torna ad affrontare nuovamente il problema. Il circolo Legambiente
di Altamura e il CARS organizzano alcune giornate di pulizia (PULIAMOCI IL
PULO) nell’ambito della iniziativa nazionale “Puliamo il Mondo”. I volontari di
Legambiente provvedono a legare alcune carcasse e pneumatici presenti lungo il versante sud e a recuperarli con l’aiuto di una braccio meccanico. Gli speleologi, oltre
a coadiuvare in queste operazioni, si dedicano soprattutto alla pulizia dell’impervio
pendio sotto il belvedere, calandosi con le corde. Nel frattempo, altri volontari ripuliscono le strade e i campi intorno alla dolina. Vengono recuperate 17 carcasse
d’auto, oltre a rifiuti vari (lavatrici, bombole di gas, televisori, indumenti, ecc…).
La pulizia, naturalmente, non può essere completata solo con le forze del volontariato. Bisogna dire però che l’intervento pubblico non sarebbe stato possibile su una
proprietà non pubblica come era, ed è ancora, il Pulo.
La svolta si ha a dicembre 2002, quando la Giunta Regionale Pugliese, nell’ottica
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71
di integrare e diversificare l’azione della Regione in materia di tutela del suolo e
del sottosuolo dagli inquinamenti e dal degrado, destina dei fondi per finanziare
interventi di risanamento di siti inquinati e degradati (fondi ex art.15, comma 3 LR
5/97, provenienti dalla tassa per il deposito in discarica dei rifiuti, ai sensi dell’art.24
L.549/95 “ecotassa”).
Le linee d’azione previste sono tre e mentre le prime due riguardano siti generici, la
terza cita espressamente i siti carsici.
LINEA DI AZIONE 3 Primi interventi di risanamento e pulizia di siti carsici (grotte,
lame ecc.) ad elevato interesse ambientale, naturalistico e paesaggistico, ovvero interventi
di caratterizzazione ai sensi del citato D.M. 471/99, nell’ipotesi di sversamento di rifiuti
non facilmente identificabili.
Poiché i destinatari del finanziamento sono i comuni, la Federazione Speleologica
Pugliese, invia subito una lettera a tutti i sindaci della regione che presentano nei
loro territori problematiche di inquinamento degli ambienti carsici. Alla lettera segue una capillare opera di sensibilizzazione diretta: gli speleologi pugliesi si recano
presso i sindaci per ricordare di non lasciarsi sfuggire questa opportunità. Ad Altamura Pietro Pepe e Giovanni Ragone, speleologi del CARS, consigliano di intervenire nella dolina del Pulo, dato che la legge regionale non esclude la possibilità di
realizzare l’intervento su proprietà private. La proposta viene accolta favorevolmente
dall’Amministrazione Comunale, guidata all’epoca dal Sindaco Rachele Popolizio.
Che dà mandato al Dirigente dell’Ufficio Tecnico Comunale Ing. Emilio Petraroli,
di elaborare e presentare una proposta di intervento. Il progetto viene redatto grazie all’opera del collaboratore esterno Dr. Geol. Pietro Pepe e alla consulenza del
Dr. Giovanni Ragone, speleologo esperto conoscitore del Pulo e rappresentante del
CARS e della FSP. La fase di progettazione esecutiva e la preparazione dell’appalto per l’affidamento dei lavori di bonifica viene affidata al Geologo Pietro Pepe e
all’Ing. Concetta Patella. Viene acquisita l’autorizzazione del proprietario dell’area
interessata e viene redatta la valutazione di incidenza.
Tutti i progetti pervenuti alla Regione vengono valutati secondo specifici criteri di
selezione, con attribuzione di punteggi ed elaborazione di graduatoria finale:
a) Superficie interessata dal degrado (espressa in m.q). L’istanza che presenterà una superificie più estesa acquisirà il massimo punteggio, pari a 40, mentre aree di superfici
intermedie acquisiranno un punteggio intermedio;
b) Profondità del sito rispetto al piano campagna (espressa in ml.), misurata nel punto massima concentrazione dei rifiuti sversati. L’istanza che presenterà una profondità
maggiore rispetto al piano campagna acquisirà il massimo punteggio pari a 20, mentre
siti con profondità intermedie acquisiranno punteggi intermedi;
c) Volumi di materiale presenti (espressi in mc). L’istanza che indicherà la maggiore vo72
lumetria di rifiuti presenti sul sito acquisirà il massimo punteggio pari a 30, mentre siti
con volumetrie intermedie acquisiranno punteggi intermedi;
d) Eventuale contribuzione finanziaria assicurata dal Comune con l’attribuzione del
relativo punteggio, partendo da 10, determinato in relazione alla percentuale di cofinanziamento non inferiore al 30%.
L’intervento di bonifica del Pulo, dalle analisi effettuate dai progettisti possiede i
seguenti valori:
a) Superficie interessata dal degrado = 26.300 mq
b) Profondità del sito rispetto al piano campagna = 80 metri (forse il sito più profondo)
c) Volumi di materiale presenti = 899 mc
d) Eventuale contribuzione finanziaria assicurata dal Comune = 32% (pari a €
36.233,09 su un importo complessivo di € 112.563,09
Il progetto ottiene un buon punteggio e viene quindi ammesso al finanziamento.
Purtroppo vari problemi burocratici ne ritardano l’attuazione e si rischia anche di
perdere l’erogazione del contributo pubblico.
Nel frattempo cambia anche la compagine politica ma la nuova Amministrazione
Comunale del sindaco dott. Mario Stacca completa finalmente gli ultimi adempimenti e si dà avvio alla bonifica.
La ditta Serveco di Martina Franca si aggiudica i lavori che vengono avviati all’inizio
di novembre 2005. Operai specializzati provvedono ad imbracare le carcasse e gli
73
pneumatici con cavi di acciaio, preparando tutto per l’intervento successivo dell’elicottero. Tale preparazione è necessaria per garantire un impiego senza tempi morti
del mezzo aereo, che ha costi di esercizio molto alti. Le prime 23 carcasse, incastrate
fra le rocce e la vegetazione nel canalone sotto il belvedere, vengono estratte con
cautela per mezzo di una gru con un braccio meccanico molto lungo (80 metri).
Tale operazione sarebbe risultata rischiosa per l’elicottero.
Il 18 novembre 2005 entra in azione un elicottero con un pilota addestrato in attività
di questo genere che aggancia rifiuti precedentemente imbracati e li solleva depositandoli su uno spiazzo allestito in superficie. Le operazioni di sollevamento durano
due giorni. I rifiuti raccolti vengono quindi selezionati, caricati su camion e avviati
agli impianti specializzati per l’opportuno smaltimento o riciclaggio.
Nell’intervento di bonifica vengono recuperati così 130 carcasse di veicoli e oltre
50.000 kg di pneumatici.
A tutela del sito appena bonificato vengono realizzate alcune opere di protezione.
Nel punto in cui abitualmente venivano scaricate le auto viene ricostruito il muretto
in pietra, rinforzato con struttura interna in ferro. Una staccionata in legno viene
sistemata nel punto in cui venivano scaricati gli pneumatici.
In conclusione si può certamente affermare che l’intervento di bonifica del Pulo ha
consentito finalmente di riportare il sito alla sua originale bellezza con poca spesa
e con interventi non invasivi. L’utilizzo dell’elicottero ha evitato infatti qualsiasi
danneggiamento alle pareti e ai pendii che si sarebbero potuti provocare con altri
sistemi di intervento. Il taglio della vegetazione per districare i rottami è stato limitato al minimo indispensabile. I rifiuti recuperati sono stati immediatamente avviati
a smaltimento a norma di legge. Le operazioni si sono svolte in periodi lontani dalla
primavera-estate per evitare di arrecare disturbo alla nidificazione dell’avifauna.
Bibliografia
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Speleologiche, n. 2-3, Altamura 1979, 5-10
Biancofiore F. (1959) - Nota preliminare sugli scavi al “Pulo” di Altamura, in Altamura - Bollettino Archivio
Biblioteca Museo Civico, n. 6, 1959, 116-121
Biancofiore F. (1964) - La civiltà dei cavernicoli nelle Murge Baresi (Studi di Archeologia e Storia Antica, II),
Tammari editori, Bologna, 1964, 175p
Castiglioni B. & Sauro U. (2000) - Large collapse dolines in Puglia (Southern Italy): the cases of “dolina Pozzatina” in the Gargano plateau and of “Puli” in the Murge. Acta Carsologica, 29/2, 83-93
Colamonico C. (1916) - Il Pulo di Altamura. Mondo Sotterraneo, 13 (4-6), 65-76
Ragone G. & Solito C. (2002)- Pulo di Altamura, in Grotte di Puglia, AA.VV. Bastogi Editore, Foggia, 2002,
80
Venturo D. (1991) - Rassegna Archeologica, in Altamura - Bollettino Archivio Biblioteca Museo Civico, n.
33-34, 1991-92, 227-231
Venturo D. (1992) - Altamura (BARI), Pulo, Grotta Prima, in TARAS - Notiziario delle attività di tutela Soprintendenza Archeologica della Puglia, XII, 2, 1992, 214-215
74
LA SALVAGUARDIA DELLA GROTTA DI TORRE DI LESCO (ALTAMURA) NEL PROGETTO DI AMPLIAMENTO DELLA S.S. 96
THE SAFETY OF CAVE “TORRE DI LESCO” (ALTAMURA) IN THE ENLARGEMENT OF THE
DRAFT HIGHWAY
Vincenzo Martimucci1, Pasquale Scorcia2, William Formicola1
1
CARS - Centro Altamurano Ricerche Speleologiche
2
ANAS - Compartimento Viabilità per la Puglia
Abstract
È una piccola grotta ricca di singolari concrezioni eccentriche e mineralizzazioni,
sotto l’attuale tracciato stradale della statale 96, a 3 km da Altamura. La scoperta è
avvenuta negli anni 30 durante lo scavo in trincea della sede stradale. L’ingresso alla
cavità andò perso negli anni fino a quando, nel 1951 una campagna di ricerca promossa dal senatore Genco e realizzata dagli speleologi del CARS guidati dal prof.
Gatti riportò alla luce la grotta. Nel 2000, il CARS segnalò all’ANAS l’esigenza di
conservare la grotta interessata dal progetto di allargamento della strada. Il decreto di compatibilità ambientale dell’opera ha prescritto un programma di indagine
per definire impatti sulla grotta derivanti dalla realizzazione della strada. Nel 2004
l’ANAS ha effettuato indagini geologiche ed ha acquisito i nuovi rilievi della cavità
realizzati dal CARS. La relazione conclude con le proposte di tracciato stradale
compatibile con la grotta e uno schema di piano di monitoraggio ambientale.
It’s a small cave with plenty of unique helictites and mineralizations below the current route
of state road 96, 3 km from Altamura. The discovery was made in 1930s during the excavation of the road cutting. The entrance to the cavity went lost as years went by, until in 1951 a
campaign of research sponsored by senator Genco and implemented by the speleologists
of CARS, led by prof. Gatti, brought the cave to light. In 2000, CARS pointed out the need to
preserve the cave involved in the projects for the enlargement of the road layout. The decree
of environmental compatibility has prescribed a program of investigation to determine the
impact on the cave caused by the construction of the road. In 2004, ANAS conducted geological surveys and acquired the new reliefs of the cavity made by CARS. The report ends
with proposals for a road layout compatible with the cave and a scheme of environmental
monitoring plan.
Key words
Concrezioni eccentriche, mineralizzazioni, strada statale, conservazione, programma di indagini, rilievo ipogeo, monitoraggio ambientale.
Helictites, mineralizations, highway, conservation, program of inquiries, cave survey, environmental monitoring.
75
Descrizione della grotta
L’ingresso alla grotta di Torre di Lesco si apre a 3 km dall’abitato di Altamura sul lato
NW della strada statale 96 che da Altamura prosegue per Bari.
Una botola in ferro con un robusto lucchetto protegge il tombino di accesso alla
grotta, posto lateralmente alla carreggiata. Custode delle chiavi è il CARS a cui sono
state consegnate nei primi anni ‘90 dal Senatore Genco proprietario dei terreni
limitrofi e soprastanti la cavità.
In questo tratto la strada è realizzata in una piccola trincea alta circa due metri prospiciente l’incrocio della statale con una stradina vicinale che si collega ad est alla
Strada Comunale Esterna n. 78 “Colonna”.
La grotta contiene una grande varietà di speleotemi: è ricca di concrezioni eccentriche, lamine e vele, stalattiti, stalagmiti, colonne, canne d’organo, concrezioni a cavolfiore, laghetti, concrezioni ad infiorescenza, formazioni coralliformi e vaschette di
concrezionamento. Diverse concrezioni della grotta risultano fratturate e ricementate.
Sono inoltre presenti mineralizzazioni di svariati colori e forme oltre a diffuse presenze di depositi di aragonite bianca.
Dal tombino a margine della carreggiata si accede al pozzo di ingresso profondo 7
metri e percorribile in contrapposizione senza ausilio di corde. Dalla base del pozzo
percorsi pochi metri in orizzontale in direzione ovest ci si trova sulla sommità di un salone il cui pavimento è un’enorme piano inclinato formato da massi di crollo ricoperti
di colate calcitiche che si immerge a 45° in direzione ovest (270° N). Gli assi del salone
sono 20 metri il maggiore in direzione E-W e 15 metri il minore in direzione N-S.
Nel salone, alto mediamente 5 metri, sono presenti diversi setti formati da colonne di
grosse dimensioni e cortine calcitiche su cui si osservano diffuse e delicate concrezioni
eccentriche. Percorrendo i vari corridoi formati dai setti si giunge alla base del salone che
è anche la zona più profonda della grotta (20 metri di dislivello dal tombino di ingresso).
Qui si misurano le maggiori altezze degli ambienti con volte e piccole risalite anche di 10
metri e si osservano diverse zone con raccolte permanenti di acqua.
Dalla base del pozzo di ingresso svoltando a SE e percorrendo 5 metri di condotta a
carponi, attraverso una piccola strettoia si accede nel ramo laterale.
Esso si sviluppa al di sotto della proiezione del piano stradale oltrepassando di circa
4 metri il limite opposto a quello su cui apre il tombino di accesso.
Dai nuovi e più accurati rilievi speleologici, effettuati alla fine del 2004 dal CARS,
è risultato che in corrispondenza di quest’ultimo bordo strada lo spessore del banco calcareo che separa la cavità dall’esterno non supera i 3 metri. Gli ambienti in
questo ramo laterale si presentano variamente concrezionati con ampie zone in cui
sono presenti formazioni coralliformi. Nella parte terminale e sommitale del ramo
laterale, in una nicchia posta nella parte più alta della grotta, si trova un laghetto
formato da vaschette di concrezionamento.
Lo sviluppo planimetrico complessivo della cavità è di 40 mt circa.
L’imbocco si apre ad una quota altimetrica di 425 mt s.l.m. (IGM 1:25.000 Foglio
189 IV SE).
È segnalato in bibliografia il ritrovamento all’interno della grotta di una rara specie
di pseudoscorpione (l’Hadoblothrus gigas), un artropode troglobio presente solo in
pochissime altre grotte della Puglia.
Piccole concrezioni aghiformi sono state prelevate sulla parete sinistra della prima
caverna - analisi del prelievo: calcite-carbonato di calcio (CaCO3) - analisi effettuate
da Paolo Forti-IIS.
Cenni storici e circostanze della scoperta grotta
La prima segnalazione della cavità risale a Antonio Santoro nel 1936; all’epoca la
grotta era stata scoperta durante i lavori di scavo della trincea della sede stradale
della statale 96 (Catasto FSP - Paolo Giuliani).
Nel 1938 sono avvenute le prime esplorazioni da parte di Antonio Santoro e Filippo
76
77
Gatti e nel 1939 il prof. Franco Anelli la iscrisse nel Catasto delle Grotte della Puglia
con il numero Pu 33 (Catasto FSP - Paolo Giuliani).
Cavità di rara bellezza, fu richiusa subito dopo la sua scoperta per ragioni di sicurezza legate alla strada.
L’ingresso alla cavità andò perso negli anni successivi e non se ne seppe più nulla per
quasi dieci anni.
Nel 1951 una campagna di ricerca promossa dal Senatore Giacinto Genco e realizzata
dagli speleologi del neonato CARS guidati dal prof. Gatti riportò alla luce la grotta.
Di concerto con i tecnici e le autorità ANAS dell’epoca l’imbocco della grotta fu
messo in sicurezza realizzando un tombino di protezione chiuso con un lucchetto.
La riscoperta della grotta ebbe immediata risonanza nel mondo della speleologia
anche per la straordinaria bellezza delle concrezioni presenti che, per forma e rarità,
superavano quelle delle stesse Grotte di Castellana come lo stesso prof. Franco Anelli (in quegli anni socio del CARS) ebbe a dichiarare dopo averla visitata (articolo
Universo - Prof. Gatti).
Nella grotta di Torre di Lesco sono state condotte intense campagne fotografiche
(numerose immagini in bianco-nero sono conservate negli archivi del CARS).
Il rilievo attualmente presente nel Catasto delle Grotte della Puglia della FSP è quello realizzato dal CARS nel 1980 dall’ing. Michele Marvulli.
tutela di questa grotta, dato il suo estremo interesse dal punto di vista geologico,
speleologico e naturalistico.
Nella nota si segnalava tra l’altro che:
• Gli interventi di allargamento della sede stradale non ancora definiti nel dettaglio
potevano determinare un serio danneggiamento o addirittura la distruzione della
grotta;
• Il banco calcareo che funge da volta della cavità sotterranea nel ramo secondario,
costituisce base di appoggio del pavimento dell’attuale sede stradale, avrebbe potrebbe cedere per le sollecitazioni portate sia dai lavori di sistemazione della nuova
sede stradale, sia per l’aumento del traffico stradale - problema questo di sicurezza
dei lavori e di pubblica incolumità;
• Il tombino del pozzo di accesso, attualmente sul ciglio della carreggiata, con l’allargamento stradale cadeva al centro della sede stradale della costruendo 4 corsie,
con impossibilità di accesso in sicurezza alla cavità;
• La presenza sui terreni prossimi alla cavità di due piccole depressioni della larghezza di qualche metro e della profondità di circa due metri, poteva costituire
ulteriori accessi alla grotta e/o ad altre cavità presenti nel sottosuolo.
Il CARS si dichiarava inoltre disponibile ad accompagnare i tecnici ANAS che avessero voluto visionare il sistema ipogeo.
Le segnalazioni del CARS per la conservazione della grotta
Da ricerche effettuate in archivio CARS si sono rinvenute informazioni e notizie sulle
segnalazioni avvenute nel corso degli anni sul tema della salvaguardia della grotta.
Il senatore Genco, come testimoniato dal figlio ing. Giuseppe attualmente (2007)
consigliere comunale in carica, segnalò all’ANAS per iscritto la necessità di tutelare
la cavità da eventuali progetti di ampliamento della SS.96.
L’Onorevole Fabio Perinei nell’aprile del 1994 in continuo contatto con il CARS
per problematiche inerenti il recupero e la valorizzazione dell’Uomo di Altamura
(scoperta dell’ottobre 1993), interessato ed informato dal CARS, chiese all’ANAS
notizie di eventuali danni che la variante alla SS.96 avrebbe potuto arrecare alle
grotte esistenti in località “Torre di Lesco”.
La risposta del Capo Compartimento ANAS - Bari fu la seguente:
“…nella individuazione della giacitura della variante alla SS.96 esterna all’abitato di
Altamura, questo ufficio si è preoccupato di non arrecare danno alle grotte esistenti in
località “Torre di Lesco”.
Come le è noto il tracciato fu sottoposto al parere del comune di Altamura, che si espresse
favorevolmente con delibera n. 61 del 26/05/1992…”
(nota ANAS del 18.05.1994 e nota di accompagnamento firmata dall’On. Perinei del
27.05.1994 - archivio CARS).
Ancora alla fine del 2000 il CARS con nota del 30.12.2000 ribadiva alla Direzione
del Compartimento della Viabilità per la Puglia ANAS l’esigenza di provvedere alla
78
79
Il “progetto dei lavori di ammodernamento del tronco Altamura-Toritto con adeguamento alla sez. III CNR (SS.96 “Barese” - itinerario Bari-Altamura-Matera)”
redatto dall’ANAS - Compartimento della Viabilità della Puglia, in corrispondenza
della localizzazione della grotta, prevedeva un raddoppio della larghezza della sede
stradale rispettando le quote esistenti.
Il decreto di compatibilità ambientale
Il Decreto VIA di compatibilità ambientale n. 339 del 30.05.2003 con cui il Ministero dell’Ambiente di concerto con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali - ai
sensi del comma quarto dell’art.6 della L.349/86 - ha espresso giudizio positivo sul
progetto relativo all’ampliamento della Strada Statale 96 itinerario Bari-AltamuraMatera, finalmente ha imposto prescrizioni di tutela della grotta nella lettera d) che
si riportano integralmente di seguito:
“considerata la presenza a margine della strada attuale dell’accesso della grotta dell’esca
e la posizione della grotta stessa rispetto all’asse stradale, l’ANAS dovrà, preliminarmente alla progettazione esecutiva, elaborare, in accordo con il servizio geologico del
dipartimento dei servizi tecnici nazionali e in riferimento al progetto “conservazione del
patrimonio geologico”, un completo programma di indagine volto a definire gli impatti
sulla grotta derivanti dalla realizzazione dell’infrastruttura, le misure atte a garantire la
conservazione delle singolarità geologiche ivi esistenti e le eventuali modalità di accesso”.
Il decreto, inoltre, a margine delle prescrizioni raccomanda:
“di prendere contatti ed accordi, durante le operazioni di salvaguardia del patrimonio
geologico di cui alla prescrizione d), oltre che con i comuni competenti per territorio, anche con le associazioni presenti interessate alla tutela e conservazione dell’ambiente delle
grotte; si raccomanda altresì di operare in modo da poter garantire un accesso alla grotta
dell’esca da parte degli studiosi e degli appassionati di speleologia”.
L’avvio del programma di indagine
In ottemperanza alle indicazioni del Decreto VIA, a luglio del 2003 il dott. Pasquale
Scorcia, geologo dell’ANAS - Compartimento della Viabilità per la Puglia, accompagnato dagli speleologi William Formicola e Giovanni Ragone del CARS effettuò
un sopralluogo all’interno della grotta.
Le evidenze emerse nel corso del sopralluogo, insieme con le segnalazioni effettuate
dal CARS, hanno permesso all’ANAS di predisporre un programma di indagini
geologiche con metodi diretti e indiretti.
Tali studi avrebbero permesso di definire gli impatti sulla grotta derivanti dalla realizzazione dell’infrastruttura.
L’ANAS - Bari con nota in data 23.03.2004 indirizzata all’APAT - Dipartimento
Difesa del Suolo, chiedeva collaborazione per il programma di monitoraggio
che, come indicato dal Decreto VIA 339/2005, specificava avvenisse in accordo
con il Servizio Geologico Nazionale. In detta nota si citava il CARS quale as80
sociazione interessata alla tutela e conservazione delle grotte e si menzionava il
contribuito fornito dalla stessa durante la fase istruttoria VIA (nota 23.03.2004
archivio CARS).
Nel mese di ottobre del 2004, l’ANAS incaricò gli speleologi del CARS di svolgere un accurato rilievo topografico/speleologico della grotta di Torre di Lesco
e del piano di campagna sovrastante la cavità (tali rilievi sono stati di supporto
alle indagini geologiche programmate subito dopo nella zona).
Il rilievo speleologico
Il vecchio rilievo, realizzato nel 1980 dagli speleologi del CARS coordinati dall’ing.
Michele Marvulli, aveva bisogno di verifiche e completamento per renderlo mezzo
conoscitivo di supporto alle indagini geologiche programmate sulla zona.
La nuova rilevazione della cavità è stata effettuata con attrezzature moderne e raggiungendo accuratezze inferiori al metro, sono state realizzate sezioni della cavità in
corrispondenza di 5 profili altimetrici del terreno indicati dall’ANAS.
Le principali fasi operative dei lavori di rilevazione topografica sono state le seguenti:
Fase 1 - rilievo plano-altimetrico interno della grotta.
Sono state posizionate sulle pareti della grotta con metodi di fissaggio reversibili e
non dannosi per l’ambiente, 30 mire numerate in pvc (target); queste riportate sui
grafici di rilievo (piante e sezioni) rendono semplice la lettura degli elaborati.
Si è passati poi alla rilievo delle stesse, al calcolo delle posizioni fisse x, y, z ed al
rilievo di dettaglio.
La strumentazione topografica utilizzata è stata bussola Brunton per geologia (accuratezza 1 grado), distanziometro laser Leica (accuratezza 1mm) e livello digitale
Bosch (accuratezza 0,5°).
Le mire posizionate e tutt’ora presenti in grotta permettono eventuali future misurazioni, controlli e aumenti di dettaglio del rilievo effettuato.
Fase 2 - rilievo plano-altimetrico del piano di campagna sovrastante la grotta.
Il rilievo plano altimetrico del piano di campagna è stato effettuato con stazione
totale (tedodolite elettronico con distanziometro elettro ottico integrato) per rilievi
topografici.
L’unica stazione utilizzata è stata materializzata con un piastrino in ferro infisso
in prossimità della sommità della trincea in vicinanza del tombino di accesso alla
grotta.
Il rilievo plano altimetrico è stato realizzato per restituire il modello matematico del
terreno a curve di livello con equidistanza di 20 cm. Sono state rilevate due depressioni esistenti nella zona di indagine oltre alla posizione dei picchetti iniziali e finali
delle linee di misurazione della resistività programmate nella zona dall’ANAS.
81
Fase 3 - elaborazione dati ed inquadramento nel contesto cartografico progettuale
Il rilievo della cavità è stato elaborato con software di rilievo ipogeo (compass).
I dati acquisiti con il rilievo del piano di campagna sono stati elaborati con software di
topografia (Meridiana). Il tutto è stato poi assemblato e restituito in formato vettoriale compatibile per programmi cad georeferenziando le coordinate nel sistema GaussBoaga.
Sono stati prodotti i seguenti elaborati grafici:
Elaborato n. 1 pianta scala 1 : 100
Elaborato n. 2 sezione ovest-est scala 1 : 100
Elaborato n. 3 rilievo topografico della grotta sovrapposto a:
- planimetria a curve di livello della superficie esterna 1 : 500
- planimetria delle linee di misurazione di resistività scala 1 : 500
Elaborato n. 4 - profili altimetrici e sezioni grotta (n. 5 profili) scala 1 : 100
La campagna geognostica dell’ANAS
La campagna geognostica dell’ANAS nella zona di Torre di Lesco si è sviluppata
attraverso le seguenti fasi:
• Rilievo plano-altimetrico della cavità finalizzato al dimensionamento e posizionamento, con accuratezza inferiore al metro, delle sezioni della cavità in corrispondenza dei
profili altimetrici del terreno (rilievi CARS descritti in precedenza).
82
83
• Realizzazione di n. 22 profili geoelettrici dipolari assiali simmetrici (tomo1-tomo22), con interpretazione tomografica dei dati di resistività ottenuti.
• Esecuzione di n. 7 sondaggi meccanici a rotazione (s.9-s.15), con carotaggio continuo di diametro 101 mm e della profondità dal p.c. variabile da 12 a 20 m, realizzati in corrispondenza di anomalie di resistività evidenziate in prima battuta dal
rilievo geoelettrico effettuato.
Le indagini geoelettriche (tomografie)
Lo scopo principale dell’indagine è stato quello di cercare, attraverso metodologie
indirette, la presenza di eventuali prosecuzioni del condotto carsico immediatamente al di fuori del perimetro attualmente noto della grotta di Torre di Lesco.
La campagna di indagini condotte in loco è consistita in:
• Realizzazione di n. 22 profili geoelettrici dipolari assiali simmetrici, con interpretazione
tomografica dei dati di resistività ottenuti, n. 11 ubicati parallelamente all’asse stradale,
n. 11 perpendicolarmente ad esso, realizzando una maglia di lato 5x5m centrata in corrispondenza dell’ingombro (proiezione in superficie) della grotta;
verso un dipolo energizzante (ab), e di misurare tramite un dipolo di lettura (mn)
la differenza di potenziale (d.d.p.) indotta
dal campo elettrico creato nel terreno.
Come indicazione generale relativa al
sito di stretto interesse, ove si notano
valori delle isoresistive più elevati, si
può ritenere maggiormente compatto
il masso carbonatico; di contro, i valori
più bassi delle resistività si attribuiscono
a porzioni del sottosuolo a minor consistenza, interessate da un certo grado di fessurazione, generalmente alterate A luoghi in copertura nei rilievi effettuati, termini
estremamente conduttivi sono assimilabili a terreno vegetale o porzione del masso
calcareo a discreta componente limo-residuale.
Valori delle resistività molto alti (anomalie), possono essere associati a volumi cavi
del sottosuolo, in considerazione del fatto che la resistività dell’aria ha valore pari a
r=∞. Una volta stabilita la soglia dei valori di resistività “base”, valori delle resistività
molto elevati rispetto all’intorno, possono risultare da fratture e/o cavità più o meno
riempite da materiali residuali, o porzioni di sottosuolo estremamente fratturate con
fratture beanti tali da “offrire” una resistenza alla circolazione di corrente ed una
risposta di insieme con anomalie resistive.
Le tomografie sono state realizzate per una lunghezza di 95ml/cad. Con distanza
interdipolare pari ad r=5m (spazio unitario tra elettrodi); la profondità di massima
investigazione, letta nella porzione centrale dello stendimento, è risultata pari poco
meno di 19.0-20.0m.
I risultati delle indagini geoelettriche hanno evidenziato la presenza di frequenti
anomalie di resistività positive (correlabili alla presenza di cavità) distribuite sia in
profondità che lateralmente. A titolo esemplificativo si riportano alcune sezione
elettriche bidimensionali in cui sono ben definite le anomalie suddette.
• Realizzazione in corrispondenza di alcune anomalie positive di resistività evidenziate in prima battuta dai rilievi tomografici, di n. 7 sondaggi meccanici con carotaggio continuo di diametro 101 mm (sigla s.9-s.15) spinti a profondità variabile
da 12m a 20m da p.c., realizzati in corrispondenza delle anomalie di resistività
evidenziate in prima battuta dal rilievo geoelettrico effettuato;
La metodologia adottata nel caso specifico è la prospezione geoelettrica con il metodo
del dipolo-dipolo con elaborazione tomografica dei dati del rilievo. Tale metodologia
consiste nella determinazione delle resistività apparenti del sottosuolo lungo sezioni predeterminate la cui traccia è data da stendimenti dipolari assiali.
Dal punto di vista operativo il metodo consiste nell’immettere corrente nel terreno attra84
85
Le anomalie positive superficiali di resistività sono state mappate ed inserite sulla
“planimetria con ubicazione delle anomalie superficiali”; le anomalie poste in corrispondenza dell’opera stradale di progetto ed in zone limitrofe di interesse, sono poi
state verificate tramite esecuzione dei sondaggi meccanici s.9-s.15.
Le anomalie positive di resistività poste a maggiori profondità e distanti dall’asse
stradale di progetto non sono state verificate.
Progetto
Proposte di tracciato stradale compatibile con la grotta
Le conclusioni dello studio geologico eseguito propongono, per garantire un nuovo accesso alla grotta di Torre di Lesco, l’utilizzo di un “corridoio” perpendicolare
all’asse stradale passante per l’attuale accesso alla grotta (tombino), che sembra interessato da poche anomalie di resistività a meno di quelle presenti nell’intorno della
grotta, la cui estensione risente evidentemente del “disturbo” alla circolazione di
corrente indotto dalla presenza del cavo stesso.
Le stesse fanno parte integrante del progetto definitivo trasmesso al comune di Altamura per le successive approvazioni.
Stato attuale
Uno studio avanzato e non ancora ufficializzato dall’ANAS dovrebbe modificare
ancora il tracciato stradale che non interesserà più l’ingresso e gran parte della proiezione planimetrica della grotta.
Il monitoraggio ambientale
Il “livello energetico” di una grotta è il primo fondamentale parametro che permette
di prevedere, in prima approssimazione, il peso relativo dell’influenza di cambiamenti apportati dall’uomo all’ambiente ipogeo.
In generale le grotte si distinguono a seconda del livelli energetico:
1. Le grotte ad alta energia sono quelle interessate periodicamente da eventi imponenti quali le alluvioni; questi periodici apporti energetici naturali sono in grado di assorbire in tempi relativamente brevi modificazioni apportate dall’uomo
all’ambiente.
2. Le grotte a media energia sono interessate da apporti energetici da parte di piccoli
corsi d’acqua, del vento e degli animali; ricche di concrezioni, possono essere
pesantemente disturbate da un apporto energetico confrontabile con il bilancio
energetico della grotta stessa.
3. Le grotte a bassa energia sono quelle in cui il flusso energetico è in pratica ridotto
al solo stillicidio. La conservazione di queste grotte avviene limitando le frequentazioni umane per studi e campionamenti: la presenza umana può perturbare
l’equilibrio generale dei parametri ambientali.
Altro parametro fondamentale per un corretto monitoraggio sarà la conoscenza
86
87
esatta delle attività di cantiere previste nei pressi della cavità (movimenti terra, scavi,
vibrazioni, variazioni di idrologia superficiale). Queste attività indicheranno il tipo
di dati da osservare e rilevare nella cavità.
Fase finale della struttura di un monitoraggio ambientale è l’interpretazione ed elaborazione dei dati; attività da affidare ad idonei istituti con adeguata preparazione
scientifica.
La grotta di Torre di Lesco è, in prima approssimazione, anche sulla base delle conoscenze acquisite nel corso dei vari sopralluoghi per rilievi topografici e fotografici, da
considerare una grotta a bassa energia (fisica, chimica e biologica).
I parametri che si ritengono fondamentali da monitorare (temperatura, umidità,
pressione, CO2, correnti d’aria, stillicidio, vibrazioni indotte dal traffico presente
sull’attuale sede), sono caratterizzati da variazioni “naturali” nel tempo e quindi
gli strumenti per misurarne i valori andranno scelti in funzione dell’ampiezza delle
variazioni.
Il monitoraggio ambientale dovrà iniziare prima dell’intervento così da fornire il
dato di riferimento per i monitoraggi durante e dopo l’intervento, ottenendo infine
informazioni certe sull’effettivo impatto ambientale dell’infrastruttura (allargamento stradale) sulla grotta.
Le tre fasi di cui si compone il monitoraggio sono così dettagliate:
Fase 1: prima della trasformazione.
Durata minima: un anno.
Monitoraggi e osservazioni: temperatura, umidità, pressione, CO2, correnti d’aria,
stillicidio, vibrazioni indotte dal traffico presente sull’attuale sede, documentazione
fotografica e catalogazione di concrezioni e cristallizzazioni principali.
Frequenza: continua e varia con il tipo di sensore.
Scopo: determinazione oscillazioni naturali e fattori critici.
Fase 2: durante la trasformazione.
Durata: tutto il periodo del cantiere.
Monitoraggi: temperatura, umidità, pressione, CO2, correnti d’aria, stillicidio, vibrazioni indotte dal traffico presente sull’attuale sede.
Frequenza: continua ed in funzione del cantiere.
Scopo: impedire il raggiungimento di situazioni critiche; l’eventuale raggiungimento di soglie critiche sarà verificato con sopralluoghi e campionamenti ad hoc.
Fase 3: dopo la trasformazione.
Durata: illimitata.
88
Monitoraggi: temperatura, umidità, pressione, CO2, correnti d’aria, stillicidio, vibrazioni indotte dal traffico presente sull’attuale sede, ed altri monitoraggi mirati.
Frequenza: continua e varia con il tipo di sensore ed altre misurazioni mirate.
Scopo: controllo di fattori critici e riduzione dell’impatto.
Sensori di misurazione, hardware e software.
Il corredo hardware minimo è costituito da una stazione meteo in grotta ed una
immediatamente fuori la stessa. La stazione meteo in grotta dovrà monitorare i parametri ambientali in maniera continua ed in punti diversi della grotta.
Per la gestione di manutenzione e controllo dei dati il CARS farà da referente.
Ringraziamenti
Si ringrazia Giovanni Ragone per la collaborazione nella stesura di questo articolo.
Bibliografia
Gatti F. (1959) - Fenomeni carsici in Altamura - Le grotte di Torre di Lesco. Altamura, bollettino dell’ABMC,
n. 6 1959, 70
Ragone G., Solito C. (2002) - Grotta di Torre di Lesco. Grotte di Puglia, Bastogi Editore, Foggia, 85
Formicola W. (2006) - Torre di Lesco: un destino legato ai lavori di ampliamento della strada. Ricerche Speleologiche, n. 1, dicembre 2006, Altamura, 138-140
Costanzo Volpe A., Formicola W., Lorusso D., Ragone G. (2007) - Le Murge Alte. Grotte e Carsismo in
Puglia, Federazione Speleologica Pugliese e Regione Puglia, 137-146
89
LE CAVE DI TUFO DI ALTAMURA - PRIMA RELAZIONE E NOTIZIE
SULLE ESPLORAZIONI
THE MINES OF TUFA OF ALTAMURA - FIRST REPORT ON THE EXPLORATION AND NEWS
Vincenzo Martimucci, Giovanni Ragone, Antonio Denora, Filippo Cristallo
CARS - Centro Altamurano Ricerche Speleologiche
Abstract
Dopo il verificarsi di due sinkhole nel 2006 e 2007 l’attività esplorativa e di raccolta
di informazioni nelle “grotte di San Tommaso” di Altamura, iniziata dal CARS nel
settembre del 2003, ha avuto una forte accelerata e permette oggi una prima descrizione delle cavità: è un dedalo sotterraneo “dimenticato” di gallerie che percorre la
zona della periferia a nord est dell’abitato lungo un arco che parte da Via Vecchia
Buoncammino e prosegue attraversando Via Bari, Via Cassano e Via Santeramo.
La miniera, dismessa da oltre 60 anni, è il risultato delle attività di estrazione di
materiale da costruzione (conci di tufo e tufina), realizzata nello strato di calcarenite
giacente fra i 10 e i 20 metri al di sotto del piano di campagna.
Si stima che i 7 km di gallerie rilevate al 2007 sono il 50% dell’intero dedalo. I rilievi, sovrapposti alla topografia superficiale, restituiscono la mappa dei vuoti anche
sotto edifici e strade. Rilevate tutte le gallerie facilmente accessibili le esplorazioni
proseguono ora lentamente. Solo con idonee trivellazioni si accede a nuove gallerie,
rese inaccessibili da crolli e frane, per il rilievo.
La relazione dopo un breve inquadramento geologico della zona descrive la cronologia delle attività esplorative speleologiche, le tecniche topografiche utilizzate e
l’attendibilità dei risultati concludendo con una proposta: alcune gallerie, se intatte
e sicure sono suscettibili di una fruizione turistica dell’archeologia industriale e
potrebbero diventare quindi una piccola risorsa per la comunità.
After the occurrence of two sinkholes in 2006 and 2007, the exploratory activities and
information gathering in the “caves of St. Thomas” in Altamura, started by CARS in September 2003, had a strong acceleration and now allow an initial description of the cavity.
It’s an underground “forgotten” maze of tunnels that crosses the area of the suburbs to
the north east of the city, through an arc running from Via Vecchia Buoncammino through
Via Bari, Via Cassano and Via Santeramo.
The mine, abandoned for over 60 years, is the result of the excavation of construction
materials (concrete and tuff ), carried out in the layer of calcarenite lying between 10 and
20 meters under the plane of the campaign.
By estimation, the tunnels 7 km long found in 2007 are 50% of the whole maze. The
measurements, superimposed on the topography of the surface, return the map of the
90
91
voids below buildings and roads. After detecting all the easily accessible tunnels, explorations are going slowly on. It’s possible to access new galleries for the reliefs only after
appropriate drilling, as they are inaccessible because of landslides and collapses.
The report, after a brief geological setting of the area, describes the history of speleological exploration activities, the topographical techniques used and the reliability of
the results, concluding with a proposal: some of the galleries, if intact and safe, are
susceptible of a touristic use of industrial archaeology and might thus become a small
resource for the community.
Sono stati trovati cenni alle cave in due pubblicazioni esistenti nella biblioteca ABMC:
Tratto da “Cripte ed Eremi Medievali”
di Francesco Maria Ponzetti
…
5. - Il luogo della cripta o cappella di San Tommaso fuori le
mura è indicato nella nostra cartina (Fig. 1) col n. 4, presso
la strada di Santeramo, a circa due chilometri da Altamura
e a settentrione della villa Sabini. Il luogo sacro dette il
nome alla contrada fin dall’inizio della vita comunale, ma
le notizie della chiesa o cappella sono scarse, poco chiare, e
sufficienti più che altro ad attestarne l’esistenza per i secoli
XIll-XVI.
Key words
Cavità artificiali, miniere, sinkhole, rilievo ipogeo, calcarenite, tufo, dedalo, labirinto, rischio.
Artificial cavities, mines, sinkholes, hypogeal relief, calcarenite, tuff, maze, labyrinth,
risk.
Cenni storici e notizie bibliografiche
Le “grotte di San Tommaso” sono state saltuariamente oggetto delle esplorazioni del
CARS fino al 2003. È un’unica immensa (forse 20 km) rete caveale per l’estrazione
di materiale da costruzione (conci di tufo e tufina), realizzata nello strato di calcarenite giacente fra i 10 e i 20 metri al di sotto del piano di campagna.
Il dedalo sotterraneo percorre una vasta zona della periferia a nord est dell’abitato
di Altamura.
92
Nel processo del 1299, piu volte citato, l’ottuagenario
Stefano di Nicola Mancio di Acquaviva depose che
suo suocero (sic) “tenebal campum suum iuxta ipsam
terram Altamure in loco ubi est ecclesia S. Thomasii”(1).
A fol.38 del volume della Santa visita fatta da mons.
Rossi il 1 settembre 1505. è ancora menzionata come
cappella S. Thomasii extra menia.
Di recente, nel 1900, il Di Cicco la ricordò
nell’articolo su Altamura esprimendosi così: “Un
truddo che è posto nella prossimità della sotterranea
chiesa di S. Tommaso è di proporzioni grandiose
e antico. In alcune carte della prima metà del sec.
XIV si fa menzione che veniva adibito per uso di
cappella: per adattarlo a tale uso ne ampliarono la
porta, rifacendola a fabbrica. Al presente vi tengono
la paglia”. Ma è esatto tutto questo? Quali sono e
dove si trovano le carte trecentesche che parlano
di S.Tommaso? L’articolista non Io dice, nè mi è
riuscito di trovarle; la notizia è tuttavia interessante,
e, anche se incerta, merita considerazione.
Il gruppo di sotterranei e il maestoso trullo di S.
Tommaso sono al centro della contrada omonima. Alcuni
chiamano quei sotterranei grotte di S. Antonio ed altri
del Sacramento, ma tutti sono d’accordo nell’indicarle
genericamente come grotte di S. T ommaso.
Si accede al campo dov’esse si trovano dalla strada
pubblica (fig, 14) e attraverso un arco poco importante
(H). Ad una quindicina di metri si erge la bella mole
del trullo (A), vicino al quale ha inizio la breve e ripida
scarpata (B) che conduce al primo recinto scoperto
(C), sul quale si aprono varie stanzette ben squadrate
e ricavate nel tufo del sottosuolo. Da queste si passa ad
un secondo recinto (F) e quindi ad un terzo (G), dopo
il quale non vi è che una grande cava di tufi, per chiari
segni dovuta al secolo passato.
Tralasciando perciò quest’ultima parte e limitando
l’osservazione al primo recinto (C) e ai sotteranei
adiacenti, notiamo che all’ingresso e sopra una porta,
a circa due metri dal suolo, sono rozzamente scolpite
due croci patriarcali a doppia traversa, mentre più
oltre, in una piccola edicola, è dipinta una immagine
di S. Antonio da Padova.
Delle vicine camerette solo quelle segnate D ed
E conservano avanzi di pitture murali. Si tratta di
decorazione semplice e geometrica; però nel vano o
cappelletta E, nell’alto deI muro centrale, è dipinto
un Ostensorio col SS. Sacramento fra due candelieri.
Il genere delle pitture e del disegno è’settecenesco, e la
rappresentazione del SS. Sacramento non è che una
evidente ripetizione dell’omaggio fatto in occasione
della peste del 1657, simile ai tanti che possono
ancora vedersi su molti edifici di Altamura (1).
La camera segnata D, a differenza di tutte le altre, ha
una volta a botte manufatta, di epoca probabilmente
anteriore alle pitture che l’adornano; ma tanto questo che
gli altri sotterranei non offrono altri elementi per un’esatta
valutazione della loro antichità, essendovi tracce soltanto
generiche della vita ivi svoltasi nel tempo passato.
Su questo complesso sotterraneo si eleva il così detto
trullo (fig. 15), alto circa 7 metri, rotondo (fig. 14-A)
e dai muri potenti che si assottigliano verso l’alto,
rifinito all’interno e di scura pietra all’esterno,
con una porta, due finestre e una grande terrazza
sull’ingresso.
L’opera, dalla struttura e dalle nervature che la
cingono all’esterno orizzontalmente a mezz’altezza e
in cima, eguali a quelle che corrono lungo le antiche
mura altamurane della fine del Duecento, oltre che
per la forma arcaica di cono regolare, simile più agli
antichi nuraghi di Sardegna che ai trulli locali del
sec.XVII, può ritenersi duecentesca e riferibile alla
citazione di Stefano Mancio nel processo del 1299, e
conforme all’opinione del Di Cicco.
Si osservi ora la terrazza a balcone: essa appare, come fu
bene notato, posteriore al resto sia per l’evidente innesto
sulla costruzione precedente, che oltre tutto richiese
l’ampliamento del muro anteriore, sia per i particolari
stilistici, specialmente le cornici, non intonati al resto
della primitiva costruzione. Il muretto a balaustra, la
porta con superiore finestra ovale, i modiglioni a teste
mostruose simili a quelli che sorreggono l’edicola di
S.Michele (Fig.3) e piccole feritoie per armi da fuoco,
provano a sufficienza che questa parte fu aggiunta nel
sec. XVII, forse per volontà di quelli stessi che federo
abbellire i sotterranei. E della stessa epoca sarebbero
le feritoie malamente ricavate in alto nel muro
dell’edificio, per servire al piano superiore che si era
ottenuto con un tavolato a livello del terrazzo.
Da quanto si è detto non è dimostrato però che il
trullo sia stato in origine chiesa o cappella, tanto
più che i particolari del rifacimento seicentesco
inducono piuttosto a credere nella trasformazione,
non di una cappella, ma di un trullo di abitazione
in una torre dì guardia. Resta dunque accertata, ma
non definitivamente individuata, l’antica chiesa di
S.Tommaso, a meno che non la si voglia ritenere
semplice cappella, secondo la dizione ufficiale del 1505,
e identificarla con uno dei sotterranei sopra descritti.
Quanto poi alla cura di questa cappella non abbiamo
alcuna notizia, fatta eccezione delle due croci scolpite
che ricordano il rito greco; e però, data la sua distanza
dal paese, sembra logico che sia stata officiata da
qualche ecclesiastico ivi dimorante, e per il periodo
più antico, sec. XIII-XIV, da eremiti di S.Basilio…
93
Tratto da CRSEC
Insediamenti rupestri di Altamura
San Tommaso
La località di San Tommaso, nota anticamente
anche con il toponimo di Lama buccerii (lama del
macellaio), si estende a destra della strada provinciale
Altamura-Santeramo, a circa 2 Km. dall’abitato.
Fu frequentata dall’uomo fin dal VI secolo a.C. e la
presenza di una vasta necropoli, in parte riutilizzata
anche in età cristiana, ne è testimonianza.
L’area archeologica è stata depauperata fin dal XVIII
sec. Infatti neI 1797, mentre si spianava una strada
per permettere ai reali borbonici di giungere più
agevolmente ad Altamura, furono portate alla luce
alcune tombe con il loro corredo funerario. Un vaso, tra
quelli più belli rinvenuti, fu poi donato alla regina Maria
Carolina e al principe ereditario che l’accompagnava.
La zona è ricca di cavità scavate pazientemente
dall’uomo: alcune hanno un andamento piano, altre
costituiscono un vero e proprio labirinto, aprendosi
su grandi cave di tufo che per secoli, soprattutto nel
Medioevo, hanno fornito la materia prima per la
costruzione di numerosi edifici della vicina città.
Alcune grotte presentano ancora tracce di
decorazioni parietali, probabilmente riconducibili
alla chiesa dedicata al Santo eponimo della contrada
e le cui prime notizie documentarie risalgono al 1299.
Al complesso ipogeo si accede dalla strada pubblica,
oltrepassando un piccolo arco.
A poca distanza si trova un grandioso trullo e subito
dopo inizia una ripida discesa che conduce ad un
recinto scoperto. Sulle sue pareti si aprono i primi
ambienti di forma regolare, scavati nel banco tufaceo
da cui si passa in altri due spazi aperti, l’ultimo dei
quali porta alla cava.
Sul primo recinto si affaccia una grotta il cui ingresso
è segnato da due croci a bracci uguali, mentre in una
piccola edicola si intravedono i labili segni di una
immagine di Sant’Antonio da Padova.
Le altre cavità presentano una decorazione parietale
di forma geometrica e i resti di un dipinto che
raffigura un ostensorio tra due candelieri. I soggetti
raffigurati e le modalità di esecuzione rimandano alle
caratteristiche dell’arte del XVII secolo.
Sul complesso sotterraneo di San Tommaso domina
un maestoso trullo, in parte crollato per incuria
e abbandono. Chi lo ha studiato nel passato, lo
descrive come una costruzione in pietra alta circa 7
metri, di forma circolare, con muri possenti che si
assottigliano verso l’alto, munito dì una porta, due
finestre e una terrazza che sovrasta l’ingresso.
La costruzione, nonostante le parti crollate,
mostra ancora la presenza di feritoie ed era dotata
di modiglioni scolpiti con teste mostruose (oggi
scomparsi). La divisione dell’interno in due piani
rivela la trasformazione funzionale dell’edificio in
una torre di controllo del territorio circostante.
Difficile determinarne l’epoca di costruzione, che
secondo alcuni studiosi dovrebbe collocarsi nel
XIII secolo.
Dalle pubblicazioni citate il periodo di inizio dello sfruttamento delle cave potrebbe
risalire al medioevo. La mancanza di documentazione fotografica e mappe delle
gallerie porta a pensare che siano state abbandonate progressivamente nei primi
decenni del 1900.
Attualmente gli ingressi originari sono crollati o ostruiti e quindi risulta difficile
l’accesso alle gallerie e una stima della reale estensione.
I rilievi e le esplorazioni recenti
1992
Le prime esplorazioni speleologiche documentate risalgono al 1992, quando Francesco Del Vecchio, scese tramite un foro di trivellazione ad esplorare, rilevare e
94
fotografare tratti di gallerie intercettate sotto il cantiere di un edificio in costruzione
lungo la Via di Cassano (documentazione fornita dal geologo Pietro Pepe).
1998
Le esplorazioni proseguirono sporadicamente negli anni ’90, ad opera di speleologi del CARS. Nel 1998 la visita ad alcune gallerie fu inclusa nel programma delle
escursioni relative al corso di introduzione alla speleologia che il CARS organizza
ogni anno. In quella occasione si ebbe modo di notare il vivo interesse che il percorrere queste gallerie suscita in chi si avvicina al mondo sotterraneo.
Negli anni seguenti le gallerie diventarono inaccessibili: alcuni accessi (in realtà
zone di crollo) vennero chiusi dai proprietari dei fondi interessati, altri tratti rimasero a lungo inondati da perdite fognarie.
2003
A settembre del 2003, dopo un lungo periodo di siccità, l’attenzione degli speleologi
cadde su un ingresso posizionato lungo Via La Carrera all’altezza del prolungamento dell’antica Via Port’Alba.
In questa zona sono presenti evidenti murature e rampe per l’accesso “antico” alle
gallerie, su una chiave di volta è inciso l’anno 1898. Il punto da cui si è riusciti ad
accedere alle gallerie è un sinkhole nel quale si abissa il torrente che raccoglie le
acque meteoriche provenienti da Via Bari e Via Mura Megalitiche.
Da subito ci si è trovò davanti ad un dedalo di gallerie in cui è facile perdere l’orientamento. Utilizzando tecniche di rilievo speleologico speditivo, materializzando
con targhette numerate gli spigoli/vertici di poligonale, dopo diverse giornate di
misurazione, fu realizzata una mappa della topografia sotterranea che sovrapposta alla topografia superficiale della zona esplorata evidenziò la sovrapposizione di
alcune gallerie sotto un cantiere edile in fase di allestimento per la realizzazione
di un impianto sportivo. Inoltre in una zona delle gallerie si erano notati enormi
crolli e dissesti delle gallerie causati probabilmente dall’esiguo spessore del banco di
calcarenite unito alle vibrazioni dovute allo scavo delle fondamenta degli edifici soprastanti. Grazie alla tempestiva segnalazione del CARS e alla successiva verifica dei
vuoti con carotaggi campione si fornirono al cantiere dell’edificio preziose indicazioni sulla natura del sottosuolo che ad una prima indagine geologica effettuata con
metodi geofisici, non aveva dato indicazioni di vuoti o discontinuità di materiali.
Si ebbero in seguito notizie che i progettisti demolirono parte delle fondazioni
realizzate e ripresero gli scavi fino a superare i vuoti e fondare la costruzione sulla
base delle gallerie.
Nei mesi successivi a queste prime esplorazioni, oltre ai lavori edili di demolizione
delle volte pericolanti, si sono verificati grossi eventi meteorici con importanti arrivi
di acque piovane all’interno del sistema di gallerie che hanno rallentato e scon95
sigliato l’accesso alle gallerie e la continuazione della campagna esplorativa degli
speleologi che nella zona si è ridotta ai minimi termini.
2006 marzo
Nella primavera del 2006 a marzo, a circa 300 metri dall’accesso percorso nel 2003
dagli speleologi, nella zona di Parco Pepe nei pressi di Via Di Vagno, un improvviso
sinkhole inghiottì un giardiniere che stava percorrendo a piedi un fondo comunale
facendolo precipitare per alcuni metri. Il collega che era a pochi metri da lui diede
l’allarme e l’immediato intervento dei Vigili del Fuoco liberò il giardiniere malcapitato uscito illeso dall’incidente.
2006 ottobre
Essendo il suolo in cui era avvenuto il sinkhole di proprietà comunale e vista la
pericolosità del fenomeno l’Ufficio Tecnico di Altamura, informato dal CARS della
possibile presenza di cavità sotterranee, dispose accertamenti e sopralluoghi interessando geologi di fiducia esperti in cavità sotterranee. I geofisici incaricati delle
indagini e della caratterizzazione dei siti richiesero l’intervento di speleologi per il
rilevamento della topografia sotterranea delle cavità da incrociare con i dati rivenienti dalle indagini geofisiche al fine di consentire la corretta taratura delle strumentazioni geofisiche ed in alcuni casi la verifica puntuale delle anomalie registrate;
Il CARS fu quindi incaricato ufficialmente dal Comune di Altamura del rilievo
della topografia dei vuoti sotterranei nella zona degli sprofondamenti, denominata
“Grotta dei Tufi”, e della vicina località “Chiancone”, di prossima urbanizzazione.
Tramite sovrapposizioni di mappe degli anni ‘50 e indagini geologiche e rilievi degli
anni ‘70 si riuscì a tracciare il perimetro di una antica cava a cielo aperto presente
nella zona di Parco Pepe; l’areale individuato è certamente privo di cavità ed è tangenziale al sinkhole di Via Di Vango. L’accesso alle gallerie venne messo in sicurezza
con lavori di movimento terra realizzando una rampa che percorre l’areale della ex
cava a cielo aperto e garantendo quindi un accesso sicuro agli speleologi per i successivi rilievi delle gallerie.
A conclusione dei rilievi venne consegnata all’UTC la mappa dei vuoti sotterranei
della zona denominata “Grotta dei Tufi” mentre per le cavità presenti in località
“Chiancone”, già percorse ed esplorate nel 1998, non fu possibile l’accesso in quanto
enormi crolli ne ostruivano l’ingresso.
Anche in questo caso i rilievi evidenziarono delle zone “critiche”: una grande sala
sotterranea con un pilastro centrale cadeva esattamente al di sotto di una villetta di
Parco Pepe. Si hanno notizie non maggiormente dettagliate che il proprietario, grazie alle informazioni del CARS, ha proceduto alla bonifica della cavità e la messa in
sicurezza della sua abitazione riempiendo il vuoto con miscele di cemento studiate
da tecnici e geologi spendendo una cifra superiore a 100.000 euro.
96
Nei mesi successivi alla presentazione dei risultati della topografia sotterranea della
zona di Parco Pepe, alcune ditte di costruzione, interessate alla edificazione di lotti
di terreno compresi nella zona con probabile presenza di cavità, insieme ad alcuni
geologi professionisti iniziarono ad interessarsi ai rilievi ed alle esplorazioni effettuate dal CARS, chiedendo informazioni su lotti di terreno vicini alle zone esplorate.
Gli speleologi si resero rapidamente conto che le informazioni geometriche e topografiche acquisite sono solo una parte delle informazioni che insieme a indagini
geofisiche e dirette possono dare una visione corretta del fenomeno ed indicazioni
esatte a ditte di costruzione e tecnici interessati. Tramite il geologo Pietro Pepe,
socio del CARS, si cominciò a realizzare una banca dati dei i rilievi speleologici
effettuati che venne messa a disposizione dei tecnici interessati e dell’UTC.
2007 marzo
29 marzo 2007 - Voragine a Gallipoli
Nella notte del 29 marzo 2007 si apre una voragine con
un diametro di dodici metri per sei metri di profondità
a Gallipoli in via Firenze ad angolo con via Galatina, che
inghiotte 3 automobili e tiene banco su tutti i notiziari
nazionali per diversi giorni. Il fenomeno, originato
anche qui da una cava di tufo in miniera, “dimenticata”
ha riguardato lo spigolo di una palazzina di tre piani,
fatta sgomberare assieme ad altre quattro la stessa sera
del primo crollo e la mattina successiva.
2007 aprile
La notizia della voragine di Gallipoli portò il livello di attenzione della comunità e
dell’ente sulle gallerie di tufo di Altamura ai massimi livelli. A fine aprile del 2007,
una ditta privata, nell’ambito di una campagna di indagini geofisiche miranti alla
caratterizzazione del suolo di proprietà prossimo alla edificazione effettua l’allargamento di una depressione simile ad un sinkole presente da diversi anni nel proprio
fondo distante circa 120 metri in direzione NNO dall’ingresso alle gallerie di Via
La Carrera già citato nella presente relazione ed esplorato del 2003. L’allargamento
conferma i sospetti degli speleologi e dei geologi, la depressione è un accesso alle
gallerie. La zona viene messa in sicurezza e preparata una rampa idonea all’accesso,
gli speleologi si addentrano nelle gallerie effettuando anche qui rilievi topografici e
fotografici. Il sistema di gallerie si rivela isolato e non interamente percorribile per
la presenza di alcuni crolli.
2007 maggio
Il 7 maggio 2007 il geom. Martimucci con l’ing. Biagio Maiullari dell’UTC di Altamura insieme al comandante dei Vigili Urbani Avv. Maiullari, in Via Barcellona
all’altezza del civico 4 e 6 constatano la presenza di una voragine aperta nell’asfalto
97
della strada mettendo in luce un baratro di circa 20 metri di profondità. Gli speleologi del CARS (Martimucci), alla luce dell’esperienza acquisita e della pluriennale conoscenza del sottosuolo della zona, formulano la spiegazione sulla causa del
crollo: la volta di una galleria delle “Grotte di San Tommaso” ha ceduto, e, successivamente, gli strati di argilla soprastante sono stati inghiottiti nel vuoto creatosi,
aprendo un varco verso la superficie. La voragine si estende anche sotto le fondamenta di una villetta bifamiliare che viene subito sgomberata.
Nelle ore successive il Comune di Altamura coordina le operazioni di protezione civile. Il sindaco Mario Stacca, con grande celerità e tempestività, costituisce un’unità
di crisi formata da geologi, ingegneri, speleologi del CARS e del Soccorso Alpino
e Speleologico Pugliese. L’unità di crisi immediatamente monitora la situazione e
provvede a prendere le decisioni opportune. Con l’intervento dei Vigili del Fuoco
la mattina successiva si tenta di ispezionare il sinkhole. Uno speleologo del CARS
(Giovanni Ragone) insieme ad un pompiere vengono calati con tecniche speleologiche all’interno della cavità per individuare eventuali prosecuzioni e/o direzioni
di sviluppo della stessa. Purtroppo non è possibile raggiungere il livello della rete
caveale per l’ingente accumulo di argilla dovuta al crollo e per l’eccessiva franosità
delle pareti. Fallito questo tentativo di ispezione si effettua un rapido sopralluogo
nelle gallerie di tufo con accesso dalla vicina cava ex Manfredi nella speranza di
intercettare la galleria crollata e quindi avere contezza dell’entità del fenomeno in
atto. Anche in questo caso le gallerie risultano inaccessibili e la condotta che passa
sotto Via Barcellona e che ha provocato la grande voragine non viene trovata.
Due giorni dopo, su indicazione dell’unità di crisi, la voragine viene completamente riempita con conglomerato cementizio, scongiurando così il rischio di crollo
delle abitazioni vicine. Per il riempimento della voragine vengono impiegati 500 mc
di cemento realizzato con opportuni additivi. Durante le operazioni di riempimento, sospendendo il pompaggio a intervalli periodici, uno speleologo CARS viene
calato nella voragine per verificare e filmare la disposizione del cemento e la tenuta
delle pareti. Nelle settimane successive, la ditta Apogeo esegue indagini geofisiche
e trivellazioni per individuare altri vuoti nel sottosuolo e scongiurare la presenza di
ulteriori situazioni di emergenza immediata.
Al fine di completare il quadro conoscitivo delle indagini geologiche, nel mese di
maggio 2007, gli speleologi del CARS effettuano i rilievi delle gallerie con accesso
dalla vicina cava ex Manfredi (le più vicine alla voragine di Via Barcellona) aggiungendo ulteriori informazioni al quadro conoscitivo della rete caveale ed evidenziando due situazioni “a rischio”: un tratto di Via Parigi e un tratto di Via Barcellona
con evidente presenza di vuoti sotterranei.
gallerie parzialmente rilevato nel 2003 oramai inaccessibile dal sinkhole di Via La
Carrera a causa dell’intervento edilizio di costruzione dell’impianto sportivo.
Viene collaudata e realizzata una tecnica nuova per l’accesso in sicurezza alle cavità:
con una serie di trivellazioni si intercetta nei pressi dell’incrocio di Via Bari con Via
Mura Megalitiche la rete caveale parzialmente rilevata nel 2003. Il foro di trivella da
200 mm profondo 19 metri viene allargato tutto con un foro da 1000 mm e nella
parte iniziale (i primi 5 metri che attraversano strati non compatti di calcarenite e
argilla) con un foro da 1200 mm successivamente incamiciato con anelli in cls chiusi con un tombino e lucchetto. Sulla bocca del pozzo artificiale realizzato si monta
un cavalletto di tipo edile per l’attacco delle corde e la discesa con tecniche speleologiche. A poca distanza viene effettuato un secondo pozzo gemello per garantire
un accesso alternativo alle gallerie.
La prima discesa è molto prudente, non si conosce lo stato di salubrità dell’atmosfera presente nelle gallerie che essendo inaccessibili e poco ventilate potrebbero
contenere CO2 gas nocivo, lo speleologo viene calato con un doppio sistema di
sicurezza per garantirne il rapido recupero in caso di malore.
Verificata la salubrità dell’atmosfera si inizia subito l’esplorazione ed il rilievo topografico che restituisce anche in questa zona preziose notizie per la caratterizzazione geologica dell’area. Una galleria rilevata attraversa integralmente Via Bari e
prosegue fino a lambire Via Vecchia Buoncammino dove termina. I lati nord e est
delle gallerie risultano per buona parte colmi di fanghi probabilmente trasportati
dall’afflusso di ingenti quantità di acque piovane.
2007 giugno
Giugno 2007
La rivista Free (giugno 2007) dedica ampio spazio
alle notizie riguardanti le voragini di Altamura in cui
sono intervenuti speleologi del CARS ed alle attività di
bonifica e mitigazione del rischio in atto.
Il Magazine di Informazione e Cultura FREE nato nel
2001 nella città di Altamura (Bari) e con una importante
tiratura di copie.
2007 giugno
A Giugno 2007 si rende necessario completare il rilievo e l’ispezione del sistema di
98
99
2007 luglio
All’indomani dei lavori di mitigazione del rischio idrogeologico riscontrato in
Via Barcellona l’Autorità di Bacino della Basilicata territorialmente competente, in concerto con l’Amministrazione Comunale provvede, mediante l’aggiornamento del PAI (Piano di Assetto Idrogeologico), ad una prima perimetrazione della zona a rischio cavità, classificando la stessa in parte come Area a
Rischio Medio (R2) e in parte come Area Soggetta a Verifica (ASV) il tutto con
Deliberazione del Comitato istituzionale dell’Autorità di bacino della Basilicata
aggiornamento (Anno 2007), approvata il 20.07.2007, e vigente dal 13.08.2007,
data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
nante con Via Le Fornaci. Anche qui l’accesso al sistema sotterraneo avviene
percorrendo pozzi artificiali verticali. Viene rilevato anche qui un sistema di
gallerie in avanzato stato di degrado e collasso che in alcuni casi attraversa
zone con presenza di numerosi pali in cemento armato del tipo per le fondazioni di civili abitazioni. La zona più a rischio è una parte di gallerie che
attraversa la vicina Via Le Fornaci aperta al transito di veicoli e prospiciente
diversi edifici abitati.
2007 novembre
L’ultimo rilievo precedente alla presente relazione è stato realizzato a novembre
2007 (circa dieci giorni fa). I lavori di sbancamento effettuati da una ditta privata hanno riaperto l’accesso alle gallerie esplorate nel 1998 in località chiancone. Le gallerie sono state parzialmente rilevate e fotografate, in alcune zone si
presentano in buono stato di conservazione mentre in altre sono completamente sommerse ed impercorribili da fanghi di natura argillosa e terreno agricolo
provenienti dall’esterno, oltre a zone di evidente sprofondamento.
Tecniche di rilievo speleologico
La frequenza e il numero di rilievi e documentazione fotografica realizzate dal
CARS ha seguito un aumento di esponenziale nel corso di quest’ultimo anno
2007.
Grazie a continue sperimentazioni ed innovazioni tecniche si sono provati i più
disparati metodi di rilievo giungendo oggi ad una procedura di rilievo perfezionata in grado di essere collaudata e revisionata che sicuramente sarà migliorata
in seguito.
Ad oggi sono stati rilevati, fotografati e topografati 7 chilometri di gallerie. Esse
corrispondono ad una enorme mole di attività estrattiva: circa 200.000 metri
cubi di materiale da costruzione cavato. Si presume che l’estensione totale della
rete possa essere almeno il doppio di quella individuata finora.
2007 luglio
A luglio 2007 due fori di indagine necessari per verificare anomaile geofisiche
raggiungono zone con presenza di gallerie nella zona di Parco Pepe confinante
con Via Cassano. Si esplora ormai con la nuova tecnica collaudata della trivellazione e realizzazione di pozzi artificiali di accesso. Vengono rilevate due piccole
gallerie oramai quasi completamente riempite da fanghi di natura argillosa e
terreno agricolo.
2007 settembre
A settembre 2007 fori di indagine necessari per verificare anomaile geofisiche raggiungono zone con presenza di gallerie in un terreno privato confi100
Nel dettaglio degli anni abbiamo:
2003 - 7 rilievi - 1130 metri di poligonale - 99 target
2006 - 4 rilievi - 611 metri di poligonale - 76 target
2007 - 19 rilievi - 5.560 metri di poligonale - 643 target
2008 - 9 rilievo - 2.100 metri di poligonale - 259 target
2009 - 8 rilievi - 1.900 metri di poligonale - 316 target
Le tecniche di rilievo utilizzate sono state con il tempo perfezionate e migliorate rispetto ad un normale rilievo speleologico speditivo.
101
Bussola Recta DP10 - BUSSOLA PRISMATICA
Con la lettura diretta attraverso i prismi ottici vengono eliminati i possibili errori di parallasse che si hanno con le comuni bussole ad ago magnetico e specchio ribaltabile.
La rosa dei venti è immersa in un liquido ammortizzatore ad olio e ruota
su di un supporto di zaffiro che riduce al minimo l’attrito.
La bussola in questo modo può essere impiegata come teodolite per semplici misurazioni o rilievi topografici.
Goniometria di precisione con lettura ottica prismatica (precisione 0,5°).
Inclinometro elettronico tipo BOSCH
Indicazione in gradi (°) con visualizzazione del decimo di grado e accuratezza a 2 decimi di grado
Strumentazione utilizzata:
Disto leica laser visibile (distanze con accuratezza a 5 mm)
Bussola analogica accuratezza 1°
-Inclinometro digitale accuratezza 0,2°
Target numerati progressivamente (vertici di poligonale)
- Macchina fotografica digitale ad alta risoluzione (10 Mpx)
Abstract
Composizione squadra di rilievo
4 speleologi rilevatori + 1 fotografo in galleria
- 1 speleologo a presidiare l’ingresso
Hanno partecipato e collaborato ai rilievi e alla documentazione fotografica
Antonio Denora
Pietro Pepe
Giuseppe Olivieri
Angelo Martoccia
Vito Giustino
Salvatore Cagnazzi
Angela Cornacchia
Vito Borneo
Adriano Fasano
Nino Reale
Pasquale Berloco
Samantha Santarcangelo
Serena Santarcangelo
Angela Clemente
Lorenzo Natrella
Roberto Lascaro
Nunzia Pentimone
Roberto Farella
Michele Parisi
Erwan Gueguen
William Formicola
Antonella Marroccoli
Costanza Chierico
Carlo Carretta
Angelo Squicciarini
Tania Ruggieri
Filippo Cristallo
Prudenza Berloco
Ciononostante resta da dire che in alcune zone le gallerie si trovano in perfetto stato e potrebbero essere salvaguardate in quanto potenzialmente suscettibili di una fruizione turistica, sicuramente rientrante nell’ambito dell’archeologia mineraria. Non di minore importanza sono
gli aspetti biospeleologici: nella rete caveale si è costituito, nel tempo, un vero e proprio ecosistema ipogeo con fauna troglofila, didatticamente interessante per l’educazione scientifica.
E, ancora, interessante sarebbe il confronto del clima ipogeo con quello epigeo, soprattutto in
occasione di giornate di forte calura.
102
THE EVENT OF THE 07.05.2007 IN BARCELLONA’S STREET, ALTAMURA
CARS’S CONTRIBUTION ON THE INTERVENTION’S STRATEGIES OF EVALUATION CONNECTED RISK (BARI PROVINCE, PUGLIA)
Giuseppe Spilotro1, Vito Specchio2, Pietro Pepe3
1
Università degli Studi della Basilicata
2
Sogesid S.p.A.
3
Apogeo Soc.Coop. arl
Telemetro laser Disto A3.
precisione dei rilevamenti tipica ±1,5 mm
Portata su superfici naturali da 0,05 a 100 m
Giovanni Ragone
Vito Tragni
Silvana Magni
Marco Pallotta
Giovanni Dinardo
Vito Sardone
Nunzia Lorusso
Vincenzo Martimucci
Paolo Carlucci
Nicola Dinardo
L’EVENTO DEL 07.05.2007 DI VIA BARCELLONA, ALTAMURA
IL CONTRIBUTO DEL CARS ALLE STRATEGIE D’INTERVENTO DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO CONNESSO (PROVINCIA DI BARI, PUGLIA)
Il contributo affronta le problematiche connesse alla presenza di un esteso sistema
di vecchie cave di calcarenite realizzate in sotterraneo e a nord-est del centro urbano
di Altamura. Attualmente l’espansione urbanistica del paese verso tale area compromette ulteriormente la già precaria stabilità delle cave provocando sprofondamenti e
voragini diffusi e determinando rischi per l’incolumità soprattutto delle persone.Tra
i diversi dissesti censiti nel tempo quello avvenuto il 07/05/2007, in via Barcellona,
ha dato inizio ad una campagna di indagini geofisiche, geologiche, speleologiche
finalizzate a fornire un primo livello di cononscenza sullo stato generale delle reti
caveali. La sinergia tra le diverse figure professionali coinvolte ha permesso di individuare un gruppo di lavoro e una metodologia d’indagini geologiche dirette e indirette in grado di implementare le conoscenze sullo stato del dissesto idrogeologico
della zona e individuare gli elementi predisponenti.
The contribution faces the problem connected to the presence of a large system of old
cave in underground realized to northeast of the urban center of Altamura. Currently the urbanistic expansion of the town toward such area increase the hazard due to precarious stability of the caves provoking sinkholes and diffused subsidence and determining above all
risks for the safety of the people. Among the different known sinkholes phenomena the one
happened on 7th may 2007, in the Barcellona’s street, gave the startup at a of geophysicalgeologic- speleologic field investigations, finalized to give a first level of knowledge of cave
distribution. The cooperation between different categories of specialist allowed to make up
a working group and to develope a methodology that starting from geophysical surveys,
recognized anomalies correlated at cavities and then, using direct investigation and speleological survey, allowed to evaluate the hydrogeologic hazard caused by underground caves
and others predisposing elements.
103
Key words
Cave sotterranee, calcarenite, sinkholes, Puglia
Underground cave, sandstones, sinkholes, Puglia
Introduzione
L’attività di estrazione in sotterraneo è stata una pratica comune e diffusa in diverse
parti della Puglia. In particolare la Calcarenite di Gravina è stata una delle rocce più
diffusamente sfruttata in Puglia e utilizzata nel campo dell’edilizia in quanto è tenera, leggera e al tempo stesso sufficientemente resistente. Tali aree di cava, per anni
dimenticate, sono state di frequente riscoperte in seguito ai fenomeni di dissesto
dovuto alla precarietà della stabilità delle cave in sotterraneo determinata oltre che
dal naturale degrado anche dai fenomeni sismici e, soprattutto, all’incidenza delle
attività antropiche di superficie tra cui l’espansione urbanistica. Questo è il caso di
Altamura dove, nonostante tali sistemi di cave abbiano costituito, nella zona e per
più secoli, l’unica sede per il reperimento di materiale naturale da costruzione, negli
ultimi 40 anni di essi si è persa traccia nella memoria degli abitanti che su queste
zone hanno in seguito costruito la propria casa. Ad Altamura, infatti, nel settore posto a nordest dell’abitato, tale tecnica di estrazione ha generato un articolato sistema
di cave sotterranee esteso per diversi chilometri nella Calcarenite di Gravina.
Il fenomeno Start-Up
La presenza di un esteso sistema di reti caveali sotterranee alla periferia del centro abitato di Altamura (BA) ha provocato l’insorgere di fenomeni di sprofondamento nelle
aree in fase di urbanizzazione rendendo necessaria l’acquisizione di conoscenze dettagliate sullo stato del sottosuolo. Uno di questi fenomeni di sprofondamento, avvenuto
il 07/05/2007 in via Barcellona (Fig. 1), ha dato inizio alle attività di ricostruzione degli
elementi strutturali d’informazione che, a vario peso, hanno consentito una prima
definizione del quadro informativo sul rischio di sprofondamento connesso alla presenza di cavità antropiche. In seguito a tale sprofondamento, che ha causato l’apertura
in via Barcellona di una voragine profonda circa 10 metri, è stata istituita e coordinata
dal responsabile della protezione civile comunale un’unità di crisi con l’obbiettivo di
organizzare un piano d’azione strategico nonché le misure d’intervento di urgenza per
la mitigazione del rischio. Un valido supporto tecnico è stato dato dal CARS (Centro
Altamurano Ricerche Speleologiche) che, in sinergia con l’unità di crisi, ha collaborato
nei processi decisionali grazie ad una concreta fusione di un duale livello informativo
tra le prospezioni indirette, di tipo geofisico e la verifica diretta attraverso il rilievo speleologico. Con le indagini geofisiche (Fig. 2) è stato possibile eseguire un rilievo non
invasivo delle non escludibili instabilità all’intorno della voragine attraverso l’interpretazione delle anomalie registrate nell sottosuolo. Queste sono state in seguito verificate
dagli speleologi del CARS con un’attività di rilievo diretto delle cavità antropiche presenti in prossimità dell’area in fase di collasso e accessibili tramiti ingressi orizzontali
104
ubicati nei pressi dell’area a rischio. Sono stati eseguiti inoltre i primi controlli sui
volumi di “terreno” coinvolti nel fenomeno di sprofondamento incrementando così il
grado di conoscenza del livello di rischio e permettendo di pianificare i primi interventi di mitigazione da potenziali concause. Sono stati pertanto realizzati, in prossimità
della voragine, dei cordoli di protezione per le eventuali precipitazioni (…tempi di
corrivazione); dei controlli endoscopici per la verifica del fenomeno in progressiva evoluzione a seguito dell’aumento dei volumi dell’anfratto (distacchi e crolli delle pareti
dell’anfratto) ed un sistema di monitoraggio strutturale sui fabbricati prospicienti l’area
di dissesto. La progressione temporale dei distacchi all’interno della voragine ha poi determinato un innalzamento del livello di allerta cha ha portato ad una scelta interventistica unanime, ovvero ad una “mitigazione del rischio immediato” con il riempimento
della voragine con malte cementizia e con un contemporaneo programma di monitoraggio delle operazioni. È stato avviato quindi un processo interpretativo del modello
geologico - strutturale ottenuto tramite la modellazione delle anomalie su base noise/
cavità antropica in seguito all’esecuzione di prospezioni geofisiche durante e dopo l’intervento di riempimento. Con la consapevolezza dei volumi e della “tipologia” delle
cavità, si è monitorato “l’arresto” del fenomeno di fluitazione laterale del materiale di
riempimento all’interno della cavità createsi. Con una sezione di resistività, eseguita
con metodologie geofisiche di tipo indiretto, che analizzano il comportamento di un
flusso di cariche elettriche attraverso i mezzi litoidi, si è potuto realizzare un profilo
tomografico del sottosuolo prima e dopo l’intervento di riempimento Si sono così
riscontrate variazioni delle caratteristiche delle anomalie (nelle tonalità in blu gli effetti
“conduttivi” della malta cementizia ancora “umida” in contrasto con il mezzo elettrico
inglobante resistivo) indice della presenza del materiale di riempimento nella cavità.
La ricostruzione del livello informativo di base: il quadro conoscitivo
In seguito ad un primo intervento di urgenza si è proceduto al coordinamento di una
campagna di indagini e verifiche atte a ricostruire un modello informativo di base di
tutta l’area caratterizzata dalla presenza di cavità antropiche. L’azione combinata tra le
analisi delle prospezioni e verifiche speleologiche ha permesso di mettere in risalto le
interconnessioni tra la presenza delle cavità e le influenze del progressivo sviluppo antropico in superficie (Fig. 3 e Fig. 4). Tali reti caveali, abbandonate da decenni, sono state
realizzate prevalentemente secondo la tecnica di estrazione per “camere e pilastri” ed in
un ammasso calcarenitico con le tipiche caratteristiche litologiche della Formazione di
appartenenza ovvero della Calcarenite di Gravina posta sopra la Formazione del Calcare
di Altamura e sotto le Argille Subappennine. Con le esplorazione ed i rilievi speleologici
lungo le reti caveali, sono emersi diversi casi di “bonifica personale” ovvero di riempimenti caotici eseguiti in passato probabilmente dai proprietari dei lotti ancora a vocazione agricola. Sono state, per giunta, rilevate palesi interazione con una circuitazione
idrica (Fig. 5) la cui rinvenienza è da determinare ma non da sottovalutare come diffuse
105
e importanti condizioni di pregiudizio della stabilità (Fig. 6) come delle fratture per
collasso dei pilastri, blocchi di distacco della volta e dalle pareti, franamento del sovrastante orizzonte argilloso dopo la rottura del top calcarenitico, riduzione della stabilità in
seguito alla realizzazione di fondazioni profonde a loro volta compromesse dalla presenza
dei vuoti, ecc..
Conclusione
Le valutazioni sulla dimensione dell’aspetto fenomenologico costituisce un elemento di valutazione del fenomeno verificatosi e porta temporaneamente a definire che
vi sono dei segni precursori di un cinematismo ineluttabile, dalla quantificazione
temporale assai difficoltosa, poiché interconnessa a variabili antropiche e naturali.
La valutazione del reale rischio strutturale richiede l’affinamento della modellazione
sperimentale ovvero le variazioni delle metodologie di approccio alla problematica
per definire un livello informativo geotematico in grado di individuare prevenire e
ridurre il rischio sprofondamento.
Ringraziamenti
Centro Altamurano Ricerche Speleologiche, Nunzia Pentimone, Vincenzo Martimucci
1
2
3
4
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Convegno nazionale su: Attività’estrattiva dei minerali di 2° categoria. Coltivazione, valorizzazione e normative regionali e nazionali.
106
Fig. 1 - Voragine in fase di esplorazione
Fig. 2 - Pseudosezione di resistività e modello interpretativo
Fig. 3 - Interconnessioni tra cavità ed insediamento antropico
Fig. 4 - Interconnessioni tra cavità ed insediamento antropico
Fig. 5 - Circuitazione idrica
Fig. 6 - Condizioni di pregiudizio della stabilità (fratture, distacchi…)
107
ABITAZIONI RUPESTRI E GROTTE DEI CORDARI A MONTE S. ANGELO NEL 1960
HYPOGEAN DWELLINGS AND ROPERIES AT MONTE S. ANGELO IN 1960
Giulio Cappa
Gruppo Grotte CAI-SEM Milano
Abstract
Negli anni 1959-60 il Gruppo Grotte CAI-SEM Milano (GGM) ed il Gruppo Speleologico Piemontese (GSP) svolsero due campagne di ricerche speleologiche dei fenomeni carsici nel Gargano. Durante la seconda, tre speleologi del GGM e GSP in
un paio di giorni eseguirono pure una prospezione sul trogloditismo nell’abitato di
Monte S. Angelo, allora in rapido declino e del quale perciò era urgente raccogliere
una documentazione: quasi tutte le abitazioni rupestri si presentavano già disabitate, molte addirittura distrutte, ma alcune erano state trasformate in opifici per la
fabbricazione di corde di canapa ed erano in piena attività. Gli ambienti sotterranei
offrivano infatti condizioni termoigrometriche abbastanza costanti e favorevoli alla
lavorazione delle fibre vegetali. Durante le prospezioni lo scrivente eseguì fotografie,
sia a colori che in bianco e nero, che sono rimaste finora inedite e vengono presentate per la prima volta in occasione di Spèlaion 2007.
In the years 1959-60 the speleological groups of Milan (GGM) and Turin (GSP) went to
Gargano promontory (region Apulia) with the purpose of studying the karst phenomena.
During the second campaign three cavers of GGM and GSP spent a couple of days performing a reconnaissance in Monte S. Angelo town on the troglodytic dwellings, which
were declining so that it was impelling to collect any documentation still available. The
cavities were almost all deserted, many of them even ruined, but a few were converted
to factories: inside them hemp ropes were industriously produced. The underground
environment showed temperatures and humidity sufficiently stable, propitious to the
processing of vegetable fibres. The present writer took a few pictures, both black and
white and colour, which were so far unpublished and are screened the first time during
this meeting, Spèlaion 2007.
Key words
Trogloditismo, opifici (corderie) sotterranei, misure di temperatura e umidità
Troglodytism, underground factories (roperies), temperature and humidity measurements
108
109
Premessa
Come è noto, il concetto di “Speleologia nelle cavità artificiali” è molto recente: la SSI diede vita alla Commissione
Nazionale Cavità Artificiali in occasione
del “Convegno sul sottosuolo dei centri umbri”, svoltosi a Narni nel 1981. In
realtà, però, alcuni speleologi avevano
iniziato a studiare già da molti decenni anche le cavità di origine antropica,
esplorandole, descrivendole, rilevandole
e ricostruendone la storia. Valga a tale
scopo ricordare un esempio: in Lombardia, provincia di Varese, la prima cavità
iscritta nel Catasto delle Grotte d’Italia
fu l’Antro delle Gallerie, antica miniera (probabilmente medievale) da cui si
estraeva una sabbia silicea che permetteva di produrre vetro di buona qualità. A
parte i lavori pubblicati, non è facile rico- Fig. 1 - Posizione delle abitazioni rupestri di Monte
struire una storia delle ricerche sulle cavità S. Angelo, sotto la panoramica (dalla carta 1:1.000
del 1960; la numerazione corrisponde a quella del
artificiali, anteriori alla costituzione della taccuino: vedi testo).
Commissione e Catasto sopra menzio- Position of the troglodytic dwellings in Monte
nati, e in genere è difficile per gli speleo- S. Angelo, below the scenic ring road (1:1˙000
town map, year 1960; numbers conform with the
logi odierni l’accesso alla documentazio- notebook: see text).
ne stampata numerosi decenni fa.
Negli anni 1959-1960 il Gruppo Grotte
Milano (GGM) ed il Gruppo Speleologico Piemontese (GSP) svolsero due campagne
di ricerche speleologiche, rivolte essenzialmente allo studio dei fenomeni carsici nel promontorio del Gargano. Poiché la relativa documentazione apparve nei primi anni ’60
su riviste assai difficilmente oggi reperibili, a S. Giovanni Rotondo, in occasione di
Spèlaion 2003, lo scrivente presentò una memoria (Cappa, 2004) che riassumeva i risultati conseguiti e documentava la corrispondenza allora scambiata con l’indimenticabile
e stimatissimo prof. Franco Anelli.
Le prospezioni nelle abitazioni trogloditiche di Monte S. Angelo
Durante la campagna 1960, tre speleologi del GSP e del GGM (Beppe Dematteis,
Carla Lanza,
Giulio Cappa) eseguirono anche alcune rapide ricognizioni negli ambienti troglo-
110
Fig. 2 - Posizione di due abitazioni (quadratini) e due corderie ipogee (rettangoli) nella zona di Largo
Urosio.
Position of two dwellings (little squares) and two hypogean roperies (rectangles) near Urosio square.
ditici di Monte S. Angelo e dintorni: durante la mattinata del 29.12.1960 nell’area
(Fig. 1) sottostante la circonvallazione panoramica meridionale, appena realizzata,
che aveva distrutto buona parte del più antico nucleo abitativo, anteriore all’anno
1000. Il giorno seguente visitarono i ruderi dell’Abbazia di S. Maria di Pulsano e gli
ipogei del Santuario di S. Michele Arcangelo. La mattina del 31.12.1960 procedettero
alla prospezione degli insediamenti trogloditici del rione Fosso (Fig. 2 - zona nord
est della città), presso Largo Urosio, comprendente alcune abitazioni e due lunghe
cavità nelle quali si svolgeva la produzione di cordami. Altre abitazioni, in buona
parte ormai disabitate, furono visitate nella campagna circostante il centro urbano,
nei giorni successivi.
La città di Monte S. Angelo era nota in Italia per la diffusione del trogloditismo
urbano, installatovi già ben prima del 1000, quando il Santuario di S. Michele Arcangelo era divenuto il polo di irradiazione del culto micaelico in Italia e in buona
parte dell’Europa centro-settentrionale. Nell’Italia moderna dei secoli XIX e XX il
trogloditismo appariva come una macchia, un disonore; la popolazione reclamava nuove case costruite in elevato e le abitazioni ipogee venivano appena possibile
abbandonate: si voleva cancellarne la storia e le distruzioni prodotte per tracciare
nuove strade moderne (panoramiche) erano classificate come un progresso.
Consapevoli che, invece, come gli studi successivi hanno più tardi dimostrato, il
111
trogloditismo fu un periodo lungo e fecondo di opere d’arte, era nostra intenzione
documentare quelle tracce che stavano per scomparire.
A seguito delle prospezioni eseguite fu stesa una relazione che apparve sul Bollettino
della Società Geografica Italiana (Lanza & Cappa, 1962). Si riportano ora gli stralci
delle zone visitate nella carta 1:1000 di Monte S. Angelo (Fig. 1 e Fig. 2), i rilievi
allora pubblicati, più uno inedito (Fig. 3 e Fig. 4) e inoltre si trascrivono gli appunti
presi dallo scrivente nel corso delle prospezioni.
volta nella parte artificiale. Psicrometro 4,1/3,4 °C. Rilievo: schizzo in pianta (Fig. 4.4).
N° 3 - Loculo rilevato in pianta, sezione e vista prospettica (Fig. 3.1). Grande camino, focolare, cappa e finestrola. Volta piana: tutta roccia, compresi stipiti, porta e
camino. Altezza interna 2,2m. Tracce di imbiancatura. Psicrometro 4,9/4,1 °C.
N° 4 e 5 - Loculi chiusi con porta, ma vuoti.
N° 6 e 7 - Annotati da Carla Lanza. Abitati (Fig. 3.2).
N° 8 - Loculo al piano inferiore. Porta senza manufatti. Volta piana, muschio. Scarse
tracce di intonaco. Scattate due foto.
N° 9 - Loculo al piano inferiore, imbiancato. Fatte due foto. Pavimento asciutto,
pulito, con foglie d’ulivo. Focolare molto ben curato.
Psicrometrie: all’esterno, h 10.45’: 6,1/4,2 °C - nell’abitazione che ci ospita: 6,8/4,9 °C
31.12.60 mattino: abitazioni trogloditiche a Largo Urosio (da Fig. 9 a Fig. 12)
1 - Abitata - letti ecc. - pareti imbiancate. Pianta 4x4m. Porta a un lato. Senza cucina.
Psicrometro: 10,1/8,4 °C (Fig. 3.3)
2 - Grotta di cordari. Galleria 2x2 lunga 20m. Impiegata per la fabbricazione a mano
di corde, cordicelle, trefoli. Corda. tre operazioni, diametro finale ca. 10mm. Due
operai uniscono le fibre mentre uno o due ragazzi azionano la macchina torcitrice.
3 - Altra grotta di cordari, più in basso sotto la città. Larga 3-5m, alta 2,20m, lunga
ca. 25m. Psicrometro: 6,8/6,3 °C
Fig. 3 - Rilievi delle cavità n. 3 e 6
(Fig. 3.1 e Fig. 3.2) e n. 1 (Fig. 3.3).
Surveys of dwellings n. 3 and 6
(Fig. 3.1 and Fig. 3.2) and n. 1 (Fig. 3.3).
Fig. 4 - Rilievi della cavità n. 2 (Fig. 4.4)
e di un gruppo di cavità in frazione Macchia
Libera (Fig. 4.5).
Surveys of n. 2 dwelling (Fig. 4.4) and of a
cluster of dwellings in Macchia Libera hamlet
(Fig. 4.5).
29.12.60 Abitazioni trogloditiche sotto la nuova circonvallazione di Monte S.
Angelo (da Fig. 5 a Fig. 8)
N° 1 - Loculo. Disabitato - riceve fumo da uno inferiore adibito a lavanderia. Scavato nella roccia. Pianta quadrata 3x3m; volta piatta; arrotondata ai lati; 1 nicchia. Psicrometro 7,9/7,5 °C. La roccia presenta poche fessure orizzontali in basso, compatta
sulla volta. Ingresso volto a SE. Senza tracce di intonaco.
N° 2 - Loculo poco più in basso. Apertura a NE. Volta circolare, per la 1.a metà in pietre,
poi roccia. Posizione molto superficiale. Pianta quadrata 3,5x4,5m. Grande nicchia in fondo. Ora disabitato. Portale con grosse pietre squadrate. Muschio sulle pareti. Camino sulla
112
Ulteriori abitazioni, alcune abitate permanentemente, altre usate solo all’epoca dei
lavori agricoli, altre ancora del tutto abbandonate, furono visitate nei giorni successivi. Due, disabitate da poco tempo per la morte dei proprietari, poste in frazione
Macchia Libera, sono illustrate in Fig. 4.5.
Come si deduce dalla lettura degli appunti, in molte abitazioni ipogee furono misurate le condizioni termo-igrometriche e si constatò che, mentre quelle disabitate
a fine dicembre erano addirittura più fredde (ca. 5°C) e umide (quasi 90%) dell’ambiente esterno (6°C - 74%), quelle abitate presentavano temperature e umidità più
vivibili (ca. 10°C e 75%). Ci apparve chiaro come in realtà l’ostilità verso il trogloditismo non era giustificabile in termini di abitare sotto il suolo piuttosto che sopra
ma che la vera carenza degli antichi abitati ipogei consisteva nella totale assenza di
servizi igienici: acquedotti, linee elettriche, fognature; queste ultime forse difficili da
realizzare in insediamenti densamente sovrapposti a più livelli.
Per le abitazioni, di cui era già in atto lo spopolamento, non vale la pena di aggiungere
altro: esse non differiscono sostanzialmente da tanti altri casi ben noti. Appare invece
opportuno qualche maggiore commento e delucidazione per quanto concerne le grotte
dei cordari, di cui si presentano alcune fotografie in bianco e nero, del tutto inedite. Si
premettono alcune brevi note sulla tecnica di fabbricazione delle corde.
La produzione delle corde
113
Le corde di fibre naturali, qual è ad esempio la canapa, in uso fin dalla preistoria,
sono realizzate unendo fasci di fibre mediante un’operazione di torcitura, indispensabile per impedire che sotto carico di trazione le fibre scorrano l’una sull’altra portando a cedimento la corda. Con questo procedimento si fabbricano i cordini; nelle
corde è necessario poi unire tra loro due o tre cordini chiamati trefoli mediante una
seconda operazione di ritorcitura, ed eventualmente una terza, che generalmente
vengono eseguite con sensi d’avvolgimento contrari, per ottenere una corda equilibrata che non tenda a torcersi sotto carico; altra importante funzione della ritorcitura è di rendere flessibile la corda. La fabbricazione totalmente manuale procede “in
avanti”: è eseguita da una sola persona che assembla ed avvolge le fibre, poi arrotola
il prodotto davanti a sé: un recente filmato televisivo mostra questo processo, rimasto immutato dalla preistoria presso alcune popolazioni molto povere.
Nella fabbricazione osservata a Monte S. Angelo, due o tre operatori uniscono a mano tra
loro le fibre grezze, mentre un attrezzo rotante assicura la torsione necessaria ad ottenere
l’adesione delle fibre tra loro. Tale attrezzo, il ritorcitoio, è in grado di operare contemporaneamente su 2-4 trefoli, ciascuno confezionato da un operatore, mentre un solo operatore è sufficiente per azionarlo: nel caso di Monte S. Angelo abbiamo visto che al movimento attendevano a turno due o tre ragazzini. Il ritorcitoio non si sposta: man mano
che la corda cresce in lunghezza, gli operatori devono retrocedere e la lunghezza finale
dipende dalla massima distanza consentita dall’ambiente in cui si svolge la lavorazione.
Le lavorazioni dei cordari a Monte S. Angelo
Le immagini fotografiche riprese alla fine del 1960 mostrano al lavoro due o tre operatori ed un gruppetto di ragazzini che davano l’impressione di azionare la manovella del
ritorcitoio con fierezza ma anche in modo gioioso, consci dell’importanza di svolgere
con attenzione il loro lavoro. Le grotte, scavate nella tenera roccia di Monte S. Angelo
già da molti secoli, almeno in parte oltre un millennio, erano costituite da ambienti più
o meno quadrati, di 4-5m al massimo di lati. D’altra parte è evidente che la lavorazione
delle corde non possa avvenire all’aperto perché, alla continua variazione di condizioni
termo-igrometriche nelle varie ore del giorno e da giornate belle e calde ad altre fredde ed umide, corrisponderebbe un’assoluta mancanza di uniformità nelle caratteristiche
meccaniche del prodotto finito. La costruzione di un capannone specifico è un concetto
troppo moderno: ingegnosamente i cordari ritennero di conciliare la trasformazione di
antiche abitazioni, ormai dismesse, con la possibilità di prolungare lo scavo verso l’interno della montagna. Infatti, come constatammo, alcuni ambienti iniziavano con le
tracce di un’abitazione (nicchie, focolari…) per continuare verso l’interno con gallerie
grezze e squadrate, larghe 3-5m, alte 2-2,2m; la lunghezza complessiva, di 20m in un
caso delle grotte visitate, 25m in un altra, ben si concilia con la lunghezza delle corde.
Questa trasformazione degli ambienti ipogei all’epoca della prospezione (1960) era ancora in atto o completata recentemente: dal personale presente venimmo a sapere che
114
un uomo impiegava ca. quattro giorni per scavare un metro cubo di roccia; una galleria
di 20x4x2,5m, pari a un volume di 200 m3, richiedeva dunque 800 ore/uomo: quattro
lavoranti impegnati per 10 ore al giorno potevano concludere lo scavo in venti giorni di
lavoro, cioè meno d’un mese.
Le misure termo-igrometriche eseguite furono un paio e per giunta limitate ad un solo giorno, tra i più freddi dell’anno. Risultò una temperatura (ca. 7°C) intermedia tra quella delle
grotte ancora abitate (ca. 10°C) e di quelle disabitate (ca. 5°C), con un’umidità relativa (U.R.)
di ca. 94%, superiore sia a quella esterna (74% a 6°C) che a quella delle grotte abitate (ca. 75%),
evidentemente influenzata dall’umidità delle fibre in lavorazione (fibre secche sarebbero fragili e non aderirebbero bene tra loro). Un semplice calcolo consentiva di capire che anche alle
temperature che ci si può aspettare d’estate all’interno di tali grotte (difficilmente superiori
a 20°C) fosse possibile conservare l’umidità relativa entro quei valori abbastanza elevati (ca.
50%) necessari per l’ottenimento di buone corde: la U.R. 94% a 7°C equivarrebbe a U.R. 42%
a 20°C, quindi un modesto arricchimento d’umidità delle fibre basta per mantenere l’umidità
relativa entro un minimo di 50%.
Queste brevi elucubrazioni ci permettono di capire come fosse saggia, oltre che
economica, la scelta di creare tali cavità artificiali, specializzate per la produzione di corde vegetali.
Conclusioni
La presentazione di questa breve cronaca di una visita di quasi cinquant’anni fa alle
cavità trogloditiche di Monte S. Angelo viene completata dalla proiezione di una
serie di diapositive a colori che furono scattate alle abitazioni e di alcune in bianco
e nero riprese con il flash all’interno delle grotte dei cordari; parte di tali fotografie
sono accluse ai presenti Atti.
Ringraziamenti
Si ricordano con sincera amicizia i compagni del GSP di Torino e in particolare
Carla Lanza e Beppe De Matteis assieme ai quali furono svolte le indagini oggetto
della presente relazione.
NB Tutte le immagini risalgono al dicembre 1960.
All the pictures were taken in December 1960.
Bibliografia
Cappa Giulio. (2004) - Appunti di speleologia garganica. Atti di Spèlaion 2003, S. Giovanni Rotondo 5-8
dicembre 2003, 65-76.
Lanza Carla & Cappa Giulio. (1962) - Indagine preliminare sulle abitazioni trogloditiche a Monte S. Angelo.
Bollettino della Società Geografica Italiana, Roma, 1962, (4-6), 3-13.
115
STUDIO PRELIMINARE DI UN AMBIENTE IPOGEO URBANO: LA CISTERNA DI SAMMICHELE DI BARI
Oronzo Simone, Vincenzo Iurilli
Gruppo Speleologico Ruvese
Fig. 5 - Particolari delle abitazioni distrutte durante
la costruzione della panoramica.
Fig. 6 - Abitazione ancora in uso (nel 1960) come
lavanderia.
Details of the troglodytic dwellings wrecked
consequently of the ring road construction.
A dwelling still in use (year 1960) as a laundry.
Fig. 7 - Interno di un’abitazione dismessa da poco
tempo.
Fig. 8 - Due cavità: la sinistra era completamente
abbandonata, la destra protetta da porta con
chiavistello.
Interior of a troglodytic dwelling lately
abandoned.
Two dwellings: the left one was fully abandoned, the
right one still preserved by a bolted door.
Abstract
Nell’abitato di Sammichele di Bari, nel corso dei lavori di ripavimentazione della
piazza Vittorio Veneto, sono venute alla luce tre antiche cisterne che dovevano costituire una grande riserva idrica collettiva. Tali strutture costituiscono anche un
ambiente deposizionale, dove l’acqua ha trasportato materiale sia in sospensione
che in soluzione, costituendo una successione stratigrafica di fondo e una di depositi chimici - concrezioni - sospesi alla volta e sulle pareti.
Lo studio preliminare di tali successioni ha messo in luce da una parte una stratificazione “storica” di sedimenti e oggetti di uso quotidiano, caduti accidentalmente
negli imbocchi, d’altra parte i caratteri peculiari delle forme concrezionali, alcune
delle quali mai osservate altrove.
La possibile fruibilità della documentazione ricavabile, anche a valenza didattica,
costituisce un non trascurabile valore aggiunto ai lavori di sistemazione della piazza,
confermando l’utilità della tutela degli ambienti ipogei, sia naturali che - come in
questo caso - artificiali, da intendersi come un patrimonio storico e naturale della
comunità.
Relazione completa non pervenuta
Fig. 9 - Vista d’insieme di una grotta di cordari in
piena attività.
Fig. 10 - Il ritorcitoio manuale dei trefoli.
The manual strand twister.
Overall view of an hypogean ropery fully
operating.
Fig. 11 - Due operai iniziano a formare i trefoli
unendo le fibre sciolte che tengono alla cintura.
Two workers start assembling the strands by
joining the fibers they keep at the waistband.
116
Fig. 12 - La ritorcitura dei trefoli è giunta quasi al
termine, gli operai sono vicini all’ingresso della
corderia.
The twisting of the strands is near to the end,
the workers approach the entrance of the
ropery.
117
RECENTI ESPLORAZIONI NEL COMPLESSO VORE SPEDICATURO E
NELL’INGHIOTTITOIO DI COELIMANNA (PROVINCIA DI LECCE)
RISULTATI E PROSPETTIVE FUTURE
Gianluca Selleri, Antonio Alba, Gabriella Amato, Marcello Lentini, Chiarina
D’Agostino, Francesco De Natale, Daniela Festa, Emanuele Ingrosso, Giorgio
Pancosta, Giovanni Treglia, Luca Trevisi
Gruppo Speleologico Leccese ‘Ndronico
Premessa
Il Salento leccese è un territorio ricco di evidenti manifestazioni carsiche ipogee;
sin dalla fine del 1800 quindi numerosi ricercatori e studiosi hanno intrapreso una
sistematica opera di individuazione e descrizione delle cavità più evidenti. Queste
grotte, tutte esplorate già nella prima metà del 1900, sono entrate a far parte della
storia della speleologia salentina e di conseguenza, come accade per qualsiasi avvenimento o cosa che è ascritto alla storia e non più al presente, sono state considerate
avventure concluse, finite.
Questa convinzione, almeno tra i soci del GSL ‘Ndronico, ha cominciato a vacillare
quando nella primavera del 2003 un gruppo di speleo, tra la incredulità dei più, trovò una inattesa prosecuzione all’Inghiottitoio di Vitigliano a Santa Cesare Terme. La
scoperta della nuova diramazione, attualmente ferma su un sifone non irresistibile,
rappresentò un evento significativo perché di fatto riapriva nuove ed interessanti
prospettive di ricerca in una grotta che nulla aveva più dato in termini esplorativi da
oltre 60 anni e, come spesso si sul dire, da quel momento tutto è stato diverso. Così
è cominciata la bella avventura, ancora non conclusa, che ci ha portato a rivedere
con occhio più attento numerosissime grotte stranote e, nella primavera del 2007,
a costruire una nuova duplice soddisfazione. In quella primavera fortunata si sono
infatti concretizzati il superamento del mitico sifone della vora Coelimanna e la
congiunzione delle due principali cavità del complesso vore Spedicaturo.
Vore Spedicaturo
Il sistema carsico Vore Spedicaturo è costituito da quattro cavità allineate in direzione NNO-SSE accatastate con i nomi di Vora Grande (PU192), Inghiottitoio
Leptospira (PU1557), Vora Piccola (PU1559) e Vora Nuova (PU1558) che ricevono
le acque del canale Fontanelle, un corso d’acqua intermittente che drena un vasto
bacino endoreico compreso tra gli abitati di Montesano Salentino, Miggiano, Ruffano, Supersano e Nociglia.
Durante l’inverno, le acque del canale Fontanelle entrano nel sistema carsico dall’inghiottitoio oggi attivo, la PU 1557, da dove, dopo un breve percorso a pelo libero,
defluiscono in un sifone per ricomparire tuttavia in vari punti all’interno della gran118
119
de galleria della PU 192, interrotta anch’essa da un sifone.
Nei mesi di aprile - giugno 2007, una nutrita squadra di speleologi del G.S.L. ‘Ndronico, utilizzando delle idrovore, è riuscita a superare il sifone al vecchio fondo della PU
192 a ad esplorare un nuovo ramo fino all’attuale fondo rappresentato da un ambiente
di crollo. Grazie ad una paziente opera di scavo condotta nell’ampio salone interno della PU 192 inoltre, si è riusciti a esplorare un secondo nuovo ramo, angusto e fangoso,
parzialmente percorso da un torrente ipogeo, che da un lato permette di raggiungere la
base del pozzo terminale della la PU 1559 e dall’altro conduce in un modesto ambiente
dove si sta tentando la rimozione della frana all’interno della quale si perde il torrente
ipogeo. In ultimo nella PU1559 è stata esplorata una diramazione attualmente ferma su
frana mentre nella PU 1557 è stato superato il sifone terminale ed è stato parzialmente
esplorato un ramo che si dirige verso la PU 192.
Grazie alla esplorazione dei nuovi rami ed alla giunzione tra la PU192 e la PU1559, il
complesso vore Spedicaturo è oggi un sistema carsico a più ingressi, con uno sviluppo complessivo di oltre 350 m che offre diverse ed interessanti possibilità esplorative
in ambienti raggiungibili tuttavia solo durante il periodo estivo ed in alcuni casi solo
con l’utilizzo di idrovore. La giunzione ha posto il problema di un nuovo integrale
rilevo topografico del sistema.
Vora Coelimanna
La Vora Coelimanna si apre al piede della Serra di Supersano e rappresenta l’unico
inghiottitoio visibile della conca che occupa la parte centrale della depressione tettonica di Supersano; tra gli inghiottitoi presenti in questa depressione è sicuramente
la cavità più estesa. Essa, infatti, dopo le esplorazioni condotte nei mesi di maggio
e giugno 2007, che hanno permesso di superare il sifone che ne ha rappresentato il
fondo per diversi decenni, ha raggiunto una lunghezza stimata di oltre 250 metri per
una profondità complessiva di circa 17 metri.
Alla parte ipogea dell’inghiottitoio si accede da un ampio portale (Fig. 1) la cui geometria
è stata marcatamente condizionata in seguito ad un intervento di ingegneria realizzato
dal Consorzio di Bonifica Ugento li Foggi nella cui giurisdizione ricade la cavità.
La prima parte della grotta è rappresentata da un ampia galleria che inizialmente
corre perpendicolarmente alla scarpata della Serra per poi, dopo poche decine di
metri, voltare bruscamente a gomito e proseguire restringendosi gradualmente parallelamente a tale versante. La galleria termina in un ampia sala da crollo da cui
parte un cunicolo che dopo alcune decine di metri arriva fino al ciglio di un largo
pozzo profondo circa 5 metri alla cui base è presente una profonda pozza di acqua
stagnante. La grotta prosegue lateralmente al pozzo con una ampia sala da cui parte
un cunicolo allagato (su cui si affaccia una fessura ostruita da rifiuti, dalla quale
esce una notevole corrente d’aria) che gradualmente aumenta di dimensioni. Tale
cunicolo corre al di sotto della prima parte della cavità ed è percorribile per poche
120
decine di metri terminando con un sifone.
Nei mesi di maggio e giugno 2007 è stato possibile, utilizzando un’idrovora, abbassare il livello dell’acqua (Fig. 2) e percorrere un lungo ed ampio cunicolo, caratterizzato da brevi salti e da profonde pozze d’acqua (Fig. 3), interrotto da un ampio
pozzo profondo 6-7 metri, anch’esso caratterizzato alla base da una profonda pozza
d’acqua stagnante. Dal pozzo parte una breve galleria che conduce in un ampio ambiente sul cui fondo si trova il nuovo sifone terminale. Sul soffitto della sala, a 5 - 6
metri di altezza, occhieggia una finestra ancora inesplorata.
Anche questa cavità, in seguito alle esplorazioni condotte, ha visto aumentare notevolmente il suo sviluppo ed oggi offre nuove interessanti prospettive esplorative
purtroppo in ambienti raggiungibili solo con l’utilizzo di idrovore; anche per essa si
pone la necessità di eseguire un nuovo e dettagliato rilievo.
Fig. 1 - Portale di ingresso della vora Coelimanna
Fig. 2 - Superamento del sifone alla vora di
Coelimanna
Fig. 3 - Il cunicolo posto a valle del sifone
121
SINKHOLE NATURALI: ANALISI E CLASSIFICAZIONE DELLE SITUAZIONI SUSCETTIBILI AL FENOMENO
Alessandro Reina, Raffaele Macina
Dipartimento Ingegneria Civile ed Ambientale - Politecnico di Bari
Abstract
La presente ricerca ha avuto lo scopo di riconoscere e prevenire il “fenomeno sinkhole naturale” studiando e analizzando:
• i casi di crolli improvvisi provocati da azioni antropiche (Altamura in corrispondenza delle ex cave di calcarenite sotterranee);
• i fenomeni naturali come subsidenze rapide e crolli da dolina delle aree carsiche
del salento leccese;
• le situazioni ritenute suscettibili al fenomeno come i Laghi di Conversano, il Pulo
di Altamura e la zona argillosa di Altamura.
In primo luogo sono stati confrontati i meccanismi innescanti e le cause predisponenti di quei fenomeni in stretta correlazione per la loro conformazione geomorfologica in evoluzione: subsidenza, rapida e lenta, puli, doline, pozzi, laghi.
In seguito, tramite una catalogazione dei casi in cui si è manifestato il fenomeno nel
territorio pugliese, in base alle caratteristiche stratigrafiche, geologiche e idrogeologiche del suolo, utilizzando la classificazione e caratterizzazione geomeccanica degli
ammassi rocciosi, sono state identificate le situazioni e i suoli che sono maggiormente soggetti al fenomeno.
Al centro dell’attenzione sono tutte le aree carsiche del territorio regionale, quelle in
cui vi è una rilevante presenza di terreni acquiferi, di aree depressive, suscettibili di
subsidenza lenta o rapida.
Sono sottoposte a maggior attenzione le aree in cui si è già presentato il fenomeno,
per conoscere meglio tutte le “condizioni a contorno” necessarie e sufficienti affinché il fenomeno si attivi.
Lo studio ha pertanto perimetrato e classificato le aree a rischio da sottoporre a
costante monitoraggio in base:
- alle cause predisponesti (presenza di falde in pressione, presenza di terreni meno
resistenti e permeabili, limosi o argillosi, presenza di strati resistenti sottili);
- alle cause innescanti (sovraccarichi, cedimenti, eventi sismici, emungimenti più o
meno rapidi, estrazioni, piogge torrentizie, assottigliamento strati resistenti, formazione di cavità al di sotto di strati resistenti ma sottili e superficiali) che attivano
processi di erosione dal basso, di risalita e asportazione di terreni limosi e argillosi
(piping e deep piping) e di formazione di discontinuità su massi e strati rocciosi.
Relazione completa non pervenuta
122
123
LE GROTTE DI CASSANO DELLE MURGE
Francesco Del Vecchio
CARS - Centro Altamurano Ricerche Speleologiche
Le grotte e le voragini presenti nel territorio di Cassano delle Murge si sviluppano nei
calcari subcristallini a rudiste del cretaceo superiore distintamente stratificati con spessori che variano mediamente da circa 40/50 cm ad un massimo di circa 2 metri, con
pendenze che non superano i 15° e con direzioni SW e W.
Tali sedimenti affiorano su tutta l’area cassanese apparendo generalmente nudo con
dorsoni rocciosi e aree depresse, coperte da terre rosse, terra bolare, terreno vegetale,
frammisti a ciottoli calcarei piuttosto arrotondati da pochi decimetri sui dossi ad alcuni
metri nei canali e nelle depressioni.
Il territorio di Cassano Murge oltre ai fenomeni carsici profondi è ricco di forme carsiche di superficie, lame, valli, solchi carsici e soprattutto forme a dolina abbondano in
questa porzione murgiana, la cui formazione è dovuta ad erosione carsica superficiale,
compiuta dalle acque piovane durante il loro deflusso verso un punto idrovoro, tanto da
ritrovare alcune delle grotte citate che si aprono sul fondo delle stesse.
Sia le doline, i bacini, le conche chiuse sono distribuite lungo linee diaclasiche, che hanno portato la formazioni di laghetti carsici superficiali temporanei quali le zone di lago
Russi, lago Battaglia, lago Rosolino, lago Gemolo e lago Monacello.
L’area del comune cassanese si sviluppa sia su una zona pianeggiante di erosione marina
di periodo plio-pleistocenico detta pedemurgiana con quote che si aggirano intorno ai
340 metri, e le aree costituite dall’altopiano murgiano dove si ritrovano i fenomeni carsici descritti che si sviluppano ad altitudini comprese mediamente intorno ai 450 metri.
Le grotte conosciute nell’area di Cassano sono circa 27, di cui 18 sono di tipo orizzontale e 10
124
125
verticali, molte delle quali sono interessate da tradizioni popolari, purtroppo dimenticate e
gravemente distrutte oppure ricolme di materiale e quindi completamente coperte.
Tra queste spicca per la sua notevole profondità e lunghezza la grave di Pasciuddo, mentre annoveriamo per la sua bellezza e la maestosità degli ambienti, la grotta di Cristo con
notevoli concrezioni e colonnati di spettacolare bellezza purtroppo in parte danneggiati.
Le formazioni carsiche ipogee nella maggior parte dei casi non raggiungono dimensioni
considerevoli e sono sparse su tutto il territorio, con zone di maggiore concentrazione
(vedi contrada S. Maria degli Angeli, contr. Lama del Grottillo - Mass. S. Antonio),
alcune delle quali d’interesse paleontologico, paletnologico e religioso.
Elenco delle grotte nel Comune di Cassano
(secondo l’ordine numerico del catasto speleologico pugliese aggiornato al 2008)
Pu 18 Grotta di Cristo loc. Parco di Cristo F 189 I SO q mt 417 Lat 40°51’41” Long
4°19’21” svil. mt 100 disl. -10
Pu 40 Grava di Pasciuddo (sin. Pasciullo o Monacucello) loc. La Grave F 189 I SO
q mt 305 Lat 40°53’52” Long 4°21’15” svil. mt 800 disl. -150
Pu 445 Grotta del Lupo loc. Visca F 189 I SO q mt 380 Lat 40°53’21” Long 4°17’36”
svil. mt 6 disl. + 2
Pu 851 Grava dell’Edera loc. Mass Giustino F 189 I SO q mt 458 Lat 40°50’27” Long
4°16’57” svil. mt 55 disl. -20
Pu 853 Grava Tre Carri loc. Mass Giustino F 189 I SO q mt 475 Lat 40°50’31” Long
4°16’11” svil. mt?
Pu 879 Grotta S. Angelo (sin. S. Angelo in Criptis) loc. Jazzo S. Angelo F 189 II NO
q mt 472 Lat. 40°49’27” Long 4°15’05” svil. mt 100 disl. -7 (nel 2008 la zona passa
al comune di Santeramo)
Pu 1001 Grotta Nisco loc. Nisco Riformati F 189 I SO q mt 398 Lat 40°53’21” Long
4°16’15”svil. mt 40 disl. -5
Pu 1002 Grotta S. Maria degli Angeli loc. Convento S. Maria degli Angeli F 189 I
SO q mt 398 Lat 40°53’21” Long 4°17’59” svil. mt 20 disl. -5
Pu 1112 Grotta dell’Edera loc. Mass Giustino F 189 I SO q mt 463 Lat 40°50’19”
Long 4°16’48” svil. mt 25 disl. -20
Pu 1113 Inghiottitoio di Cassano loc. Mass Giustino F 189 I SO q mt 460 Lat
40°50’49” Long 4°17’12” svil. mt?
Pu 1114 Grotta Albero di Sole (sin. La Grottella) loc. La Cortella F 189 I SO q mt
440 Lat 40°51’28” Long 4°19’08”
Pu 1162 Pozzetto dell’Edera loc. Mass Giustino F 189 I SO q mt 465 Lat 40°50’23”
Long 4°16’50” svil. mt 5 disl. -4
Pu 1219 Grotta Mass Lopez loc. Mass Lopez F 189 I SO q mt 405 Lat 40°52’33” Long
4°19’32” Svil. mt 20 disl. -3
Pu 1220 Grotta Mass Russi loc. Lago Russi F 189 I SO q mt 462 Lat 40°52’18” Long
4°16’09” Svil. mt 45 disl.-7
Pu 1297 Grotta delle Pisoliti loc. Contrada Bisceglia F189 IV SE q mt 450 Lat.
40°52’50” Long 4°14’00” svil. mt 10 disl. -5
Pu 1298 Forchia di Volpe loc. Foresta Mercadante (Borgo Lagogemolo 2) F 189 I SO
q mt 418 Lat 40°53’30” Long 4°15’05” svil. mt 20 disl.-3
Pu 1533 Riparo Mass Battista loc. Mass Battista F 189 I SO q mt 400 Lat 40°52’15”
Long 4°19’10” svil. mt 12 disl. -2
Pu 1534 Grottella Mass Battista loc. Mass Battista F 189 I SO q mt 400 Lat 40°52’17”
Long 4° 19’10” svil. mt 7 disl. -1
Pu 1608 Grotta Oasi S. Maria loc. Oasi S. Maria F 189 I SO q mt 360 Lat 40°53’40”
Long 4°17’30” svil. mt 10 disl. -4
Pu 1609 Grotta di S. Candida loc. Scuola Media Ruffo F 189 I SO q mt 330 Lat
40°53’25” Long 4°19’15” svil. mt 18 disl. -5
Pu 1663 Grotta S. Agostino loc. Convento Agostiniani F189 I SO q mt 398 Lat
40°53’20” Long 4°18”00” svil. mt 26 disl. +5
Pu 1111 Grotta del Cervo loc. Lama del Grottillo F 189 IV SE Lat 40°50’27” Long 4°
07’42” svil. mt
126
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Pu 1664 Grotta Giglia (sin. Grotta Ciglio) loc. Grottagiglia F 189 I SO q mt 275 Lat
40°54’55” Long 4°20’20” svil. 25 disl. +3
Pu 1665 Grotta La Quercia (sin. Grotta del Cameriere) loc. Sala ristorante La Quercia F
189 I SO q mt 420 Lat 40°53’25” Long 4°16’10” svil. mt 80 disl. -5
Pu 1702 Inghiottitoio del Grottillo loc. Lama del Grottillo F 189 IV SE q mt Lat
40°52’59” Long 4°14’55” svil. mt 6 disl. -13
Pu 1703 Grottone del Grottillo loc. Lama del Grottillo F 189 IV SE q mt 405 Lat
40°52’55” Long 4°14’55” svil. mt 7 disl. +2
Pu 1704 Inghiottitoio Italo Rizzi loc. Foresta Mercadante (borgo Lagogemolo) F 189
I SO q mt 410 Lat 40°53’21” Long 4°15’20” svil. mt 10 disl. -5
Pu 1705 Grotta dei Briganti loc. Santiquando F 189 I SO q mt 420 Lat 40°52’45”
Long 4°17’30” svil. mt 30 disl. -8
Descrizione delle grotte principali
La grave di Pasciuddo
Comunemente chiamata grave di Cassano è ad oggi la più profonda e lunga del
territorio di Cassano, con uno sviluppo planimetrico di circa 800 metri ed una
profondità di 150 metri, la prima discesa risale al
1940, da parte di alcuni cassanesi che si calarono
per circa 40 metri senza raggiungere il fondo del
pozzo.
Il rilievo della grave con parte dell’esplorazione avvenne nel 1962 dal Gruppo Speleologico
Pugliese e dall’Istituto Italiano di Speleologia,
guidati dal prof. Anelli, ottenendo uno sviluppo
lineare di circa 120 metri ed una profondità di
80 metri.
Numerose si susseguono le discese dal 1970 in
poi, tra queste ricordiamo: l’eccezionale scoperta
da parte del CARS di una zanna fossile di Elephas ad opera di Italo Rizzi, le risalite di alcuni Francesco Del Vecchio in esplorazione
camini del Gruppo Speleologico Vespertilio di nella Grave di Pasciuddo - 1980
Bari.
128
La svolta nelle esplorazioni avvenne
nel 1986 da parte di Francesco Del
Vecchio e Giuseppe Carbone che
riuscirono a forzare il lago sifone
proseguendo per altri 500 metri arrestandosi dinanzi ad una strettoia
allagata, forzata nel 1992 grazie alla
collaborazione GSV CAI Bari e
CARS Altamura, la grotta proseguì
per altri 200 metri arrestandosi ad
un lago sifone, forse superabile solo
con gli speleosub.
La sua bocca ha contorno sub-ovoidale di circa 10 metri di lunghezza
e 5 metri di larghezza, è allungata
nella direzione NE-SW lungo una
distinta linea di frattura. Gli strati calcarei in cui è scavata la grave
sono inclinati di sette gradi verso
SW, con uno spessore di poco inferiori al metro.
La grotta di Cristo
È una delle più complete grotte di
Cassano Murge, per la ricchezza e
varietà del tipo di concrezionamento, è risulta essere tra le più antiche esplorate in Puglia documentata, questo lo si apprende da una relazione scritta
del comandante dei Liberatori Carra a capo delle truppe
francesi dislocate in terra di Bari datata 1802 che relaziona
al generale Soult ed al generale Campionetto la visita alla
già nota e decantata grotta di Cristo avvenuta l’anno precedente, durante il suo passaggio a Cassano, qui di seguito
riportiamo la sua descrizione: “A quattro miglia da Acquaviva ho visitato una grotta scoperta da molti anni, la cui
descrizione non è ancora conosciuta. Ho potuto visitare
solo una parte perché mi sono mancate le forze. Le prime
tre sale che ho esplorato sono ornate di cristallizzazioni di
diversaforma e di diversa natura che possono dare nuove
notizie su questa parte interessante della storia naturale.
129
Signor generale, in occasione del vostro primo viaggio a Bari ve ne mostrerò
alcune parti. Ho pregato il
comandante del presidio di
Acquaviva per completare
l’esplorazione e di darmi una
pianta esatta e fedele di tutta la sua estensione. Inoltre
alla relazione furono inviati
alcune parti di concrezioni
della grotta come cimeli a
Grotta di Cristo - archivio CARS 1972
testimonianza della visita.
La grotta viene citata nel 1934 con una lettera di segnalazione, da parte del dott.
Alessandrelli all’Istituto Italiano di Speleologia di Postumia dove è descritta la grotta
di Cristo, con nuove cavità scoperte nella zona del Grottillo durante lavori di rimboschimento, possiamo questo episodio considerarlo la prima segnalazione speleologica dell’area di Cassano delle Murge.
Mentre l’esplorazione da un punto di vista puramente scientifico-speleologico si
ebbe il 31 ottobre del 1953 da parte del prof. Anelli su invito dell’Amministrazione
Comunale di Cassano, effettuò una ricognizione con alcuni componenti del suo
gruppo speleologico.
Un’accurata esplorazione avviene nel 1962 da parte del Gruppo Speleologico Jonico di Taranto come segnalato dall’articolo giornalistico del Tempo di Roma del 23
marzo del 1962.
Nel 1967 seguì la visita del dott. Franco Orofino, con i componenti del Gruppo Speleologico “A. Orofino” che trascorsero il capodanno all’interno della grotta in attesa
del nuovo anno, come da articolo della Gazzetta del Mezzogiorno del 3 gennaio del
1968, inoltre durante le sue ricerche Orofino rinvenne sul fondo della grotta frammenti di zanna e femore di Elefhas la cui specie non fu identificata.
Nel 1971 l’esplorazione da parte del CARS di Altamura organizzata da Italo Rizzi
porta la scoperta di un nuovo cunicolo allargando una strettoia al fondo della grande sala.
Nel 1988 - 90 la grotta è ripulita ad opera di Del Vecchio e Rizzi e posto un cancello
a protezione della stessa rendendo facile l’accesso con una comoda scalinata, grazie
alla fattiva collaborazione del Comune di Cassano Murge.
La grotta di Cristo viene riportata nelle memorie del Regno di Napoli del 1768 come
meta escursionistica, e ne fa cenno la guida del Touring Club Italiano “La Puglia”
del 1938.
130
La Grotta Nisco
Prende il nome dall’omonima
contrada “Nisco Riformati”, per
la presenza in zona dei Francescani Riformati, probabilmente
associato al convento S. Maria
degli Angeli, da cui la grotta dista
poche centinaia di metri. La sua
importanza è dovuta soprattutto ai ritrovamenti preistorici di
tipo eneolitico, non presentando
grandi pregi esplorativi e speleologici.
I ritrovamenti prima in superficie e in seguito attraverso scavi
archeologici effettuati dal Museo
Archeologico di Altamura ha evidenziato una grotta di tipo funerario con corredo vascolare del
tipo della cultura di Laterza, strumenti di selce costituiti da punte di freccia e tre
pugnaletti in miniatura in rame di tipo votivo di cui uno piegato, a voler rappresentare il suo utilizzo.
La grotta è formata da diversi ambienti tutti interessati da abbondanti materiali
osseologici umani e animali, comunicanti da aperture quasi circolari attraverso le
concrezioni, molte delle quali servirono per arricchire il presepe monumentale del
Convento.
Grotta S. Angelo in Criptis
La cavità è situata attualmente nel comune di Santeramo, dopo diverse controversie
con il comune di Cassano, ubicata al di sotto della masseria di “Jazzo S. Angelo di
età medievale, il complesso è stato dichiarato nel 1980 monumento nazionale dal
Ministero Beni Culturali. Esplorata nei primi anni ’60 dal Tangorra dopo diverse
ricerche, scopre nella grotta affreschi bizantini, la Madonna col Bambino posta nella
nicchia all’interno della grotta ad oggi completamente scomparso e Cristo in trono circondato dagli Apostoli, posto su di un arco lungo il corridoio (dromos) che
immette nella grotta, nicchie e colonnine sono scavate nelle concrezioni calcaree, a
testimonianza di un altare creato dai monaci, nella nicchia una vaschetta di forma
quadrata, probabile acquasantiera, elementi questi che ci riportano a periodi prima
dell’anno mille.
La grotta di S.Angelo in Criptis presenta delle strutture sopraelevate di una chiesa a
131
conferma un’antica frequentazione religiosa dell’area sino in epoca tarda medievale,
successivamente trasformata in masseria agricola pastorale sino all’ottocento e poi il
totale abbandono e degrado.
La grotta presenta sul lato sinistro a prosecuzione della nicchia un sedile ricavato
nella roccia lungo 4,50 mt e largo 25 cm, forse i monaci sedevano lungo tale sedile
per pregare nel buio della grotta.
Entrando a destra della nicchia abbiamo il lato del tutto naturale della grotta che si
interna con un ambiente iniziale con un grosso colonnato ed una successiva galleria
riccamente concrezionata che si congiunge con il lato prima descritto alla sinistra
della nicchia.
Grotta di S. Candida e Grotta S. Maria degli Angeli
Queste grotte rivestono un’importanza dovuta alla presenza nel proprio interno di
dipinti rupestri, come la precedente grotta di S. Angelo.
Sulle cause di questo fenomeno cultuale, circa il ritrovamento dei seguenti affreschi
in grotte naturali, probabilmente tale area fu interessata da gruppi di monaci basiliani che s’insediarono nelle seguenti grotte trovando condizioni ideali per una vita
monastica, riportando nel proprio insediamento la figura santificata a cui si era più
devoti. Dobbiamo inoltre ricordare che lungo la strada provinciale per Altamura
esiste un’altra grotta naturale con l’effigie di S. Michele, che ricade in territorio di
Altamura, ma che sicuramente appartiene allo stesso periodo delle raffigurazioni
riscontrate nelle grotte di Cassano Murge.
Un inghiottitoio nei pressi della Grave di Pasciuddo - Pietro Locapo posiziona la scaletta
132
Le grotte in oggetto si presentano tutte costituite da ampie caverne d’ingresso oggi
completamente trasformate, ma che un tempo costituiva ottime spelonche dove
ripararsi e vivere in eremitismo.
Tra queste diverse grotte eremitiche è la grotta avente il dipinto della Vergine Santissima col Bambino a riportare maggiori considerazioni tanto da divenire la Patrona
di Cassano, a differenza delle altre che cadono in un totale e completo abbandono.
La grotta di Santa Candida è riscoperta nel 1959 da alcuni ragazzi, che avvisano
subito il dott. Alessandrelli che dopo un’accurata visita porta comunicazione alla
Soprintendenza ai Monumenti, la grotta era già conosciuta in passato, tanto che
nelle vecchie carte la contrada si chiamava Costa di Santa Candida. L’accesso costituito da piccoli gradini incavati nel banco calcareo immette in un piccolo ambiente
riportante l’affresco di una Santa con la palma in mano dinanzi alla Madonna col
Bambino e riportante la scritta sul capo “SCTA CANDI .A”. La grotta si allunga
in un cunicolo stretto ricolmo di pietrame senza alcuna possibilità di prosecuzione,
ripulita e resa accessibile, la grotta è ubicata al di sotto all’edificio scolastico V. Ruffo.
La grotta S. Maria degli Angeli si presenta fortemente modificata, ora è formata da
un unico ambiente, su di un lato si osserva il rivestimento intonacato è stagnato
in direzione di un foro posto sulla volta che immette nel santuario, sicuramente
trattasi di un pozzo per l’accumulo dell’acqua, ricavato da un ambiente della grotta
e utilizzato dai monaci. Alcune descrizioni parlano che la grotta si divideva in tre
ambienti, e di cui due divennero cisterne, mentre nel 1957 durante lavori di ampliamento dell’attuale ambiente della grotta si rinvennero le brecce ossifere, formate da
Rhinoceros, Elefhas, Bos e Cervus, secondo alcune voci pare sia stato scoperto un
manufatto litico inglobato con i resti ossei, ma ad oggi non si ha riscontro.
La scoperta della grotta risale al 1250 da parte di un sacerdote cassanese in seguito
ad una triplice visione rivelatrice, addentrandosi nella grotta, formata da un’ampia
apertura, scoprì il dipinto all’interno della cavità.
Successivamente nel 1400 viene eretto il santuario sopra la caverna sacra, diventano
poi l’attuale convento.
Descrizione delle grotte minori
Tra le grotte minori descriviamo quelle più indicative, considerando lo sviluppo
planimetrico o qualche peculiarità speleologica. La grotta dell’Edera ubicata sulla
Cassano-Santeramo ha uno sviluppo di oltre 50 metri con gallerie interrotte da ambienti piuttosto ampi, molto affascinanti gli ingressi avvolti da rampicanti di edera,
nell’area troviamo tre grotte con lo stesso sinonimo.
La grotta del Cervo ubicata in località Grottillo, un’area ricca di grotte quasi tutte di
piccole dimensioni ma che potrebbe nascondere nuove grotte di notevole interesse.
La grotta di masseria Lopez ubicata al di sotto dell’edificio, formata da un unico
grande ambiente, con una scalinata di accesso che dalla masseria scende al di sotto
133
Ringraziamenti
Un particolare ringraziamento a Italo Rizzi, amico e compagno di tante ricerche
sulle murge di Cassano.
Bibliografia
Alessandrelli N. (1949) Cassano delle Murge e Incoronazione della Beata Vergine degli Angeli. Comitato dei
festeggiamenti Bari
Ambiente Murgia: dalla lettura al recupero di un ipogeo, la grotta di S. Candida. Progetto PON 2003-2004,
Scuola Media Statale V. Ruffo
Anelli F. (1957) Le Murge Sud-Orientali. in Atti XVII Congresso Geografico Italiano Bari
Colamonico C. (1920) Regioni a doline nelle propaggini Nord-Orientali delle Murge di Cassano. Boll. Stat.
Ammin. Del Comune di Bari del 1919. Bari
Colamonico C. 1923 Aspetti del carsismo in Puglia, le Murge di Cassano. Riv. Ist. Sup. Econ. e Comm. Bari
Caldara M., Pennetta L. (1993) L’antico lago carsico di Battaglia sulle Murge di Cassano (Bari). Atti II Conv.
di Speleol. Pugliese Castellana Grotte dicembre 1992, pp 99-111
Fraccalvieri Don Ignazio (1975) Grotta e chiesa di S. Angelo in Criptis. Ed. Adda Bari
Del Vecchio F., Rizzi I., Greco A., Schiralli S. 1989 Nota preliminare su taluni rinvenimenti osteologici in
sacche di terra rossa presenti sulla Murgia. Atti 15° Congr. Naz. Speleol. Castellana grotte 1987, pp 885-916
Del Vecchio e Rizzi - Pulizia della Grotta di Cristo
della stessa, immettendosi nella grotta.
La grotta di masseria Russi è una grotta di interstrato, che durante la fase di rilievo
da parte degli autori è stata forzata una strettoia è trovato un nuovo ramo.
La grotta detta delle Pisoliti è forse l’ambiente sotterraneo più bello in assoluto del
territorio di Cassano Murge, si aprì durante i lavori di forestazione in contrada Visceglie, rompendo il tetto del fusoide ad opera dell’aratro, mentre segnava la linea
di piantumazione, ma l’apertura estremamente stretta non fu notata dagli operai.
La grotta si presenta con un pozzetto strettissimo che immette in una galleria molto
bassa lunga una decina di metri, è completamente rivestita di concrezioni coralliformi, quasi a sembrare un geode di cristalli di spettacolare bellezza, esplorata in una
sola discesa è stata volutamente chiusa è coperta per evitare visite successive, che
possono danneggiare il fragile ambiente.
Grotta Giglia il cui nome è stato trasformato nel tempo, in quanto originariamente
era la grotta sul ciglio del versante del torrente Picone, da qui è divenuta grotta del
Giglio. Trattasi di una grotta di interstrato con diverse aperture scavata lungo la
parete dell’omonimo torrente.
La grotta del ristorante La Quercia detta anche del Cameriere, fu segnalata al CARS
nel 1975 per merito del personale del ristorante, la grotta si sviluppa per oltre 100
meri di lunghezza, con gallerie a diversi livelli, bei cunicoli e strettoie molto tecniche. L’ingresso formato da un’ampia caverna non presenta frequentazioni umane ne
resti di animali.
134
Del Vecchio F., Di Benedetto D., Greco A. (1989) Guida bibliografica di cripte ipogei ed insediamenti rupestri
della Puglia. Levante Editori Bari
Del Vecchio F., Rizzi I., Greco A. (1991) Il popolamento antico sulla Murgia importanti segnalazioni di stazioni preistoriche in territorio di Cassano Murge. Atti del XVI Congr. Naz. Di Spelol. Udine 1990, pp 245-262
Del Vecchio F., Scaramuzzi W. (1993) L’esplorazione della grave di Pasciuddo. Atti del II Conv. di Speleol.
Pugliese Castellana Grotte dicembre 1992, pp 57-62
Giorgio T. (1995) Conosciamo il nostro territorio: la Cassano preistorica e carsica. Riv. Il Pellicano annata completa, da febbraio a novembre 1995
Giorgio T. Cassano delle Murge e il Santuario pp.15-23
Giuliani P. (2000) Elenco delle grotte pugliesi catastate al 31 ottobre 1999 in Itinerari Speleologici riv. della
Federazione Speleologica Pugliese
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Como 1965, pp 59-81
OrofinoF. (1969) Le grotte più profonde della Puglia suppl. di “l’Alabastro”n°4 Castellana Grotte anno V
1969, pp 13-14
Orofino F. (1981) Bibliografia paleontologica delle cavità naturali pugliesi al 1980 “Le Grotte d’Italia” 1980
Castellana Grotte serie IV, pp 47-127
Solito C. (2002) Le grotte di Puglia Bastogi editore Foggia, pp78-79
Rizzi I. (1979/80) Quel buchetto dietro il masso, la grotta del Cervo a Cassano in “CARS Notizie” boll. del
Centro Altamurano Ricerche Speleologiche n° 2-3, Altamura pp 17-20
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DAL DIARIO DI MEDEOT, TOMMASINI, VIANELLO, FERRI, COLONI,
MATARRESE…
DICEMBRE 1956: LA PRIMA ESPLORAZIONE DELLA GRAVE DI FARAUALLA
Manlio Porcelli
CARS - Centro Altamurano Ricerche Speleologiche
Abstract
La Grave di Faraualla è localizzata nelle Murge Baresi, e si può considerare, con i
suoi 271 metri di profondità, ed il pozzo di accesso di 145 metri, tra le più profonde
della zona. I tentativi di discesa iniziarono nel 1951, dal Prof. Filippo Gatti, fondatore e presidente del Centro Altamurano Ricerche Speleologiche, il quale assicurato
in vita solo da una corda in canapa, raggiunse la profondità di circa 80 metri, ma
per carenza di materiale, dovette risalire. Tramite il prof. Franco Anelli, venne contattata la Commissione Grotte Eugenio Boegan di Trieste, che all’epoca era tra le
associazioni speleologiche più fornite di uomini e materiale, i quali organizzarono
una campagna speleologica in Puglia, nel dicembre del 1956, e l’esplorazione completa della Grave di Faraualla. Questo lavoro di ricerca storica, ripercorre le fasi di
quella esplorazione, traendole dalle relazioni originali, scritte all’epoca, e sul campo,
da Marino Vianello, uno degli esploratori.
The cave of Faraualla is placed in an area called “Murge Baresi” and with its 271 metres of
depth and its access well of 145 metres, can be considered one of the deepest. In 1951 prof.
Filippo Gatti, founder and president of the Centro Altamurano Ricerche Speleologiche, tried
to descend this cave with a hempen rope tied around his waist, he reached a depth of 80
metres but he had to climb up for inadequacy of materials. Thanks to prof. Franco Anelli, the
Commission e Grotte “Eugenio Boegan” of Trieste was contacted ; in that period this commission was the best speleological association with a great number of specialized men and
materials. So, it was organized a speleological campaign in Apulia on December 1956 and
the cave was completely explored. This historical research follows the important phases of
this exploration taken from the original relations written, at that time, by Marino Vianello,
one of the explorer of the Cave Commission “Eugenio Boegan”.
Faraualla: da foro nella valle o dal nome del brigante gettato vivo nell’abisso, e dal
quale ne ha preso il nome?
Poco si sa sull’origine del nome di questo abisso che ha attratto generazioni di
speleologi d’ogni luogo e curiosi d’ogni tempo, molti hanno gettato il bastone,
ritrovandolo in seguito galleggiare nel golfo di Taranto! quando Altamura è avvolta
nella nebbia, o si avvicina cattivo tempo, i contadini locali commentano: SI STA
ALZANDO FARAUALL !
136
137
La grave di Faraualla è sempre presente nei racconti di vecchi contadini e nelle
leggende, la prima volta che vidi l’imbocco dell’abisso, rimasi impietrito, gettai
una pietra e quando credevo avesse raggiunto il fondo, continuava a rimbalzare, e
dopo lunghi secondi lo raggiunse, aveva percorso 140 metri… solo il primo pozzo!
Questo mi affascinò, mi incuriosì, e nel vedere l’imbocco pensavo alla scena degli
esploratori di Viaggio a Centro della Terra che uscivano dalle viscere del vulcano
Stromboli, fu in quel momento che decisi di dedicarmi alla speleologia. Essa si apre
sul fondo di una estesa depressione, nella quale è facilmente distinguibile un solco
di deflusso superficiale, si trova a circa 20 km da Altamura, tra Iazzo del Monaco e
Masseria Preveticelli, a 680 m.s.m.. Venne localizzata dal prof. A. Santoro di Altamura, mentre a causa della scoperta delle Grotte di Castellana fatta dal Prof. Franco
Anelli nel 1938, cresceva la passione per l’esplorazione sotterranea. I tentativi di
discesa iniziarono nel 1951 ad opera del prof. Filippo Gatti, fondatore e presidente
della neonata associazione speleologica CARS Centro Altamurano Ricerche Speleologiche, fondata il 21 gennaio 1950, il quale con i pochi mezzi a disposizione, tentò
una prima discesa del pozzo, raggiungendo la profondità di circa 80 metri, ma per
la carenza di materiale necessario, fu costretto a risalire. Venne allora calato uno
scandaglio dal primo terrazzino a 15 metri dall’imbocco, che scese per 150 metri,
arrestandosi su un ripiano sottostante. Bisognava quindi contattare un gruppo speleologico che avesse materiale sufficiente alla esplorazione, e tramite il Prof. Franco
Anelli, scopritore delle Grotte di Castellana, venne contattato Carlo Finocchiaro,
all’epoca presidente della Commissione Grotte Eugenio Boegan di Trieste, il quale
organizzò una campagna speleologica in puglia nel dicembre 1956, e l’esplorazione
completa della grave, che consentì un esatto riconoscimento dell’importante cavità
verticale delle Murge di Altamura, costituita da una successione di pozzi sovrapposti secondo un asse verticale spezzato, per una profondità totale di 256 metri.
Di seguito la relazione di quella esplorazione, tratta dal diario di uscita, scritto sul
campo da Marino Vianello, uno degli esploratori.
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Fig. 1 - Imbocco della Grave (foto arch.CARS)
Fig. 2 - Discesa prof. F. Gatti 1951 (arch. CARS)
Fig. 3 -. Preparativi alla discesa (foto arch. multimediale storico Comm. Grotte Eugenio Boegan - Trieste)
Fig. 4 - Preparativi alla discesa - Tullio Tommasini (foto arch.CARS)
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Fig. 9. Marino Vianello sull’imbocco del P 60 (foto arch. multimediale storico Comm. Grotte
Eugenio Boegan - Trieste)
Fig. 5 - Calata delle scalette - Marino Vianello (foto arch.CARS)
Fig. 6 - Fase della discesa - Tullio Tommasini (foto arch.CARS)
Fig. 7 - Fase della discesa - Tullio Tommasini (foto arch.CARS)
Fig. 8 - Fase della discesa - Marino Vianello (foto arch.CARS)
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Campagna speleologica in Puglia
Prima fase: 22/12/1956 1/1/1957
Anche quest’anno la Commissione grotte ha organizzato una
campagna speleologica fuori zona, in collaborazione col
prof. Franco Anelli, direttore
dell’istituto italiano di speleologia ed il dr. Piero de Lauentis
presidente del gruppo speleologico di Ostuni. Partimmo per
Castellana Grotte il 22 dicembre in quattro: capo spedizione
Medeot, Coloni, Ferri, Vianello. Tommasini ci raggiunse
qualche giorno dopo. Il 25 per il
ritardo dell’arrivo del materiale,
ci dedicammo alla esplorazione
di un pozzo interno delle Grotte di Castellana. I giorni successivi si esplorarono diverse cavità
in agro di Conversano, ma di
scarsa importanza. Tra il 29 ed
il 30 ci dedicammo alla nostra
maggiore impresa: l’esplorazione completa della Grave di Faraualla. La grave è un
imponente abisso che si apre nelle Murge di Altamura, un altipiano carsico sui
600 metri di altezza, lievemente ondulato, arido e quasi desertico. Una leggenda
popolare ne ha consacrato il nome: Faraualla era un temibile bandito che, catturato,
venne gettato vivo nell’orrida voragine. Il pozzo è considerato, ed infatti lo è, il più
profondo della regione, qualche tentativo di raggiungere il fondo era già stato fatto.
Il prof. Gatti, dirigente del gruppo speleologico locale, con lo scarso materiale a
disposizione, era riuscito a giungere ad 80 metri di profondità, ma il suo tentativo
si era dovuto fermare lì: il pozzo era molto più profondo. Partimmo da Castellana
con un motocarro, e dopo
142
quasi due ore raggiungemmo
Altamura. Medeot e Coloni si
recarono dal prof. Gatti, Ferri,
Tommasini ed io (Vianello), facemmo la spola tra i bar della
cittadina, con le ossa rotte per i
sobbalzi del motocarro, ed intirizziti per la grossa nevicata.
29/12/1956
Verso le 10 del mattino, accompagnati dal prof. Gatti ed alcuni giovani Altamurani, ci dirigemmo verso la Grave, a 20 km
circa dalla cittadina. Ore 13,00
riuscimmo ad individuare la
Grave dopo averla lungamente
cercata, ma grazie all’abilità
del pilota del motocarro, raggiungemmo l’orlo del pozzo.
Gettammo subito 100 metri di
scala e scese TOMMASINI che
raggiunse l’ultimo gradino, ma
sotto di lui il pozzo continuava ancora per parecchie decine
di metri. Con un pendolo raggiunse un ripiano e si fermò ad
attendere. Dall’alto calammo altri 100 metri di scala ed io scesi e raggiunsi l’amico portando il telefono. Subito dopo Tommasini continuò la discesa giungendo
al fondo del pozzo a 145 metri dalla superficie: l’abisso continuava ancora con un
altro salto. Mi fece discendere, sempre con il telefono, fino a lui, e, gettate le scale
nel secondo pozzo, continuò la discesa. Ormai non eravamo più a portata di voce
con l’esterno, e trasmettevo per telefono gli ordini di Tommasini a Medeot, Coloni
e Ferri, rimasti fuori a manovrare le corde di sicurezza insieme al gruppo del prof.
Gatti. Tommasini arrivò in un paio di minuti al termine della scala mancavano
pochi metri al fondo ed egli si lasciò scivolare lungo la corda di sicurezza. Potei così
comunicare a Medeot che avevamo oltrepassato i 200 metri di profondità.
143
Tommasini intanto percorreva un breve tratto di galleria,
superava un salto di un paio
di metri, ma doveva fermarsi sull ‘orlo di un terzo pozzo
profondo una trentina di metri. A gran voce ci consultammo sul da farsi. A Castellana
avevamo ancora trena metri di
scale leggere, conveniva risalire
e lasciare i pozzi armati e ritornare l’indomani. Tommasini
inizio la dura risalita del pozzo
interno, risalì a forza di braccia cinque o sei metri di corda,
raggiunse la scala e finalmente
arrivò da me. Dopo una breve
sosta ci legammo alla corda di
sicurezza ed assieme risalimmo
i lunghi 145 metri che ci separavano dalla luce delle stelle, fuori ci attendeva un freddo ed intenso nebbione, tanto che per
tornare sulla strada, dovemmo
percorrere, come un unico segno d’orientamento, le tracce
lasciate dal motocarro sui campi. Io ritornai a Castellana a
prendere le scale, mentre gli altri pernottarono ad Altamura.
30/12/1956
La mattina constatammo che la nostra spedizione aveva suscitato interesse tra gli
altamuresi, infatti durante la giornata giunsero nella zona dell’abisso col prof. Anelli,
il Sindaco di Altamura e numerosi consiglieri comunali. Olle ore 11.45 discendemmo in quattro: Ferri, Tommasini, il figlio del nostro albergatore Nino Matarrese ed
io. Spostammo l’attacco delle scale per guadagnare i cinque metri che mancavano
sotto al secondo pozzo e, lasciato Ferri per collegamento sul primo ripiano a 145
metri, noi tre raggiungemmo rapidamente con le scale il terzo pozzo. Tommasini
superò dapprima un salto di 25 m., poi uno di sette e si fermò sopra un terzo salto di
una decina di metri. Ormai avevamo usato tutte le scale disponibili, e l’unica cosa
da fare se volevamo continuare la discesa, era di legare…
144
gli ultimi trenta metri di scala ad
una corda e calare l’intera calata.
Matarrese raggiunse Tommasini ed ed io eseguii la manovra.
Poco dopo Matarrese mi avvertì
che Tommasini aveva raggiunto
il fondo dell’abisso e che egli discendeva a sua volta per aiutarlo
a stendere il piano della grotta.
A mia volta mi affrettai a gridare a Ferri la notizia affinché la
trasmettesse a Medeot e mi disposi poi tranquillamente una
mezz’oretta mangiando panini
e pensando alle prossime fatiche
della risalita e del recupero del
materiale. Tommasini e Matarrese esploravano nel frattempo le
due brevi gallerie che si aprono
sotto l’ultimo pozzo, cercando
qualche prosecuzione. Ultimata
l’esplorazione e fatto il rilievo,
risalirono l’ultimo salto e mi
gridarono di recuperare la scala.
Questa venne su senza difficoltà
ed in breve ci riunimmo sotto al secondo pozzo. Un certo tempo ed abbastanza fatica richiese la risalita ed il recupero degli 80 metri di scala dal secondo pozzo, ma finalmente ci
riunimmo tutti e quattro, e dopo l’ennesimo spuntino, ci apprestammo all’ultima e più
grossa fatica: la risalita del primo pozzo da 145 metri ed il recupero di tutto il materiale. E
qui bisogna fare gli elogi agli amici di Altamura che animati dall’infaticabile prof. Gatti,
aiutarono in modo decisivo Coloni e Medeot nella manovra della corda di sicurezza e
nel recupero delle scale. Usciti finalmente all’aperto potemmo godere l’inconsueto spettacolo di un Sindaco e di una giunta comunale improvvisatisi speleologhi che tiravano
goliardamente la fune di sicurezza diretti da Coloni, mentre i consiglieri d’opposizione si
tenevano pronti a recuperare le scale ad un cenno di Medeot. Era ormai notte fatta quando caricammo i materiali sul solito motocarro e ci dirigemmo pienamente soddisfatti
verso Altamura, dove pernottammo avendo come programma per il giorno seguente
l’esplorazione di un nuovo pozzo di un centinaio di metri, non molto distante dalla grave di Faraualla, scoperto dal prof. Gatti e dal Prof. Anelli in una ricognizione durante la
nostra esplorazione. Purtroppo per una serie di contrattempi la nuova esplorazione non
potette aver luogo e rientrammo a Castellana.
145
Fig. 10 Al fondo: Vianello, Ferri,
Matarrese. (foto tratta da “La scoperta
delle Grotte di Castellana” di Vito
Matarrese)
Fig. 11 - La sezione della grave
rilevata da Tullio Tommasini
146
Luciano Saverio Medeot 1917 - 1999
Il 18 ottobre 1999 a 82 anni Saverio Luciano
Medeot ci ha lasciato per sempre. Il vecchio
leone logorato da innumerevoli battaglie si
era ritirato solitario, in silenzio, aspettando
con dignità la morte. Alla fine si è assopito, forse sognando di camminare, zaino in
spalla, sulle pietraie del suo Carso sterminato d’anteguerra, e da quel sogno è stato
ghermito. Entrato nella seconda metà degli
anni ’30 nella Commissione Grotte, assieme
ad alcuni giovani, tra cui il fraterno amico
Carlo Finocchiaro, divenne subito pupillo
di Eugenio Boegan, per la sua capacità tecnica nelle esplorazioni, nelle operazioni di
rilevamento e raccolta dati scientifici, per la
sua innata vocazione a guidare gli uomini,
era l’astro nascente della speleologia triestina. Basti ricordare le sue notevoli esplorazioni sul Carso, sull’altopiano della Bainsizza, delle Murge pugliesi, l’ardita opera di
ricostruzione da lui diretta, del Ponte del
Fante nelle grotte di S.Canziano, durante la
guerra la prima esplorazione delle Stufe di
San Calogero a Sciacca. Alla morte del Boegan, avvenuta nel 1939, a soli 22 anni, resse
la Commissione Grotte fino alla presidenza
del Battaglia. La guerra, dove Medeot fu ufficiale e combattente, fermò tutte le attività
speleologiche. Alla fine del conflitto, fu tra
quelli che si prestarono al recupero degli
infoibati. Nel 1947, per motivi personali si
trasferì in sud America, dove progettò grandi opere di ingegneria civile, confrontandosi questa volta, non con le devastanti acque
degli inghiottitoi carsici, ma con le insidie
continue ed i pericoli della giungla, ma il
suo cuore batteva per la speleologia, rientrò a Trieste nella seconda metà degli anni
’50, a lui si deve in questo periodo la ripresa
delle esplorazioni a Sciacca e sulla Murgia
pugliese. Luciano Medeot “ Ciano “ fu, in
grotta e nei campi esterni, come nelle società speleologiche, colui che condivise il ruolo di uomo di punta, di studioso, ed infine
di fratello per tutti, sicuro e solido riferimento dei giovani nelle spedizioni, amava
gli abissi, il rude e sincero cameratismo, il
vino generoso e le belle donne, dialogare
con la morte e vivere ardentemente ogni
minuto della sua esistenza, amava la sfida
e l’avventura, immergersi nella cultura da
protagonista, vivere da grande, amava soprattutto attorniarsi di giovani e trasmettere loro la sua esperienza di speleologia e
di vita. In molti l’hanno visto cantare nel
tepore ristoratore del Rifugio “ Gilberti “
sul Canin, o nelle più misere e sperdute
osterie del Carso, affranti ma felice conclusa l’esplorazione, che il suo corpo potesse
esser distribuito in tanti pezzi e gelosamente custodito da noi speleologi che lo abbiamo amato. Non è possibile. Sarà possibile
onorarlo nei modi più degni, perche Egli
appartiene alla storia. Adesso “ Ciano “ è
lassù, o meglio “laggiù” per noi speleologi,
per sempre tra i vapori della pseudo-cratere
di Sciacca e la vertigine del pozzo di Leupa,
o vagante tra le vette del Canin, ma senza
più affanni.
Commosso, nel più profondo dell’animo lo
saluto, sperando che un giorno mi sia concesso di rivederlo.
Tratto da La Gazzetta dello Speleologo n. 36
nov. 1999 di R.Semeraro
147
Tullio Tommasini 1932 - 1979
I primi giorni del 1979 la speleologia italiana
ha perso uno dei suoi più prestigiosi e promettenti rappresentanti: al reparto rianimazione dell’Ospedale di Trieste è deceduto il 4
gennaio, in seguito a gravi traumi riportati in
un incidente della strada, Tullio Tommasini.
Quarantasei anni da poco compiuti, socio
della Commissione Grotte Boegan dal 1949
e suo vicepresidente da parecchi anni, studioso di meteorologia ipogea di riconosciuto
valore, Istruttore Nazionale di Speleologia del
C.A.I. e Direttore della Scuola di Speleologia
di Trieste, Direttore della stazione di Meteorologia di Borgo Grotta Gigante, membro del
Consiglio Direttivo della Società Alpina delle
Giulie, redattore di Atti e Memorie, membro
della Commissione Regionale per la speleologia, aveva tutte le qualità che fanno di un
essere umano un uomo. Amico di tutti, era
apprezzato per la lucidità di giudizio - sempre
imparziale - e per la calma olimpica con cui
affrontava situazioni ed argomenti difficili,
per cui la sua opinione - mai da lui imposta
- veniva sempre ascoltata con piacere ed interesse. Era riuscito, caso molto raro nella speleologia italiana, a contemplare, nella pratica
speleologica, esplorazione e scienza per cui
nel suo curriculum, accanto ad una trentina
di lavori scientifici (meteorologia ipogea, geomorfologia, carsismo), troviamo esplorazioni e campagne speleologiche in tutt’italia ed
all’estero. Negli ultimi anni aveva organizzato e diretto spedizioni in Iran, partecipato a
campagne di ricerca nelle Puglie, in Campania ed in Calabria: si stava preparando a prender parte ad una spedizione in Sicilia, nelle
Grotte del Monte Kronio. Affrontava queste
imprese con l’entusiasmo di un giovanissimo;
ne ricavava relazioni e studi di alto interesse
scientifico. Una mente razionale di prim’ordine, un cuore puro, alieno da qualsiasi interesse di parte, completavano la personalità
di questo amico che una tragica fatalità ci ha
tolto. Le sue giornate dovevano essere - in virtù di chissà quale miracolo - di trentasei o più
ore: lavorava in un Istituto di Credito per otto
o dieci ore, curava personalmente un piccolo
podere, trovava il tempo per lavorare in Sede
e di essere presente alle varie manifestazioni
e riunioni speleologiche regionali e nazionali,
pur non trascurando la famiglia, moglie e due
148
figlie, elaborava a tavolino i dati raccolti nelle
varie campagne di ricerca. Alla sua morte sul
suo tavolo di lavoro c’erano il “ Decennale
della stazione di meteorologia di Borgo Grotta Gigante “ in cui analizzava i dati raccolti dal
1967 al 1976, il Bollettino della stazione meteorologica con i dati in via di aggiornamento
per il 1978, un lavoro di meteorologia sulla
Grotta di Padriciano, oltre ad appunti di ricerche geografiche che concludeva nel vicino
isontino. Il suo ultimo sogno, la cui realizzazione un avverso destino non gli ha permesso
neppure di impostare concretamente, riguardava la speleologia regionale. Parecchie volte,
negli ultimi tempi, vedendo il funzionamento
(riuscito, nonostante i miei dubbi in proposito) della Commissione Regionale per la Speleologia, mi auspicava una collaborazione tra
i Gruppi Grotte locali anche su di un piano
pratico. Ogni Gruppo doveva portare a questa unione, (che si sarebbe potuta chiamare
Federazione) ciò di cui abbonda: idee, mezzi,
uomini, entusiasmo. Mi ripeteva spesso che
i tempi sembravano finalmente maturi, con
le antiche diffidenze ormai scomparse, per
questo incontro, rilevando che gli pareva assurdo ed antieconomico che brillanti idee su
ricerche da farsi restassero chiuse nel cassetto
perché chi le aveva non aveva avuto il tempo
di realizzarlo, mentre altri non sapevano a che
campo di ricerche dedicarsi, che forti squadre
esplorative rimanessero sottoutilizzate per
mancanza di mezzi quando altri rimandavano
esplorazioni per mancanza di uomini.
Ritengo che il più bell’omaggio alla memoria
di Tullio Tommasini sia proprio la realizzazione di questo sogno: con la scomparsa di Tullio, però, viene forse a mancare l’uomo adatto
a portare avanti questo discorso.
Marino Vianello 1936 - 1970
Entra nell’Alpina delle Giulie nel 1955 facendosi subito socio della Commissione
Grotte. Qui nel giro di pochi anni diventa
animatore della squadra esplorativa, curando le varie uscite sull’Altipiano del Cansiglio ed a Pradis. Partecipa a varie spedizioni
in altre regioni d’Italia: nel 1955 in Sardegna, l’anno successivo in Puglia ed in Sicilia, poi alla Preta dove collabora alla stesura
del nuovo rilievo di precisione effettuato da
Busulini. Nel 1960 comanda le operazioni
della medesima cavità nella spedizione organizzata con i Falchi di Verona. Nel 1961
scende nelle grotte degli Alburni, di cui s’innamora e che tornerà ad esplorare e studiare
ogni anno, tranne il 1967 dedicato e ricerche sul vicino Cervati. Partecipa di persona
all’esplorazione delle più importanti cavità
dei monti Alburni: Grava dei Gatti, Grava
del Fumo, Grava di Melicupo, Madonna
del Monte, delle Ossa, per non parlare delle
più profonde. Dedica alcuni anni della sua
attività a ricerche speleo subacquee, prezioso contributo alla formazione della squadra
speleo subacquea della Commissione Grotte. Nel 1966 comandò la squadra triestina
accorsa a Como per recuperare la salma di
Piatti, precipitato nell’ultimo pozzo della
Guglielmo. Partecipa attivamente all’organizzazione del Corpo di Soccorso Speleologico, di cui diventa responsabile della II
Zona, istruttore di corsi Nazionali di Speleologia del C.A.I., organizza anche Corsi
Locali di Speleologia che la Commissione
Grotte tiene dal 1964. Eletto nel Direttivo
della Commissione Grotte fin dal 1960, ne
diventa con il 1969 vice presidente, ricopre
anche dal 1960 la carica di consigliere in
seno alla Società Alpina delle Giulie, la sezione di Trieste del C.A.I. È grazie alla sua
opera di sensibilizzazione che alcuni consiglieri regionali presentano prima la legge
“Speleologica” e qualche anno dopo quella
del Soccorso Alpino e Speleologico, grazie
alle quali i gruppi regionali ed il Soccorso Alpino, possono lavorare con una certa
tranquillità finanziaria. Nel 1969 organizza
a Trieste il I Convegno Nazionale del Corpo Soccorso Speleologico, pubblica varie
riviste di carattere speleologico con particolare riguardo al fenomeno carsico dei Mon-
ti Alburni. È presente sul Monte Canin
nell’esplorazione della maggiori cavità: nel
1964 - 1966 - 1967 all’Abisso Boegan, dal
1965 all’Abisso Gortani.
Ma il 5 gennaio 1970 sul Monte Canin una
slavina travolge ed uccide Marino Vianello ed altri due speleologi, Enrico Davanzo
e Paolo Picciola, che stavano tornando al
rifugio Gilberti dopo aver filmato alcune
fasi dell’esplorazione al fondo dell’Abisso
Gortani, erano stati colti da una sciroccata
che durante la notte aveva provocato decine di valanghe. Giunti a qualche centinaio
di metri dal rifugio, furono travolti da un
mantello di neve che ne celò i corpi, nonostante le febbrili ed affannose ricerche che si
protrassero per settimane, i loro corpi vennero trovati solo a giugno, con lo sciogliersi
delle nevi.
La loro scomparsa fu un duro colpo, non
solo per le famiglie, Vianello, 35 anni, lascio
moglie e due figli in tenera età; Davanzo 31
anni la vecchia madre; Picciola 18 anni due
genitori affranti, ma anche per la speleologia italiana, di cui Marino Vianello era uno
degli esponenti più affermati.
Tratto da Atti della Società Speleologica Italiana 1970 - 1971 pag. 80 di Pino Guidi e
Speleologia n. 42 del 2000 pag. 91 Notizie Italiane di Luca Girelli
149
Albino Ferri 1919 - 2000
Di Albino Ferri della Commissione Grotte Eugenio Boegan, si sa poco, in quanto
ha partecipato per pochissimo tempo alle
uscite del gruppo, partecipando comunque
attivamente alla esplorazione della Grave di
Faraualla nelle Murge Pugliesi, ed ai rami
delle Grotte di Castellana.
Da notizie di Pino Guidi
Giorgio Coloni 1920 - 2000
Il primo marzo 2000 è morto Giorgio
Coloni. Aveva ottant’anni, di cui ben 62
dedicati alla speleologia. Aveva iniziato la
sua attività nel 1938 con la Commissione
Grotte della Società Alpina delle Giulie di
Trieste, sodalizio di cui restò sempre fedele, dedicandosi non solo alla esplorazione
ed al rilevamento delle grotte della Venezia
Giulia, ma anche alla sistemazione dei sentieri delle Grotte del Timavo, a quel tempo
della S.A.G.. Alla fine della seconda guerra
mondiale, tornato dal fronte, per un paio
di anni si dedicò, assieme ad altri volontari,
al recupero delle salme degli infoibati. Nel
1948 Giorgio Coloni si assunse l’incarico
di riorganizzare la squadra esplorativa della
Commissione Grotte, compito che assolse
egregiamente, trovando pure il tempo di
dedicarsi alla sistemazione dei sentieri della
Grotta Gigante, e di collaborare inoltre alla
gestione della stessa. Per tutti gli anni ’50
e per parte degli anni ’60 è stato presente
a tutte le uscite della Commissione Grotte
sia sul Carso che nel Friuli come pure nel
salernitano, in Piemonte, in Sardegna, nelle
Murge Pugliesi e nel Gargano. Negli ultimi
anni, quando i giovani della Commissione
avevano abbandonato le scale per le corde,
si era dedicato agli scavi archeologici in cui
affiancava Bruno Redivo. Dopo il Carso,
primo grande amore per i grottisti giuliani,
150
Nino Materrese 1930 - 2009
L’unico pugliese della spedizione, nativo di
Castellana Grotte, speleologo dalla età di otto
anni, già membro della Sezione Speleologica C.A.I. di Trieste, ha partecipato a tutte
le esplorazioni successive alla scoperta delle
Grotte di Castellana, profondo conoscitore
dei meandri più nascosti. Essendo il figlio
dell’albergatore, presso il quale alloggiavano
gli esploratori triestini, venne invitato da questi alla esplorazione della grave di Faraualla. È
stato Delegato ufficiale per le esplorazioni in
Puglia e Calabria, fino al 1963.
Tratto da La Scoperta delle Grotte di Castellana di Vito Matarrese Schena Editore
il suo interesse e la sua attività furono dedicate alla esplorazione delle grotte vaporose
del monte Kronio in Sicilia. È stato presente in tutte le spedizioni che si sono avvicendate dal 1957 al 1998, fortissimo in gioventù
era rimasto forte anche ad ottant’anni ed
era sempre in grado, nonostante gli acciacchi che si trovava addosso, di aiutare gli uomini impegnati alle Stufe di San Calogero
o alla Grotta della Cucchiara. Si è spento
serenamente, nel suo letto. A fianco, la
mattina dopo, la nipote ha trovato aperto
l’ultimo trattato sull’idrologia del Timavo.
Giovanni Ragone, Nino Matarrese, Manlio Porcelli in occasione dell’intervista
del 28 aprile 2009 (foto arch.CARS)
151
Ringraziamenti
Pino Guidi, Commissione Eugenio Boegan, Trieste
Giulio Perotti, Commissione Grotte Eugenio Boegan, Trieste
Pino Pace, Museo Speleologico F. Anelli, Castellana Grotte
Nino Matarrese e Renè Trucco per l’intervista del 28 aprile 2009
Bibliografia
ANELLI F. (1959) - La Grava di Faraualla presso Altamura. Bollettino dell’Archivio Biblioteca Museo Civico
Altamura n. 6, 62-69
Calella p., marraffa m., palmisano p., pascali e. (1987) - Grave di Faraualla in Itinerari Speleologici - Rivista della Federazione Speleologica Pugliese n. 2, 5-11
GUIDI P. (1970-1971) - Atti della Società Speleologica Italiana
GUIDI P. (1979) - Speleologia n. 1
GUIDI P. (2000) - Tullio Tommasini in Speleologia n. 42
GUIDI P. (2000) - Giorgio Coloni in Speleologia n. 43, 94
MATARRESE V. (2003) - La Scoperta delle Grotte di Castellana. Schena Editore
SEMERARO R.(1999) - È scomparso Luciano Medeot, e con lui un mondo in La Gazzetta dello Speleologo, 36
VIANELLO M. (1957) - L’esplorazione della Grave di Faraualla in Le Alpi Giulie anno 54°, 34-37
LA GROTTA PALOMBARA 2 (PU 951). MORFOLOGIA E SPELEOPOIESI
PALOMBARA 2 CAVE (PU 951). MORPHOLOGY AND CAVE FILLING
Claudio Calasso1, Bruno Capilungo1, Paolo Negro1, Massimiliano Beccarisi2,
Gianluca Rondine2, Marco Delle Rose2, 3
1
Gruppo Speleologico Salentino
2
Gruppo Speleologico Neretino
3
Consiglio Nazionale delle Ricerche-IRPI
Abstract
Premesse brevi note storiche sulla grotta, si descrivono i risultati delle attività svolte durante il 2007 nella Grotta Palombara 2, sita nella omonima baia (Otranto, prov. di Lecce). Sono stati eseguiti: la ri-esplorazione, il rilievo e la descrizione preliminare di depositi
di grotta di particolare interesse geologico (paleoambientale e paleoclimatico), finalizzati
anche all’aggiornamento della relativa scheda catastale. Nella medesima campagna speleologica sono state individuate altre cavità di Baia Palombara.
After brief notes on the previous speleological researches inside the Palombara 2 cave
(placed at the homonym bay; Otranto, Lecce province) the studies performed during the
2007 are described. A new exploration, the topographic survey and a preliminary description of interesting cave-deposits (palaeo-environmental and palaeo-climate indicators) are
discussed and presented also to update the Cave Register card. Other caves have been detected during the speleological investigation at Palombara Bay.
Key words
Ricerche speleologiche, depositi di grotta, variazioni del livello del mare.
Speleological research, cave deposits, sea level changes.
Introduzione e storia delle esplorazioni
La Grotta Palombara 2 venne esplorata per la prima volta il 16 maggio 1971 da Severino
Albertini, Remo Mazzotta, Isidoro Mattioli, Enzo Evangelisti e Pino Salamina, tutti soci
del Gruppo Speleologico Salentino “P. de Lorentiis”, Ente Morale con sede a Maglie, i
quali in quella occasione individuarono e segnalarono “una interessante formazione geologica posta in prossimità dell’ingresso”. Come riportato nella relazione della esplorazione (archivio G.S.S.), nel pomeriggio dello stesso giorno si aggiunse al gruppo Franco
Orofino, curatore del Catasto Regionale, che dette un valido contributo nelle manovre
delle scalette e delle corde di sicura. Venne così anche eseguito l’inserimento della grotta
nell’elenco delle cavità della Puglia, attribuendo alla cavità il nome Palombara 2 per distinguerla dalla sottostante Grotta Palombara già censita
152
153
al Catasto col n. pu 153. Sul finire degli anni ottanta la cavità fu più volte visitata
dal Gruppo Speleologico Salentino ed in particolare da Isidoro Mattioli, Alessandro
Albertini e Diego De Pandis.
Recentemente la Grotta è stata oggetto di nuove ricerche da parte del Gruppo Speleologico Salentino e del Gruppo Speleologico Neretino, che congiuntamente svolgono esplorazioni e ricerche sulle cavità costiere a sud di Otranto. Questo lavoro illustra l’attività svolta dai due gruppi, consistita principalmente nella ri-esplorazione
e nel rilievo della grotta, e nella descrizione del deposito sedimentario segnalato
nel 1971. La restituzione grafica del rilievo è stata eseguita in base alla simbologia
internazionale (Cappa & Ferrari, 1999). Gli elementi acquisiti consentiranno l’aggiornamento anche della relativa scheda catastale.
Fig. 1 - Ubicazione della grotta, planimetria e sezioni topografiche; per i simboli v. Cappa G. & Ferrari G.
(1999).
Fig. 1 - Geographic placement, plan and topographic sections; Cappa G. & Ferrari G. (1999) for
symbols.
154
Ubicazione e morfologia
La Grotta Palombara 2 (pu 951) si apre nell’omonima baia sita a sud di Otranto a
poca distanza dal porto, a circa 300 metri a sud est di Torre del Serpe e a circa 200
metri a nord ovest della Masseria delle Orte (Fig. 1). Questa porzione di area costiera salentina costituisce l’estremità nord-orientale della dorsale carbonatica LeucaOtranto, strutturata almeno dal Miocene (Delle Rose, 2001). La locale successione
sedimentaria è formata da unità cretacee, paleogeniche, neogeniche e pleistoceniche
(Servizio Geologico d’Italia, 1968, Centenaro et alii, 2003a; Delle Rose, 2006).
Pochi metri al di sotto della cavità indagata vi è l’ampio ingresso, a livello del mare,
di Grotta Palombara, nota anche come Grotta dell’Alga, mentre sul lato sud est
della baia si apre a mezza costa Grotta dell’Orte (Poto et alii, 2006). Sulla verticale
di quest’ultima, a - 18 m sotto il livello del mare vi è il Riparo Strazza, o Caverna
Strazzacugghiuni, e nelle vicinanze è segnalata anche la Cavità Masseria dell’Orte
(Centenaro et alii, 2003b). Altre grotte della zona, come quelle marine Lu Lampiune e di Torre del Serpe, sono note in letteratura e censite nel Catasto Regionale
(Onorato et alii, 1999). Inoltre, ulteriori cavità attualmente in fase di indagine ed
esplorazione si aprono sulle pareti di Baia Palombara.
Nei dintorni di Grotta Palombara 2, lungo le coste rocciose, sono stati osservati
depositi di versante costituiti da brecce in matrice terrosa, sormontati da travertini
e altre concrezioni carbonatiche.
La grotta è ubicata sul lato occidentale della baia a metri 7,5 s.l.m., lungo una parete
a strapiombo sul mare alta circa 20 metri (Fig. 2). Per la progressione speleologica
e l’esecuzione di osservazioni geologiche, sono state armate due vie che consentono
l’accesso in grotta per mezzo di manovre a pendolo. La cavità è costituita da una
porzione antegrotta, il cui piano di calpestio è in pendenza verso l’ingresso, da cui si
accede ad una caverna principale di forma sub-ovale (con andamento in direzione
SE-NO) larga circa 4 m, lunga circa 12 m ed alta al massimo 2. Il pavimento è in
piano ed è costituito da un deposito terroso ricoperto dagli escrementi di una colo155
Fig. 2 - Panoramica degli accessi di Grotta Palombara 2 e di Grotta Palombara.
Fig. 2 - Panoramic view of the entrances of Palambara 2 and Palombara caves.
Fig. 3 - Sezione stratigrafica della parete settentrionale di Palombara 2.
Fig. 3 - Stratigraphic section at the northern wall of Palombara 2 cave
156
nia di Piccioni selvatici (Palombi, da cui il toponimo) che dimora nell’ipogeo e in
altri della baia.
Nell’antegrotta sono presenti colonne stalatto-stalagmitiche, stalattiti e, sulla parte
destra dell’ingresso, il deposito segnalato nel 1971 costituito alla base da ciottoli
levigati.
Dalla caverna principale si diparte, sul lato meridionale un breve cunicolo che sfocia
in un piccolo foro sulla parete esterna, e due altri cunicoli che si addentrano, sul lato
opposto, all’interno del substrato calcareo. Il primo, posto quasi di fronte all’ingresso (sez. 3-4-4’ di Fig. 1), è lungo circa 13 metri, ha una larghezza media di circa un
metro e un’altezza variabile da 0,8 a 0,5 metri; presenta sottili stalagmiti e stalattiti
e termina con una piccola fessura orizzontale impraticabile. Il secondo cunicolo si
apre sulla destra della caverna con direzione praticamente parallela al primo, è lungo
circa 7 metri, con larghezza da 2 a 0,5 metri e altezza da circa 1 a 0,45 metri; esso
termina con una finestra tondeggiante di modeste dimensioni dalla quale si accede
in un piccolo ambiente circolare di circa 2,5 m di diametro e 1,8 m di altezza, riccamente concrezionato. Da quest’ultimo si diparte un ulteriore cunicolo impraticabile
dopo circa 2 m, che tuttavia lascia intravedere una possibile ulteriore prosecuzione
accessibile previa disostruzione (punto 6 di Fig. 1).
La morfologia della cavità suggerisce fattori di controllo della speleogenesi di tipo
stratigrafico, strutturale e idrogeologico. La volta dell’ipogeo, specie nella porzione
dell’ambiente centrale, presenta inoltre cupole e altre forme di corrosione inversa,
spesso coalescenti.
Nel corso dei sopralluoghi non sono stati rinvenuti reperti ma non può escludersi
una frequentazione della grotta in epoca preistorica. Oltre alla colonia di Piccioni
selvatici non è stata osservata altra macrofauna di rilievo.
Speleopoiesi
I depositi di riempimento di Palombara 2 permettono di ricostruire la cronologia relativa di una successione di “fatti” geologici successivi alla speleogenesi della grotta.
Il loro studio richiede l’esecuzione di osservazioni stratigrafiche e sedimentologiche
nonché il prelievo di campioni per analisi petrografiche e radiometriche. Le preliminari osservazioni ad oggi eseguite permettono comunque di delineare significativi
episodi speleopoietici.
Il deposito di ciottoli levigati affiora lungo la porzione inferiore della parete settentrionale dell’antegrotta e prosegue in esterno, senza soluzione di continuità, lungo
il costone roccioso a strapiombo sul mare. Già una valutazione preliminare dell’arrotondamento e della sfericità dei ciottoli indica elaborazione idrica ad alta energia
(Fig. 3). Nell’antegrotta tale ghiaia appare ben classata, arrangiata secondo una generale stratificazione sub-orizzontale, priva di matrice e parzialmente cementata. In
esterno, i ciottoli, meno classati e frammisti con elementi angolosi, sono in parte
157
immersi in matrice terrosa brunastra che verso l’alto assume anche altre tonalità di
colore. È quindi evidente la necessità di suddividere il deposito in più unità stratigrafiche. In via preliminare, la facies principale e il contesto geologico suggeriscono
una sedimentazione in ambiente marino costiero.
Nell’antegrotta e parzialmente in esterno, la ghiaia è sormontata da crostoni carbonatici, inglobanti brecce calcaree, a giacitura pressoché orizzontale. I clasti calcarei
sono granulometricamente eterogenei e non mostrano evidenze di elaborazioni sedimentarie. È probabile quindi che tale livello rappresenti il risultato di una fase
in cui frammenti distaccati dalle pareti di roccia permanevano in situ per essere
progressivamente inglobati in depositi chimici per effetto della precipitazione carbonatica. L’individuazione delle relative condizioni idrodinamiche rappresenta un
ulteriore, interessante approfondimento della ricerca, tanto più in considerazione
che depositi esterni travertinici affioranti lungo i pendii della baia in prossimità di
Palombara 2, presentano analoghi aspetti litologici e sedimentologici e sormontano
brecce terrose di versante.
Il lato meridionale dell’antegrotta presenta, al di sopra delle brecce inglobate nei
crostoni, concrezioni stallatto-stalagmitiche, con altezze dell’ordine del metro. Tali
colonne hanno modificato sostanzialmente l’originario profilo dell’ingresso della cavità (sezione 1-2 di Fig. 1) e sono la testimonianza di una “fase” di stillicidio localizzato e persistente. Inoltre numerose stalattiti e stalagmiti di dimensioni più ridotte
adornano diffusamente i cunicoli laterali. Infine, il deposito terroso incoerente che
ricopre gran parte del pavimento dell’ipogeo costituisce il riempimento più recente.
Considerazioni finali
La prosecuzione delle esplorazioni in Grotta Palombara 2 e negli altri ipogei individuati lungo la costa di Baia Palombara sarà il principale obiettivo delle prossime
campagne speleologiche. In particolare occorrerà verificare l’esistenza di collegamenti percorribili con la sottostante Grotta Palombara (Fig. 2).
Dal punto di vista stratigrafico, l’approfondimento degli studi dovrà stabilire criteri
di correlazioni tra i depositi di grotta e quelli di versante, oltre a permettere circostanziate ricostruzioni degli ambienti e delle relative condizioni deposizionali.
In via preliminare, i depositi sommariamente descritti in questa nota appaiono potenzialmente correlabili con depositi omologhi di Grotta Romanelli (Blanc, 1921)
Grotta delle Striare (Cigna & Orlandi, 1954) e Grotta del Sarcofago (Di Stefano et
alii, 1992). Sulla base di una lunga tradizione di studi e ricerche condotte da oltre
un secolo lungo la costa sud orientale del Salento, il deposito a ciottoli della serie di
Grotta Palombara 2 potrebbe essere infatti ricondotto alle “spiagge tirreniane” dei
citati Autori. Tuttavia la quota di affioramento non ha valenza geocronologica (cfr.
Delle Rose & Marras, questo volume). Non a caso l’applicazione degli schemi di
Bonifay & Mars (1959) alle coste ioniche della Puglia (Cotecchia et alii, 1969), che
158
per decenni ha costituito il punto di riferimento (una sorta di Teoria Dominante),
ha recentemente rivelato alcune incongruenze (Delle Rose & Resta, 2006) che rendono necessari nuovi studi sulle variazioni tardo quaternarie del livello marino.
Per ciò che attiene il concetto di Tirreniano è necessario distinguere almeno “due
opzioni […]: la prima privilegia la connotazione paleoclimatica, che identifica il Tirreniano con le spiagge a Strombus, […Fig. 2 di Delle Rose & Marras (questo volume). La seconda] il significato cronostratigrafico del Tirreniano, proposto come piano
regionale valido per la regione mediterranea […e corrispondente all’intero] Pleistocene
Superiore” (Cita et alii, 2005). Tale distinzione di valenza stratigrafica è comune
inoltre a varie unità tardo quaternarie che altrimenti rimarrebbero di “controverso
significato” (cfr. Ravazzi, 2003).
Inoltre, Centenaro et alii (2003a) indicano età rispettivamente anteriore a 350 mila
anni per depositi carbonatici incrostanti (flowstone) e di circa 158 anni per una stalattite di Grotta dell’Orte, poste circa alle stesse quote dei depositi prima descritti.
Approfondimenti sul Pleistocene Superiore del Salento necessitano quindi di corrette attribuzioni cronostratigrafiche nonché di correlazioni tra i depositi costieri
e quelli continentali contenenti industrie musteriane e faune paleoclimaticamente
significative (cfr. Delle Rose & Marras, questo volume).
Ringraziamenti
Si ringraziano i soci del Gruppo Speleologico Salentino Adriano Fiera e Yuna Salvati per il prezioso apporto nelle fasi di esplorazione e rilievo, Diego De Pandis per
le notizie relative alle precedenti esplorazioni, nonché Daniela Festa del Gruppo
Speleologico Leccese Ndronico e Marco Troisi del Gruppo Speleologico Neretino.
Bibliografia
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Gruppo Puglia Grotte
2
Centro Altamurano Ricerche Speleologiche
3
Istituto di Metodologie per l’Analisi Ambientale - CNR
4
Gruppo Geo-Speleo Valle del Noce
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160
Nel dialetto trecchinese, il termine festola sta ad indicare burrone, forra.
A Trecchina, cittadina alle pendici del Monte Coccovello, in provincia di Potenza, a
due passi da Lagonegro, Lauria e Maratea, si parla di festole per inquadrare profonde fratture che si aprono a circa settecento metri dal centro abitato, versante sud/est
che si affaccia sulla Valle del Noce.
Festola grande e Festola piccola, da sempre rappresentano un tabù per la popolazione locale: si narra di streghe, mostri e maledizioni per gli esploratori, frutto di
quel sentimento di paura che da sempre il buio infonde nell’uomo, dell’oscuro e
dell’ignoto. Fattore determinante, la profonda spaccatura che si apre nella terra in
prossimità della Festola grande, dalla quale si diparte il buco nero della faglia, che
pare assorbire e non restituire.
Era il 21 gennaio del 1977: tabù, paure e credenze popolari furono sfatate, allorquando un gruppo di speleologi locali, con l’intervento di colleghi pugliesi e liguri, attuò
la discesa nelle oscurità della Festola grande. Era la vittoria sul fallimento dell’agosto
precedente, prima punta di esplorazione. Dodici ore occorsero al primo uomo per
raggiungere il fondo a 136 metri di profondità. Una grossa fenditura nel terreno, larga da 0,80 a 4,00 metri lunga circa 80 metri ne rappresenta l’ingresso. Sul versante
sud alcuni ponti naturali formano finestroni visibili dalla sottostante Valle del Noce.
La cavità non presenta concrezionamenti tranne piccole stalattiti e rare deposizioni
di carbonato di calcio sulle pareti. Nel punto più profondo è stata posta una targa a
ricordo della prima esplorazione.
Anche questa voragine è ascrivibile alla neotettonica che ha generato il Graben di
Parruta, distruggendo la soglia del lago pleistocenico della Valle del Noce. La faglia
su cui si è impostata la Festola grande si sussegue in direzione della voragine della
poco distante Festola piccola.
La pericolosità della grotta è molto elevata perché continuamente si distaccano pietre dalle instabili pareti.
Nella loro storia, queste grotte di origine tettonica, hanno saldato l’unione speleologica tra il pugliese Franco Orofino e il lucano Filippo Marotta, e ancora oggi,
motivo di incontro e di progetti tra i gruppi delle due regioni.
161
La Festola Grande -B042di Carmine Marotta
«Gli speleologi trecchinesi erano alle prime armi e l’attrezzatura per l’esplorazione di grotte verticali, molto costosa, non
era ancora disponibile. Con l’intervento
anche di esperti speleologi pugliesi e liguri, guidati dall’indimenticabile Franco
Orofino e da Filippo Marotta, di buon
ora gli speleologi si incamminarono sulle
pendici di Costa Murazzi… La sera precedente nei locali della scuola elementare
di Trecchina una proiezione di diapositive aveva fatto conoscere alla gente del
posto le “acrobazie” degli speleologi. La
notte trascorse insonne per i dodici speleologi pronti a partire al mattino seguente
per la conquista di ciò che doveva rivelarsi
il pozzo più profondo della Basilicata. Di
Festola grande: ramo di nuova esplorazione,
Trecchina, Potenza (foto: M. Rodi)
buon ora gli speleologi, ognuno con il proprio carico di corde, discensori, moschettoni, chiodi da roccia ecc.., partirono alla volta della Festola grande e, dopo aver piantato
ed ancorato le corde, otto di loro, uno alla volta, entrarono nella cavità. Il giorno seguente il giornale radio di una troupe del TG3 raggiunse gli speleologi per un’intervista, per
raccogliere dal vivo il racconto di una delle più belle pagine della speleologia lucana. A
sera vi furono ancora festeggiamenti per l’evento. Il sindaco, la gente, il parroco, erano
tutti con gli speleologi e la popolazione a festeggiare e complimentarsi. Tutti assetati di
curiosità, volevano sapere cosa si nascondeva negli anfratti nascosti della Festola grande.
Un “arrivederci a presto” fu quello di Franco Orofino, che da quel momento assunse in
seno al Gruppo Geo-Speleo Valle del Noce l’incarico di istruttore tecnico prima di esserne
nominato presidente onorario, a distanza di poco tempo».
Bibliografia
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Marotta, C. (1999) Trecchina, Oasi della Basilicata, Castrovillari, Edizioni il Coscile
Festola grande: traverso su crollo, Trecchina, Potenza (foto: M. Rodi)
162
163
164
165
IL “COCITO” DI GROTTA ZINZULUSA (CASTRO,LECCE). DAL 1957 AL
2007: 50 ANNI DI SPELEOLOGIA SUBACQUEA
Nini Ciccarese 2Raffaele Onorato
Gruppo Speleologico Salentino “P.de Lorentiis” - ente morale - Maglie (Le)
2
Centro di Speleologia Sottomarina Apogon, Nardò (Le)
1
1
Abstract
Quattro sono gli affioramenti della falda acquifera in grotta Zinzulusa (Castro, Lecce): la Conca ed il Trabocchetto, ubicati in prossimità della zona di accesso; lo “Stige” posto alla base del Duomo, a circa 120 metri dall’ingresso ed il “Cocito”, remota
prosecuzione sommersa della grotta.
Da sempre quest’ultimo piccolo bacino (pochi metri quadrati di superficie), vera
porta verso l’interno sommerso del blocco calcareo salentino, ha suscitato l’interesse
di speleologi, geologi e biologi.
Ancora oggi, la particolare morfologia carsica e la presenza di abbondante fauna
stigobionte, alimenta grandi aspettative speleologiche e scientifiche. Agli inizi degli
anni ’50, la spinta esplorativa, legata alle ripetute segnalazioni di sempre nuove
specie biologiche di grotta ed al crescente interesse turistico nei confronti di questa
meravigliosa cavità, portò sulle sponde del Cocito autorevoli ricercatori ed i primi
temerari speleologi subacquei. Il 25 luglio 1957, dopo alcuni meno fortunati tentativi, una spedizione organizzata dal Gruppo Speleologico Salentino “P. de Lorentiis”,
guidata dal Prof. P. Parenzan (C.S.M.) e dal Prof. Decio de Lorentiis (G.S.S.), riuscì
ad esplorare una prima parte del “Cocito” ed a realizzare un primo rilievo della parte sommersa. Fu quella una delle prime esplorazioni speleosubacquee documentate
nella penisola italiana.
Nel 1996 partì una nuova campagna esplorativa speleosubacquea. Ad essa presero
parte speleosub provenienti da tutta Italia, altamente specializzati e membri del
Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico. Il successo delle esplorazioni
fu dovuto, principalmente, all’applicazione delle più moderne tecniche speleosubacquee, assolutamente diverse da quelle usate dai primi esploratori, e comunque
derivate dallo studio di quelle pionieristiche esperienze e di tante altre, avvenute
nel corso degli anni. La ricerca nel Cocito, condotta con la campagna esplorativa
“Zinzulusa Speleosub ’96 e ‘97” ha permesso di mettere in luce circa 130 metri di
gallerie sommerse ed un’ampia sala, intitolata al prof. Decio De Lorentiis. Sono
state effettuate, inoltre, importanti scoperte biologiche, come quella della spugna
troglobia Higgynsia Ciccaresei, vero fossile vivente, ed il prelievo di uno stigyomisis, mai rinvenuto prima d’allora nelle acque del Cocito. Tutte le attività subacquee
furono documentate con filmati e foto.
I risultati raggiunti da “Zinzulusa Speleosub ’96 e ‘97”, seppur eclatanti, sono però
166
167
tutt’altro che esaustivi, sia dal punto di vista esplorativo che da quello biologico.
Sono almeno tre, infatti, le specie biologiche rinvenute nella cavità sommersa, oltre
all’Higgynsia, che a tutt’oggi mancano di una classificazione completa. Le esplorazioni, inoltre, si sono fermate in Sala De Lorentiis, sull’imbocco di due stretti
camini ascendenti, che potrebbero riservare delle importanti novità.
NUOVE ESPLORAZIONI A PREVETICELLI
Vincenzo Martimucci, Antonio Denora
CARS - Centro Altamurano Ricerche Speleologiche
Abstract
Relazione completa non pervenuta
Questa relazione riepiloga la storia di tutte le attività e descrive i risultati delle attività esplorative condotte nella Grave della Masseria Previticelli.
Dati identificativi
La grave di Preveticelli, detta anche grave del Finocchio (PU 434), è un inghiottitoio
carsico che raggiunge la profondità massima di 130 metri. Apre su uno degli altopiani più alti della murgia in agro di Gravina in Puglia in località Mass. Preveticelli nei
pressi della più nota località Franchini. La quota sul livello del mare varia dai 620 ai
630 metri. Nello stesso altopiano, a
circa 1200 metri a sud-est del punto di ingresso della grave troviamo
anche la regina delle gravi dell’Alta
Murgia, la Grave di Faraualla.
Dati bibliografici storici
Attraverso una ricerca negli archivi
della biblioteca della Federazione
Speleologica Pugliese presso il museo di Castellana Grotte effettuata
con la disponibilità di Vincenzo
Manghisi e Pino Pace, sono stati
recuperati diversi articoli di giornale da cui si è cercato di ricostruire
alcuni momenti delle attività esplorative avvenute nella grave.
Il documento più antico trovato è
un articolo della “Gazzetta del Mezzogiorno” del 30 maggio 1964 che
racconta come gli speleologi del
Gruppo “Amici della Natura“ di
Verona, diretto dal geologo Attilio
Benetti in una campagna esplorativa, affrontarono la prima discesa
della grave.
168
169
Il 3 marzo 1967 - “Il Tempo” riporta l’esplorazione del “Gruppo ricerche speleologiche” di Bari evidentemente attratto dalla notizia pubblicata negli anni precedenti;
Il 23 marzo 1968 un articolo della “Gazzetta del Mezzogiorno” documenta ancora
le esplorazioni del “Gruppo ricerche speleologiche” di Bari diretto dal Prof. Franco
Anelli;
Il 4 febbraio 1969 infine un articolo della “Gazzetta del Mezzogiorno” documenta
che “Gruppi misti pugliesi diretti da Franco Orofino” hanno esplorato e rilevato
la grotta. Quest’ultimo articolo cita in un passo “Il montaggio delle scale reso più
complicato per la presenza nella profonda voragine di numerose bombe inesplose, ha
richiesto alcune ore di intenso lavoro…”. Gli ordigni citati nell’articolo sono stati
individuati in zone note e non interessate dai percorsi degli speleologi. La tipologia
dovrebbe essere quella dei proiettili da mortaio. È presumibile che nel periodo post
bellico ignoti si siano liberati di questi oggetti utilizzando la grave come discarica.
L’ultimo articolo che parla della Grave è stato scritto nel 1992 e pubblicato negli
atti del Convegno Regionale di Speleologia Pugliese del 1993. Nell’articolo il socio
170
CARS Donatangelo Squicciarini insieme a F.Del Vecchio afferente al GSV riferiscono delle esplorazioni effettuate negli anni 89-90 da parte del GSV CAI Bari e
del CARS di Altamura. L’articolo accenna e dà notizie di esplorazioni avviate su
tre risalite effettuate di altrettanti camini, l’ultima delle quali avvenuta dopo l’allargamento di una strettoia per complessivi 50 metri di risalite effettuate. L’articolo
riporta anche una planimetria del rilievo evidentemente disegnata con un basso
grado di precisione e poco esaustiva) riportante la posizione delle esplorazioni effettuate e concludendo che le attività andrebbero proseguite in futuro.
171
temente sulla grave di Preveticelli, le domande e le probabili potenzialità esplorative
della grave hanno bisogno di evidenti verifiche sistematiche. Inoltre alcune riflessioni e testimonianze di Angelo Squicciarini, riguardanti le esplorazioni effettuate alla
fine degli anni 80 trovano pochi riscontri con la planimetria del rilievo che abbiamo
visto citata e pubblicata nel 1993. Il CARS decide quindi di programmare una serie
di esplorazioni per la rivisitazione e l’aggiornamento della topografia della grotta.
Le attività di esplorazione e rilievo topografico inizieranno nel dicembre del 2000 e
verranno condotte ad intervalli irregolari e concluse nel 2004 con la compilazione
integrale della nuova scheda catastale della cavità a cura del CARS e l’editazione
della nuova topografia della grotta.
Descrizione della grotta
Percorrendo la “lama” che alimenta la grave solo durante le piogge si giunge nella
parte terminale tipicamente a “dolina” con un diametro esterno di circa 30 metri.
Da qui attraverso un ingresso secondario rispetto alla grande apertura della grave si
accede al pozzo di ingresso, leggermente inclinato di circa 15° per i primi 40 metri,
raggiungendo rapidamente la quota di -110 metri dall’ingresso.
Dalla base del pozzo attraverso un cunicolo alto circa 1 metro si accede al salone
di fondo, è la sala principale e più grande della grotta (vedi punto (3) del rilievo)
di forma ovale ed ha asse maggiore di circa 20 metri e asse minore di circa 15 metri
per un altezza variabile da 1,5 metri a 4 metri. Nel salone di fondo sono presenti
depositi di fango
Dal salone di fondo si accede ad Ovest ad un ulteriore pozzo rivestito completamente di fango e profondo circa 5 metri che è un evidente punto di assorbimento
delle acque piovane.
Sempre nel salone di fondo dalla zona a nord-est si accede al primo laghetto perenne, percorribile in quasi tutti i periodi dell’anno senza muta (la profondità dell’acqua non supera mai la vita), che attraversato porta alla galleria fossile spesso frequentata dai chirotteri. Lungo la galleria sono presenti diversi camini ancora non
tutti esplorati.
Confronto fra la topografia 1993 e la nuova topografia riveduta e corretta 2004
Nei primi anni del 2000 è da segnalare un’esplorazione effettuata dagli speleologi
del GSV CAI Bari (D’Oronzo e Fabiano) che dopo aver risalito un camino per circa 15 metri, hanno intercettato una galleria che procede per circa 20 metri per poi
chiudere in passaggi strettissimi e concrezionati non percorribili.
A partire dal 1998 l’attenzione degli speleologi del CARS cade sempre più frequen172
173
Dopo circa 150 metri di percorso si incontra un secondo laghetto nella parte più
alta profondo 1,5 metri e spesso colmo di guano liquido. Dal secondo laghetto ci
si immette a nord-est in un pozzo profondo 12 metri che chiude su una frana da
disostruire e a nord-ovest in una piccola risalita terminante con una strettoia impegnativa che immette in un fuso che è oggetto di esplorazione ed è già stato risalito
per circa 10 metri.
I laghetti citati non sono mai stati oggetto di uno studio approfondito sulla fauna
eventualmente presente al loro interno.
Corsi d’acqua ed attività della Grave
La grave è tutt’oggi attiva come sta a dimostrare la piena, documentata dal CARS
nel mese di settembre 2002, che ha trasformato radicalmente l’ultima parte del pozzo d’accesso facendo precipitare sul fondo massi ciclopici e carcasse d’auto.
Nella foto è possibile notare come sul fondo del pozzo d’ingresso della grave (P121) ci sono due
particolari, uno il masso che prima dell’alluvione era “sistemato” 25 metri più in alto e le carcasse di
auto “abbandonate” agli inizi degli anni settanta.
Fauna ipogea
La fauna ipogea è molto ricca e presenta alcune particolarità. Sono stati osservati e riconosciuti Dolicopodi, Rospo smeraldino, Molluschi Gasteropodi, ed infine i Chirotteri.
I chirotteri sono presenti con una colonia permanente di oltre 500 esemplari e appartengono a due generi differenti il ferro di cavallo minore (Rinolophus hipposideros) ed
il Myotis (Myotis myotis vel blythii). Dati questi rivenienti da alcune ricerche e studi
effettuati nel 2006 dal prof. Mucedda e dal Prof. Bux in collaborazione con il CARS.
Dalle numerose esplorazioni si possono dare alcune prime indicazioni sul comportamento
dei pipistrelli. Durante i mesi caldi i chirotteri stazionano nel corridoio che collega i due
laghetti,(punto (8) del rilievo) come sta anche a testimoniare la collinetta di guano fre174
Rospo Smeraldino
“ferro di cavallo Minore” nel salone
schissimo e maleodorante presente in quel punto e la temperatura mite della galleria
(temperatura di circa 13° gradi). Nel periodo invernale ne sono stati segnalati in numero inferiore e nelle zone prossime al pozzo di ingresso (temperatura di circa 9° gradi).
Ultime attività esplorative
Sulla scorta della nuova topografia prodotta dal CARS nel 2004 si è potuto programmare sistematicamente negli anni 2005-2006 attività intense di esplorazione
che hanno coinvolto molti soci del CARS.
Il risultato dell’intensa attività esplorativa effettuata dal CARS negli anni 2005 e
2006 sono:
- 15 giornate di uscita (giornate di esplorazione)
- 150 metri di risalita in artificiale
- 3,3 media del numero di speleologi per uscita
- 235 metri di corda utilizzata per le risalite
- 310 spit/fix utilizzati
- 9° C temperatura media interna
- -5° C temperatura minima rilevata all’ingresso nei periodi invernali
- 38° C temperatura massima rilevata all’esterno
La risalita del camino presente all’interno del salone principale (punto (3) del rilievo
2004) si biforca a circa 15 metri di altezza in due camini paralleli. Entrambi esplorati e risaliti terminano in punti ciechi fortemente concrezionati e non percorribili
dopo oltre 40 metri di risalita.
Le ultime esplorazioni ancora in corso sono concentrate nel tratto finale della grotta
(punto (13)) della zona fossile corrispondente alla terza risalita citata nell’articolo
del 1993 già menzionato nella presente relazione. Il flusso di aria presente in questo
punto è notevole e in passato sono stati osservati passaggi di chirotteri indicativi
quindi della presenza di ulteriori ambienti.
Da segnalare che in superficie da alcune battute di ricerca effettuate non sono stati
trovati altri possibili doline o punti di accesso alla grave stessa, sicuramente il tutto
175
Il substrato murgioso nel 1997
Il substrato murgioso nel 2005
dovuto anche alla massiccia opera di spietramento effettuata sul territorio permessa
ed incentivata da non illuminate scelte politiche regionali degli ultimi decenni.
Riepilogo delle attività effettuate e documentate
Sulla scorta della nuova topografia prodotta dal CARS nel 2004 si elencano di seguito i commenti a tutti i punti del rilievo
- Pozzo di ingresso: la zona indicata tra due punti interrogativi nella sezione del pozzo di
ingresso fra 15 metri e 30 metri di profondità è stata armata e percorsa, si tratta di un fuso
parallelo al pozzo principale che si ricongiunge al pozzo principale circa a quota -40 metri;
- Pozzo di ingresso: da quota -70 a -90 l’intero contorno delle pareti del pozzo non
sono visibili - da rivedere;
- punto (1) in pianta: il condotto di passaggio dal fondo del pozzo al salone di fondo
ha una prosecuzione concrezionata e non percorribile - da rivedere;
- punto (3) in sezione: la risalita del camino presente all’interno del salone principale effettuata nel 2006-2007 e già descritta nella presente relazione - da rivedere
nelle zone alte;
- punto (4) in sezione e in pianta: questa è la zona dove confluiscono tutte le acque
piovane provenienti dalla lama esterna alla grave, ci sono due evidenti punti di
assorbimento che terminano su frana infangata oltre a una diramazione che ha una
prosecuzione concrezionata non percorribile - da rivedere;
- punto (6) in sezione e in pianta: corrisponde alla prima risalita citata nella relazione Squicciarini Del Vecchio del 1993, è ancora presente la corda lasciata lì da oltre
10 anni e certamente non affidabile - da rivedere;
- punto (8) in sezione e in pianta: risalita del GSV CAI Bari del 2002, in pianta sono
presenti due punti interrogativi che non sono ancora stati verificati - da rivedere;
- punto (9) in sezione e in pianta: risalita in fase di esplorazione, ha portato tramite
176
177
l’attraversamento di un finestrone a circa 20 metri di risalita; ci si cala per 5 metri in
una piccola galleria che porta al punto (10) e ad un’ulteriore risalita (è certamente la
zona della seconda risalita citata nella relazione Squicciarini Del Vecchio del 1993);
è presente la corda della successiva risalita non ancora conclusa che sale almeno per
20 metri, non è stata percorsa ultimamente, si scende direttamente sul punto (10)
del rilievo - da rivedere la risalita con la corda vecchia;
- punto (10) in sezione e in pianta: corrisponde alla seconda risalita citata nella
relazione Squicciarini Del Vecchio del 1993; risalito il primo pozzo si incontra la
corda lasciata lì da oltre 10 anni e certamente non affidabile che porta alla seconda
risalita non completata come da relazione del 1993 e da testimonianza di Angelo
Squicciarini - da rivedere;
- punto (11) in sezione e in pianta: è una grossa frana percorribile in salita e da
esplorare - da rivedere;
- punto (12) pozzo da 12 metri che porta al punto più profondo di tutta la grave,
l’acqua proveniente dal secondo laghetto termina alla base del pozzo e viene assorbita in una zona che andrebbe disostruita - da rivedere;
- punto (13) in sezione e in pianta: corrisponde alla terza risalita citata nella relazione Squicciarini Del Vecchio del 1993; la risalita è stata armata per 20 metri di
altezza e non sembra accennare a conclusioni, è la zona oggetto di esplorazione
attualmente - da rivedere;
Ringraziamenti
Gaetano Proietto, Vincenzo Manghisi e Pino Pace per la disponibilità a fornire copie degli articoli giornalistici degli anni 60 conservati presso il Museo Speleologico “F. Anelli”
Foto Archivio CARS, Giovanni Ragone e Carlos Solito
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178
179
PRIME NOTIZIE SULLA GROTTA SANTA FRANCESCA
FRANCAVILLA FONTANA(BR) - F° 203 VILLA CASTELLI IV SO
Fantastico Daniele, Puzzovio Valerio, Devita Emanuela
Gruppo Grotte Grottaglie
Abstract
La grotta è situata geograficamente, in prossimità del confine della provincia di
Brindisi con quella di Taranto, in località Trullo Perito. L’ambiente esterno è caratterizzato da folta macchia mediterranea, nelle immediate vicinanze è situato un muro
a secco tradizionale delle nostre zone.
Possiamo collocarla geologicamente sulle ultime propaggini degli affioramenti calcarei del cretaceo, che a qualche centinaio di metri, verso la masseria vicentino,
lasciano il posto ai depositi calcarenitici plio-pleistocenici.
La grotta presenta n°6 stanze di diversa forma, collegate tra loro con dei cunicoli
di diversa lunghezza, lo sviluppo della grotta è direzione nord-est, l’ultima parte si
sviluppa in direzione sud-est.
L’ingresso della grotta è costituito da un’apertura circolare di circa 80 cm, attraverso
essa si accede alla prima stanza di forma triangolare, altezza pari a 4 m e base 3 m.
L’ambiente circostante è apparentemente fossile. Un cunicolo di circa 2 m ci porta
nella seconda stanza di forma ovale di dimensioni lunghezza circa 6 m, larghezza
3,50 m, altezza di 3,60 m, anche questa stanza presenta delle concrezioni fossili.
Dalla seconda stanza si passa nella stanza n° 3 attraverso un buco di altezza 50 cm e
larghezza 60 cm in direzione NE tramite un cunicolo lungo 6 m.
Quest’ultima si apre in direzione NE, alta 3,60 m e larga 3,50 m caratterizzata dalla
presenza di una colonna posizionata al centro della grotta come a sostenere la volta;
numerose concrezioni del tipo a “cavolfiore o coralliformi” sono fittamente disseminate sul pavimento.
La quarta stanza, alta 1 m e larga 4,50 m è caratterizzata da un laghetto e un “bacio”
che rendono molto suggestivo l’ambiente rispetto alle prime stanze, lo stillicidio
è abbondante tanto che numerosissime concrezioni sempre del tipo “cavolfiore o
coralliformi” ricoprono la pavimentazione.
Un ulteriore cunicolo interamente concrezionato lungo 3 m e alto 40 cm, ci porta
strisciando alla quinta stanza che è divisa in due ambienti paralleli separati da numerose concrezioni; per i primi 4 m si può stare agevolmente seduti, l’altro ambiente è
a forma di imbuto di altezza 4 m e lunghezza 3,40 m; un altro cunicolo in direzione
NE lungo 1,5 m porta alla sesta stanza anche questa a forma di imbuto alta 4 m,
lunga 10,60 m e larga 4,10 m; all’ingresso sul pavimento ricoperte da concrezioni
del tipo a “cavolfiore o coralliformi” ci sono delle ossa animali (attualmente in fase
di studio).
Ai lati sul pavimento ci sono dei cunicoli che fanno pensare ad una eventuale con180
181
tinuazione della grotta. In effetti uno di questi si sviluppa in direzione SE per circa
14 m e misura un’altezza massima di 1 m e larghezza 1,20 m.
Bibliografia: atti del convegno “Stato attuale delle scoperte speleo-archeologiche
nelle grotte pugliesi” e del “IX incontro della speleologia pugliese”. Itinerari speleologici n° 8.
Relazione completa non pervenuta
IPOTESI SPELEOGENETICHE SULLA GRAVE DI MONTE PELOSELLO
(MARTINA FRANCA)
SPELEOGENETIC HYPOTHESIS OF THE MONTE PELOSELLO CAVE (MARTINA FRANCA)
Giovanni Indelicato, Michele Marraffa
Gruppo Speleologico Martinese
Abstract
Il presente lavoro intende ricostruire le tappe speleogenetiche che hanno portato
alla formazione della Grave di Monte Pelosello, cavità ipogea di notevole interesse
speleologico per la conformazione geologica peculiare in cui essa si manifesta.
Il complesso carsico si sviluppa nel territorio di Martina Franca a circa 10 km dal
centro abitato in direzione Villa Castelli; l’imbocco sito ai margini di una canalone,
parte basale di una bacino imbrifero di cospicue dimensioni, si apre in una roccia
calcarea avente caratteristiche litologiche tipiche della “formazione” del Calcare di
Ostuni, differente dai calcari micritici delle aree circostanti. Caratteristica saliente è
l’ampio corpo di frana di cui sono costituite gran parte delle pareti della cavità ed i
cui elementi sono riferibili ad una breccia calcarea con abbondante matrice di terra
rossa.
Mettendo in relazione ipotesi speleologiche, geologiche e morfostrutturali insieme
a studi compiuti sia all’interno che in superficie si è potuta ricostruire la storia evolutiva di una grave la cui genesi ha da sempre incuriosito gli speleologi che l’hanno
visitata.
This job want to fix every step of the genetic speleology that have brought to the formation of the Monte Pelosello cave. Very interesting speleologic hollow for the geologic
formation where it manifested it self.
All the carsic system is developing in the Martina franca area around 10 Km to the inhabited center in the Villa Castelli direction. The entry is posizioned to the borders of a
canal, it is part of a catch drain who has notable dimension, it is open in a calcareous
rock who has tipical rock’s caratteristic of the “Calcare di Ostuni” it is different from the
microcrystalline limestone of the surrounding areas. Very important is the ample body
of the landslide who make most of the cave’s walls, this elements are referable to the
calcareous breach whit a lot portion of the red soil.
Comparing the speleologic, geologic and morphology-structures hypothesis with realized studies inside and to the surface of the cave will be rebuild the cave’s histoty who
growing have always made curious all the speleology that visited it.
182
183
Introduzione
La grotta si apre sul margine di una ampia depressione in località Monte Pelosello
nel comune di Martina Franca.
Per accedere alla grotta è necessario scavalcare un alto muro di recinzione, e per
farlo occorre utilizzare una scala a pioli, onde poter salire sulla sommità del muro,
dalla quale ci si cala poi dall’altra parte con una corda fino a raggiungere il bordo
dell’ampio imbocco del pozzo di ingresso.
Il muro in cemento armato, è stato realizzato allo scopo di impedire che all’interno
della grotta si riversino rifiuti di ogni tipo. La decisione di costruire il suddetto muro
è stata presa a conclusione di una sostanziale operazione di bonifica della cavità,
fatta a cura del GSM nell’anno 2000, con la quale sono state raccolte e portate in
superficie una gran quantità di rifiuti inquinanti e pericolosi, quali farmaci scaduti
e carcasse di animali domestici.
fondità, dalla quale ci si affaccia in una grande caverna. Da questo punto e dopo
aver superato il secondo frazionamento si procede con la discesa nel vuoto (Fig. 2),
durante la quale, si può osservare la morfologia della vasta sala con una particolare
volta a cupola. La discesa termina 16 metri più in basso sulla sommità di un notevole
cono detritico.
Infine percorrendo il lungo e ripido cono detritico, costituito da pietre provenienti
dall’esterno e in condizione fortemente instabile, si raggiunge il fondo della sala. Sul
fondo la mole di pietre ammassate ha presumibile ostruito un eventuale passaggio
che permetteva di proseguire oltre.
Fig. 2 - La spettacolare volta a campana che si apre dopo la cengia a -13metri (foto Calella P., 2007)
Fig. 1 - Rilievo della Grave di Monte Pelosello (Marraffa e Schivone, 2005)
Dopo aver ancorato la corda ai due fix sul muro, si scende lungo un piano inclinato,
e attraversando una fitta vegetazione arbustacea, si raggiunge il ciglio del pozzo.
Oltre il ciglio, si deve superare il primo frazionamento per poter proseguire nella
discesa del pozzo e giungere su un’ampia e spaziosa cengia, a circa 13 metri di pro184
Si nota un solco nel cono detritico tracciato dall’acqua piovana che raccolta nel bacino esterno si riversa nel pozzo d’ingresso, e scorrendo si infila tra i massi sul fondo
della sala, dopodiché scompare alla vista.
La prima esplorazione documentata della grotta risale al 1962, ad opera del Istituto
Italiano Speleologico e del Gruppo Speleologico Pugliese; le successive esplorazioni
si sono realizzate nel 1964 a cura di Amici della Natura e nel 1965 dal G.R.S.. Il primo rilievo della grotta è stato eseguito da F. Orofino nel 1968, il quale lo pubblica
su “Itinerari Speleologici - Grotte e Voragini di Martina Franca”. In questo volume
185
Orofino descrive la grotta sottolineando un particolare importante: il cono detritico
sul fondo della cavità è di forma concava e non convessa come di consueto; egli stesso avanza l’ipotesi che il fenomeno potesse essere dovuto alla presenza di una cavità
più profonda nella quale sprofondava lentamente il cono detritico.
La nostra prima discesa in questa grotta risale all’inizio degli anni 80, eravamo animati e stimolati dalla curiosità di constatare proprio il particolare e insolito cono
detritico descritto da F. Orofino.
Si ebbe modo di constatare che tale cono non aveva più una forma così accentuata,
probabilmente perché negli anni successivi vi erano state riversate all’interno della
grotta una notevole quantità di pietre, le quali avrebbero colmato la parte concava
del fondo della grotta stessa.
Da questa nostra prima visita è nata la voglia di studiare la morfologia della grotta
per comprenderne la genesi e poterne così determinare la verosimile evoluzione e
ricondurre allo stato attuale.
Inquadramento geologico generale
Inizialmente i depositi carbonatici affioranti nel territorio di Monte Pelosello venivano attribuiti alla sola formazione del Calcare di Altamura, studi successivi hanno
poi portato ad una più precisa definizione della serie stratigrafica. Come illustrato
nella carta geologica (Fig. 3) le tre principali formazioni affioranti nell’area sono,
dalla più antica alla più recente: Calcare di Altamura, Calcare di Ostuni e il Calcare
di Specchia Tarantina (Indelicato e Marraffa, 2007).
La cavità oggetto di studio si estende totalmente all’interno del Calcare di Ostuni
(Campaniano sup.- Maastrichtiano inf.?) formazione caratterizzata da calcari bioclastici, grano sostenuti di colore biancastro a stratificazione massiccia oppure in
strati di qualche decimetro talvolta difficilmente distinguibili.
Fig. 3 - Stralcio della carta geologica della zona di Monte Pelosello (Indelicato, 2008)
L’ analisi stratigrafica condotta in alcuni affioramenti situati nelle immediate vicinanze dell’imbocco della grave insieme all’analisi microscopica di campioni prelevati
al suo interno hanno messo in evidenza la natura calcarenitica che spesso si rileva in
queste successioni nonché la stratificazione irregolare e frequentemente massiccia.
Alla scala del campione sono facilmente distinguibili le Rudiste, in frammenti di
186
187
piccole o medie dimensioni, ed in grande quantità, tanto che esse rappresentano la
porzione bioclastica più abbondante (Fig. 4).
di impluvio ed ha evidenziato come la dolina si sia formata nella parte basale di un
grande bacino endoreico (Fig. 5).
Fig. 4 - Particolare di frammenti di RUDISTE in un campione prelevato all’interno della grotta (foto
Giovanni Indelicato).
Fig. 5 - Rappresentazione dei caratteri idrologici superficiali nell’area di Monte Pelosello.
Le differenze litologiche rispetto ai calcari delle zone limitrofe richiamano diversi
ambienti sedimentari: se il Calcare di Altamura si depositava in un ambiente marino poco profondo con collegamenti al mare aperto (piattaforma interna), quello di
Ostuni si formava al margine della piattaforma carbonatica, in un ambiente caratterizzato dalla presenza di alte energie dove potevano depositarsi un elevato numero
di frammenti di Rudiste, le quali avrebbero subito un trasporto dall’originaria posizione di vita.
Fasi speleogenetiche
L’odierna conformazione delle Grave di Monte Pelosello è frutto di una serie di
eventi che si sono manifestati in epoche diverse con “variazioni dell’intensità del
fenomeno carsico”.
Caratteri geomorfologici
Le osservazioni a carattere geomorfologico effettuate in un raggio di circa 5 Km
dall’imbocco della grave hanno messo in risalto come ci sia una stretta relazione tra
le principali direttrici strutturali delle Murge e la distribuzione di alcune forme del
paesaggio (doline, scarpate, depressioni, ecc.).
In questo territorio dove la componete tettonica è strettamente connessa alla genesi
delle forme carsiche ipogee ed epigee si è formata la dolina di Monte Pelosello:
canalone di modeste dimensioni orientato NW-SE il cui fondo è occupato da una
cospicua copertura di terra rossa, prodotto residuale della dissoluzione superficiale
del calcare che per migliaia di anni ha interessato un’area di notevoli dimensioni.
Un’analisi foto-interpretativa dell’intera area ha messo in risalto le principali linee
188
189
1) la prima fase vede la formazione di due ampi ambienti probabilmente parzialmente sovrapposti estesi per l’ampiezza del bacino esterno odiernamente ricoperto
da prodotti residuali (terre rosse).
La separazione di blocchi di roccia, sotto l’azione delle gravità, dalla volta e dalle pareti della cavità ha determinato l’ampliamento degli ambienti sotterranei, attraverso
una serie di crolli secondo le più frequenti modalità evolutive dei sistemi carsici
sotterranei (Fig. 6, Fase 1);
2) il progressivo ampliamento delle iniziali cavità ad opera di crolli dalle pareti e
dalla volta ha portato allo sprofondamento del diaframma roccioso dalla volta originaria secondo uno schema di assottigliamento che è tipico delle Doline da Crollo.
Insieme ad una notevole quantità di massi si sono anche depositate ingenti porzioni
di terra rossa che è andata ad occludere gli spazi intraclastici (Fig. 7). L’origine di
tali prodotti residuali è da annoverare ad una serie di processi dissolutivi che hanno
interessato per lunghi periodi il bacino imbrifero in cui la grotta si sviluppa (Fig. 6,
Fase 2);
Fig. 6: Rappresentazione schematica delle principali fasi speleogenetiche.
La ricostruzione speleogenetica è stata condotta attraverso indagini geomorfologiche e strutturali sia internamente alla cavità ipogea che nel bacino esterno in cui
essa si sviluppa con particolare riguardo ad una serie di osservazioni a grande scala
nelle aree limitrofe ed a piccola scala attraverso analisi microscopiche dei campioni
raccolti lungo le pareti ed il fondo della grotta.
Dopo un’attenta osservazione della sala, si è notato che oltre alle pareti anche il
soffitto é interessato da un notevole corpo di frana cementato da terra rossa; quindi
l’ipotesi più verosimile da noi ipotizzata è che questa sia solo una porzione visibile di
una cavità di dimensione ben più ampia e che la frana che la riempiva sia scivolata
lentamente in una cavità inferiore.
I risultati di tali studi hanno portato alla suddivisione di 4 principali tappe speleogenetiche di seguito si descritte:
190
Fig. 7: Particolare della parete nella zona meridionale del “cavernone”. Si nota il corpo di frana costituito
da blocchi calcarei in una matrice di terra rossa (foto Michele Marraffa).
3) ulteriori fasi di assestamento e crolli, relativi ad epoche successive, hanno portato
alla formazione di una cavità all’interno della breccia parzialmente aggregata. Facen191
do dei bilanci sui volumi di materiali si ritiene che parte dei massi di crollo abbiano
raggiunto una più piccola cavità sottostante a quella attuale per crollo dello spazio
di separazione tra le due (Fig. 6, Fase 3).
4) in epoche recenti l’apertura di un pozzo profondo circa 12 metri ha permesso di
collegare la cavità sottostante con la superficie esterna.
Ben evidente è il passaggio tra la roccia calcarea che interessa il pozzo d’accesso e la
breccia calcarea non cementata che costituisce le pareti della sala interna; il fondo di
quest’ultima è interessata da una cono detritico di materiali attuali, molti di essi di
origine antropica per spietramento dei campi limitrofi (Fig. 6, Fase 4).
Si ritiene che l’area sia attualmente in evoluzione per la presenza di una serie di
piccoli sinkhole attivi lungo il canalone stesso.
Conclusioni e sviluppi futuri della ricerca
Lo studio della Grave di Monte Pelosello ha contribuito ad arricchire le conoscenze
sul carsismo della provincia ionica avvalorando ed approfondendo alcune caratteristiche dell’evoluzione ipogea.
Le tesi sviluppate in questo lavoro potrebbero essere confermate ed approfondite in
futuro attraverso una serie di studi ed indagini geologiche indirette, in particolare
si fa riferimento al metodo geoelettrico con il quale sarebbe possibile individuare e
delimitare la presenza di cavità limitrofe.
Bibliografia
CIARANFI N., PIERI P., RICCHETTI G. (1988) - Note alla carta geologica delle Murge e del Salento. Mem. Soc.
Geol. It., 41, 449-460.
ENZO PASCALI (2000) - La bonifica della Grave di Monte Pelosello a Martina Franca. Atti di Spelaion, anno
2000, 169-172.
INDELICATO G. (2005) - Costituzione geologica e aspetti morfologici della Valle d’Itria. Inedita.
LUPERTO SINNI E. & BORGOMANO J. (1989) - Le Crétaceé supérieur des Murges sud-orientales (Italie Méridionale): stratigraphie et èvolution des paléoenviromentes. Riv.It.Paleont.Strat., 95 (2), 95-136.
LUPERTO SINNI E. & RICCHETTI G. (1978) - Studi micropaleontologici di una successione carbonatica del Cretaceo
superiore rilevata nel sottosuolo delle Murge sud-orientali. Riv.It.Paleont.Strat., 84 (3), 561-566.
RICCHETTI G. (1975) - Nuovi dati stratigrafici sul Cretaceo delle Murge emersi da indagini del sottosuolo. Boll.
Soc.Geo.It., 94.
192
193
PRESENTAZIONE DEL CALENDARIO 2008 DELL’ORDINE DEI GEOLOGI DELLA PUGLIA “GROTTE E IPOGEI DELLA PUGLIA”
Carlos Solito1, Alfredo De Giovanni2
1
Scrittore, fotografo, speleologo 2Ordine Regionale dei Geologi della Puglia
Grotte e ipogei della Puglia è l’edizione 2008
del calendario dell’Ordine Regionale dei Geologi della Puglia affidato agli scatti dello scrittore
fotografo Carlos Solito. Dal Gargano al Salento le otto immagini prendono in esame alcune
emergenze ipogee naturali e artificiali. I criteri di
scelta sono stati affidati a una chiave di lettura
che interpreta un vero e proprio viaggio dentro
la crosta rocciosa della regione. E i viaggi hanno un inizio e una fine, un via e un traguardo.
Partenza - la copertina - quindi dalla grotta di
Mezzoprete sull’Alta Murgia di Altamura dove
una vasta caverna bella di colonnati è svelata da
una spada di luce solare che arriva dal piccolo
ingresso. Poco più a sud nella terra delle gravine,
a Mottola, a regalare emozioni ai mesi di gennaio
e febbraio ci pensa il ciclo di affreschi della cripta
di San Nicola. Marzo e aprile hanno la più bella
grotta del Gargano: Pian della Macina dalle tante
stalattiti e stalagmiti. I mesi di maggio e giugno
sono rappresentati dalla mastodontica Grave di
Castellana, la voragine più miracolata di tutto il
mondo sotterraneo di Puglia. Luglio e agosto sono illustrati da un altro scrigno di
concrezioni: la grotta di Torre di Lesco sempre ad Altamura. Si punta ora, settembre
e ottobre, nel Salento a due passi da Otranto per il mistico ipogeo di Torre Pinta.
Novembre e dicembre sono riservati ad altre grotte artificiali, realizzate dalla mano
dell’uomo. Le cave di San Tommaso - ancora ad Altamura - sono il frutto di una
straordinaria archeologia industriale. E dopo il breve viaggio, si esce dal ventre di
Puglia per il grottone di Santa Croce affacciato sulle vertiginose pareti della gravina
di Laterza.
194
195
PRESENTAZIONE DEL LIBRO “MI CHIAMO TERRA”
Totò Inguscio, Emanuela Rossi
Studio ambientale Avanguardie
Mi chiamo Terra
“Buongiorno a tutti. Mi chiamo Terra, Pianeta Terra.
Sono stata interpellata per raccontare la mia storia…”
Inizia così la favola “scientificamente corretta” che scritta pensando in una chiave diversa
materie dai nomi altisonanti quali Cosmologia, Idrogeologia, Biospeleologia.
Il racconto parte da lontano, da episodi presenti nella memoria di una grande vecchia - Madre Terra - e di personaggio in personaggio si avvicina ai giorni nostri,
rivolgendosi ai bambini e alla loro innata curiosità, con un ritmo serrato e disegni
coinvolgenti che vogliono tenere alta l’attenzione.
L’acqua parla del suo ruolo nel disegnare le forme attuali del pianeta “Un tempo
vivevo con le mie sorelle all’interno della massa incandescente nel cuore caldo della
Terra. Poi sono uscita…”; una cavalletta racconta della vita nel sottosuolo “io raramente mi incontro con loro perché preferisco stare a metà strada tra l’interno buio
e l’esterno luminoso ma talvolta ci incrociamo. -Buongiorno sor Isopode- io dico
e lui -A lei sora cavalletta-”; un dente fossile ricorda la sua vita legata ad un cervo
e gli episodi che lo hanno fuso alla roccia “Ora invece quel sapore salato che avevo
conosciuto da giovane, quando il mio cervo si abbeverava inesperto alle sue rive,
tornava ad avvolgermi. Il mare stava entrando in grotta”; lo spirito di un bambino
vissuto nella preistoria rivive l’andirvieni di uomini e animali nella sua grotta “Sta di
fatto che quando ci tornarono, millenni dopo, non erano più in cerca di un luogo
per dormire, pregare o rifugiasi ma andavano in cerca di sapere.” La grotta diventa
sempre più protagonista ed ecco la luce che si inorgoglisce dicendo “Nonno tizzone
fu, forse, il primo ad accompagnare gli uomini nelle caverne”; un lombrico, scusate,
Brico Lom che accampa meriti “in un settore che con una parola molto di moda,
per quanto errata nella fattispecie, voi chiamate ecologico”; infine lei, la grotta che
invita a conoscerla con prudenza ma allegria “Ad ogni buon conto, se da una parte
potrei somigliare a questo gustoso dolce tradizionale, dall’altra somiglio anche ad
un labirinto”.
Otto personaggi in cerca di attenzione, in un libro da leggere a bambini ma anche
utilissimo come strumento didattico e di educazione ambientale.
Mi chiamo Terra è un progetto didattico dello studio ambientale Avanguardie con
illustrazioni di Mirko Gaballo.
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DATI SCIENTIFICI RECENTI DALLE CAVITÀ CARSICHE DI ALTAMURA
Vincenzo Iurilli, Giovanni Palmentola †
Gruppo Speleologico Ruvese
CARATTERI GEOMORFOLOGICI E NATURALISTICI DELLE GRAVINE
DI GROTTAGLIE
GEOMORPHOLOGICAL AND NATURALISTIC CHARACTERS OF KARST VALLEYS (GRAVINE) AT GROTTAGLIE
Abstract
A seguito di un triennio di ricerche nel campo della speleosismologia, alcune grotte
della Murgia altamurana si sono rivelate rappresentative di alcuni fenomeni geomorfologici, e dei relativi metodi di studio. La grotta di Cellaforza è un frammento
relitto di un sistema carsico evoluto, ormai in fase di senescenza; i fenomeni ivi rilevati sono stati analizzati considerandoli come “morfosequenze carsiche”, ottenendo
informazioni sulla storia evolutiva della grotta e delle sue forme, in particolare quelle da deformazione, che possono essere messe in relazione ad attività tettonica registrata dal sistema carsico. La possibile estensione delle osservazioni consentirebbe,
correlando i vari fenomeni, di estendere progressivamente la conoscenza dell’evoluzione del carso murgiano anche al di fuori della grotta considerata; ciò è possibile
attingendo dall’archivio di dati scientifici che esse rappresentano, per cui risulta
fondamentale l’opera di ricerca, esplorazione e documentazione condotta in oltre
cinque decenni dalle associazioni speleologiche, impegnate anche a promuovere la
tutela delle cavità e dell’ambiente carsico.
Relazione completa non pervenuta
Aurelio Marangella1, Mario Parise2
1
Speleo Club Cryptae Aliae, Grottaglie
2
CNR, Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica, Bari
Abstract
In questo contributo si illustrano le principali caratteristiche geomorfologiche e naturalistiche delle gravine del territorio di Grottaglie. Oltre a costituire un elemento
di estrema ricchezza paesaggistica, in quanto conferiscono al territorio una forte
omogeneità sia dal punto di vista ambientale, sia storico-culturale, le gravine sono
anche una importante manifestazione della storia geologica di questo settore. Si
descriveranno in particolare le gravine principali del territorio di Grottaglie: Riggio,
Fantiano, Fullonese e Penziere; tutte hanno una profondità di circa 25 m, di cui la
parte superiore scavata nelle calcareniti, e quella inferiore nei calcari cretacei. Oltre
a illustrare gli elementi morfologici di tali forme del paesaggio, ci si soffermerà inoltre su alcune delle numerose cavità, sia naturali che artificiali, che caratterizzano le
pareti delle gravine.
The main geomorphological and naturalistic characters of the gravine in the territory
of Grottaglie (Taranto province) are described in this article. Gravine are deep karst valleys typical of the area between Apulia and Basilicata, that have been formed through
a combination of tectonic and karst processes. Along the vertical to sub-vertical flanks
bounding the valleys, the calcarenite rock is visible, whilst at the bottom of some gravine
the Cretaceous limestone bedrock crops out. Besides their geological importance, they
represent valuable wildlife and botanic environments, and, at the same time, have great
historic importance, since they hosted during the Middle Age the so-called “rupestrian
civilization”. During that time, the many caves (both natural and man-made) were extensively used by man. The main gravine at Grottaglie are briefly described, with particular
reference to Riggio, Fantiano, Fullonese and Penziere.
Key words
Valli carsiche, gravine, geomorfologia, Grottaglie
Karst valley, gravine, geomorphology, Grottaglie
198
199
Introduzione
L’istituzione del Parco Regionale delle Gravine con legge n° 18 del 20 dicembre 2005
della Regione Puglia è il giusto riconoscimento a questo straordinario fenomeno geologico che interessa l’entroterra Tarantino, comprendendo tutto l’arco jonico sino
alla Basilicata, e formando un arco passante per i comuni di Grottaglie, Montemesola, Crispiano, Statte, Massafra, Martina Franca, Mottola, Palagiano, Palagianello,
Castellaneta, Laterza e Ginosa fino a raggiungere la valle del Bradano. Le gravine
sono profonde valli fluvio-carsiche che caratterizzano l’arco ionico tarantino, costituendone il principale elemento morfologico del paesaggio carsico. Differenziandosi dalle altre tipiche valli del carsismo pugliese, le lame (solchi a blanda evidenza
morfologica), le gravine hanno da sempre attratto l’attenzione degli studiosi del
paesaggio carsico pugliese (Colamonico, 1953; Palagiano, 1967). La stessa etimologia
del termine (derivante dal pre-latino grava = fossa, buca; Parise et alii, 2003) fornisce
un’indicazione delle caratteristiche di profondità di tali forme vallive. Le gravine
sono infatti fortemente incassate, a sviluppo subverticale; alte sino a parecchie decine di metri, esse presentano un fondo angusto e generalmente piatto, e sono impostate sulle spianate formate dai depositi pleistocenici regressivi, meno permeabili
e di gran lunga più erodibili delle sottostanti rocce mesozoiche. L’approfondimento
delle valli è avvenuto per fenomeni di sovraimposizione in sede di sollevamento
neotettonico.
Le gravine corrispondono all’alveo di antichi corsi d’acqua che un tempo solcavano
le Murge, collegando idrograficamente le aree più interne al Mar Jonio. Oltre a
costituire un elemento di estrema ricchezza paesaggistica, in quanto conferiscono al
territorio una forte omogeneità sia dal punto di vista ambientale, sia storico-culturale, esse sono anche una importante manifestazione della storia geologica di questo
settore. Inoltre, risultano essere un esteso sistema di biotipi rupicoli non montani.
La grande varietà floristica è ancor più accentuata dal fatto che all’interno delle gravine sono presenti numerosi microambienti, ognuno dei quali caratterizzato da una
determinata associazione vegetale (Parenzan, 1988). Nelle gravine si verifica inoltre
la cosiddetta inversione termica, fenomeno climatico tipico di valli strette ed anguste, in base al quale per la minore insolazione del fondo rispetto agli spalti, si ha un
clima più fresco ed umido in basso e più caldo e secco in alto. All’inversione termica
è ovviamente legata una inversione altimetrica della vegetazione che spiega la presenza di specie tipiche delle zone ombrose dell’alta Murgia a quote molto inferiori.
L’evoluzione morfologica dei versanti, che un tempo era condizionata essenzialmente dall’erosione verticale fluviale, oggi si compie prevalentemente sotto l’azione
modellatrice dell’erosione idrometeorica ed attraverso una successione di eventi di
crollo e di scivolamento di blocchi di varie forme e dimensioni (Grassi, 1974; Parise, 2007). Tali fenomenologie ripetutamente coinvolgono anche i centri storici che
insistono in prossimità di queste forre, e le preziose testimonianze di civiltà rupestre
200
che sorgono sui ripidi versanti di numerose gravine (Cotecchia & Grassi, 1997).
Le pareti di pressochè tutte le gravine dell’arco ionico tarantino sono interessate da
una serie di grotte e cavità, naturali ed artificiali, riconducibili alle seguenti tipologie semplici o a loro combinazioni: a) ripari sotto roccia; b) cavità di interstrato; c)
emittenti fossili. L’elevata frequenza di cavità, e la vicinanza tra di esse, fa sì che di
frequente la distruzione dei setti di separazione tra le grotte abbia portato a fenomeni di coalescenza, con allargamento dei volumi complessivi delle cavità. Oltre a
vere e proprie cavità di vari metri cubi, riscontrabili a varie altezze lungo le pareti,
le bancate tufacee sono localmente interessate anche da fenomeni paracarsici con
formazione di cunicoli del diametro variabile da pochi decimetri a 3-4 metri. Le
superfici delle pareti delle gravine presentano inoltre numerosi fori di svariate dimensioni e forme, nonchè fenomeni di erosione e corrosione in parte riconducibili
alle caratteristiche dissoluzioni a nicchia (dovute all’azione erosiva) ed alle sculture
alveolari (Boenzi, 1954).
Molte delle cavità carsiche presenti nelle gravine sono state in varie epoche usate
dall’uomo, che le ha anche modellate in rapporto alle proprie esigenze abitative,
economiche, sociali, cultuali. Le abitazioni si presentano composte da uno o più
ambienti a pianta rettangolare o ellittica arredate, lungo le pareti, con nicchie, alcove, finestre mensole, sedili, lucernari, anelli a clessidra, mangiatoie, camini e pozzi
luce. Sul pavimento si trovano le bocche delle cisterne per la conservazione dell’acqua e delle derrate alimentari. In alcune zone si individuano articolati sistemi di
raccolta e distribuzione delle risorse idriche, dato che l’acqua costituiva un elemento
raro e prezioso per la vita di queste comunità: si va dalle piccole pozze orizzontali,
di forma circolare, che raccolgono l’acqua di scorrimento sui pianori più elevati, alle
cisterne quadrate e rettangolari alla base di gocciolatoi naturali, fino alle cavità simili
a grandi camere intagliate nelle pareti verticali, entro cui confluiscono complessi reti
di canali e condutture.
La civiltà rupestre è legata al movimento urbano e religioso che fiorì durante il Medioevo. Cripte, cappelle votive per pratiche religiose, abitazioni, officine scavate nei
banchi tufacei o adattate in grotte naturali, che venivano appositamente modellate,
talvolta distribuite a varie altezza lungo le pareti delle gravine, furono realizzate in
un arco di almeno 500 anni, dal VII al XII secolo (Fonseca, 1970). Grande importanza ebbe a tal proposito la cultura dei monaci venuti dall’Oriente. In seguito, gli
agglomerati di grotte hanno avuto un vero e proprio sviluppo edilizio, fino a divenire parte dei centri urbani, come si riscontra in particolare nei centri storici degli
abitati di Massafra, Laterza, Mottola, ecc.
Le gravine di Grottaglie
Il territorio di Grottaglie, il cui toponimo è riconducibile al fenomeno carsico delle grotte, è interessato da un complesso sistema di gravine e lame, che si susseguono in di201
rezione NNW-SSE, lungo le ultime propaggini della Murgia sud-orientale (Fig. 1).
L’intero territorio è costituito prevalentemente da banchi di Calcareniti di Gravina
del Pleistocene con affioramenti di calcari del Cretaceo nel fondo di alcune gravine
come Penziere, Fullonese, Riggio e Fantiano. Il fenomeno geologico delle gravine
nel territorio grottagliese è relativamente di modesta entità, se pur esteso come superficie, rapportato all’intero fenomeno dell’arco jonico. Infatti le dimensioni medie
delle gravine maggiori raggiungono approssimativamente il chilometro di lunghezza ed i venti metri di profondità media rispetto ai 10 km di lunghezza e gli 80 metri
di profondità delle gravine del versante occidentale della provincia. Questa tipologia
morfologica ridotta, se da una parte ha ridimensionato la spettacolarità dell’azione
della natura e diminuito lo sviluppo vegetazionale e boschivo delle aree, dall’altra
ha favorito un alto grado di antropizzazione del territorio. Nelle gravine, infatti, si è
scritta buona parte della storia grottagliese: questi ambienti e le loro grotte vennero
regolarmente abitate, in modo stanziale, dal neolitico fino al secolo XIII (Fornaro,
1976-77; Pierri, 1992; De Vitis et alii, 1999), come evidenziano i numerosi siti archeologici identificabili grazie ai frammenti ceramici sparsi sul terreno ed ai resti di
strutture murarie e abitative più o meno complesse.
Tra le gravine e lame minori è da citare la lama di Coluccio al cui interno è ubicata la
grotta di Buccito (Fig. 2), cavità naturale che per dimensioni rappresenta l’esempio
più maestoso di grotta nel territorio in esame. Altre cavità naturali imponenti sono
site nella lama Li Grutti 2, anche essa interessata da ricche testimonianze archeologiche. La lama minore che sicuramente possiede il maggior valore storico archeologico
è la lama di Lonoce, al cui interno sono custodite pregevoli testimonianze della civiltà rupestre, come la grotta “farmacia”, una grotta a palombaia, di forma circolare.
Nelle vicinanze del villino detto “tli muenici”, è ubicata la chiesa-cripta di San Pietro
che presenta gli affreschi meglio conservati di tutto il territorio grottagliese (Peluso
& Pierri, 1981), presumibilmente databili intorno ai sec. XII-XIII. All’interno della
stessa lama di Lonoce è ubicato anche l’omonimo frantoio ipogeo, che pur non presentando resti di torchi o macine, è da segnalare per la grandezza e varierà tipologica
dei suoi ambienti interamente scavati nel sottosuolo. Come ultima incisione minore
è da citare la gravina di Vicentino, interessata in passato dal passaggio dell’antica via
Appia, sui fianchi della quale vi è un importante sito archeologico d’età messapica,
oggetto da anni di scavi archeologici ed i cui resti ceramici sono custoditi presso il
Museo della Ceramica all’interno del Castello Episcopio di Grottaglie.
La gravina di Fantiano
Su questa gravina non sono stati sviluppati molti studi, forse perché gli aspetti ambientali (storico e naturalistico) sono stati deturpati nella sua parte iniziale da una
discarica incontrollata di rifiuti di ogni genere, mentre alla fine della gravina si riscontra lo sfruttamento della roccia tufacea con le tagghiate (Fig. 3), antiche cave
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che, ormai abbandonate ci hanno lasciato a testimonianza del duro lavoro degli zuccaturi dei giganteschi monoliti, i quali si ergono solitari (Sannicola, 1997). La natura
sta comunque pian piano riappropriandosi di ciò che le era stato tolto, rinverdendo
le bancate tufacee spoglie con nuovi alberi di pino, cespugli di timo, rosmarino,
ed altro ancora; l’uomo, dal canto suo, ha recuperato tali ambienti costituendovi
all’interno di un anfiteatro di roccia un teatro all’aperto per la eccellente sonorità
dei luoghi. Il fondo valle della gravina è ricchissimo di vegetazione, in alcuni punti
persino impenetrabile, fronde di edera che scendono dall’alto quasi a creare delle
cortine, cespugli di more, timo, rosmarino, ruta, stinge, ed ancora molte altre piante. Geologicamente, la gravina di Fantiano rappresenta la naturale prosecuzione
delle lame Belvedere ove è insediata la pineta Frantella. Questo tratto oggi è stato
stravolto dalle attività agricole e dalla realizzazione della viabilità extraurbana. Anticamente la suddetta lama convogliava notevoli volumi di acqua nella gravina, tanto
da creare per l’effetto erosivo dell’acqua “…un’alta colonna di tufo, o, un minuscolo
acrocoro che ha la forma della testa umana rozzamente sgrossata prima di essere scolpita”
(Cafforio, 1961 a).
Solo la parte iniziale della gravina presenta grotte o cavità in cui l’uomo ha lasciato il
segno della sua frequentazione con case-grotta al cui interno troviamo nicchie, pozzi
per la conservazione di derrate, lucernari-sfiatatoi; all’esterno si notano apiari scavati
nella roccia, cisterne, gradinate, tombe a fossa ed a grotticella. In particolare sul fianco sinistro della gravina si incontra un insieme ipogeo costituito da varie grotte sia
naturali che artificiali, collegate da gradinate, un sistema di cisterne, ed incassi nella
roccia utilizzati per gli apiari, il tutto a costituire (presumibilmente) un casale, sede
di un’antica comunità agricola.
La gravina del Fullonese
La gravina del Fullonese, al pari delle altre gravine del circondario Jonico, si caratterizza per la contemporanea presenza di vari ecosistemi ognuno con proprie caratteristiche vegetazionali. Si riscontrano a distanze di pochi metri ambienti molto diversi,
come dirupi rocciosi ed assolati, rupi umide e gocciolanti, boschi, prati aridi o folte
siepi, pantani o torrenti, pietraie, aree a macchia, cavità aperte o grotte profonde, ed
altro ancora. Essa può essere distinta in tre macrozone: la parte iniziale in avanzato
stato di desertificazione con presenza sporadica di cespugli di timo, more e piccoli
alberi di pino con tra l’altro una notevole antropizzazione sul lato SE dove insiste il
centro abitato; la parte mediana, più ricca di vegetazione, presenta varie specie erbacee quali il timo, l’erba del vento (o parietaria), la salvia, la malva, la ruta, cardi di
vario tipo, ecc., e varietà arboree come il fico, il corno (o carrubo), la quercia, l’ulivo;
infine la parte terminale della gravina è sempreverde e lussureggiante, con maggiore
presenza delle specie suddette alle quali si aggiungono lentisco e vari alberi da frutto
(melograni, agrumi, nespoli, albicocchi, ecc.).
203
Le tracce lasciateci dagli antichi popoli che si sono succeduti in questo territorio ci
parlano di civiltà appartenenti all’età del Ferro o del Bronzo (con i fori di palificazione delle capanne, le tombe a grotticella ed un muro di fortificazione), arcaicoclassica, classico-ellenistica (con le tombe a fossa rettangolari), medioevale sino al
periodo tardo antico. Nella gravina del Fullonese si venne ad insediare una colonia
di ebrei provenienti da Oria dopo la sua distruzione nel 977 d.C. I Giudei avevano
come attività predominante la concia e tintura della pelli che necessitava di quantità
d’acqua notevoli (il corso di acqua, una volta perenne, scorrente all’interno della
gravina). Questi si ritiene diedero il nome alla gravina, in quanto Fullonese deriva
dalla parola latina fullon che vuol dire appunto tintore-conciapelli. La gravina del
Fullonese rinasce a nuova vita con la visita di Monsignor Brancaccio alla chiesa antica dei SS. Pietro e Paolo ubicata nei pressi dell’antico convento dei frati Cappuccini
(Galletto & Galletto, 1994), i quali portavano avanti un “Hospitium peregrinatium”
per il ricovero dei poveri. L’arcivescovo, notandola in condizioni disastrose ma soprattutto per far rinascere tale opera caritativa, decise di costruire una nuova chiesa
più grande con annesso “Ospizio dei Pellegrini” e nel contempo di migliorare le
condizioni di fruizione dei nuovi luoghi di culto costruendo ponti, camminamenti
e muri di recinzione all’interno della gravina. La nuova chiesa (la maggiore di tutte
le chiese rupestri di Grottaglie), presentava una mirabile rappresentazione del Monte Calvario completamente ricavata nella roccia, con i personaggi scolpiti nel legno.
Tale grandiosa opera d’arte fu dichiarata monumento nazionale, purtroppo oggi
rimane solo la roccia nuda devastata con la parte anteriore della chiesa crollata nel
1933 in seguito ad abbondanti piogge.
La gravina di Penzieri
La gravina di Pensieri è lunga circa 1200 m, con larghezza media di 60 m, e altezza di
circa 20 m. Essa si differenzia litologicamente dalle altre maggiori gravine di Grottaglie, dato che la roccia calcarea affiora qui da metà gravina sino al suo sbocco a valle
per circa metà altezza lungo le due fiancate (Parenzan, 1989). A primo acchitto si
presenta desertificata, con pareti di roccia nuda che predominano, interrotte solo da
selve di more, cespugli di timo e capperi, cardi di vario tipo, scille marittime, alberi
di fico selvatico e qualche carrubo. Nonostante ciò, studi botanici (Masi, 1988) hanno permesso di catalogare oltre cento varietà floristiche, alcune anche di notevole
interesse. L’acqua si riscontra solo in occasione di piogge che, se abbondanti riescono a creare un piccolo stagno di breve durata presso la grotta del Sentinaro, usata
sino a qualche decennio fa per depositare i residui della lavorazione dei numerosi
frantoi presenti in Grottaglie, utilizzati dai saponari per ottenerne appunto sapone.
Purtroppo ciò che ha deturpato maggiomente l’ambiente è stata una calcara, consistente in una fornace di pietra (i cui resti sono ancora presenti), per la produzione di
calce viva, ottenuta cuocendo a determinata temperatura la roccia di calcare, estratta
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in parte anche all’interno della gravina stessa.
In funzione dei reperti raccolti da vari studiosi, sia nella gravina che nelle zone
adiacenti, e delle testimonianze rupestri ancora in sito, si può affermare che i primi
insediamenti risalgono all’età del Bronzo, seguiti poi in età romana, sino al medioevo, quando si definisce l’abbandono di tutte la borgate intorno a Grottaglie e la
costituzione dell’unico borgo di Casal Grande, attuale centro storico di Grottaglie.
All’ingresso della gravina presso il ponte ferroviario, sul fianco destro in alto è subito evidente un insieme di cavità, di queste una con apertura murata rappresenta la
Chiesa cripta delle Nicchie; all’interno una volta gli affreschi (datati dal XII al XIV
secolo) campeggiavano in tutta la loro bellezza con rappresentazioni di Santi, angeli,
e scene di vita di Gesù. Oggi purtroppo asportazioni vandaliche hanno decretato
il loro decadimento lasciandoci solo piccole tracce di colore. Tutte le altre cavità
rimaneggiate in tempi diversi e per vari usi (case grotta, ovili, tombe a grotticella o
a colombaia, magazzini, ecc.), si presentano aperte e ricche di manufatti Una tra le
cavità maggiori è rappresentata dalla Grotta dell’Elefante o della Colonna, cosiddetta
per la presenza all’interno di una colonna tufacea a forma di zampa d’elefante.
La gravina di Riggio
Da molti considerata la più affascinante ed importante delle gravine grottagliesi
(Fig. 4), descritta dallo storico locale Cafforio (1961b) come “luogo selvatico, pittoresco e profumato dalle spontanee piante aromatiche” Riggio è sicuramente la gravina
a cui tutti i grottagliesi sono più affezionati. Situata nella parte nord-occidentale
del territorio, ha estensione di circa 1300 metri con profondità media di circa 30
metri ed è considerata uno scrigno di inestimabile valore sia per l’importanza del
suo ecosistema, che annovera una notevole presenza di piante ed erbe officinali di
estrema rarità, sia perchè capace di custodire e conservare una ricca moltitudine di
testimonianze storiche ed archeologiche rappresentative della storia del territorio.
La descrizione della gravina può essere effettuata suddividendo la stessa in tre aree
principali (Parenzan, 1995). La prima, coincidente con la parte iniziale, è costituita
da un salto iniziale di circa 15 metri, interessato in passato da una cascata d’acqua che
ne rappresentava l’attrazione principale. Oggi la cascata si riforma solo nei periodi
di forti piogge (Fig. 5). Il getto d’acqua si arrestava in prossimità di un ampio fossato denominato “caggione” che in passato ha svolto funzione di riserva di acqua per
le genti della gravina. Sul fronte orografico sinistro, subito dopo il salto iniziale si
staglia maestoso un complesso abitativo pluripiano denominato casa fortezza, costituito da un insieme di cavità naturali rimaneggiate nel tempo dall’uomo, collegate
tra loro da un sistema di botole e scale a più livelli ricavate nel banco roccioso, che
hanno avuto nel corso dei secoli un uso prettamente abitativo. Sulle pareti di destra
della gravina sono invece visibili le feritoie di una cavità adibita ad uso difensivo e di
controllo del territorio dette “sentinella” o “vedetta”. Dopo un percorso di circa 300
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1
2
3
4
Fig. 1 - Carta di ubicazione delle gravine e delle lame di Grottaglie.
Fig. 2 - Ingresso della Grotta di Buccito (PU 1188), ubicata nella lama di Coluccio, che rappresenta la
cavità naturale più ampia del territorio grottagliese.
Fig. 3 - Monoliti calcarenitici denominati tagghiate, residui della lavorazione di antiche cave, caratteristica
principale della parte terminale della gravina di Fantiano.
Fig. 4 - Panoramica della gravina di Riggio (per gentile concessione dell’Ufficio Urbanistica del Comune
di Grottaglie e della Marina Militare).
Fig. 5 - Complesso abitativo ipogeo multi-piano denominato casa fortezza, ubicato nella parte iniziale
della gravina di Riggio. Da notare la cascata in corrispondenza del salto morfologico iniziale della gravina.
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5
metri si incontra sul fronte sinistro l’altro grande complesso rupestre denominato
“Cenobio”, interamente scavato dall’uomo nella parete verticale a cui si attribuisce
un uso monastico ricollegabile alla presenza di una comunità di monaci Basiliani.
La seconda area, identificabile con la grande ansa con la quale la gravina svolta decisamente in direzione sud, è caratterizzata dalla presenza della nota grotta “farmacia”,
a cui si accede tramite una imponente scalinata ricavata nel banco roccioso. Tale
cavità è interessata dalla presenza sulle pareti di innumerevoli loculi in cui presumibilmente erano esposte e conservate le varie essenze, medicamenti ed erbe officinali
coltivate e prodotte dai monaci. La stessa farmacia ha potuto svolgere nel tempo anche la funzione di piccionaia, vista la pratica diffusa dell’allevamento di colombi. Da
questo punto in poi la gravina comincia ad ampliarsi, i fianchi iniziano ad abbassarsi
ed il fondovalle diventa di facile percorrenza, testimoniata anche dalla presenza di
un uliveto. Sul lato sinistro si notano i caratteristici gradoni geologici calcarenitici,
con la presenza dell’omonima masseria sugli spalti. Il fronte orografico destro invece
è caratterizzato dalla presenza dell’antico abitato medioevale, di cui rimangono solo
alcune tracce a causa dell’attività estrattiva perpetrata nei secoli passati. Caratteristica di questa zona è la cosiddetta grotta della “terma”, cavità di notevole fattura architettonica le cui pareti circolari sono impreziosite da svariate incisioni, con simboli
a carattere religioso. Nella parte terminale di questa seconda area centrale è ubicata
sul fianco sinistro la Chiesa - Cripta Maggiore (Chiesa rupestre del Salvatore) in cui
207
sono presenti a tutt’oggi due stratificazioni di affreschi bizantini dei secoli X e XI.
La terza area della gravina coincide con il tratto finale della stessa, con un fondovalle
che si allarga significativamente, mentre i fianchi vallivi degradano altimetricamente. Subito, nel tratto iniziale di questa ultima area è ubicata sul fianco destro la Chiesa - Cripta Minore dei SS. Biagio e Simeone di dimensioni più modeste rispetto alla
cripta del Salvatore e con le pareti completamente spoglie degli originari affreschi,
asportati negli anni ’80. Da menzionare in quest’ultimo tratto è anche la grotta di
“Quinto Ennio”, cavità naturale che con il suo sviluppo di circa 35 m rappresenta la
grotta naturale più estesa della gravina.
Da un punto di vista geologico e morfologico il bacino idrografico della gravina
di Riggio è un continuum con la gravina di Buccito; è interessato dall’affioramento di terreni appartenenti a diversi cicli sedimentari prodottisi dal Mesozoico ad
oggi. Le acque che hanno generato nei millenni la gravina dopo aver attraversato il
lungo tratto di Argille Subappenine hanno incontrato le calcareniti bioclastichedel
Plio-Pleistocene, dando origine al fenomeno erosivo e giungendo in alcuni tratti
ad incidere anche il basamento sottostante costituito dal Calcare di Altamura del
Cretaceo, visibile sul fondo della gravina sia nel tratto iniziale, in prossimità della
Casa Fortezza, che nel tratto centrale. Nel suo percorso la gravina intercetta quattro
incisioni secondarie che svolgono funzione di confluenza delle acque raccordandosi
con l’asta idrografica principale.
Le raccolte floristiche effettuate nella gravina hanno permesso di catalogare ben 321
differenti entità. Tra di esse da segnalare l’Euphorbia prostrata, pianta di origine nord
americana, specie nuova per il territorio pugliese.
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209
FENOMENI PARACARSICI NEI DINTORNI DI GORGOGLIONE (PROVINCIA DI MATERA, BASILICATA)
PARAKARST PHENOMENA IN THE GORGOGLIONE AREA (MATERA PROVINCE, BASILICATA)
Mario Parise1,2, Angela Rizzi2, Mariangela Sammarco 2,3, Antonio Trocino2,
Gianni Campanella4
CNR, Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica, Bari
Associazione Explora
3
Dipartimento Beni Culturali, Università del Salento, Lecce
4
Gruppo Puglia Grotte, Castellana-Grotte
1
2
Abstract
Il contributo illustra i risultati dell’attività esplorativa speleologica svolta nel Comune di Gorgoglione ed aree limitrofe. L’area oggetto di studio è interessata da
fenomeni di tipo “paracarsico” (sensu Anelli, 1963), data la natura litologica dei
materiali affioranti (prevalenti arenarie del Flysch di Gorgoglione). I rilievi hanno
consentito l’individuazione di 5 cavità, nei dintorni del centro abitato e nella valle
della omonima Fiumara, tributario di sinistra del T. Sauro. Le cavità presentano una
tipologia riconducibile a varie categorie: grotte interstrato, cavità di origine gravitativa, inghiottitoi, grotte su pareti. La varietà della tipologia costituisce un ulteriore
elemento di interesse per l’approfondimento dello studio carsico di questo territorio
e, allo stesso tempo, un indicatore della possibilità di ulteriori scoperte. L’attività
di indagine, inoltre, ha consentito di apprezzare la notevole valenza naturalistica
dell’area, che si caratterizza per la varietà paesaggistica, ben integrata con i pregnanti
aspetti archeologici e della più recente storia sociale del territorio lucano.
The article describes the main results of the explorations carried out in the territory of
Gorgoglione and surrounding areas. Due to lithology of outcropping rocks (sandstones
belonging to the Gorgoglione Flysch, a turbidite formation of Miocene age), the area is
interested by parakarst phenomena (sensu Anelli, 1963). Five caves have been identified
and surveyed, near the town and in the valley of the Gorgoglione Fiumara, left tributary
of the Sauro Torrent. The caves can be distinguished based upon their typology in intrastratal caves, gravity-related caves, swallow holes, caves in vertical rock walls. The variety
in the caves typology is an element testifying the need to stimulate further knowledge of
this territory, that likely presents others, still undiscovered, caves. Moreover, during the
surveys it was possible to appreciate the high relevance of the landscape, which is well
integrated to the archeaological and historical characters of the examined area.
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Key words
Parole chiave: paracarsismo, arenarie, flysch, Gorgoglione, Basilicata
parakarst, sandstones, flysch, Gorgoglione, Basilicata
Introduzione
Il territorio della Basilicata offre notevoli spunti di approfondimento per la ricerca
speleologica, anche in aree non direttamente interessate dall’affioramento di rocce
solubili. Il caso del territorio di Gorgoglione e delle aree limitrofe qui esaminate
(Fig. 1) evidenzia la possibilità di scoprire nuove cavità e approfondire la conoscenza
di tali territori, caratterizzati tra l’altro da notevole valenza naturalistica. Data la
natura litologica dei materiali affioranti, si descriveranno in questo contributo fenomeni di tipo paracarsico (Fig. 2), vale a dire prodotti su rocce non propriamente
carbonatiche, ma che determinano la formazione di cavità simili a quelle comunemente prodotte dal carsismo sui calcari.
Carsismo, paracarsismo e pseudocarsismo
Nel 1933, in occasione del I Congresso Nazionale di Speleologia, Gortani evidenziava il differente grado di sviluppo del carsismo in funzione del grado di solubilità
delle rocce, distinguendo tra rocce carsiche (cioè, a elevato grado di solubilità nelle
acque del ciclo meteorico) e semicarsiche (Gortani, 1933). La distinzione non era
puramente terminologica, in quanto riguardava tipi ben diversi di carsismo, che,
nel caso di rocce a minore solubilità, determina uno sviluppo limitato del processo
carsico, con genesi prevalente di forme a breve sviluppo spaziale. La necessità di
definire con precisione i termini della discussione, al fine di evitare possibili confusioni terminologiche, fu particolarmente sentita da Franco Anelli che nei primi
anni 60 operò un tentativo per la classificazione dei fenomeni, distinguendo tra
fenomeni carsici, paracarsici e pseudocarsici (Anelli, 1963, 1964): secondo l’Autore, i
fenomeni carsici consistono nella corrosione di rocce geologicamente solubili come
i calcari e i gessi. Egli introdusse poi il termine di fenomeni paracarsici per descrivere quei fenomeni poco sviluppati, attenuati, nei calcari grossolani, nelle arenarie
a cemento calcareo o siliceo, in alcuni calcari dolomitici meno solubili dei calcari
puri; le forme carsiche risultano ivi attenuate, con forme sotterranee ridotte, se non
ridottissime, a motivo della breve durata del ciclo evolutivo, che si è svolto in complessi
litologici di scarsa potenza e di recente età (Anelli, 1963, pag. 17). Nei fenomeni paracarsici rientrano quindi cavità sotterranee da sub-erosione, il cui procedere deriva
dal basso verso l’alto per erosione regressiva, come evidenziato da Franc (1953) e
Renault (1953). Allo stesso tempo, Anelli accostava alle forme paracarsiche quelle
descritte da Cvijic (1893) come elementi di un carso parziale o merocarso, contrapposto al carso completo o olocarso.
Fenomeni pseudocarsici erano invece, sempre secondo Anelli (1963), quelli che
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si sviluppano su rocce geologicamente insolubili o pochissimo solubili, derivanti
quindi da fenomeni concomitanti di alterazione fisica e di alterazione chimica, ad
eccezione però dell’azione solvente delle acque meteoriche. Le forme presentano
analogie con le corrispondenti morfologie carsiche, ma sono originate da fenomeni
diversi, in primis l’erosione meccanica o fenomeni di gelivazione. Tra i litotipi interessati, le argille, o i terreni cristallini, nei quali ad esempio si sviluppano morfologie
tipo i tafoni del massiccio sardo-corso. Nell’ambito dei fenomeni pseudocarsici rientrano anche quelli che interessano materiali vulcanici, e quindi le cavità di origine
vulcanica.
La definizione di Anelli non ebbe però seguito né in Italia, né a livello internazionale, dove lo stesso Autore la propose in occasione del III Congresso Internazionale
di Speleologia, tenutosi a Vienna (Anelli, 1964). Ancora oggi, si utilizza infatti
comunemente il termine di pseudocarsismo per indicare qualunque morfologia,
analoga a quelle carsiche, che interessi rocce poco solubili o insolubili. Tale termine, inizialmente assegnato ad Halliday (1960), che lo riprendeva a sua volta da un
lavoro di Floridia (1941) sulle argille siciliane, è oggi attribuito come paternità a
von Knebel (1906) che sembrerebbe il primo ad averlo proposto, secondo quanto
riportato da Bates & Jackson (1987).
Nonostante la definizione di paracarsismo di Anelli (1963) non abbia riscontrato
molto successo, riteniamo che essa abbia rappresentato un giusto tentativo di chiarire differenti aspetti dei processi carsici, e pertanto la utilizziamo nel presente contributo per descrivere le forme epigee ed ipogee individuate e studiate nel territorio
qui esaminato, nell’ambito di depositi arenacei a matrice calcarea.
Geologia
L’area oggetto del presente studio è caratterizzata dall’affioramento di litologie appartenenti al Flysch di Gorgoglione, formazione torbiditica dell’Appennino Meridionale di età miocenica medio-inferiore (Boenzi & Ciaranfi, 1970; Carbone et
alii, 1991). Litologicamente, esso consiste di alternanze di arenarie e argille leggermente marnose. Le arenarie (litareniti feldspatiche e arcosiche litiche) sono grigiogiallastre sulla superficie di alterazione e grigio ferro al taglio fresco, ben cementate,
con strati di spessore variabile tra pochi centimetri e qualche metro. Talora sono
presenti livelli di notevole spessore costituiti da arenarie grossolane piuttosto incoerenti e conglomerati ad abbondante matrice sabbiosa. Le argille, di colore grigio
oliva e a frattura concoide, sono abbondantemente siltose e formano intercalazioni
localmente di elevato spessore. Il Flysch di Gorgoglione affiora su tutta la fascia
che si estende dagli abitati di Gorgoglione e Cirigliano verso SE, in direzione della
confluenza tra la Fiumara di Gorgoglione e il Torrente Sauro. Solo nei pressi di tale
confluenza, esso risulta ricoperto da depositi più recenti.
Morfologicamente, il territorio è di collina medio-alta, con sviluppo di profonde
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incisioni, in genere a controllo strutturale, che si uniscono con confluenze ad angolo retto ai principali corsi d’acqua (Fiumara di Gorgoglione, Fosso Valle della Foresta). I centri abitati sorgono su rilievi di spicco topografico, in posizioni di controllo
strategico sul territorio, e in particolare sui fiumi che lo attraversano: Gorgoglione
occupa, ad esempio, un piccolo rilievo, ben protetto su tre lati da ripide pareti,
mentre Cirigliano insiste su una stretta dorsale allungata in senso N-S sulla Fiumara
di Gorgoglione e la Fiumara di Fossarolo.
La presenza all’interno del Flysch di Gorgoglione di varie litofacies, con differenti
caratteristiche di resistenza meccanica, e l’assetto strutturale caratterizzato da notevole diffusione di discontinuità all’interno dell’ammasso roccioso, rendono tale
formazione particolarmente suscettibile ai fenomeni franosi (Guerricchio & Melidoro, 1988). Ciò in particolare per quanto riguarda le facies prevalentemente
argillose, intensamente affette da fenomeni di colata, osservabili lungo tutta la S.S.
di Val d’Agri n. 103, nel tratto che va dal T. Sauro a Gorgoglione. Le pareti rocciose
sub-verticali sono altresì caratterizzate da crolli, o, nel caso di pendii meno acclivi
ma con discontinuità a franapoggio, da scorrimenti traslativi, che di frequente avvengono al contatto tra un bancone arenaceo e le sottostanti argille.
Cenni archeologici
Le principali evidenze archeologiche dell’area in esame sono localizzate al Cinto
dell’Eremita e sul ciglio dell’altura prospiciente lo stesso, in località Scorciabuoi. Il
Cinto dell’Eremita si erge sul territorio circostante, costituendo una rupe di forma
allungata, sopraelevata di oltre 30 m sul fondovalle. È ubicato alla confluenza di tre
corsi d’acqua: la Fiumara di Gorgoglione (che costituisce il corso d’acqua principale, proveniente da NW), il Fosso dell’Eremita da NE e il Vallone della Foresta
da N. Per le pareti verticali, esso risulta di difficile accesso, e quindi un ideale sito
di controllo strategico sul territorio circostante, naturalmente protetto. Per la morfologia del luogo il sito manifesta immediatamente i caratteri di un insediamento
fortificato. Le indagini archeologiche eseguite a partire dal 2004 hanno consentito
di riconoscere al sito una articolata sequenza stratigrafica che da età tardo antica (la
fase di occupazione più antica è databile tra la fine del V e il VI secolo d.C.) giunge
fino al basso medioevo, intervallata da strati colluviali che hanno periodicamente
interessato l’area e distinto le differenti fasi di occupazione (De Siena et alii, 2006).
Da segnalare in particolare un probabile insediamento fortificato alto medioevale,
impiantatosi al sito tra X e metà XI secolo e il Castrum medievale che testimonia
la rioccupazione dell’area nel XIII-XIV secolo, con costruzione di un imponente
muro di chiusura dell’abitato. Nell’area del Cinto si è verificata l’esistenza di un’imponente struttura muraria che cinge a mezza costa la piccola altura; il muro, in
discreto stato di conservazione, è costituito da due cortine di blocchetti di pietra locale, a tratti semi-crollate, e da un riempimento in pietrame di piccole dimensioni;
214
è ben visibile lungo il margine nord-orientale, a tratti fino ad una altezza massima
di circa 2 m. Altre emergenze strutturali si conservano all’interno del muro di cinta,
sul pianoro mediano; sulla sommità sono ancora ben visibili almeno una cisterna,
voltata a botte, e muri con diverso orientamento.
Sullo sperone roccioso che si affaccia, prospiciente al Cinto, sulla Fiumara di Gorgoglione, a NE della Masseria Scorciabuoi, grazie alla segnalazione di operatori
locali si è localizzata una seconda zona di occupazione antropica antica, che il materiale individuato sulla superficie del terreno permette di collocare nell’età del Bronzo e, sembra con una lunga soluzione di continuità, in età medievale.
L’approfondimento delle indagini topografiche, unitamente allo studio della documentazione bibliografica, cartografica e di archivio, potrà arricchire il quadro
delle conoscenze sul territorio che, già da una prima analisi, appare ricco di valenze
archeologiche ed elementi antichi da tutelare e, ove possibile, da valorizzare.
Le esplorazioni
I rilievi e le esplorazioni effettuate hanno consentito l’individuazione di cinque cavità, di tipologia variabile da grotte interstrato (ad andamento sub-orizzontale, lungo
la superficie di contatto tra litologie diverse), a cavità di origine gravitativa (connesse
a distacchi parziali delle porzioni esterne di pareti rocciose verticali), a inghiottitoi,
a grotte su pareti.
Grotta dei Briganti
L’imbocco della cavità si apre al piede della parete rocciosa alta circa 40 metri, alla
cui sommità è l’abitato di Gorgoglione. Ubicata in sinistra orografica del Fosso Vallone, affluente della Fiumara di Gorgoglione, la grotta è una cavità di interstrato,
sviluppatasi lungo il contatto tra le arenarie e le sottostanti argille. Lungo l’asse
principale della cavità, della lunghezza di 36 m, è stata scavata nel 1999 una stretta
trincea, che ha consentito l’accesso all’ambiente ipogeo, la cui altezza massima era,
al momento della prima esplorazione, di 2 m circa (Campanella et alii, 2001). La
parte più interna della grotta presenta tracce di stillicidio e concrezionamento (Fig. 3),
costituito da piccole stalattiti di qualche centimetro di lunghezza e da croste calcitiche in prossimità delle pareti rocciose.
Il nome della cavità trae la sua origine nel presumibile utilizzo della stessa come
dimora di briganti. Il toponimo “Grotta dei Briganti”, presente anche in altre cavità
della Basilicata e della Calabria (ad esempio, a Muro Lucano; si veda Parise et alii,
questo volume), testimonia di un’epopea, quella del brigantaggio post-unitario, che
ha visto le grotte protagoniste, in quanto dimora e sicuro nascondiglio. Nel caso
specifico di Gorgoglione, l’ubicazione della grotta in prossimità del limite provinciale tra Matera e Potenza, sullo spartiacque tra due bacini idrografici, rendeva la
stessa particolarmente strategica dal punto di vista logistico. Questo territorio, e
215
precisamente il Torrente Sauro, è stato tra l’altro teatro di uno dei principali scontri
tra le bande del brigante Crocco e le truppe del Regno d’Italia.
Secondo una tradizione popolare, la grotta sarebbe collegata ai sotterranei del castello che sovrastava l’abitato mediante un cunicolo. A partire da tale leggenda, e
nonostante le prime esplorazioni avessero escluso la possibilità di prosecuzioni della
grotta, sono stati effettuati ad opera del Comune di Gorgoglione ingenti lavori di
scavo che hanno portato a svuotare la cavità dagli interstrati argillosi, ed a formare
una grotta che ben poco ha di naturale, e che certamente non corrisponde a quella
che, assumendo per vera la leggenda popolare, doveva essere stata occupata dai
briganti.
Cinto dell’Eremita
La Grotta del Cinto dell’Eremita, in territorio di Stigliano, è ubicata sulla parete
esposta a NE del Cinto, lungo il sentiero che conduce alla zona sommitale. Si tratta
di una cavità di origine tettonica e gravitativa, essendo connessa ai progressivi distacchi di roccia che si sono verificati nel tempo dalle pareti del Cinto. L’ingresso è
un’apertura a forma triangolare, larga circa 1,5 m nella parte bassa e che si restringe verso l’alto. La si incontra salendo la parete, in corrispondenza di uno stretto
passaggio a cui si accede mediante alcuni gradini scavati nella roccia. La cavità è
condizionata nel suo sviluppo (Fig. 4) dalla frattura lungo la quale è avvenuto il
distacco della porzione più esterna della roccia (che attualmente costituisce la parete
NE della grotta). Ha lunghezza complessiva di 20 m (Fig. 5), e profondità di poco
più di 16 m fino al punto più basso della grotta, da cui una stretta fessura ampia
pochi centimetri consente il passaggio della luce e fa osservare il sottostante piano
campagna, ai piedi della parete. Questa zona presenta numerosi blocchi crollati, di
dimensioni variabili da piccole pietre a massi alti 3,5 m.
Inghiottitoio c/o Masseria Scorciabuoi
Si tratta di un piccolo inghiottitoio che si apre sui pendii rivolti verso la valle della
Fiumara di Gorgoglione, a N della Masseria Scorciabuoi, in un’area caratterizzata
da lineazioni tettoniche di importanza regionale (Casciello et alii, 2002). L’ingresso, lungo alcuni metri in direzione E-W, è alla base di un albero le cui radici occupano in parte lo stesso accesso. Un saltino di circa 1,5 m immette su un pianerottolo
da cui si vede il sottostante pozzetto, profondo 7-8 m (Fig. 6): lungo la parete E,
il primo tratto è subverticale, mentre la parte finale diviene un ripido scivolo su
massi di crollo. L’intera cavità è infatti colma di materiali di crollo e pietre gettatevi
dall’esterno, tanto che ogni movimento produce ripetuti franamenti. La parete W
è verticale, e mostra in affioramento la successione costituita da bancate e livelli di
arenarie, in spessore variabile da 1 m a pochi centimetri. La roccia appare estremamente fratturata, e in precario stato di equilibrio, con crolli molto diffusi.
216
A fine pozzo, sul lato W si apre una piccola stanzetta, in cui la limitata altezza (0,7
m) non consente di mantenere la posizione eretta. Qui sono stati rinvenuti resti di
ossa animali (una probabile capra), frammisti a pietre di varia dimensione cadute
dall’esterno. Verso il margine settentrionale della stanzetta è presente un ulteriore
pozzetto, colmato da materiale detritico. Da qui proviene una corrente d’aria, e si
è quindi tentato di rimuovere una parte dei detriti rocciosi per verificare la prosecuzione della cavità. La difficoltà di manovra nello spazio angusto, congiunta al
continuo arrivo di materiale detritico dal pendio del pozzo d’ingresso, ed al pericolo
costante di crolli, hanno reso problematica l’operazione, che è stata interrotta per
salvaguardare l’incolumità degli operatori. Si è potuto comunque stimare una profondità del secondo pozzo di circa 2 m, con larghezza di poche decine di centimetri.
Altre cavità
Altre due cavità sono state rinvenute nel corso di discese su corda lungo le pareti
verticali, alte oltre 90 m, in destra idrografica della Fiumara di Gorgoglione (Fig. 7).
Come nel caso precedentemente descritto per la grotta di Cinto dell’Eremita, le porzioni più esterne delle pareti rocciose sono interessate da fratture beanti, originatesi
per distacchi gravitativi. In alcuni casi l’apertura delle fratture è tale da consentire
l’accesso nelle cavità così formate, il cui elemento principale consiste nella notevole
instabilità delle pareti, e nella abbondante presenza di materiale detritico. Le cavità
non superano la decina di metri di lunghezza.
Conclusioni
Le esplorazioni nel territorio di Gorgoglione e nelle aree circostanti hanno permesso
di verificare la valenza di questo settore della Basilicata, sul quale ben poco era noto
per quanto riguarda gli aspetti carsici e speleologici. La varietà delle tipologie di
grotta censite costituisce un indubbio elemento di interesse per l’approfondimento
dello studio, e allo stesso tempo fa sperare nella possibilità di ulteriori scoperte. A
tale proposito, i profondi e numerosi valloni che marginano i centri abitati, o che
si aprono ai lati della Fiumara di Gorgoglione, andrebbero esplorati attentamente.
Di contro a una indubbia valenza naturalistica e storica del paesaggio lucano, va,
ancora una volta, rimarcata la scarsa attenzione degli amministratori locali alla conservazione dei caratteri naturali dei siti rinvenuti: gli interventi eseguiti alla Grotta
dei Briganti hanno prodotto un ambiente ipogeo assolutamente innaturale, mentre
la presenza della grotta, così come delle altre cavità del territorio, poteva essere utilizzata per la realizzazione di ben più validi percorsi rivolti al turismo naturalistico,
opportunamente integrati con le altre valenze (archeologiche, storiche, gastronomiche, culturali) offerte dal territorio.
217
Fig. 4 - Interno della Grotta del Cinto
dell’Eremita: si noti l’erosione selettiva nei livelli
arenaci, che produce la formazione di piccole
mensole sporgenti.
Fig. 5 - Rilievo della Grotta del Cinto
dell’Eremita.
Fig. 6 - Ingresso dell’Inghiottitoio presso la
Masseria Scorciabuoi.
Fig. 7 - Discesa delle pareti rocciose in destra
idrografica della Fiumara di Gorgoglione.
Fig. 1 - Ubicazione dell’area di studio, con indicazione dei siti esaminati.
Fig. 2 - Forme paracarsiche nelle arenarie del
Flysch di Gorgoglione.
218
Fig. 3 - Parte interna della Grotta dei Briganti.
219
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220
DA CAVA A GEOPARCO: UN’OPPORTUNITÀ DI SVILUPPO. L’ESEMPIO DELLA CAVA “MINERVINO BETON” A MINERVINO MURGE
Erwan Gueguen1,2, Ivana Adurno1,2, Daniela Cannone2
IMAA-CNR, Tito Scalo (PZ)
2
CARS, Altamura (BA)
1
Introduzione
Il territorio pugliese, da tempo immemorabile oggetto di attività estrattiva da parte
dell’uomo, rappresenta, ancora oggi, una delle regioni italiane col maggior numero
di cave attive. Negli ultini decenni, inoltre, l’aumento dell’attività estrattiva, quindi
anche delle aree di sfruttamento, sta determinando un notevole cambiamento paesaggistico con la ‘distruzione’ di vaste aree rurali. Le cave interrompono la continuità
ecologica del territorio e, una volta dimesse, originano situazioni di degrado e di
abbandono difficilmente sanabili, che rendono costosi gli interventi di recupero e di
rinaturalizzazione.
Esempi evidenti sono le cave costiere sul litorale di Monopoli, quelle in sotterraneo
di Canosa, Ginosa o Mottola e alcune cave storiche dismesse situate nel territorio
dell’Alta Murgia (cave di bauxite presso Spinazzola, cave di “tufo” nei pressi di Poggiorsini e di Altamura). Il problema si pone quando la legittima attività estrattiva,
importante fonte di sviluppo economico e sociale, si scontra con la tutela del territorio e dei valori ambientali e paesaggistici presenti. Per la bellezza e la suggestione che
esercitano, queste aree meriterebbero una valorizzazione ai fini turistici e/o culturali,
com’è già avvenuto per alcune cave, in provincia sia di Lecce che di Foggia, che sono
state utilizzate per spettacoli e concerti all’aperto. Casi emblematici dell’aggressività dell’attività estrattiva nei confronti del territorio sono riscontrabili nelle Murge
Alte, in particolare nei territori dei Comuni di Ruvo e di Minervino, dove numerose nuove cave vengono aperte, in molti casi senza controllo e, in particolare quelle
dismesse, vengono poi abbandonate o trasformate abusivamente in discariche con
accumuli di rifiuti di ogni genere.
I NOE (Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri), per esempio, hanno sottoposto a sequestro preventivo ben 13 cave nel territorio di Ruvo (nel 2001) e 22 nel
territorio di Minervino Murge (nel 2002), tutte prive delle prescritte autorizzazioni,
sia per l’attività estrattiva che per l’utilizzo come discariche.
Gli squilibri ambientali, generati dalle attività estrattive potrebbero, invece, essere
risolti attraverso una attenta pianificazione e un puntuale controllo sul territorio,
che tenga in considerazione sia l’importanza economica ed occupazionale che il
settore riveste che l’obiettivo della massima compatibilità tra il territorio e le attività
estrattive stesse.
221
Il sito della Cava di Minervino Beton
Il complesso ipogeo esplorato nella zona della cava di Minervino è di notevole importanza, sia per la presenza di un numero elevato di grotte che per la varietà dei
fenomeni carsici. Paradossalmente, la coltivazione della cava, pur provocando enormi danni alle cavità, ha permesso di osservare la relazione tra tettonica e carsismo,
la morfologia di alcune delle grotte ed anche uno splendido paesaggio. Infatti, dai
piazzali posti a quote più elevate, è possibile godere di uno stupendo panorama,
che permette di osservare i tre principali domini geologici della Puglia (Fig. 1). Il
bordo occidentale dell’Avampaese, sul quale è ubicata la cava, l’Avanfossa, colmata
dai depositi plio-pleistocenici in assetto sub-orizzontale, ed infine, la Catena Sud
Appenninica, dalla quale si staglia nettamente il rilievo più elevato del settore sudorientale della Catena Appenninica, il Monte Vulture (1327 m s.l.m.), edificio vulcanico attualmente inattivo.
Fig. 2 - Panoramica dalla cava di Minervino, sul cui sfondo si intravede l’edificio vulcanico del M.Vulture,
scattata dai piazzali superiori (foto di G. Ragone, CARS).
Fig. 1 - Schema geologico strutturale dell’area di interesse (Adurno, 2009).
Pertanto, in questo contesto, è auspicabile che la cava di Minervino (Fig. 2) possa
diventare un parco geologico, come previsto dalla legislazione sulla tutela del patrimonio naturale, fruibile sia da studenti che da turisti particolarmente amanti della
natura, in cui si potrebbe creare un centro per l’osservazione di processi geologici e
speleologici a valenza didattica e scientifica.
222
Minervino può essere un geosito a tutti gli effetti?
Cos’è un geopark o geosito?
Un geopark costituisce il tentativo più esplicito di “territorializzare” il patrimonio
culturale, ossia, di esaltare il territorio, a partire dal patrimonio geologico, quindi,
tenendo in considerazione che rocce, minerali, fossili e suolo sono il risultato e al
contempo la registrazione della evoluzione del nostro Pianeta. Questa iniziativa si
colloca nel punto di convergenza tra conservazione della natura e valorizzazione del
patrimonio culturale.
Un geopark è un territorio che deve presentare i seguenti requisiti:
a) includere un particolare patrimonio geologico e una strategia di sviluppo
territoriale sostenibile;
b) avere confini nettamente definiti e un’area sufficiente ampia da consentire
un reale sviluppo economico territoriale;
c) essere amministrato da una struttura capace di salvaguardare, sviluppare e
promuovere politiche di sviluppo sostenibili all’interno del proprio territorio;
d) avere un grande patrimonio geologico che:
-
comprenda un certo numero di siti geologici di particolare rilevanza a livello scientifico ed educativo ;
-
contenga anche siti di interesse archeologico, naturalistico, storico
o culturale;
223
e) avere una influenza diretta sullo stile di vita degli abitanti locali. L’obiettivo, infatti, è quello di stimolare gli abitanti a riappropriarsi dei valori del
patrimonio territoriale e a partecipare attivamente alla riscoperta culturale
del territorio;
f ) sperimentare e implementare metodi per diffondere la conoscenza e, dunque, preservare il patrimonio geologico in uno specifico ambito tematico;
di un pubblico non specialista;
4. sito ideale come aula didattica all’aperto per studenti medi;
5. sito ideale per la didattica universitaria;
6. sito da dedicare esclusivamente alla ricerca scientifica.
Poi, per quanto riguarda i siti di tipo 4 e 5, affinché possano svolgere efficacemente
la loro funzione pedagogica, possiamo riferirci alla seguente tabella.
g) sviluppare, infine, un “geoturismo”, che possa avere riscontri positivisulla
economia locale.
L’Alta Murgia costituisce una delle riserve culturali e ambientali più significative
del territorio pugliese, per la presenza di geotopi, luoghi che registrano la storia
geologica della regione.
Le cave come opportunità di valorizzazione territoriale
Numerose cave corrispondono a potenziali geositi di interesse sia scientifico che
didattico, quindi, il tentativo è quello di proporre una diversa considerazione delle
stesse, prospettando l’opportunutà che possano trasformarsi in una risorsa per lo
sviluppo culturale e fruitivo; una potenzialità ancora quasi del tutto inespressa nel
nostro paese! Affinchè questa possibilità possa concretizzarsi occorre inquadrare il
tema delle attività estrattive e del recupero in una prospettiva più ampia. L’attività
estrattiva non deve essere vista soltanto come una azione di trasformazione paesaggistica e di distruzione, ma anche come una opportunità fruitiva per la collettività. Da
qui, la necessità di un modello per la selezione delle aree da rivalutare, in funzione
della loro propensione ad utilizzi diversi. Alla selezione segue la pianificazione di un
circuito didattico, da organizzare sulla base dei temi che si intendono sviluppare. Il
progetto di valorizzazione deve sempre tener conto delle aspettative delle popolazioni locali e degli interessi degli utenti.
Progettare la valorizzazione
Costituendo ogni caso una esperienza a sé stante, non esistono formule prestabilite,
né esempi replicabili per costruire un progetto di valorizzazione di una cava. Occorre quindi costruirlo assieme agli attori locali (organismi di gestione, proprietari terrieri, progettisti del recupero, cavatori) considerando le esigenze collettive. Esistono,
però, dei criteri e dei metodi di carattere generale a cui si può riferire per indirizzare
la progettazione.
In uno stesso sito possono essere delimitati sei campi di utilizzo:
1. sito ideale per lo sfruttamento economico;
2. sito ideale per l’uso turistico;
3. sito di facile interpretazione (dei contenuti o dei fenomeni presenti) da parte
224
225
A) CRITERI GENERALI
B) CRITERI SCIENTIFICI
Distribuzione
• una rete locale che comprenda il maggior
numero di siti;
• che mostri in modo esplicito i fenomeni;
• che richieda bassi costi di viaggio e di
gestio­ne.
Sito adatto a diversi livelli di abilità/
capacità
• che consenta di lavorare in modo
strutturato e non (indagini al chiuso e
all’aperto);
• dove gli insegnanti possano dimostrare in
modo appropriato i fenomeni scientifici;
• dove possano essere intraprese attività
di vario tipo comprese misurazioni e
campionature;
• dove il materiale disponibile può
essere prele­vato senza l’ausilio di attrezzi
particolari.
Accessibilità
• nessun problema di proprietà o permessi
facilmente ottenibili;
• aperto per un arco di tempo di parecchie
ore;
• parcheggi disponibili per comitive tra i 10
ed i 75 studenti;
• caratteristiche idonee per l’accessibilità
all’in­terno dell’area;
• validità per tutte le età scolari (dalle
elementari alle superiori).
Dimensione
• ambito del sito adatto a diverse comitive.
Durata nel tempo
• capacità di assorbimento di danni
limitati.
Sicurezza
• aperto e dove studenti sopra i 16
anni possano la­vorare sotto il controllo
dell’operatore didattico;
• idoneo per gruppi di più di 75 persone.
Conservazione
• fisicamente conservabile con un livello di
pro­tezione dettato dalle risorse disponibili;
• realizzazione in rapporto alla proprietà,
ai servi­zi scolastici locali, ai gruppi di
volontariato, alla pubblica autorità ed alle
attività industriali
Sito dove caratteristiche e relazioni sono
evidenti
• che mostri chiare relazioni in termini di
geolo­gia, morfologia e paesaggio;
• dove le principali caratteristiche siano
chiare e semplici così da permettere un
facile appren­dimento a tutti i gruppi di età
e capacità;
• che abbia relazione con le attività locali,
così che le risorse di significato economico
o culturale possano essere riscontrate.
Sito dove siano possibili studi integrati,
con possibilità di confronto rispetto ad
altri siti.
Sito che consenta l’apprendimento di
concetti e processi di riconoscimento sul
campo, come:
• tipi di rocce;
• discontinuità, pieghe e faglie;
• strati, fossili e processi attuali;
• flora, fauna, ecologia.
Tab. 1: “Schema di selezione per la didattica dei siti geologici-geomorfologici”, messo a punto dalla Geological
Society in collaborazione con Open University (da Earth Heritage Conservation, 1994).
226
Una volta selezionati i siti si può procedere alla pianificazione di un vero e proprio
circuito didattico-fruitivo, da organizzare sulla base dei temi e degli interessi che si
vogliono esplorare o che, necessariamente, bisogna sviluppare in funzione, ad esempio, delle esercitazioni da svolgere per un determinato corso di studi. L’elencazione
che segue prospetta le diverse chiavi di lettura e di interpretazione, tra quelle più
attinenti e tipiche della geologia, in base agli obiettivi da raggiungere e alle possibilità offerte dai siti disponibili. Per ogni situazione descritta vengono inoltre indicati
i limiti insiti in ciascuna scelta:
• per TEMI (geologia, geomorfologia, paleontologia, ecc.): consente di approfondire marcatamente le conoscenze di un settore, entrando anche nel vivo della sua
evoluzione cronologica passata e futura;
• per EPOCHE (Giurassico, Cretaceo, Terziario, Quaternario, ecc.): aiuta a comprendere l’idea della dinamicità dell’ambiente fisico, concetto non sempre intuitivo; fornendo indicazioni sulle possibili evoluzioni future;
• per AREE geografiche o AMBITI geologici: aiuta a sviluppare una buona visione
dell’area e delle emergenze presenti, consentendo di avere un buon quadro d’insieme, non sempre però dà una visione cronologica ed entra nel merito dei problemi
evolutivi;
• per EVENTI (estinzioni, orogenesi, glaciazioni, ecc.): approfondisce tutti gli
aspetti relativi ad una “fase di cambiamento” e consente di leggere nei diversi
campi e nei diversi luoghi tutto ciò che è in relazione con quell’evento;
• per PROCESSI (forme generate dall’attività vulcanica, sismica, dai cicli erosivi
e deposizionali, ecc.): spiega dettagliatamente un fenomeno in tutte le sue parti,
consentendo di capire tutti i fattori che lo influenzano.
Schemi di possibili attività nei siti estrattivi dismessi
• ATTIVITÀ DI PROMOZIONE DELLA CULTURA MATERIALE
Eco-Musei della archeologia industriale, musealizzazione degli scavi, scuola di arti
e mestieri tradizionali e per l’uso dei materiali locali, parchi archeologici.
• ATTIVITÀ DIDATTICA
Aule didattiche all’aperto, percorsi o reti di siti per la didattica, laboratori per la
sperimentazione di tecniche innovative di recupero ambientale, attività di studio
e di ricerca scientifica.
• ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TEMPO LIBERO
Parchi sportivi e ricreativi, giardini pubblici, aree e percorsi attrezzati per il tempo
libero, esposizioni, manifestazioni artistiche e teatri all’aperto.
• ATTIVITÀ DI CONSERVAZIONE DELLA NATURA E DEL PAESAGGIO
Geositi e Geoparchi, riserve naturali, aree di connessione ecologica e fasce tampone, aree di riequilibrio ambientale, percorsi tematici di osservazione e scoperta
naturalistica (Fig.3).
227
silio di diversi professionisti, esperti nei campi della geologia e della speleologia e
da cultori del patrimonio storico e archeologico.
C’è la possibilità di realizzare dei percorsi differenziati in basealla lunghezza o alle
difficoltà scientifico-didattiche; cioè considerando le scolaresche di ogni ordine e
grado, gli studenti universitari e gli esperti in materia.
Fig. 3 - “Stratotipo di Massignano” (Ascoli Piceno) - Esempio di una ex-cava oggi attrezzata per le
visite della sezione tipo di Massignano, che rappresenta addirittura il criterio standard mondiale per la
definizione del passaggio tra Eocene/Oligocene.
Per quanto riguarda le grotte, la fruibilità è un fattore accessorio, poiché, in generale, solo una piccola parte delle grotte è accessibile al pubblico e, di solito, la fruibilità
si scontra con la necessità di tutelare e salvaguardare le cavità stesse.
Proposte e progetti per Minervino
Come già esposto in precedenza, la cava di Minervino, ormai dismessa con l’applicazione della legge regionale n. 32/86, ha tutte le carte in regola per diventare un
geosito.
Gli aspetti geologici del territorio sono di estremo interesse, non solo per gli studiosi
e gli appassionati della materia ma anche per i visitatori non particolarmente esperti delle Scienze della Terra ma amanti della bellezza dei paesaggi naturali. Aspetti
scientifici:
• La posizione di Minervino, ed in particolare della cava, mostra un magnifico panorama che potrebbe essere, per esempio, ideale dal punto di vista didattico, per
la descrizione dei diversi domini geologici, quindi per un completo inquadramento geologico dell’area. La parte superiore della cava potrebbe ospitare un percorso
pedonale di educazione alla geologia che, tramite una guida o dei pannelli descrittivi, potrebbe illustrare gli elementi e la storia geologica e strutturale della regione
osservabile direttamente in situ!
• Inoltre, la cittadina di Minervino è ricca di storia, monumenti, chiese, ma anche, come già detto, di numerose cavità carsiche; quindi, la cava potrebbe essere
inserita in una serie di itinerari culturali-ambientali che illustrano le ricchezze
dell’intera area.
I percorsi potrebbero essere tracciati, proprio come avviene a “Il Micromondo”,
(primo parco tematico sulla geologia in Basisicata, a Nemoli (Potenza), con l’au228
• Come abbiamo visto negli altri geopark, anche qui è possibile creare una serie di
laboratori didattici all’aperto per:
1. nozioni sul fenomeno carsico e sulle forme ad esso connesse, (stalattiti, stalagmiti, inghiottitoi, ecc…) ben visibili su campo;
2. riconoscimento delle rocce e della stratigrafia;
3. riconoscimento delle strutture geologiche, come pieghe e faglie e relazione tra
fratturazione e carsismo;
4. riconoscimento nel paesaggio delle diverse forme di evoluzione geomorfologica.
• Progetti con la scuola: progetti finanziati dai PON (Programmi Operativi Nazionali), che prevedano un percorso di scoperta del sito.
• Per avere un quadro più completo sarebbe opportuno inserire una esposizione
permanente, sia all’interno (attraverso un centro visita) che all’esterno (open-air
museum), che introduca il fenomeno carsico e la descrizione geologica del territorio, con particolare riferimento a quello murgese. A tal proposito, potrebbe
essere utile la realizzazione di uno spaccato 3D di un sistema carsico, come quello
presente nel Museo di Castellana Grotte (Fig. 4).
• È altrettanto necessario prevedere delle esposizioni temporanee, da organizzare sulla base di temi da sviluppare di
volta in volta, il cui ruolo permetterebbe:
- di rinnovare l’interesse del pubblico per il centro visite presentando
nuove argomentazioni;
- di aumentare la conoscenza e la
consapevolezza del pubblico su temi
attinenti al territorio e alla sua evoluzione.
• Vista la grande rilevanza geologica è
bene fare della cava un sito di studi e
ricerche che possa ospitare conferenze e convegni, in collaborazione con
altri enti. Un esempio ci viene dal
Geopark Madonie, parco regionale
Fig. 4 - Museo di Castellana Grotte.
che comprende diversi comuni sici229
liani, che ha ospitato il Congresso Annuale della Rete Europea dei Geoparks, in
cui sono presenti tutti i rappresentanti dei territori coinvolti in processi di valorizzazione e protezione del patrimonio geologico per uno sviluppo locale sostenibile.
• Inoltre, essendo le grotte non accessibili al turista, sarebbe ideale ricostruire, all’interno del museo, l’ambiente grotta, sia dal punto di vista morfologico che climatico, per dare al visitatore l’impressione di essere all’interno di una cavità carsica.
Aspetti logistici
RETI. Per creare gli itinerari di cui si è parlato prima, è necessario inserire il sito
innanzitutto in una rete locale, che possa includere:
1. la Grotta di S. Michele, recentemente messa in sicurezza e aperta al pubblico,
2. Castel del Monte;
3. le numerose cavità carsiche presenti sul nostro territorio;
4. le cave di bauxite di Spinazzola e Poggiorsini
e anche in una rete regionale, in cui far rientrare:
Castellana Grotte, Altamura e anche il Parco…?
Quindi, così facendo, è possibile creare delle interconnessioni tra reti di “turismo
culturale-religioso” e reti di “turismo ambientale”.
ACCESSIBILITÁ. È necessario un protocollo di intesa con i proprietari per l’accessibilità all’interno dell’area e, per soste di diverse ore, per le quali sono necessarie
infrastrutture che possano far fronte al problema del clima caldo in estate.
DIMENSIONI. La cava, essendo di grande dimensione, permette di accogliere più
gruppi, che possono lavorare in maniera indipendente senza interferenze.
SICUREZZA. È indispensabile una messa in sicurezza della cava, per le zone adibite a percorsi didattici, magari coinvolgendo nuovamente il vecchio personale,
lasciando però alcune porzioni nel loro stato attuale, per poterle mostrare ai visitatori.
Conclusione
In conclusione, l’area di Minervino, ed in particolare la cava, vista la ricchezza
paesaggistica e gli aspetti gelogici estremamente interessanti, presenta tutte le caratteristiche e le qualià necessarie per divenirtare un geoparco.
“MARMO PLATANO 2007”, LA PRIMA SPEDIZIONE SPELEOLOGICA
ITALO-CUBANA IN ITALIA
“MARMO PLATANO 2007”, THE FIRST ITALIAN-CUBAN SPELEOLOGICAL EXPEDITION
IN ITALY
Mario Parise1, Gerardo Ferrara2, Mario Fuccio3, Cosimo G. Gentile4, Dino
Grassi4, Gianclaudio Sannicola3, Antonio Trocino5, Luis D. Torres Mirabal6,
Manuel V. Valdes Suarez7
1
CNR, Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica, Bari
2
Associazione Amici della Montagna, Muro Lucano (PZ)
3
Speleo Club Cryptae Aliae, Grottaglie
4
Gruppo Speleo Statte, Statte
5
Associazione Explora
6
Grupo Espeleologico Sierra del Rosario, Cuba
7
Escuela Nacional de Espeleologia “Antonio Nuñez Jimenez”, El Moncada, Cuba
Abstract
Il contributo descrive i principali risultati della spedizione scientifico-speleologica italocubana “Marmo Platano 2007”, la prima svoltasi sul territorio italiano. Nel corso delle
attività esplorative sono state rinvenute 62 nuove cavità naturali e 4 artificiali. Sebbene
generalmente si tratti di grotte di dimensioni modeste, è in ogni caso un risultato che
apporta un notevole contributo alla conoscenza carsica di questo territorio. Gran parte
delle grotte sono dislocate tra i territori di Muro Lucano, Castelgrande e Balvano. Due
tra le cavità censite rientrano amministrativamente nei confini della regione Campania.
Molte delle grotte esplorate nel corso della spedizione sono a forte controllo strutturale
e tettonico, e presumibilmente si sono aperte a seguito del sisma del 23 novembre 1980,
il cui epicentro dista non molti chilometri in linea d’aria dalla zona esaminata. Una
parte delle attività ha inoltre riguardato la prosecuzione delle ricerche ed esplorazioni
nel sistema carsico dei Vucculi, in territorio di Muro Lucano, che costituisce ormai la
cavità di maggiore rilevanza e lunghezza della regione Basilicata.
Results from the italian-cuban speleological and scientific expedition “Marmo Platano
2007” are illustrated in the present contribution. The expedition, organized and carried out within the framework of cooperation projects between the Italian Speleological
Society (SSI) and the Sociedad Espeleologica de Cuba (SEC) has historic importance
because it was the first one taking place in Italy. The study area is in Basilicata, at the
boundary with the Campania region, and includes the territories of seven municipalities
in the Potenza province. The research activities and explorations resulted in recognition,
survey, and documentation of 62 natural and 4 artificial caves. These numbers signifi-
230
231
cantly increase the knowledge about karst features in this territory, where only the Vucculi karst system and another cave were known before the expedition. Most of the caves
are strongly controlled by tectonics, and many of them likely opened in the aftermath
of the 23, November 1980, earthquake, which epicenter is located only few kilometers
apart from the study area.
Key words
Spedizione, speleologia italo-cubana, Basilicata
Expedition, italian-cuban speleology, Basilicata
Premessa
I rapporti di collaborazione tra speleologia italiana e cubana sono orma consolidati
da parecchi anni, tanto da essere divenuti il principale modello da seguire in Italia
per i contatti internazionali, in termini di organizzazione, continuità di lavoro e divulgazione dei risultati. Sulla scorta delle basi fornite dalla Carta di Casola del 1994,
e a seguito di una visita ufficiale nel nostro paese dell’allora presidente della Sociedad
Espeleologica de Cuba (SEC), Antonio Nuñez Jimenez, nel 1996 si realizzò la prima spedizione italiana a Cuba, denominata “El Moncada” (Siccardi & Dall’Acqua,
2003). Pochi anni dopo, nel 1999, i rapporti furono ulteriormente rafforzati con la
firma di una convenzione tra le due Società Nazionali. Da allora, molte altre spedizioni si sono avvicendate sull’isola caraibica, in diversi ambiti territoriali e spaziando
su tematiche alquanto differenziate, tra cui la fotografia in 3D (Danieli & Carnevali,
2003) e le esplorazioni speleo-subacquee di cenotes (Eusebio et alii, 2003).
Negli ultimi anni, la speleologia pugliese ha assunto un ruolo di primo piano nei
rapporti con Cuba, a partire dalla organizzazione e gestione nel 2003 della spedizione “Santo Tomás”, che, oltre a ottenere lusinghieri risultati per quanto riguarda gli
aspetti scientifici ed esplorativi (Parise, 2004; Perez Jimenez et alii, 2004; Parise et
alii, 2005) ha posto le basi per un rapporto reciproco di stima e fiducia, rafforzatosi
negli anni a seguire con continue visite, contatti e collaborazioni (Farfan Gonzalez,
2006). Di recente, è stata quindi accolta con entusiasmo l’idea degli amici cubani di
organizzare una spedizione congiunta che vedesse gli speleologi caraibici coinvolti
nell’esplorazione e studio di una zona del territorio italiano. Spostare quindi l’obiettivo, almeno per una volta, da Cuba all’Italia!
La disponibilità dello Speleo Club Cryptae Aliae, del Gruppo Speleo Statte e
dell’Associazione Explora ha reso possibile la realizzazione di questa idea, per nulla
semplice a causa delle immancabili problematiche burocratiche connesse al rilascio
dei visti scientifici per gli speleologi cubani. Dopo non poche fatiche, si è comunque riusciti nell’impresa, e dal 3 al 16 giugno 2007 la prima spedizione speleologica
italo-cubana ha avuto luogo in Italia (Fig. 1). Questo contributo intende illustrare
brevemente i risultati preliminari derivanti dalla spedizione.
232
Fig. 1 - Logo della spedizione.
Fig. 2 - Veduta panoramica della profonda valle
del Torrente Platano, nel tratto compreso tra
Ricigliano e Balvano (foto: M. Parise).
Marmo Platano 2007
Il territorio oggetto della spedizione corrisponde a quello della Comunità Montana
“Marmo Platano”, nella Basilicata occidentale, nei pressi del confine con la Campania. Esso comprende sette comuni lucani della provincia di Potenza, e precisamente
Muro Lucano (dove ha sede la Comunità Montana), Bella, Castelgrande, Ruoti,
Balvano, Pescopagano e Baragiano. Il nome Marmo Platano deriva dal Torrente Platano, in cui confluiscono i principali corsi d’acqua dell’area in questione: la Fiumara
di Muro, proveniente da nord, si congiunge nei pressi della Stazione di Bella-Muro
alle Fiumare di Avigliano e di Picerno, provenienti da est, dando così origine al Torrente Platano. Questi da subito inizia ad avere un percorso ben inciso, creando una
forra di notevole bellezza naturalistica e paesaggistica (Fig. 2) che, inoltrandosi con
una serie di anse fluviali tra Ricigliano e Balvano, e poi in direzione di Romagnano
al Monte, segna per un tratto il confine tra Basilicata e Campania.
La scelta dell’area di studio è derivata dalla esperienza oramai decennale che il Gruppo Speleo Statte aveva acquisito sul territorio di Muro Lucano, grazie alle esplorazioni condotte nel più significativo sistema carsico dell’area, quello dei Vucculi
(Sturloni, 1995; Gentile & Mauro, 2007). A ciò si combinava inoltre una favorevole
logistica, grazie al supporto degli “Amici della Montagna” di Muro Lucano. Da segnalare il fatto che, oltre ai citati Vucculi, solo un’altra cavità era catastata in questo
territorio (Marotta, 1997), e precisamente la voragine “Bocca del Lamiero”, esplorata da Orofino nel 1966 (Fig. 3).
La spedizione ha ricevuto numerosi patrocini, tra i quali spiccano l’Alto Patronato
del Presidente della Repubblica e il patrocinio del Ministero dell’Ambiente; dal
punto di vista scientifico, da ricordare i patrocinii del Consiglio Nazionale delle
Ricerche e della Facoltà di Ingegneria dell’Università della Basilicata.
233
Fig. 3 - Rilievo della Bocca del Lamiero (da Orofino, 1966).
234
Risultati preliminari
Insieme ai colleghi cubani, una trentina di speleologi, appartenenti a diversi gruppi
speleologici pugliesi, campani e calabresi, ha svolto attività di ricerca e di esplorazione di cavità naturali e artificiali. Come si accennava precedentemente, buona parte
delle attività ha riguardato la zona di Monte Paratiello, dove è sito il sistema carsico
dei Vucculi, già oggetto da anni di ricerche da parte del Gruppo Speleo Statte, e
oramai divenuto il più importante e lungo sistema carsico della Basilicata (Gentile
& Mauro, 2007). Le grotte Vucculi 1 e Vucculi 2 (quest’ultima, anche nota come
Grotta della Volpe) hanno visto più squadre alternarsi nelle fasi di rilievo dei nuovi
tratti scoperti, e nella verifica delle possibilità esplorative lungo nuove risalite del
sistema. A ciò si sono aggiunte analisi di carattere biospeleologico e rilievi geologicostrutturali ed idrologici, questi ultimi estesi anche all’ambiente epigeo, al fine di
definire più correttamente l’assetto idrogeologico dell’area, che di recente è stato
fortemente turbato da sconsiderati lavori che hanno modificato l’originario deflusso
naturale delle acque in superficie.
Nel resto del territorio del Marmo Platano sono state rinvenute ben 62 nuove cavità
(Tab. 1; Fig. 4). Sebbene generalmente si tratti di grotte di dimensioni modeste, è
in ogni caso un risultato che apporta un notevole contributo alla conoscenza carsica
di questo territorio. Per la maggior parte, le cavità esplorate rientrano, in termini
di lunghezza complessiva, al di sotto dei 20 metri (Fig. 5), ma circa una quindicina
supera tale limite, sino ad arrivare a lunghezze superiori ai 100 metri (Fig. 6). Gran
parte delle grotte sono dislocate tra i territori di Muro Lucano, Castelgrande e Balvano. La spedizione non si è limitata alla Basilicata, visto che due tra le cavità censite
(rispettivamente, una naturale ed una artificiale) rientrano amministrativamente nei
confini della regione Campania, e in particolare nel territorio di Ricigliano (SA),
confinante con quello di Balvano.
Molte delle grotte esplorate nel corso della spedizione sono a forte controllo strutturale e tettonico (Fig. 7), e presumibilmente si sono aperte a seguito del sisma del 23
novembre 1980, il cui epicentro dista non molti chilometri in linea d’aria dalla zona
esaminata. Caratterizzate da continui crolli e dalla presenza di abbondante materiale
roccioso in precarie condizioni di stabilità, queste cavità pongono parecchi problemi
alla tranquilla progressione in grotta. Tipologicamente, sono risultati poi numerosi i
ripari sotto roccia, di frequente utilizzati dai pastori per il ricovero delle greggi o come
depositi di attrezzi agricoli, le grotte interstrato (Fig. 8) e le cavità di erosione fluviale.
Si è proceduto alla esplorazione, documentazione fotografica e rilievo di tutte le
cavità censite. Il materiale così raccolto sarà oggetto di studio nei prossimi mesi,
al fine di produrre materiale divulgativo e pubblicazioni a carattere speleologico e
scientifico. Da segnalare, sul territorio di Balvano, la presenza di numerose cavità a
carattere rupestre in corrispondenza di quello che doveva essere un vero e proprio
villaggio, posizionato sulla collina limitrofa al Vallone S. Caterina.
235
oggetto di uno studio nelle fasi di preparazione della spedizione, presentato al XX
Congresso Nazionale di Speleologia a Iglesias nel mese di aprile 2007 (Marangella
et alii, in stampa).
Di contro all’indubbio interesse dei due tratti di galleria (testimoniato anche dalla
presenza di una nutrita colonia di chirotteri nella galleria più prossima alla diga), è da
segnalare purtroppo l’utilizzo del secondo tratto per scarichi di acque reflue e fogne da
alcune abitazioni site nei pressi. D’altra parte, non sono state poche le situazioni di
grotte del Marmo Platano utilizzate come vere e proprie discariche, con rifiuti di
varia tipologia (Figg. 9 e 10). Speriamo che l’interesse suscitato dalla spedizione, e
gli incontri a carattere divulgativo in programma nei prossimi mesi, possano contribuire a creare una maggiore coscienza ambientale su questi territori, ai fini della
salvaguardia del delicato ambiente carsico e delle risorse naturali in esso contenute.
Fig. 4 - Distribuzione per comuni delle cavità esplorate nel corso della spedizione “Marmo Platano 2007”.
Fig. 5 - Lunghezza delle cavità rilevate nel corso della spedizione “Marmo Platano 2007”.
Le cavità artificiali
Oltre alle cavità naturali, ci si è anche dedicati a quelle artificiali: tra queste, particolare
importanza rivestono i due tratti della condotta forzata della diga di Muro Lucano,
un’imponente opera ingegneristica fortemente voluta da Francesco Saverio Nitti nei
primi decenni del secolo scorso. La galleria della diga, ed in particolare il tratto a monte, quello più suggestivo che parte dallo sbarramento del Torrente S. Pietro, è già stata
236
Prospettive future
Il territorio del Marmo Platano riveste notevoli spunti di interesse per la ricerca carsica
e speleologica. Non solo il Monte Paratiello, e il complesso sistema dei Vucculi, su cui
sicuramente c’è ancora molto da lavorare, ma anche gli altri settori sui quali la spedizione ha svolto le sue attività (dalla zona di Varco Fauci - Bagnoli, presso Castelgrande; a
Toppo S. Pietro Aquilone, a nord di Muro Lucano; sino ai rilievi di Moprano-Torrano
presso Balvano, per indicare soltanto alcuni esempi), presentano caratteristiche degne di
ulteriori approfondimenti.
La scelta di organizzare la spedizione in un territorio poco conosciuto speleologicamente
ma già oggetto di “pericoloso” interesse da parte di alcuni (si vedano le intenzioni di turisticizzazione dei Vucculi, basate su documentazioni che almeno al momento risultano
prive di qualunque riscontro scientifico, e i primi lavori realizzati nei pressi degli accessi
al sistema carsico, che hanno avuto come unico risultato l’alterazione del naturale deflusso idrico, con ovvie conseguenze dannose per l’ambiente) è stata ponderata proprio al
fine di evidenziare alle comunità locali le potenzialità che questo territorio presenta
nei riguardi di un turismo alternativo, ma non per questo meno produttivo ed utile
allo sviluppo. Le montagne del Marmo Platano, la forra del Torrente Platano e
quella di Varco Bagnoli, le valenze storico-archeologiche, culturali e religiose dei paesi,
la possibilità (quella sì, più che reale) di un turismo guidato nel tratto a monte della
galleria forzata della diga sul Torrente S. Pietro, sono tutti elementi che, opportunamente gestiti, consentirebbero di raggiungere il duplice obiettivo di una maggiore
conoscenza e salvaguardia del territorio e di attirare flussi di turismo culturale in
quest’area. In tal senso, le esplorazioni speleologiche, e soprattutto le successive e
quanto mai necessarie attività di documentazione e divulgazione dei dati, possono
fungere da stimolo per indirizzare le popolazioni locali verso una maggiore conoscenza
dei propri territori, finalizzata alla conservazione degli ecosistemi naturali, sia superficiali
che sotterranei, e ad un oculata valorizzazione delle potenzialità in essi insite.
237
Fig. 6 - Sezioni longitudinali e trasversali della Grotta dei Briganti, tra le più lunghe cavità esplorate
(disegno: M. Valdes Suarez).
Fig. 7 - Classificazione tipologica delle grotte rilevate nel corso della spedizione “Marmo Platano 2007”.
Fig. 8 - Ingresso della Grotta Bagnoli, tipico
esempio di cavità interstrato (foto: G. Ferrara).
238
Fig. 9 - Uno dei tanti esempi di degrado
all’interno delle cavità carsiche: il fondo della
Bocca del Lamiero è ingombro di spazzatura di
vario tipo (foto: M. De Marco).
n.
nome
comune
n.
nome
comune
MP1
Grotta Moneta
Muro Lucano
MP31 Riparo c/o G. Muro a secco
Balvano
MP2
Grotta Pachito
Muro Lucano
MP32 Grotta dell’Ovile Coperto
Balvano
MP3
Grotta dei Rovi
Muro Lucano
MP33 Grotta della Scalata
Balvano
MP4
Grotta dei Briganti
Muro Lucano
MP34 Riparo de Los Portales
Balvano
MP5
Grotta de las Cosas Perdidas Muro Lucano
MP35 Grotta dell’Arma Rossa
Balvano
MP6
Grotta delle Vacche
San Fele
MP36 Grotta del Testardo
Balvano
MP7
Grotta delle Vacche II
San Fele
MP37 Grotta di Valle d’Acqua
Balvano
MP8
Buco della Capra
San Fele
MP38 Grotta di Sicurera
Balvano
MP9
Buco Fiumarella
Bella
MP39 Cueva del Rio
Muro Lucano
MP10 Buco Fiumarella II
Bella
MP40 Cueva Alta
Muro Lucano
MP11 Riparo del Presidente
Bella
MP41 Cueva Escondida
Muro Lucano
MP12 Buco Soffiante
Muro Lucano
MP42 Grotta dell’Arrampicata
Castelgrande
MP13 Grotta Monticello
Muro Lucano
MP43 Solapa
Castelgrande
MP14 Grotta S. Pietro Aquilone
Muro Lucano
MP44 Grotta della Banana
Muro Lucano
MP15 Inghiottitoio Varco Fauci
Castelgrande
MP45 Grotta del Pipistrello
Muro Lucano
MP16 Grotta Bagnoli
Muro Lucano
MP46 G. Villaggio S. Caterina 1
Balvano
MP17 Cunicolo del Vallone
Muro Lucano
MP47 G. Villaggio S. Caterina 2
Balvano
MP18 Riparo del Vallone
Muro Lucano
MP48 G. Villaggio S. Caterina 3
Balvano
MP19 Grotta Lombardi
Muro Lucano
MP49 G. Villaggio S. Caterina 4
Balvano
MP20 Bocca del Lamiero
Muro Lucano
MP50 G. Villaggio S. Caterina 5
Balvano
MP21 Grotta Le Caldare
Balvano
MP51 G. Villaggio S. Caterina 6
Balvano
MP22 Grotta del Ponte
Balvano
MP52 G. Villaggio S. Caterina 7
Balvano
MP23 Risorgenza Polla Bassa
Muro Lucano
MP53 G. Villaggio S. Caterina 8
Balvano
MP24 Inghiottitoio Femmina Morta
Muro Lucano
MP54 G. Villaggio S. Caterina 9
Balvano
MP25 Risorgenza Vucculi
Muro Lucano
MP55 G. Villaggio S. Caterina 10
Balvano
MP26 Grotta delle Due Colonne
Balvano
MP56 G. Villaggio S. Caterina 11
Balvano
MP27 Riparo Gigante
Balvano
MP57 G. Villaggio S. Caterina 12
Balvano
MP28 Riparo del Pastore
Balvano
MP58 G. Villaggio S. Caterina 13
Balvano
MP29 Grotticella della Faglia
Balvano
MP59 G. Villaggio S. Caterina 14
Balvano
MP30 Grotta del Muro a secco
Balvano
Tab. 1 - Elenco delle grotte rilevate nel corso
della spedizione. MP sta per Marmo Platano.
L’asterisco indica le cavità ubicate sul territorio
della regione Campania; tutte le altre sono in
Basilicata.
MP60 G. Villaggio S. Caterina 15
Balvano
MP61 G. Villaggio S. Caterina 16
Balvano
MP62 Grotta La Estrada*
Ricigliano
MPA1 Galleria della Diga
Muro Lucano
MPA2 Galleria dell’Immondizia
Muro Lucano
MPA3 Polla di Fontana Luchetto
Muro Lucano
MPA4 Grotta della cava di strada* Ricigliano
239
ISOLA DI PALAWAN, FILIPPINE NUOVE ESPLORAZIONI AL PUERTO
PRINCESA SUBTERRANEAN RIVER
Antonio De Vivo, Francesco Lo Mastro, Giuseppe Savino
La Venta Esplorazioni Geografiche
Fig. 10 - Cavità nelle quali è stato osservato degrado degli ambienti carsici ipogei. Legenda: r.s.i. = rifiuti
soldi inorganici; r.s.o. = rifiuti solidi organici.
Bibliografia
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Sturloni S. (1995) - La grotta “I Vucculi” a Muro Lucano. Speleologia, n. 32, anno XVI, 73-81.
240
Breve descrizione geografica
Palawan per estensione è la quinta delle 7107 isole che compongono l’arcipelago
delle Filippine estendendosi per circa 12.000 km2. Essa si trova sud-ovest dell’arcipelago e guarda il vicino Borneo. Di forma stretta e allungata, Palawan è prevalentemente montagnosa per la sua intera lunghezza toccando proprio con Mount
St. Paul i 1028 m di altezza e caratterizzandosi per la spiccata vocazione carsica. E’
in questa porzione dell’isola che si apre il Puerto Princesa Subterranean River: una
delle meraviglie del pianeta.
Il fiume sotterraneo, perché è di questo che si tratta, si muove all’interno del parco omonimo fondato negli anni settanta e inserito nel Patrimonio dell’Umanità
dell’Unesco dal 1998 e ciò è giustificato dalla sua impareggiabile unicità.
Per prima cosa il Puerto Princesa Subterranean River rappresenta il più grande
estuario sotterraneo conosciuto al mondo. Il fiume esce infatti dalla montagna direttamente sul mare e ciò comporta che le maree risalgono il corso del fiume per
chilometri rappresentando un elemento fondamentale nella genesi della grotta. Il
fiume sotterraneo è risalibile grazie all’uso di piccole imbarcazioni a bilancieri per
quasi 5 chilometri fino a una zona in cui una enorme frana (Rockpile) obbliga ad
“attraccare” e proseguire a piedi e a nuoto. Le maree però continuano la loro risalita
all’interno della cavità insinuandosi per oltre 6 chilometri. Altri 8 chilometri di sviluppo vanno aggiunti ai precedenti, visti gli affluenti che si innestano nel troncone
principale lungo i quali la cavità
presenta spaziosissimi settori fossili: gli antichi percorsi che il fiume
percorreva prima che la montagna
si sopraelevasse.
Il principale popolo del Subterranean River è costituito da pipistrelli e da salangane, le splendidi
rondini di grotta, chiamate balingsasayao dagli abitanti del posto.
Ma non sono solo questi mammiferi e uccelli a rendere speciale la
fauna della grotta considerato che
oltre loro il popolo si arricchisce di
241
una grande quantità di vita come
ampiamente descritto dagli innumerevoli lavori scientifici pubblicati i proposito.
Lo sviluppo totale della grotta è
di oltre 25 chilometri, ma la sua
esplorazione non è ancora terminata, nonostante le molte spedizioni speleologiche organizzate
negli ultimi 20 anni.
L’area carsica del St. Paul, si
estende per circa 35 km2 e il fiume
sotterraneo raccoglie le acque del
Cabayugan River oltre che di vari
affluenti che serpenteggiano nelle molte valli che solcano l’intero massiccio.
Oltre l’ingresso a monte, denominato Daylight Hole (dove scompare il fiume Cabayugan), v’è quello a valle di gran lunga più conosciuto, e, storicamente, più frequentato dalle popolazioni locali che lì si recavano per raccogliere acqua dolce,
forse, e, soprattutto, per fare incetta di prelibati nidi di rondine, notoriamente conosciuti come un cardine della dieta locale.
E’ stato lo svizzero Balasz, con la collaborazione di filippini a lasciare traccia della
prima esplorazione documentata; ciò risale al 1973, data del primo rilievo topografico.
Quelli ’80 furono gli anni degli australiani che dettero corso a diverse esplorazioni
percorrendo anche alcuni affluenti fino ad allora sconosciuti. A seguire fu la volta
degli italiani che sotto il nome della Società Speleologica Italiana e dell’associazione
La Venta proseguirono lavorando negli anni ’90. Grazie a quelle spedizioni si esplorarono le gallerie fossili, si studiò la fauna ipogea e l’azione delle maree all’interno
della grotta.
Il nuovo millennio ha dato alla luce un nuovo progetto di ricerca, in collaborazione
con l’Ente parco e l’amministrazione di Puerto Princesa, dalle aspettative e obiettivi
molto impegnativi visto il desiderio di completare l’esplorazione del Subterranean
River, dei numerosi imbocchi presenti lungo le pendici settentrionali e orientali del
massiccio, delle zone più alte del Mount St. Paul fino alla vetta. E ancora studi di
geologia, mineralogia, climatologia ipogea, biologia, idrologia.
La spedizione del 2007
Grazie alla grande disponibilità, tradotta poi anche in ospitalità dell’Amministrazione di Puerto Princesa, nel novembre del 2006, una prespedizione leggera sull’isola si concretizzò in una vera e propria proposta di collaborazione su un progetto
242
243
di ricerca ed esplorazione speleologica.
E tutto non per puro caso. Infatti
Puerto Princesa, la città capitale
dell’isola, fu premiata nel 1996
come la città più ecologica dell’arcipelago, divenendo apprezzata e
per questo ben riconosciuta a
livello nazionale, visti anche i
continui investimenti soprattutto
culturali profusi nella crescita in
senso sostenibile dell’isola stessa. Cosa che si tramutò poi nel
conferimento alla città, dal 1999,
dell’amministrazione diretta di un parco nazionale.
Gli appoggi e gli intendimenti esplorativi e di ricerca condivisi con i filippini ci
indussero, nel febbraio u.s. a dare il via alla prima fase del progetto, con la partecipazione di oltre venti speleologi.
Il quartier generale fu installato nel villaggio di Sabang, punto di partenza per le
punte esplorative nel parco e alla grotta. Nella prima fase lavorammo organizzati
in gruppi diversi intervenendo su aree fino ad allora del tutto nuove e inesplorate.
Una di queste è una zona limitrofa a sud-ovest del massiccio del St. Paul, nei pressi
di Cabayugan, ricca di numerose cavità di enormi dimensioni, relitti di antichi
sistemi carsici in parte già conosciute dai locali ma mai esplorate a fondo. Non furono poche le difficoltà che portarono all’organizzazione anche di campi avanzati: impraticabilità del terreno, lunghi tempi di percorrenza, evidenti difficoltà logistiche.
Uguale sorte toccò al gruppo che si mosse nell’area nord-orientale, con l’obiettivo
di raggiungere le piccole e grandi depressioni che ipoteticamente alimentano il sistema carsico del St. Paul.
Uno dei campi avanzati più impegnativi fu il Tilting Spider Camp, ad alcune ore di
cammino da Odjongan (baia immediatamenbte a N di quella della St. Paul Bay).
Esso ha donato l’ esplorazione di Nagbituka 1, 300 metri di sviluppo e 100 di profondità, bloccatasi per esaurimento delle corde.
Da qui parte il lavoro futuro.
Un altro gruppo ancora ha lavorato all’interno del fiume sotterraneo esplorando
diverse nuove gallerie, sia fossili (una lunga e aerea risalita a partire dalla sala della
Cattedrale) sia attive, parallele al corso del fiume.
Durante la nostra lunga permanenza all’interno della grotta e del parco abbiamo
realizzato anche una dettagliata documentazione video fotografica.
244
Ringraziamenti
City of Puerto Princesa, Mayor Edward Hagedorn, Puerto Princesa Subterranean
River National Park, Park Staff and superintendent James Mendoza, Western Comand, 4th Tactical Wing, Qatar Airways, Ferrino, Napapijri, Garmont, Electrolux,
GeD, Set-in, GT Line, Testo.
245
RICERCHE SPELEOLOGICHE IN ALBANIA:
PRIMI DATI SULLE CAVITÀ NEI PRESSI DEL LAGO DI PRESPA
SPELEOLOGICAL RESEARCHES IN ALBANIA:
FIRST DATA ABOUT THE CAVES IN THE SURROUNDINGS OF THE PRESPA LAKE
Antonio Trocino1, Mario Parise1,2, Angela Rizzi1
1
Associazione Explora
2
CNR, Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica
Abstract
Si illustrano nel presente contributo i risultati di una recente ricognizione nell’Albania centro-orientale, nel settore albanese del Lago di Prespa, ubicato al confine
tra Albania, Macedonia e Grecia. Si tratta di un’area di indubbio interesse, ma dove
finora non è stata intrapresa alcuna campagna esplorativa finalizzata, ad eccezione
di alcune prospezioni bio-speleologiche condotte oltre 20 anni fa. Nel corso delle
ricognizioni e ricerche sono state censite ed esplorate 9 cavità, mentre di altre sono
state rilevate le coordinate; esistono poi in zona ulteriori cavità, solo segnalate, la cui
presenza va verificata. Oggetto principale delle attività è stata Grika e Zaverit, una
importante cavità localizzata in corrispondenza della zona di intersezione di tre fratture, attraverso le quali l’acqua del lago Prespa Grande raggiunge il lago di Ohrid,
posto ad una quota inferiore di 150 m. Oltre all’interesse speleologico, si tratta di
un territorio di grande importanza per tutte le nazioni che su di esso si affacciano:
il lago di Ohrid e quello di Prespa sono infatti collegati per via sotterranea, e negli
ultimi anni hanno subito un preoccupante abbassamento del livello idrico. Nel
periodo 1985-1995 il livello del lago di Prespa si è abbassato di oltre 5 metri. La conoscenza dei sistemi carsici nei dintorni dei bacini lacustri potrà quindi fornire dati
utili ai fini di ricerche volte alla comprensione del funzionamento idrogeologico del
sistema ed alla salvaguardia di queste preziose risorse idriche.
Carta geografica dell’Albania con indicazione dell’area di ricerca del progetto esplorativo “Prespa 2008”
246
Recent surveys in central-eastern Albania, in the surroundings of the Prespa Lake (at the
boundary among Albania, Macedonia and Greece) are described here. Even though the area
is of high interest, so far no specific exploration has been carried out, apart from some biospeleological researches more than 20 years ago. Our surveys resulted in exploration of 9
caves, and identification of several others; in addition, information about the presence of
further likely cavities have been collected. Grika e Zaverit is the most important cave, situated in correspondence of the crossing of three joint systems, through which the water of
the Prespa Lake infiltrates and reaches the Ohrid Lake, at an elevation lower of some 150 m.
This territory is experiencing serious environmental problems, in part related to anthropogenic impacts: an alarming decrease in the water level at Prespa Lake has been observed in
247
the time span 1985-95, with the water dropping down by more than 5 meters. Exploring the
karst caves in the area may contribute to provide useful insights toward a better comprehension of the underground karst networks.
Key words
Esplorazione, idrogeologia, lago Prespa, Albania
Exploration, hydrogeology, Prespa lake, Albania
Introduzione
Il lago di Prespa, nell’Albania centro orientale, è sede del Parco Naturale internazionale omonimo, istituito nel 1999, ma la cui importanza era già stata riconosciuta
dall’UNESCO che lo ha inserito fin dal 1980 tra i siti “patrimonio dell’umanità”.
Il lago è un confine naturale per tre nazioni: Albania, Macedonia e Grecia. Nonostante sia uno dei confini convenzionali nato all’inizio del secolo scorso per varie
vicende politiche, esso non è mai mutato sostanzialmente a conferma di una buona
scelta iniziale. Tale suddivisione, che mirava ad equilibrare le forze dei paesi che si
affacciavano su questi territori, agì secondo il proposito di suddividere l’accesso ai
laghi nel rispetto delle popolazioni presenti e delle attività economiche sviluppatesi
attorno. Dal momento che l’attività prevalente era ed è attualmente quella agricola,
si decise di assegnare a ciascuno Stato una superficie sufficiente agli allevamenti di
animali domestici, cosa che è tuttora fondamentale per la vita economica e sociale
delle popolazioni presenti in particolar modo sulle sponde albanesi che non beneficiano di flussi turistici rilevanti né tanto meno costanti.
Dal punto di vista naturale la suddivisione nominale di quest’area non coincide con
l’unicità geografica della regione, dato che i laghi di Prespa e Ohrid costituiscono
un unico sistema idraulico, come è stato di recente accertato per mezzo dell’uso
di traccianti (Zoto et alii, 2004; Amataj et alii, 2007), così confermando l’ipotesi
originariamente avanzata oltre un secolo fa da Cvijic (1893, 1906). Una considerazione importante circa il sistema naturale costituito da questi laghi ci viene dai
dati relativi all’analisi delle temperature e delle precipitazioni. Il clima nella regione
dei laghi di Ohrid e Prespa è continentale. Nella valle di Ohrid, la massa d’acqua
del lago, che non ghiaccia e non si riscalda oltre 23 °C, ha una grande influenza
sulla riduzione delle temperature estreme (Popovska & Bonacci, 2007). I dati sulle
precipitazioni ottenuti da stazioni meteorologiche collocate nei pressi dei laghi in
territorio albanese sono disponibili dal 1961 al 1990. Successivamente lavori internazionali orientati alla tutela dell’area hanno potuto contare solo su dati provenienti
da stazioni meteorologiche della Macedonia.
Riteniamo opportuno sottolineare che i “distretti” (ciascun distretto corrisponde ad
una parte del territorio delle nostre province) che si trovano a ridosso di questi laghi
in territorio albanese sono quelli maggiormente popolati sia per motivi legati al
248
clima e alla disponibilità di acqua e terreni (in zona sono famose le mele di Korcha,
simili nelle caratteristiche organolettiche alle mele delle valli del nord Italia), sia per
la geografia dei luoghi che evidenzia le possibilità di “passaggio” attraverso questa
zona e quindi di poter intrattenere rapporti commerciali più facilmente con le altre
popolazioni balcaniche. Motivi economici e sociali quindi, hanno determinato nel
tempo un utilizzo delle risorse poco oculato, spesso incontrollato da parte di tutti e
tre gli Stati responsabili.
La maggiore consapevolezza ambientale ha fatto si che venissero realizzati alcuni
interventi di monitoraggio tuttavia in maniera isolata, non coordinata, così come
non si può dire coordinato l’utilizzo della risorsa idrica, che ancora pone problemi
e minaccia quantomeno il fragile ecosistema naturale del lago Ohrid (Matzinger
et alii, 2006). Negli ultimi dieci anni l’allarmante situazione negativa ha prodotto
progetti come il “Lake Ohrid Conservation Project” (LOCP), finanziato dalla Banca Mondiale, che è stato avviato nel 1996 e si è concluso con un protocollo d’intesa
tra Albania e Macedonia finalizzato alla conservazione ed alla protezione delle risorse naturali e della biodiversità attraverso lo sviluppo di effettive cooperazioni tra i
due Stati (Watzin et alii, 2002; Popovska & Bonacci, 2007). Attualmente si assiste
ad un’accelerazione dei processi di svuotamento del lago di Prespa (Löffler et alii,
1998; Matzinger et alii, 2006), e una possibile visione di quanto potrebbe avvenire
è offerta dal lago di Prespa piccola, ora solo un ruscello in territorio albanese, oramai staccato dal bacino lacustre maggiore del quale era una parte rilevante: i processi erosivi uniti ad un utilizzo incontrollato delle acque a fini agricoli in territorio
greco e albanese, hanno portato alla creazione di un istmo di separazione dovuto al
deposito di materiali e alla diminuzione dell’apporto idrico.
Il presente lavoro intende fare il punto su alcune recenti prospezioni speleologiche
in territorio albanese, condotte attorno all’area del lago di Prespa, e sul contributo
che i risultati di esplorazioni speleologiche possono fornire ai fini di una più approfondita conoscenza del complesso sistema idrogeologico costituito dai due laghi.
Le cavitá nei pressi del Lago di Prespa
La scelta dell’area di studio è stata determinata da alcune considerazioni:
• La zona dei laghi Ohrid e Prespa assomma un’importanza fondamentale per una
molteplicità di fattori, di tipo naturalistico, ambientale, idrologico, idrogeologico
e carsico;
• Le ultime esplorazioni speleologiche nella zona risalgono ad oltre 20 anni fa, almeno da parte di speleologi italiani e relativamente ai materiali che siamo riusciti
a recuperare; si trattò di prospezioni di carattere bio-speleologico che portarono
ad individuare anche una nuova specie (Sbordoni, 1971);
• La disponibilità di dati documentati relativi alle grotte del territorio albanese è
estremamente carente in questo settore del paese.
249
Posizione delle cavità
individuate rispetto
alla zona di ricerca
Legenda
1. cavità nei pressi
di Gollomboci; si tratta
di 4 cavità a prevalente
sviluppo orizzontale,
esistono altri ingressi in zona.
La tipologia riscontrata
è di grotte di interstrato
2. Grika e Zaverit
3. cavità segnalata
con ingresso verticale
4. Shpella e Cobonit
(grotta dei pastori)
5. Shpella i Zandon,
posta a circa 500 m
dalla grotta dei pastori
6. cavità sull'isola
dell'eremita, si tratta
di due antri di grandi
dimensioni e di alcuni
ingressi da controllare
7. grotta nella dolina
di crollo nei pressi
di Djellasi
250
L’indubbio interesse suscitato da queste motivazioni ci ha fatto muovere nella iniziale direzione di campagne esplorative mirate geograficamente e a carattere multidisciplinare, in modo da poter ottimizzare la gran quantità di dati da rilevare. Al
tempo stesso, non essendo mai stata effettuata una sistematica ricognizione speleologica, è nostro obiettivo quello di provvedere alla rilevazione ed alla diffusione dei
dati d’interesse per contribuire anche dal punto di vista speleologico alla tutela di
questo patrimonio naturale.
Nel mese di ottobre 2006 speleologi sloveni hanno segnalato possibilità esplorative
nella zona conosciuta come Grika e Zaverit. Questa località, nota agli abitanti del
distretto, è ben conosciuta in quanto vi è accertato il passaggio delle acque dal lago
di Prespa Grande a quello di Ohrid (Popovska & Bonacci, 2007). Uno dei punti
dai quali tale collegamento risulta evidente è appunto la località sopra indicata
dove è visibile la corrente di acqua che penetra la Montagna secca (Mali i Tat), per
giungere poi, attraversandola e assecondando un dislivello di circa 155 m, nel lago
di Ohrid (punto 2 della carta).
Nel corso di due successive campagne esplorative, si è tentato di individuare una prosecuzione all’interno di una cavità naturale, il cui ingresso si apre in corrispondenza
dell’unione di tre linee di frattura. Al momento non sono state trovate prosecuzioni aeree percorribili, anzi è stato possibile escludere l’ipotesi (paventata dai colleghi sloveni e
diffusa sulla lista speleo nazionale [email protected]),di poter superare sott’acqua gli oltre 8 km che separano i due laghi nominati, quantomeno in questa località.
Questo primo risultato ci ha spinto a meglio esaminare le rive del lago e così sono
state rilevate diverse altre grotte, seppure di modeste dimensioni. Una sommaria
esplorazione di varie cavità ha evidenziato una comune genesi delle stesse, derivante
da origine tettonica. Abbiamo inoltre avuto modo di riscontrare l’utilizzo da parte
di alcuni abitanti locali delle grotte, ritrovando spesso cavità divenute stalla e, talvolta, deposito di munizioni (punto 1 della carta).
Evidenze morfologiche ci hanno condotto sull’Isola dell’Eremita e sul promontorio antistante la stessa (punti 6 e 7 della carta) dove sono state rilevate ulteriori grotte e ripari di
grandi dimensioni meritevoli di un più attento esame. Un’altra delle cavità individuate
infatti è posta al fondo di una enorme dolina di crollo: è caratterizzata da una impressionante volta, sulla quale sono ben evidenti materiali lapidei ben cementati; la cavità
presenta ambienti di piccole dimensioni che andrebbero meglio esplorati.
I sopralluoghi effettuati sono poi proseguiti sulla base di indicazioni ricevute, che
ci hanno portato dapprima sull’altipiano alle spalle di Gollomboch (punto 3 della
carta), quindi più a ovest, presso Mali ì Tat, dove è stato individuato e disceso un
inghiottitoio di circa 50 m di profondità (punto 4 della carta). In questa prima fase
sono state censite ed esplorate 9 cavità, di altre sono state rilevate le coordinate e,
infine, altre ancora, solo segnalate (punto 5 della carta), aspettano di essere individuate ed esplorate.
251
Ingresso della Grotta delle Conchiglie.
Foto G. Campanella
Cavità in prossimità di Grika e Zverit:
quelle sinora esplorate sono cavità di
interstrato che chiudono dopo pochi
metri. Foto A. Albano
L’attività in questa zona è stata volutamente rivolta all’individuazione degli ingressi
ed alla raccolta dati piuttosto che ad una singola esplorazione mirata. In funzione di
quanto riscontrato, l’area sulla quale si è scelto di concentrare le ricerche si sviluppa
tra i 900 ed i 2100 m s.l.m., è alquanto estesa, percorribile unicamente a piedi ed ha
un notevole potenziale esplorativo.
Una parte del lavoro svolto ha riguardato un’altra zona legata al lago di Prespa seppure appaia, oggi, in un contesto ambientale totalmente diverso. È stata dedicata
particolare attenzione ad una grotta già nota, Shpella è Tren, posta ai piedi di una
parete rocciosa alta circa 30 m, un tempo bagnata dal lago di Prespa piccola.
La cavità si apre ad una quota assoluta di 706 m s.l.m. Si tratta di una grotta di
interstrato costituita da numerose sale di diverse dimensioni. Pur trattandosi di
una grotta nota agli abitanti del vicino villaggio, non vi era mai stata condotta una
vera e propria esplorazione speleologica, né tanto meno ne esisteva un dettagliato
rilievo. Si è quindi colmata una lacuna individuando prosecuzioni non conosciute
ai fruitori abituali e portando lo sviluppo complessivo della cavità a poco meno di
300 metri. Anche in questo caso diverse prosecuzioni meritano un esame più approfondito in quanto non è stata effettuata alcuna disostruzione né ci si è soffermati su
passaggi particolarmente stretti per motivi di tempo.
Nella Sala B sono presenti depositi di guano considerevoli, ma sono stati rilevati
solo individui isolati di Rinolofidi. Circa un centinaio di esemplari, invece, si trovano nella Galleria del Lago. Attualmente i dati rilevati sono oggetto di studio per una
determinazione scientifica della specie.
Il posizionamento dei crolli all’interno della grotta risulta pressoché coincidente
con i crolli presenti all’esterno e con il tratto stradale che sormonta la grotta. Tale
252
Grika e Zaverit. Un tempo sommersa, ora risulta visibile la frattura attraverso la quale si riversano le acque
del lago di Prespa Grande in quello di Ohrid. A.Albano
stato dei luoghi limita le possibilità esplorative in tale direzione, anche in considerazione della natura del materiale roccioso, molto instabile, presente nella settore
meridionale della cavità.
Sullo stesso fronte sul quale si apre Shpella e Tren, è stato individuato un altro
ingresso (Grotta delle Conchiglie) il quale, dopo un cunicolo iniziale, prosegue in
un salone coperto da conchiglie. Le dimensioni del salone e la sua direzione fanno
ritenere, data la presenza dello stesso materiale di crollo, che vi possa essere un collegamento con la Sala A della cavità precedente.
Shpella e Tren è di facile percorribilità, almeno per quanto riguarda i due saloni principali e questo ne ha favorito la frequentazione nel tempo da parte di archeologi, più
o meno autorizzati; abitanti della zona mossi da interessi diversi; pastori che, ancora
oggi, usano il salone principale per il ricovero delle greggi; semplici curiosi.
Un’altra cavità poco distante, indicataci da un ragazzo del luogo e da lui esplorata, è
stata in parte distrutta dall’attività estrattiva di una cava e dai movimenti di terra esterni dovuti allo scavo della strada che corre alle spalle del piccolo rilievo calcareo. All’interno abbiamo rilevato la presenza di acqua ferma in vasche di modeste dimensioni,
grandi ambienti con crolli importanti e concrezioni prevalentemente lungo le linee di
frattura. Sono stati individuati solo tre esemplari di sesso maschile di chirotteri e non
sono stati riscontrati depositi di guano. Si tratta, anche in questo caso, di Rinolofidi,
la cui specie è in corso di determinazione (Trocino & Rizzi, 2007).
253
254
255
256
Concrezioni all’interno della Grotta della Cava. G.Campanella
Esempio di agricoltura sostenibile “modello albanese”: sostenibile, ma per chi?. Foto A.Trocino
Grande dolina di crollo sul promontorio dove sorge il paese di Djellas. Molte altre doline di questo tipo,
sebbene di minore evidenza, sono presenti sul lato albanese del lago di Prespa grande. A.Trocino
In cammino sulle sponde del lago alla ricerca di nuove cavità. Foto A.Albano
257
Considerazioni conclusive
La parzialità di dati esistenti, la mancanza di una collaborazione fattiva tra tutti
gli interlocutori e tutti gli Stati, la mancanza di un progetto che tenga conto del
sistema carsico e della profondità dello stesso rende difficile la risoluzione delle
problematiche ambientali che interessano il sistema dei laghi di Prespa e Ohrid,
tanto più se si considera che, ad oggi, non esiste una demarcazione precisa dello
spartiacque tra i due (Bonacci, 1987; Mcevski, 2002), seppure ricerche nate dalla
collaborazione tra studiosi di diverse nazionalità abbiano fornito importanti conferme alla supposta connessione sotterranea tra i due laghi, con una gran quantità di
dati circa la velocità dell’acqua, il tempo di passaggio e lo sviluppo dei sistemi idrici
in ambiente carsico (Amataj et alii, 2007).
Gli importanti risultati da noi conseguiti nelle prime fasi di attività esplorativa ci
hanno sinora consentito di valutare, in prima approssimazione, le caratteristiche
carsiche, e il potenziale speleologico, di tale territorio. Ciò si affianca alla maggiore
consapevolezza acquisita relativamente alle condizioni di difficoltà delle popolazioni locali, che si trovano ad affrontare seri problemi quali la mancanza di energia
elettrica per gran parte della giornata durante l’inverno, la mancanza di boschi d’alto fusto a causa del disboscamento selvaggio che ancor oggi continua per far fronte
alle necessità di riscaldamento e alimentari, la ridotta presenza di macchine agricole
in un’agricoltura povera e la parallela eutrofizzazione delle acque, oltre allo spopolamento dell’area a causa di un’emigrazione tuttora perdurante.
Le prossime attività, previste per l’estate del 208 con una spedizione, saranno finalizzate, oltre alla prosecuzione delle esplorazioni speleologiche, ai lavori necessari a
rilevare e documentare le emergenze ambientali presenti nell’area, al fine di fornire
un contributo alla conoscenza del territorio e formulare ipotesi di tutela che siano
anche concrete per lo sviluppo economico dell’area.
Löffler H., Schiller E. & Kraill H. (1998) -Lake Prespa, a European natural monument, endangered by irrigation and eutrophization. Hydrobiologia, 384, 69-74.
Matzinger A., Jordanovski M., Veljanoska-Sarafiloska E., Sturm M., Müller B. & Wüest A. (2006) - Is
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Micevski E. (2002) - Caratteri geologici e idrogeologici della regione Ohrid-Prespa (in Macedone). Makedonski
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Sbordoni V. (1971) -Ochridiola Marinae: nuovo genere e nuova specie di Bathyscinae endogei della Macedonia
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Watzin M.C., Puka V. & Naumoski T.B. (Eds.) (2002) -Lake Ohrid and its watershed. State of the Environment Report, Lake Ohrid Conservation Project, Tirana (Albania) and Ohrid (Macedonia).
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Prespa Lake and underground connection between Prespa and Ohrid Lakes. Balwois 2004, 25-29 Maggio 2004,
Ohrid (Macedonia), 4 pp.
Ringraziamenti
Fondamentali sono state le collaborazioni con gli abitanti del posto e con i prof.
Perikli Qiriazi, prof. Skender Sala e la dr.ssa Yllka Peposhi dell’Università di Tirana
ai quali va il nostro ringraziamento.
Bibliografia
AAmataj S., Anovski T., Benischke R., Eftimi R., Gourcy L.L., Kola L., Leontiadis I., Micevski E., Stamos
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Cvijic J. (1906) - Fondamenti di geografia e di geologia di Macedonia e Serbia (in serbo). Belgrado, VIII ed.,
680 pp.
258
259
INDICE
2
PROGRAMMA DEL CONVEGNO
9
INTRODUZIONE
15
SPELAION, SPELEOLOGI A RACCOLTA
21
CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE COMUNITÀ BIOLOGICHE
DELLE RACCOLTE D’ACQUA NELLE MURGE BARESI: LO ZOOPLANCTON
Ferdinando Didonna, Pino Pace, Vincenzo Manghisi
Gruppo Puglia Grotte (Castellana-Grotte)
Tiziana Quartulli, Giuseppe Alfonso, Genuario Belmonte
Laboratorio di Zoogeografia e Faunistica, DiSTeBA Università del Salento, Lecce
33
GROTTA ROMANELLI (CASTRO, LECCE)
C’ERA UNA VOLTA UN… PINGUINO (ALCA IMPENNIS)
Nini Ciccarese
Gruppo Speleologico Salentino “P.de Lorentiis” - ente morale - Maglie (Le)
35
AMBIENTI E CLIMI DEI NEANDERTALIANI DEL SALENTO
49
UNA GROTTA PER AULA
ESPERIENZE DIDATTICHE DEL GRUPPO SPELEOLOGICO MARTINESE
Marco Delle Rose1,2,Vittorio Marras1
1
Gruppo Speleologico Neretino
2
Consiglio Nazionale delle Ricerche, IRPI
Rosanna Bagnardi
Gruppo Speleologico Martinese
53
L’ATTIVITÀ DEL SOCCORSO SPELEOLOGICO IN PUGLIA DAL 2001,
ALLA LUCE DELLE NUOVE DISPOSIZIONI DELLA LEGGE 74/2001
Franco Alò1, William Formicola2
Delegato Cnsas - Puglia e Basilicata,
2
Vice-delegato Cnsas - Puglia e Basilicata
1
67
IL CATASTO DELLE GROTTE DELLA PUGLIA
69
L’INTERVENTO DI BONIFICA DEL PULO DI ALTAMURA
75
LA SALVAGUARDIA DELLA GROTTA DI TORRE DI LESCO
(ALTAMURA) NEL PROGETTO DI AMPLIAMENTO DELLA S.S. 96
Giuseppe Savino, Enzo Pascali, Giovanni Ragone, Mimmo Lorusso, Totò Inguscio
FSP - Federazione Speleologica Pugliese
Giovanni Ragone, Pietro Pepe
CARS - Centro Altamurano Ricerche Speleologiche
Vincenzo Martimucci1, Pasquale Scorcia2, William Formicola1
CARS - Centro Altamurano Ricerche Speleologiche
2
ANAS - Compartimento Viabilità per la Puglia
1
91
LE CAVE DI TUFO DI ALTAMURA - PRIMA RELAZIONE E NOTIZIE
SULLE ESPLORAZIONI
Vincenzo Martimucci, Giovanni Ragone, Antonio Denora, Filippo Cristallo
CARS - Centro Altamurano Ricerche Speleologiche
260
261
103 
109 
Giuseppe Spilotro1, Vito Specchio2, Pietro Pepe3
1
Università degli Studi della Basilicata
2
Sogesid S.p.A.
3
Apogeo Soc.Coop. arl
161 
“LE FESTOLE” DI TRECCHINA (PZ)
167 
IL “COCITO” DI GROTTA ZINZULUSA (CASTRO,LECCE).
DAL 1957 AL 2007: 50 ANNI DI SPELEOLOGIA SUBACQUEA
ABITAZIONI RUPESTRI E GROTTE DEI CORDARI A MONTE
S. ANGELO NEL 1960
Giulio Cappa
Gruppo Grotte CAI-SEM Milano
117 
STUDIO PRELIMINARE DI UN AMBIENTE IPOGEO URBANO:
LA CISTERNA DI SAMMICHELE DI BARI
119 
RECENTI ESPLORAZIONI NEL COMPLESSO VORE SPEDICATURO
E NELL’INGHIOTTITOIO DI COELIMANNA (PROVINCIA DI LECCE)
RISULTATI E PROSPETTIVE FUTURE
123 
262
L’EVENTO DEL 07.05.2007 DI VIA BARCELLONA, ALTAMURA
IL CONTRIBUTO DEL CARS ALLE STRATEGIE D’INTERVENTO
DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO CONNESSO
(PROVINCIA DI BARI, PUGLIA)
Oronzo Simone, Vincenzo Iurilli
Gruppo Speleologico Ruvese
Gianluca Selleri, Antonio Alba, Gabriella Amato, Marcello Lentini, Chiarina D’Agostino, Francesco De Natale, Daniela Festa, Emanuele Ingrosso, Giorgio Pancosta, Giovanni Treglia, Luca
Trevisi
Gruppo Speleologico Leccese ‘Ndronico
SINKHOLE NATURALI: ANALISI E CLASSIFICAZIONE DELLE
SITUAZIONI SUSCETTIBILI AL FENOMENO
LE GROTTE DI CASSANO DELLE MURGE
137 
DAL DIARIO DI MEDEOT, TOMMASINI, VIANELLO, FERRI,
COLONI, MATARRESE…
DICEMBRE 1956: LA PRIMA ESPLORAZIONE DELLA GRAVE DI FARAUALLA
169 
NUOVE ESPLORAZIONI A PREVETICELLI
181 
PRIME NOTIZIE SULLA GROTTA SANTA FRANCESCA
FRANCAVILLA FONTANA(BR) - F° 203 VILLA CASTELLI IV SO
183 
IPOTESI SPELEOGENETICHE SULLA GRAVE DI MONTE PELOSELLO (MARTINA FRANCA)
195 
PRESENTAZIONE DEL CALENDARIO 2008 DELL’ORDINE DEI
GEOLOGI DELLA PUGLIA “GROTTE E IPOGEI DELLA PUGLIA”
153 
LA GROTTA PALOMBARA 2 (PU 951). MORFOLOGIA E SPELEOPOIESI
Claudio Calasso1, Bruno Capilungo1, Paolo Negro1, Massimiliano Beccarisi2, Gianluca Rondine2,
Marco Delle Rose2, 3
1
Gruppo Speleologico Salentino
2
Gruppo Speleologico Neretino
3
Consiglio Nazionale delle Ricerche-IRPI
Vincenzo Martimucci, Antonio Denora
CARS - Centro Altamurano Ricerche Speleologiche
Fantastico Daniele, Puzzovio Valerio, Devita Emanuela
Gruppo Grotte Grottaglie
Giovanni Indelicato, Michele Marraffa
Gruppo Speleologico Martinese
Carlos Solito1, Alfredo De Giovanni2
Scrittore, fotografo, speleologo 2Ordine Regionale dei Geologi della Puglia
1
197 
PRESENTAZIONE DEL LIBRO “MI CHIAMO TERRA”
198 
DATI SCIENTIFICI RECENTI DALLE CAVITÀ CARSICHE DI ALTAMURA
199 
CARATTERI GEOMORFOLOGICI E NATURALISTICI DELLE
GRAVINE DI GROTTAGLIE
211 
FENOMENI PARACARSICI NEI DINTORNI DI GORGOGLIONE
(PROVINCIA DI MATERA, BASILICATA)
Francesco Del Vecchio
CARS - Centro Altamurano Ricerche Speleologiche
Manlio Porcelli
CARS - Centro Altamurano Ricerche Speleologiche
Nini Ciccarese 2Raffaele Onorato
Gruppo Speleologico Salentino “P.de Lorentiis” - ente morale - Maglie (Le)
2
Centro di Speleologia Sottomarina Apogon, Nardò (Le)
1
1
Alessandro Reina, Raffaele Macina
Dipartimento Ingegneria Civile ed Ambientale - Politecnico di Bari
125 
G. Pinto1, M. Rodi1, D. Sportelli1, E. Gueguen2,3, C. Marotta4
1
Gruppo Puglia Grotte
2
Centro Altamurano Ricerche Speleologiche
3
Istituto di Metodologie per l’Analisi Ambientale - CNR
4
Gruppo Geo-Speleo Valle del Noce
Totò Inguscio, Emanuela Rossi Studio ambientale Avanguardie
Vincenzo Iurilli, Giovanni Palmentola †
Gruppo Speleologico Ruvese
Aurelio Marangella1, Mario Parise2
1
Speleo Club Cryptae Aliae, Grottaglie
2
CNR, Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica, Bari
Mario Parise1,2, Angela Rizzi2, Mariangela Sammarco 2,3, Antonio Trocino2, Gianni Campanella4
1
CNR, Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica, Bari
2
Associazione Explora
3
Dipartimento Beni Culturali, Università del Salento, Lecce
4
Gruppo Puglia Grotte, Castellana-Grotte
263
221
DA CAVA A GEOPARCO: UN’OPPORTUNITÀ DI SVILUPPO.
L’ESEMPIO DELLA CAVA “MINERVINO BETON” A MINERVINO MURGE
Erwan Gueguen1,2, Ivana Adurno1,2, Daniela Cannone2
1
IMAA-CNR, Tito Scalo (PZ)
2
CARS, Altamura (BA)
231
“MARMO PLATANO 2007”, LA PRIMA SPEDIZIONE SPELEOLOGICA
ITALO-CUBANA IN ITALIA
Mario Parise1, Gerardo Ferrara2, Mario Fuccio3, Cosimo G. Gentile4, Dino Grassi4, Gianclaudio
Sannicola3, Antonio Trocino5, Luis D. Torres Mirabal6, Manuel V. Valdes Suarez7
1
CNR, Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica, Bari
2
Associazione Amici della Montagna, Muro Lucano (PZ)
3
Speleo Club Cryptae Aliae, Grottaglie
4
Gruppo Speleo Statte, Statte
5
Associazione Explora
6
Grupo Espeleologico Sierra del Rosario, Cuba
7
Escuela Nacional de Espeleologia “Antonio Nuñez Jimenez”, El Moncada, Cuba
241
ISOLA DI PALAWAN, FILIPPINE NUOVE ESPLORAZIONI AL
PUERTO PRINCESA SUBTERRANEAN RIVER
Antonio De Vivo, Francesco Lo Mastro, Giuseppe Savino
La Venta Esplorazioni Geografiche
247
RICERCHE SPELEOLOGICHE IN ALBANIA:
PRIMI DATI SULLE CAVITÀ NEI PRESSI DEL LAGO DI PRESPA
Antonio Trocino1, Mario Parise1,2, Angela Rizzi1
1
Associazione Explora
2
CNR, Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica
264
265
Elenco degli iscritti
OSPITI
Aldan Vilas Carlos
Badino Giovanni
Barletta Marco
Calcagnì Giovanni
Donati Cristina
Germani Carlo
Lovece Daniela
Mancini Massimo
Marchesi Giampietro
Martimucci Gina
Massucco Rinaldo
Moramarco Carlo
Moramarco Vito
Ottalevi Marco
Pascali Enzo
Pepe Pietro
Perinei Fabio
Rodi Marilena
Specchio Vito
Valletta Salvatore
Ventricelli Michele
PARTECIPANTI
Alò Francesco Paolo
Amato Gabriella
Bagnardi Alò Rosanna
Baldassarra Giuseppe
Beccarisi Massimiliano
Cagnano Cinzia
Calasso Caludio
Campanella Gianni
Capilungo Bruno
Cappa Emanuele
Cappa Giulio
Chieco Michele
Chieco Valentina
Ciccarese Ninì
D’ Agostino Chiara
De Giorgio Carmelo
De Giovanni Alfredo
De Summa Ciro
Debernardis Nunzio
Delle Rose Marco
266
Sociedad Espeleologica (Cuba)
La Venta - SSI
Gruppo Grotte Grottaglie
Presidente Ordine Geologi Puglia
SSI - Associazione Spelologica Bresciana
SSI
Gruppo Puglia Grotte
Ass Spelologica Molisana
SSI - Associazione Spelologica Bresciana
Gruppo Speleologico Savonese
Corpo Forestale dello Stato
SSI - Speleologi Romani
SSI - FSP - GSM
Presidente Consiglio Regione Puglia
Presidente Comitato Uomo Arcaico e cava dinosauri
Gruppo Puglia Grotte
Vice Presidente Ordine Geologi Puglia
Consigliere Consiglio Regione Puglia
Gruppo Speleologico Martinese
Gruppo Speleologico Leccese ‘Ndronico
Gruppo Speleologico Martinese
Gruppo Speleologico Neretino
Gruppo Speleologico Vespertilio - CAI Bari
Gruppo Speleologico Salentino - Maglie
Gruppo Puglia Grotte
Gruppo Speleologico Salentino - Maglie
Shaka Zulu Club Subiaco
SSI - CAI. Onorario CAI SEM Milano
Gruppo Speleologico Ruvese
Gruppo Speleologico Ruvese
Gruppo Speleologico Salentino - Maglie
Gruppo Speleologico Leccese ‘Ndronico
Gruppo Grotte Grottaglie
Gruppo Grotte Grottaglie
Gruppo Speleologico Neretino
Devita Emanuela
Di Geronimo Mariangela
Dimola Vito
Donno Giampiero
Felici Alberta
Ferrara Gerardo Fiera Adriano
Forte Francesco
Gentile Giacinto Cosimo Gialuca Colucci
Gianvecchio Maria
Gigante Vincenzo
Glorioso Mario
Grassi Dino
Indelicato Giovanni
Inguscio Salvatore
Iurilli Vincenzo
Laddomada Silvio
Lanzetta Alessandra
Laragione Rosanna
Liotino Isabella
Lo Mastro Francesco
Lo Mele Floriana
Lo Mele Michele
Lomurno Giuseppe
Lorusso Domenico
Luisi Roberta
Macina Raffaele
Manghisi Vincenzo
Mannara Alba
Manzari Mario
Marangella Aurelio
Marinosci Nicola
Marraffa Michele
Marras Vittorio
Marsella Dario
Marzulli Michele
Mauro Giuseppe
Menga Teresa
Merla Vinicio Meuli Vito
Mondanese Marco
Montanaro Alessandra
Montedoro Giuseppe
Montenegro Vincenza
Nanna Domenico
Gruppo Grotte Grottaglie
Gruppo Speleo Statte
Speleo fri
Shaka Zulu Club Subiaco
Speleo Club Marmo Platano - Muro Lucano
Gruppo Speleologico Salentino - Maglie
Gruppo Speleo Statte
Gruppo Speleo Statte
Speleo Club Marmo Platano - Muro Lucano
Gruppo Speleo Statte
Gruppo Speleologico Martinese
Federazione Speleologica Pugliese
Gruppo Speleologico Ruvese
Centro Documentazione Grotte Martina
Gruppo Speleologico Natura Esplora
Gruppo Speleologico Vespertilio - CAI Bari
Gruppo Speleo Statte
Gruppo Speleologico Martinese
Speleo Club Sperone - San Giovanni Rotondo
Speleo Club Sperone - San Giovanni Rotondo
Federazione Speleologica Pugliese
Gruppo Speleologico Vespertilio - CAI Bari
Politecnico di Bari
Gruppo Puglia Grotte
Centro Documentazione Grotte Martina
Gruppo Speleologico Vespertilio - CAI Bari
Speleo Club Criptae Aliae
Centro Documentazione Grotte Martina
Gruppo Speleologico Martinese
Gruppo Speleologico Neretino
Gruppo Speleologico Salentino - Maglie
Gruppo Speleologico Vespertilio - CAI Bari
Gruppo Speleo Statte
Gruppo Puglia Grotte
Speleo Club Sperone - San Giovanni Rotondo
Gruppo Puglia Grotte
Gruppo Speleologico Vespertilio - CAI Bari
Gruppo Puglia Grotte
Gruppo Speleologico Vespertilio - CAI Bari
Gruppo Puglia Grotte
Gruppo Puglia Grotte
267
Negro Paolo
Netti Piero Francesco
Nico Giovanni
Pace Pino
Palmentola Giovanni
Panessa Annamaria
Papadia Elisabetta
Parise Mario
Pastore Claudio
Petrara Lucia
Petruzzelli Carmela
Pinto Giampaolo
Polino Fabrizio
Pompilio Michele
Potenza Rosa
Pucillo Gianni
Quartulli Tiziana
Radatti Michele
Radogna Giuseppe
Renna Giuseppina
Repetto Gigi
Rizzi Angela
Rossi Emanuela
Salvat Fortuna
Santo Andrea
Santo Raffaele
Satta Maria Luigia
Savino Giuseppe
Scarale Angela
Scorcia Pasquale
Selleri Gianluca
Semeraro Marino
Senese Adelmo
Simone Teresa
Solito Carlos
Specchiulli Alessandro
Sproniero Loredana
Taglio Carmelo
Treglia Giovanni
Trisolini Daniela
Trisolino Alfonso
Trocino Antonio
Valente Francesco
Vincenti Giorgia
Vitale Andrea
268
Gruppo Speleologico Salentino - Maglie
Gruppo Puglia Grotte
Gruppo Speleologico Vespertilio - CAI Bari
Gruppo Puglia Grotte
Gruppo Speleologico Martinese
Gruppo Speleologico Salentino - Maglie
Gruppo Puglia Grotte
Gruppo Speleologico Martinese
Gruppo Puglia Grotte
Gruppo Speleologico Natura Esplora
Speleo Club Sperone - San Giovanni Rotondo
Gruppo Puglia Grotte
Speleo Club Marmo Platano - Muro Lucano
Gruppo Speleologico Martinese
Gruppo Speleologico Montenero
Gruppo Speleologico Vespertilio - CAI Bari
Oasi Blu Monopoli
CAI Varese - CAI Bolzaneto - GS Ribaldone
Speleo Lab Ipogeo Sal Biospeleologia “S. Ruffo”
Gruppo Speleologico Salentino - Maglie
Oasi Blu Monopoli
Oasi Blu Monopoli
Gruppo Speleologico Martinese
Federazione Speleologica Pugliese
Speleo Club Sperone - San Giovanni Rotondo
ANAS
Gruppo Speleologico Leccese ‘Ndronico
Gruppo Speleologico Martinese
Gruppo Speleologico Natura Esplora
Gruppo Speleologico Natura Esplora
Speleo Club Apricena
Gruppo Speleologico Martinese
Gruppo Speleologico Martinese
Gruppo Speleologico Leccese ‘Ndronico
Gruppo Speleologico Martinese
Centro Documentazione Grotte Martina
Gruppo Puglia Grotte
Gruppo Speleologico Salentino - Maglie
Gruppo Speleologico Neretino
269
Staff CARS
Centro Altamurano
Ricerche Speleologiche
GEOLOGIA GEOFISICA TOPOGRAFIA
www.apogeoambiente.com - tel/fax 080.314.33.24
FIUMANO TOMA TRIVELLAZIONI Srl
Via dei Mestieri -75100 MATERA
Tel e Fax 0835.268092 - e-mail: [email protected]
S.S. 96 KM 86+970 - 70022 ALTAMURA BA
Tel. Ufficio 080 3140447 - e-mail: [email protected]
non solo meccanismi
agente di zona: Vincenzo Picerno 349 4597747
sede centrale: Via F.lli Lumier, 21 - 47100 Forlì
Tel. 0039 0543 782668 - Fax 0039 0543 783082 - E-mail: [email protected]
270
Adurno Ivana
Berloco Prudenza
Borneo Vito
Carretta Carlo
Chierico Costanza
Clemente Angela
Creanza Vincenzo
De Pasquale Pierpaolo
Denora Antonio
Digeo Grazia
Dinardo Giovanni
Dinardo Nicola
Farella Roberto
Fasano Adriano
Formicola William
Galdieri Giovanni
Gueguen Erwan
Gueguen Maeldan
Koenis Antoinette
Lanzetta Alessandra
Lasaracina Nicola
Lascaro Vincenzo
Livrieri Raffaere
Lorusso Gia
Loviglio Giuseppe
Lupariello Mariaelena
Magni Silvana
Marroccoli Antonella
Martimucci Vincenzo
Martoccia Angelo
Natrella Lorenzo
Pallotta Marco
Pappalepore Gina
Pepe Pietro
Perijoc Otilia
Picerno Vincenzo
Pistone Pasquale
Porcelli Manlio
Pumir Sophie
Ragone Giovanni
Ruggieri Tania
Santantonio Gianvito
Santarcangelo Samantha
Vicenti Mariella
Ringraziamenti
Consiglio direttivo CARS 2005-2007
Vincenzo Martimucci Presidente
Vincenzo Emilio Manlio Porcelli Vice presidente
Giovanni Ragone Segretario
Antonio Denora Economo
Donatangelo Squicciarini Consigliere
William Formicola Consigliere
Giovanni Dinardo Consigliere
Patrocini Speleologici
Società Speleologica Italiana
Federazione Speleologica Pugliese
Patrocini Istituzionali
Comune di Altamura – Assessorato Cultura
Regione Puglia
Provincia di Bari
Università degli Studi di Bari
Parco Nazionale dell’Alta Murgia
GAL Terre di Murgia
Ordine Regionale dei Geologi della Puglia
Sponsor
Edil Costruzioni Simone srl – Altamura
ApoGeo Soc.Coop. a r. l. - Monitoraggio ambientale - Altamura
Banca Popolare di Puglia e Basilicata
Fiumano Toma Trivellazioni srl - Matera
Costruzioni Dileo srl - Altamura
Serveco - Servizi Ecologici Ambientali
Motion - Non solo meccanismi per salotti - Altamura
Sponsor Tecnico
Ferrino Contemporary Outdoor - since 1870
Un ringraziamento particolare a
Pietro Pepe e Vito Moramarco
271
Redazione
Giovanni Ragone
Progetto grafico e impaginazione
Pino Colonna, Giuseppe Incampo
Finito di stampare nel mese di giugno 2010
Grafica & Stampa - Altamura
© 2010 CARS Centro Altamurano Ricerche Speleologiche
Tutti i diritti riservati
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3
CARS
CENTRO ALTAMURANO RICERCHE SPELEOLOGICHE
www.carsismo.it - [email protected]
casella postale 120 - 70022 Altamura (Ba)
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